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dell, 11 gennaio 2013
con Teleradio 13–19 gennaio
Fusioni comunali
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Impressum Tiratura controllata 70’634 copie Chiusura redazionale venerdì 4 gennaio Editore Teleradio 7 SA, Muzzano Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55 Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs Stampa (carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona Pubblicità Publicitas Publimag AG Mürtschenstrasse 39 Postfach 8010 Zürich Tel. +41 44 250 31 31 Fax +41 44 250 31 32 service.zh@publimag.ch www.publimag.ch Annunci locali Publicitas Lugano tel. 091 910 35 65 fax 091 910 35 49 lugano@publicitas.ch Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 bellinzona@publicitas.ch Publicitas Chiasso tel. 091 695 11 00 fax 091 695 11 04 chiasso@publicitas.ch Publicitas Locarno tel. 091 759 67 00 fax 091 759 67 06 locarno@publicitas.ch In copertina Tutti insieme (appassionatamente?) Elaborazione grafica di Antonio Bertossi
Agorà Fusioni comunali. Insieme è meglio? Media Giovani e società. Tutti a scuola!
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Archeologia Himera. Alle radici greche Kronos Padroni del tempo Vitae Giovanna Piccioni
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Silvano de Pietro
roberto roveda
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Silvano de Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Carlo baggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MarCo Jeitziner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reportage Una collina incantata
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Martina rezzoniCo; foto di Peter Keller . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Camini. Il segreto del fuoco Letture Correva l’anno 1932...
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franCeSCa aJMar . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
gianCarlo fornaSier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Immagini, per cambiare La cultura (e il culto) dell’immagine non sono un’invenzione del web e delle sue piattaforme di socializzazione . Le religioni, per esempio, comunicano da sempre attraverso simboli, disegni e dipinti, un modo diretto e inequivocabile per trasmettere dogmi, messaggi, insegnamenti . Certo, oggi come ieri è indispensabile saper leggere ciò che vi è rappresentato, un compito tramandato di generazione in generazione attraverso l’istruzione familiare, religiosa e scolastica (per chi allora andava scuola) . Ma il mondo adesso ci appare più complesso: i docenti si lamentano di carichi e compiti educativi sempre più allargati e pressanti; i genitori sono spesso occupati a comprendere più loro stessi e quello che li circonda piuttosto che i propri figli; le religioni lottano contro i fanatismi, l’intolleranza e i nuovi modelli sociali . In verità, soprusi e violenze fanno parte della storia dell’umanità, e i biblici Caino e Abele mostrano come la famiglia possa essere un contesto dove l’amore e il rispetto a volte non esistono . Non è un caso se anche in comunità piccole (come la nostra), lontane dai grandi drammi delle guerre civili ed economiche, le istituzioni supportano e intervengono attivamente producendo materiale educativo
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volto proprio a combattere derive e ingiustizie secolari . E non è un caso sia sempre lo stato a promuovere le diversità e la multiculturalità, dei compiti complessi e certo non privi di rischi: il diverso fa paura e le paure raccolgono sempre voti e consensi politici . La bontà di progetti come il Dvd Tutti a scuola (pag . 8) è indiscutibile e mostra la necessità di agire, prima di tutto con linguaggi e attori vicini e familiari ai ragazzi . In secondo luogo, pone l’accento sull’importanza di “colpire” e avvicinare gli adulti di domani, piuttosto che cancellare l’intolleranza e la violenza degli adulti di oggi (questi forse li abbiamo già perduti?) . DECS e RSI hanno dunque scommesso sui ragazzi quale “strumento di educazione”: a casa gli allievi hanno guardato il Dvd con i loro genitori, condannando i comportamenti violenti ed esaltando il rispetto, la tolleranza e la buona educazione . Per fare ciò le istituzioni hanno scelto il linguaggio video, non un libro (cartaceo o elettronico); dei fotogrammi-messaggi che gli adulti/genitori dovrebbero essere in grado di leggere, comprendere, trasmettere . Eppure, anche nella “società delle immagini”, questi sono esercizi tutt’altro che banali e scontati . Buona lettura, Giancarlo Fornasier HOFER BSW
Ticinosette n° 2 dell’11 gennaio 2013
Fusioni comunali. Insieme è meglio?
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Agorà
Nel nostro paese ogni comu ne è, in fondo, un “piccolo stato”. Ma il ruolo di questa fondamentale entità politica, sociale e territoriale ri chiede un’efficienza sempre maggiore raggiungibile, secondo molti, attraverso la creazione di entità territo riali sempre più grandi ed estese. Un orientamento che tuttavia, secondo altri, limita e distrugge l’auto nomia comunale di Silvano De Pietro
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n Svizzera, il comune è un piccolo Stato”. Politici e politologi utilizzano spesso questa definizione – attribuita al giurista tedesco Johannes Althusius (1557–1638), primo teorico del federalismo – per spiegare l’autonomia dei comuni svizzeri, vero marchio d’origine dell’elveticità. Prima ancora di essere cittadino della Confederazione elvetica, lo svizzero è infatti cittadino di un comune, quindi di un cantone. Nel suo La Svizzera - Storia di un popolo felice, Denis de Rougemont scriveva infatti che “la vera cellula di base della Svizzera è il comune: è attraverso il comune che si viene a godere della cittadinanza, ed è attraverso il comune che la federazione si è storicamente costituita. I cantoni sono venuti dopo, e il potere federale è giunto buon ultimo”. I comuni, come i cantoni, hanno una propria amministrazione e godono quindi di una notevole autonomia. “L’autonomia comunale e la democrazia diretta sono fondamentali per il successo del modello svizzero”, spiega a sua volta il ricercatore Lukas Rühli in un suo contributo per la fondazione Avenir Suisse (il gruppo di riflessione su questioni economiche e sociali) di cui è capo progetto e si occupa, tra l’altro, del monitoraggio dei cantoni. I comuni, continua Rühli, “sono garanti della vicinanza dello stato al cittadino”, assicurano l’erogazione dei servizi pubblici e
rendono snello il nostro apparato statale. Hanno il diritto di riscuotere imposte e, a volte, di esigere dai cittadini servizi personali (si pensi, per esempio, al servizio antincendio). I settori di competenza comunale sono numerosi, in particolare i trasporti, l’istruzione primaria, la gestione dei beni pubblici, la polizia locale, l’assistenza ai poveri, il controllo degli abitanti, l’edilizia, la viabilità ecc. Ma proprio perché sono così importanti, ai comuni si richiede una efficienza sempre maggiore, da conseguire anche con le aggregazioni, cioè divenendo entità territoriali sempre più grandi ed estese. Tale pressione tuttavia limita e distrugge l’autonomia comunale, “che viene vieppiù affossata”. I motivi, secondo Rühli, “sono in primo luogo da ricondurre alla progressiva discrepanza tra istituzioni e territorio, alle crescenti esigenze delle regolamentazioni federali, cantonali e – non da ultimo – alle nuove necessità dei cittadini”.
165 comuni attuali a 37 (o al massimo a 63) entro qualche anno. Ha addirittura obbligato per legge i suoi sette prefetti a presentare piani di fusione nei loro rispettivi distretti. La Sarine passerebbe da 36 a 18, o addirittura 5 comuni; la Broye da 30 a 5; la Gruyère da 26 a 7 o 8, e così via. Un cura dimagrante “da cavallo”, se si pensa che negli ultimi dodici anni il numero dei comuni del canton Friburgo è sceso da 242 a 165. Anche il cantone del Giura ha ridotto nel 2008 i suoi comuni da 83 a 64 grazie a sette progetti di fusione. Ma quest’anno avrebbe voluto fare un altro passo: obbligare i 10mila abitanti dell’altopiano nelle Franches-Montagnes, sparsi in una ventina di villaggi già ridotti da 19 a 13 comuni, a fondersi ancora in un unico ente locale. Questa volta però la gente ha detto no, basta, anche se la presidente del governo cantonale aveva esortato, alla vigilia del voto popolare, a compiere “un atto di fede nel futuro”.
