Ticino7

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№7

del 15 febbraio 2013

con Teleradio 17 – 23 febbraio

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Centinaia di famiglie vivono in questa bidonville che, nella stagione umida, diventa Villaggio di Koh Kong una fogna a cielo aperto, covo di infezioni e malattie

Amare qualcuno miracolo

invisibile

altri

Associazione Missione Possibile Svizzera Banca Raiffeisen Lugano Numero di conto: 1071585.70 Via D'Argine 4a, 6929 Gravesano Via Pretorio 22 IBAN: CH04 8037 5000 1071 5857 0 Tel. +41 91 224 38 81 6900 Lugano Codice bancario: 80375 www.missionepossibile.ch info@missionepossibile.ch


Ticinosette n° 7 del 15 febbraio 2013

Agorà Clero e sessualità. La scelta “obbligata”

RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Arti John Cheever. La bellezza del mondo

di iRina

Zucca alessandRelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Media Aldo Sofia. Contro l’indifferenza

nicoletta baRaZZoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Impressum

Vitae Clarissa Semini

Tiratura controllata

Reportage Bonifacio Bembo. Sette tavole, cento storie

70’634 copie

Chiusura redazionale Venerdì 8 febbraio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile

4 8 10 12 37 44 45 46 47

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KeRi GonZato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Pensieri La parola che nasce

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GiancaRlo FoRnasieR . . . . . . .

daniele Fontana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Carte fedeltà. Family Club

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lauRa di coRcia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

Sopra le righe Elaborazione grafica di Antonio Bertossi

Provare a capire Cara Redazione, leggo spesso Ticinosette e non solo per i programmi della televisione, ma con l’ultimo numero di febbraio sono rimasta senza parole. La vignetta a pagina 43 è… volgare, diseducativa. Fosse almeno in una rivista per solo adulti, ma Ticinosette viene guardata da tutte le fasce d’età. “…perdere la verginità con uno sconosciuto… c’è rimasto male ma poi ha capito”. Io di certo non ho capito, cosa ha capito. Non ho neppure capito come un padre possa stare ad ascoltare una figlia che si vanta di averlo fatto con uno sconosciuto… e voi come Redazione che messaggio volevate far passare? Anche questo, non l’ho capito! Cari saluti da una mamma e docente. L. R. T. (e-mail) A seguito della pubblicazione della Graphic Novel dal titolo “Family Life” (n . 5/2013), è giunto alla Redazione lo scritto che avete appena letto . La lettrice – che ringraziamo per l’attenzione con la quale segue questo settimanale – è perplessa rispetto al contenuto della rubrica . I temi trattati in verità sono due: quello della sessualità tra i giovani e i giovanissimi (la verginità) e quello ancora più rilevante dei rapporti interpersonali tra ragazzi e genitori (e delle comunicazione tra loro e in famiglia) . In particolare il primo – la sfera della sessualità negli adolescenti e il modo con il quale oggi ragazze e ragazzi vivono e sperimentano il “traguardo” del primo rapporto completo – è il soggetto al centro del messaggio che gli autori volevano veicolare . Sulla sua attualità non crediamo sia necessario spendere molte parole, vista sia la sempre più giovane età nella quale i rapporti avvengono in modo consenziente – troppo spesso non protetti, con tutti i rischi del caso, gravidanze indesiderate e malattie trasmissibili comprese – sia l’esposizione massiccia e assolutamente invadente alla quale gli adolescenti (non propriamente informati) sono confrontati e della quale sono vittime impotenti .

Non sono trascorsi molti mesi dagli ultimi dibattiti sulla necessità di corsi di educazione sessuale nei primi anni di istruzione scolastica, di strumenti “espliciti” per la sua promozione, e di una vera educazione al corpo e alla necessità di rispettarlo . Nel frattempo le notizie su abusi e ricatti sessuali ai danni di bambini e minori non sono mancate: l’ultima, in ordine di cronaca, riguarda decine di ragazzi adescati attraverso Facebook da un insospettabile 47enne bernese; l’ennesimo episodio di una serie sempre più lunga . Comprendere le strategie più efficaci per evitare che i nostri figli caschino nella trappola della pedopornografia virtuale – con conseguenze invece reali e odiose – è un tema dunque di scottante attualità e, alla luce dei casi più recente, psicologi ed esperti informatici hanno ribadito la necessità di vigilare sia sull’utilizzo di internet da parte dei giovani sia sui pericoli che la rete nasconde (vedi scambio di materiali video) . In particolare, sulle scarsissime garanzie che dietro al profilo di una presunta tredicenne “carina e disinibita” vi sia effettivamente quella persona e non un “simpatico” adulto in cerca d’altro (non propriamente di “amicizia”) . In questo senso una riflessione andrebbe fatta, e coinvolge proprio le piattaforme di socializzazione . Il caso di Facebook è esemplare: molti dei profili presenti non riconducono alla persona ritratta nella piccola immagine in alto a sinistra, come tanti personaggi dello spettacolo e volti noti sanno . Ognuno di noi può, infatti, aprire un profilo inserendo un ritratto trovato (rubato) in rete, un nome preso a casaccio (ma riconducibile a una persona reale) e una serie di informazioni buone solo a rendere il soggetto interessante a questa o a quella categoria di persone . Nel mondo reale sarebbe un’operazione illegale, in rete invece . . . Immaginare dunque che una figlia racconti al padre di aver perso la verginità credo non dovrebbe scandalizzarci . Almeno è suo padre . Buona lettura, Giancarlo Fornasier


La scelta “obbligata” Agorà

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Alla fine degli anni Sessanta del Novecento, sull’onda del rinnovamento del Concilio Vaticano II, sembrava vicina la fine dell’obbligo di celibato per sacerdoti e suore. A distanza di decenni nulla è cambiato, neppure la questione fondamentale: il celibato rappresenta una risorsa oppure è solo un peso imposto dall’alto? di Roberto Roveda

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l celibato obbligatorio per il clero nella chiesa cattolica fa discutere, da sempre. Dall’esterno, dai non credenti e da chi non è cattolico viene visto come un retaggio del passato che non ha più ragione di esistere una limitazione assurda alla libertà individuale. Una posizione condivisa anche da molti cattolici, che però non sembra aver portato le gerarchie della chiesa di Roma a rivedere le proprie posizioni. Anzi, in più occasioni gli ultimi due pontefici hanno ribadito la necessità di mantenere l’obbligo del celibato ecclesiastico.

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Un retaggio del passato Una decisione che ha le sue basi storiche, oltre che teologiche, è necessario dirlo. Il celibato, infatti, è una condizione di vita che da alcuni secoli è stata imposta ai religiosi (clero, monaci, suore, frati...) per questioni disciplinari più che morali. Va detto che all’inizio della comunità cristiana organizzata, alcuni apostoli erano sposati; i vescovi dei primi secoli dovevano essere non solo buoni pastori d’anime ma anche buoni padri di famiglia! Eppure sulla questione del matrimonio o del celibato già nei testi della teologia paolina si legge: “Chi si sposa fa bene, chi non si sposa fa meglio” (Prima lettera di Paolo ai Corinzi 7,38). Questo valore antico viene riproposto ai nostri giorni, quasi fosse una condizione indispensabile per servire Dio e la chiesa. Ma come è considerato quest’obbligo dagli uomini di chiesa, che lo vivono in prima persona? Ne parliamo con padre Michele Ravetta, frate cappuccino, assistente sociale e cappellano al carcere della Stampa. Padre Michele, quali difficoltà impone un obbligo come quello del celibato? Da un lato l’obbligo del celibato non impone gravi difficoltà di comprensione e accettazione perché di fatto vieta “solo” il matrimonio. Il vero problema è la castità, cioè la privazione della (...)


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sessualità. Posso capire che il non sposarsi lasci molta più libertà al consacrato di assumere nuovi impegni, talvolta anche all’estero, o di essere trasferito da una comunità all’altra senza dover pensare di trasferire anche la famiglia. Ma mi domando anche se sia giusto “castrare” uomini e donne che per natura sono orientati ad avere uno scambio affettivo-sessuale. Quindi bisogna sfatare un tabù: anche i consacrati possono conoscere l’amore? Certamente: non sono pochi a sostenere (a mio parere, giustamente) che anche loro possono innamorarsi… ma poi? Tutto deve fermarsi a un amore platonico che il più delle volte non basta. La persona umana, nella mente di Dio, è pensata per la procreazione, non per il celibato. E qui affiora il problema morale: se uno non vuol procreare, quindi servirsi della sessualità per mettere al mondo nuove creature, che cosa fa? Secondo la morale cattolica deve restare casto... ma per favore! Capisco che la chiesa non debba seguire le mode, che oggi ci sono e domani non esistono più, ma in un mondo come il nostro dove anche i raduni mondiali della gioventù convocati dal Papa diventano luogo di amoreggiamenti improvvisati, il messaggio della castità prematrimoniale non regge.

