Ticino7

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№1

del 4 gennaio 2013

con Teleradio 6 – 12 gennaio

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Impressum Tiratura controllata 70’634 copie Chiusura redazionale venerdì 28 dicembre Editore Teleradio 7 SA, Muzzano Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier

Agorà Ciechi e ipovedenti. Tra buio e ombre Media Quiz televisivi. Il sapere in gioco

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Reportage Tifo calcistico

a cuRa deLLa

Gaia GRiMani

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LauRa di coRcia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Redazione; Foto di Jacek PuLawski . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

MaRco JeitzineR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Diana Vreeland. La regina della moda

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steFania bRiccoLa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Photo editor Reza Khatir

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs Stampa (carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona Pubblicità Publicitas Publimag AG Mürtschenstrasse 39 Postfach 8010 Zürich Tel. +41 44 250 31 31 Fax +41 44 250 31 32 service.zh@publimag.ch www.publimag.ch Annunci locali Publicitas Lugano tel. 091 910 35 65 fax 091 910 35 49 lugano@publicitas.ch Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 bellinzona@publicitas.ch Publicitas Chiasso tel. 091 695 11 00 fax 091 695 11 04 chiasso@publicitas.ch Publicitas Locarno tel. 091 759 67 00 fax 091 759 67 06 locarno@publicitas.ch In copertina Disegno a parole Illustrazione di Nicolas Polli, 3° anno CV - SUPSI

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eLio FeRRaRio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Vitae Francesca Gemnetti

Luoghi Locarno. Le ex Scuole

RobeRto Roveda

MaRco JeitzineR

Società Fosco Maraini. Un orientale fiorentino Graphic Novel Bicarbonato

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Vittime dell’inutile? “Cortese sig. Jeitziner, spero che i suoi colleghi della Redazione siano così gentili da inoltrarle i miei complimenti per il suo scritto «Oltre il bazar» (Ticinosette n . 51/2012 del 21 dicembre, ndr .) . Soprattutto la seconda parte del contributo è assolutamente esilarante, lì dove tratteggia chi si aggira per i negozi a guardare, toccare, controllare, prendere, rimettere a posto, girare, rigirare gli oggetti... e poi, dopo tutti quegli sforzi volti, si pensa, all’acquisto mirato, eccoli che alla cassa si presentano con le braccia levate al cielo – una via di mezzo fra la resa incondizionata a un nemico che non lascia alcun scampo e la ricerca di un segnale divino, una grazia forse... – ma ahimé le mani vuote. Per buona pace dei gestori dei negozi, che magari si chiederanno dove mai stanno sbagliando. Purtroppo non sono loro, chi vende, ad aver commesso un errore: il vero dramma è negli occhi di noi consumatori, senza armi di fronte al desiderio di avere e avere ancora, di possedere, di acquistare per poi non utilizzare, di comprare e abbandonare oggetti che ci rendiamo conto – ma qualche giorno dopo, a volte anche a poche ore di distanza e dopo aver aperto quella scatola – che «quella cosa» proprio non ci serviva. Il Natale è passato da poche ore e mentre le scrivo

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mio figlio di 4 anni (4 anni!) accanto a me sta ancora cercando di capire dove potrà mai mettere tutti quei regali scesi dal classico camino. Alcuni (molto pochi) sono assai carini e adatti alla sua età e personalità, altri sono assolutamente fuori luogo. Ma le zie, i cugini, i nonni e le nonne, e gli amici sono – fortuna sua – tanti, tutti convinti (ora ne siamo proprio certi) che al povero bambino manchino un sacco di cose: per esempio, un bel PC portatile giocattolo giallo che ti collega con il mondo (e fa un sacco di suoni irritanti). Insomma, ora il problema non è comprendere se quel gioco ne farà un adulto migliore, ma piuttosto dove potrà infilare i sui regali, in una stanza che è già colma di oggetti utilizzati una/due volte. E come i commercianti di prima, io e il mio compagno ci chiediamo: ma dove mai stiamo sbagliando!? (...) Un discorso a parte dovrebbe essere speso sui centri dei paesi e la ormai endemica chiusura dei piccoli negozi e degli artigiani (che poi sono dei veri professionisti, mica dei bottegai senza arte ne parte). Di chi sarà mai la colpa della loro chiusura mi pare una domanda dalla risposta piuttosto scontata e anche provocatoria: forse di tutti quelli che girano e rigirano le etichette? Tanti saluti e Auguri, D. M. (Viganello)” HOFER BSW

Ticinosette n° 1 del 4 gennaio 2013


Tra buio e ombre Agorà

Tutti prima o poi, con il trascorrere degli anni, andiamo incontro a piccoli deficit visivi. Un bel paio di occhiali – magari di quelli che la pubblicità presenta come uno status symbol –, delle lenti a contatto o un intervento chirurgico migliorano la situazione. Ma non per tutti i problemi di vista possono essere risolti facilmente e allora le cose si fanno ben più complesse… di Roberto Roveda

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el mondo contemporaneo, dominato dalla tecnologia, spesso si crede che tutti i problemi possano essere risolti ricorrendo a qualche “magia” della medicina oppure della tecnica. Purtroppo non sempre è così: ci sono persone che devono imparare a convivere con problemi gravi, che limitano la loro libertà di movimento. Tra questi gli ipovedenti e i ciechi. I primi sono persone che vedono male o molto male, anche con occhiali o lenti a contatto, ma a cui resta un residuo visivo, di maggiore o minore entità. La persona cieca non ha invece alcuna percezione della luce. Per usare delle immagini forse intrise di romanticismo gli ipovedenti scorgono ombre, i ciechi il buio.

Ciechi e ipovedenti in Svizzera italiana Secondo le stime in Svizzera italiana vivono oltre mille persone con seri problemi di vista: per la maggior parte si tratta di ipovedenti, con diversi gradi di ipovisione, mentre i ciechi rappresentano circa il 20% del totale. L’età media di queste persone è nel complesso alta, poiché la terza età è oggi quantitativamente il fattore maggiore che porta con sé problemi visivi. Gli altri due fattori importanti sono la malattia e l’infortunio. Ma al di là dei dati numerici e delle definizioni, essere ipovedenti oppure ciechi significa prima di tutto affrontare la vita ricorrendo a risorse diverse rispetto a chi possiede la vista. Significa confrontarsi con un mondo creato da persone che vedono e che lo hanno costruito secondo i loro canoni. Di questo e altro abbiamo parlato con Manuele Bertoli dal 2011 membro del Consiglio di stato. Bertoli per anni è stato direttore di Unitas (www.unitas.ch) – Associazione ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana – un ente che raccoglie circa la metà delle persone soggette a tali problematiche in questa regione. Unitas ha come scopo di salvaguardare gli

La copertina del presente numero di Ticinosette e le immagini a corredo di questo articolo sono il frutto della collaborazione con il 3° anno del corso in Comunicazione visiva (CV) della SUPSI. Si ringrazia a riguardo il docente, Antoine Depréz, e tutti gli studenti che con interesse ed entusiasmo hanno aderito con i loro lavori alla proposta.