Atto di fede Ma se da una parte questo può significare una lenta ma continua erosione dei compiti comunali, con la tendenza a delegare molte delle loro competenze decisionali a comprensori intercomunali (che offrono ai cittadini minori opportunità di partecipazione democratica rispetto ai comuni), d’altra parte i cantoni si sforzano di conciliare efficienza e democrazia promuovendo una tipologia di enti territoriali che, per dimensioni, struttura amministrativa e capacità gestionale, risponda meglio alle esigenze odierne e future della comunità. I comuni svizzeri sono mediamente tra i più piccoli d’Europa; metà di essi hanno meno di 10mila abitanti (la soglia minima per definirsi “città”) e solo il 4% ne conta di più. Da qui la forte spinta verso le aggregazioni comunali. Dall’elenco ufficiale tenuto dall’Ufficio federale di statistica risulta che dall’inizio del 2012 in Svizzera c’erano 2495 comuni, 56 in meno rispetto a un anno prima. A metà dell’Ottocento, quando la Confederazione era appena nata, la Svizzera contava 3203 comuni, ma quasi un secolo e mezzo dopo se ne contavano ancora più di tremila (per l’esattezza: 3013 nel 1994). La diminuzione repentina del numero dei comuni registrata negli ultimi 18 anni testimonia quindi la recente accelerazione dei processi di fusione. Nel corso del 2011 sono stati 79 i comuni elvetici aggregati in 23 nuovi enti. Nel solo canton Vaud, particolarmente toccato dai processi di fusione, 48 comuni sono stati riuniti in soli 12: così, per esempio, nella regione del Mont Vully, 7 villaggi sono stati raggruppati nell’unico comune di Vullyles-Lacs. Gli altri cantoni maggiormente interessati l’anno scorso dal fenomeno sono stati Berna, Friburgo, Soletta, Grigioni e Argovia. In questi casi si è trattato soprattutto di fusioni tra due comuni, come tra Belpberg e Belp (Berna), Font e Estavayer-le-Lac (Friburgo) e Benzenschwil e Merenschwand (Argovia). Il canton Friburgo, in particolare, vorrebbe ridurre i suoi
La situazione ticinese Nel canton Ticino la situazione appare particolarmente complessa. Dal 1850 al 1990 il numero dei comuni è sceso, per effetto delle aggregazioni, da 259 a 247, con una variazione percentuale di –4,6%, inferiore di oltre un punto alla contemporanea Agorà riduzione che si è avuta in Svizzera (–5,7%). Questo significa che in Ticino la resistenza alle aggregazioni comunali è maggiore che nel resto del paese. Attualmente (i dati più recenti sono dello scorso mese di aprile) in Ticino i comuni sono 147. Le ultime grandi aggregazioni accettate sono quelle di Lugano e di Mendrisio, quelle realizzate dal 1864 a oggi sono 43, e le fusioni in corso o allo studio sono una decina. Ma una buona dozzina di progetti di aggregazione è stata abbandonata a partire dal 2000. Altre aggregazioni comunali si sono avute, con dinamiche e resistenze simili, anche se in dimensioni minori, nei Grigioni, nel Vallese, a Sciaffusa e in Argovia (dove è sorto nel 2010 il più esteso comune del cantone, Merttauertal, dall’aggregazione di 5 comuni precedenti). Ma anche nel cantone di Neuchâtel, dove nel 2009 è stata accettata la creazione del comune di Val-de-Travers con 11mila abitanti, e a novembre 2011 gli elettori di 15 comuni nella Val-de-Ruz hanno approvato la loro fusione in un’unica entità amministrativa con 16mila abitanti. Ovunque, insomma, nascono nuove entità territoriali, non senza resistenze e abbandoni – come in Ticino – di diversi progetti. Questa della rinuncia a portare avanti una fusione è un’eccezione o una tendenza riscontrabile in tutta la Svizzera? “Le aggregazioni di comuni non sono progetti semplici. E può sempre accadere che una fusione fallisca. Ma se si guarda l’insieme di questa attività di riforma, si vede che proprio il Ticino è un cantone dove sono state realizzate molte fusioni”, ci dice Andreas Ladner, professore di Scienze politiche e docente all’Istituto superiore di studi in Amministrazione pubblica (IDHEAP) dell’Università di Losanna. (...)
“La vera cellula di base della Svizzera è il comune: è attraverso il comune che si viene a godere della cittadinanza, ed è attraverso il comune che la federazione si è storicamente costituita. I cantoni sono venuti dopo, e il potere federale è giunto buon ultimo”
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Ma allora professor Ladner, quali sono le ragioni che giustificano la necessità delle aggregazioni di comuni? In Svizzera abbiamo comuni anche molto piccoli; e il Ticino appartiene a quei cantoni con i comuni più piccoli. Non deve quindi meravigliare che oggi ci si chieda se non sia meglio che i servizi essenziali vengano erogati in comuni più grandi, che consentirebbero per esempio un certo sviluppo dell’amministrazione. Se dunque si guarda dove vengono realizzate le fusioni, si vede che ciò accade nei cantoni con molti comuni piccoli, dove negli ultimi anni è stata realizzata la maggior parte dei progetti. Ne è un esempio il canton Friburgo, che ha iniziato molto presto le aggregazioni di comuni. Vi sono però anche progetti eccezionali, dove piccoli comuni si fondono con le città per guadagnare in importanza. L’esempio più conosciuto è quello della nuova Lugano.
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vicini. Si pensi ai litigi durati decenni, o alle differenze di orientamento politico. Ma io credo che uno dei principali argomenti che vengono presi in considerazione in vista di un processo di fusione, sia la risposta alla domanda: “Ci porta qualcosa questa fusione? Migliori servizi? Tariffe più convenienti?”. Se la risposta è che non è proprio il caso, e si deve pagare di più, allora l’operazione non è molto attrattiva. Di quali altri fattori occorre tener conto, in quanto elementi che potrebbero ostacolare il processo di aggregazioni comunali? In linea di massima si tratta della paura, che domina in certi comuni, di perdere la propria patria, di dover rinunciare alla propria identità, di non aver più voce in capitolo nei nuovi grandi comuni, di non vedere più considerate le proprie richieste. Questi sono i timori più diffusi davanti a un progetto di aggregazione. Ma i nostri studi mostrano che di regola, almeno per il momento, la realtà non è così drammatica.