Agorà

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chiesa” che amano Dio con tutto il cuore ma vorrebbero avere anche una vita affettiva e sessuale. Devono scegliere e prendere una decisione che spesso si rivela dolorosa, quando sulla bilancia ci sono valori molto alti per l’individuo. Questo porta a relazioni ambigue che non di rado sono fonte di sofferenze, perché devono restare clandestine. Va anche detto che colui o colei che “lascia la tonaca” per una vita affettiva e/o familiare, viene ancora visto male sia dagli ecclesiastici sia dalla gente comune, specialmente in territori piccoli come i nostri cantoni o in territori “tradizionalmente cattolici” come l’Italia. Ma allora hanno ragione coloro che descrivono il celibato come un’imposizione insensata e non come una scelta? È una scelta... obbligata. Sono le “regole del gioco”: se vuoi consacrarti alla vita religiosa, devi essere celibe. Se vuoi essere un cristiano coerente e non ti sposi, devi essere casto. Più chiaro di così! A mio parere, non è il celibato il problema più urgente della chiesa del secondo millennio. La gente muore ancora di fame e di malattie curabili ma senza la possibilità di accedere ai farmaci e noi corriamo dietro alle farfalle. Abbiamo nelle nostre mani un messaggio grandissimo da condividere con la gente che cerca in Dio un sostegno concreto per andare avanti, è la forza del Vangelo, non riduciamo tutto a precetti e divieti. Viceversa, non credo che l’abolizione del celibato porterebbe più vocazioni alla chiesa: si tratta di una chiamata, un rapporto a tu per tu tra Dio e l’uomo e la donna che ascoltano il suo invito a servire, celebrare, assistere, pregare, amare con cuore indiviso.

“Il vero problema è la castità, cioè la privazione della sessualità. Posso capire che il non sposarsi lasci molta più libertà al consacrato di assumere nuovi impegni, talvolta anche all’estero, o di essere trasferito da una comunità all’altra senza dover pensare di trasferire anche la famiglia. Ma mi domando anche se sia giusto «castrare» uomini e donne che per natura sono orientati ad avere uno scambio affettivo-sessuale”

Quale valore riveste allora il celibato per l’uomo e la donna di chiesa? In che modo li aiuta a svolgere meglio la propria missione? Si tratta di un valore spirituale di grande libertà interiore. Non si ama una persona in particolare, ma un’entità immensamente più vasta: Dio, i poveri, la comunità, il messaggio evangelico di cui si diventa annunciatori. In sé credo abbia un profondo significato, almeno a livello ideale, ma con i tempi che cambiano mi interrogo sull’effettiva attualità della norma. Si può amare e servire Dio da single così come da impegnato. Il celibato può costituire una valenza positiva nell’ottica di una maggiore libertà rispetto a unioni “preferenziali”, che inevitabilmente legano, ma se la libertà non è vissuta interiormente come un valore e un diritto individuale, molto difficilmente sarà trasformabile e applicabile come una norma da seguire. Ancora san Paolo scrive: “Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!” (Prima lettera di Paolo ai Corinzi 7,32-43). La teologia paolina non fa una piega sul senso profondo del celibato ed è anche su questo che la chiesa fa leva per promuoverlo come valore sine qua non, cioè indispensabile. Credo però nella forza rinnovatrice della comunità dei credenti, che può modificare un atteggiamento senza alterarne il senso. Spesso allora quest’obbligo diventa un peso? Decisamente sì. Pensiamo alla fatica di uomini e donne “di

Fino al Medioevo il celibato era distintivo solo dei monaci, poi è stato esteso a tutto il clero. Ha ancora senso per lei mantenere questa regola al di fuori dei monasteri? Per i religiosi, quindi per coloro che vivono in conventi e monasteri, sarebbe impensabile che ognuno avesse la propria famiglia: spesso la convivenza fraterna è già di per sé un miracolo, perché poggia su delicatissimi equilibri personali e interpersonali, figuriamoci se ci si fossero pure mariti, mogli e figli! Per il clero secolare (i preti ordinari), viceversa le case parrocchiali potrebbero benissimo animarsi con “la famiglia del curato”. Ma è musica del futuro... Il celibato non è necessario per servire bene Dio: questo ce lo insegnano i molti laici che sono sposati e che servono il Vangelo e la chiesa con fedeltà e dedizione. Essendo il celibato una norma disciplinare, come è stato imposto, così potrà essere soppresso... ma non illudiamoci! Considera possibile nell’immediato futuro una chiesa cattolica con clero sposato1? Sono certo che concluderò la mia esistenza terrena con l’attuale status quo a proposito del celibato nella chiesa latina. Roma


non ha nessuna intenzione di chinarsi sul problema o, se lo fa, non propone alternative. In attesa di poche probabili aperture, è necessario che i candidati alla vita consacrata ricevano una buona educazione nei seminari e nei noviziati. Si parli apertamente di sessualità, senza tabù e paure antiche. La sessualità è parte integrante della vita dell’uomo e della donna: rinunciare ad essa implica una grande maturazione umana e spirituale. Sarebbe utile, nel cammino formativo, avere un confronto diretto anche con la medicina e la psicologia del corpo e non solo precetti morali impartiti da preti talvolta così anziani da non ricordare più che cosa siano le tentazioni. Precetti che i futuri preti dovranno insegnare al popolo di Dio, ma che sono in parte inattuabili perché incomprensibili. Meno moralismo, più umanità! Chi non ricorda le morbose domande di confessori che volevano conoscere nei dettagli la vita sessuale dei penitenti?

nell’amore verso una persona, si imporrà una scelta. Spesso la chiesa ha pensato solo a castigare o promuovere per rimuovere (promoveatur ut amoveatur) i suoi ministri peccatori, ma troppo poco si è fatto e si fa per “l’altra metà” coinvolta nella relazione. Penso in particolare alle donne innamorate di ecclesiastici. Quale dramma profondo devono vivere per un uomo che non sarà mai loro e che magari diventerà padre nel senso stretto del termine? Un detto latino sentito dal clero italiano dell’epoca e riportato da frate Salimbene de Adam (1221–1288) al ritorno da un suo viaggio in Italia recita: “Si non caste, tamen caute” cioè: “Se non castamente, almeno con cautela”. Voglio aggiungere: cautela anche con i sentimenti delle persone, sia ecclesiastici sia laici. L’amore è e rimane l’espressione più alta di ogni individuo: in essa ci si realizza e la vita acquista un senso umano-divino. Invece di bastonare in nome di Dio, proviamo ad amare in nome di Dio.

Non si seguirà quindi il modello protestante? Credo sia difficile fare paragoni. La chiesa cattolica e la chiesa riformata non hanno gli stessi modi di celebrare o annunciare il Vangelo: i riformati non celebrano l’Eucaristia quotidianamente come i cattolici, non hanno il sacramento della Confessione e dell’unzione degli ammalati, che sono tempi preziosi per avvicinarsi ai sofferenti e dedicare loro tempo ed energie. Con questo non intendo dire che i riformati facciano meno dei cattolici ma fanno diversamente. È storicamente e teologicamente errato paragonare un prete cattolico con un pastore riformato.

note 1 Il celibato obbligatorio per il clero è la norma nella chiesa cattolica anche se già oggi esistono a questo obbligo alcune eccezioni. In primis alcuni sacerdoti anglicani sposati che hanno scelto di rientrare nella chiesa cattolica quando la chiesa anglicana ha ammesso il sacerdozio femminile. Inoltre i sacerdoti della chiesa greca-cattolica dell’Ucraina, che per antichissima tradizione conservano la possibilità di sposarsi.