Illustrazione di Martina Ielmini

interessi di questa parte della popolazione e dei loro familiari, di farsi portavoce delle loro istanze presso le istituzioni oltre a favorire la loro integrazione professionale. Ovviamente, molti dei membri dell’associazione, sono ciechi oppure ipovedenti, come lo stesso Bertoli che soffre di una malattia congenita che comporta la progressiva degenerazione della retina. Consigliere Bertoli, come vivono le persone che hanno gravi problemi di vista nel nostro Cantone? La qualità di vita di queste persone è generalmente buona, ma moltissimo dipende dal loro grado di accettazione del problema e dalla capacità di far fronte alla situazione in cui si trovano. Certo, paradossalmente questo è più facile per le persone giovani – che hanno davanti a sé tutta una vita di convivenza con il problema ma sono più pronte a mettersi in gioco – che per le persone anziane, che hanno vissuto molti anni da vedenti ma fanno fatica ad adeguarsi alla disabilità in un’età in cui cambiare è molto difficile. Quali sono i principali problemi che devono affrontare? I problemi sono vari e diversificati. Hanno sostanzialmente tutti a che fare con la ridotta indipendenza nelle faccende domestiche, negli spostamenti, nella gestione della propria esistenza e delle relazioni. I servizi a disposizione per questo tipo di utenza sono diversi: dal Servizio tiflologico1, con operatori specializzati che visitano le persone a domicilio e le aiutano a rendersi il più possibile autonome al centro diurno Casa Andreina, dal Servizio informatica e mezzi ausiliari alla Biblioteca Braille e del libro parlato, dalla residenza per anziani Casa Tarcisio al servizio per i giovani Casa Sorriso. Sono tutti servizi e strutture forniti o gestiti dalla Unitas o dalla Società ticinese per l’assistenza dei ciechi (www. stac-prociechi.ch), che ha una casa per anziani specializzata

a Lugano. Tutti questi servizi sono sussidiati dall’Assicurazione per l’invalidità (AI) o dal cantone, ma non completamente, per cui annualmente le associazioni devono ricorrere a una serie di campagne di raccolta fondi.

Agorà

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Che tipo di condizioni e problemi si pongono a livello scolastico per ciechi e ipovedenti? I bambini con problemi gravi alla vista hanno, come gli altri, l’obbligo di andare a scuola, ma anche la possibilità di andarci inseriti nelle classi ordinarie. Il nostro sistema scolastico da decenni li integra al meglio e da noi non esistono istituti specializzati per ciechi o ipovedenti, sia per scelta, sia perché non c’è una massa sufficiente di persone con questi problemi. L’integrazione, inoltre, è un compito prioritario della scuola, da poco regolamentato da una nuova legge cantonale. Oggi i bambini con problemi alla vista vengono presi in carico anche prima della scuola dell’infanzia, un periodo fondamentale per mettere in azione un intervento precoce a opera di specialisti. A scuola questi bambini sono seguiti, oltre che dal docente, da insegnanti d’appoggio, secondo un programma individualizzato, e la loro presenza è spesso un plusvalore per l’intera classe, che si abitua a convivere con situazioni di integrazione di persone svantaggiate. E dopo la scuola? Gli sbocchi professionali dipendono molto dalla formazione che i ragazzi ciechi o ipovedenti riescono ad acquisire. In genere, più alta è la formazione, più possibilità ci sono di trovare un impiego, anche se oggi il mercato del lavoro è molto competitivo e quindi non particolarmente accogliente per questi profili. Vi sono differenze nell’affrontare i problemi tra chi è nato già non vedente e chi lo è diventato nel tempo?

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Agorà

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Illustrazione di Sandra Liscio

Illustrazione di Giselle Pigna

Chi è nato senza la vista ha una sua percezione particolare del mondo, perché alcune esperienze non le ha vissute. Non sa cosa siano i colori, conosce le forme delle cose attraverso altri tipi di percezioni o il racconto di terze persone. Chi invece ha avuto la vista per un certo tempo può contare comunque sui propri ricordi, che rappresentano un bagaglio importante per la comprensione del mondo.

Come vivono le persone che stanno accanto a un non vedente, genitori o anche compagni e amici? I genitori sono spesso ansiosi, anche comprensibilmente. Più riescono a vivere il loro rapporto con i figli ciechi o ipovedenti in maniera naturale, non iperprotettiva anche se sempre attenta, più aiutano i propri figli a rendersi indipendenti. La stessa cosa vale per i compagni e gli amici, che sono una grande risorsa se il legame è fondato su un’amicizia profonda e non sulla sola volontà di aiutare qualcuno.

In che modo un non vedente si rapporta con una società dove la maggior parte delle persone vede? Che problemi deve affrontare anche dal punto di vista psicologico? Chi ha vissuto una perdita progressiva, per esempio a causa di una malattia degenerativa, ha avuto il tempo di abituarsi, mentre chi l’ha perde improvvisamente deve affrontare uno scoglio molto più duro. Oggi chi non vede e ha affrontato di petto il problema con l’obiettivo di rendersi il più indipendente possibile ha di fronte a sé tante possibilità: negli spostamenti autonomi, grazie alla rete dei mezzi pubblici, nello studio, nel lavoro e nella comunicazione, soprattutto grazie all’informatica oggi ben accessibile con i computer parlanti. Quando non si vede ovviamente ci sono una serie di cose che possono essere godute solo in misura ridotta rispetto ai vedenti, che vengono vissute solo attraverso il contatto sonoro o il racconto di terzi, ma a ben guardare questo non capita solo a chi è cieco. Per esempio, io vado al cinema, naturalmente fruendo solo dell’audio, ascolto le partite di calcio o di hockey, ma non credo di provare emozioni tanto diverse da quelle di una persona vedente. Anche chi legge romanzi o ascolta la radio vive le proprie emozioni grazie a immagini che si costruisce interiormente e che non vede. Poi ci sono aspetti che sono più difficili da accettare, come l’impossibilità di fare delle cose con i propri figli senza altre persone di mezzo, ma qui subentra il carattere, la differenza tra chi vede il bicchiere sempre mezzo vuoto rispetto a chi lo vede mezzo pieno…

Oggi lei è membro del Consiglio di stato. Cosa può fare la politica per aiutare le persone cieche e in genere chi è affetto da qualche disabilità? In generale, la società attuale sta migliorando nella presa di coscienza dei bisogni di chi ha una disabilità, ma molti messaggi devono ancora passare. Sulle barriere architettoniche, sull’accessibilità dei servizi ecc. La cosa più utile rimane comunque ancora il cambiamento di mentalità, che permetta di arrivare a riconoscere le persone disabili per quello che valgono e non per il loro handicap. Un percorso né facile, né breve. La politica può fare diverse cose: per esempio nel settore scolastico, come detto prima, dove gli attori principali sono i cantoni; nell’ambito delle barriere architettoniche, dove la Svizzera non è all’avanguardia anche se si sta migliorando; nel settore sociale, dove le competenze sono federali (tramite l’Assicurazione invalidità) e cantonali. Il dossier più difficile rimane però quello relativo all’accesso al posto di lavoro e al suo mantenimento, difficile perché il mercato del lavoro è competitivo e perché per tradizione il nostro paese non vuole adottare strumenti ritenuti di privilegio per la categoria delle persone disabili, come le quote. note 1 La tiflologia è la scienza che studia le condizioni e le problematiche delle persone con disabilità visiva (ciechi e ipovedenti), al fine di indicare soluzioni per attuare la loro piena integrazione sociale e culturale.