“La spinta verso la fusione è l’accresciuta capacità di prestazioni dei comuni più grandi. (…) Considerata la ripartizione dei compiti tra cantone e comuni, realizzando con le fusioni comuni più grandi e forti si avrà nel contempo bisogno di un cantone meno grande e forte”
I comuni sono attori cruciali della vita sociale. Pertanto essi svolgono molti compiti fondamentali, a cui però non sempre riescono a far fronte adeguatamente, dato che tali compiti sono in numero crescente mentre le risorse disponibili restano immutate o addirittura diminuiscono. Come si spiega questa dinamica “punitiva” che costringe i comuni a confrontarsi con la necessità delle fusioni? Le sfide diventano sempre più complesse per l’intera società. Se si deve realizzare qualcosa, il numero degli aspetti da considerare e delle condizioni da rispettare è sempre più alto. Penso per esempio ai progetti nel campo dell’edilizia – dove si pongono esigenze di protezione dell’ambiente, di pianificazione urbanistica, di sviluppo, di sostenibilità e così via – che un piccolo comune non può più organizzare o condurre in modo autonomo come era il caso in passato. Si capisce che i comuni più piccoli o finanziariamente più deboli abbiano interesse a coalizzarsi per affrontare meglio i crescenti compiti. Ma perché un comune ricco ed efficiente dovrebbe unirsi ad altri meno ricchi e meno efficienti? Da una parte c’è questa pressione verso le aggregazioni, a causa dei compiti che diventano sempre più complessi. E ci sono in parte anche problemi a trovare persone che collaborino assumendo cariche elettive. Ma d’altra parte sorgono anche ostacoli che si oppongono a queste fusioni. Penso alle condizioni finanziarie dei comuni, che sono tra i più importanti ostacoli da superare. Nessuno paga volentieri imposte più alte; e quando un comune ricco deve fondersi con un comune più povero, e ciò provoca costi supplementari, la resistenza è relativamente grande. Ma nei processi di aggregazione intervengono diversi fattori. Quale peso specifico hanno, allora, gli interessi finanziari? Sono certamente importanti. Pesano però anche motivazioni politiche, culturali, storiche, che coinvolgono le relazioni con i paesi
Il federalismo in Svizzera è un “totem”. Ma se la ricerca dell’efficienza passa attraverso un processo di concentrazione istituzionale e amministrativa, le aggregazioni di comuni sono una minaccia per il federalismo? È una domanda avvincente. La questione è: perché si fanno le fusioni? Di solito si discute intorno al fatto che i comuni sono troppo piccoli ed è necessario che diventino più grandi. La spinta verso la fusione è l’accresciuta capacità di prestazioni dei comuni più grandi. E quando un comune raggiunge certe dimensioni (non di soli due o tremila abitanti, ma molto di più), avrà anche un’amministrazione più grande che in linea di principio può fare molto di più. Potrebbe anche assumersi compiti che attualmente spettano al cantone. Questo significa che, considerata la ripartizione dei compiti tra cantone e comuni, realizzando con le fusioni comuni più grandi e forti si avrà nel contempo bisogno di un cantone meno grande e forte. Infine, in Svizzera stiamo assistendo da circa un ventennio a un’altra evoluzione, che è quella del crescente peso che vanno assumendo le città e le agglomerazioni urbane. Quale e quanta influenza hanno questi sviluppi sulle aggregazioni comunali? La crescente importanza delle agglomerazioni, o l’idea che anche queste agglomerazioni siano importanti per l’intera regione, mostra che con le sole fusioni non risolviamo fondamentalmente nessun problema. I comuni dovrebbero diventare più grandi, ma la dinamica non avviene come prima nei nuovi comuni risultanti dalle fusioni: si sviluppa nei grossi centri urbani, dove molta più gente viene coinvolta nell’organizzazione politica e territoriale. La maggior parte della gente non vive più in villaggi governati da piccoli enti locali, ma in grandi comuni, nelle agglomerazioni, nelle città. È come verrà risolta questa problematica delle agglomerazioni la grande sfida del futuro. Non lo sono certo le sole fusioni.
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Tutti a scuola!
Dalla collaborazione tra DECS e Rete Tre della RSI è nato un Dvd destinato ai 13.000 allievi di scuola media, pubblica e privata parificata, del Ticino. Un’operazione pensata per discutere e far riflettere i più giovani su alcuni temi forti – rispetto, dipendenze, bullismo, multiculturalità –, unendo serietà dei contenuti e divertimento
di Roberto Roveda
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Il tema è sempre attuale: trasmettere alle nuove generazioni
quei valori che trasformano l’individuo in cittadino, il singolo in membro della società civile. Quando ci si rivolge ai giovani però il rischio è quello di cadere nella retorica e di non riuscire a trovare la giusta modalità per comunicare ed entrare in relazione. Chiunque abbia dei figli in età adolescenziale sa benissimo di che cosa stiamo parlando e ancora di più lo sanno, probabilmente, tutti gli insegnanti che quotidianamente si trovano a contatto con i nostri ragazzi, con le loro chiusure, le loro diffidenze, le loro difficoltà a entrare nella giusta sintonia con linguaggi e forme comunicative a loro estranei, perché giudicati eccessivamente “adulti”. Proprio per superare queste distanze e “arrivare” al pubblico giovanile il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport del canton Ticino (DECS) e Rete Tre (RSI) hanno creato il Dvd Tutti a scuola: sketch divertenti e ironici interpretati da attori e “veri” studenti delle scuole medie e dedicati ad alcuni temi forti e aspetti centrali della vita sociale: come l’autostima, il rispetto, l’impegno, le dipendenze, il bullismo e la multiculturalità. Un’operazione che è entrata nella fase decisiva durante le recenti vacanze natalizie, con la distribuzione di 15mila copie agli studenti e ai docenti delle scuole medie del Ticino. Un modo nuovo di comunicare con gli studenti, come ci spiega Manuele Bertoli, Consigliere di stato e direttore del DECS: L’idea all’origine di questa iniziativa scaturisce dall’intenzione di proporre alle alunne e agli alunni delle scuole medie del cantone riflessioni su una serie di valori e di regole centrali per se stessi e per il convivere con altri. Regole e valori che debbono valere sia dentro sia fuori le mura scolastiche. La scintilla originaria è scaturita dal sovrapporsi di due prodotti comunicativi che personalmente ho molto apprezzato; l’agenda scolastica, da una parte, e una serie di sketch radiofonici ambientati in una scuola fittizia dall’altra trasmessi da Rete Tre nel 2011.
Quali obiettivi vi siete proposti? L’obiettivo principale, ambizioso bisogna riconoscerlo, era quello di raggiungere questo vasto settore del mondo giovanile per cercare nel contempo di interessarlo e di farlo riflettere su temi che lo riguardano da vicino, in un momento particolarmente sensibile del proprio diventare grandi. Temi che valgono per la vita in generale e non solo in un contesto scolastico. Perché la scelta del Dvd? Perché il linguaggio iconografico è ormai diventato la cifra della comunicazione odierna. L’immagine – che sin dall’antichità ha espresso un potenziale comunicativo enorme – oggi, con l’evoluzione della tecnologia, è diventata il segno di gran lunga più familiare, più immediato e più condiviso per la stragrande maggioranza delle persone. Per quelle più giovani a maggior ragione. Il prodotto Tutti a scuola coniuga con sapienza immagini e parole, aprendo le porte a ulteriori sviluppi comunicativi: tra i ragazzi, tra loro e i loro docenti, tra loro e le loro famiglie. A questo abbiamo anche puntato: a realizzare un prodotto che potesse servire da base di incontro e di confronto tra persone e generazioni diverse. Di nuovo, dentro e fuori le mura scolastiche.
In che cosa l’iniziativa si distingue da altre del passato? Direi che il tratto distintivo più marcato è proprio quello della commistione di due registri comunicativi: da una parte quello ironico degli sketch video, attivato comunque all’interno di un contesto assolutamente serio, dall’altro quello degli approfondimenti giornalistici dei temi affrontati. Una duplice modalità comunicativa che, grazie alla grande professionalità della collaboratrici e dei collaboratori di Rete Tre, ha dato vita a un prodotto che a mio giudizio riesce perfettamente in questo intento. Competenze e sensibilità di una radio giovane Rete Tre, che il 1. gennaio scorso ha compiuto 25 anni, ha infatti sempre avuto due anime: una giornalistica rappresentata in primis dal magazine “Baobab”, e una umoristica. Da questa costola comica sono nati tormentoni piuttosto conosciuti: dall’agente della PolCant Duilio Gianinella a “Frontaliers”, dalla Signora Mario a “Mamme col SUV”. In questo Dvd, il DECS – partner e committente dell’operazione speciale Tutti a scuola – offre l’occasione di mettere in campo entrambe le competenze, come ci conferma Paolo Guglielmoni, nome storico della Tre e produttore per la RSI di Tutti a scuola: Il Dvd che i ragazzi della scuola media hanno potuto guardare durante le vacanze, infatti, è diviso in sketch e reportage: sei minifiction da ridere e sei approfondimenti. Le prime sei tracce mettono in scena una classe di quarta media, la 4a A di Rete Tre, al lavoro in un giorno qualunque. Sono sei piccole sit-com. Ogni episodio si sviluppa e chiude con una riflessione su autostima, rispetto, impegno, dipendenze, bullismo e multiculturalità. La classe è composta da dodici studenti: sei animatori di Rete Tre che si fingono alunni di scuola media e sei ragazzi che frequentano davvero la scuola media: Athina, Matteo, Alberto, Kevin, Valentina e Lisa. Nelle tracce dalla 7 alla 12, si passa al reportage. Sei indagini attorno agli argomenti già evocati, realizzate in dodici sedi di scuola media. Un secondo registro, quindi, per approfondire le difficoltà e proporre le possibili soluzioni, dalla parte degli allievi e dalla parte dei docenti.
