№ 16 del 19 aprile 2013 · con Teleradio dal 21 al 27 aprile
Corea del nord Come si vive nel paese che sfida il mondo alla guerra nucleare?
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Ticinosette n. 16 del 19 aprile 2013
Impressum Tiratura controllata 68’049 copie
Chiusura redazionale Venerdì 12 aprile
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
4 Arti Joe Lovano. L’onestà del jazz di tito Mangialajo RantzeR ..................................... 8 Ascolti Marangolo Sirkus Trio. Una bella sorpresa di Fabio MaRtini ........................... 9 Società Abu Ghraib. Un limite sottile di MaRiella dal FaRRa ..................................... 10 Eroi Marie Curie di FRancesca Rigotti ....................................................................... 12 Mundus Consigli e preconcetti. Vox populi di duccio canestRini ............................ 14 Visioni Pedro Almodovar. Nullità in volo di nicoletta baRazzoni ............................. 15 Salute Fumo e sigarette. Le “bionde” digitali di valentina geRig ............................. 16 Fiabe Il principe serpente di chiaRa Piccaluga .......................................................... 18 Vitae Gabriele Quadri di gaia gRiMani .................................................................... 20 Reportage L’enigma coreano di Fabio MaRtini; Foto di adRien golinelli/Phovea ......... 48 Tendenze Porsche 911. Anatra da corsa di giancaRlo FoRnasieR .............................. 56 Oggetti Il cavatappi di daniele Fontana ................................................................. 58 Astri ....................................................................................................................... 59 Giochi .................................................................................................................... 60 Agorà Cina. La corsa del gigante
di
RobeRto Roveda .................................................
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
Stampa
(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Lo sguardo della sfida Fotografia di ©Adrien Golinelli/phovea
Riconoscimenti e qualche ritocco Nell’ambito dello “Swiss Press Photo 2013 Il premio svizzero per la fotografia giornalistica”, Reza Khatir si è classificato secondo nella categoria ritratti con il lavoro Magic Box, The Family. Queste fotografie sono state pubblicate per la prima volta in uno speciale di Ticinosette del gennaio 2012 dedicato alla famiglia, nel quale era presente un reportage dal titolo “Destini incrociati” (http://issuu.com/infocdt/docs/n_1204_ti7); a lato ecco una delle fotografie che lo componevano. Al momento della chiusura di questo numero, non sono ancora stati resi noti i nominativi di tutti i premiati (evento che si è tenuto nella serata del 12 aprile, giorno di chiusura di questo numero). Non è dunque escluso che anche ad altri lavori di fotografi ticinesi vengano assegnati dei riconoscimenti, come già successo in modo puntuale in passato, sia nell’ambito dello “Swiss Press Photo” sia in altri concorsi, nazionali e internazionali (Jacek Pulawski, Matteo Fieni ecc.). Ricordiamo agli interessati e a tutti gli appassionati di fotografia che le immagini premiate faranno parte di un’esposizione che è stata inaugurata ieri, 18 aprile per chi ci legge, con un vernissage nei prestigiosi spazi del Landesmuseum/ Museo nazionale di Zurigo. Sempre nell’ambito della fotografia e rispetto a questa uscita, segnaliamo la presenza di un reportage dedicato alla Corea del nord. Le immagini vengono pubblicate
per la prima volta in Svizzera e il suo autore, Adrien Golinelli, è un giovane e talentuoso autore che opera per l’agenzia ginevrina PHOVEA fondata dal ticinese Reto Albertalli, a sua volta prezioso collaboratore di questa rivista. Per questo importante lavoro Golinelli ha ricevuto un prestigioso riconoscimento al “Paris Photo Jeunes Talents 2012”. Segnaliamo in conclusione che da questo numero vengono introdotte alcune novità grafiche, alla luce di precise richieste giunte dai lettori e dagli editori di Ticinosette, oltre a esigenze giornalistiche e redazionali che ci permetteranno di lavorare e garantire un prodotto di qualità ai lettori e agli inserzionisti. La Redazione esprime un sentito ringraziamento a Roberto Dresti (Centro Stampa Ticino SA, Muzzano), prezioso collaboratore della testata, per l’impegnativo contributo grafico. Buona lettura, Giancarlo Fornasier
La corsa del gigante
Cina. Se da una parte cresce sempre di più l’attenzione nei confronti del paese asiatico e la sua influenza a livello globale, dall’altra permane una sorta di distanza incolmabile, irriducibile, che rende difficile a chi vive in occidente comprendere le dinamiche interne a quel mondo. Di questo e altro discutiamo con Alfonso Tuor, giornalista economico e conoscitore della Cina di Roberto Roveda
I Agorà 4
segnali sono sotto gli occhi di tutti e non c’è bisogno di essere analisti politici per decifrarli. Parliamo del riacutizzarsi delle tensioni tra Corea del sud e Corea del nord, del rafforzamento dell’apparato militare americano in Estremo oriente e nell’Oceano Pacifico a scapito della presenza nell’Atlantico e in Europa. Oppure del riaccendersi dello scontro tra Cina e Giappone e di quest’ultimo con la Russia per alcune isole contese. Tutte prove che il grande risiko della geopolitica mondiale sta giocando la sua partita più importante a Oriente e che quest’area strategica è probabilmente destinata nel prossimo futuro a determinare buona parte degli equilibri a livello mondiale. È evidente poi che la Cina sta sempre di più cercando di assumere un ruolo di leadership nell’area e che ha ormai le carte in regola per insidiare il primato statunitense che perdura dalla Seconda guerra mondiale. Certo, è azzardato parlare del XXI secolo come del “secolo cinese”, come sostenuto da molti analisti, e si rischia di sottovalutare eccessivamente la potenza dell’apparato industriale, economico e militare degli Stati Uniti e la forza dei legami che gli americani hanno stabilito con molti stati del Pacifico orientale. È però innegabile che recentemente la Cina ha sempre più assunto le caratteristiche di un rinnovato “celeste impero”. Lo confermano i numeri, realmente impressionanti: negli ultimi dieci anni, l’economia del colosso asiatico è cresciuta del 150%, diventando la seconda al mondo (era la sesta nel 2002). Il PIL pro capite si è quasi quintuplicato, crescendo da 1135 a 5432 dollari l’anno, un successo enorme per un paese che ha più di un miliardo e trecento milioni di abitanti! Oggi la Cina è il primo paese esportatore e il secondo importatore nel mondo. Inoltre nel 2010 è diventata il terzo azionista della Banca mondiale e il terzo contribuente del Fondo monetario internazionale. Accanto all’influenza economica è cresciuto anche il peso politico a livello mondiale, con il
paese sempre più presente nello scacchiere Mediorientale – come dimostra l’attuale crisi siriana, in cui sta giocando un ruolo di primo piano – e in Africa. Un paese sotto tutela Con la Cina quindi siamo destinati ad avere a che fare e non è certo d’aiuto a noi occidentali il fatto di continuare a guardare a quel mondo con sufficienza e con un malcelato senso di superiorità. Così come non è d’aiuto una certa miopia che ci porta a leggere la realtà cinese attraverso chiavi di lettura tipicamente europee e occidentali. In parole povere, non riusciamo a guardare al mondo cinese senza pregiudizi, come a qualcosa di altro da noi. Dimentichiamo troppo in fretta che stiamo parlando di un mondo basato su quella che ai nostri occhi non può che apparire come una lampante contraddizione: il connubio tra una politica e un establishment legati al vecchio partito comunista e una filosofia economica apertamente capitalista. Così come sottovalutiamo il ruolo assolutamente centrale nella gestione del paese ricoperto dal partito, al governo da 1949; un partito che determina totalmente la politica del paese, come dimostrato nell’ultimo Congresso lo scorso novembre. In quell’occasione è stata rinnovata la leadership cinese, con l’elezione dei sette membri permanenti del Politburo del comitato centrale, e si è stabilito chi guiderà la Cina nel prossimo decennio: Xi Jinping, succeduto a Hu Jintao nelle cariche di segretario del partito e di presidente della Repubblica popolare cinese, mentre Li Keqiang ha sostituito Wen Jiabao come primo ministro. Scelte nel segno della continuità che mostrano come l’economia cresca a tasso record mentre la politica, anche se cambia leader, tende a perpetuare la propria linea di azione. Eppure il colosso cinese corre, anche se in modo difficile da decifrare da un punto di vista occidentale. Ma allora quale Cina dobbiamo aspettarci nei prossimi anni? Lo abbiamo (...)
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Agorà 6
Riunione dell’Assemblea Politico Consultiva del Popolo Cinese (CPPCC). Immagine tratta da chinadaily.com
chiesto al giornalista Alfonso Tuor, profondo conoscitore delle dinamiche interne di questo stato-continente: Credo che dal punto di vista politico e delle libertà individuali non ci saranno sostanziali cambiamenti. Probabilmente verranno chiusi i campi di rieducazione, che si stima accolgano ancora circa 300mila cinesi, inviati lì senza un regolare processo. Ma si tratta solo di un piccolo miglioramento. Credo che invece vi saranno cambiamenti in due ambiti importanti: in primo luogo si cercherà in ogni modo di allargare il mercato interno, studiando provvedimenti per aumentare i salari e quindi il potere d’acquisto delle fasce più povere. Questa manovra ha due obiettivi: cercare di combattere le mostruose disuguaglianze sociali del paese e riorientare un’economia fondata sull’export, creando un mercato interno consistente. In secondo luogo, la leadership ha sbandierato la volontà di perseguire una politica di lotta contro la corruzione, fenomeno diffusissimo in Cina e che ha assunto proporzioni molto negative per il regime, al punto che la gente ha perso completamente la fiducia nel partito. Personalmente non credo che il fenomeno verrà meno: sarà combattuto, ma soprattutto si userà la propaganda per dimostrare che il partito sta cercando di migliorare la situazione.