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Il sapere in gioco

La popolarità dei quiz televisivi riflette forse l’impoverimento della nostra cultura? Analisi e commenti di alcuni addetti ai lavori

di Marco Jeitziner

Media

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“Quando il potere si chiama capitale, la conoscenza è oggetto di quiz televisivi”. Vedeva lontano il filosofo francese JeanFrançois Lyotard1. Era la fine degli anni Ottanta, gli anni dell’apice del consumismo di massa, precisamente dopo il periodo d’oro dei quiz americani degli anni Cinquanta e Sessanta, quiz in cui i concorrenti dimostravano eccezionali qualità intellettive e il pubblico a casa a malapena ci capiva qualcosa. Allora, secondo la giornalista e critica televisiva Alessandra Comazzi, “occorreva essere preparati. Poi bastò la fortuna”2. Oggi, nell’era del narcisismo mediatico, aggiungo, occorre anche essere belli, tanto che i concorrenti hanno sempre più l’aspetto di attori che di semplici cittadini. Tutti devono poter partecipare, altrimenti gli indici d’ascolto non destano l’appetito dei pubblicitari, e senza pubblicità la TV non campa più. Ergo, i quiz si sono imbarbariti e le conoscenze banalizzate. Il mercato del sapere Ma nei quiz, ci chiediamo, oltre che fortunati e coraggiosi, serve anche essere “intelligenti”? O meglio, i quiz sono in qualche modo utili all’“intelligenza”? I quiz a cui si riferisce Comazzi sono praticamente scomparsi dal piccolo schermo, per lasciare spazio a giochi a premi votati più all’intrattenimento e (forse) all’arricchimento. In teoria, oggi è più facile vincere, oggi tutti vincono: pensionati, casalinghe, studenti ecc. Gli adulti sono, ahi noi, deplorevoli protagonisti. Assistiamo a domande spesso imbarazzanti, per non dire avvilenti, rispetto all’idealizzata “società della conoscenza”. Qualche esempio tratto dai nostri teleschermi globali. Cos’altro pensare quando, da una lista di popolari e inette donne dello spettacolo, bisogna sapere quale “può vantare un «lato B» a pera”? È forse edificante chiedere “quello d’arte è uno pseudonimo scelto da un artista. Che cosa?” e constatare che la concorrente non sa rispondere? Panico, emozione, si dirà, certo, ma quel sapere elementare diventa merce in cambio di soldi, oggetto di compravendita nel nome dell’audience. Soldi facili in cambio di sapere facile. Ciò non accadrebbe se la conoscenza, anche quella erudita, non fosse in vendita da anni. La vendono le università, la comprano i futuri laureati, che la rivendono sul mercato del lavoro in cambio di un salario. Una logica perversa quanto mai messa in discussione dalla crisi globale. Idem per finanza, industria, politica, guerra, informazione, scienza, ricerca: chi sa prima e più degli altri è sempre avvantaggiato. Risultato: nonostante la “strategia di Lisbona” dell’Unione Europea – un mezzo fallimento3 –, non siamo diventati tutti più colti, dotti e acculturati. E la televisione contribuisce all’inerzia e all’omologazione. Per dirla con le parole di Stephan RussMohl, docente e ricercatore all’ateneo di Lugano, “la ricetta è semplice: più quiz e meno spiegazioni per la piccola nicchia di chi è ancora affamato di cultura. In questo modo si accontenta la maggior parte dei contribuenti”4. Tutti dentro l’arena Renato Stella, sociologo all’ateneo di Padova, scrive: “oggi i quiz (...) consentono a chiunque di misurarsi con domande elementari”, permettendo così “alle persone comuni la possibilità di riconoscersi in un’arena collettiva (...)”5. Come detto,


L’attore americano Philip Baker Hall nel ruolo di Jimmy Gator, presentatore di quiz televisivi per bambini, nella pellicola Magnolia (1999) di Paul Thomas Anderson (immagine tratta da www.cscottrollins.blogspot.com)

un’arena di cui molti vorrebbero far parte, anche solo per pochi secondi, prestandosi alla competizione tra individui, barattando per soldi la propria cultura, mettendo alla berlina la reputazione e a rischio la propria dignità. Ormai a livello globale. Definizioni, concetti, nozioni, indizi e tematiche, compongono il sapere fast-food. Dilaga l’imbarbarimento mediatico e con esso l’istupidimento collettivo. Ci piace giocare e divertirci, cioè mostrarci intelligenti anche quando non lo siamo, vantarci sapienti anche solo credendo di sapere. In una società basata sulle risorse intellettuali, sulla valorizzazione delle competenze teoriche, l’ignoranza, la vuotezza, le lacune sono onte insopportabili. In questo senso si spiega il successo di pubblico dei quiz, ma anche la loro impressionante frequenza (solo dalle nostre parti se ne contano almeno cinque trasmessi quotidianamente). Peccato per la loro scontata e noiosa modalità, non essendoci nulla di nuovo. Non a caso il popolare “Chi vuole essere milionario?” lo si è mutuato dal quiz statunitense “The $64’000 Question” degli anni Cinquanta. L’autorità del banale I quiz coi bambini sono discutibili, sia per le pressioni che possono subire dai genitori, sia per la precoce competizione a cui vengono sottoposti. Ma restano pur sempre bambini. Ma quando sono gli adulti a mostrarsi stupidi, ignoranti, analfabeti e illetterati? Che modello di società si può ancora pretendere per le nuove generazioni? Forse non a caso a certi giovani la TV non interessa affatto: troppo rigida, noiosa e superficiale. Uno di loro sui quiz scrive: sono “un insieme

totalmente scollegato di nozioni appese alla memoria, che vengono riprese per puro caso e rimosse nell’esatto istante in cui si passa alla domanda successiva”6. I quiz con ingenti somme in palio, scrive Olaf Hörschelmann, docente di teoria dei media negli Stati Uniti, “si concentrano su domande presumibilmente serie, mettendosi in una posizione di autorità culturale e di legittimazione”7. Quando si ritiene la banalità autorevole, allora essa diventa anche uno strumento autoritario, in quanto imposto a tutti, anche a chi non è d’accordo. E l’utilità del nozionismo da parole crociate? La qualità dove sta? Nessuno sembra più saperlo, poiché ormai ognuno reputa importante per sé qualsiasi cosa. Lo fa persino la scuola, figuriamoci la televisione. Scrive lo storico statunitense Kent Anderson: “la natura del sapere che (...) fuoriusciva dai quiz era fonte di costernazione per molti educatori, seri critici televisivi e commentatori di costume”8. Era il 1978. Trent’anni dopo poco è cambiato.

note 1 Il postmoderno spiegato ai bambini, Feltrinelli, 1987. 2 “Come funzionano i quiz della tv?”, La Stampa, 28 gennaio 2011. 3 http://europa.eu/abc/12lessons/lesson_8/index_it.htm 4 http://it.ejo.ch/201/etica/nel-vortice-del-populismo-dei-media 5 Box Populi, il sapere e il fare della neotelevisione, Donzelli Editore, 2003, pag. 68. 6 http://dailystorm.it/2012/10/27/quiz-italiani-quando-la-tv-insegueil-nozionismo-usa-e-getta/ 7 Rules of the Game: Quiz Shows And American Culture, State University of New York Press, 2006, pp. 112–113. 8 Television Fraud: the History and Implications of the Quiz Show Scandals, Greenwood Press, 1978.

Media

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Un orientale fiorentino Un recente convegno tenutosi a Lugano ha reso omaggio all’etnologo, scrittore e fotografo Fosco Maraini a cent’anni dalla sua nascita. Scomparso nel 2004, ci ha permesso di conoscere meglio il lontano Oriente di Laura di Corcia

Società

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Non era un etnologo freddo, ma una sorta di maieuta in grado di raccontare culture lontane dalla nostra sensibilità facendo leva sulle emozioni e sull’umanità che ciascuno di noi ha dentro di sé. Così Paolo Campione, in apertura del convegno dedicato a Fosco Maraini e tenutosi a Lugano il 15 novembre scorso – esattamente cent’anni dopo la sua nascita a Firenze –, ha descritto il noto intellettuale, padre della scrittrice Dacia, figlio di Antonio Maraini, noto scultore di antica famiglia luganese, e di Yoi Crosse, scrittrice di padre inglese e madre polacca. Queste origini, insieme ai viaggi compiuti con la famiglia in tutta Europa, ne spiegano il cosmopolitismo, che forse è alla base delle diverse attività intraprese durante la sua vita, dalla fotografia, all’etnologia, alla scrittura. Affascinato dall’Oriente, Maraini trascorse gran parte della vita a studiare la cultura giapponese. Operazione non semplice, come ha fatto notare Campione, giacché una delle sue caratteristiche era quella di non dire mai apertamente di no.

intima e vera, la conquista di un’autenticità pura, aurorale, in vista del passaggio ultimo in una dimensione di assoluto.