In un panorama mediatico così frammentato e a volte disorientante, radio e televisioni pubbliche hanno ancora un ruolo di riferimento presso i giovani? Sono in grado di veicolare messaggi importanti? Il mandato di servizio pubblico, il nostro punto di riferimento nel pensare e realizzare programmi ed eventi speciali, riserva un capitolo tutt’altro che marginale alla formazione (del pubblico in generale, del pubblico giovane in particolare). Le testate RSI che più si profilano nelle proposte per adolescenti e giovani adulti sono Rete Tre, la radio dei giovani, “S-Quot” (LA 1) e “Linea Rossa” (LA 2). Il Dvd Tutti a scuola, non a caso promosso in sinergia da Rete Tre, “S-Quot” e “Linea Rossa”, si avvale della consulenza del DECS per veicolare i suoi contenuti. Nella fase di scrittura del progetto, il Comitato dei Direttori della scuola media ci ha aiutati a sbagliare il meno possibile su aspetti importanti, come quelli educativi. Non siamo certo noi gli esperti, né possiamo sostituirci alla formazione e all’esperienza dei docenti. A noi il DECS ha chiesto di raggiungere i 13mila allievi della scuola media attraverso un linguaggio che i ragazzi riconoscano come vicino. Per questo abbiamo coinvolto, nella classe messa in scena negli sketch, sei veri allievi di scuola media (che hanno “vistato” ogni battuta del copione scritta in gergo “giovane”). Per questo abbiamo realizzato un Dvd (il video è il pane di questa nuova generazione). Per lo stesso motivo nei reportage giornalistici abbiamo scelto un certo tipo di editing e di commento musicale. Non si tratta di vendere un prodotto, di fare del marketing; piuttosto di capire che per comunicare con i ragazzi non devi metterti in una posizione giudicante, ma provare a ricordarti che anche tu una volta sei stato un ragazzo. Avete altri progetti simili rivolti alle giovani generazioni? L’attenzione della RSI nei confronti dei giovani (dai bambini ai giovani adulti, passando per gli adolescenti) non è una novità. È vero che nei prossimi anni vogliamo scrivere una storia, insieme ai giovani che seguono i nostri programmi, ancora più forte. Il progetto Tutti a scuola, andando a raggiungere 13mila alunni di scuola media e le loro famiglie, dimostra che queste non sono solo intenzioni.
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Alle radici greche Himera era un’antica colonia greca in Sicilia, dalla vita breve e di cui ancora poco si conosce. Dal 2011 l’Istituto di Scienze archeologiche dell’Università di Berna è impegnato in una serie di studi e di scavi conoscitivi che promettono scoperte interessanti di Silvano De Pietro
Archeologia
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Nella ricerca archeologica in una colonia dell’antica Grecia, Direzione del Parco e dall’Università di Palermo. L’accordo con i situata sulla costa settentrionale della Sicilia, tra Palermo e ricercatori di Berna riguarda la ricerca sul Piano del Tamburino Cefalù, c’è anche un po’ di Svizzera. Naturalmente vi sono quasi completamente sconosciuto. “Abbiamo incominciato alla impegnate le autorità scientifiche locali, come la Direzione fine del 2011” racconta la professoressa Mango, “lavorando sulle del Parco Archeologico e l’Università di Palermo. Ma anche, foto satellitari e aeree per vedere come la zona sia cambiata negli ultida oltre un anno, l’Istituto di Scienze archeologiche dell’Uni- mi 50 anni. Poi nel 2012 siamo andati sul terreno per guardare sotto versità di Berna con l’équipe della cattedra di Archeologia il suolo con vari metodi non intrusivi”, cioè mediante prospezioni mediterranea di cui è titolare la professoressa Elena Mango. con strumenti di geofisica come la geomagnetica, geoelettrica e il Himera, l’antica città situata sul territorio di Termini Imerese, fu georadar. “Abbiamo anche approfondito il rilevamento archeologico, fondata nel 648 a.C. da coloni calcidesi che consiste nel raccogliere sistematicadi Zancle (l’odierna Messina) e da esuli mente tutti i reperti che si trovano sulla siracusani. Non fu tra le più celebri cosuperficie per comprenderne la distribulonie greche della Sicilia, come Siracusa zione”. In una terza fase, a settembre, o Agrigento, a causa della sua breve vita si è iniziato a scavare, aprendo i primi – circa 240 anni: venne infatti distrutta due saggi e continuando in parallelo la nel 409 a.C. – e della mancanza di resti prospezione geofisica. altrettanto imponenti come i templi di Agrigento o di Selinunte. Ma proprio La Svizzera e l’archelogia per questo la ricerca archeologica s’è Un primo risultato fa pensare a una rivelata fondamentale a Himera, sia per possibile frequentazione parziale del scoprirne il patrimonio sepolto sia per Piano del Tamburino antecedente alla documentarne e riscriverne la storia. colonizzazione greca. “Abbiamo trovato Una storia finora delimitata, nei racconchili di schegge di utensili litici, e qualche ti di Tucidide, Erodoto, Diodoro Siculo pezzo intero, che possono risalire ad epoe Strabone, dalla fondazione della città che molto più antiche”, spiega Mango. Il Himera: resti del Tempio della Vittoria (imm. tratta da www.regione.sicilia.it) e da due grandi battaglie. La prima, nel secondo risultato è l’aver portato alla 480 a.C., nella quale gli abitanti della luce, sotto uno strato di distruzione colonia e città alleate sconfissero i cartaginesi; la seconda, nel della fine del V secolo a.C., un muro molto consistente, spesso 409, quando i cartaginesi si vendicarono e rasero al suolo la città. quasi un metro, che non trova confronti nei semplici muri delle “insulae” della città. “È ancora presto per dire con certezza di che Primi scavi, primi riscontri cosa si tratti”, potrebbe fare parte di un edificio pubblico o anche “È uno progetto ambizioso”, dice Elena Mango. Non solo perché di un santuario, comunque “promette molto bene per i prossimi si tratta di una colonia greca, ma anche perché Himera “è una scavi” dice Mango, chiaramente entusiasta, mentre pianifica già colonia di cui sappiamo ancora poco”. Tramite le ricerche dell’Uni- le prossime fasi della ricerca con scavi regolari di 4-6 settimane versità di Berna a Himera sarà un po’ più conosciuta anche condotti ogni anno insieme con gli studenti. all’estero, tra gli studiosi e gli appassionati di archeologia e di Per l’archeologia svizzera, secondo Elena Mango, “questa è la storia antica. Questo sviluppo si deve all’invito partito dalla possibilità di entrare in un campo di ricerca sulla colonizzazione direttrice del Parco, la dott.ssa Francesca Spatafora, che ha così greca in Sicilia, che nell’ultimo secolo è stata marcata da scuole aperto, per la prima volta nella lunga storia della ricerca a Hi- tedesche, francesi, italiane, inglesi e americane, dove la Svizzera non mera, una collaborazione internazionale tra le due Università, appariva”. Una conquista di visibilità nel panorama scientifico Palermo e Berna, e la stessa Direzione del Parco. internazionale. Il proseguimento dei lavori prevede lo scavo di L’antica città di Himera è ripartita su tre aree: la città bassa (lungo un’area più vasta accompagnata da misurazioni geofisiche che la costa tirrenica) e due pianori affiancati a 90 metri di altezza l’Università di Berna realizza “con attrezzi che possediamo e di sul mare, il Piano di Imera e il Piano del Tamburino. Gli scavi cui abbiamo il know-how per poterli utilizzare. Questa competenza della città bassa sono stati condotti puntualmente, quelli sul interdisciplinare in un istituto archeologico” conclude Mango, “è Piano di Imera sono più avanzati e vengono portati avanti dalla una cosa unica in Svizzera e rara in Europa”.
