Ticino7

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№ 19 del 10 maggio 2013 · con Teleradio dal 12 al 18 mag.

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Considerato la vera spina dorsale dell’economia, il ceto medio vive un progressivo impoverimento

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Ticinosette n. 19 del 10 maggio 2013

Impressum Tiratura controllata 68’049 copie

Chiusura redazionale venerdì 3 maggio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

4 Arti Archie Shepp. Musica e curiosità di Giancarlo locatelli ..................................... 6 Mostre Felicita Bianchi-Duyne. Tutto è materia di nicoletta Barazzoni ..................... 7 Lingua Doppie in libertà di Gaia Grimani ................................................................. 8 Letture L’avventura di Pico di roBerto roveda ......................................................... 9 Luoghi Biblioteche. Sale silenti di marco Jeitziner; foto di flavia leuenBerGer ............. 10 Vitae Giorgio Valli di roBerto roveda ...................................................................... 12 Reportage OTAF. Volare, liberi di daniele fontana; foto di Jacek PulawSki ................ 37 Fiabe Un uomo di cuore di chiara PiccaluGa; illuStrazione di Simona Giacomini .......... 42 Tendenze Arredamento. Cucina fai da te di franceSca aJmar ................................. 44 Astri ....................................................................................................................... 46 Giochi .................................................................................................................... 47 Agorà Ceto medio. Una classe in purgatorio

di

Silvano de Pietro .............................

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Valentino Monotti ,“Famiglia”, 1920–1950, Locarno, L/55.15 ©Archivio di Stato, Bellinzona

Costruire la diversità La pubblicazione in questo numero di Ticinosette del reportage di Jacek Pulawski (con il testo di Daniele Fontana) dedicato alla missione che da quasi cento anni l’OTAF svolge nel nostro cantone, anticipa di pochi giorni l’apertura di una nuova struttura della Fondazione: la Casa Fomelino di Sorengo, progettata da Mario Botta (vedi foto) verrà infatti inaugurata mercoledì 15 maggio. Edificata di fronte alla sede dell’OTAF di Sorengo, ospiterà la “Falegnameria del cuore”, il nuovo laboratorio protetto, oltre a spazi per attività e un’ampia rimessa veicoli. Un importante segno di vitalità della Fondazione della cui storia e funzione l’articolo in oggetto offre ampia testimonianza. Il 15 maggio si celebra, fra l’altro, la Giornata Internazionale della Famiglia, una ricorrenza che si connette non solo al reportage sull’OTAF ma in particolare all’articolo di apertura dedicato alla crisi della classe media a firma di Silvano De Pietro. Benché il ceto medio svizzero non viva una fase di sofferenza come accade, per esempio, in molti paesi europei a noi prossimi – “la divaricazione salariale è relativamente limitata in Svizzera ed è aumentata a partire dagli anni novanta in misura meno marcata che in altri paesi”, da Il ceto medio sotto pressione, ©Avenir Suisse, 2012 –, gli indicatori economici mostrano un certo indebolimento della classe che, a partire dal dopoguerra, ha interpretato il ruolo di volano della crescita e dello sviluppo economico del nostro paese. Si tratta di segnali, a essere precisi, non preoccupanti ma che riflet-

tono comunque una tendenza generale. La crescita dei salari, sottolinea De Pietro, ha riguardato in particolare le fasce più basse e più alte della società elvetica mentre è stata più modesta per quanto concerne le fasce medie al cui interno però, dal 1994 al 2010, si è manifestata una notevole crescita dei salari percepiti dalle donne rispetto agli uomini, un recupero positivo che in parte ha contribuito a frenare, compensandola, la crescita complessiva dei redditi medi. Lo sviluppo, soprattutto in Asia, di una nuova borghesia, il calo nella richiesta delle qualifiche medie, la sperequazione dovuta alla crescita spropositata degli stipendi dei manager di alto livello e le sue ripercussioni psicologiche e, infine, il peso della crisi sono certamente fattori che non possono essere ignorati anche nella tranquilla Svizzera. Perché, nonostante l’indubbio vantaggio di cui gli svizzeri godono, sarà sempre più indispensabile fare i conti con gli effetti di un’economia globalizzata. Buona lettura, Fabio Martini