Lo sguardo a Oriente Il convegno luganese ha voluto rendere omaggio alla sua eredità culturale e spirituale mettendo in luce la profondità, la bellezza e l’azzardo delle scalate interiori verso l’illuminazione e la liberazione, che i maestri spirituali dell’Asia hanno sperimentato e insegnato, dai sogni di paradisi agli incubi di inferni, dai viaggi estatici degli sciamani nel mondo dei morti alle meditazioni yoga nelle profondità della mente. Segnaliamo in particolar modo la riflessione di Massimo Raveri sui giardini zen e sul Paradiso nella cultura buddista. Anche in quel contesto, a quanto pare, il problema del male è affrontato con le incertezze che un luogo comune miope attribuisce al solo Occidente: così non è. “Il pensiero buddista – sottolinea Raveri – ci invita a guardare più a fondo sulla natura ultima del male: è una scelta di solitudine totale, di egocentrismo, sempre inappagato, Cittadino del mondo questa è la più profonda illusione della men“Che cosa vuol dire essere cosmopoliti?” si te, questo è l’inferno dell’uomo”. Ma all’Inè chiesto a un certo punto lo studioso, ferno si ride. “C’è sempre stata in Giappone che ha avuto l’occasione di conoscere una vena di sapienza lucida e ironica che ha Fosco Maraini in Hokkaido, anni Settanta (immagine tratta da www.festivaldelviaggio.it) personalmente Maraini e frequentarlo intuito nell’immaginario demoniaco un che assiduamente per due anni, nel 1995 e di profondamente buffo. Ha intuito che la nel 1996, traendone una grossa lezione a livello sia umano sia risata è vicina alla realtà infernale, non solo perché il riso in qualche professionale. “Significa non considerare i propri costumi unici e modo esorcizza la paura, ma perché la risata è altrettanto trasgresesclusivi, togliersi i panni e mettersi quelli altrui. Ma ci vuole di più. siva nel suo ribaltamento. Nelle immagini dell’inferno vediamo Agli etnologi non basta mettersi i panni degli altri: devono riuscire a un uso insistente di elementi impuri: sangue, escrementi, vomito. capire il sistema di classificazione altrui”. Questo era uno sforzo L’abbassamento corporeo crea un senso di disagio e di orrore, ma che Maraini operava costantemente, tanta era la sua sete di suscita anche il gusto di un’esperienza trasgressiva, fanciullesca, di conoscenza. E i concetti che riusciva a ricavare, nei suoi trat- un comico sregolato, irriverente e liberatorio: la tradizione religiosa tati, non erano trasmessi ai lettori sotto forma di freddi schemi giapponese ha intravisto al fondo dell’inferno una follia carnevaconoscitivi, ma sempre ricolmi di umanità e di esperienza vi- lesca. Così come ogni carnevale libera l’immaginario di fantasmi, brante, qualità che gli vennero riconosciute da un’altra figura di mostri e diavolacci”. Invece in Paradiso non si ride, e anzi, chiave del secolo scorso, anch’essa attratta dall’Oriente e dai all’inizio ci si annoia, per il cessare del divenire. suoi misteri, Elémire Zolla (1926–2002) che però rispetto al Eppure è il nostro sogno nel cassetto, un modo per rifuggire nostro rappresentava la figura dello studioso statico, ancorato gli orrori del vivere contemporaneo, che ci vengono raccontati ai libri e alla scrivania. Fosco Maraini era diverso: un uomo tutti i giorni dai mezzi di comunicazione e che sperimentiad’azione che fu anche un ottimo scalatore. Scriveva spesso delle mo sulla nostra pelle. Per questo, figure come quella di Fosco sue esperienze di montagna perché racchiudevano in sé dei Maraini sono indispensabili per riposizionarci, farci intuire nuclei di significato profondi. L’ascesa alla cima rappresentava l’altra faccia della medaglia e aiutarci ad accogliere dentro di la ricerca, sofferta e entusiasmante, di una conoscenza di sé più noi punti di vista differenti.


BICARBONATO di Elio Ferrario La notte è fonda, la tavola non sparecchiata. La famiglia dorme, ma è come se fosse ancora tutta lì. Gli sguardi passano sopra l’orlo dei bicchieri. Dormono, ma sono lì la madre e il padre, l’uso corretto delle posate per il pesce e “sta’ dritto, via i gomiti dalla tavola, bevi il vino? ma chi ti credi? hai pagato la bolletta?”Il caffè rovesciato, la pasta non cotta. La tavola racchiude e conserva lo spirito, le emozioni, le risate, le litigate e i vissuti della famiglia. Per questo, poi si prende il bicarbonato per digerire.

La più piccola ripensa a quello che le hanno detto: in una famiglia mica ci si capita per caso. E un po’ come con i gusti del gelato. Sei tu che scegli i tuoi genitori. Prima di nascere, scruti dal cielo milioni di coppie e decidi quale sarà la tua. Lo capisci solo dopo se i gusti che hai scelto stanno bene insieme.

Nemmeno loro si sentono un buon accoppiamento. Liquirizia e fragola, forse.

La più grande di cibo proprio non ne vuol sapere. La vita è una faccenda molto seria per una ragazza che si affaccia al mondo. Occorrono forza e risolutezza, non è un’impresa facile, ma nondimeno è un’avventura che vale la pena di vivere, a detta del padre.

Gli antenati guardano attraverso le foto invecchiate. Come dice Alex Haley: “La famiglia è un collegamento con il nostro passato e un ponte per arrivare al futuro”.

Tutto comincia in famiglia. Anche gli uomini più malvagi e i dittatori più atroci ne hanno avuta una. Se in tutte le famiglie avessero preso il bicarbonato, dopo certi pranzi, forse si sarebbero evitati scontri e guerre tra esseri umani.