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Padroni del tempo “Il tempo è prezioso”, si è soliti affermare. Ma a quale delle nostre “vite” lo dedichiamo? Se da un lato la tecnologia promette di offrirci più tempo, dall’altro ne altera il senso minacciando la sana costruzione del proprio sé di Carlo Baggi
Vivere in un’epoca in cui la tecnica, soprattutto quella infor-
matica e virtuale, mette continuamente a disposizione delle masse nuove meraviglie, è certamente affascinante. Tuttavia l’offerta tecnologica può anche rappresentare un serio pericolo, se il suo sviluppo non è supportato da un’adeguata cultura del discernimento. La tecnica ha sovente la brutta abitudine di accompagnarsi a sistemi di sfruttamento che, enfatizzando esclusivamente gli aspetti positivi, nascondono le controindicazioni. La più subdola tra queste è data dal fatto che, quando raggiunge alti livelli di espressione, la tecnologia tende a diventare “immagine dell’uomo” e, come tale, incomincia a pretendere precisi diritti. L’essere umano, per non perdere l’indispensabile aiuto, decide allora o di abdicare alle sue libertà o di accettare stili di vita a lui meno consoni. Tra le molteplici lusinghe della tecnica vi è anche la promessa di creare più tempo per fare maggior spazio alle attività dell’uomo. Una bellissima prospettiva, in teoria, che però è smentita nella pratica, perché il tempo dedicato allo spazio è perduto per lo scopo principale cui è destinato. L’origine di molti problemi attuali è collocabile proprio in questo fraintendimento.
eternità mascherata”4. Si può pertanto comprendere che, in tali affermazioni, il tempo è visto come l’ambiente indispensabile per nutrire e per educare la vita interiore. Lo spazio, invece, rappresenta le “cose”, le occupazioni della vita di relazione ed è assetato di tempo. Da queste definizioni possiamo comprendere che le due dimensioni, benché entrambe utili e necessarie, devono essere armoniosamente coniugate tra loro. Particolare attenzione dovrà essere rivolta alla difesa del tempo poiché lo spazio, tendendo a prevaricarlo, lo sottrae all’educazione della vita interiore.
Il senso del “riposo” Collegato a questo discorso si pone il significato dell’esigenza del “riposo”. La filosofia classica5, che determina il nostro modo di pensare, lo considera come un momento di svago per rinfrancare il corpo in vista di successive attività. Il pensiero biblico ribalta completamente il significato, ritenendo le attività un mezzo finalizzato al riposo6. Qui il concetto di pausa è inteso in modo attivo, perché il riposo è un aspetto fondamentale nell’ambito della creazione. Esso è inoltre munito di un particolare compito, che consiste nel placare l’appetito verso le cose stimolando la Immagine tratta da www.sageparnassus.blogspot.com Rapporti armonici fame per il senso della vita. La vera educaNella Genesi si legge che l’Eterno, dopo zione al rispetto del tempo e quindi alla aver formato l’uomo dalla polvere, gli soffiò nelle narici un costruzione del proprio essere, diviene così un imperativo alito di vita1 e ciò permise all’Adam di divenire un’anima viven- assoluto. Ciò consiste, per esempio, anche nel considerare che te. Nella lingua ebraica la parola “vita” è resa in forma plurale è più importante trasmettere ai figli i veri valori che non la (chayim); quindi, traducendo alla lettera, si potrebbe leggere semplice presenza, perché questa procura gioia per un giorno, alito di vite. Il plurale stimola una riflessione sul significato del mentre i valori portano la felicità per tutta la vita7. tempo e dello spazio. In particolare, richiama l’attenzione sul Forse la rivalutazione di queste prospettive potrebbe aiutarci a fatto che ogni vita è un contenitore di diverse vite; in primo gestire la nostra esistenza, sempre più immersa in una civiltà luogo della vita interiore – il cui scopo è far comprendere il senso tecnologica, che può produrre situazioni potenzialmente peridell’esistenza e dei valori –, quindi della vita di relazione formata colose per la libertà delle persone. Per questo, in ogni caso, reda una pluralità di rapporti (familiari, di lavoro, sociali ecc.). stare padroni del tempo rappresenta sempre il miglior rimedio. Questi ultimi, per produrre risultati e soddisfazione, devono non solo armonizzarsi tra loro ma, soprattutto, trarre linfa note da una interiorità matura. Ciò posto, cerchiamo di chiarire 1 Genesi 2:7. in che cosa consiste il tempo. Agostino d’Ippona affermava: 2 Confessioni, XI, 14. 3 “... Se nessuno me lo domanda, lo so..., ma quando cerco di spie- 4 Zohar, traduzione e commento di Michael Laitman, Urra-Apogeo, p. 305. Abraham J. Heschel, Il Sabato. Il suo significato per l’uomo moderno, Garzanti, p. 24. 2 garlo a qualcuno che me lo domanda, non lo so” . La filosofia 5 Aristotele, Ethica Nicomachea, X, 6. biblica offre per contro diverse risposte; tra queste: “Il tempo 6 Abraham J. Heschel, op. cit., p. 22. è la sola cosa che ci dà la percezione dell’esistenza”3 e “Il tempo è 7 Jonathan Sacks, “Investing Time”, Rosh Hashanah 5773.
Kronos
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» testimonianza raccolta da Marco Jeitziner; fotografia di Flavia Leuenberger
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Giovanna Piccioni
Vitae
rata ancora di più (ride, ndr.). Ho cominciato a gesticolare, a far capire che dovevo partire assolutamente, chiedendo di potermi mettere nel corridoio del bus o nel bagagliaio, per me era lo stesso. Finché una signora indiana mi ha venduto un biglietto, perché suo figlio non era potuto partire con lei e così alla fine ce l’ho fatta. Altrimenti sarebbe stata veramente dura! A quei tempi si riceveva tutto al fermoposta e spesso non arrivava niente, oppure dovevi aspettare mezza giornata all’ufficio postale per fare una telefonata. Dell’India mi ha colpito la massa di gente, la diversità, l’accoglienza, la tolleranza, la Gli incontri con le altre culture e un pae loro filosofia di vita improntase che ha lasciato il segno: l’India. Ecco ta più sull’anima e la cultura perché considera il viaggio utile per supe millenaria. È un paese che ti permette tantissimo: al nord rare i pregiudizi e migliorare se stessi... hai l’Himalaya, al sud i tropici, in mezzo la pianura del Gange vacanza, perché venivamo ace a lato il deserto. Inoltre ci sono etnie, lingue colti nelle case marocchine. e religioni molto diverse: non ti stanchi di un Il resto dell’Africa? A parte il paese così! Bisogna pensare che al tempo non Marocco e la Tunisia, non c’è si viaggiava con la “Lonely Planet”, le carte mai stata l’occasione, perché di credito, i telefonini: la comunicazione era non si ha il tempo, bisogna decisamente più complicata. Ma mi sono lavorare e soprattutto manca spostata anche da sola, dal nord al sud del il budget. Però sono stata in paese, senza sapere l’inglese. Quando c’è da Nepal, Tailandia, Birmania, affrontare una necessità s’impara in fretta. Bali e Cuba. Quel viaggio mi ha donato molto, mi ha reso Dopo aver girato un po’ l’Eupiù flessibile, mi ha portato a interessarmi alle ropa, ho fatto il mio primo altre culture, anche se prima è importante vero viaggio lontano: sono conoscere la propria. Il viaggio non è mai una partita per l’India per tre mesi. fuga, ma è un andare verso se stessi. Quelli Avevo i soldi contati. Da Bommigliori li fai da solo, non in compagnia, perbay (l’attuale Mumbai, ndr.), ché devi sforzarti molto di più, per esempio, dove avrei poi preso l’aereo per riuscire a muoverti in una città di milioni per tornare in Svizzera, sono di abitanti come Bombay. Puoi andare in andata al sud per assistere a panico, angosciarti, ma devi affrontare le una festa indù. Mi avevano situazioni e questo ti rinforza e ti arricchisce. detto che il bus costava setSpesso si fa una vacanza esotica, bei posti, tanta rupie, così ho fatto un bella gente, ma ciò che ritengo importante giro nel mercato spendendo è la conoscenza della cultura locale, mentre gli ultimi tre soldi e tenendo quello che non posso apprendere sul posto, il restante per il ritorno. Ma lo cerco nei libri. So che ci sono persone che all’agenzia il biglietto costava preferiscono andare in paesi che assomigliano invece centocinquanta rupie. di più al loro, ma così c’è meno confronto, “E ora come si fa?” mi sono meno ricerca. Io preferisco invece ciò che è detta. Le cose stavano andandiverso, quasi all’opposto. Credo infine che do male: non potevo ripartiinteressarsi alle culture lontane, non facenre e ritrovare i compagni di do solo vacanza quindi, aiuterebbe ad avere viaggio! Un giapponese e un meno contrasti e a capire come mai noi ci inglese, vedendomi davvero spostiamo e altri vengono qui. Diminuirebdisperata, mi hanno dato i bero i pregiudizi e l’ignoranza. soldi, però poi l’agenzia mi ha Il viaggio dei miei sogni? Percorrere la Via deldetto che non c’era più posto la seta, ma ho rinunciato. Un paese dove non sul bus! Allora mi sono dispeandrei mai, invece, credo che non esista.
