№ 15
del 12 aprile 2013
con Teleradio 14 – 20 aprile
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04.04.13 15:10
Ticinosette n° 15 del 12 aprile 2013
Impressum
Agorà Marchio Svizzera. Quali tutele? Arti Verdi e Wagner. Italia vs Germania
Eroi Antigone Tiratura controllata
di
Società Incontri letterari. Notte romana di
oreSte BoSSini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
di
Marco alloni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
FranceSca rigotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Letture Uomini straordinari
di
Chiusura redazionale
Vitae Gianfranco Feliciani
gaia griMani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Editore
Reportage Il segreto di Markus
68’049 copie
Venerdì 5 aprile Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Fiabe Andrea e la mucca
di
di
Marco alloni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
di
4 6 8 10 11 12 37 42 44 46 47
Silvano de Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
di
FaBio Martini; Foto di MarkuS Zohner . . . . . . . . . . . . . . . . .
chiara Piccaluga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tendenze Femminilità. Décolleté d’appeal
di
MariSa gorZa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
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Stampa
(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Totem svizzero Illustrazione di Antonio Bertossi
“Il mondo appartiene ai furbi...” A oggi, momento della chiusura di Ticinosette, “l’esplosione dello scandalo fiscale planetario” battezzato Offshore-leaks riguarda 122mila società e 12mila intermediari finanziari . Oltre naturalmente a decine di migliaia di persone che hanno depositato denaro e hanno investito fondi non dichiarati . Il giornalismo alla Tutti gli uomini del presidente impegnato a controllare le fonti – si parla di 2,5 milioni di file – segna dunque un punto a suo favore; in controtendenza, visto che il giornalismo d’inchiesta è dato per moribondo . Questa volta, invece, un folto gruppo di firme di mezzo mondo raccolte sotto il cappello dell’ICIJ (The International Consortium of Investigative Journalists - Consorzio internazionale per il giornalismo investigativo) ha reso pubblico un lavoro di analisi che, vista l’enormità di informazioni ricevute, deve per forza di cose essere stato impegnativo e che certo non è concluso: adesso sarà necessario capire quali sono i conti non dichiarati e quali sono le società “in regola” e quelle invece create con il solo scopo di nascondere soldi ed evadere il fisco . Secondo quanto scrive il quotidiano tedesco Bild, “i documenti sono arrivati in un hard-disk per posta” al Consorzio . Chi abbia spedito il malloppo non è per ora stato chiarito . Ma certo sarebbe assai interessante saperlo: 260 gigabyte – questo il “peso” delle informazioni – potrebbero essere il risultato di un’attività svolta nel corso dei decenni da parte di ex dipendenti, impegnati a sottrarre nomi e numeri negli orari d’ufficio . . . Lavoro rischioso ma che ha dei noti precedenti anche in Svizzera, piazza finanziaria che secondo alcuni potrebbe uscire rafforzata da quanto sta avvenendo . Più semplice e veloce sarebbe stato invece un attacco informatico in grande stile (e chiaramente mai reso noto alla stampa) mirato
a quelle banche, società intermediarie e alle finanziarie che “aiutano” facoltosi clienti a occultare ricchezze e denaro da ripulire e riciclare . Nomi e prestanomi poco inclini a farsi pubblicità ma prontissimi a proporre (in sale riservate e solo ai clienti “più importanti”) scappatoie per pagare qualche balzello in meno . L’ICIJ ha sede a Washington, e come sappiamo la Casa Bianca è tra gli attori più intraprendenti nel ricercare e scovare cittadini “furbi” e poco inclini a rimpolpare le casse disastrate della grande potenza americana . I tempi sono difficili, questo è noto a tutti: Barack Obama e il suo staff si sono dati un leggero ma significativo taglio agli stipendi, mostrando una certa sensibilità (elettoralistica?) rispetto alla popolazione statunitense, impegnata da anni in una ripresa troppo lenta . Insomma, l’intelligence USA avrebbe tutte le capacità e gli appoggi politici per confezionare una banca dati enorme come quella giunta al Consorzio dei giornalisti, con tanto di plauso da parte del fisco (e del governo) . Ma in un contesto di battaglie finanziarie e ricerca di fondi e clienti da parte degli istituti finanziari e dei governi asiatici, l’ipotesi che la bomba lanciata contro la City londinese – e le sue isole-tesoretto dimenticate negli oceani di mezzo mondo – abbia una matrice oriental-cinese potrebbe non essere troppo fantascientifica . Sono ormai un paio d’anni che siti e sistemi informatici governativi subiscono pesanti attacchi volti a destabilizzare e mostrare la vulnerabilità occidentale . Il mondo è dei “furbi” (ed evasori), come recitava una nota pubblicità? Visti i numeri di Offshore-leaks pare sia ancora vero . Ma in atto si conferma esserci dell’altro, qualcosa di molto meno allettante: una vera caccia ai tesori bisognosi di anonimato . Anzi, forse una guerra . Buon lettura, Giancarlo Fornasier
Marchio Svizzera. Quali tutele?
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Agorà
Dopo lunghe discussioni, il parlamento federale è finalmente sul punto di approvare una nuova disciplina a protezione della “elveticità” dei prodotti venduti come svizzeri, e quindi sull’uso del “marchio” Svizzera. Ma perché si è resa necessaria questa riforma? Per ragioni economiche, certo. Ma anche per evitare che i consumatori vengano confusi e ingannati. E per mettere ordine in una situazione che rischia di sfiorare il ridicolo di Silvano De Pietro
I
n un’economia sempre più globalizzata numerosi prodotti e servizi svizzeri continuano a godere di un’ottima reputazione. Ovunque nel mondo produttori, commercianti e fornitori di servizi utilizzano, a buon diritto (o abusivamente), la croce svizzera, le definizioni “made in Switzerland” o “swiss made”, o anche la semplice indicazione di “qualità svizzera” o persino la sola parola “swiss”, magari con l’accompagnamento di immagini simboliche come il Cervino o Guglielmo Tell. Tutto ciò che è svizzero, o appare come tale, è associato all’idea di esclusività, di tradizione, di qualità, e quindi molto apprezzato dai consumatori. L’immagine della Svizzera, quale paese multiculturale, cosmopolita e aperto, viene perciò utilizzata come strumento di marketing. Secondo varie ricerche recenti – l’ultima è uno studio dell’università di San Gallo pubblicato nel maggio del 2010 – il ritorno economico dello sfruttamento dell’immagine della Svizzera è assolutamente determinante: lo “swissness” (traducibile con “elveticità”) rappresenta un valore aggiunto che si può quantificare al 20% del prezzo di vendita di un prodotto. A beneficiarne sono non soltanto i settori economici tipicamente svizzeri, come quelli degli orologi, del formaggio e del cioccolato, ma anche i prodotti agricoli naturali, diversi oggetti di consumo e gli stessi beni dell’industria metalmeccanica destinati all’esportazione. Il valore aggiunto complessivo per tutti i settori sfiora i 6 miliardi di franchi, pari a poco più dell’1% del prodotto interno lordo. Cacciatori di falsi È naturale che un numero crescente di imprese abbiano cercato di approfittarne. Questo fenomeno si è gonfiato in modo considerevole a partire dalle celebrazioni per il 700esimo anniversario della Confederazione nel 1991, quando sul mercato apparvero moltissimi oggetti con croci o bandiere svizzere, ma non fabbricati nel nostro paese. Si comprese allora che si stava diffondendo un uso abusivo dello “swissness”, un fenomeno che ha suscitato la reazione degli ambienti economici, una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica e della stampa e la richiesta di