Per alcuni l’obbligo di celibato è una delle cause degli scandali che hanno afflitto recentemente la chiesa. Come risponderebbe a chi la pensa così? Credo sia una stupidaggine. Farei una distinzione di fondo: considero “scandali sessuali” a opera del clero gli abusi su minori e persone incapaci di discernimento. Questi atti devono essere perseguiti e condannati fermamente sia dalla chiesa sia dall’autorità giudiziaria; in altre parole: basta con i trasferimenti in altri luoghi di ecclesiastici dalla condotta criminale! Di loro il Vangelo di Luca dice: “È inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengono. È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!”. (Luca 17,1-3). Gli atti sessuali compiuti con persone adulte e consenzienti non li considero scandalosi in sé, ma certamente una contro-testimonianza e fonte di non poche preoccupazioni.

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In che senso? Non dimentichiamo che oltre allo “sfogo” della sessualità, anche il cuore ha la sua da dire. Un ecclesiastico che si innamora si trova in un bel pasticcio perché prima o poi, nello stato attuale della cose, e se vorrà perseverare

Agorà

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La bellezza del mondo ˇ Considerato da molti il Cechov del dopoguerra, John Cheever è certamente uno dei maggiori scrittori di riferimento, insieme a Raymond Carver e John Updike, nella produzione di racconti di Irina Zucca Alessandrelli

Arti

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John Cheever (immagine tratta da www.dariolatercera.com)

Benché oggi sia definito “american master of short stories”, John Cheever (1912 Quincy, Massachussets – 1982, Ossining, New York), fu sempre tormentato dall’idea di essere uno scrittore di serie B, un narratore di provincia. Cominciò a pubblicare su The New Yorker nel 1935, e arrivò a vincere il premio Pulitzer con la sua raccolta di racconti nel 1979. Tra questi, il più noto resta ancora oggi Il Nuotatore (da cui è stata tratta anche una versione cinematografica con Burt Lancaster nel 1968). Sempre nel 1979 vince il National Book Critics Circle Award, nel 1981 il National Book Award e, due

mesi prima della morte, Cheever viene insignito della Medaglia Nazionale per la letteratura dall’Accademia Americana di Arti e Lettere. Malgrado queste onorificenze, per molto tempo Cheever non raggiunge né negli Stati Uniti, né in Europa (le traduzioni arriveranno con parecchi decenni di ritardo) il dovuto riconoscimento, e solo in anni molto recenti ha ottenuto la notorietà. La voluminosa biografia Cheever: a life di Blake Bailey pubblicata negli Stati Uniti nel 2009 (non tradotta in italiano) ha rimesso Cheever sotto i riflettori del grande pubblico e della critica. Mentre, per i lettori di lingua


italiana si è dovuto attendere il 2012 per la raccolta completa dei suoi racconti (scritti tra il 1946 e il 1978) e i suoi diari, da lui scritti tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Ottanta, pubblicati postumi dai suoi familiari nel 1991 (in italiano Una specie di solitudine. I diari, Feltrinelli). Ammiratore di Hemingway e Fitzgerald, ispirato e, a sua volta stimato, da Saul Bellow e John Updike, Cheever tiene corsi di scrittura nel 1973 presso lo Iowa Writer’s workshop (qui è suo allievo lo scrittore T.C. Boyle), nell’aula accanto a Raymond Carver, maestro del minimalismo in scrittura, con cui condivide anche il disperato alcolismo. Nei suoi racconti, (Cheever ha scritto anche quattro romanzi) ambientati nelle periferie nordamericane tra villette familiari, piscine e vialetti, emerge il fascino e la meschinità della media borghesia, di cui lui stesso faceva parte. Ma, essendo un personaggio difficile – prima di tutto per se stesso, e difficilmente etichettabile dalla critica e dall’accademia – è stato poco studiato, troppo spesso liquidato come depresso. Notissimo il suo alcolismo (da cui esce solo nel 1975 dopo aver frequentato gli Alcolisti Anonimi), e la sua sofferta accettazione dell’omosessualità che mal si sposava con la tipica vita di provincia americana negli anni Quaranta (marito e padre di tre figli), oltre che con la sua fervente fede cattolica. Dopo la curatissima biografia, Cheever torna sulla scena internazionale per restarci a lungo, se non per sempre. E si scopre che persino nella prosa diaristica ha molto da dire sui sentimenti e l’amore per la vita, tanto da aver il pregio dell’universalità. Il segreto di uno scrittore I diari di Cheever, infatti, rivelano un’intimità e una liricità rarissime. Il contenuto non è tipicamente quello diaristico perché, accanto alle annotazioni dei fatti quotidiani, incontri con persone conosciute e sconosciute, che poi sviluppa in alcuni racconti, ai commenti su avvenimenti di cronaca, ai ragionamenti sull’equilibrio dei suoi personaggi, si trovano confessioni privatissime e riflessioni sulla vita. Egli svela, innanzitutto, la costruzione dei suoi racconti dall’interno e la creazione dei personaggi, rivelando l’alta professionalità di scrittore alla ricerca delle verità più nascoste. La prosa è così tesa verso la natura profonda delle persone e delle situazioni, da diventare lirica con accostamenti di aggettivi originali e incredibilmente pregnanti. Le definizioni sono al contempo secche e profondissime. Tutti possono ritrovare una situazione vissuta o il ricordo di un dialogo o lo spettacolo della natura perché tutto si staglia negli occhi della mente del lettore. Cheever inventa una prosa

avvincente che “si porta addosso la sua vitalità come un filo elettrico scoperto” e conduce il lettore da una pagina all’altra con entusiasmo perché “vicino ai sentimenti, vicino al cuore”. E qui sta la lezione di universalità e liricità cheeveriane, eccezionali da trovare in un diario scritto per se stesso e pubblicato dai figli e dalla moglie. Pur nella difficoltà per un lettore di trovare in una stessa pagina scenari temporali e temi tra loro lontanissimi, e di non poter godere di una trama, i diari sono costellati di incredibili perle preziose. A ben guardare, c’è molto più di una trama, c’è l’amore traboccante per la vita nei suoi più piccoli segni, colti con un’intelligenza sofferta ma infallibile (dalla pattinata sul lago ghiacciato alla camicia fresca di bucato). Come quando parlando di una donna incontrata, Cheever dice: “È il genere di bellezza che promette intrattabilità ed emozioni profonde e poco complicate, e che suggerisce uno sfondo, non dico un posto qualsiasi, dico quella capacità mistica che possiede la maggior parte delle belle donne di suggerire un orizzonte”. Anche nelle critiche a sua moglie, le parole sono semplicemente dense e taglienti: “ogni angolo e superficie della vita sembra frustrarla e irritarla. Inveisce contro il tacchino e inveisce contro il puré di patate”. Sottile come un capello In preda all’astinenza alcolica, nel baratro della disperazione per la sua dura lotta contro gli impulsi della carne, Cheever dichiara: “Io sono continuamente assorbito dall’amore per mia moglie e i miei figli: che questo amore, questa passione, non abbia corretto la mia natura è ben noto. Ma c’è una meravigliosa serietà in questa faccenda del vivere…”. Altrove, annota: “Tutto il giorno a letto; fuori è bellissimo, ma non prenderò la bellezza del mondo come un rimprovero”. Questa capacità di godersi lo splendore della vita non lo abbandona neanche nei momenti più torbidi e le sue pagine sono il frutto di un’infaticabile volontà di amare l’esistenza. Cheever ci offre un’intimità rara e una fede nell’autenticità che fanno dei diari un dono per il lettore più attento. Anche nelle pagine finali, scritte poco prima di morire di cancro, descrivendo una nevicata, conclude: “Non c’è stato un singolo centimetro di neve su cui abbia sciato che non abbia amato. Non c’è stato un singolo centimetro di neve su cui abbia corso che non ricordi con affetto”. E l’eredità di Cheever non si può che trovare ancora una volta nelle sue parole “… mi sembra di vedere con chiarezza quel passaggio nei rapporti umani in cui la linea fra la creatività e la luce, fra il buio e il disastro, è sottile come un capello. E penso che è un fardello che mia madre si portava quasi sempre addosso e penso che, come in ogni altra cosa, la luce trionferà”.