La crescente importanza dell’esercito Insomma le autorità cinesi guardano molto al fronte interno e non sembrano tenere in altrettanta considerazione le critiche provenienti dall’estero in tema di diritti umani e libertà individuali. Questioni molto sentite in occidente, ma che sono ben poco al centro dell’attenzione in Cina, soprattutto fra la gente comune. Il problema principale, infatti, sembra essere quello della sopravvivenza materiale e del miglioramento delle condizioni di vita; la gente si interessa soprattutto agli affari e si parla poco di politica. Una politica, come ci conferma Tuor, dominata dal partito unico: Il partito comunista cinese più che un partito oggi è una lobby politico-economica a cui fanno capo 60–70 milioni di persone, che detiene un potere notevole a livello locale, regionale e centrale. Il partito non è monolitico e se mostra segni di cedimento viene affiancato da un’altra struttura che è l’ultimo guardiano della stabilità della Cina: l’esercito. Come hanno dimostrato gli avvenimenti di Tienanmen, nei momenti di crisi profonda è l’esercito che interviene a riportare l’ordine. E l’esercito dipende dal partito stesso: non a caso il segretario generale del partito è anche il presidente della commissione militare, unico civile ad affiancare
i militari. Bisogna poi considerare un aspetto molto importante, quello dell’indebolimento del carisma dei leader cinesi: da Hu Jintao all’attuale Xi Jinping, i leader non hanno più avuto il carisma di Mao o Deng Xiaoping. Questo di fatto rafforza il potere dell’esercito nell’equilibrio dei poteri interni al paese. Così come la politica estera americana, che ha deciso di spostare il proprio asse principale di interessi dall’Atlantico al Pacifico, non fa altro che consolidare il ruolo dei militari, che hanno sempre più denaro e potere per contrastare questo potenziale avversario. Dobbiamo poi tenere conto che tutti i cinesi – anche quelli che criticano il Partito comunista – sono convinti che gli Stati Uniti vogliano boicottare la crescita della Cina. Quindi temono che si ripeta quanto avvenuto nell’ottocento e nel primo novecento, quando di fatto gli occidentali hanno determinato la storia cinese… Già, così è stato fino alla Seconda guerra mondiale. Inoltre i cinesi sono convinti che vi sia anche un tentativo di contenimento e di accerchiamento dalla Cina. Per esempio, il fatto che gli Stati Uniti abbiano accettato che l’India potesse disporre di una bomba atomica, gli accordi militari col Giappone, la presenza militare nella Corea del sud, il supporto immediato – prima ancora che venisse varata alcuna riforma – alla Birmania che mostra di volersi staccare dall’influenza della Cina sono tutte operazioni che sono state interpretate in funzione anticinese. La convinzione secondo cui l’occidente vuole far precipitare l’ascesa economica della Cina e la sindrome da “accerchiamento” rafforzano di fatto il potere dei militari. I mutamenti dell’economia cinese Al di là della politica estera, la grande sfida che si trova ad affrontare la nuova dirigenza cinese è quella di superare le enormi disuguaglianze sociali all’interno del paese. Sempre nell’ultimo Congresso del partito è stato fissato l’obiettivo di arricchire la popolazione per avere una società benestante entro il 2020. La leadership cinese mira a raddoppiare entro il 2020 sia il PIL sia il reddito dei cittadini rispetto al 2010. Inoltre si vuole razionalizzare la distribuzione della ricchezza nazionale e diminuire il divario nei redditi. Beneficiare tutto il popolo con il frutto ottenuto nello sviluppo del paese e realizzare il benessere comune della Cina. Il congresso ha affermato di volere costruire un sistema di welfare ispirato ai principi di imparzialità dei diritti, delle opportunità e delle regole, che sono fondamentali per la realizzazione dell’armonia nella società. Dichiarazioni di principio o realmente si sta andando in questa direzione? Quello dell’aumento dei salari è un processo già iniziato e favorito dal governo. Credo che gli scioperi avvenuti in alcune fabbriche straniere, come la Honda, siano stati in qualche modo considerati positivamente dal partito, se non addirittura caldeggiati. L’obiettivo è quello di ampliare il mercato interno, diventando meno dipendenti dalle esportazioni e di conseguenza anche meno “ricattabili” all’esterno. Credo inoltre che da parte della leadership cinese vi sia consapevolezza che i mercati europei e americani non sono più destinati a tornare dinamici come un tempo e probabilmente le esportazioni verso questi paesi si ridurranno. Si vuole quindi diventare meno dipendenti dai cicli economici dell’occidente sia rafforzando l’economia interna, sia incrementando l’export e creando rapporti finanziari con i paesi dell’America latina, del sud-est asiatico e dell’Africa.
Inoltre, l’export del colosso cinese sta rapidamente cambiando natura… Certamente. A differenza del passato, molte produzioni a basso valore aggiunto (come, per esempio, quelle delle t-shirt) non vengono più fabbricate in Cina, ma delocalizzate in Birmania o Bangladesh, dove i salari sono più bassi. Si punta su esportazioni ad alto valore aggiunto: questo è possibile anche perché la Cina ha alcuni vantaggi competitivi rispetto a un paese come l’India. Esistono dei cluster industriali e delle infrastrutture logistiche eccezionali che possono essere sfruttate dalle aziende oltre a risorse umane formate e preparate. In aggiunta, a differenza di quanto avviene in altri paesi, a supporto di tutti i settori operano fabbriche in grado di produrre componentistica. Il trend positivo degli ultimi anni ha portato, assieme all’aumento dei salari, anche a un incremento quasi esponenziale della produttività e a una crescita dell’occupazione nel settore industriale. L’obiettivo per il futuro dei dirigenti cinesi è che si vada in Cina non solo e non tanto perché lì si può produrre a bassi costi, ma soprattutto perché è diventato il mercato più importante del mondo; un mercato in cui non è facile sfondare perché la concorrenza cinese aumenta anche nei settori dove gli occidentali tradizionalmente sono sempre stati protagonisti o comunque egemoni. La Cina e l’Europa Signor Tuor, visti i cambiamenti che ha descritto possiamo affermare che l’Europa si avvia, almeno sul breve termine, a essere sempre più periferia anche dal punto di vista economico? Su questo aspetto sarei molto cauto. Su un piano economico non l’Europa ma alcuni paesi europei intrattengono notevoli relazioni con la Cina: la Germania, per esempio, ha una presenza notevolissima nel paese. Sono convinto che la Cina stia operando strategicamente in modo da far sì che il suo mercato sia a tal punto imprescindibile per alcuni paesi – tra cui la Svizzera, che ha stipulato un trattato di libero scambio con la Cina – da rendere meno fondamentale l’alleanza strategica di questi stati con l’America. Una Europa filo-cinese al posto di una storicamente filo-americana? A suo tempo, la Francia di Chirac, insieme alla Germania, si era opposta alla guerra del Golfo. Negli anni successivi, con l’elezione a presidente di Sarkozy, però ha preso parte alla missione in Libia. La Germania invece non ha mutato la sua condotta in politica estera e si è astenuta sulla Libia, come hanno fatto la Russia e appunto la Cina. È chiaro quindi che questo paese sta guardando alla Cina; questo implica anche un avvicinamento alla Russia, perché oggi i rapporti del Cremlino con la Cina sono molto stretti. Se su alcune questioni Mosca mostra i muscoli è perché sa di avere le spalle coperte dall’appoggio cinese. Non bisogna poi dimenticare alcune affermazioni di Sun Tzu, autore dell’Arte della guerra, che ben riassumono lo spirito cinese; per esempio, “Sconfiggere il nemico senza combattere è la massima abilità”; in pratica la vera arte della guerra è non farla, cioè vincere senza guerreggiare. È un po’ quello che la Cina cerca di fare con gli Stati Uniti, che però rifiutano di cedere il loro storico primato in Asia e sul Pacifico. Per loro, infatti, significherebbe rinunciare definitivamente alla supremazia mondiale.
Agorà 7
L’onestà del jazz
Il sassofonista Joe Lovano, da poco sessantenne, è l’esempio di come si possa essere dei grandi del jazz anche senza aver cambiato radicalmente la storia di questa musica di Tito Mangialajo Rantzer
Arti 8
Ultimamente mi sono messo a riascoltare Sounds of Joy, un cd uscito nel 1991 del sassofonista americano Joe Lovano. L’ho recuperato dai miei scaffali principalmente perché in questo periodo desidero ascoltare con attenzione il batterista Ed Blackwell, a lungo compagno musicale di Ornette Coleman. Blackwell, che ci ha lasciato nel 1992, è per me un gigante, forse non abbastanza tenuto in considerazione dai giovani batteristi odierni. Così, partendo da Blackwell, ho riscoperto questa musica e ho pensato quindi di parlare di Lovano, che, a sessant’anni anni appena compiuti, può essere considerato come uno dei più influenti e ispirati musicisti jazz in attività. Nato il 29 dicembre del 1952 a Cleveland, Ohio, Lovano è un figlio d’arte, essendo suo padre, Tony “Big T” Lovano, un sassofonista apprezzato nella sua città (di giorno faceva il barbiere e la sera suonava nei jazz club). Il contatto col jazz avviene quindi fin dall’infanzia e anche lo studio del sax. Forte di una buona padronanza del linguaggio bebop e di un diploma al college, Lovano si trasferisce a Boston agli inizi degli anni settanta per studiare alla famosissima Berklee School of Music. Come ebbe egli stesso a dire più tardi in un’intervista “fino al momento di iscrivermi a Berklee la mia formazione era interamente basata sul bebop. A Berklee ho scoperto forme più aperte e armonie più libere e capì che cosa avrei voluto suonare in seguito”. Diplomatosi, con compagni di studi musicisti del calibro di John Scofield e Bill Frisell, Lovano trova ingaggi con l’orchestra di Woody Hermann e di Mel Lewis. Si può affermare che la lunga esperienza come musicista leader nella sezione ance di orchestre così importanti si senta nel suo eloquio solistico, nella sua grande forza ritmica propulsiva, quella appunto di un sassofonista abituato a guidare una sezione. Nel 1975 registra un disco, Afrodesia, con l’organista Lonnie Smith, figura di riferimento del Black Funk degli anni settanta. Lovano, a soli, 23 anni è già pienamente padrone del sassofono e lo si può ascrivere alla lunga schiera dei sassofonisti influenzati dal grande John Coltrane; ma alcuni elementi del fraseggio, e soprattutto il suono, sono già personali e squisitamente “lovaniani”.