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S
ono nata e cresciuta a Bellinzona negli anni Sessanta e Settanta. Anni di cambiamenti molto forti, di riforme civili, c’era la crisi del petrolio, gli “anni di piombo”, ma anche la musica, l’aggregazione, le conquiste sindacali e soprattutto quelle femminili. Mi viene in mente un Ticino molto intenso, più solidale di oggi, con più voglia di stare insieme, più rivendicazioni. A Bellinzona si manifestava per un centro autonomo al Grottino Ticinese e ricordo una marcia da Chiasso a Lugano contro il nucleare, argomenti ancora attuali. A parte il Grotto Pasinetti, perché c’era la musica, non erano tempi dove si stava tanto in bettola, ma si andava ai monti di Carasso con la chitarra o al fiume. Credo che tutte le generazioni abbiano un input di partenza, ma se oggi i giovani viaggiano più col computer, virtualmente, lo sbarco sulla Luna è stato l’evento che ha ispirato la mia generazione. Consiglio a tutti di viaggiare, per conoscere altri paesi e altre culture, ma soprattutto per scoprire o ritrovare sé stessi. Il viaggio riempie l’anima. Il primo l’ho compiuto a diciassette anni, da sola, un mese a Palermo e Porto Empedocle, dove oggi sbarcano i clandestini. In realtà, volevo andare in Grecia, ma per i miei genitori era troppo distante. Coi soldi guadagnati in estate, sono arrivata in una città molto interessante, ma anche pericolosa a quei tempi. Mi è piaciuta e mi sono trovata bene. Avevo messo in subbuglio le persone dalle quali dormivo, perché alle tre di notte avevo sete e, non essendoci nulla in casa, sono andata al bar più vicino. Al mio ritorno li ho trovati spaventati, perché non mi ero resa conto di quanto potesse essere pericoloso. A vent’anni, con un amico di qui sono andata in Marocco, tutta un’altra cultura. Eravamo in un posto che si chiama “Paradise Valley”. Incontravamo tanta gente di altri paesi e non eravamo mai soli. Non era la classica
morc h i n o
Una collina incantata di Martina Rezzonico fotografie di Peter Keller
E
sistono luoghi che riempiono di meraviglia e fanno pensare “qua dev’essere stato bello abitare!”. Uno di questi è la tenuta Morchino, situata sulle pendici del Monte San Salvatore, sul confine fra i comuni di Paradiso e Lugano-Pazzallo. Uno dei pochi spazi ancora verdi in una zona fortemente urbanizzata. La proprietà di 75.500 metri quadri, comprendente oltre alla casa padronale terreni agricoli e boschivi, appartiene alla “Fondazione Leo e Maria Crepaz Antonietti - Centro Morchino”, il cui scopo è “la creazione di infrastrutture sociosanitarie, culturali e universitarie”.
Oltre mille anni di storia Il Morchino si trova in una zona frequentata già in età romana. Le prime tracce concrete sono però altomedioevali: il nome Morchino infatti appare per la prima volta su un documento del 735 d.C.1, in cui fra i testimoni compare un certo Oduni de Morcaino. Morchino appartiene così alle sole undici località della Pieve di Lugano documentate prima dell’anno mille. Su un secondo documento, un atto di vendita del 7742, appare come teste Desiderii de Morcaino. Questi due nomi fanno presumere che in quell’epoca il podere rurale appartenesse a una ricca famiglia longobarda. Ulteriori documenti citano il toponimo – fra cui un libro copiale comasco del 1110 che col termine latino castrum conferma che vi erano delle costruzioni –, ma le prime tracce tangibili sono vecchie fondamenta venute alla luce nel 1928, quando la casa padronale fu ricostruita in seguito a un grave incendio: il tipo di costruzione fa pensare a un insediamento castellanico (nel senso di gruppo di costruzioni rustiche), risalente al X-XII secolo. In seguito abbiamo ancora la menzione della Cappella Sanctum Stephanum Prothomartiri, loci Morchino in un testamento divisionale del 1486 fra Antoni de Codelago e Giovanni Maderno de Morchino. Dal XVIII secolo le notizie si fanno più precise. Nel 1809 la proprietà passò per testamento dal canonico Rocco Ricca alla nipote Maria Maddalena, sposata con Giovanni Antonietti. Da questo momento il Morchino rimase di proprietà della famiglia Antonietti per quasi due secoli, fino alla morte di Maria Antonietti nel 1993, quando la tenuta passò al marito Leo Crepaz (che nel 1997 cedette la proprietà all’appositamente creata Fondazione). Uno scrigno di ricchezze e attività Se si ha la fortuna di poter visitare la tenuta Morchino, l’impressione è di fare un viaggio nel tempo. Le costruzioni (a destinazione sia residenziale sia agricola) sono disposte intorno a una corte e un giardino ottocentesco, al centro del quale cresce una magnolia di notevole dimensione. Dalla parte residenziale (Villa Antonietti) si gode di una splendida vista sul golfo di Lugano. Sul tetto si trova una torretta adibita a osservatorio astronomico, fatta costruire dall’ingegnere Alessandro Antonietti nella prima metà del XX secolo. (...)
sopra: il salone padronale nella villa residenziale; in apertura: le costruzioni agricole della tenuta Morchino viste da sud
Le costruzioni a destinazione agricola sono disposte attorno a una corte centrale. Al centro si trova una piccola cappella
Le sale di rappresentanza sono decorate da dipinti murali e stucchi. Molti arredamenti di un certo valore sono stati venduti nel corso degli anni; tuttavia ci si può ancora ben immaginare la maestosità di questi luoghi. Al piano terra si trovava la bigattiera (locale per l’allevamento dei bachi da seta) e il locale di tessitura in cui con due grandi telai del XVII secolo si lavorava la canapa, il lino e la seta. Più tardi vi fu installato l’alambicco. In mezzo ai locali a destinazione agricola si trova una cappella dedicata a San Vincenzo de Paoli, le cui origini risalgono all’XI secolo (probabilmente la stessa cappella di Santo Stefano Protomartire citata innanzi). Vi sono conservati il reliquiario e un paliotto in pelle dipinta del XIII secolo (un paramento che copre la parte anteriore dell’altare).
Sopra la cappella si trovava l’antica biblioteca, fornita di una moltitudine di preziosi volumi e oggetti vari. Accanto si trovano le cantine, la vecchia lavanderia e il locale del torchio, fatto costruire nel 1814 a sostituzione dell’antico torchio di tipo piemontese del XIV secolo. Il terreno non edificato, attraversato dal 1890 dalla Funicolare del San Salvatore, è utilizzato oggi principalmente per la viticoltura. Vi si trovano inoltre una cappelletta e alcune costruzioni diroccate utilizzate un tempo per l’attività agricola. Le future “destinazioni d’uso” Attualmente la “Fondazione Leo e Maria Crepaz Antonietti - Centro Morchino” sta valutando vari progetti su come utilizzare nel miglior modo possibile la tenuta Morchino in (...)