difendere e disciplinare meglio l’uso della designazione “svizzero” o della croce svizzera. Il caso che ha avuto maggiore eco è stato quello delle pentole SIGG nel 2003. In quell’occasione furono messe in vendita dalla COOP 4,3 milioni di pentole di quella marca con un’offerta promozionale. Le pentole e il loro imballaggio recavano però la designazione “Switzerland” e la croce svizzera nonostante fossero state fabbricate in Cina. Una operazione commerciale percepita dall’opinione pubblica come un imbroglio. Quello scandalo ebbe grande risonanza. Ma parecchio hanno fatto discutere anche i numerosi altri casi di “svizzerità” fasulla. Come quello degli orologi Hublot provenienti dalla Cina e sequestrati dai doganieri svizzeri nel dicembre 2011. Gli Hublot sono costosissimi oggetti di lusso e il manager della ditta con sede a Nyon, il lussemburghese Jean-Claude Biver, aveva ripetutamente espresso il suo orgoglio alla notizia che i suoi orologi erano stati copiati la prima volta. Gli ultimi sequestrati erano però dei falsi del modello “Bing Bang” estremamente sofisticati, difficili da individuare persino per gli specialisti, e perciò sfacciatamente venduti allo stesso prezzo degli originali. Con una perdita significativa per la Hublot. E per quanto per una marca essere presa di mira dai falsari significhi aver conseguito un prestigio internazionale, i danni economici possono tuttavia diventare enormi e difficilmente recuperabili. Al punto che, per lottare contro le falsificazioni, la Federazione dell’industria orologiera svizzera ha creato un proprio servizio anti-contraffazione, con squadre di ispettori cinesi che si muovono sul terreno dove operano i più abili falsari di orologi, cioè nella provincia di Guangdong nel sud della Cina. La percentuale di “svizzerità” Da qualche anno però la mania dello “swiss made” ha incominciato a dilagare in settori che producono beni di consumo molto meno costosi. Nel campo dei cosmetici, per esempio, dove (anche qui) non sono mancati gli scandali. Come quello della “Juvena of Switzerland” che fabbricava i suoi prodotti in Germania ma li pubblicizzava con la croce elvetica. Sta di fatto che i prodotti di bellezza svizzeri, o creduti tali, sono richiestissimi in tutto il mondo: vengono cioè generalmente ritenuti di alta qualità. L’anno scorso ne sono stati esportati per oltre un miliardo di franchi. Gli acquirenti più assidui sono i paesi del Golfo, dove si dice che persino a cammelli e cavalli si fa lo shampoo con prodotti svizzeri. Però è vero che marche come Louis Widmer, La Prairie e Juvena sono considerate di prestigio e i loro articoli colmano gli scaffali di profumerie e grandi magazzini in Asia (soprattutto in Cina) e nell’Est europeo. Il fenomeno non si può spiegare soltanto con la bontà o l’efficacia oggettiva di questi cosmetici. Forse anche la fama della Svizzera quale paese pulito gioca un certo ruolo. Ci sono però settori che hanno approfittato del “marchio” Svizzera in modo tanto eccessivo da svuotarlo di senso anche qui da noi. E con campagne pubblicitarie curiose. In certi spot televisivi, per esempio, compaiono oche e cani parlanti che consigliano di acquistare ortaggi svizzeri. In altri c’è il contadino che chiama per nome ciascuna delle sue tante capre ma non si ricorda il nome della vicina che lo saluta. Ma a sorprendere è sempre il contenuto: tutti i prodotti naturali sono invariabilmente svizzeri. “Carne svizzera. Tutto il resto è contorno”, recita per esempio uno slogan. E poi: latte svizzero, uova svizzere, patate svizzere, frutta svizzera. Persino lo zucchero è soltanto svizzero. Sembra che produttori e commercianti non sappiano più vantare altra qualità della loro merce se non quella di essere svizzera. Per tentare di disciplinare questo dilagare incontrollato di “elveticità” a scopo commerciale, ci sono voluti due postulati
parlamentari, presentati nel 2006, al fine di convincere il Consiglio federale ad affrontare il problema. Adesso, dopo sette anni, il parlamento sta tentando di giungere all’approvazione definitiva della modifica di due leggi federali: quella sulla protezione dei marchi e quella sulla protezione dello stemma della Svizzera. Ma mentre per la riforma di quest’ultima non c’è contestazione, difficile si è invece rivelato definire l’origine svizzera dei prodotti che possono essere pubblicizzati con la croce svizzera. Il nodo della questione sta nella percentuale di componenti nazionali che un prodotto trasformato, agricolo o industriale che sia, deve necessariamente avere affinché possa essere definito “swiss made”. Posizioni diverse In linea generale, le divisioni passano tra industria e mondo agricolo. L’Unione svizzera dei contadini, per esempio, ha insistito per una regolamentazione che richieda una percentuale molto alta di componenti di provenienza svizzera. L’industria alimentare, al contrario, auspica che quella proporzione sia quanto più possibile bassa. Al momento, i due rami del parlamento sono concordi che solo i prodotti alimentari con almeno l’80% di materie prime elvetiche potranno essere pubblicizzati come prodotti svizzeri. In precedenza, però, il Consiglio nazionale aveva ritenuto che per le derrate alimentari si potesse differenziare tra prodotti altamente o debolmente trasformati, fissando per i primi il limite del 60%. Qui è intervenuta la consigliera federale Simonetta Sommaruga, che ha convinto i parlamentari dell’assurdità di tale distinzione ponendo loro una domanda retorica. Come si fa a spiegare alla popolazione, ha detto la ministra, perché un formaggio (fatto dai contadini) sarebbe un prodotto debolmente trasformato, mentre il pane e l’acqua minerale (prodotti industriali) sarebbero altamente trasformati? Il Nazionale, al contrario degli Stati, ha quindi voluto mantenere una distinzione speciale per i latticini: per questa categoria di prodotti il tasso di “elveticità” deve essere del 10%. Altre eccezioni sono state introdotte per le materie prime che non esistono in Svizzera, come per esempio il cacao, o che non sono disponibili in quantità sufficiente, come il miele. Così, se questi componenti rappresentano meno del 20%, semplicemente non se ne tiene conto al fine di definire l’elveticità del prodotto. E se sono presenti in misura tra il 20 e il 49,9%, il loro peso conterà per metà. Anche nella regolamentazione dei prodotti dell’industria le due Camere non hanno ancora trovato un’intesa. Il Nazionale ha deciso di attenersi alla regola più severa, voluta dal Consiglio federale, del 60% di componenti svizzeri. La camera dei Cantoni, invece, ha prestato orecchio all’organizzazione degli industriali Economiesuisse, che vuole un limite più basso: il 50%. Ma il settore orologiero è diviso. Alle grandi marche aderenti alla Federazione orologiera, capeggiata dal gruppo Swatch, va bene la barriera del 60% come tasso minimo di elveticità per fregiarsi della dicitura “swiss made”. I fabbricanti di orologi di bassa e media gamma, riuniti in una “comunità d’interessi” (IG Swiss Made), vedono invece in quel limite una minaccia per la propria esistenza. Ne verrebbero infatti svantaggiati i piccoli e medi orologiai che importano dall’estero gran parte dei componenti dei loro articoli, mentre i grandi gruppi che fabbricano orologi di lusso producono da soli la maggior parte dei componenti. Un compromesso, se alla fine ci sarà, non potrà che essere trovato sulla base di una constatazione ragionevole: ciò che rende svizzero un prodotto non sono soltanto gli ingredienti, ma anche le conoscenze e la capacità dei produttori, nonché il requisito essenziale di essere fabbricato in Svizzera.
Agorà
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Italia vs Germania Alla fine dell’ottocento, Giuseppe Verdi e Richard Wagner emergevano in maniera definitiva come gli eredi spirituali di Rossini e Beethoven. Un confronto che al cosmopolitismo della musica dei loro predecessori preferiva invece un ideale di “supremazia nazionale” di Oreste Bossini
Arti
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Il 18 luglio 1870 la IV sessione del Concilio vaticano I votava il capitolo voluto da Pio IX sull’infallibilità del papa: “Noi, quindi, [...] insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato che il Romano pontefice, quando parla ex cathedra, [...] gode di quella infallibilità, di cui il divino Redentore ha voluto dotata la sua chiesa, allorché definisce la dottrina riguardante la fede o i costumi”. Era l’estremo tentativo d’impedire la caduta dello Stato pontificio, con un arroccamento del potere papale senza precedenti e sconcertante anche per molti prelati presenti al concilio. La linea dura scelta dalla chiesa non servì a molto, perché i “piemontesi” entrarono a Roma nel giro di appena due mesi dalla proclamazione del dogma. Il 19 luglio, invece, Napoleone III aveva consegnato al re di Prussia Guglielmo I la dichiarazione di guerra, dando il via a un conflitto che in un arco di tempo ancora più breve avrebbe portato alla fine del secondo impero e dell’egemonia culturale di Parigi sul continente.
del film si vede Mastroianni mentre insegna ai compagni di prigionia il coro dell’Ernani “Si ridesti il Leon di Castiglia”, per inscenare una protesta politica all’interno del carcere.