Una classe in purgatorio Società. Negli ultimi mesi una polemica corre sottopelle: quella sul cosiddetto “ceto medio”. Premesso che non è chiaro cosa esattamente sia – ovvero con quali limiti di reddito lo si debba definire – esso vive una fase di impoverimento, sottoposto com’è alla duplice pressione delle tasse e alle conseguenze della globalizzazione di Silvano De Pietro

S

Agorà 4

u quella che in termini sociologici viene definita la classe media (piccola e media borghesia) si discute attualmente in tutto il mondo. Ovunque la globalizzazione dell’economia, oltre a offrire straordinarie opportunità, sta anche mietendo vittime nei ceti sociali più esposti alla concorrenza internazionale. Discussioni e timori vengono alimentati anche in Svizzera, dove la pubblicazione, nel novembre scorso, di uno studio di Avenir Suisse (un “think tank”, o gruppo di esperti, di ispirazione liberale) ha sollevato il problema della condizione in cui si trova il ceto medio svizzero “tra ambizioni, esigenze e disillusioni”. La tesi che vi si sostiene è che esso abbia subito nel corso degli ultimi vent’anni delle pressioni nonostante il fatto che, in cifre assolute, il suo stato di salute risulti comunque molto buono. Lo studio mostra come la parte centrale della scala dei redditi, che costituisce il 60% della massa salariale, negli ultimi due decenni sia cresciuta in termini reali, ma in modo meno importante rispetto sia agli stipendi più alti sia a quelli più bassi. Una delle cause di questo fenomeno è dovuta al fatto che nel mercato del lavoro le maggiori richiese riguardano soprattutto le qualifiche professionali che si collocano agli estremi. Questo significa che un apprendistato non garantisce più un posizionamento al centro della società. La conseguente perdita di status – cioè di posizione economico-sociale – spiegherebbe, tra l’altro, il malcontento all’interno del ceto medio svizzero. Dal 1994 gli stipendi più elevati e quelli più bassi sono cresciuti del 10-15%, mentre i salari della fascia inferiore e di quella centrale del ceto medio non hanno potuto tenere il passo e sono cresciuti di appena il 6-8%. Redditi e fisco Queste variazioni nascondono dei cambiamenti nei cosiddetti vantaggi formativi, costituiti dalle differenze di retribuzione rispetto alle categorie con formazione inferiore. In altre parole, dal 1994 è aumentata la richiesta di qualificazioni più alte ottenibili con livelli di istruzione terziaria

(università, scuola universitaria professionale e formazione professionale superiore) nella misura del 35-45% presso gli uomini e del 27-37% presso le donne. Sono invece rimasti praticamente fermi i vantaggi retributivi dei lavoratori in possesso di un apprendistato, la cui formazione intermedia (grado scolastico II) ha perso decisamente terreno rispetto ai livelli più elevati di istruzione, senza d’altra parte guadagnarne rispetto ai livelli più bassi (quelli con nessuna formazione dopo la scuola dell’obbligo). A questi cambiamenti, conseguenza della polarizzazione delle qualificazioni richieste, lo studio di Avenir Suisse aggiunge gli ostacoli rappresentati dalla ridistribuzione del reddito, nella quale lo stato interviene con imposte non coordinate, tariffe e transfer (trasferimenti) per la sicurezza, l’educazione e il servizio pubblico. Il risultato, secondo gli autori dello studio, “non è molto edificante per il ceto medio attivo (dedito cioè a un’attività lucrativa). Soprattutto nelle fasce medie e superiori del ceto medio viene infatti drenata una percentuale di reddito molto elevata. Poiché il sistema fiscale svizzero nel complesso non presenta una struttura di tipo progressivo, il ceto medio sostiene una parte significativa dell’onere. Escludendo la ridistribuzione nell’arco delle diverse fasi del ciclo di vita, l’aliquota fiscale sul reddito mediano è pari al 59%, contro una percentuale di prestazioni pari invece soltanto al 32%. Dopo le imposte e i transfer, una buona parte del ceto medio si ritrova dunque nuovamente prossima al limite con il ceto inferiore”. Inoltre, la maggior parte dei salari inferiori viene elevata al livello del ceto medio-basso. Per la classe media è come trovarsi in trappola, perché fatica a distinguersi dai ceti inferiori e allo stesso tempo le viene resa più difficoltosa l’ascesa sociale. Le tariffe commisurate al reddito (per la cura esterna dei bambini e gli sconti sui premi dell’assicurazione malattia) “portano le famiglie con doppio reddito a progressioni implicite che raggiungono il 90% del secondo salario. Questo mette il bastone tra le ruote alla partecipazione delle donne al mondo del lavoro e limita la possibilità di un’ascesa graduale”.