Parte della facciata della corte interna nella parte agricola
Il torchio
La cantina
La cucina in un’abitazione destinata ai contadini
Il lavatoio
L’ingresso di uno degli spazi per i contadini
La sala da pranzo
Una delle camere
Un camino barocco in marmo d’Arzo
Il balcone con vista sul golfo di Lugano
Un dettaglio della sala da pranzo
Un particolare dello studio di Leo Crepaz
Veduta d’insieme della tenuta Morchino, un ultimo piccolo spazio verde lungo la funivia che sale sulla cima del San Salvatore
futuro. Come ci spiega Fulvio Nevano, membro e segretario del Consiglio di fondazione, si è già proceduto a terrazzare e ampliare la vigna, che è stata data in affitto a un noto viticoltore della regione di Lugano, il quale intende produrre vino con un tipo di coltivazione sostenibile. Al vaglio vi sono inoltre alcuni progetti in ambito sociale e nel campo sanitario. Per conseguire ciò sono in corso discussioni per trovare forme di collaborazione con altre fondazioni ticinesi e con il Cantone. È edificante constatare come, ai nostri giorni, un sito così interessante come la tenuta Morchino sia salvato dalla speculazione edilizia, per diventare – in seguito al previsto risanamento rispettoso del valore storico e artistico della struttura – accessibile a più persone.
Peter Keller Classe 1950, ha dapprima seguito una formazione nell’ambito della tipografia e della fotografia, in seguito si è diplomato in Ingegneria della stampa e dei media presso l’Università di Stoccarda. Dopo una carriera dirigenziale per diversi quotidiani, da luglio 2012 lavora come fotografo e autore indipendente. Ha collaborato con i fotografi Adriano Heitmann e Reza Khatir. Nel 2010 è stato pubblicato il volume fotografico Barocco (Edizioni Casagrande) e alcuni suoi lavori sono presenti in Dodicisette (EdizioniSalvioni, 2012), il catalogo della mostra “12 x 7” (Casa Cavalier Pellanda, Biasca).
note 1 L. Moroni Stampa (ed.), Codex Palaeographicus Helvetiae Subalpinae (Lugano 1958), no. III. 2 Ibid., no. X.
Il segreto del fuoco
Tendenze p. 44 | di Francesca Ajmar
L
e origini dell’“addomesticamento” del fuoco all’interno di uno spazio abitativo sono molto difficili da rintracciare. Certo è che l’idea di focolare precede di molto quella di casa: inizialmente gli spazi abitativi erano infatti pensati in funzione del fuoco, e non viceversa. In tutte le culture primitive – anche quelle sopravvissute alla modernità e alla globalizzazione – lo spazio abitativo più importante della casa è incentrato sulla funzione pratica e simbolica del fuoco, in virtù della sua capacità di riscaldare, cucinare e illuminare. Il focolare era posto al centro della stanza, senza canna fumaria, e un foro posto sul tetto consentiva ai fumi di fuoriuscire. A partire dal secolo XIII, per cercare di arginare il problema degli incendi soprattutto nei centri urbani, le case in legno (spesso col tetto in paglia) vennero man mano sostituite da quelle in pietra e laterizio. Questo cambiamento di tecnica e materiali costruttivi fece sì che il focolare venisse spostato dal centro della stanza verso una parete laterale, proprio per poter realizzare la canna fumaria, inserita o appoggiata al muro stesso. Nasceva così il caminetto moderno.
RitoRno al centRo Nel design odierno si sta recuperando sempre più l’idea primigenia del focolare e del raccogliersi attorno a esso. Molti sono i modelli contemporanei di caminetti centrali, con un alto livello tecnologico, pensati per spazi non solo abitativi, e con rendimenti termici molto elevati. Uno splendido esempio di questo tipo è “Gyrofocus” (nell’immagine), creato nel 1968 da Dominique Imbert, primo camino sospeso e rotante a 360°. Nel 2009 è stato eletto, a buona ragione, “il più bell’oggetto del mondo” al concorso italiano “Pulchra”. Focus, il marchio di fabbrica dell’atelier Dominique Imbert, esiste da più di quarant’anni e ha prodotto oltre sessanta tipi differenti di camini. Un altro modello celeberrimo, sempre di Imbert, è “Filofocus central”,
tante a 360°, che nella versione a parete, rotante a 180°. Il condotto e il camino fanno parte di un unico componente, che termina con un oblò in vetroceramico. In acciaio verniciato nero opaco o grigio antracite, nel 2005 ha ricevuto la Medaglia d’argento dei “Trofei del Design” al Salon Batimat di Parigi.
bellezza e funzionalità
Il design odierno si confronta con uno degli elementi più antichi della casa: il focolare. Un incontro da cui scaturiscono soluzioni originali e adatte a ogni tipo di ambiente
commissionatogli nel 2001 da Norman Foster: la vasca focolare è integrata nel pavimento, e la canna fumaria, telescopica, a movimento manuale facilitato, unisce l’ergonomia e la facilità di utilizzo all’estrema purezza di stile dell’oggetto in sé. Sempre per la Focus, il camino “Renzofocus” di Renzo Piano, si rifà chiaramente e volutamente ai condotti per l’aria del Centro Pompidou di Parigi: lega con essenzialità stilistica la visibilità del fuoco, la sicurezza di un camino chiuso, la performance tecnica e l’audacia estetica. È prodotto sia nella versione centrale, ro-
Altri importanti marchi nel settore dei camini stanno realizzando da diverso tempo dei veri e propri sistemi di riscaldamento che, utilizzando il caminetto come un’effettiva centrale termica, sono capaci di portare calore in tutti gli ambienti della casa, e di collegarsi all’impianto idraulico di termosifoni e sanitari. MCZ , per esempio, ha brevettato il sistema “Comfort Air”, che permette di canalizzare e utilizzare l’aria calda per riscaldare altri ambienti fino a una distanza di 8 metri dal camino. Apposite bocchette filtrano l’aria calda e ne permettono la regolazione. Una centralina elettrica comanda i ventilatori e consente di controllare la temperatura nei diversi ambienti. In questo modo un’area molto vasta dell’abitazione riesce a sfruttare il calore prodotto da un solo camino. Un’idea molto azzeccata per chi ha necessità di ristrutturare casa senza lavori troppo invasivi, è il modello “MicroMega” della Stûv, un caminetto da posa basso, con due riserve di legna, appoggiato al pavimento e con una struttura autoportante. Funziona con le stesse elevate prestazioni sia a 5 kW che a 10 kW, il che ne permette l’installazione non solo in un’abitazione a basso consumo energetico, ma anche in una di tipo tradizionale.
alcuni RifeRimenti peR gli inteRnauti www.focus-creation.com www.mcz.it www.stuv.com www.austroflamm.com
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Correva l’anno 1932...
Abbandonata la classica copertina color crema, è apparso nelle
» di Giancarlo Fornasier
con velate accuse verso la Germania di spionaggio bancario scorse settimana l’ultimo numero dell’Archivio Storico Ticinese. e furto di dati su conti e clienti esteri. Già a partire dal 1931 Formato (“più agile”) e veste grafica aggiornati, contenuti come (fallimento della banca DANAT) i tedeschi avevano infatti istituito un sistema di controllo delle valute che sempre assai intriganti. Degli articoli presenmirava a contrastare la fuga dei capitali; ma ti in questa uscita segnaliamo “Capitali in ful’episodio centrale per la minaccia alla piazza ga, spionaggio economico e segreto bancario finanziaria fu “il sequestro, avvenuto a Parigi in Svizzera, 1930–1935” di Thomas Chappot alla fine di ottobre del 1932, da parte delle au(testo tradotto da Emiliano Mena), una ventorità francesi di una lista (...) contenente più di tina di pagine che sintetizzano il mémoire di mille nomi di clienti francesi che avevano frodamaster presentato dall’autore all’Università to il fisco nascondendo i loro averi in Svizzera”. di Losanna nel giugno 2010. Il sistema bancario portò le istituzioni politiLa sua lettura colpisce per l’attualità del tema che a reagire su un piano prettamente legislae la ricostruzione dei fatti, se si pensa che tivo, tanto che i maggiori studi confermano l’autore fa riferimento a quanto accadeva come “lo spionaggio bancario tedesco ebbe un 80 (!) anni or sono e che (oggi come allora) ruolo relativamente importante nella genesi avviene “sullo sfondo di una profonda crisi ecodell’art. 47b della legge sulle banche del 1934”, nomica e finanziaria internazionale”. Partendo in pratica sulla nascita del segreto bancario. in particolare dagli studi della Commissione Per comprendere quale massa di denaro enBergier (averi ebraici) e a un lavoro di Willi Archivio Storico Ticinese trò (più o meno legalmente) in quel periodo Loepfe dedicato ai rapporti finanziari tra Nr. 151 / Anno XLXI nella Confederazione, basti pensare che dal Svizzera e Germania dal 1923 al 1946 – AST/Casagrande, 2012 1928 al ’32 la Banca nazionale svizzera (BNS) nessuna delle banche coinvolte ha dato il permesso all’autore di accedere direttamente agli archivi... –, aumentò le sue riserve in oro e in valuta da 723 milioni di franChappot ricostruisce le vicende e gli scandali che a partire dai chi a 2,625 miliardi, “un indicatore tangibile dell’aumentato flusso primi anni Trenta hanno scosso la piazza finanziaria elvetica, di capitali”. Lasciamo ai lettori la curiosità di leggere le ultime e e che irrigidirono i rapporti tra le autorità fiscali dei due paesi, sin troppo amare parole di Chappot (“Conclusioni”, pag. 61).