L’orgoglio teutonico Per i liberali della prima ora, che avevano rischiato la vita nelle rivoluzioni del 1848 e ’49, Verdi era sempre l’autore dei melodrammi dei cosiddetti “anni di galera”, delle cabalette eroiche, dei virili cori all’unisono che scaldavano i cuori e incitavano all’eroismo. Ma nemmeno quel Verdi esisteva più, ammesso che l’impeto drammatico dei suoi primi lavori rispecchiasse davvero un messaggio sotterraneo di tipo politico. Al suo posto troviamo un uomo disilluso sugli ideali del Risorgimento e amareggiato dai risultati del nuovo stato unitario. Una lettera alla contessa Maffei del 30 settembre 1870 recitava: “L’affare di Roma è un gran fatto ma mi lascia freddo, forse perché sento che potrebbe essere cagione di guai tanto all’estero Le musiche delle nazioni come all’interno; perché non posso conciliare Le ripercussioni del terremoto politico di Parlamento e Collegio dei Cardinali, libertà quello scorcio d’estate avrebbero influito di stampa e Inquisizione, Codice civile e Sillaa lungo sulla storia d’Europa. Una delle bo, e perché mi spaventa vedere che il nostro conseguenze di quell’anno tempestoso fu Governo và all’azzardo, e spera... nel tempo”. il manifestarsi di un fenomeno fino allora Le preoccupazioni di Verdi riguardavano Immagine tratta da accademiafilarmonica.it sconosciuto, il nazionalismo musicale. invece il destino dell’Europa, presa in L’umiliazione della Francia e il sorgere ostaggio dalla potenza militare prussiana. Il nel cuore dell’Europa di una nuova potenza economica e mi- musicista vede nei tedeschi un popolo “d’uno smisurato orgoglio, litare come l’Impero prussiano avevano scoperchiato il vaso duri, intolleranti, sprezzatori di tutto ciò che non è germanico, e d’una di Pandora e i numerosi fermenti nazionalisti legati all’idea rapacità che non ha limiti”. Vorrebbe che il governo inviasse un romantica di “stirpe” e di “suolo” cominciarono a circolare contingente di truppe in aiuto dell’Armata del Reno, in segno con vigore all’interno della cultura europea. A questo periodo di riconoscenza per il sangue francese versato a Solferino. Sorisale anche la nascita della rivalità tra Verdi e Wagner, le cui prattutto era irritato per la crescente simpatia verso la cultura estreme propaggini arrivano a lambire anche la nostra epoca, tedesca che vedeva crescere nel paese. come testimoniano le polemiche suscitate dalla decisione della Scala di inaugurare la stagione in corso con Lohengrin anziché Il modello Beethoven con un’opera di Verdi. Dopo Sedan, l’atteggiamento di Verdi verso la musica di Wagner Un bel film di Alfredo Giannetti, Correva l’anno di grazia 1870, prese un’altra piega. In una lettera del 1863, indirizzata sempre a interpretato da attori come Anna Magnani e Marcello Ma- Claretta Maffei, Verdi parlava del collega in maniera equilibrata stroianni, racconta gli ultimi giorni della Roma papalina, alla e con una punta di condiscendenza: “Wagner non è una bestia vigilia di Porta Pia. Per paradosso, i vecchi liberali anticlericali feroce come vogliono i puristi, né un Profeta come lo vogliono i suoi perseguitati e incarcerati dal governo dello stato pontificio, apostoli. È un uomo di molto ingegno che si piace delle vie scabrose, ormai decimati e isolati dal resto della popolazione, vedevano perché non sa trovare le facili e le più diritte”. Molte cose erano avverato il sogno di un’Italia unita con Roma capitale proprio cambiate da allora. Wagner non era più un artista in esilio e insenel momento della loro sconfitta politica. In una sequenza guito dai creditori, privo di aiuti e mezzi per rappresentare i suoi
lavori e attuare i suoi progetti rivoluzionari di un nuovo teatro musicale. Il suo genio era riuscito a incantare uno dei maggiori sovrani d’Europa, Ludwig di Baviera, e da un calderone di elementi eterogenei Wagner stava cominciando a formare il nuovo mito della “musica tedesca”. Il 1870, infatti, era anche l’anno del centenario della nascita di Beethoven e Wagner non si fece sfuggire l’occasione per trovare dei legami con gli avvenimenti politici in corso. A conclusione di un ampio saggio dedicato all’interpretazione della figura di Beethoven, scriveva infatti: “Niente di più nobile potrebbe essere messo accanto alle sue vittorie, in questo meraviglioso 1870, che la consacrazione del nostro grande Beethoven, il quale, cent’anni fa, nasceva per il popolo tedesco”. E come se non bastasse, per legare definitivamente l’idea di arte a quella di nazione, Wagner chiuse l’anno scrivendo una farsa piuttosto ignobile e volgare sulla guerra intitolata Una capitolazione, che i francesi non gli perdoneranno mai. Arrivano i tedeschi! È facile immaginare con quale spirito Verdi giudicasse la repentina metamorfosi del collega, che lui stesso qualche anno prima aveva pensato di coinvolgere nel progetto di un album di romanze a favore del povero Francesco Maria Piave, inchiodato al letto da un ictus. L’opposizione alla musica tedesca divenne il chiodo fisso di Verdi negli anni Settanta, a cominciare da Aida. Dopo aver tenuto a lungo sulle spine il Kedivè d’Egitto, che intendeva inaugurare il Teatro dell’Opera del Cairo con una nuova opera, Verdi si decise ad accettare l’incarico non appena l’impresario fece balenare la possibilità di bussare alla porta di Wagner. Le truppe wagneriane intanto stavano marciando alla conquista dei teatri italiani. Nel 1871 veniva rappresentata a Bologna per
la prima volta un’opera di Wagner in Italia, Lohengrin, seguita da Tannhäuser nel 1872 e da Rienzi nel 1874. Nel frattempo cominciavano a martellarsi di colpi anche le artiglierie della critica, manovrate dai due editori rivali, Ricordi e Lucca, che aveva acquistato per l’Italia i diritti di rappresentazione di Wagner. Le rispettive roccaforti erano La Scala per Verdi e Bologna per Wagner, che nel 1876 arrivò in città di persona per dirigere Rienzi. Lotta per la supremazia Al successo del Lohengrin a Bologna, Verdi rispose con il trionfo della prima italiana di Aida, alla Scala, l’8 febbraio 1872, in uno spettacolo curato fino all’ultimo dettaglio dall’autore. Ma la corazzata con la quale Verdi intendeva portare guerra alla musica tedesca era la Messa da Requiem, scritta nel 1874 in onore di Alessandro Manzoni. Il pianista e direttore d’orchestra Hans von Bülow, che si era trasferito a Firenze nel 1869 dopo lo scandalo della convivenza della moglie Cosima con Wagner, scrisse in Germania che il Requiem non era altro che “Oper im Kirchengewande”, un’opera travestita da prete. A sua volta Verdi sbarrò immediatamente la strada a Bülow, che qualcuno aveva proposto come direttore del Conservatorio di Milano, e si recò personalmente a dirigere una ripresa di Aida a Vienna nel 1875 e la Messa da Requiem a Colonia nel 1877. Insomma, nel corso del decennio degli anni settanta dell’ottocento, Verdi e Wagner emergevano in maniera definitiva come gli eredi spirituali delle due maggiori figure musicali del primo ottocento, Rossini e Beethoven, con la differenza d’incarnare questa volta un ideale di supremazia nazionale nel confronto con l’altro, sconosciuto al fondamentale cosmopolitismo dell’arte dei loro grandi predecessori.