L’inizio di un percorso Passati alcuni anni come musicista da big band, all’inizio degli anni ottanta comincia la collaborazione, fruttuosa e continuativa, con il quartetto del chitarrista John Scofield e soprattutto con il grande batterista Paul Motian, veterano del jazz, già nel favoloso trio di Bill Evans (con Scott La Faro al basso) e in seguito a fianco di Keith Jarrett. Con Motian, affiancato dal chitarrista Bill Frisell in un trio senza contrabbasso, registra una dozzina di dischi (più altri con formazioni diverse), alcuni dei quali vale la pena andare a riascoltare con attenzione: Monk in Motian (1988), On Broadway vol. 1 e 2 (1989-90), Bill Evans (1990), I have the room above her (2004). In alcuni di questi dischi si inserisce anche un contrabbassista, Marc Johnson o Charlie Haden, ma è il suono del trio, caratterizzato dal “drumming” sghembo di Motian, dai suoni particolarissimi di Frisell e dal fraseggio al tempo stesso moderno e classico di Lovano, a rimanere impresso: ho ancora un ricordo particolarmente vivido del trio, ascoltato tanti anni fa dal vivo al Capolinea di Milano, mitico jazz club ormai scomparso dove generazioni di musicisti italiani si sono formati. Il CD del 1991, Sounds of Joy, complice anche la presenza di Blackwell, ci fa scoprire un Joe Lovano vicino alla lezione del grande Ornette Coleman. La formazione sax-bassobatteria, senza strumento armonico quindi, permette a Lovano di esprimersi con estrema libertà, senza però mai dimenticare la sua provenienza, legata al bop e alla musica per big band. E forse sono proprio questi gli elementi che più di ogni altri ci permettono di inserire Joe Lovano in una sorta di empireo del sassofonismo odierno: forte legame con la tradizione, da lui genuinamente vissuta al fianco di musicisti quali suo padre, Woody Hermann e Mel Lewis; partnership con Motian, batterista che ha attraversato cinque decenni imponendo sempre il suo stile e la sua visione musicale; appartenenza a una nuova generazione formatasi negli anni settanta. Il tutto legato da un suono personalissimo che lo rende immediatamente riconoscibile. Si dirà che Joe Lovano non ha cambiato la storia del jazz: forse è esatto, ma la storia del jazz è fatta anche di ottimi musicisti che con grande umiltà si “limitano” a viverla e a cercare comunque onestamente di suonare se stessi.
Ascolti Una bella sorpresa di Fabio Martini
Antonio Marangolo è un artista singolare. Nato nel 1949 in Sicilia, esordisce come cantante e tastierista rock nei primi anni settanta per poi dedicarsi al sassofono, alla composizione e all’arrangiamento. Attivo al fianco di Ivano Fossati, Ornella Vanoni, Francesco Guccini e altri big della canzone italiana, inizia nel 1982 una collaborazione con Paolo Conte con cui realizza album memorabili (Paolo Conte, 1984; Concerti, 1985; Aguaplano, 1987; Paolo Conte Live, 1988). Inoltre, dal 1990 al ’94, lavora come arrangiatore ai primi tre album di Vinicio Capossela. Parallelamente, Marangolo ha sviluppato una personale carriera come sassofonista e improvvisatore di jazz di cui questa recente uscita discografica è pregna testimonianza. Devo ammettere una certa diffidenza verso i lavori solistici dei musicisti che operano nell’ambito della musica leggera che, pur preparati e altamente professionali, di solito propongono materiali ben confezionati ma troppo patinati e raramente rilevanti sotto il profilo artistico. Ma Marangolo, che
non conoscevo come improvvisatore, mi ha spiazzato fin dalle prime note. A parte la qualità timbrica del suono – egli qui utilizza i sassofoni tenore e soprano – unica e personalissima, Marangolo rivela, oltre a una straordinaria dotazione melodica, la capacità di distillare il materiale con invidiabile parsimonia: non una nota di troppo ma solo quello che merita di essere suonato. Qualità rara, in un’epoca in cui maniera e tecnicismo dominano il panorama jazzistico. Marangolo dimostra di possedere una tavolozza completa delle possibilità espressive dei suoi strumenti che incornicia in un fraseggio fresco e mai scontato. Mi è venuto in mente, a riguardo, quanto sostiene Lee Konitz nel recente libro intervista recensito tempo fa sulle pagine di Ticinosette riguardo al “suonare solo ciò che va suonato”. Il trio, completato dai bravissimi Stefano Solani al contrabbasso e Gilson Silveira alle percussioni, rivela tutte le sue potenzialità di interplay grazie anche a nove composizioni raffinate e di alto livello. Assolutamente grande musica!
Marangolo Sirkus Trio Studiottanta-Fortuna Records, 2013
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Un limite sottile
Cosa separa la tortura dall’indebolimento psicologico? In realtà una linea molto labile, anche se per i soldati incaricati di eseguire nel carcere di Abu Ghraib gli interrogatori “particolari” non ci sono dubbi: la tortura è un’altra cosa. A quella pensavano i dipendenti di società private...
di Mariella Dal Farra illustrazione di Giovanni Occhiuzzi
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È di questi giorni la notizia del risarcimento di cinque milioni e duecentottantamila dollari assegnato da una corte federale statunitense a 71 ex detenuti iracheni del carcere di Abu Ghraib. Per la prima volta nella storia, la condanna è stata comminata a un’azienda privata – la Engility Holdings Inc. – la cui controllata L-3 Services Inc. forniva traduttori di supporto al personale militare americano di stanza in Iraq. “I contractor privati hanno svolto un ruolo di rilievo ma spesso sottostimato nei peggiori abusi compiuti ad Abu Ghraib”1, afferma Baher Amzy, uno dei legali che rappresentano i detenuti. “Siamo contenti perché il risarcimento comporta una responsabilità e restituisce una qualche forma di giustizia alle vittime”.2 La procedura per “la verità” Lo scandalo della prigione di Abu Ghraib era scoppiato nel 2004, durante la campagna per la rielezione di George W. Bush, quando alcune foto di prigionieri in stato di sofferenza erano trapelate sui media. Per capire che cosa davvero sia accaduto nel carcere, un libro aiuta a gettare luce sulla dinamica di quegli eventi, “iconicamente” associati all’immagine di Satar “Peller” Jabar: il detenuto incappucciato sulla scatola di cartone con i fili elettrici attorcigliati intorno alle dita. Il libro si chiama La ballata di Abu Ghraib (Einaudi, 2009) ed è stato scritto da Philip Gourevitch, già direttore di The Paris Review, ed Errol Morris. L’incipit fornisce alcuni dati di base: i riservisti della Military Police incaricati di “preparare” i prigionieri per gli interrogatori erano privi di una preparazione specifica, anche se i membri della Military Intelligence che lavoravano nel carcere avevano fornito loro alcune indicazioni di massima. Queste comprendevano: sottoporre i prigionieri alla deprivazione del sonno; ammanettare i prigionieri nudi alle sbarre della cella o del letto a castello, costringendoli a mantenere posizioni coatte per diverse ore di seguito; spogliare i prigionieri e indurli a strisciare o a fare flessioni sul pavimento inondato d’acqua; incarcerare bambini i cui genitori erano sospettati di terrorismo per esercitare pressione psicologica su di loro; spogliare i prigionieri e costringerli a posizionarsi in forma di piramide umana; aizzare i cani per incutere terrore; utilizzare in maniera sistematica altre forme di intimidazione quali urlare, rompere oggetti e trasmettere a tutto volume musica rock nelle celle.
Ognuno faccia da sé… Nelle interviste raccolte, i soldati incaricati di eseguire questo genere di trattamenti ripetono diverse volte che non si trattava di tortura, bensì di tecniche di “umiliazione” e “indebolimento” psicologico: i veri pestaggi avvenivano nella stanza degli interrogatori – dove entravano in gioco, fra gli altri, i dipendenti della L-3 Services Inc. – e, come tali, non sono stati documentati. “Quello che mi pare assolutamente evidente è che non stavamo nascondendo niente”, dice Ken Davis, sergente della Polizia militare, “se sai che stai facendo qualcosa di sbagliato, qualcosa di maledettamente sbagliato, cerchi di nasconderlo”. Ad Abu Ghraib, invece, nessuno nascondeva niente: “Tutti sapevano”, dice Lyndie England, private first class della Polizia militare, la donna fotografata mentre tiene un detenuto al guinzaglio; “Sulle prime, pensammo che era insolito, strano e sbagliato ma, quando siamo arrivati, le procedure erano già state impostate. E questo è ciò che vedemmo. Voglio dire... era ok”. Di fatto, il libro mette in evidenza come l’assenza di regole precise, e l’impiego di personale non qualificato abbiano posto le condizioni per il verificarsi degli abusi, in riferimento ai quali, sia detto per inciso, nessun militare di grado superiore a quello di sergente è stato processato. Tuttavia, l’intenzionale ambiguità dei vertici della catena di comando3 e la loro assenza di scrupoli – Geoffrey Miller, ex comandante di Guantanamo, suggeriva di “trattare i prigionieri come cani” – rappresenta una condizione necessaria, eppure non sufficiente a spiegare quanto accaduto. Rimane infatti un’irriducibile quota di discrezionalità individuale di cui dare conto. Una predisposizione a far del male La tendenza a obbedire incondizionatamente all’autorità è stata ampiamente studiata nell’ambito della psicologia sociale fin dagli anni sessanta, con particolare riferimento al noto esperimento di Stanley Milgram sulle scosse elettriche. Nell’esperimento originale, alcune persone venivano reclutate per partecipare a un ipotetico “studio sull’apprendimento” che prevedeva di infliggere scosse di voltaggio progressivamente più elevato ogni qual volta un “soggetto” avesse fornito risposte errate. I risultati, più volte replicati, mostrano come il 62,5% dei partecipanti si uniformarono alle richieste del “ricercatore”, agendo di fatto come po-
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tenziali torturatori4. Per spiegare un esito così drammatico, Milgram elaborò il concetto di “stato eteronomico”: una condizione di acquiescenza acritica a una figura o istituzione autoritaria, considerata socialmente legittima, che induce le persone ad abdicare al senso di responsabilità individuale. Secondo Milgram, tale “stato” è favorito dall’educazione all’obbedienza che, nella nostra cultura, costituisce parte integrante dei processi di socializzazione. Un ulteriore contributo venne fornito dieci anni dopo dal ricercatore Philip Zimbardo, attraverso l’altrettanto famoso “esperimento carcerario di Stanford”: a un gruppo di studenti fu chiesto di impersonare, sempre a scopo “sperimentale”, il ruolo di guardia o di detenuto all’interno di un carcere simulato. I soggetti entrarono a tal punto nella parte loro assegnata che i “detenuti” tentarono un’evasione di massa e, al quinto giorno, l’esperimento dovette essere interrotto per la gravità dei sintomi comportamentali manifestati da entrambe le parti. Questi studi dimostrano come la maggior parte degli esseri umani, posti in determinate condizioni, sia suscettibile di mettere in atto comportamenti gravemente lesivi dell’incolumità fisica e morale altrui. Un dato evidentemente noto presso le aziende di sicurezza private che collaborano con le forze armate in diversi scenari di guerra, le quali però, per la prima volta, sono chiamate a risponderne. È atteso
per la prossima estate un altro processo a carico di un contractor americano: la Caci International di Arlington, in Virginia. L’esito del confronto potrebbe essere, in molti sensi, decisivo. per saperne di più In ragione della sua expertise in materia, nel 2004 Philip G. Zimbardo fu perito della difesa nel caso di “Chip” Frederick, una delle guardie carcerarie di Abu Ghraib. Le tesi elaborate nel corso dei suoi studi sono riproposte, alla luce di questa nuova esperienza, nel libro L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa?, edito da Raffaello Cortina Editore (2008). Il dibattito relativo all’uso della tortura da parte degli Stati Uniti durante l’amministrazione Bush è stato di recente rinfocolato dall’uscita del film di Kathryn Bigelow, Zero Dark Thirty (2012), che verte sulla caccia a Osama Bin Laden e mostra le pratiche di “waterboarding” utilizzate nel carcere di Guantanamo per ottenere informazioni dai detenuti. note 1 “Usa, 5 milioni di dollari a detenuti Abu Ghraib: è il primo caso di risarcimento per torture”, la Repubblica.it, 9/1/2013. 2 Ibidem. 3 Per esempio, l’aggiramento delle convenzioni di Ginevra ottenuto grazie allo status conferito ai detenuti iracheni, che non venivano riconosciuti come “prigionieri di guerra”. 4 Naturalmente, il “soggetto” non riceveva alcuna scossa, anche se le persone incaricate di somministrarle erano convinte di sì.