» testimonianza raccolta da Gaia Grimani; fotografia di Flavia Leuenberger

12

Francesca Gemnetti

Vitae

telefilm di “Perry Mason”! Stavolta non come telespettatrice, ma quale segretaria generale di una vivace società cooperativa, la CORSI, rinnovata nei suoi statuti e organismi e presieduta da un intraprendente e motivato Luigi Pedrazzini. La CORSI si occupa della radiotelevisione di servizio pubblico, e in particolare dei programmi della RSI. Vogliamo offrire occasioni d’incontro e contatto tra la società civile e la RSI, verificare le attese della gente e comunicarle ai dirigenti della Radiotelevisione. Il servizio pubblico svolto dalla RSI deve esprimere la missione assegnatale dalla ConcessioAvvocato e segretaria generale della ne federale: per la nostra reCORSI, ama la sua professione, con tempo- gione italofona, esso diventa ranee “evasioni” per stare con le persone un vettore privilegiato per la lingua italiana, che deve care, ascoltare un concerto o ritrovare essere promossa e salvaguaril senso dell’altrove durante un viaggio data attraverso i programmi nazionali della radio e della nei miei primi anni di adotelevisione, di cui la CORSI verifica la qualità. lescenza. Quindi la scelta fu Più soci cooperatori aderiscono alla CORSI, quasi… obbligata! più essa sarà legittimata a far valere le loro Interessarmi al diritto, come ragioni. Ci interessa quindi avere nuove materia di studio e poi come adesioni nella Svizzera italiana, ma anche esercizio professionale, è una Oltralpe, e contiamo molto anche sulle cosa che rifarei anche oggi. Il iscrizioni di giovani soci, attualmente in bagaglio di conoscenze insite minoranza. in questo campo è variato, Ritrovo in questa attività l’entusiasmo dei connesso all’interpretazione miei primi anni di partecipazione all’UNEdel mondo e quindi anche SCO, anch’essa portatrice di opportunità di di sé. È legato al contatto riflessione sulla cultura, sul dialogo sociale con la società, alla comprene sulla diversità creatrice dei popoli. L’entusione dei suoi meccanismi e siasmo implica il non badare al dispendio all’evoluzione (o involuziodi energia che un lavoro a tutto campo ne?) delle convenzioni che comporta, ma questo non è un problema la regolano. per me, perché basta un bel progetto o una Il lato negativo è un inevitanuova iniziativa, di cui vedo le potenzialità bile coinvolgimento emotivo e l’energia sgorga spontanea. in situazioni difficili dal profiÈ vero che, all’inizio di una nuova attività, lo umano: penso per esempio il rischio è il sacrificio della vita privata per alle cause di divorzio, a quelle poter realizzare con soddisfazione quanto per l’affidamento dei figli, alle si sta progettando professionalmente. Per liti ereditarie. Mantenere ra“ricaricare” le batterie, per me è importante zionalità e distacco costituisce sapere di poter disporre di libertà e spazi sufun esercizio laborioso, che si ficienti per stare con le persone che mi sono acquisisce col tempo. care. Quindi ogni tanto “stacco la spina” e Un altro problema della promi prendo il tempo di uscire, andare a un fessione è restare sempre agconcerto, vedere un film o un’esposizione, giornati rispetto all’accrescersi andare a spasso con il mio (scodinzolante) continuo di nuove normaticane; oppure faccio qualche viaggio, per ve, soprattutto procedurali. ritrovare il senso dell’altrove e “remettre les Per questo non mi dispiace pendules à l’heure”, come dicono i francofoni. di aver accantonato, almeIn sostanza penso che, come scrive Seneca, no per il momento, i codici la vita è come una commedia: non importa legali e di essere ritornata ai quanto è lunga, ma come è recitata.

»

S

ono nata il 27 settembre del 1957 a Bellinzona, città che è sempre nel mio cuore! Ho molti bei ricordi della mia infanzia, ricca di affetti e contornata da una sorella, Nicoletta, “quella della tele”, alla quale tutti dicono che somiglio sempre più, e da un fratello, Giacomo, avvocato oggi divenuto a sua volta affettuoso padre di due monelle, Eleonora e Carlotta. Ricordo le vacanze d’infanzia in Leventina, a Faido, luogo di villeggiatura dei miei nonni paterni, dove per diverse estati ho percorso sentieri montani e giocato ai bordi della Piumogna, allora molto più spumeggiante di oggi… Nella vita ho incontrato molte persone importanti per la mia crescita interiore e per le mie scelte e a tutte devo qualcosa. Ho cercato di “assorbire” quanto mi sembrava avessero da insegnarmi e questo senza ahimé essere una scolara modello… Oltre a mia madre, che è stata sempre presente nella mia vita, devo molta gratitudine anche alla mia maestra delle elementari, Carla Mozzini, che ha saputo inculcarmi le nozioni di base, stimolando la curiosità e la creatività. Devo molto pure a una coppia straordinaria, Anne e Italo Valenti, amici che mi hanno spesso ricevuto nella loro casa di Ascona e mi hanno aperto a nuove conoscenze nel mondo dell’arte e della cultura. Sono contenta che quest’anno Ascona e Mendrisio li abbiano ricordati con due belle esposizioni. Ho scelto gli studi di diritto senza troppe esitazioni. Da una parte c’era la strada lasciata aperta da mio padre, avvocato, morto in giovane età, ma già abbastanza affermato. Lo ricordo seduto al tavolo del salotto di casa, mentre studiava sino a tarda ora, avvolto in nuvole di fumo, i suoi voluminosi e intriganti incarti dei processi penali. Dall’altra parte c’era “Perry Mason”, serie di telefilm giudiziari che impazzava


Un venerdĂŹ di ordinario tifo testo a cura della Redazione; fotografie di Jacek Pulawski


7.00

8.10

Suona la sveglia! Tocca a me… sono già carico per la partita. Mia moglie è sveglia da un po’ e sta preparando la colazione. Maledetto calcio “feriale”… eppure lo sanno che la gente lavora. Ma per una partita così si rinuncia anche a un giorno di vacanza. Sveglio Elia e Francesco: “Forza, dai che è tardi. Mica vorrete andare a scuola?”. In un attimo sono già in piedi. Il tifo scatena l'adrenalina… e al derby non si può mancare. Peccato che il cuore batta per la squadra di una città lontana e ci aspettano un bel po’ di chilometri.

Giorgio lo troviamo sotto casa, cappellino e sciarpa d’ordinanza al collo. “La Luisa mi ha detto di salutarvi… e di andarci piano con la voce” dice, “che l’ultima volta so stato muto per due giorni”. Giorgio ha dieci anni più di me ma quando si tratta di calcio è peggio di un bambino. I ragazzi, eccitati, partono subito coi commenti e le previsioni: “Vedrai che mazzo gli facciamo… speriamo che il mister non combini cacchiate…”. Giorgio ribatte: “I calcoli si fanno prima ma poi in campo è tutta un’altra storia… va come va. È questo il bello del calcio… la sorpresa”. Concordo, anche se a me i tatticismi piacciono e non sono così estremo a riguardo.


8.55

10.30

13.00

Ci fermiamo per un caffé alla prima stazione di servizio in autostrada. Fra la gente in fila alla cassa davanti a noi un tifoso “avversario” che ci squadra per bene ridacchiando. Quest’anno sono primi in classifica, noi quinti. In altre parole, ci danno per spacciati, ma qualcosa mi dice che ce la possiamo fare. I ragazzi sgomitano indicando un altro gruppetto di tifosi “amici” davanti al settore delle riviste. Quando gli passiamo accanto uno di loro, il più mingherlino, ci dice: “Mangeranno terra fino a scoppiare…”. Elia se la ride. Si riparte.

C’è nebbia e si va piano. I ragazzi giocano con la Nintendo… meno male che gli hanno inventati questi aggeggi altrimenti sarebbe il solito: “Quanto manca?”, “C’ancora tanto?”, “Mi sto annoiando…” ecc. Giorgio mi racconta di quella volta che si trovò in mezzo agli scontri davanti all’Olimpico di Torino. Si spaventò talmente che per due anni rinunciò ad andare allo stadio. A conoscerlo non ci si crederebbe ma a quanto pare se la vide proprio brutta e la paura fa brutti scherzi. Del resto è il lato oscuro del calcio, la cronaca sappiamo tutti qual è. Ma io me la voglio godere ‘sta giornata!

Pizzeria. I ragazzi hanno fame e noi non siamo da meno. Il proprietario viene a chiacchierare al tavolo. Lui tiene al Napoli e sarebbe più felice se fossimo noi a vincere visto che loro in classifica sono secondi. Appena finito di mangiare i ragazzi iniziano a scalpitare. Andiamo a cercare un parcheggio che troviamo a più di un chilometro dallo stadio. Due euro l’ora… una ladrata. C’è anche un cartello con scritto: “La direzione declina ogni responsabilità derivante da eventuali furti o danneggiamenti alle autovetture in sosta”. Alla faccia del parcheggio “sorvegliato”.