Meno stato? Il rimedio? Per Avenir Suisse è la ricetta del “meno stato”. “La cosa migliore che lo stato può fare per il suo ceto medio”, sostiene lo studio, “è ridurre l’onere complessivo dovuto a tasse e imposte. Affinché ciò diventi possibile, occorrerebbe districare e ridimensionare l’intreccio ormai poco trasparente di sussidi ben intenzionati, sovvenzioni, sconti e transfer reali”. In altre parole: una riduzione graduale di tariffe, prezzi e premi dipendenti dal reddito, in particolare le tariffe per la cura esterna dei figli e i sussidi per i premi della cassa malati nonché altri contributi e assegni, come quelli di prima infanzia. Anche il servizio pubblico, in base a questa visione, svolgerebbe un ruolo centrale nella giungla delle sovvenzioni. Un esempio è rappresentato dal sistema dei trasporti pubblici: “Solo pochi utenti sono consapevoli del fatto che attraverso i biglietti e gli abbonamenti sostengono solo la metà delle spese per la loro mobilità. L’altra metà è a carico della cittadinanza – e dunque anche del ceto medio – attraverso il gettito fiscale”, conclude lo studio di Avenir Suisse. Questa visione è radicalmente contestata dalla sinistra. Secondo il Partito socialista svizzero questo “pamphlet” di Avenir Suisse elenca soltanto “presunte cause” dei problemi del ceto medio svizzero, per affrontare le quali vengono “formulate pretese, dannose quanto prive di fantasia, di uno stato debole secondo il modello americano”. Per il PSS, invece, per sostenere il ceto medio bastano tre punti: rafforzare il potere d’acquisto attraverso la cosiddetta “iniziativa sui salari minimi” e con misure di politica fiscale a favore delle famiglie del ceto medio; combattere l’aumento degli affitti delle abitazioni; porre un freno ai costi della salute. Identità di un ceto Il dibattito sembra, al momento, solo appena abbozzato. Prenderà certamente sempre più piede in seguito, man mano che sorgeranno nuove difficoltà economiche o si aggraveranno quelle già presenti. In particolare, un elemento che fa molto discutere in questa fase è proprio la definizione di “ceto medio”, ossia una sua chiara delimitazione anche rispetto a determinate realtà territoriali e socioeconomiche, come potrebbe essere il canton Ticino. Per capire meglio i confini del dibattito e precisare alcuni aspetti delle questioni sollevate, abbiamo chiesto qualche spiegazione all’economista Marco Salvi, uno degli esperti di Avenir Suisse. Signor Salvi, rispetto agli altri paesi industrializzati occidentali il ceto medio svizzero sta economicamente molto bene. Quanto sono giustificate, dunque, le preoc­ cupazioni che esso manifesta? Sono preoccupazioni che rispecchiano la complessità dell’evoluzione dei redditi e della loro distribuzione. Mi spiego: in Svizzera i redditi crescono. Sono cresciuti negli ultimi anni e sono elevatissimi rispetto a paesi come l’Italia o la Francia, nei quali invece il reddito medio è addirittura in diminuzione. Ma a crescere di più sono stati i salari inferiori e quelli superiori mentre quelli medi sono sì aumentati, ma in misura inferiore. Da qui nasce la preoccupazione del ceto medio. Questa disparità dei redditi tenderà ad aumentare ancora nei prossimi decenni? E in tal caso, quanta