Marie Curie
Figura seminale della scienza e della fisica contemporanea, insignita due volte del premio Nobel, la studiosa francese ha dedicato la propria vita alla ricerca e alla famiglia. Un modello femminile insuperato di Francesca Rigotti
Ora so che cosa mi aveva tanto entusiasmata da ragazzina nel leggere la biografia di Maria Skłodowska (poi Marie Curie, 1867–1934), scritta dalla figlia Eva: il fatto che Maria avesse imparato a leggere a quattro anni dalla sorella di poco maggiore Bronia, e che avesse fatto di quel gioco di leggere e imparare la passione e la ragione della sua vita. E poi il patto stretto tra le due sorelle – due dei cinque figli di una famiglia di insegnanti di Varsavia economicamente in disgrazia – di aiutarsi a vicenda per finanziare all’estero gli studi universitari (preclusi in Polonia alle donne) di entrambe. Nonostante gli eccellenti risultati scolastici Maria poté infatti iscriversi alla facoltà di fisica a Parigi soltanto a 24 anni, dopo aver a lungo lavorato come istitutrice e insegnante.
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un’intensità di radiazione molto superiore a quella dell’uranio. Dal 1898 al 1902 lavorano a raffinare la pechblenda cercando di isolare radio abbastanza puro per analizzarne le proprietà, nel 1902 riescono a calcolare a 225 il peso atomico dell’elemento.
Un eroe della scienza Già nel 1903 la scoperta viene onorata dall’Accademia delle Scienze di Stoccolma che conferisce il premio Nobel per la fisica a Pierre e Marie Curie e a Henry Becquerel; era soltanto la terza edizione di questa manifestazione, voluta da Alfred Nobel, inventore della dinamite, che vi aveva investito gli altissimi proventi del suo esplosivo prodotto. Basta questo a definire Marie Curie un eroe della scienza? No, ci vuol altro. Energia fisica e mentale Ci vuole, nel suo caso, la coscienza che i Ma Maria era piena di energie, fisiche valori stiano nella vita attiva, ci vuole il e mentali, cosa che le permetteva di coraggio morale e scientifico di pensare studiare indefessamente, così come le che non la morte abbia valore, che non permise, dopo il matrimonio (soltanto basta morire per essere eroi, ma che il civile) con Pierre Curie, anch’egli fisico valore l’abbiano la vita, la scienza e e scienziato, di lavorare otto ore in labola conoscenza. E che per esse valga la ratorio e due-tre ore per i lavori di casa, pena di andare a dormire e rialzarsi prima di sedersi ancora alla scrivania, la ogni giorno, come la luna che muore Marie Curie. Immagine tratta da sera, a studiare nella stanza silenziosa e nasce, come il sole che di giorno in badcatinhat.deviantart.com in cui risuonavano soltanto il fruscio giorno sprofonda e si rialza. delle pagine sfogliate e il grattare della Si pensi che la sua devozione alla scienpenna sul foglio. za e alla condivisione dei suoi risultati fu tale che Madame La vita di Marie Curie trascorse tutta tra l’impegno scienti- Curie si rifiutò sempre di brevettare la produzione comfico e la vita familiare, senza concessioni alla mondanità: merciale del radio, nello stesso spirito di Röntgen che si era aveva scelto la strada non facile, ricca però di soddisfazioni, rifiutato di brevettare i raggi X. di tenere insieme tutto, di essere studiosa e casalinga, moglie e madre di due figlie, una delle quali, Irène Joliot-Curie, Il secondo Nobel e il laboratorio divenne anch’essa una importante scienziata. Nel 1911 Marie riceve, questa volta da sola, il premio Nobel per la chimica: a nessuno è mai riuscito prima né riuscirà La scoperta del radio dopo, fino a oggi, di riceverlo due volte per due diverse In un laboratorio di legno molto simile a una baracca, Marie scienze. Eppure soltanto nel 1914, allo scoppio della guerra, e Pierre Curie, genuinamente innamorati del proprio lavoro le sarà concesso un laboratorio per le ricerche a Parigi, dove e pare anche l’una dell’altro, lavoravano in mezzo a minerali era guardata con diffidenza in quanto donna, straniera e di pechblenda contenenti uranio. Nel 1898 scoprirono un laica. Negli anni successivi si dedicherà ad allestire apparecnuovo elemento chimico: il polonio, così chiamato in onore chi Röntgen per aiutare i soldati feriti, per poi tornare, alla del paese di Maria, spirito patriottico e laico, anzi agnostico fine della guerra, nel suo laboratorio, schiva e attiva come come si definì ella stessa adottando il nuovo termine co- sempre, e ora anche civilmente impegnata per assicurare niato da Th. H. Huxley pochi anni prima. i valori della scienza, del disarmo e della pace. Muore nel Presto i due individuano, nella pechblenda, un altro ele- 1934 per una un’anemia dovuta probabilmente alla prolunmento che chiamano radio (dal latino radius, raggio), con gata esposizione ai raggi radioattivi senza protezione.
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Vox populi
La grande rivoluzione del passaparola condiviso non è esattamente una novità. Ciò che è cambiato è la modalità con la quale le opinioni comuni e i preconcetti vengono resi pubblici… Attraverso la rete, naturalmente di Duccio Canestrini
Un artista preistorico disegna sulla parete della caverna. Uo-
mini e donne del suo clan si scaldano attorno al fuoco. Chiacchierano, comunicano, condividono esperienze. Mutatis mutandis, twittano. Ha probabilmente ragione la EMC Corporation, un’azienda americana che sviluppa infrastrutture per l’information technology e che ha ideato il divertente cartone animato: nei social media c’è qualcosa di primitivo. È da circa 10mila anni che abbiamo esperienza di network. Quella attuale, tecnologica, è soltanto un’evoluzione.
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nel marketing, che viene ancora “dall’alto”, ma nella costruzione dei luoghi dal basso e nel crollo dell’esclusività. Un tempo la sola possibilità di partecipare a un’esperienza di villeggiatura era possedere una “villa” e poterselo permettere economicamente. Oggi molte mete sono diventate inclusive. La novità è che l’accesso e la fruizione sono consentiti meno dal censo, come accadeva una volta, che dal mezzo. Il mercato e la rete hanno democratizzato i consumi: con un po’ di ricerca sul web – il nuovo mezzo – si possono trovare prodotti costosi a poco prezzo. Alta qualità in tutti i campi, anche nell’ospitalità alberghiera. E lussi d’occasione.
Facili conclusioni L’uomo ha sempre comunicato le sue gesta, ha sempre narrato le meraviglie, i paradisi e i gineprai trovati lungo la strada. All’inizio Commenti veicolati furono le mappe e le Molti prodotti e molrelazioni degli esplote destinazioni vivono ratori. Poi vennero le più di passaparola che guide turistiche. Oggi, di marketing, perché i a quanto pare, dilaga commenti e le opinioni un contagioso passapadella gente contano più Franz Xaver Winterhalter, Il dolce far niente, 1836 rola. Ma il problema di della pubblicità. Punfondo rimane sempre lo stesso: fidarsi o non fidarsi dei tando sullo spirito gregario che alberga in tutti noi, si sono consigli, dei richiami, del sentito dire? Il passaparola ha dunque moltiplicate le piattaforme specializzate nella conuna grande influenza e una lunga storia. Ma comporta divisione e nella gestione di esperienze di viaggio. Applicaanche responsabilità, come quella di rivelare segreti o di zioni che dicono ai tuoi amici dove sei (Facebook Places, tramandare stereotipi sulle destinazioni lontane e i loro Fousquare) o community come TripAdvisor, visitata ogni abitanti. Penso, per esempio, a un quadro famoso intitolato mese da 56 milioni di utenti alla ricerca di informazioni per Dolce far niente, dipinto dal pittore e litografo tedesco Franz pianificare i propri soggiorni. Solitamente i viaggiatori si Xaver Winterhalter (1805–1873); rappresenta napoletani e fidano delle recensioni scritte da altri viaggiatori. Vox populi, napoletane in costume tradizionale mollemente adagiati tra dicevano i latini, una voce popolare che però non sempre i fiori: chi suona il mandolino, chi chiacchiera, chi man- benedice, né dice infallibilmente la verità. Recentemente gia grappoli d’uva sdraiato davanti al Golfo. Idillio beato, sono stati smascherati sui social media, e denunciati, cominsomma, quanto improbabile. Ma tant’è, girava voce che menti insinceri, interessati, diffamatori. a Sud, nella terra dei limoni, la vita fosse facile. Anche il passaparola, dunque, cesserà di essere di regola spontaneo e affidabile? Qualcuno si appella alla cosiddetta Élite per tutti wisdom of crowd, la saggezza della folla. Giusto. StatisticaI pittori romantici e gli esploratori erano ben contenti di mente, è infatti probabile che da un buon numero di comessere soli. E così gli aristocratici in villeggiatura erano menti – tolti gli estremi – esca un profilo realistico di un felici di starsene tra loro: privilegiati, elitari, esclusivi. La prodotto, di un luogo, di una struttura. Ma per distruggere rivoluzione del turismo degli ultimi tempi non sta tanto la reputazione, si sa, a volte basta un clic.