Arti

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Conseguenze della revisione sbagliata della legge sulla pianificazione del territorio (LPT):

Affitti esorbitanti per il ceto medio e per le famiglie! La LPT rinnovata limita le zone edificabili al fabbisogno teoricamente prevedibile per 15 anni. Nessuno conosce questo fabbisogno e l’amministrazione federale rifiuta ostinatamente di avanzare delle cifre. La Confederazione costringerà i cantoni a declassare i terreni edificabili eccedenti. La penuria artificiale di terreni da costruzione che ne risulterà provocherà un aumento dei costi dell’alloggio. Gli affitti aumenteranno massicciamente. Già oggi le famiglie e il ceto medio fanno fatica a trovare degli appartamenti a prezzo accessibile in molte regioni. Bisogna perciò votare NO a questa revisione sbagliata della LPT. Comitato apartitico «NO alla fallimentare revisione della LPT» Casella postale 8166, 3001 Berna

www.revisione-lpt-no.ch

Perciò il 3 marzo

NO Revisione LPT


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Contro l’indifferenza Figura di punta del giornalismo svizzero e ticinese, Aldo Sofia, che abbiamo incontrato di recente, è un modello di autorevolezza e autenticità. Un uomo che ha saputo affrontare con coraggio e creatività le sfide e i cambiamenti che nel corso degli ultimi decenni hanno investito l’ambito dei media di Nicoletta Barazzoni

Il conto alla rovescia è iniziato.

Media

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Suo padre è originario di Bronte, il paese dei pistacchi in Sicilia, sui pendii dell’Etna. È lì che si concentra il maggior numero di famiglie con il cognome Sofia. Ricerche toponomastiche sostengono che potrebbe derivare dalla parola greca sophia, che significa saggezza, sapienza. “Non ci siamo”, ci dice Aldo Sofia, “fra me e la saggezza mi sembra ci sia poca… sintonia”. La sua biografia giornalistica, iscritta nelle pagine della RSI, è solida e coraggiosa. Una professionalità racchiusa nella scatola degli utensili colma di esperienze anche come inviato speciale nei paesi in guerra. Lo incontriamo per una chiacchierata. Cosa faceva prima di fare il giornalista alla RSI? Facevo… il giornalista. Vocazione precoce e testarda. Ricordo il mio primo articolo: la classifica di una tappa del Tour de France. Tanta gavetta, persino telefonista e correttore di bozze. Primi passi al Giornale del Popolo e c’era ancora il piombo, poi la radio ed erano i tempi del Bollettino dell’Agenzia telegrafica svizzera solennemente letto da Mario Casanova, infine la televisione dal 1973. Sì, dalla vecchia tipografia al tablet di oggi. Tecnologicamente, una pazza corsa, da capogiro. Si è mai sentito in carriera? Più che in carriera, costantemente sotto esame. Non credo di aver fatto carriera come la si intende comunemente. Ho inventato

programmi televisivi e guidato redazioni, tutto qui. La soddisfazione professionale più importante? Se proprio devo scegliere, l’esperienza fatta con Falò. Quando con un gruppo di colleghi si puntò decisamente sull’inchiesta giornalistica: indagine su una situazione, accuratezza, e poi farsi interpreti delle domande del pubblico con l’ospite di turno, correttamente ma in modo incisivo e senza complessi. Lei si considera un uomo austero? Austero? Definizione… fin troppo gentile. Comunque ho avuto dei maestri locali di giornalismo, Silvano Toppi, Giampiero Pedrazzi, Willy Baggi. Bravi ma anche esigenti. Esigente cerco di esserlo anche con me stesso. Aggiungiamo il mio temperamento, e fatta la somma può venir fuori quell’impressione di un’austerità magari eccessiva. Ma non penso che sia condivisa da chi mi conosce meglio, o almeno spero di no. C’è chi ha genialità, chi ha talento e chi buona volontà. Mi metta tranquillamente nell’ultima categoria. Si rimprovera qualche cosa? Nella professione… sicuramente qualche eccesso di passione per questo mestiere, che mi ha portato ad assumere atteggiamenti anche duri. Preferisco il confronto schietto, che può diventare ruvido. Ma credo di non avere quella rabbia fredda che può essere molto più tenace. Mentre lavorava come corrispondente da Roma, nel 2011 è stato richiamato in azienda per un avvicendamento difficoltoso fra i vertici del dipartimento informazione RSI. Perché ha accettato? Mi considero un aziendalista, ma non fu certo unicamente per spirito aziendale.

Situazione difficile, ma la direzione mi offriva un’altra bella opportunità. Del resto ho cambiato spesso, anche in RSI. Diciamo che di media ogni cinque anni ho potuto fare qualcosa di diverso, dall’attualità all’approfondimento. Da scattista a fondista. Non semplicissimo, non di tutto riposo, ma non so cosa ci sia di meglio. Che cosa ne pensa della sindrome dell’arrivista? Lo ripeto. Per quanto mi riguarda mi è piaciuto fare il mestiere e, cosa assai più difficile, trasmetterlo ad altri. Non credo di aver mai bloccato la crescita di chi, magari più giovane, può anche mettere in discussione le tue posizioni. Semmai questo aiuta a vigilare sulle tue capacità, sul tuo impegno. Ancor prima di lasciare la rubrica, Falò era presentato da altri colleghi.

Sconto online del 20%. Ha un modello preferito di giornalista? Da inviato, quello che scompare il mattino e rientra la sera con una storia tutta sua, originale, non scontata. Più in generale, chi sul terreno sa descrivere una situazione ma che contemporaneamente ha gli strumenti (che poi significa letture e impegno costanti) per collocarla nel suo contesto storico, spiegarne le ragioni, farla capire. Una capacità rara. Cosa le suggerisce la parola “errore”? Che anche nel nostro mestiere ci sono errori commessi in buona fede, meno gravi anche se sanzionabili se danneggiano altri.


telecamera mostrasse la nostra condizione per denunciare i carnefici? Io penso di sì. Senza compiacimento ed evitando che diventi un metodo, a volte bisogna mostrare anche questo tipo di verità. Qual è il sentimento che oggi regge il mondo? Non ce n’è uno solo, ce ne sono diversi, più o meno nobili. L’unica riflessione convinta che mi sentirei di fare, per quel che ho visto e sentito, è che uno dei peggiori mali della nostra epoca è l’indifferenza, e che raccontare i fatti è già un contributo contro l’indifferenza, e anche per le situazioni che sembrano così lontane.

Poi ci sono errori frutto della superficialità, dell’impreparazione, dello scarso impegno, o addirittura del calcolo, e questi sono inammissibili e danneggiano tutta la professione. C’è poi il rischio, che diventa errore, di ferire inutilmente le persone. Errore che posso aver commesso. Spero non troppo.

Cogliete questa opportunità. Ha mai desiderato essere un uomo diverso? A chi non succede? Non fosse che per migliorare. Ma poi bisogna fare i conti con se stessi. Mia moglie mi ha insegnato questo aforisma: se tu fossi costretto a mettere tutte le tue cose, salute capacità carattere, in un sacco; se questo sacco venisse depositato insieme a mille altri in una stanza buia, e se ti dicessero di cercare, sempre al buio, il sacco che ti interessa, non spereresti di rimettere le mani sul sacco della tua vita per non correre rischi peggiori? Ha mai subito o esercitato la censura, o fatto dell’autocensura? Censura non ricordo di averne subita e nemmeno esercitata. Semmai qualche discussione, e qualche buon consiglio per cambiare qualcosa, e questo ci sta. Più insidiosa l’autocensura. Mi ricorda il MinCulPop, il ministero della cultura popolare del periodo fascista: i giornalisti sapevano cosa non dovevano scrivere, e alla fine lo facevano automaticamente e magari anche inconsciamente. Fra noi parliamo ogni tanto del pericolo di MinCulPop mentale.