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Notte romana Era da tempo che non venivo a Roma, non ritrovavo la sindrome del provinciale. Roma non delude, e nemmeno questa volta mi ha deluso. Anche se ha scelto un abbraccio più sofisticato di Marco Alloni
Società
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Umm ed-donia, chiamano il Cairo dove vivo: la madre del mondo. Ma il caput mundi romano ha una centralità più potente perché è occidentale (e cristiana) e quando abbraccia lo stordito pellegrino riporta alle radici. Tanto più se ha i modi teneri della raffinatezza, non il ludibrio di un Belli, la grevità di un Trilussa. Sì, tanto più se ha le garbate acutezze della sinistra radical-chic, la gauche caviar come si dice. Lì mi ritrovo, dopo un affondo nel quartiere cinese della scrittrice Hu Lanbo – che mi delizia con un riso antracite chiamato Venere – quasi senza preavviso. Pensa a tutto la mia mentore romana, Lidia Ravera, autrice del recentissimo e splendido Piangi pure e del leggendario Porci con le ali, sua damnatio memoriae da ormai quarant’anni. Da lei soggiorno tra le soffitte di Trastevere, nell’improbabile pellegrinaggio dei gabbiani lungo i tetti turriti e le tegole sanguigne. “Togliti i jeans strappati, renditi presentabile, si va dalla mia amica Lucilla, la vedova di Bertolucci” mi dice, e ammicca senza severità al mio vestiario prolétaire. Vorrei volgere lo specchio dalla parte di un Io che non mi conosce, e mi restituisce l’immagine di un trapiantato senza pretese. Ma accetto, capovolgendo la misantropia in mondanità e offrendomi anche all’innaturalità (sono un anti-mondain per vocazione). Troviamo la casa, antica zona di casini, quartiere Monti (poi, durante la cena, circolerà la battuta della sventurata amica dell’amica trasferitasi da via delle Zoccolette a via delle Vacche, unica concessione al Belli in una serata altrimenti di garbo). Primo piano, sala sontuosa, librerie, carta da parati. Quadri, molti. E divanetti di antiche illustri conversazioni. Giuseppe Bertolucci viveva lì. Lidia ha scritto i suoi film. Il fratello, Bernardo, sta a Trastevere. Attilio – il padre, il poeta autore di La camera da letto – troneggia in una foto in bianco e nero, da sacra famiglia, languidamente appoggiata contro una parete. Luoghi che raccontano tempi. Uno spaccato della cultura italiana, le teste migliori del dopoguerra. Arrivano gli ospiti: la senatrice del PD Emma Fattorini, stremata dalle incombenze della politica, la giornalista di Repubblica Irene Bignardi, per cinque anni direttore artistico del Festival di Locarno, un documentarista della RAI, uno storico del cinema, un ex direttore dell’Espresso, una fra le più insigni traduttrici di letteratura americana, altre intellettuali, la bella Patrizia, e il sottoscritto, il “morto” del bridge. Minuetti Poi il prevedibile minuetto delle intelligenze. Sono l’unico, con la camicia fuori, la cui parvenza rimanda a un altrove sconosciuto. Le acutezze intorno al tavolo paiono rimbrotti alla mia trascuratezza. Penso a Céline e a Choukri: come avrebbero
partecipato alla conversazione, vi avrebbero partecipato? Irene – che come a tutti mi chiede la confidenza di un “tu” per me innaturale – ricorda l’esortazione di Gadda a usare un codice televisivo uniforme (“Per qualche anno funzionò, poi si tornò alle cacofonie di adesso”). Altri le grandiose gaffes di chi diceva Enrico Yves avendo letto Enrico IV, o Malcolm Decimo invece di Malcom X. Altri ancora le diatribe fra i fautori di Pakistàn e i difensori di Pàkistan (e vorrei intervenire, ricordando che Islàm non va mai pronunciato Ìslam, e in realtà Gheddafi è Qasàfi, ma taccio). Sofisticherie. E quindi la politica, i neo-eletti Boldrini e Grasso, l’impasse post-elettorale, gli “sciagurati” grillini, la loro “secessione”, il mondo, la logica delle caste in India – “Gerarchie che tengono unite il paese”, “metonimie della violenza sociale”, “brahmini insopportabili” – e rievocazioni, e malignità (“Perché Emma possa aspirare alla presidenza della Repubblica deve prima morire il vecchiaccio (leggi Pannella)”. E arguzie, e qualche romanata de’ noartri (“Qui imolunghi” diceva il motociclista alla traduttrice, una sera, caricandola sulla moto mentre lei che non capiva e pensava a una nuova tribù di tifosi della Lazio: si riferiva, invece, il burino, alla pioggia che rischiava di farli cadere: “Qui cadiamo distesi”). E infine tutti a tavola... Posti assegnati, maschio-femmina, femmina-maschio. Doppie forchette, acqua in brocche di vetro, vino rosso e bianco. Tovaglioli cremisi (penso che “rosso”, in questa ambiance, sia quasi postribolare). Non ricordo i nomi, ma ogni portata ha il suo fornitore di prestigio: pasta d’elezione, pane di prima qualità, la domestica Fatima (che, vorrei dire, si pronuncia Fàtma) unica traccia del mio mondo. Bevo e ascolto, mangio e mi taccio. Poi trovo un coriandolo di loquacità e racconto del Cairo. Da estranei che erano mi paiono più prossimi; mi seguono con attenzione (se vivessi a Roma sarebbero amici?) e da archetipi di una borghesia illuminata mi sembrano, finalmente, tipi alla Jung con le loro precipue individualità, quella loro terrestrità che non li rende poi inarrivabili. Leggerei molto di più, se fossi qui. Al Cairo mi danno intorno a temi remoti, quisquiglie per la Roma d’avanguardia. Mi rendo conto di aver perso chilometri di letteratura aggiornata. Occhieggio sopra le loro teste, i dorsi dei libri allineati ammiccano al mio ritardo. Non trovo Nasr Hamid Abu Zeid, ma tutto il resto. “In questa casa ha vissuto Adriano Sofri” mi dice poi Lucilla. Sobbalzo, come se la voce della vedova di Giuseppe Bertolucci provenisse da un’altra èra. “E quella carta da parati lì l’ha messa...” pronuncia un nome, fingo di conoscerlo, annuisco.
Comparsate Alla fine, quando la serata declina verso la stanchezza – al Cairo, a quest’ora, avrei cominciato a vestirmi per uscire – avverto un brivido di familiarità. Sì, se vivessi qui sarebbero amici. Loro e tanti altri, di cui discorrono con intimità, una prossimità priva di compiacimento. Lucilla congeda i più stanchi e poi ci accompagna al divano. Estrae un dvd: il matrimonio con Giuseppe, inizio anni ottanta. “Non piangerò” promette. Ma vien quasi da piangere a me, che alla morte dei giusti ho sempre sentito il morso dell’ingiustizia. “Guarda, guarda Roberto come fa il serio” indica l’immagine sfocata del divano, sullo schermo che tradisce la conversione del Beta in dvd. In effetti Benigni, imperdonabilmente giovane, non ride né clowneggia. Ride invece Cerami – eccolo lì, occhiali e capelli neri, il virgulto dello scrittore che ho conosciuto a Torino e poi rivisto al Cairo, l’allora pischello di Un borghese piccolo piccolo – e Giuseppe, a cui Lucilla non può risparmiare un “Com’eri bello!”. Barba, chioma un po’ stempiata, sguardo profondo. Compaiono anche Lidia e il suo compagno Mimmo, ex sessantottini, ne portano ancora le vestigia, capisaldi di una Roma ancora risparmiata dall’editoria imprenditoriale. Vorrei piangere io, mi ripeto. Perché quel mondo non l’ho avuto. Quel fil rouge che va da Campo de’ Fiori a Moravia a Pasolini a Bertolucci a Benigni, agli Oscar e alla storia, non l’ho conosciuto. Li penso come protagonisti: vorrei farmi ritrarre per dire, fra trent’anni, che una breve comparsa, quel giorno, l’ho fatta anch’io. Poi ci si saluta, con la promessa di chiedere a Bernardo di fare un libro-intervista con me.
Usciamo nella notte gelida del sabato sera tra stuoli di adolescenti post-movida, uno spicchio di luna curvo sul Teatro Marcello, imbarazzato dall’essere lo stesso che brilla ora al Cairo. Camminiamo a braccetto. Lidia ha l’andatura della podista. Parliamo e parliamo. Libri, autori, sesso, amore, nichilismo, editoria. “Sono tempi grami” dice. Ma il presente, Roma, l’antico e il nuovo, splendono di un trionfo notturno che riscatta il declino della cultura. Sembra quasi di poterci sperare, che qui non tutto finirà preda dei tamarri e delle Tamaro. Senza sogni Il giorno dopo attraverso Roma a piedi nel silenzio della maratona, trascinandomi la valigia e due borse. Raggiungo trafelato, dopo un’ora e mezzo, un Bed&Breakfast vicino a Termini, 60 euro di ritorno a me stesso. Risento il vocìo noto degli arabi, degli indiani, dei cinesi, degli africani. In quale vago sogno sono stato? Da quale storia mi sono fatto solleticare, da quale caput mundi? Non è questo Terzo Mondo il mio mondo? Oppure non ne ho più alcuno? Oppure non ne ho mai avuto uno? La padrona della pensione di chiama Simona, è sarda; l’addetta alle camere Anna, rumena. Mia moglie è egiziana, mia madre danese, ho vissuto vent’anni in Svizzera, mia padre per metà pugliese, mio bisnonno faceva il ricercatore d’oro sull’Adda, a Lodi, i miei figli si rivolgono a me in dialetto cairota. Ma d’altronde Ultimo tango a Parigi e L’ultimo imperatore sono mondi e identità anche quelli. Domanderò a Bernardo se perdersi e ritrovarsi siano condizioni ineluttabili: di chi ha scelto per sé l’esilio come patria. Vado a dormire senza sogni, mi basta quel che è stato.