diseguaglianza il ceto medio potrà ancora sostenere? Le cause profonde di questa evoluzione sono la globalizzazione e il progresso tecnologico. Il nostro ceto medio è sempre più in concorrenza a livello mondiale con persone che possiedono le stesse competenze. I mestieri del ceto inferiore invece non sono globalizzati. E neanche possono esserlo. Per esempio, non si può delocalizzare il lavoro di un giardiniere, non lo si può sostituire con un giardiniere che sta in India. Invece il contabile svizzero si ritrova in concorrenza con il contabile polacco. È una tendenza contro la quale – complice anche internet – possiamo fare ben poco. Anche perché la Svizzera a lungo termine – ne siamo convinti – trarrà notevole profitto dalla globalizzazione, come del resto ha sempre fatto. Con il calo della domanda di qualificazioni intermedie, un apprendistato non dà più la sicurezza di apparte­ nere anche in futuro al ceto medio. Questa evoluzione segnerà la fine del mitico apprendistato svizzero? L’apprendistato rimarrà un punto di forza della Svizzera e una ragione del suo successo. Ciò però non vuol dire che l’apprendistato non vada modernizzato. In effetti, la nostra analisi mostra che oggi il solo apprendistato non garantisce più l’appartenenza al ceto medio. È una porta di ingresso importantissima, ma dev’essere visto come un passaggio verso altre specializzazioni, non come un punto d’arrivo. Perché la ricetta “meno stato” dovrebbe essere – al di là delle posizioni ideologiche e sulla base di motivazioni reali, concrete – la migliore politica per il ceto medio? Prendiamo per esempio il mercato del lavoro. C’è chi ritiene che i problemi del ceto medio-basso (problemi relativi, beninteso, rispetto a quelli dei paesi vicini) si possano risolvere con l’introduzione di salari minimi o con un irrigidimento generale del mercato del lavoro. Invece, è proprio la flessibilità la forza di questo mercato: niente è più utile della flessibilità per far fronte alle sfide che ho menzionato. L’adattamento potrà così avvenire in modo graduale e relativamente indolore. Quindi, par di capire, “meno stato” sì, ma con cautela. Certo, perché uno “stato buono” è anche un garante del successo di un paese. I ticinesi lo sanno benissimo. Da noi però si tende a sottovalutare l’entità delle politiche ridistributive già esistenti. Molti pensano che abbiamo delle tasse basse; ma se non guardiamo solo alle tasse sul reddito e teniamo conto di tutti i contributi sociali – come la cassa pensione o l’assicurazione malattia, che in altri paesi vengono prelevati alla fonte – ci ritroviamo con aliquote non dissimili da quelle del nord dell’Europa. Ma quanto importante è, in definitiva, la sopravviven­ za del ceto medio per la Svizzera? E quali soluzioni si prospettano per bloccarne l’erosione? Bisogna soprattutto stare attenti a non far troppo. Se cominciamo a voler risolvere i problemi di ognuno con programmi specifici, ci ritroveremo in una giungla di misure, spesso contraddittorie. Già oggi vi sono tante ridistribuzioni incrociate all’interno del ceto medio, con alcuni gruppi che ne approfittano molto più di altri. È un messaggio forse non “politicamente corretto”, ma ci pare importante lanciarlo perché altrimenti non lo fa nessuno.

Agorà 5


Musica e curiosità Tempo fa, uno studente di musica mi ha riferito la reazione di alcuni compagni all’ascolto di “Fire Music” di Archie Shepp. Al docente di storia del jazz che aveva proposto i brani, hanno chiesto perché dovessero analizzare quella “strana roba” di Giancarlo Locatelli