14.30

15.00

Siamo in coda all’ingresso. C’è ressa anche se il grosso della tifoseria è gia entrato. La polizia ci filtra col contagocce… si passa dal metal detector e poi davanti a due cani lupo fino alla requisizione di accendini, cinture, batterie e qualsiasi attrezzo sia ritenuto pericoloso. Perfino le monete non si dovrebbero tenere in tasca. Controllano gli striscioni e se non sono a posto vengono ritirati. Mi sento un po’ come un terrorista ma del resto c’è poco da fare: sono qui con i miei figli e voglio assistere a una partita “civile” non a una guerra.

L’arbitro dà il fischio d’inizio quando abbiamo appena trovato i nostri posti. Gli ultras si sgolano come pazzi per incitare le due squadre ma non vedo né bandiere né fumogeni. Alla fine, c’è meno gente di quanta mi aspettassi. Certo che per i presidenti non è un gran problema. Ormai il grosso dei guadagni arriva dalle Pay-TV e noi tifosi siamo più un fatto di colore un po’ nostalgico. Scende la nebbia e si fa fatica a capire quello che succede in campo. Sento un boato e tutti saltano in aria. Abbiamo segnato ma io non ho visto nulla. L’importante, a quanto pare, è che le telecamere riescano a “vedere” quello che succede laggiù.


16.00

16.50

Secondo tempo. La nebbia è in aumento ma ora va meglio: se non altro la porta avversaria riusciamo a vederla. Giocano bene i nostri: più precisi nei passaggi filtranti e poi siamo sempre nella loro area. Ma non c’è da fidarsi perché gli altri allungano all’improvviso e quando meno te lo aspetti. E infatti dopo un po’ la punta avversaria, un vero opportunista, sfrutta un’indecisione dei nostri difensori e infila il goal. Scorgo la delusione negli occhi di Francesco che viene rincuorato da Giorgio: “Mica è finita! Ce ne vuole per buttarci giù e poi oggi siamo in forma”. Quando capita l’imprevedibile – ma poi non così tanto, perché stanno diventando tutti più cattivi – e l’arbitro ci assegna un rigore. Un attimo. È goal.

Ecco i tre fischi. Ci portiamo a casa un 2 a 1. Dall’altoparlante lo speaker saluta i tifosi: “Arrivederci, speriamo che l’incontro sia stato di vostro gradimento…”. Ma quale incontro, penso fra me, non si è visto quasi nulla. Come dire: “Se ti fossi abbonato alla Pay-TV non ti saresti perso niente”. Ce ne usciamo fra qualche coro isolato. I ragazzi tutto sommato si sono divertiti, io e Giorgio un po’ meno. Del resto un derby vinto è pur sempre qualcosa ma resta una punta di amarezza come se le emozioni che il calcio ci restituiva venti, trent’anni fa fossero svanite. Per sempre. Sarà che invecchiamo, sarà che ormai è tutto gossip e business ma mi sa che la prossima volta porto tutti a veder giocare la squadra del paese. Forse è lì che ancora resiste qualcosa…

Jacek Piotr Pulawski Di origini polacche, classe 1978, opera come fotogiornalista freelance in Svizzera e all’estero per quotidiani e riviste. Nel 2009 ha ricevuto il premio della “Swiss Press Photo” come miglior fotografo dell’anno e ulteriori riconoscimenti sono giunti nel corso del 2010. Alcuni dei suoi lavori sono presenti in Dodicisette (EdizioniSalvioni, 2012), il catalogo della mostra “12 x 7” (Casa Cavalier Pellanda, Biasca). Per ulteriori informazioni: www.pulawski.ch


Locarno. Le ex Scuole di Marco Jeitziner; fotografie di Reza Khatir

tessuto di persone, di eventi, di cose diverse che si conoscono e interagiscono: questa è la caratteristica meravigliosa di questo luogo”. E quei muri slanciati, continua, “anche ripitturati e restaurati mantengono un’energia e un vissuto”. Concordo. Una vecchia scuola in cui ancora si respira, appunto, un “atteggiamento comune di crescita e apprendimento”. Minacciato da dispersione e svuotamento, perché in quel caso “Locarno perderebbe un centro culturale esistente, ben frequentato da persone di età e interessi diversi”.

Luoghi

42

Incombe la distruzione in una piazzetta dedicata a uno scultore. Strano scherzo del destino, vero? Intanto il sole invernale rende ancora più rossicce le imponenti mura dell’ottocentesca ex scuola comunale. Un rosso forse smunto ma vivo di passione, gioia, dolore, potenza e sangue, come quello che nel XVI secolo, proprio qui, imbrattava i muri e i pavimenti delle antiche beccherie. Poco è cambiato, in fondo. Oltre un secolo dopo si progetta di squartare ancora ventri e viscere, ma di sasso e cemento, stavolta. Il bene comune Sotto un unico balcone degli anni Trenta mi faccio inghiottire dal gigantesco ferro di cavallo, che sembra arrugginito, in realtà molto ben oliato. Dall’atrio a mattonelle nere e bianche attacco i primi quattordici scalini, faticosamente moltiplicati per cinque o per sei volte. Niente ascensore qui, aiuta il corrimano caldo e legnoso e, fuori dalle finestre, c’è sempre quella rete di protezione, sopra il cortile di baracche. Come se qualcosa dovesse cadere dal cielo. Soffitti alti così non ce ne sono più, ma ancora ai muri gli appendiabiti di alunni fantasmi. Mi ricredo, sono di carne e di ossa, sento le loro voci in fondo al corridoio. Sono del coro Calincatus ed è quasi incantesimo: torno indietro nel tempo. Eccomi tra moquette grigia e ampie finestre bianche. “Una sede veramente adatta per noi, ci stanno cinquanta ragazzi per volta e possiamo respirare” mi dice Mario Fontana, maestro e fondatore del coro. Un’aula che qui, a sud-est, ha subìto un cedimento strutturale a causa dei sedimenti argillosi, resi instabili dalle esondazioni del lago. “Per ora la città non ha altri stabili adatti a noi” fa lui, ma “bisognerebbe avere il coraggio di vedere che forza che c’è qua dentro”. Ossia “dare risposte concrete a quei gruppi che lavorano per un bene comune, non solo in questo palazzo, ben inteso”. Aria da respirare, bene comune. A metà di altri quattordici scalini incontro per caso Santuzza Oberholzer, direttrice del Teatro dei Fauni. “Siamo stati i primi a occupare questo spazio e personalmente ci ho fatto la scuola elementare” racconta. Poco a poco, mi fa, qui s’è creato “un