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Antigone Credo che non vi sia personaggio più adatto di Antigone, per aprire una serie dedicata agli eroi. Ella accettò infatti di sottoporsi volontariamente a una crudele punizione pur di non contravvenire alla legge della coscienza di Francesca Rigotti
Eroi
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Prima di occuparci direttamente di Antigone, due parole sugli eroi che, nella mitologia greca, dalla quale derivano il loro nome e la loro configurazione, erano i nati da una divinità (immortale dunque) e da un essere umano (mortale): essi stessi mortali, dunque, ma destinati a ricevere un culto da semidei per le loro illustri imprese compiute con forza prodigiosa. Il termine eroe passò poi a designare in generale una persona fuori dal comune per valore, imprese di guerra o esercizio di grandi virtù, dove questa stessa parola, virtù, la dice lunga sul sesso degli eroi: invariabilmente e pervicacemente uomini, come dichiara apertamente la parola héros, imparentata etimologicamente col latino vir (maschio vigoroso, virile).
salma fosse lasciata insepolta, in pasto di cani e avvoltoi! Ma per evitare che lo spirito del cadavere non avesse accesso al regno dei morti e non continuasse a vagare nelle vicinanze del Lete in preda a un desiderio struggente di ricordare ed essere ricordato, Antigone provvede a seppellire il fratello. Creonte interviene a punire la fanciulla facendola murare viva nella cella funeraria sotterranea del palazzo reale. A nulla servì l’intervento di Emone, figlio di Creonte e fidanzato di Antigone, che si precipitò nella cella per salvarla: per sfuggire alla morte per inedia Antigone si era impiccata. Antigone muore, ma con la sua morte eroica vince per sempre su Creonte, che qui rappresenta la pretesa della legge dello stato contro le leggi non scritte del diritto naturale.
L’eroina di Sofocle Così non è senza una punta di Letture diverse provocazione, a causa della inQuesta è la lettura che si è impocongruità delle imprese eroiche sta e che viene continuamente col sesso femminile, che mi è richiamata; essa riflette la postato esplicitamente chiesto di sizione di Sofocle e di altri rapcominciare da una eroina, Antipresentanti del diritto naturale gone, che davvero merita l’appeli quali hanno reso il riferimento lativo di eroe per il suo gesto di ad Antigone imprescindibile per Frederic Leighton, Antigone, olio su tela, 1882, collezione privata grande coraggio e disinteressata l’umanesimo che si oppone al generosità. La storia è narrata per forzato legalismo; per l’attacco la prima volta nel secolo V a.C. da Sofocle, in una tragedia, dei giovani agli untuosi imperativi dei vecchi; per la lotta di Antigone appunto, che la maggior parte dei critici, filosofi e tutte le donne in conflitto col potere e con la morte, come studiosi successivi non ha esitato a descrivere come “l’opera se esse soltanto potessero riscattare l’umanità dell’uomo, d’arte più vicina alla perfezione tra tutte quelle prodotte dallo fermare i massacri, officiare i riti funebri. Eppure si farebbe spirito umano” (lo ricorda George Steiner in Le Antigoni [1984], torto alla complessità della tragedia se non si evocassero anche tr. it. Milano, Garzanti, 1990). l’importanza e la modernità della posizione di Creonte nel sostenere, di fronte alla legge ancestrale e non scritta della La vittoria di Antigone tribù (della stirpe, del génos), il primato della legge scritta della La tragedia si articola su alcune concezioni particolari della città, ovvero la preminenza del diritto positivo, storicamenlegge e della punizione proprie del mondo greco, che il mito te modificabile e socialmente perfezionabile, non assoluto ha poi amplificato trasformandole in pilastri concettuali ed eterno come l’altro bensì dipendente dal tempo e dalle di tipo universale. Lo fa partendo dall’episodio della lotta circostanze. Resta il fatto che il binomio Antigone/Creonte fratricida tra Etéocle e Polinice, figli di Edipo e fratelli di ha avuto continue reincarnazioni e letture nelle arti e nei Antigone, per la conquista di Tebe. Il nuovo sovrano di Tebe, dibattiti filosofico-giuridici dall’antichità a oggi, e sempre di Creonte, permette la sepoltura di Eteocle ma non quella di nuove si affacciano sul domani, mentre lo splendore dell’eroiPolinice, che aveva combattuto contro la patria: che la sua ca impresa di Antigone non accenna a offuscarsi.
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Uomini straordinari
» di Marco Alloni
La montagna che partorisce il topolino. Un sublime chiac- ormai facciamo di rado – che gli abissi del mistero umano chierone. Un nomade che fugge da se stesso. A una lettura sono ancora lungi dall’essere esplorati. E che senza il necessuperficiale del ponderoso Incontri con uomini straordinari di sario disincanto e la necessaria fiducia mai potremo cogliere George Gurdjieff (1866–1949) – pensatore, le risonanze segrete che animano la vita. mistico e scrittore di origine armena – si Un libro, dunque, a cui predisporsi solo potrebbe essere tentati di dare dell’autore, dopo aver lasciato in un canto le nostre cao del suo libro, definizioni siffatte. Ma tegorie e certezze per avventurarci in quel sarebbe ingiusto, non fosse altro perché vasto territorio dell’ignoto e del mistero questo resoconto delle sue avventure e dei che la sapienza orientale ha da secoli osato suoi incontri rappresenta uno straordinapercorrere, prima ancora che noi gettassirio affresco dell’Asia recondita, di cui così mo le basi della nostra scienza moderna. poco sappiamo e con così scarsa consideMa ancora di più un libro che è un inno razione osserviamo. alla conoscenza, all’esplorazione di sé e Un’Asia in cui l’avventura la fa da padrona. del reale e alla ricerca della verità. Tre atMa non solo: un’Asia in cui eventi appatitudini che si rivelano fondamentali per rentemente miracolosi – almeno per uno accostarci al mondo come a una riserva sguardo eurocentrico – dischiudono al di suggestioni, personaggi e sorprese, le lettore quel fondo di possibile che la nostra stesse che in questo magistrale memoriale abitudine al raziocinio ci ha abituati a popolano pagine di intensa espressività e Incontri con uomini straordinari relegare fra le fantasie esotiche. di profondissima passione umana. di George I. Gurdjieff Niente di più pernicioso, dunque, che Un libro da leggere come si legge un roAdelphi, 1993 avvicinarsi a questo capolavoro della letmanzo, perciò. Ma sapendo che la sua teratura di viaggio – e contemporaneamente del biografismo trama è ben lungi dall’essere frutto di immaginazione, – con il pregiudizio dell’uomo bianco evoluto. Se tale fosse risalendo da quel “fondo oscuro” che è la coscienza di un l’approccio si rischierebbe di perdere la sostanza stessa del uomo e la disposizione a farne lo strumento di una maturità libro, che prima di ogni altra cosa ci invita a credere – come consapevole.