Spero di non averlo mai esercitato. C’è un solo antidoto: spirito di indipendenza e correttezza. Ha mai fatto un torto a qualcuno? Penso proprio di sì. L’importante, mi sembra, è che non sia stato fatto per danneggiare consapevolmente e volutamente gli altri. A pochi mesi dall’età del pensionamento, come affronta la lucina sulla porta con la scritta “uscita”? Con poca voglia di varcarla, quella porta. Un po’ come Woody Allen che parla del suo funerale: “prima o poi sarà inevitabile, ma preferirei non parteciparvi”. Insomma, per ora non la fisso troppo quella “lucina”. Qualche progetto per il futuro c’è, ma nulla di sicuro. Il piccolo schermo? Sì, mi mancherà, ma già in questi ultimi tempi mi sembra di aver fatto una bella cura dimagrante e in video ci vado poco. Basterà come viatico? Infine, conta di più essere veri o dire la verità? Vallo a sapere… Comunque, la mia prima impressione è che sia meglio dire la verità, che mi sembra anche un modo di essere veri. Può valere anche nel giornalismo. Per mostrare la verità dei fatti è lecito diffondere qualsiasi tipo di immagine? Evidentemente no. Ma è anche successo che una volta vi fu una vivace discussione se trasmettere o meno le immagini del bombardamento del mercato di Sarajevo, una delle peggiori pagine della guerra balcanica. Alla fine decisi di mostrarle. Ma, oltre a segnalare la crudezza delle immagini, e pensando a possibili legittime reazioni, feci un’introduzione proponendo questa riflessione: se noi fossimo le vittime, accetteremmo che una

Non pensa mai di aver sacrificato tutto il resto per il lavoro? Lo dicono in molti, ma quasi sempre quando è troppo tardi, e sa molto di ipocrisia. Del resto “sacrificio” è concetto troppo nobile, in questo caso. Per onestà, di fronte a queste domande meglio tacere crudelmente ed essere sinceri con se stessi. Perché è estremamente facile truccare le carte. Anche relativamente al nostro lavoro. Potrei essere “paraculo” e parlarle dello strazio visto sul volto di un bambino in un miserevole campo profughi. Forse me la caverei dando del sottoscritto un’immagine che è solo parzialissima. Dunque mi limito a dirle che ho vissuto questa professione in modo quasi febbrile, che questa scelta non poteva non avere conseguenze anche nell’ambito privato, che ho avuto il privilegio di viaggiare e conoscere, che mi è capitato di vedere il meglio e il peggio di quanto l’umanità può produrre, bellezze e nefandezze, la genuinità più disinteressata come l’indecenza della violenza, insomma il magnifico “legno storto” di cui è fatto ognuno di noi. Non a caso il mio albero preferito è l’ulivo, e… quello di Prodi non c’entra nulla.

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Media

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» testimonianza raccolta da Keri Gonzato; fotografia di Igor Ponti

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Clarissa Semini

Vitae

fluire senza interferenze sono gli stessi. Questo vale sia per la nascita di un individuo a se stesso che per la nascita di una creatura sulla terra. Per quanto riguarda quest’ultima, sono al servizio della madre/ coppia durante la gravidanza, il parto e il post parto fornendo la mia presenza costante a livello fisico, emotivo, spirituale e informativo. Essere una doula per me significa essere una custode della nascita: uno dei miei ruoli è quello di proteggere quello che sta avvenendo affinché possa svolgersi indisturbato, assicurandomi che la fisiologia venga rispettata, evitando così interventi inuHa scelto di svolgere una professione ra- tili che potrebbero perturbare ra e non molto conosciuta, la doula, ma il processo. Credo profondaal contempo importante e sempre più mente nel potere della nascita, nella sua “involontarietà”, apprezzata nel nostro cantone. Storia di nell’antica saggezza che la una vocazione che nasce da un’innata donna porta in sé e so che il suo corpo sa perfettamente passione per la vita e per gli altri cosa fare. Durante la gravicontinuavo con esperienze danza aiuto la donna/coppia a ricevere tutte evolutive personali, saggiavo le informazioni necessarie perché possano gli strumenti acquisiti conscegliere in modo consapevole cosa desidestatandone il potere benefico. rano per la nascita del proprio figlio. C’è chi Poi, pochi anni fa, mentre la mi chiede inoltre di essere accompagnato in mia gatta partoriva, ho avuto un contatto più profondo con il bambino, un flash e mi sono ricordata con il proprio femminile (o maschile), con di quando da piccola pensavo paure talvolta nascoste ecc. La mia presenza “da grande voglio far nascere permette alla persona di vivere liberamente i bambini”. Poco dopo la vita tutto il percorso poiché si sente autorizzata mi ha fermata: a causa di una e protetta nel farlo. Durante il parto, e nel lesione, sono dovuta rimaneperiodo subito dopo la nascita, cerco di cure a casa parecchio tempo… stodire quello spazio sacro: invito il padre, se Quell’incidente è stata un’oppresente, a sentirsi come un leone che difenportunità per connettermi de il proprio territorio e mi prendo cura della con la mia verità. Mi sono madre affinché lei si dedichi totalmente al arresa, ho smesso di preocsuo bebè. È diventata un’urgenza diffondere cuparmi ed è arrivato tutto: sempre di più il rispetto per la nascita. ho scoperto il mondo delle Oggi si danno per scontate molte procedure doula e, tramite la Childbirth ma ci sono altre possibilità, come il rivolgerInternational, mi sono posi alla doula e alla levatrice e prendersi del tuta in-formare da casa. Più tempo per vivere questo momento intimo leggevo più capivo di essere e prezioso rivolgendo l’attenzione all’intertornata al cuore della mia no di sé, ascoltando e scoprendo il proprio ricerca, ero assetata di tutto corpo. Da queste riflessioni sono nati l’Associò che riguardava la nasciciazione Nascere Bene Ticino, con lo scopo ta: la fisiologia del parto, la di promuovere sul territorio la nascita fisiosacralità dell’evento ecc. logica e il Cerchio delle Doule della Svizzera Oggi sono una doula e mi italiana. C’è tanto da fare nell’informare le occupo di accompagnamento persone sull’importanza del nascere bene… alla nascita. Ogni passaggio Nel frattempo resto aperta alle proposte dell’esistenza rappresenta della vita che di recente mi ha dato la posuna nascita, racchiude una sibilità di vivere in un luogo meraviglioso trasformazione e i principi a contatto con animali, tra cui i cavalli, dai grazie ai quali il tutto può quali sto ricevendo nuove informazioni.

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S

ono nata alla clinica Sant’Anna di Sorengo il 23 novembre 1975. Fin da adolescente ho sviluppato una grande curiosità per quel momento. Ponevo domande a mia madre la quale rispondeva che era stata una nascita “normale”. Tante mamme in quegli anni hanno vissuto i parti subendoli: c’era poca informazione che permettesse delle scelte. Quando nacque mio fratello avevo cinque anni, volevo sempre stare con lui, affascinata da quella cosina così piccola. Fin da allora, quando prendo in braccio un neonato, si stabilisce tra noi una comunicazione, un senso di riconoscimento. Fu quindi naturale iniziare molto presto a fare la babysitter e le famiglie del paese mi lasciavano i loro piccoli con fiducia spontanea. Era come se il mio cammino fosse già tracciato… Poi, come spesso accade, ho avuto un periodo di distacco che mi è servito sia per fare tante esperienze sia capire ancora meglio che dedicarmi alla nascita faceva parte di me. Dopo la maturità federale, ho deciso di viaggiare, sono stata in Egitto e un anno in Australia. Al rientro ho iniziato a lavorare in ufficio ma ero sempre accompagnata da una nota di insoddisfazione e ringrazio me stessa per non essermi mai accontentata… Così, tra un ufficio e l’altro, continuavo a viaggiare. Un giorno leggendo un articolo sui clown dottori, che mi ha portata a partecipare a un corso tenuto dall’Accademia di Clown Teatro a Bolzano, si è aperta una nuova porta. La mia creatività si è risvegliata e ho ricevuto gli strumenti che oggi utilizzo nell’accompagnare le donne in gravidanza e non solo. È stata un’esperienza molto forte che mi ha portata a sgretolare tutte le maschere con l’obiettivo di arrivare a incontrare la mia reale essenza. A quel punto non potevo più nascondermi dietro a professioni che non mi rappresentavano. Mentre


Bonifacio Bembo alla Biblioteca Ambrosiana

Sette tavole, cento storie a cura di Giancarlo Fornasier


I

l recupero, il restauro e la moderna conservazione di un bene artistico non sono semplici esercizi tecnico-esecutivi. Rappresentano piuttosto la costruzione di un imprescindibile bagaglio conoscitivo del manufatto sul quale si interviene, ridonando all’opera quell’insieme di nozioni storico-artistiche che ne fanno un documento unico e irripetibile. L’autore, la genesi, i committenti, i materiali impiegati, le tecniche, le relazioni storico-estetiche, le similitudini stilistiche, le diagnosi sullo stato conservativo ecc. sono tanti passaggi obbligati che permettono al restauratore e ai suoi collaboratori di intervenire nel rispetto dell’opera, quale ricchezza culturale e sociale sulla quale investire e in vista di una fruizione pubblica la più vasta possibile.