Creare dall’abbandono Ancora bianco opaco, poi legno scuro lucido, poltrone di velluto verde e altri quattordici scalini. Quarant’anni fa passi di studenti, poi un ventennio di caos tra funzionari comunali, elettori, collocatori e lunghe file di disoccupati fin sulla strada. È buio nell’ex aula di scienze del Cambusa Teatro. C’è una conferenza, Elisa Conte della direzione artistica mi porta in una cucina per metà rossa sangue. “Questa è la culla della nostra associazione” mi racconta, che “avrebbe delle grandi potenzialità soprattutto per la socialità della città di Locarno”. Pesiamo anche le gesta, e sono tre piani a piedi “per portare su scenografie, fusti della birra, i frigoriferi del Romerio”, e son pareti pitturate un anno fa, e un pavimento di scena scardinato e poi risistemato. “Notti intere qui a girare con la paletta” ricorda lei. La cultura, dice, “è legata al luogo, all’essere umano, alla società”, dunque “più vicina è al pubblico, meglio è”. Allontanamento ed esilio pesano come travi. “Il grosso problema è sempre stato di rendere visibile lo spazio dall’esterno, perché il palazzo, da fuori, sembra ancora una scuola e per molti locarnesi tale rimane” afferma Noah Stolz, fondatore e membro di comitato dello spazio espositivo La Rada. L’input politico? “Siamo di fronte a un immobilismo senza paragoni” tuona, mentre “a Locarno praticamente un edificio con queste caratteristiche non c’è più”. Eclettico, neoclassico, tradizionale ma stilizzato, quello della “borghesia imprenditoriale in ascesa” dice la storia,1 che rese moderno un Ticino rurale. Anche questa regione, dal ricco patrimonio culturale ma che non ha, ancora, un inventario dei beni meritevoli di protezione2. “Noi come Rada”, conclude, “stiamo considerando di chiedere asilo politico ad altre città ticinesi”. Si lotta, si fa a pugni con la storia e col tempo, come quelli del Boxe Club Locarno da basso, come i giovani confusi che han trovato ascolto col progetto “Mentoring” di Pro Juventute. “Mi è piaciuto subito il posto, si respira storia” mi dice una delle coordinatrici, Rosiney Amorim. “Il fatto di avere un «contenitore» che racchiude enti e associazioni diverse favorisce uno scambio e una crescita non solo culturale, ma anche educativa e sociale”. note 1 S. Martinoli, L’architettura del Ticino del primo Novecento. Tradizione e modernità, Edizioni Casagarande, 2008. 2 “laRegione Ticino”, 9 ottobre 2012.



La regina deLLa moda Tendenze p. 44 – 45 | di Stefania Briccola

Icona di stile e leggendaria redattrice di moda, Diana Vreeland (1903–1989) ha attraversato le epoche, fatto tendenza e catturato lo spirito del tempo. La sua avventura umana e professionale, che si è svolta tra Parigi, Londra e New York, traccia il ritratto di un secolo

C

on la pubblicazione di D.V., l’autobiografia edita da Donzelli, e il docu-film Diana Vreeland l’imperatrice della moda, per la regia della nipote Lisa Immordino Vreeland, che nel 2013 uscirà in home video nella collana di Feltrinelli Real Cinema, il pubblico in lingua italiana ha la possibilità di approfondire la conoscenza di una figura centrale del costume e della moda del Novecento. Una storia che spazia dalla Parigi della Belle Époque alla New York degli anni Venti, dalla swinging London all’America di Kennedy e dall’invenzione del bikini all’arrivo dei blue-jeans. Il regno di questa monarca assoluta della moda inizia dalle pagine di “Harper’s Bazaar” per continuare con la direzione di “Vogue America” fino a culminare al Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York. La sua influenza nel mondo della moda è stata indiscutibile: a lei si deve l’invenzione della figura del fashion editor. È stata infatti lei a trasformare completamente le riviste che ha diretto con servizi quasi impossibili, firmati da grandi fotografi e realizzati in tutto il mondo. Non ha dato ai lettori quello che volevano, ma quello che non sapevano di volere. Ha lanciato Twiggy e Veruschka e ha saputo imporre una bellezza fatta di personalità, più che di canoni estetici facilmente condivisibili. Un esempio? Barbra Streisand ma anche la stessa Angelica Huston. Diana Vreeland ha avuto sempre la capacità di trovarsi là dove le cose accadevano: dall’incoronazione di Giorgio V a Londra all’insediamento dei Kennedy alla Casa Bianca (Jackie si rivolse a lei per definire il suo stile), dallo Stu-

dio 54 alla Factory di Andy Warhol. La sua versatile cerchia di amici ha accolto principi, artisti, star del cinema e icone pop: dai Duchi di Windsor a Joséphine Baker fino a Jack Nicholson.

Una parigina a New York

La Vreeland non ha avuto bisogno di spiare il bel mondo dal buco della serratura o di imitarlo semplicemente perché vi è nata. Diana Dalziel, suo nome da nubile, nacque a Parigi nel 1903, in piena Belle Époque, e fin dall’infanzia grazie ai suoi genitori conobbe personaggi straordinari come l’impresario SergeJ Diagjlev, un uomo “che disintegrava gli atomi” e il ballerino Nijinsky, simile a ”un grifone domestico”. Dopo la Prima guerra mondiale la sua famiglia si trasferì a New York e fu subito a suo agio nell’alta società americana. Nel 1924 Diana

sposò il banchiere Thomas Reed Vreeland, uno degli scapoli più affascinanti della città, con il quale formò una coppia per tutta la vita e da cui ebbe due figli. Trasferitasi a Londra, Diana aprì una boutique di lingerie che ebbe notevole successo. Fu in questo periodo a definire la sua innata passione per l’alta moda, frequentando gli atelier di tutti i grandi couturier di Parigi; Cristobal Balenciaga, Coco Chanel, Elsa Schiapparelli. Non si stancava di ripetere che l’eleganza è innata e non ha niente a che vedere con l’essere ben vestiti. Tornata a New York nel 1936, fu notata da Carmel Snow, direttrice di “Harper’s Bazaar”, che la volle in redazione. Esordì con la rubrica “Why don’t you?” che era un misto di suggerimenti e idee stravaganti, come quella di dipingere un planisfero sulle pareti della camera dei figli in modo da non farli crescere con una mentalità provinciale oppure quella di indossare un cappotto da sera trasparente o ancora quella di lavare i capelli biondi con lo champagne avanzato. Il suo genio in poco tempo invase letteralmente le pagine di “Harper’s Bazaar”, conquistando la direzione della rivista, con servizi realizzati in tutto il mondo da fotografi del calibro di Richard Avedon. Fino a quel momento le redattrici di moda si limitavano a dare consigli alle signore della buona società ma con l’arrivo della Vreeland il concetto di rivista di moda cambia volto: doppie pagine, copertine scintillanti, layout d’avanguardia e di più, molto di più. Dopo venticinque anni di attività frenetica ad “Harper’s Bazaar” Diana Vreeland prese il timone di Vogue America. Siamo negli anni Sessanta. La sua direzione se-


gna l’inizio degli anni d’oro della rivista con un’autentica rivoluzione culturale, fatta anche di modelle anticonvenzionali, come Twiggy e Veruschka, di argomenti del tutto nuovi, come il benessere del corpo e la chirurgia estetica. Tutto quello che era all’avanguardia era sulle pagine di “Vogue America” con servizi spettacolari, provocanti e abiti ad hoc.

Moda e cultura

Più che una donna, la Vreeland diviene una leggenda vivente con la sua inconfondibile voce roca, i capelli corvini, le mani e il viso perfetto, unghie e rossetto inevitabilmente rossi e stile da vendere. Subito dopo la morte di suo marito Reed, nel 1971, Diana viene licenziata da Vogue America e nel

1972 la signora, nonostante la non più giovane età, cominciò a lavorare come consulente al Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York. Anche qui lei fece il suo New Deal. Curò dodici mostre di grande impatto scenografico che probabilmente gli storici non gradirono, ma che ebbero un enorme successo di pubblico. Tra le rassegne allestite spiccano quelle dedicate a Balenciaga, ai costumi dei film di Hollywood, a Diagjlev e i balletti russi, allo stile dell’era degli Asburgo e a Yves Saint-Laurent. Diana Vreeland ripeteva spesso che l’occhio deve viaggiare. La moda fu solo un pretesto per fare volare la sua mente sulle ali di una immaginazione fervida che divenne realtà. Nell’autobiografia D.V. si legge che Swifty Lazar incassò un pugno sul naso e rischiò grosso a casa di Oscar de la Renta a Santo Domingo. L’errore? L’agente letterario accusò Diana, a torto, di essere nostalgica. E come poteva esserlo una donna che ha lavorato ben oltre ottanta primavere e non ha mai smesso di reinventarsi con successo?