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» testimonianza raccolta da Gaia Grimani; fotografia di Flavia Leuenberger
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Gianfranco Feliciani
Vitae
Proprio per questo abbiamo aperto le porte dell’Oratorio inaugurando la “Mensa dei poveri” e, tre volte la settimana, offriamo gratuitamente a tutti, piccoli e grandi, un pranzo fraterno. La risposta è stata grande: a ogni pasto giungono in media una cinquantina di persone di tutte le estrazioni sociali. La gente ha bisogno di condivisione, di solidarietà e di allegria perché l’individualismo sta imbarbarendo la società. Il cristianesimo non è prima di tutto una dottrina, una morale o un culto, ma una Persona, Gesù di Nazareth, che con la sua morte e la sua risurrezione e il suo messaggio Parroco di Chiasso dal 2001, sa dialogare d’amore ha messo in crisi con il cuore della gente. Figlio di contadi- la stessa dinamica religiosa, ni, in sintonia con il messaggio evangelico nel senso che ci ha rivelato un’immagine di Dio che non di Madre Teresa, crede che il senso pieno è propriamente quella deldella vita sia l’amore le religioni. Mi piace molto un’affermazione paradossale to, ma solo cogliendo le perdi padre David Maria Turoldo: “Prima di sone nella loro concretezza. diventare cristiani occorre diventare atei”, Una seria evangelizzazione nel senso che la fede in Gesù smonta tutte non può mai prescindere da le nostre proiezioni su Dio. un’attenta lettura della situaIl cardinale Martini non ha esitato a dire zione socio-culturale. Bisogna che “la chiesa è indietro di duecento anni”. arrivare, come ha fatto Gesù, Sono d’accordo. C’è un Vangelo di speranza, al cuore dell’uomo. Per certi di misericordia e di felicità che la gente non aspetti Chiasso non è molto riesce più a percepire, perché troppo spesso diversa dal resto del nostro ci si perde in una religiosità così astratta e mondo occidentale di antica superficiale che lascia il tempo che trova. cristianità: c’è un assoluto Papa Francesco sta portando in questo senso bisogno di passare da una una ventata di aria fresca. pratica cristiana che vive di La chiesa deve sempre rinnovarsi e la fonte rendita e non può più quindi del suo rinnovamento sono Gesù e il suo reggere alle nuove sfide, a una Vangelo. La Parola di Dio è una luce, una ri-comprensione del messagguida, un criterio con i quali affrontare le gio di fede. Solo alla luce di questioni. Però non possiamo pretendere di questa riscoperta della fede si ricavare dal Vangelo delle risposte immediate possono affrontare con intele prefabbricate. Occorre una mediazione ligenza i particolari problemi umana capace di individuare i valori di fondel nostro momento storico do e le domande di senso dentro una lettura che sono sotto gli occhi di tutapprofondita delle sensibilità del nostro temti, quali la disgregazione della po. I Padri della Chiesa non a caso dicevano famiglia, l’inquietudine dei che “la Parola di Dio cresce con colui che la giovani, la crisi dell’economia, medita”. Il Signore ci ha dato la sua Parola, il fenomeno dell’immigrazioma anche un cervello e un cuore per interne e della multiculturalità, la pretare, comprendere e tradurre. solitudine degli anziani. Di una cosa sono fermamente convinto: “In Europa – diceva Madre parlando di Gesù a chi incontro e cercando Teresa – ho trovato una fame di mettervi tutto il mio entusiasmo e tutto ancora più grave di quella che il mio cuore, vedo che la gente non rimane ho trovato in India. Se è terriindifferente né alla Sua persona, né al dono bile morire di fame, è ancora del suo amore. Per tutti, infatti, credenti e più terribile morire di solitunon credenti, il senso pieno dell’esistenza dine per mancanza d’amore”. umana è l’amore.
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S
ono nato a Cavernago, un piccolo villaggio poco distante da Bergamo, in una famiglia di contadini il 25 gennaio 1952, quarto di sei figli. Quando avevo cinque anni la mia famiglia è emigrata a Rancate. Abitavamo in una fattoria un po’ fuori dal paese tra campi e vigneti. Mio padre faceva il contadino e lavorava sodo dal mattino alla sera senza prendersi mai un giorno di vacanza. Eravamo poveri, ma con la campagna, l’orto, la stalla e il pollaio non ci mancava nulla. I miei speravano che almeno uno dei tre figli maschi portasse avanti l’azienda agricola, ma ciò non avvenne. Io non avevo molta voglia di mungere le mucche e lavorare nei campi. Mi piaceva fare vendemmia, questo sì. Amavo soprattutto leggere libri e cantare da solo nei boschi. Oltre ai genitori è stata molto importante la nonna paterna che viveva a Bergamo e di tanto in tanto veniva a trovarci. Era una donna silenziosa, umilissima e profondamente religiosa, ma per nulla bigotta. Mi colpiva la sua premura per i malati e la povera gente del paese. Fin da ragazzino, anche se ero un birichino vivacissimo, mi sentivo attratto dal silenzio e dalla riflessione. A quattordici anni pensavo già di fare il prete. I miei genitori però non mi permisero di entrare subito in seminario. Temevano che, libero ed estroverso com’ero, un ambiente “troppo religioso” non facesse per me. Mi dissero: “Impara prima un mestiere e poi fa’ quello che vuoi”. Sono loro grato anche per questo. Dopo le scuole dell’obbligo ho studiato arti grafiche a Bellinzona, ottenendo il diploma di tipografo e a 23 anni sono entrato nel seminario diocesano. Dal 2001 sono parroco di Chiasso. Il prete è chiamato ad annunciare Gesù e il suo Vangelo. È questo il suo ruolo specifico. Naturalmente tale annuncio non può essere fatto in astrat-
Il segreto di Markus di Fabio Martini; fotografie di Markus Zohner
“Camminare è muoversi in avanti. È meditare. È perdere l’equilibrio e poi riprendersi. È brancolare. È vedere, annusare, sentire. È scoprire, ricordare e dimenticare. È imparare e respirare. È sudare. È avere paura e sentirsi sollevati quando si riceve qualcosa da mangiare. È avere freddo, inciampare. È fermarsi. E la cosa più incredibile: camminare è arrivare”. (Markus Zohner, Alla riscoperta dell’antica Via dell’Ambra. A piedi da Venezia a San Pietroburgo, 2010)
Zohner sulla strada di Starynia, Polonia
O
ggi non si viaggia più. Oggi si arriva e lo si fa sempre più velocemente. E una volta giunti a destinazione desideriamo ritrovare le medesime comodità e abitudini che contrassegnano la nostra consueta vita quotidiana. Ma il viaggio – che nella contemporaneità rappresenta ormai un’illusione, abilmente programmata, confezionata e commercializzata – è in realtà tutt’altro. È ciò che sta in mezzo. È il percorso che da un luogo conduce a un altro. Soprattutto se si decide di viaggiare a piedi, come ha fatto Markus Zohner, regista e scrittore svizzero che ha percorso camminando la Via dell’Ambra da Venezia a San Pietroburgo. Muoversi con le proprie gambe permette di saggiare attraverso il passo e il variare del proprio peso la natura del suolo, di ri-conoscerci come persone, di entrare a far parte del paesaggio come elementi attivi, partecipi, mutevoli. Camminando torniamo a esistere. Perché, come lo stesso Markus rivela nella prefazione al suo appassionante diario di viaggio divenuto di recente un libro, tutto nasce da una considerazione scaturita durante un precedente viaggio a Isfahan: “Ero arrivato in aereo da Teheran, avevo errato per le moschee, gironzolato per il mercato e ora, seduto in un caffè, nella sala riservata alle famiglie, osservavo di fronte a me due giovani che tubavano, tra un tiro e l’altro al narghilé, facendo tintinnare i cristalli di zucchero candito che si mettevano a vicenda nei bicchierini del tè, e mi rendevo conto che mi mancava una cosa essenziale: il viaggio per arrivare qui. Essere lì era magico, affascinante, terribilmente emozionante. Ma non ero arrivato”.
Fra un passo e l’altro Conosco un uomo, un funzionario cinese che lavora per un’importante multinazionale europea. Si chiama Dong. Ha quasi la mia età, è un manager piuttosto apprezzato, è sposato e ha tre figli. A causa della sua professione, Dong vive una condizione di costante erranza: due giorni a Singapore, tre a Tokio, due a Sidney, altri tre a Los Angeles, e poi Milano, Londra ecc. Una sera, eravamo insieme a cena, mi ha detto: “Stamani mi sono svegliato e come mi accade sempre più spesso, per una lunga frazione di tempo, non sono stato in grado di riconoscere il luogo in cui mi trovavo, non sapevo dov’ero”. La globalizzazione ha ridotto il mondo a tratte orarie, percorsi prefissati durante i quali oscilliamo fra aeroporti, alberghi, ristoranti, taxi, resort più o meno di lusso. Anche il viaggio in automobile ha perso il suo fascino: con i GPS e gli iPhone non ci si perde più, l’intera rete viaria del pianeta è virtualmente percorribile con infallibile sicurezza. Ma questo ha un prezzo che non si riduce esclusivamente allo spaesamento mattutino di Dong, costretto a muoversi per lavoro e non certo per il proprio piacere. Le modalità con cui oggi ci spostiamo implicano ben altro, come lo stesso Markus dichiara: “Più diventiamo mobili e meno viaggiamo. Più corriamo su e giù per il mondo e più il mondo si ritira da noi. La velocità, la ricerca della via più breve, la linea dritta sono in verità una negazione della vita. Il mondo ci sfugge e con esso la vita. Da quando ne sono diventato consapevole a Isfahan, il sogno del viaggio vero non mi ha più lasciato e il cammino da Venezia a San Pietroburgo è (...)