Visioni Nullità in volo di Nicoletta Barazzoni
Penelope Cruz e Antonio Banderas, nell’ultimo film di Pedro Almodovar, Gli amanti passeggeri, si esibiscono in una breve comparsata iniziale per poi svanire per il resto del film. Probabilmente si sono guardati bene dal compromettere, fino alla fine, la loro carriera professionale. Il film non riesce nemmeno a vantare una leggerezza narrativa, sprofondando invece nell’idiozia asessuata, malgrado i pesanti riferimenti provocatori ad atti sessuali trasgressivi. Almodovar non ha girato grandi scene nella città di Toledo, se non per qualche sequenza esterna piuttosto sciatta. Nei primi quaranta minuti i personaggi sfilano nella fusoliera del velivolo con effeminatezza ostentata da drag queen. Certo Almodovar si può permettere di ridere di se stesso perché in fondo rappresenta un atto di accettazione della propria condizione Sono perlopiù personaggi esagerati, senza personalità definite, che abusano di mescalina. L’equipaggio è dedito alla droga, gli assistenti di volo ubriachi. C’è chi lo ha definito un film surreale ma è un insulto a quanto il surreale ha trasmes-
so attraverso la cinematografia. Una metafora della società spagnola, schiacciata dai debiti finanziari e da un’economia in declino? Povere metafore usate a scopi di lucro! In sostanza, è un film senza impegno, girato per la maggior parte del tempo nella carlinga dell’aereo, probabilmente preso in prestito da un set riciclato. Ricorrendo all’ausilio di trasparenti per dare l’idea del movimento in quota, lubrifica le fattezze di un convivio di checche ninfomani. Il film fa leva sull’eccentricità di Almodovar, famoso per opere come Tutto su mia madre, Parla con lei, Gli abbracci spezzati o Volver. Non manca la pubblicità diretta alla Salomon, alla Apple e alla Nike, marchi ben ripresi dalla cinepresa con addirittura dei primi piani. “Il musical ha ammazzato il cabaret!” afferma uno dei personaggi prima di sculettare sulle note di I’m so excited, le cui parole sono in perfetta sintonia con il tenore del film. Almodovar ha ammazzato in noi l’interesse originario che avevamo per il suo stile cinematografico, perché questa volta ha davvero superato il limite del vuoto.
Gli amanti passeggeri di Pedro Almodovar Spagna, 2013
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Le “bionde” digitali Nella vicina penisola è stato uno dei regali più gettonati dello scorso Natale: i punti vendita spuntano come funghi, le autorità sanitarie dibattono sui rischi per la salute e l’efficacia che possono avere nell’aiutare a smettere di fumare. Ma le ormai famose sigarette elettroniche sono un fenomeno in espansione solo al di là del confine?
di Valentina Gerig
“Svapare”, ovvero inspirare ed espirare vapore al posto del
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fumo. In Italia è il neologismo del momento: le sigarette elettroniche sono entrate prepotentemente nel mercato e nella vita di molte persone, soprattutto quelle che desiderano diminuire o abbandonare le ‘bionde’ tradizionali. Una nuova moda, quindi, ma anche un business da capogiro. Ecco qualche numero: 1500 punti vendita in tutto il Belpaese, 400mila “svapatori” che a fine 2013 si stima possano diventare due milioni, un giro d’affari di circa 350 milioni di euro in vertiginosa espansione. Le e-cigarettes spopolano, non senza creare dibattiti accesi e uno strascico di dubbi. Le autorità sanitarie sono scettiche perché non esistono ancora studi precisi sui rischi a lungo termine per la salute; i neo “svapatori”, invece, sostengono che i dubbi sono causati dalla forza delle multinazionali del tabacco e affermano di aver diminuito o abbandonato le ‘bionde’ tradizionali proprio grazie ai nuovi aggeggi elettronici. In questa confusione di informazioni, chi ha ragione? Identikit delle nuove “bionde” Facciamo un passo indietro: il primo brevetto di sigaretta elettronica è stato depositato nel 1963 negli Stati Uniti, ma la versione odierna risale a un prototipo studiato nel 2003 da un farmacista cinese, il signor Hon Lik. Il boom vero e proprio risale a circa cinque anni fa, quando sono entrati in commercio nuovi modelli di sigarette elettroniche con una maggiore durata della batteria, una gamma di aromi personalizzati e, soprattutto, un’aspirazione più intensa e appagante. Il “trend” è sbarcato in Italia nel 2012. La sigaretta elettronica è costituita da tre parti: batteria al litio, atomizzatore e cartuccia, dove viene inserita la miscela di nicotina e aromi, o solo questi ultimi. Questo mix di liquido viene trasformato in vapore, ovvero quello che si respira tenendo premuto un tasto che accende una piccola luce. Non c’è catrame, monossido di carbonio e le altre quattromila sostanze che infarciscono le ‘bionde’ tradizionali. E, soprattutto, manca la combustione. Questi in sostanza gli argomenti che hanno fatto breccia nei tabagisti accaniti che si sono convertiti alle e-cigarettes. Eppure i dubbi rimangono.
Leggi, marchi e affari Prima di tutto va detto che tra Italia e Svizzera c’è una differenza fondamentale. Al di là del confine le ‘bionde’ elettroniche con nicotina possono essere vendute al di fuori delle farmacie, nel nostro paese no. “In Svizzera la legislazione è molto chiara: se una sigaretta elettronica contiene nicotina diventa un medicinale, deve infatti essere prima omologata dall’autorità sanitaria (Swissmedic, ndr.) e per cui può essere venduta solo in farmacia. Qualsiasi altra forma di vendita è illegale”, spiega Giovan Maria Zanini, farmacista cantonale. La legge che regola questa distinzione è la lettera informativa n. 146 relativa alle derrate alimentari. Diversa, per ora, la situazione in Italia: il Ministero della Salute ha solo stabilito delle prescrizioni per l’etichettatura e vietato la vendita ai minori di 16 anni. Nel frattempo sono una decina i marchi freschi di registrazione più famosi che aprono negozi come funghi nelle città italiane. Questo business milionario, però, potrebbe avere vita breve visto che le autorità sanitarie hanno auspicato l’emanazione di una direttiva europea per regolamentare al più presto le sigarette elettroniche. Questo potrebbe significare la chiusura dei franchising? Ivan Antonante, responsabile del punto vendita Puff Store in San Babila, a Milano, non sembra particolarmente preoccupato: “È diventato un business, ci sono 1500 negozi su tutto il territorio. Chiudere significherebbe lasciare a casa 3-4mila persone” mi spiega. Il marchio Puff, piemontese, a oggi 200 negozi aperti, è uno dei tanti brand presenti in Italia. I suoi punti di forza? Il design e l’ottimo standard qualitativo. Le avvertenze sui flaconcini, mi mostra il titolare, sono rispettate, e il divieto nel loro caso è stato esteso “per eccesso di zelo” ai minori di 18 anni e non ai 16, come impone la legge. Il boom improvviso delle e-cigarettes Ivan Antonante lo giustifica così: “Perché funziona, la gente non si vergogna più di usarle. E poi la migliore pubblicità è il passaparola, la fa il consumatore stesso”. Tocca dargli ragione: capita sempre più spesso di vedere persone che “svapano” tranquillamente sui mezzi pubblici, nei ristoranti. Lui stesso, ex affezionato alle ‘bionde’ tanto da arrivare a due pacchetti e mezzo al giorno, dice “ora non so più cosa sia la tosse”.
Immagine tratta da favim.com
Il cliente-tipo, come previsto, è il fumatore che vuole ridurre o smettere di fumare. L’ 80% del totale compra la miscela con nicotina, solo il 20% circa senza. Antonante conosce già la legislazione elvetica sulle e-cigarettes e racconta: “Abbiamo tantissimi clienti svizzeri. Avremmo anche già la disponibilità immobiliare per aprire i nostri punti vendita in Svizzera, ma dovrebbe cambiare la legislazione”. A questo proposito, secondo lui è questione di tempo: “Forse per ora sono ancora troppo forti gli interessi delle multinazionali del tabacco ma secondo me nel giro di due o tre anni la situazione potrebbe cambiare. Va anche valutato che noi offriamo un servizio completo: in farmacia ti vendono le sigarette, ma non te le spiegano. Se hai un problema non puoi tornare e chiedere un consiglio”. La salute, oggi e domani Alla fine la domanda cruciale che anche i titolari dei punti vendita si sentono fare è sempre la stessa: la sigaretta elettronica fa male? Lo abbiamo chiesto a Jacques-Philippe Blanc, specialista di Medicina Interna, Responsabile del Centro di Tabaccologia all’Ospedale Regionale di Lugano e
consulente della Lega Polmonare Svizzera. Prima di tutto specifica: “Quando parliamo di sigaretta elettronica intendiamo quella contenente nicotina. Le altre, con liquidi aromatici, non servono a smettere di fumare, sono solo un gadget. La gente non le compra o le usa pochissimo”. Sulla e-cigarette con nicotina dice: “Attualmente io non posso raccomandarla perché la fabbricazione non è ancora stata standardizzata, i modelli cambiano continuamente e non abbiamo ancora degli studi a lungo termine per dimostrare la sua innocuità. Ma le dico una cosa: se lei la usa come un aiuto per smettere di fumare perché non ce la fa con altri metodi, ben venga”. Sul boom del fenomeno in Italia il dott. Blanc commenta: “L’aumento delle vendite sembra ricalcare quello che è avvenuto negli ultimi anni negli Stati Uniti. Le fornisco qualche dato: nel 2008 le sigarette elettroniche vendute erano circa 50mila, nel 2010 circa 750mila, nel 2012 ben 3,5 milioni. È interessante anche considerare come l’attenzione sia sempre più rivolta al design, al marchio. Non sorprende, visto che gli italiani sono molto sensibili alla moda. Basti pensare al successo che riscuote un luogo come il Fox Town”. Il dott. Blanc ammette: “Dalla scorsa estate ho sempre più pazienti che mi chiedono informazioni sulle sigarette elettroniche e che le combinano con le terapie che prescrivo loro” e sui rischi per la salute conclude: “È importante ricordare che la fialetta con la nicotina liquida è molto pericolosa, soprattutto per i bambini. Se viene ingerita accidentalmente, è una dose mortale. Riguardo agli altri rischi si stanno facendo degli studi sulla presenza di glicerina nelle miscele. Quando si aspira, si fa una pressione abbastanza forte quindi si assorbono delle particelle di grasso che potrebbero sviluppare delle patologie legate agli alveoli, che hanno una parete molto sottile. Ma il rischio è minimo e a lungo termine”. Prodotto vincente, contraffazione garantita Su un solo punto istituzioni, autorità sanitarie e sostenitori delle nuove “bionde” sono d’accordo: la lotta alla contraffazione. Quando un oggetto è di moda pullulano infatti i marchi falsi, le etichettature senza la certificazione CE e le indicazioni di sicurezza necessarie. In Italia dal 2012 il nucleo antisofisticazione (NAS) ha già effettuato diversi maxi sequestri di merce non a norma e negli ultimi mesi i controlli si sono moltiplicati. Per ora, il rischio più concreto per la salute è questo.