NOVITÀ LIBRARIE

dodicisette

I FOTOGRAFI DI TICINOSETTE. CATALOGO DELLA MOSTRA

Questo volume offre l’opportunità di ammirare una selezione di fotografie pubblicate in anni recenti su «Ticinosette» e realizzate da dodici fotografi che provengono da diversi settori della fotografia professionale ticinese e svizzera. Un centinaio di affascinanti immagini, un volume di indubbio interesse e una testimonianza della vitalità della fotografia elvetica contemporanea. Alcuni dei servizi fotografici presenti in questo elegante volume sono stati premiati nelle ultime edizioni dello «Swiss Press Award», importante concorso al quale partecipano tutte le maggiori testate nazionali. Tra i fotografi presenti nel catalogo ricordiamo Reto Albertalli, Didier Ruef, Giosanna Crivelli, Katja Snozzi, Matteo Aroldi, Jacek Pulawski e Reza Khatir. Le immagini sono visibili sino al 27 gennaio 2013 nella mostra «12 x 7» presso Casa Cavalier Pellanda, Biasca.

FORMATO PAGINE FOTOGRAFIE AUTORI PREZZO

21 x 29.5 cm 116 117 12 fotografi Fr. 30.– (spese di spedizione incluse)

Vogliate inviarmi «dodicisette» al prezzo di Fr. 30.– al seguente indirizzo: NOME / COGNOME VIA / LOCALITÀ QUANTITÀ ESEMPLARI

SalvioniEdizioni

DA RITORNARE A SalvioniEdizioni . Via Ghiringhelli 9 . 6500 Bellinzona Telefono 091 821 11 11 . Fax 091 821 11 12 . libri@salvioni.ch . www.salvioni.ch Questo volume è anche reperibile nelle migliori librerie ticinesi.


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Astri toro

gemelli

cancro

Tra il 5 e il 6 gennaio possibili dissapori in famiglia. Mantenete la calma evitando parole fuori posto. Vita sociale in fermento segnata da numerosi incontri. Svolte professionali. Rischiate di più se volte risultati!

Possibili disguidi con il partner indotti da una carenza di comunicazione. Grandi cambiamenti per i nati nella prima decade provocati dai moti planetari. Curate di più l’alimentazione e praticate sport.

L’anno inizia in maniera dinamica. Se siete della seconda decade, state attenti a non incappare in errori di comunicazione, soprattutto nell’ambiente professionale. Chiacchiere intorno alla vostra vita sentimentale.

Gennaio alla grande grazie ai transiti planetari. Vita sentimentale ok. Possibile incontro con l’anima gemella. Amori karmici. Attenti a una vecchia inimicizia che potrebbe innescare malumori e senso di vendetta.

leone

vergine

bilancia

scorpione

Avvio dell’anno alla grande per i nati nella prima decade favoriti dagli astri. Successo e fortuna professionale. Difficoltà familiari per i nati nella seconda decade provocate dalla mancanza di comunicazione.

Tra il 5 e il 7 gennaio potrete godere di maggior tranquillità. Troverete la giusta determinazione per iniziare bene il nuovo anno. Incontri con persone importanti. Svolte professionali per i nati nell’ultima decade.

Grazie ai transiti facilitati gli incontri sentimentali in ambito professionale. I nati nella seconda decade, soprattutto tra il 5 e il 7 ottobre, dovranno comunque stare attenti a controllare la propria irascibilità.

Inizio d’anno positivo. Situazioni inaspettate tra il 6 e il 7 gennaio. Mentre i nati nella prima decade privilegeranno gli incontri con persone più mature, gli altri saranno attratti dalle persone più giovani.

sagittario

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Il 2013 inizia bene per le vostre attività professionali, soprattutto se operate in un settore creativo. Puntate sull’investimento tecnologico. Possibili incontri con persone importanti durante un evento mondano.

Possibili discordie con il partner riconducibili a una reciproca affermazione delle rispettive personalità. Incontri e nuove storie d’amore favoriti dai transiti planetari. Progetto di un viaggio all’estero.

Il 2010 inizia decisamente bene. Potrete realizzare importanti progetti insieme al vostro partner e ricevere aiuto da parte di un amico influente. Possibili attacchi di ansia per i nati nella terza decade.

Momento fondamentale per i nati nella terza decade. Se volete osare dovete assolutamente farlo in questo periodo. Ormai non potete più rimandare. Qualche disturbo stagionale e un po’ di stanchezza.

» a cura di Elisabetta

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 3

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 10 gennaio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 8 gen. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. Insaziabilità, avidità • 10. Il Sodio del chimico • 11. Estorcere, sottrarre • 12. Un potente veleno • 14. Tribunale da ricorso • 15. Lo spinto del sarto • 16. Grandissimo, smisurato • 17. Picchiate in gergo • 18. In nessun tempo • 19. Entrata, accesso • 22. Consonanti in Teseo • 24. Riarsa • 26. Il no del moscovita • 28. Pedina coronata • 29. Preposizione semplice • 30. Curati • 32. Capo etiope • 33. Il tifoso estremista • 34. Se la toglie il suicida • 35. Il niente del croupier • 36. Ecogoniometro • 37. Cuor di cane • 38. Bramosa, smaniosa • 40. Il rettile che stritola • 42. Un condimento • 44. La Anaïs, scrittrice • 46. Il Bobby della canzone italiana • 48. Distanti • 51. Malta e Romania • 52. Fu trasportato in cielo su un carro di fuoco • 53. Cattive. Verticali 1. Lo è la ricchezza incalcolabile • 2. Un malessere del navigante • 3. Starnazza • 4. La perla del collezionista • 5. Sono simili ai cammelli • 6. Pari in Pippo • 7. Escursionisti • 8. Ha per capitale Teheran • 9. Atterra e decolla • 13. Riluttante alla leva • 20. Rabbie, furori • 21. Detestata • 23. Pernice • 25. Respirare a fatica • 27. Trasparente come il vetro • 31. Mezza tara • 32. Tornato alla vita • 34. Confinano con i vallesani • 36. Proprio così! • 39. Inutile, fatua • 41. Son cento nel secolo • 43. Ermanno, regista • 45. Andata in poesia • 47. Le segnano le lancette • 49. Pari in pollo • 50. Consonanti in noce.

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La soluzione del Concorso apparso il 21 dicembre è:

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SCARPONE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Elio Sartore piazza S. Franscini 6760 Faido Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: 10 biglietti singoli “Arcobaleno”

Più vicino a voi. Nuova Tariffa Integrata Arcobaleno www.arcobaleno.ch

Arcobaleno mette in palio 10 biglietti singoli di 2a classe (tutte le zone) per un valore complessivo di CHF 260.– a un fortunato lettore che comunicherà correttamente la soluzione del Concorso.

I biglietti Arcobaleno sono la grande novità della nuova Tariffa Integrata. I titoli di trasporto proposti vanno dal biglietto singolo a biglietti che consentono di risparmiare tempo e denaro, come la carta per più corse e la multi carta giornaliera. Il biglietto singolo permette di compiere più viaggi all’interno delle zone acquistate con la possibilità di interrompere e riprendere il proprio viaggio in ogni momento, entro la validità data. Maggiori informazioni su www.arcobaleno.ch.

Giochi

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Promettiamo a Solei di raccogliere e riciclare entro la fine del 2013 tutte le bottiglie di plastica. Il prossimo anno la Migros raccoglierà e riciclerà insieme alle bottiglie del latte anche tutte le confezioni vuote di shampoo, gel doccia, detergenti e detersivi. Con questa e altre numerose promesse concrete ci impegniamo per la generazione di domani.

Di più su generazione-m.ch


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