Storia di un arredo perduto Dal dicembre scorso sono esposte presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano sette tavole lignee policrome della metà del Quattrocento, che i recenti restauri eseguiti e coordinati dalla dott.ssa Valeria Villa di Varese hanno contribuito ad attribuire – ormai definitivamente – a Bonifacio Bembo (1420–1480), pittore e miniatore nato a Brescia ma di origini cremonesi che lavorò per i duchi di Milano (Sforza e Visconti). Le tavole di pioppo, leggermente incurvate e di formato rettangolare (36 x 42 cm circa), mostrano figure verticali a mezzobusto incorniciate da due colonne tortili. Si tratta di “tavolette da soffitto – come spiega la dott.ssa Isabella Marelli (Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnografici di Milano) nei documenti che presentano la mostra –, pannelli dipinti che venivano disposti inclinati lungo le travi, alternati alle mensole e ai travetti che sostenevano i soffitti delle stanze, secondo un uso comune ampiamente documentato in Lombardia e nelle zone limitrofe nelle abitazioni private e negli edifici pubblici nei secoli XV e XVI”. Esse dunque fanno parte di un arredo (“poi smontato e smembrato in più parti”) di una o più grandi stanze presenti nel Monastero della Colomba di Cremona, un antico complesso nei secoli abbandonato e trasformato in abitazioni private. Si stima che le tavole dovessero essere “almeno 150”, oggi sparse in varie collezioni europee e statunitensi: un buon numero (oltre 70) sono di proprietà del Musée des arts décoratifs di Parigi, di queste solo 38 restaurate ed esposte. Il recupero di questi manufatti è esemplare dell’enorme ricchezza che il territorio italiano e i suoi musei (pubblici e privati) ancora oggi celano. Ce lo racconta la dott.ssa Villa, inizialmente chiamata dai responsabili del Museo Pogliaghi presso il Sacro Monte di Varese a visionare le tavole policrome e a valutarne lo stato conservativo: “Le tavolette versavano in condizioni di degrado avanzato con importanti zone di sollevamento e distacco della pellicola pittorica, ampie zone di fratturazione dei supporti lignei, diffuse zone vulcanizzate da pregresse infestazioni di insetti xilofagi e presenza diffusa di depositi di particellato secolare (polveri e sporcizia di varia natura, ndr.). Alcune di esse erano talmente fragili che, prese in mano, restavano i segni di depressione causati dai polpastrelli delle dita: questo per l’effetto spugnoso dei supporti pervasi dai vuoti delle gallerie degli insetti. La prima volta che ho visto le tavolette erano adagiate su un cartone e avvolte da carta velina. La seconda volta, a distanza di qualche mese, le ho trovate disposte di taglio in scatoloni di cartone, archiviate e catalogate”. Sin da subito le opere oggi esposte all’Ambrosiana sono state messe in relazione con altre numerose tavole presenti a Parigi e ai due esemplari visibili al Musée d’art et d’histoire di Ginevra. Dott.ssa Villa, quando avete avuto la certezza che la mano (o la bottega) fosse la stessa? “La certezza del medesimo ambito di produzione e che provenissero dagli stessi ambienti conservativi l’abbiamo avuta dopo aver preso visione delle altre tavolette, e aver messo in raffronto gli esiti delle indagini diagnostiche eseguite sia a Parigi sia a Ginevra. Grazie all’interessamento della Soprintendenza e della Veneranda Biblioteca Ambrosiana – nella figura di don Alberto Rocca, dottore del Collegio – ho avuto diretto accesso al Musée des arts décoratifs, di cui ho incontrato la conservatrice, Monique Blanc. Ho avuto così modo di prendere visione in archivio dei dati scientifici in loro possesso rilevati in occasione del restauro del 1996, e di confrontarli coi nostri. Nel frattempo, su segnalazione della dott. ssa Blanc, ho preso contatto con una studentessa specializzanda di Ginevra, (...)

nella pagina precedente, tavola n. 7 A restauro ultimato, le evidenti lacune della pellicola pittorica non sono state, volutamente, compensate. Queste permettono al fruitore di percepire sia la natura del supporto (le tavole sono di pioppo) sia le vicissitudini vissute nei secoli dai preziosi manufatti a destra e in basso, tavola n. 4 Nell’immagine grande, ecco come si presenta oggi la tavella n. 4; tra le più complesse sulle quali si è intervenuti, era spezzata in tre parti, ricomposte grazie alla consulenza e all’esperienza del prof. Ciro Castelli, già docente presso l’Opificio delle pietre dure (Firenze). Sotto: la riflettografia infrarossa è tra le indagini non-invasive effettuate sulle sette tavole della Collezione. Essa permette, tra l’altro, di riconoscere visivamente eventuali rifacimenti e interventi posteriori. Più in basso: un particolare floreale della tavola n. 4. La tecnica utilizzata da Bonifacio Bembo prevedeva una preparazione di fondo dalla tonalità giallastra



tavola n. 6 “VelocitĂ e scioltezza del disegno, poche linee pure, sapienti, per definire nei dettagli tratti fisiognomici ben caratterizzati. Raffinata definizione dei dettagli: occhi, ciglia, boccoli, fermagli, acconciature, orecchie... con decise pennellate miniaturistiche, prive di pentimenti o indecisioni. Vi è una grande maestria e destrezzaâ€? (V. Villa)


tavola n. 3 “La palette di pigmenti scelti da Bonifacio Bembo è di assoluto pregio: azzurrite, orpimento, indaco, lacche rosse e verdi... Nella fase di restauro la pulitura dei blu è stata emozionante: le perle dei fermagli hanno rivelato la presenza dell’azzurrite poco leggibile in precedenza, cosi come alcuni sfondi, all’interno delle colonnine tortili...” (V. Villa)



a destra e in basso, tavola n. 5 Nella foto grande, la tavella com’è visibile in questi giorni nelle sale della Pinacoteca dell’Ambrosiana a Milano. In questa pagina: ecco come si presentava la tavella n. 5. prima dell’intervento della dott.ssa Valeria Villa. Più in basso: una visione a luce radente evidenzia i punti di sollevamento della pellicola pittorica. Sotto: un tassello o prova di pulitura preliminare

Lea Gentil, che stava studiando le due tavolette conservate nella sua città. Abbiamo confrontato i risultati delle nostre analisi riscontrando dati praticamente sovrapponibili quali, per esempio, il tipo di preparazione di base, identici pigmenti, come l’azzurrite e giallo d’orpimento a base di solfuro di arsenico in uso negli atelier dei miniatori. Sia a Ginevra che a Varese abbiamo scoperto la presenza di finiture pregiate con voluto effetto traslucido con l’impiego di lamina metallica (stagno) e stesure oleose di verde (viridis). Ma sono solo alcuni dei tanti elementi che hanno favorito il convincimento che, dal punto di vista tecnico esecutivo e per le vicende conservative, il corpus dovesse essere unitario. Oltre naturalmente a una serie di considerazioni stilistiche ovvie...”. Restaurare: le scelte e le sfide Dopo i primi interventi di “messa in sicurezza” dei supporti e delle pellicole pittoriche, è stato necessario chiarire quale tipo di restauro voleva essere perseguito, in particolare rispetto alle estese lacune della pellicola pittorica che segnavano alcune tavole. È stata una scelta chiara sin da subito? “La scelta di restituzione estetica nella mia mente è stata chiara sin da subito: già in fase progettuale avevo proposto una restituzione estetica volta essenzialmente all’abbassamento tonale di tutti i disturbi che avrebbero potuto interferire, anche a distanza ravvicinata, con la lettura delle immagini. La scelta di abbassare di tono tutte le abrasioni, svelature e zone compromesse da mortificanti stuccature antiche sbordanti sull’originale era prevista. Ho invece scelto, di comune accordo con la direzione scientifica della Soprintendenza e dell’Ambrosiana di non colmare le lacune che contrassegnavano già il legno a vista. Questo nel rispetto della storicizzazione dell’opera che, subiti danni di caduta del colore, presentava segni del tempo ormai divenuti parte integrante dell’opera stessa. Va detto che le mancanze di pellicola pittorica possono apparire in alcuni casi estese, ma non coinvolgono elementi essenziali per una chiara lettura dell’immagine, come possono essere gli occhi, per esempio”. È opinione assai diffusa che restaurare e conservare significhi “riportare all’antico splendore” l’oggetto sul quale si interviene. In questo senso, le tavole oggi esposte sono ancora in grado, dopo il restauro, di raccontare al pubblico sia le vicissitudini della loro storia sia di essere apprezzate nella la loro piena “bellezza” e leggibilità estetica? “Voler riportare ad «antico splendore» un’opera attraverso un restauro è uno degli errori madornali che la storia del restauro, ahimé ci ha spesso consegnato. Per fortuna sappiamo far tesoro anche degli errori: «tornare agli antichi splendori» vorrebbe dire negare per sempre la storicizzazione di un’opera, negare il valore aggiunto del passaggio del tempo su quel manufatto. Preferirei parlare di recupero di fruibilità secondo criteri filologici di un documento storico-artistico, basato sul concetto del rispetto del famoso «tempo-vita dell’opera» stessa, nell’ottica di una trasmissione al futuro quanto meno invasiva possibile. Oggi si pensa piuttosto al «minimo intervento» sull’opera, introducendo un concetto di rispetto e, nella fase di restauro, di minor impatto sul manufatto stesso”. Ma restaurare e conservare comportano dei costi e in un periodo economicamente complesso come quello che stiamo vivendo, non deve essere certamente stato semplice raccogliere i fondi necessari... “No, non è stato facile. Almeno per me che non sono abituata a farlo, poiché in precedenza mi era capitato semmai il contrario, ossia che enti sponsor mi chiedessero come e dove investire le loro risorse. Ho cercato per ben due anni e alla fine ho trovato delle persone colte e argute, disposte a investire nella cultura e per la salvaguardia del patrimonio artistico del mio paese”. Un favola a lieto fine, dunque. O la dimostrazione di quanto oggi sia complesso e interdisciplinare proteggere e tramandare dei beni culturali.