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Il principe serpente di Chiara Piccaluga illustrazione di Giovanni Occhiuzzi
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ivevano un tempo in Persia un re e un ministro amici da molti anni. Entrambi avevano delle mogli che aspettavano un bambino e così, seguendo un’usanza del luogo, decisero che se fossero nati un bambino e una bambina li avrebbero fatti fidanzare e poi sposare. Ma alla nascita avvenne qualcosa di strano, la moglie del ministro diede alla luce una bellissima bambina, mentre la moglie del re partorì un serpente. La bambina e il serpente crebbero insieme: si volevano molto bene e la piccola era contenta del suo amico che considerava il suo compagno di giochi più amato e non lo vedeva per nulla ripugnate come avveniva per la maggior parte dei bambini. Un giorno, quando entrambi erano ormai grandi avvenne un evento straordinario, la pelle del serpente si staccò dal corpo dell’animale che si trasformò in un bellissimo giovane. Ma questa trasformazione durò ben poco e il giovane, in un attimo, riprese le sembianze del serpente. Caso volle che il re, di nascosto, stesse osser-
vando la scena e per questo dopo l’accaduto si avvicinò alla coppia e chiese alla giovane di fare in modo che il figlio non diventasse più un serpente. Quando la sera successiva il principe riprese la forma umana, la ragazza raccolse velocemente la pelle e la bruciò, ma il giovane la guardò intensamente negli occhi e scomparve immediatamente. Questo fatto provocò una grande disperazione nel cuore della ragazza che non sapeva cosa fare e soprattutto a chi rivolgersi per far sì che il giovane compagno tornasse da lei. Qualche tempo dopo, quando ormai aveva perso tutte le speranze di ritrovarlo, incontrò una vecchina, una signora molto sensibile e con poteri straordinari, che le disse: “Il tuo amato è lontano da qui: dovrai consumare sette paia di scarpe prima di trovarlo. Ricordati anche di portare con te del cibo e una boccettina d’olio”. Rincuorata dal fatto che avrebbe potuto, anche se con fatica, rivedere il suo amico, preparò i bagagli e partì alla sua ricerca. Percorse strade, sentieri, boschi e deserti e dopo centinaia e centinaia di chilometri finì per consumare anche il settimo paio di scarpe. Proprio quel giorno raggiunse un piccolo castello incastrato su una montagna, un luogo
molto cupo e misterioso. Davanti al castello era seduto un leone malconcio che chiese alla ragazza qualcosa da mangiare perché si sentiva debole e affaticato. La giovane rovistò tra le sue provviste e diede all’animale l’ultimo pezzo di carne secca che le era rimasto. Poi incontrò delle formiche, che le chiesero di aiutarla a ricostruire il proprio formicaio: lei fece come le era stato chiesto, con pazienza e perseveranza raccolse il materiale e le aiutò a creare una dimora accogliente. Finalmente giunse davanti al portone del castello, bussò con delicatezza prima e con vigore poi, ma non rispose nessuno. Il portone non era chiuso a chiave e così prese coraggio ed entrò, ma si accorse che cigolava molto e per questo lubrificò i cardini con l’olio nella boccetta. Con sua sorpresa e tanto timore scoprì che nel castello viveva un genio malefico che teneva prigioniero il suo principe. La ragazza si nascose allora dentro una cassapanca e una volta giunta la notte, liberò il suo amato e insieme iniziarono a correre verso l’uscita del palazzo.
Il genio che si era accorto della loro fuga si gettò all’inseguimento e subito urlò al portone: “Chiuditi e non lasciarli uscire!”. Ma il portone rispose: “Lei mi ha unto e ha avuto cura di me, non posso non lasciarla uscire!”. Allora disse alle formiche: “Pungeteli con rabbia, quei ragazzi vanno fermati e puniti!” Ma le formiche risposero: “Ci spiace genio ma non possiamo, la ragazza ci ha aiutate a costruire la nostra casa e noi le siamo molto riconoscenti”. Per finire il genio urlò al leone: “Forza, allora pensaci tu e sbranali immediatamente!”. “No, non posso genio, lei mi ha dato da mangiare e mi ha aiutato a sopravvivere, ciò che tu non avresti mai fatto”, rispose il leone. Visto che al genio non era consentito allontanarsi troppo da castello quando uscì per inseguire la coppia si disintegrò nell’aria. Dopo questa avventura la ragazza e il principe tornarono a casa, finalmente si sposarono e vissero una vita felice e piena di affetto nel palazzo reale.
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Vitae 20
ono nato il 7 febbraio 1950 a Vaglio, villaggio dell’ambrosiana Pieve di Criviasca. Della mia infanzia ricordo la prima poesiola che dedicai alla mia mamma per la lontana Pasqua del 1959 e rammento con piacere i giochi sulla piazza del villaggio, i bagni estivi al fiume e il sapore delle ciliege… rubate. Spesso penso anche alla mia cara maestra delle scuole elementari che, nel tardo pomeriggio, ci leggeva le storie: non mi sono più sentito tanto assorbito dal piacere dell’ascolto come allora! Lo studio non mi è mai stato di peso, fatta eccezione per la matematica dei tempi del ginnasio. Fortunatamente, i sacrifici e il sangue sudato per digerire le discipline legate al calcolo e all’astrazione mi hanno aiutato, più tardi, nella strutturazione del pensiero e dell’esercizio letterario. Ho scelto la mia professione d’insegnante per vocazione naturale. Già verso i sedici anni sentivo il bisogno di dare qualcosa al mio prossimo insegnando. Evidentemente fu una scelta di pancia e non pienamente cosciente. Ciò nonostante, l’istinto ha saputo, in seguito, premiarmi con tante soddisfazioni pedagogiche e didattiche. Con quale piacere, dopo tanti anni, rivedo ex-allievi che si sono fatti strada nella vita e che oggi sono professionisti o abili artigiani! Ma il piacere è ancora più grande quando ti confessano che, dopo tutto, la poesia e la letteratura gli hanno lasciato un segno indelebile nella memoria e nel cuore. Sono sempre stato affascinato dalla storia in generale e da quella della letteratura in particolare. Ricordo come un docente italiano riuscì ad appassionarmi alla storia romana, tanto da passare le intere vacanze estive chino sui libri! Debbo, comunque, molto ai tanti insegnanti che mi hanno saputo interessare al sapere e alla poesia, come Ottavio Besomi, Dante Isella, Cesare Segre. La poesia per me è innanzi tutto una scelta e uno stile di vita, una più o meno cosciente rinuncia a far soldi, a seguire pedissequamente la massa e a ricercare, invece, la verità e la tua parte minima di gloria. Ambizione, evidentemente non facile e che ti obbliga a un esercizio serio e quotidiano del tuo pensiero, che ti costringe a coltivare con la stessa assiduità e umiltà del giovane studente i tuoi interessi, rinunciando magari a una più brillante vita di società.