NOVITÀ LIBRARIE
dodicisette
I FOTOGRAFI DI TICINOSETTE. CATALOGO DELLA MOSTRA
Questo volume offre l’opportunità di ammirare una selezione di fotografie pubblicate in anni recenti su «Ticinosette» e realizzate da dodici fotografi che provengono da diversi settori della fotografia professionale ticinese e svizzera. Un centinaio di affascinanti immagini, un volume di indubbio interesse e una testimonianza della vitalità della fotografia elvetica contemporanea. Alcuni dei servizi fotografici presenti in questo elegante volume sono stati premiati nelle ultime edizioni dello «Swiss Press Award», importante concorso al quale partecipano tutte le maggiori testate nazionali. Tra i fotografi presenti nel catalogo ricordiamo Reto Albertalli, Didier Ruef, Giosanna Crivelli, Katja Snozzi, Matteo Aroldi, Jacek Pulawski e Reza Khatir. Le immagini sono visibili sino al 27 gennaio 2013 nella mostra «12 x 7» presso Casa Cavalier Pellanda, Biasca.
FORMATO PAGINE FOTOGRAFIE AUTORI PREZZO
21 x 29.5 cm 116 117 12 fotografi Fr. 30.– (spese di spedizione incluse)
Vogliate inviarmi «dodicisette» al prezzo di Fr. 30.– al seguente indirizzo: NOME / COGNOME VIA / LOCALITÀ QUANTITÀ ESEMPLARI
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Astri toro
gemelli
cancro
Opportunità professionali per i nati nella prima decade. È il momento di fare il gran passo. Cercate di controllare di più la vostra proverbiale mancanza di diplomazia. Amore alla grande fino al 16 gennaio.
Mercurio e Plutone decisivi per poter affrontare qualunque situazione grazie alla vostra capacità di approfondimento. Mantenete l’indipendenza. Difficili le giornate tra il 15 e il 16 gennaio.
Con Giove, Marte e Urano favorevoli siete determinati e intraprendenti con una visione chiara sullo stato delle cose. Problemi sentimentali per i nati nella terza decade. Dal 14 gennaio in poi lisci come l’olio.
Grazie alle configurazioni planetarie potete metter un po’ d’ordine in una fase della vostra vita segnata a volte da eventi autodistruttivi. Forte aumento degli appetititi sessuali dal 15 gennaio in poi. Pigrizia.
leone
vergine
bilancia
scorpione
Soddisfazioni affettive per i nati nella terza decade. Marte sempre opposto. Calo energetico per i nati fra la prima e la seconda decade. Affrontate un problema alla volta senza disperdervi in mille situazioni.
Favorite le relazioni professionali sotto un profilo esclusivamente comunicativo. Ma oltre questo, non ve la sentite proprio. Azioni costruttive per i nati nella prima decade rinforzate dal transito di Saturno.
Momento importante per i nati nel segno guidati dai transiti di Marte e Giove. Grazie a un innato fascino e alle capacità seduttive potete ottenere dei risultati brillanti. Incontri pubblici e relazioni mondane.
Saturno muove i suoi passi in forte aspetto con Marte. Sicuramente poco disponibili a farla passar liscia ai vostri rivali. Decisive le giornate tra il 15 e il 17 gennaio. Nuovi incontri per i nati nella prima decade.
sagittario
capricorno
acquario
pesci
Colpi di fulmine e decisioni improvvise per i nati nella prima decade. Con Giove e Urano in aspetto può sempre accadere di tutto. Inquietudini tra il 17 e il 18 gennaio. Sbalzi umorali per i nati nella terza decade.
Il recente transito venusiano se da un lato ha favorito atteggiamenti di abnegazione nei confronti del partner, dall’altro ha provocato tentazioni clandestine. Particolarmente fortunati i nati nella prima decade.
Fortuna amorosa per i nati nella terza decade. Malumori e rimpianti per i nati nella prima decade tra il 16 e il 17 gennaio. Comunque fortuna e impegno nella propria professione. Possibili discussioni familiari.
È il momento buono per far parte di un progetto più ampio. Incontro con i grandi temi. Possibile ristrutturazione dei propri spazi vitali. Dal 16 gennaio in poi ventata di positività per i nati nella prima decade.
» a cura di Elisabetta
ariete
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Gioca e vinci con Ticinosette
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 17 gennaio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 15 gen. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Orizzontali 1. Contestare, insorgere • 10. Un personaggio dell’Otello • 11. Isola dell’arcipelago della Sonda • 12. Il regno di Eaco • 14. Cerimonia • 15. Un antenato delle slot machines • 16. Pari in scatti • 17. Dispari in ruota • 18. Elegante... a Losanna • 19. Cuor di cane • 20. Lo producono le api • 22. Tifoso • 24. Preoccupante, molto serio • 26. Isola greca • 28. Pontile, approdo • 29. Franz, pianista e compositore ungherese • 30. Lubrificano • 31. Precipizi, dirupi • 34. Né mio, né tuo • 35. Paga il fio • 36. L’alieno di Spielberg • 37. Piccoli difetti • 39. Maestà • 41. I prestiti bancari • 43. Un raggio del chirurgo • 44. Uccello dei Passeriformi • 45. Circolavano in Italia • 46. Lo teme l’autista • 49. Ammaliavano i marinai.
La soluzione verrà pubblicata sul numero 4
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Verticali 1. Era l’eterno miraggio degli antichi alchimisti • 2. Congetturati • 3. Parte del cannone • 4. L’alza l’irato • 5. Svezia e Tailandia • 6. Grosso camion • 7. Affabili, benevoli • 8. Fracassati • 9. Epico, valoroso • 13. Coccodrilli • 18. Lo è la notizia che suscita scalpore • 21. Articolo romanesco • 23. Celare • 25. Cancellare, annullare • 27. Cuba e Zambia • 32. Pedina coronata • 33. Ripetere • 38. Lo stato con Dublino • 40. Sposa Osiride • 42. Avverbio di luogo • 43. I numi del casolare • 47. In mezzo al mare • 48. Pari in panna.
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La soluzione del Concorso apparso il 28 dicembre è:
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Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Ebe Zocchi via Cantonale 6805 Mezzovico Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: due carte per più corse “Arcobaleno”
Più vicino a voi. Nuova Tariffa Integrata Arcobaleno www.arcobaleno.ch
Arcobaleno mette in palio una carta per più corse di 2a classe (per tutte le zone) del valore complessivo di CHF 260.– a due fortunati lettori che comunicheranno correttamente la soluzione del Concorso.
I biglietti Arcobaleno sono la grande novità della nuova Tariffa Integrata. La carta per più corse permette di compiere più viaggi all'interno delle zone acquistate, con la possibilità di interrompere e riprendere il proprio viaggio in ogni momento, entro la validità data. La carta per più corse è la scelta giusta per acquistare 6 corse al prezzo di 5. Maggiori informazioni su www.arcobaleno.ch.
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