ringraziamenti Un sentito grazie per la collaborazione e la disponibilità all’utilizzo delle immagini alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano, nelle persone del Prefetto mons. Buzzi, di don Alberto Rocca e dell’arch. Elena Fontana, e alla Soprintendenza ai beni artistici e storici di Milano (dott.ssa Sandrina Bandera e dott.ssa Isabella Marelli). Il restauro è stato possibile grazie al contributo della Fondazione San Giuseppe di Confartigianato, Varese (dott. arch. Giorgio Merletti, dott. Mauro Colombo e dott. Davide Ielmini). Per la parte diagnostica: C.S.G. Palladio, Vicenza (dott. Paolo Cornale, dott. Fabio Frezzato e arch. Chiara Sotgia). Per il restauro dei supporti lignei: prof. Ciro Castelli. Per i rapporti con l’estero: Monique Blanc (Musée des arts décoratifs, Parigi) e Lea Gentil (Musée d’art et d’histoire, Ginevra).

la mostra Il colore dei volti. Sette tavolette della Collezione Pogliaghi Le tavole restaurate saranno visibili almeno sino alla fine di febbraio/inizio marzo (salvo prolungamento) presso la Pinacoteca Ambrosiana, p.zza Pio XI, Milano Tel: 0039 02 806 921; 0039 02 806 922 15; info@ambrosiana.it; www.ambrosiana.eu


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La parola che nasce di Daniele Fontana

Emergono da abissi ancestrali, componendo e seguendo filamenti originati chissà dove, chissà come, avviluppati come sono, parrebbe, alle eliche stesse del DNA. Danno forma ad amalgami impenetrabili, prossimi al nucleo metafisico del sapere, dell’essere. Lo intuisci, là sotto, quel farsi incessante e silenzioso di ponti, di strutture, esili e insieme saldissimi, tra l’essenza e la coscienza

Pensieri

44 “Mamma mano”. Nello sferragliare pneumatico di una meccanica assordante, sovrastata a sua volta dal boato sonico delle pompe d’acqua, la bimba di diciotto mesi, chiusa nel veicolo infilato in un autolavaggio, cerca il suo più grande conforto. Che siede lì, nel sedile davanti a lei. Il sorriso della mamma, la mano di lei chiesta e ottenuta, restituiscono alla piccola la morbida sicurezza che di poco precede l’abbraccio schiumoso dell’infernale marchingegno. L’epica ardimentosa si compie ben oltre e prima della sconfitta del mostro meccanico. Sta nella manifestazione di quella richiesta di soccorso. Quel sintagma elementare e insieme assolutamente perfetto pronunciato per la prima volta. Due sostantivi avvicinati in una composizione di senso immensamente potente. Su quel doppio asse la piccola – oh, quanto ancora piccola – ha costruito trionfalmente il proprio ingresso nel mondo compiuto dei grandi. Ed è meraviglia. È prodigio. È l’incanto sempre nuovo dell’intelligenza. Lo sbocciare delle parole nella sua vita le toglie a noi, persi nella gioia entusiasta di questo mistero. Già visto, vissuto, persino studiato sui libri, eppure nuovo e sorprendente quando colto così da vicino. Avete mai potuto ammirare il farsi delle parole in un bimbo? Vengono a galla da un brodo primordiale, in cui si materializ-

zano secondo leggi misteriose. Emergono da abissi ancestrali, componendo e seguendo filamenti originati chissà dove, chissà come, avviluppati come sono, parrebbe, alle eliche stesse del DNA . Danno forma ad amalgami impenetrabili, prossimi al nucleo metafisico del sapere, dell’essere. Lo intuisci, là sotto, quel farsi incessante e silenzioso di ponti, di strutture, esili e insieme saldissimi, tra l’essenza e la coscienza. Elaborazioni dapprima mute, poi balbuzienti, in composizioni cangianti, che si strutturano da sé medesime tra plagio e creazione. Sono piccoli, enormi passi, dapprima singoli e poi a grappoli, sul cammino di una seconda nascita. Da guida di se stesso. L’annunciazione balbuziente e letteraria di una vita davvero finalmente conclamata. Il comporsi meraviglioso di un mosaico atavico. In quei bimbi, che quasi tutto già comprendono, il confronto con le parole è gigantesco, pervasivo, totalizzante. L’universo dei segni è andato costruendosi da millenni. Tutto sembrerebbe essere già stato detto, scritto e forse anche pensato. Ma l’eterno stupore, generato dal compenetrarsi di suoni e di significati, accende sul tavolo dell’universo la luce di nuove stelle, l’infinita possibilità combinatoria che insieme precede, segue, ed è la sostanza stessa della parola. La cosa che più di ogni altra assomiglia all’idea di un dio.


Family Club Tendenze p. 45 | di Laura Di Corcia

La famiglia al centro delle politiche aziendali dei grandi distributori Coop e Migros. Come? Attraverso le carte famiglia, che permettono l’accesso a un club che offre promozioni speciali su alcuni generi alimentari, sui pannolini, sul latte in polvere, sui prodotti per la casa e su tutto quanto possa soddisfare i bisogni e le esigenze di un nucleo familiare che registri al suo interno la presenza di bambini e/o ragazzi Le carte “Hello Family” e “Famigros” (rispettivamente di Coop e di Migros) sono relativamente recenti e mostrano un interesse schietto verso l’universo-famiglia. Al centro dei riflettori, ovviamente, il budget, l’odiato spauracchio di fine mese: ma ecco in soccorso dei genitori e dei loro portafogli, generose offerte sui prodotti, che variano di settimana in settimana e sono selezionati proprio pensando alle necessità di un nucleo familiare. Ma di sol pane non si vive, lo sappiamo: quindi i coloratissimi e frizzantissimi website elargiscono a piene mani consigli e offerte per vacanze, attività per il tempo libero, che soddisfino il palato di grandi e piccini e permettano ai genitori e ai loro figli di trascorrere del tempo di qualità insieme, divertendosi e stando bene. Passiamo in rassegna le due carte-famiglia, che presentano numerosi punti in contatto ma anche alcune differenze.

Hello Family

La carta “Hello Family” di Coop è stata inaugurata nel settembre del 2010. Il club in questi due anni è cresciuto e conta più di 330mila nuclei familiari, più di un milione di persone. Nel corso del 2012 si sono iscritte 70mila famiglie e mensilmente si registrano diverse migliaia di nuovi iscritti. Il club è aperto a tutte le famiglie, specialmente quelle con figli; in ogni caso non ci sono limiti di età e sono benvenute anche le famiglie monoparentali. La tessera 2-in-1 Hello Family Supercard permette ai soci di accedere a tutti i vantaggi del club, continuando a raccogliere i classici Superpunti, che possono anche essere utilizzati per pagare o sfruttati per ottenere altri attrattivi premi. E ora veniamo alle offerte che, come fanno notare i responsabili del progetto, sono stabilite di mese in mese in maniera democratica, utilizzando la rete in modo intelligente: le promozioni vengono infatti determinate online, di volta in volta, dagli stessi membri del club, che possono votare una delle offerte proposte per il mese successivo, sperando che la maggioranza la pensi allo stesso modo. Inoltre, il cliente ha la possibilità di stampare a scelta attrattivi buoni sconto, che potrà presentare alle casse.