Il poeta, nella costante autocritica di se stesso e del suo lavoro, non può mirare alla carriera, così come la poesia deve fiorire nel silenzio dei gigli e delle montagne. L’impulso alla creazione di un’opera d’arte nasce, secondo me, dalla memoria del quotidiano, dalle parole della gente, che per strane alchimie vengono spesso e volentieri travolte e stravolte da una naturale complicità con l’immaginario. Fra ciò che ho scritto, m’è rimasto particolarmente nel cuore l’esile libretto che composi d’un sol fiato e senza brutte copie alla memoria del mio carissimo papà che aveva un’anima autenticamente francescana. Al giorno d’oggi penso che la poesia adempia la funzione importante di saper ancora ridurre all’osso le troppe vanità del mondo e rappresenti la quintessenza della nostra vita. Ciò nonostante non è il mio unico interesse: sono infatti sempre stato un fervente amante della musica, dell’opera e del bel canto. Purtroppo, ho abbandonato la musica applicata per dedicarmi alla più sottile musicalità del verso. Spero però che la Musa del bel canto mi possa sempre sostenere nel difficile cammino della vita! Il suo rifiuto mi costerebbe una quasi insostenibile pena d’amore. Se potessi tornare indietro, mi sarebbe piaciuto nascere con un carattere meno timido e introverso, soprattutto al cospetto delle ragazze dotate di un certo fascino. In ogni caso tutto passa, tutto scorre davanti agli occhi dei nostri sensi come un dolce e delicatissimo fantasma, ma questa nostra condizione di vita e ineluttabile condanna richiede un continuo sforzo di adattamento e di serena accettazione della precarietà del tutto. Sogno un mondo meno consumistico, persone meno “cosificate” e conformiste nei propri più intimi bisogni, individui più liberi e ricchi di cultura, più curiosi di poesia e di letteratura. Vedo, comunque, il futuro in modo positivo. Oggi, il bisogno di poesia è così forte che molti lo stanno massacrando nei propri cuori… Quando, però, ci renderemo conto dello squallore in cui il nostro sistema di cose e di falsi valori ci ha fatti cadere, allora vivremo un mondo migliore… La Parola ci farà senz’ombra di dubbio eternamente liberi! testimonianza raccolta da Gaia Grimani fotografia di Flavia Leuenberger
GABRIELE QuADRI Insegnante per vocazione, oggi in pensione, e poeta intende la sua arte come un antidoto a un’epoca densa di falsi valori
L’enigma coreano di Fabio Martini fotografie ©Adrien Golinelli/phovea
Paese “canaglia”, incluso fra le nazioni del cosiddetto “asse del male”, la corea del nord, per la sua storia e le sue specificità, rappresenta un caso pressoché unico al mondo: una società retta da una dittatura rigidamente comunista, in mano a una dinastia familiare ossessionata dall’isolazionismo e da un’insanabile aspirazione a fare della propria nazione una potenza militare di primo piano nell’area del Pacifico
in apertura: coreani in visita al monumento dedicato a Kim il Sung e Kim Jong il nel corso dei festeggiamenti per il centesimo anniversario della nascita di Kim il Sung. Sopra: l’ingresso di una stazione della metropolitana di Pyongyang sovrastato da un manifesto di propaganda del regime
U
na nazione isolata, oppressa da una propaganda assillante, guidata da un dittatore che pur di rafforzare il proprio consenso e ottenere finanziamenti rischia di mettere a repentaglio la sicurezza globale. Non sono gli ingredienti per un film di James Bond; questa è la Corea del nord. A pagare il prezzo, una popolazione mite e pacifica, costretta a vivere ai limiti della sopravvivenza. Ma qualcosa sta cambiando perché in fondo “nessun paese è un’isola”. Infatti, nonostante “la Corea del nord sconti una forte instabilità economica, disuguaglianze sempre più profonde, una corruzione in costante aumento e una leadership politica che sembra non avere la visione o la capacità di reagire” (Marcus Noland, Peterson institute for international economics,
Washington), l’influenza del neocapitalismo cinese e dei modelli occidentali filtra all’interno del paese grazie a un sempre più fiorente mercato nero e a funzionari corrotti e accondiscendenti. Chi ha di recente visitato Pyongyang parla infatti di una maggiore rilassatezza e di una clima meno teso rispetto al passato, anche se i controlli e la vigilanza restano alti. Ne parliamo con Adrien Golinelli, giovane fotogiornalista svizzero che ha di recente realizzato un reportage di grande impatto nel paese asiatico. Il tuo reportage in Corea del nord è stato realizzato durante una visita guidata a fini propagandistici. Hai subito controlli o verifiche sul materiale ripreso?
In senso orario: giovane donna nel costume tradizionale coreano ripone nel portafoglio alcune banconote cinesi; la stazione Puhung della metropolitana di Pyongyang; pendolari leggono i giornali esposti nelle bacheche del metrò (il personaggio ritratto è Kim Jong il, padre dell’attuale dittatore); un bambino di una famiglia contadina nella sua stanza
No, fortunatamente no. È il vantaggio della pellicola e della fotografia analogica. Ma anche il suo limite: alla dogana, mi avrebbero potuto requisire tutte le pellicole. Insomma, o la va o la spacca. Fortunatamente è andata bene… Dalle tue immagini, soprattutto i ritratti, si percepisce una certa disponibilità da parte delle persone. È stato difficile relazionarsi con i soggetti ripresi? Sì, difficoltà ce ne sono state parecchie. Le guide turistiche che accompagnano i gruppi di stranieri in visita al paese sorvegliano tutto ciò che accade, i gesti, i movimenti ecc, e anche se non sono stato limitato quando avvicinavo qualcuno la loro presenza e il loro controllo era costante. Nonostante questo
aspetto, ammetto che non ho mai avvertito uno stato d’ansia o di stress da parte delle persone con cui ho avuto degli scambi o che ho fotografato. Al contrario: apparivano soprattutto incuriositi e sempre molto calmi e tranquilli. Questo mi ha sorpreso perché mi aspettavo che le relazioni sarebbero state più difficoltose e tese. In generale, nel mio lavoro credo che l’aspetto più determinante sia quello dell’atteggiamento che il fotografo trasmette ai possibili soggetti, l’approccio che ha nei loro confronti. Le ultime analisi sulla Corea del nord descrivono il forte bisogno di cambiamento da parte della gente, sempre più attratta dai modelli occidentali che rie-
Rappresentazione di Kim il Sung attorniato dagli abitanti sorridenti di un villaggio. Le orchidee che circondano la rappresentazione, dette Kimilsungia, devono il loro nome a Suharto, il dittatore indonesiano dell’epoca. I modellini alla base del dipinto riproducono la casa natale di Kim il Sung
scono a filtrare nel paese soprattutto dalla Cina. Che impressione hai avuto a riguardo? Lo “splendido isolamento” imposto dalla dinastia Kim si sta indebolendo? Innanzitutto va detto che la maggior parte delle persone che vivono nella Corea del nord non ha l’opportunità di pensare a questo di problemi. Anche perché trascorrono la maggior parte del loro tempo a lavorare duramente. La loro principale preoccupazione è la sopravvivenza nel tentativo di evitare che il livello di vita peggiori ulteriormente. Peraltro, l’influenza del modello occidentale è presente ma riguarda solo un’élite e non l’intera società, e ciò avviene quasi esclusivamente nella capitale Pyongyang. Queste persone, che possiedono telefonini e anche automobili e computer, ascoltano la musica di propa-
ganda e, pur avendo il desiderio di scoprire di più, non pongono in discussione i fondamenti del regime perché sono i primi a usufruire dei vantaggi che il potere, pur contrastandoli a parole e slogan, concede loro. Adrien Golinelli
Fotografo svizzero, membro dell’agenzia fotografica PhoveA di Ginevra, Adrien Golinelli è nato nel 1987. Dopo gli studi in Lettere presso l’università di Ginevra, si appassiona alla geopolitica internazionale, viaggiando in più di quaranta paesi, comprese nazioni attraversate da conflitti e sottoposte a dittature. Al centro del suo lavoro pone sempre la persona, di cui ricerca gli aspetti più intimi e profondi. Il suo lavoro “dietro le quinte” sulla Corea del nord, qui presentato, ha ricevuto il Paris Photo Jeunes Talents 2012. www.adriengolinelli.ch
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911 CARRERA RS 2.7 | 1972–1973
Anatra da corsa Tendenze p. 56 – 57 | a cura di Giancarlo Fornasier
Porsche festeggia quest’anno il 50esimo della presentazione al salone di Francoforte del suo modello “simbolo”, la 901, poi ribattezzata 911 per problemi di omonimia con i prodotti della Peugeot. Ma la casa di Stoccarda festeggia anche il 40esimo di un altro esercizio di stile e tecnica quasi inarrivabile: correva l’anno 1973, e la fuoriserie che qualsiasi amante della guida sportiva desiderava possedere era una Porsche 911 Carrera RS 2.7. Dalla 356 alla 911 La presentazione nel 1963 dei primi prototipi della 911, l’erede della ben nota Porsche 356, furono piuttosto positivi e la commercializzazione iniziò nel settembre del 1964 a un costo non esattamente “popolare” per l’epoca (quasi 24mila marchi, 7mila in più rispetto alla 356). La Porsche venne incontro ai malumori degli acquirenti, tanto che prima abbassò leggermente i prezzi e nel 1965 creò la meno ricercata Porsche 912 (17.500 marchi, un motore a 4 cilindri e allestimenti economici). In generale, la 911 non era esattamente l’auto perfetta: ventilazione interna lacunosa, eccessiva rumorosità nell’abitacolo, vettura sottosterzante, “nervosa” e instabile alle alte velocità. Ma non ci si poteva aspettare molto altro da una coupé 2+2 (con uno spazio ridottissimo al posteriore), a trazione posteriore e con il motore posizionato sempre dietro, ma oltre l’asse delle ruote (“a sbalzo”). In compenso aveva sospensioni a 4 ruote indipendenti, barre di torsione, freni a disco sulle quattro ruote, un cambio meccanico a 5 rapporti. Il propulsore? Il famigerato 6 cilindri boxer (a cilindri posizionati orizzontalmente per capirci) da 1991 cm³ capace di 130 cavalli, raffreddato ad aria e alimentato da due carburatori. RS: RennSport e una coda d’uccello
Sino al 1971 la Porsche continuò ad apportare continue migliorie e minimi cambiamenti estetici alla 911; tecnicamente l’auto divenne più precisa e potente, sino a raggiungere i 190 cavalli della 911 S con motore oltre i 2300 cm³.
Ma fu il 1972 l’anno della grande sorpresa: al salone di Parigi la Porsche presentava la 911 Carrera RS 2.7: prodotta tra la fine del 1972 e il luglio del 1973, è considerata “l’ultima evoluzione della prima generazione della 911”. Ancora oggi dal fascino irresistibile, il segno distintivo della RS è quell’appendice posteriore un po’ ribelle e irriverente, ma perfettamente funzionale e dall’assoluta eleganza: una “coda d’anatra” (ducktail, così venne soprannominata proprio per la sua forma) che permetteva alla vettura di stabilizzarsi al suolo alle medie e alte velocità. Questo significava maggiore trazione e stabilità, garantiti anche da un paraurti anteriore/ spoiler già introdotto nella 911 S. Cura dimagrante La RS è una vettura nata, sviluppata e omologata per correre: compatta, lineare, all’apparenza semplice, priva di fronzoli, i parafanghi posteriori maggiorati. I sedili sportivi sono più leggeri rispetto a quelli di serie, un concetto esteso a tutto l’abitacolo, alla vetratura e alla scocca: quasi tutto è “minimale”. Il motore rimane sempre il boxer a 6 cilindri aspirato ma più robusto (2687 cm³) da 210 cavalli di potenza. Questo garantisce una velocità prossima ai 240 km/h e accelerazioni da 0 a 100 in meno di 6 secondi. Dal tipico colore “Bianco Grand Prix”, con gli inimitabili cerchi in lega Fuchs, la Carrera RS 2.7 è stata prodotta in soli 1580 esemplari, tra versioni “Touring” (la più accessoriata; 1075 kg di peso), “Lightweight” (meno di 1000 kg) e alcune centinaia di “RSR” con motore da 3.0 litri preparate per il Campionato europeo GT. Le nuove normative sulla sicurezza che si stavano diffondendo (soprattutto negli USA), portarono nel 1974 a un deciso intervento sulle 911, sia nelle forme sia nella meccanica. Gruppi ottici, paraurti, interni, cilindrata, alimentazione: la “ribelle” diventava mansueta... ma più pesante e meno prestazionale. Una macchina dal DNA ancora sportivo, ma guidabile da tutti (nell’immagine grande una 911 S del ’74): un’icona alla ricerca di nuovi mercati.