Tempio romano, Aquileia, Italia
Palazzo della cultura e della scienza, Riga, Lettonia
Spiaggia, Kaliningrad, Russia
Konin, Polonia
Contadino di Szyszyn, Polonia
Kaliningrad, Russia
Natalya, Irina e Galya nel bosco presso Begunitsy, Russia
stato, fra le altre cose, anche una ricerca del viaggio in sé, del significato del percorso. Andare a piedi, rinunciando a ogni contaminazione e facilitazione lungo il cammino, né è stata la logica conseguenza. Tra lo stare fermo e il camminare c’è il mondo intero; un battito di ciglia separa il camminare dallo stare fermo. In mezzo ai due: un segreto”. Il sogno del viaggiatore Il libro che Markus Zohner ha tratto dalla sua esperienza di viaggiatore in cammino lungo la Via dell’Ambra è il resoconto testuale e fotografico di un percorso compiuto lentamente, nel corso di nove mesi dal dicembre 2008 al settembre 2009. Lungo i quattromila chilometri che separano Venezia da San Pietroburgo egli è entrato in contatto con luoghi, persone, climi, territori, vicende storiche e personali, tradizioni e culture diverse. Conoscenze e incontri che, se avesse optato per un tranquillo e rapido volo per San Pietroburgo, gli sarebbero rimasti ineluttabilmente estranei. E viene da pensare che in fondo la velocità, la linea dritta, quella più diretta è negazione di vita perché sottrae la
possibilità di conoscere, di assaggiare il mondo. L’incontro con Miroslav Zikmund – esploratore, viaggiatore, alpinista novantenne – e la conversazione che ne è seguita (collocata al centro del volume e paradigmatica del suo significato) rappresentano da questo punto di vista un’occasione di confronto sull’idea di viaggio e sul sogno che da sempre lo sottende. per saperne di più Presso il Castello di Sasso Corbaro, Bellinzona, è aperta fino al 30 di giugno una mostra fotografica dedicata alle immagini scattate da Markus Zohner nel corso del suo lungo viaggio. Il libro Alla riscoperta dell’antica Via dell’Ambra. A piedi da Venezia a San Pietroburgo (2010), è il diario fotografico e testuale del viaggio compiuto da Zohner. La Galleria Job di Giubiasco espone fino al 30 aprile una selezione di fotografie in bianco e nero realizzate da Zohner a San Pietroburgo.
Alla riscoperta dell’antica Via dell’Ambra di Markus Zohner Fizzo Photo Book Film, 2010 (info@fizzo.ch)
Markus Zohner Attore, regista teatrale e fotografo svizzero, con la compagnia da lui fondata, la “Markus Zohner Theater Compagnie”, è ospite di teatri e festival in tutto il mondo. Gli spettacoli del suo gruppo teatrale sono stati insigniti più volte di premi internazionali di pubblico e di critica. È docente e regista presso innumerevoli teatri in Europa, Russia, Asia Centrale, USA e Sudamerica. Vive a Lugano. zohnertheater.ch
Grudzjądaz, Ungheria
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Andrea e la mucca trascrizione di Chiara Piccaluga illustrazione di Simona Meisser
Fiabe
42 Molti anni fa, in un piccolo paesino dell’Ir- tappeto di muschio. Con stupore si accorse
landa, vivevano in povertà un ragazzo di nome Andrea con la madre, rimasta vedova. Andrea, che era un tipetto vivace, oltre a dover lavorare tutto il giorno, costruiva con pazienza delle scope che poi vendeva al mercato per racimolare qualche soldo in più. Ogni mattina, molto presto, usciva di casa e portava l’unica mucca che possedevano a pascolare nei prati intorno al villaggio. Il placido animale, ogni giorno, regalava loro del buon latte fresco. Una mattina, Andrea decise di fermarsi a raccogliere erica per intrecciare e fabbricare nuove scope e, seguito dalla mucca, si spinse oltre il bosco. A un certo punto, sentendosi stanco, decise di riposarsi e si sdraiò su un
che attorno lui era tutto un brulicare di folletti allegri e spensierati. “Vieni a giocare con noi a nascondino” lo invitò uno di loro. “Molto volentieri, è tanto che non mi diverto”, rispose Andrea. Giocarono per parecchie ore, poi i folletti scomparvero e Andrea si rese conto che la sua mucca non c’era più e pensò subito che si fosse smarrita nel bosco. Tornò a casa e raccontò quanto era accaduto alla madre che si arrabbiò a ragione con il figlio per la sua trascuratezza. La mattina seguente, madre e figlio, si misero subito alla ricerca della mucca e purtroppo la trovarono morta in un dirupo. La madre disperata si sentiva perduta senza l’animale
che almeno forniva loro il latte. Passò del tempo e una bella mattina Andrea, mentre stava intrecciando l’erica per le scope, si accorse che due folletti pascolavano con una mucca. La guardò e la riguardò attentamente e ben presto si accorse che quella era proprio la sua mucca. Allora le si avvicinò e le saltò in groppa, ma la bestia cominciò a dimenarsi e a correre giù per il prato con i due folletti attaccati alla coda. La mucca, correndo all’impazzata, giunse nei pressi di un castello e vi entrò: immediatamente apparve il re. “Signore, lei ha preso la mia mucca” disse il ragazzo. “No caro, questa è la mia mucca” rispose il sovrano, “l’ho comprata da due folletti”. Andrea allora raccontò tutta la storia al re che con generosità propose al ragazzo un borsa piene di monete d’oro in cambio dell’animale che produceva un ottimo latte. “Non sono d’accordo, io sono per le cose giuste, quindi rendetemi la mucca di mia madre e io toglierò il disturbo”, ribatté il ragazzo. Il re sbalordito per questo rifiuto disse: “Come puoi rifiutare un’offerta del genere, la mucca è indispensabile qui a corte, con il suo latte prepariamo formaggi e ricotte”. Il ragazzo insistette di nuovo: “A me sicuramente servirà di più, perché io e mia madre siamo molto poveri”. Il re commosso da tanta onestà gli restituì la mucca e gli regalò un sacchetto pieno di monete d’oro.
Ma il ragazzo rifiutò: “Penseranno tutti che ho rubato, non posso accettare il vostro denaro” “Mi sento in torto nei tuoi confronti ragazzo, per cui ti faccio una proposta: ogni giorno verso le quattro mi porterai un secchio pieno di latte di mucca e io te lo pagherò per quanto per me vale.” Contento e soddisfatto Andrea ritornò a casa con la mucca e raccontò quello che era successo alla madre che, sebbene incredula, era al colmo della felicità. Così, l’indomani, per dimostrale che non era impazzito condusse con sé la mamma al castello per consegnare il latte. Una volta arrivati davanti al cancello, due folletti uscirono per ritirare il secchio e donarono ad Andrea due sacchettini colmi di monete d’oro. Da quel giorno Andrea e sua madre vissero una vita tranquilla e serena, senza l’assillo della povertà e colmi di gioia e gratitudine per la fortuna inaspettatamente ricevuta. Fiabe
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Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza
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arà per le sue ataviche valenze materne, sarà per la sua avvolgente, rassicurante sensualità. Nulla come un seno turgido e tonico regala un irresistibile fascino al corpo femminile. Un bel décolleté insomma è ciò che l’immaginario, soprattutto maschile, percepisce come l’emblema della donna-donna: il simbolo della femminilità indiscussa. Le “dolci rotondità” se per alcune sono motivo di orgoglio, per altre rappresentano un vero e proprio cruccio. Specialmente quando sono piuttosto “scarse”… in vista dell’estate e della prova bikini, degli abiti leggeri e scollati, delle T-shirt e canotte aderenti che proprio non perdonano. Evitando di soffermarci su certi stereotipi attuali che, piuttosto che sexy rischiano di essere fenomeni da baraccone, tutte (o perlomeno molte) vorrebbero dei seni più pieni e sodi, e soprattutto naturali. Scordandoci, come già detto, del bombardamento mass mediatico con tutti quegli esagerati modelli protuberanti e protesici (nel vero senso della parola), è possibile aumentare il seno di una taglia o più senza ricorrere alla invasiva e troppo omologata chirurgia plastica?