Famigros

“Il club Famigros esiste da marzo 2012” precisa Francesca Sala, responsabile PR della Cooperativa Migros Ticino. “La prima attività è stata organizzata all’Europapark di Rust, dove quasi tutte le seimila famiglie che avevano aderito a suo tempo al club hanno avuto l’opportunità di visitare gratuitamente il parco divertimenti, quel giorno aperto esclusivamente per Migros (con il viaggio in treno e torpedone organizzato)”. Il club Famigros, che alla fine del 2012 contava settemila famiglie iscritte, è aperto a tutti i genitori che abbiano almeno un figlio di età non superiore ai 25 anni e che siano titolari di una carta Cumulus. L’iscrizione è gratuita ed è aperta anche ai futuri genitori, i quali possono già diventare soci durante la gravidanza, ancor prima che il nascituro venga alla luce. I soci del club beneficiano di vantaggi esclusivi: offerte risparmio, sconti per attività ricreative e servizi. In aggiunta alle offerte sui diversi prodotti del vasto assortimento Migros, Famigros sostiene poi i genitori fornendo informazioni, suggerimenti pratici e altro sul portale famigros.ch, che è strutturato per fasce di età (gravidanza, baby, kiddy, junior, young). Lì ogni settimana si trovano le offerte riservate ai soci del club, oltre a una serie di consigli sulla salute e l’educazione elargiti da esperti del settore, con la collaborazione del “Club svizzero dei genitori” di Pro Juventute. Una sorta di rivista online, ricchissima di suggerimenti e dritte utili, aperta a tutti. I temi non riguardano soltanto l’educazione e la salute: di settimana in settimana ci sono suggerimenti su come passare il tempo libero in maniera creativa, arricchiti da ricette sane e gustose pensate per i compleanni, le festività e altre occasioni speciali.


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Tra il 18 e il 20 febbraio pianeti nel segno dei Gemelli supportati da una Venere amica in Acquario. Opportunità, avanzamenti professionali e incontri originali per i nati in tutte le decadi. Sentimenti favoriti.

Dal 17 febbraio potrete contare sul transito di Marte. Grazie al suo influsso sarete in grado di affrontare una situazione difficile. Influssi sempre ambivalenti per i nati nella terza decade, svogliati, ma inquieti.

Fantasie e passioni irrefrenabili favorite dal trigono con Venere e dalla quadratura con Marte. Grandi opportunità professionali per i nati nella prima decade. Particolari le giornate tra il 18 e il 20 febbraio.

Marte e Mercurio amici per la pelle. Grazie a questi ottimi transiti godrete di un’ottima energia fisica e di una grande lucidità mentale. Le vostre parole colpiranno nel segno. Possibili tensioni tra il 21 e il 22.

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Grazie alla Luna riuscirete a controllare ogni tensione. La libertà e l’indipendenza del partner continua a urtare l’amor proprio dei nati nella terza decade. Buoni affari per i nati nella prima decade. Affaticamento.

Le giornate del 22 e del 23 febbraio caratterizzate da sbalzi umorali. Tenete a freno la vostra irascibilità e la vostra lingua. Non siate permalosi con il partner. Impegnatevi nelle cose che vi sono più consone.

Venere assai favorevole per i nati nel segno. Grazie ai buoni aspetti con Giove e a una Luna propizia tra il 18 e il 20 febbraio potrete veder realizzato un vostro sogno d’amore. Tensioni con i colleghi di lavoro.

Grazie a Mercurio e alla Luna potrete accrescere il vostro carisma. Momento buono per portare a termine una trattativa. Tensioni amorose e in famiglia. Novità in arrivo per i nati nella seconda decade.

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Grazie a Venere per i nati a metà dicembre si apre una nuova fase evolutiva. Amplificazione delle capacità auto creative. Incontri karmici. Aprite la porta al futuro che avanza. Malumori passeggeri tra il 18 e il 20.

Fine febbraio da dedicare al lavoro. Con Mercurio, Marte e Nettuno, favorevoli in ogni situazione, riuscite ad avere la giusta ispirazione. Se siete in politica potete andare alla grande. Luna storta tra il 21 e il 22.

Momento decisivo per i nati tra la seconda e la terza decade. Se volete cavalcare l’onda e poi fare “strike” scegliete tra il 18/20 febbraio. Novità sentimentali. Possibili nuove situazioni professionali e di guadagno.

Marte, Mercurio e Nettuno nel segno. Il periodo si fa caldo e ricco di incontri, nuovi stimoli e opportunità. Momento buono per chi sa dove andare ma difficoltoso per gli indecisi. Tensioni familiari tre il 18 e il 20.

» a cura di Elisabetta

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Orizzontali 1. Triste, desolato • 10. Un personaggio dell’Otello • 11. L’arte di Fellini • 12. Valutata e apprezzata • 14. Nostro in breve • 15. Il fiume di Roma • 16. Andati con il poeta • 17. Fu regina di Spagna • 18. È vicino a Pallanza • 20. La terza nota • 21. Abitazione • 22. Consonanti in ruota • 24. Il nome della Oxa • 25. L’antagonista del Milan • 27. Mezzo vaso • 28. Quella nera è sugli aerei • 30. Sport invernale • 31. Bordi, margini • 32. Uno stuolo... d’api • 35. Il fiabesco Peter • 36. Vi sono anche quelle cliniche • 37. Mesce vino • 38. Affermar • 40. Il noto Marvin • 41. Indossa una divisa • 43. In mezzo al mare • 44. Cola dal tronco • 45. Le iniziali di Muti • 46. La dea greca dell’aurora • 47. Torna sempre indietro • 49. Il mitico re di Egina • 50. I confini di Essen • 51. Assicurazione Invalidità. Verticali 1. Il complesso formato dei vasi sanguigni • 2. Vi si appende il ciondolo • 3. Parte del cannone • 4. Ognuno ha il proprio • 5. Grosso fiore a palla • 6. Il nome della Massari • 7. Argovia sulle targhe • 8. È di luna... in una canzone di Mina • 9. Vi sosta la carovana • 13. Motivetto orecchiabile • 16. Tiro centrale • 19. Assai • 21. Sono famose anche quelle del Niagara • 23. Rimorchiare • 26. Un pesce dal corpo discoidale • 29. Sono tempestose in un libro della Brönte • 30. Golfo dell’Africa settentrionale • 33. Si empie di reclute • 34. Un’orbita descritta da un corpo celeste • 39. Isola greca • 41. Il nome di Patacca • 42. Avverbio di luogo • 44. Colpevole • 48. Dittongo in Coira.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 9

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 21 febbraio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 19 feb. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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La soluzione del Concorso apparso il 1. febbraio è: VERIFICA Sono state sorteggiate: Grazia Giacomini 6760 Faido Erica Ratti 6982 Agno Elsa Brunoni 6593 Cadenazzo Betty Rudaz 6616 Losone

Premio in palio: due buoni Agenzie viaggi FFS

Le Ferrovie Federali Svizzere offrono 2 buoni viaggio per un valore totale di 100.– CHF a 2 fortunati vincitori. Ulteriori informazioni nel portale ffs.ch/agenziaviaggi

Agenzie viaggi delle Ferrovie Federali Svizzere Il mondo è a portata di mano grazie alle Agenzie viaggi FFS, che offrono straordinarie ed esclusive vacanze a prezzi super competitivi. Gli itinerari sono completi e gli sconti assicurati, tanto che quest’anno è addirittura previsto un bonus di 50 franchi valido per ritirare valuta estera al momento della prenotazione o per avere uno sconto sulle assicurazioni annuali ELVIA. La promozione dura solo fino al 18 marzo. Cosa aspetti, allora, a sfogliare le pagine del catalogo, anche online, e a scegliere la meta che più preferisci! E a proposito: non dimenticare di partecipare subito al concorso sul sito ffs.ch/agenziaviaggi e tentar la fortuna. In palio un buono viaggio del valore di 5.000 franchi!

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Con i figli, ne parla della Sua alattia?

www.legacancro.ch

GfellerGrafik / Foto: Corina Fl端hmann

La Lega svizzera contro il cancro e la Sua Lega cantonale contro il cancro sanno consigliarla.


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