Il cavatappi
“E questo destino da lemmings sempre di corsa in cerca di un qualche dirupo da cui buttarsi tutti insieme, a capofitto, entusiasti nel terrore che ci assale e che contribuiamo ad alimentare. E tu non capivi. Non potevi capire perché non ti dicevo”
di Daniele Fontana
Esterno notte 1 La figura si staglia nera sul fondo nero della notte. Le falde del mantello aperte come ali. Tira un vento freddo, cupo, che quasi esalta i lampioni accesi e l’orologio luminoso appeso al muro della stazione. Fa impressione quell’ombra nell’ombra. Paura o compassione? Chi è? Cosa sta facendo? Che vuole? Un lampo riga il cielo d’ardesia, seguito da un tuono dell’iradiddio. Gli occhi, distratti, per un attimo inseguono la rappresentazione e quando tornano alla figura di prima trovano il vuoto. Scuro pure quello. L’entità misteriosa è scomparsa. Oggetti 58
Esterno notte 2 “Che ci faccio qui? È buio. C’è un vento pazzesco. Scommetto che tra poco verrà pure a piovere. Sono proprio uno stupido. Sì però fa male. Proprio tanto. Perché è andata via? E io cosa faccio ora? Che me ne faccio di questi stracci che ho addosso? E di quel che ci sta dentro, ridotto come uno straccio pure lui? E fa freddo. E tira vento. E sta per piovere. Senti che tuono. Via, via di qua…” Interno notte In una liquida luce color tabacco l’uomo se ne sta seduto al tavolo. Tutto intorno c’è frastuono, sedie che rimbalzano strisciando sul pavimento, bicchieri che si urtano in precari viaggi verso l’acquaio, i cento atti rumorosi dell’abitudine umana, scarpe che battono, cerniere che si aprono e chiudono, giacche sfilate e indossate, corpi che si siedono e si alzano. Di sottofondo una musica che a malapena si affaccia alla superficie di quel mare vischioso e spigoloso di chiacchiere e suoni. Dozzinale, la musica. Come quel vino che ha ordinato perché non gli è venuto in mente niente di meglio. Sul tavolo, accanto al bicchiere quasi pieno, un cavatappi da sommelier, dozzinale pure lui. Di plastica, con impressa la pubblicità di un qualcosa che forse neppure ha a che fare con il vino. Eppure all’uomo quell’arnese piace. Ricorda un serramanico. È già aperto. Con quella coda a vite che si protende oscenamente tra l’impugnatura e il moncherino dell’apribottiglie. Punge, la punta della coda. Come il dolore che si sente dentro, conficcato tra le costole. E che si infigge sempre di più, ruotando su se stesso. “Perché non ci siamo capiti? Le parole che non arrivavano più.
Che neppure sentivamo mentre le dicevamo. Quando è iniziato?”. Inconsapevole, la mano dell’uomo ha impugnato il cavatappi, lo ha messo verticale sul piano del tavolo e ha iniziato a ruotarlo. “È stata quella volta in cui, dopo una giornata di fatica, ho ascoltato senza sentire il racconto di un’altra, la sua, giornata di fatica?”. Un nuovo giro al cavatappi, un altro paio di millimetri dentro la scorza del tavolino fòrmica su compensato. “No, forse è stata quella volta in cui avevo il mondo che mi si era rovesciato dentro, e la fatica per la stupidità di tanti umani, la loro arroganza ignorante, e pure quella saccente. E questo destino da lemmings sempre di corsa in cerca di un qualche dirupo da cui buttarsi tutti insieme, a capofitto, entusiasti nel terrore che ci assale e che contribuiamo ad alimentare. E tu non capivi. Non potevi capire perché non ti dicevo. E forse anche con te ce l’avevo. Con te che eri insieme lemming e Unicorno, emblema di saggezza e di purezza”. Di nuovo un giro e un pezzetto di strada scavata nella carne del tavolino. “La vita, gli anni, le esperienze, le fatiche e i colori. Ma tutto questo può essere passato invano? Ci si può perdere solo perché uno non ha chiesto all’altro dove stava andando? È vero, nel silenzio i sentieri si sono allontanati infilandosi in forre oscure o seguendo creste assolate, ma dio mio, il mondo è poi tutto qui. E fin che ci siamo la partita ce la giochiamo. Di falliti, scoppiati e rassegnati ne abbiam già a caterve. Uno in più a che serve?”. Un ultimo giro, secco, caricato dell’energia del riscatto, e la punta della coda a vite trafigge l’ultima resistenza della fòrmica penetrando di schianto nel confuso, raccogliticcio truciolato tenuto insieme da colla scadente. Il cavatappi da sommelier svetta come un totem sulla superficie del tavolo, artigianale piolo in simil argento piantato in un cuore che non sanguina più. Cowboy rinvigorito, cavaliere rinsavito, l’uomo si alza e con determinazione lascia la liquida luce color tabacco, che ora ha assunto la trasparenza dell’ambra. Esterno notte 3 Il vento è cessato, lasciando il campo alle nuvole, invisibili nel buio del cielo. La notte tetra vomita una pioggia nera come la pece. I lampioni, inghiottiti, quasi scompaiono mentre l’orologio luminoso si perde, come il tempo, sulla parete oscura. E, se possibile, fa ancora più freddo.
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Mercurio e Giove in buon aspetto. È arrivato il momento di portare a termine un affare. Eventi inaspettati nelle comunicazioni. Potrete risolvere brillantemente una situazione. Meno emotivi tra il 23 e il 24 aprile.
Incontri tra il 21 e il 27 aprile. Energia propulsiva per i nati nella seconda decade. Grazie a Marte e Venere siete in grado di affrontare ogni situazione. Non esagerate con la dieta. Luna favorevole tra il 21 e il 22.
Tra il 21 e il 27 aprile, grazie a Marte e Venere, possibili relazioni clandestine. Mercurio e Urano insieme vi daranno il colpo di genio per imprimere una svolta alla vita. Fortuna per i nati nella seconda decade.
Periodo di attività per tutta l’ultima settimana di aprile per i transiti di Marte e Venere. Se riuscirete a fare i conti con Plutone potrete tornare a fare le cose alla grande. Colpi di fulmine con Acquario e Toro.
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Grazie ai trigoni con Mercurio e Urano è venuto il momento di fare qualcosa di insolito. Periodo attraversato da anticonformismo per i nati nella prima decade. Fase romantica per i nati nella seconda decade.
Cercate di non identificarvi con il vostro conto in banca. Affetti alla grande per i nati nella prima decade. Grazie ai buoni aspetti con Marte e Venere vi sono tutti i presupposti per un travolgente colpo di fulmine.
Bene tra il 25 e il 26 aprile. Notizie inaspettate per i nati nella prima decade. Prima di fare e/o di parlare mettetevi in sincronia con voi stessi. Gli obiettivi devono essere coincidenti con le finalità del cuore.
Marte in opposizione a partire dal 21 aprile. Calo energetico. Cercate le complementarietà anziché concentrarvi su di una inutile competizione a due. Decisive le giornate comprese tra il 25 e il 27 aprile.
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Scarso interesse per il lavoro e mancanza di autodisciplina. In questo momento siete troppo pigri per portare a termine qualcosa di impegnativo. Favorite le attività più creative riconducibili ai favori uraniani.
Tra il 21 e il 23 Luna di passaggio nel segno della Vergine. Approfittatene per fare nuove conoscenze. Investimenti finanziari. Rivoluzione per quanto riguarda il patrimonio familiare. Colpi di fulmine.
Transito di Marte e Venere nella vostra quarta casa solare. Momento decisivo per le finanze. Dovete fare delle spese inaspettate e importanti per quanto riguarda la gestione del vostro patrimonio familiare.
Approfittate di Venere e Marte nel Toro per dialogare con il partner senza farvi prendere dall’emotività. Nuova fase per i nati nella prima decade favoriti da Saturno e Nettuno: spirito costruttivo e creatività.
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Verticali 1. Sono anche detti cavie • 2. Volo acrobatico • 3. Quasi spinto • 4. Il nome della Ventura • 5. Tormentare, vessare • 6. Il giorno in corso • 7. Devote • 8. Il nome di Mentana • 9. Vocali in planare • 13. Nel cuore della festa • 16. La lettera del Papa • 17. Nipote • 18. Lodare, elogiare • 20. Il dittongo in piuma • 22. Quella a bocca è uno strumento musicale • 24. Le iniziali della Turci • 26. Ha costruito l’Arca • 27. Tu, in altro caso • 29. Il pronome che mi riguarda • 35. Grasso, adiposo • 38. Sono uguali nel sosia • 39. Prova attitudinale • 41. Arte latina • 43. Il nome di Turner • 44. Se abbaia non morde • 46. Lisa nel cuore • 48. I confini di Vezia • 49. Italia e Spagna.
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Orizzontali 1. Superbia, arroganza • 10. Vi sosta la carovana • 11. Il regno di Eaco • 12. Tornare a galla, riaffiorare • 14. Compact Disc • 15. Ghiottonerie per cani • 16. Istituzione • 17. Il noto Ventura • 19. Il nome della Wertmüller • 21. Ha per capitale Libreville • 23. Il Besson, regista • 24. Casti • 25. Imposto, ingiunto • 28. Il nome di Fidenco • 30. Feticcio indiano • 31. Leggera imbarcazione • 32. Mania senza limiti • 33. Clan, gang • 34. Il maschio della capra • 36. Torna sempre indietro • 37. Un optional della vettura • 39. La bevanda che si filtra • 40. Preposizione semplice • 42. Oriente • 44. Mezza cena • 45. Fiore lilla • 47. Fuggiti di galera • 50. Lo è la musica in discoteca.
La soluzione del Concorso apparso il 5 aprile è: TRAZIONE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Rita Luque via Borromini 3 6500 BellinzonaI Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!
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