Sollevare le forme…
Pare proprio di sì e a confermarlo è la dott.ssa Simona Nichetti, medico esperto di medicina estetica e nutrizione. “Per l’aumento o rimodellamento del volume di questa delicata zona corporea, se non si vuole ricorrere alle protesi, si può pensare alla tecnica del lipofilling”. In cosa consiste questa tecnica? “Si basa sulla aspirazione del grasso della paziente da zone donatrici del suo stesso corpo (addome, fianchi, esterno cosce), dopo averlo centrifugato allo scopo di rimuovere l’eccesso
di fluidi, le cellule adipose, così ottenute, si reimpiantano nelle mammelle. Per iniettarle vengono usati dei sottili aghi cannula che non lasciano alcun segno. Si ottiene in tal modo il duplice effetto di ridurre le zone con eccesso adiposo e aumentare contestualmente il volume del seno. Va tuttavia precisato che l’incremento non può certo essere particolarmente voluminoso e il risultato non è sempre stabile. Potrebbe quindi essere necessario ripetere la procedura nel tempo sino a ottenere la correzione desiderata”. Possiamo ricapitolare quali sono i vantaggi offerti? “L’esito è sicuramente naturale e non esiste possibilità di rigetto. Inoltre il post operatorio è ridotto al minimo, come pure il disagio. Né va dimenticato che se il fisico è molto esile, il seno deve essere proporzionato e armonioso, soprattutto ben sostenuto e sodo. A questo proposito suggerirei il consumo di alcuni alimenti che favoriscono il turgore e la tonicità dei tessuti mammari. È risaputo che la rigogliosità del petto è strettamente legata all’azione degli ormoni estrogeni. Vi sono dei cibi che ne sono naturalmente ricchi come la soya e i suoi derivati (tofu e germogli), cereali integrali, legumi, finocchio, semi di zucca, di lino e di girasole ed alcune spezie vedi origano, pepe, timo, zenzero e in particolare la salvia”. Ulteriori suggerimenti per la bellezza del décolleté? “Sicuramente gioca un ruolo importante la ginnastica mirata per rassodare la zona, come pure le docciature fredde eseguite con quotidiana regolarità. Un dettaglio essenziale è la giusta postura: schiena diritta e spalle indietro tonificano in modo costante i muscoli del petto. Inoltre è bene indossare sempre un buon reggiseno, soprattutto praticando sport, per proteggerlo da urti e strattoni dovuti ai movimenti”.
…e anche il morale
Di sicuro glorificano il seno al massimo gli ultimissimi reggipetti a balconcino high-tech-strong, proposti per la bella stagione dalla maison Parah. Capaci di mixare segreti vecchi e nuovi della corsetteria a push-up strategici, a furbi tagli e intagli studiati per valorizzare, rialzare e aumentare il volume del décolleté anche di chi non è particolarmente fornita... sollevando con un solo gesto anche il morale. Via libera alle coppe differenziate disponibili dalla B alla F per una vestibilità proprio su misura. Via libera al color nero mistero di una lingerie terribilmente sexy, da contrapporre al candore del bianco ottico e intercalare con l’intensità del senape e del mattone. Connubio perfetto tra l’intimo da boudoir e l’haute couture è il reggiseno Fior di Loto che accoglie il seno con petali fatti di pizzo e tulle trasparente. Mentre il modello Double String sposa il raso di seta stretch all’esclusivo materiale elastico “Sensitive”, per enfatizzare le curve e renderle perfette e seducenti. Stessa filosofia e vena estetica per il bikini delle vacanze dal reggipetto con il ferretto, tale e quale quello che portava Brigitte Bardot a Saint-Tropez. Però con quel quid in più dovuto a una tecnologia giocata su geometrie capaci di regalare una nuova floridezza. Una velata seduzione si insinua tra le doppie spalline che lasciano intravvedere la linea delle spalle, mentre nodi birichini allacciano lateralmente gli slip coordinati. Bianco puro è il colore trendy da sfoggiare sulla spiaggia. Vero must di stagione.
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Astri toro
gemelli
cancro
Fino all’16 aprile la vostra vita affettiva subirà qualche tentennamento. D’altra parte chi è solo non faticherà affatto a trovare la agognata compagnia. Buone opportunità professionali fino al 18 aprile.
Grazie ai transiti potrete ricevere una notizia che aspettavate da tempo. State attenti intorno all’16: evitate discorsi fuori luogo. Rischi di fraintendimenti con il partner. Maggior attenzione alla dieta.
Vita sentimentale in ascesa per i nati nel segno: passioni che tendono a riaccendersi, vecchi progetti che riprendono finalmente vita. Momenti di stress in famiglia da ricondurre a questioni di natura economica.
Novità favorite dai transiti planetari. Frenate un po’ sull’acceleratore: gli impegni delle ultime settimane hanno lasciato il segno. Riposatevi e abbandonatevi all’affetto delle persone a voi più prossime.
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vergine
bilancia
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Serve un po’ di calma per evitare che l’amarezza abbia il sopravvento. Raccogliete le idee e avvicinatevi a chi più vi apprezza. Sforzatevi comunque sempre di valutare la realtà con la dovuta chiarezza.
A partire dal 18 aprile potrete godere di una maggiore lucidità mentale. Particolarmente complesse, ma risolvibili le giornate tra il 14 e l’15 aprile caratterizzate da molti incontri. Evitate le persone superficiali.
Fino all’18 aprile il vostro umore oscillerà da un estremo all’altro. Incontri sentimentali caratterizzati da passionalità ed erotismo. Calo energetico per i nati nella terza decade in conflitto con se stessi.
Intorno all’15 aprile possibile incontro karmico che avrà il potere di turbare il vostro equilibrio emotivo. Non fatevi agitare troppo dagli eventi e mantenete i piedi ben saldi a terra. Parole di troppo.
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pesci
Vita interiore in subbuglio. Fino all’18 aprile sarete particolarmente sensibili, e ogni vostra emozione tenderà a uscire allo scoperto. Tra il 15 e il 16 aprile cautela nelle relazioni e nelle dichiarazioni.
Novità affettive. Fino al 15 di aprile siete avvolti in un’atmosfera sognante. Possibili amori provenienti dal passato e vecchie passionalità riaccese da un improvviso fuoco. Burrasche tra il 16 e l’17 aprile.
Possibili novità per i nati per i nati nel segno giungeranno attraverso un’email o una telefonata. Flirts e relazioni o con persone più giovani o con persone caratterizzate da un notevole dinamismo mentale.
Occasioni da non perdere per i nati nella prima decade. Se volete imprimere una svolta alla vostra vita decidete in base alla vostra personalità. Evitate di stressarvi inutilmente. Novità affettive per i nati di marzo.
» a cura di Elisabetta
ariete
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Verticali 1. Noto film del 2010 di Rose Bosch con Jean Reno • 2. Il poeta di Ascra • 3. Consonanti in nuoto • 4. Vento freddo • 5. Le regine con le spine • 6. Bel paesino del bellinzonese • 7. Temperino • 8. Articolo plurale • 9. Levatrice • 14. Alcoolisti Anonimi • 16. Mezza riga • 17. Crimini • 23. Cantanti lirici • 25. Dittongo in beato • 26. Le iniziali di Savoia • 27. Consonanti in liuto • 29. Opera di Verdi • 35. Simulare, ingannare • 36. Calano all’imbrunire • 37. Offesa, ingiuria • 41. È di fronte a Dover • 43. Assicurazione Invalidità • 45. Destino • 47. Lussemburgo e Svezia • 50. Vocali in tresche • 52. Avanti Cristo • 53. Tiro... centrale.
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Orizzontali 1. Una cavità del cuore • 10. Originale, fuori dal comune • 11. Breve esempio • 12. Il Nichel del chimico • 13. Occhiello • 15. Assillare, infastidire • 18. Astio • 19. Escursionisti Esteri • 20. Ente Turistico • 21. La prima nota • 22. Nuovo Testamento • 24. Il re di Shakespeare • 26. Rastremati • 28. Gravosi, onerosi • 30. Novantanove romani • 31. Le iniziali di Rascel • 32. Negazione • 33. Norvegia e Austria • 34. Collasso • 38. In nessun tempo • 39. Dittongo in pietra • 40. Consonanti in noce • 42. Il nome della Oxa • 44. Bella via luganese • 46. Agente urbano • 48. Ohio, Uruguay e Lussemburgo • 49. Schiaffo • 51. Quasi unici • 54. Onesti, leali • 55. Non ancora mature • 56. La dea greca dell’aurora.
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Soluzioni n. 13
La soluzione del Concorso apparso il 29 marzo è: DEMOLIRE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Urs Hess strada Verde 6999 Astano
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Al vincitore facciamo i nostri complimenti!
Giochi
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Ruf Lanz <wm>10CAsNsjY0MDQx0TU2MrI0NwUAUVzcXg8AAAA=</wm>
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