Arti 6

Le chiusure sono stupide, le aperture spesso ingenue. Che Nel disco citato in apertura suonano Archie Shepp al sax un album di Archie Shepp potesse suonare strano nel 1965, tenore, Ted Curson alla tromba, Joseph Orange al trombone, data di registrazione e uscita del disco per l’etichetta Impul- Marion Brown al sax contralto, Reggie Johnson al contrabse, è fatto comprensibile ma che lo sia oggi per degli studenti basso e Joe Chambers alla batteria (gli ultimi due sostituiti di jazz dimostra quanto sia difficile per l’essere umano aprir- in un brano rispettivamente da David Izenzon e J.C. Moses). si e accettare qualsiasi cosa di discosti dalle proprie abitudi- I brani suonati sono cinque (più un bonus track dal vivo di ni. Dimostra anche che queste ultime, alimentate invece di “Hambone” nella ristampa in cd): “Hambone”, “Los Olviessere smontate dagli insegnanti, tendono a privilegiare le dados”, “Malcom, Malcom semper Malcom”, “Prelude to vie comode e consolanti. Quana kiss” e “The girl of Ipanema”. do qualcuno suona la sveglia si Dei cinque brani i primi due preferisce etichettarlo come irmostrano la tensione a espanriverente, incapace, rivoluzionadere dall’interno le strutture del rio o magari anche mistificatore jazz, e “Los Olvidados”, scritto senza accorgersi di quanto c’è in in seguito a un’esperienza didatquello che fa. Non voglio sostetica con ragazzi in difficoltà, è nere con questo che sia meglio anche una dedica all’omonimo accettare acriticamente quello film di Luis Buñuel, premiato che ci viene proposto come per la miglior regia al festival nuovo. I creduloni e gli ingenui di Cannes del 1951. Nel brano abboccano allo scintillio dei centrale, che contiene un noterichiami per le allodole. Ma savole intervento con l’archetto Archie Shepp (imm. tratta da jazzdigest.files.wordpress.com) rebbe auspicabile aver raggiunto di David Izenzon, viene recitata la consapevolezza che soltanto una poesia di Malcom X e gli la curiosità ci può salvare dall’essere raggirati, uniformati e ultimi due rendono esplicito il lato di Archie Shepp più omologati. Prima di rifiutare sarebbe quindi meglio ascoltare legato alla tradizione. sapendo che per la prima azione servono pochi secondi e Dicevamo che le chiusure sono stupide e le aperture spesso per la seconda occorre molto più tempo. ingenue. Si può essere superficiali rifiutando ma anche considerando migliore ciò che si presenta come nuovo soLa vocazione del jazz lamente per il fatto di essere nuovo. Altra cosa è accogliere, Michel Foucault in un’intervista dichiarava che “La curiosità accettare, far proprio. Per far questo occorrono curiosità evoca la «cura», l’attenzione che si presta a quello che esiste o e cura. Soprattutto tempo. Pietro, un amico, dopo aver che potrebbe esistere”. La stessa etimologia latina di curiosità letto un mio precedente articolo (“Musica e prospettiva”, rimanda alla cura. E ancora “Il sapere non è fatto per conso- Ticinosette, n. 11/2013,) mi ha scritto: “... ahimé, citando lare: esso disillude, rende inquieti, incide, ferisce”. Avere cura Kung Fu Panda (Dreamworks Animation, 2008), «il caso per quello che si fa vuole dire lasciare il tempo alle cose di non esiste» e questa società sa ben bene in che direzione vuole parlarci, sapere che la prima impressione può anche essere restare...”. Ha ragione, so però che sarebbe d’accordo con fastidiosa ma soltanto la pazienza e la frequentazione ci il commento che allo stesso scritto ha fatto un altro amico faranno scoprire se un musicista, un artista, un album o comune, Adelio: “... Ma eccoci al punto: la difficoltà non deve un quadro ci piacciono oppure no, se sono realmente in- diventare un alibi per sedersi, al contrario. Dovrebbe agire come teressanti, profondi o al contrario se perdono di interesse spinta principale all’azzardo. La chiusa dell’articolo, citando il dopo ripetuti incontri. problema didattico, dunque il rapporto fra insegnanti e allievi È pertanto incredibile, e allo stesso tempo indicativo, quanto (cioè gli addetti ai lavori di domani) mette il dito sulla piaga. possano essere ancora chiusi e superficiali tanti giovani ap- Che fare? Non rassegnarsi!... A cominciare dall’educazione ai passionati di una musica che per sua nascita, storia e natura suoi primi livelli... E proprio per non voltare le spalle alle sfide è sempre stata totalmente aperta e curiosa e che ha accolto, e al rischio”. digerito e triturato le influenze più diverse a una strabiliante Ci sono cose facili e cose difficili da insegnare. La curiosità è velocità. Ma la colpa non è, ovviamente, soltanto loro. una di queste ultime. La si insegna soltanto praticandola.


Tutto è materia

Pittrice legata agli elementi naturali e molto attiva a partire dalla seconda metà degli anni novanta, Felicita Bianchi-Duyne espone in queste settimane le sue opere in una piccola collettiva negli spazi di J.-J. Hofstetter a Friborgo di Nicoletta Barazzoni

utilizza materiali di diversa origine: stoffe, pezzi di carta, sabbie. La tridimensionalità e il senso del movimento tendono a proiettare un ritmo pulsante in cui la materia domina, in quanto valore supremo e inalienabile. I colori prediletti non sono mai colori primari, assenti in natura. Più sono pastellizzati, più sono sporchi, più sembrano attrarla. Il suo rapporto con la materia attinge da un’osservazione riflessa nel tutto e inglobata nel particolare come unicità, entrambi riportati sulla tela, perché per l’artista le forme (anche informi) della realtà sono intriganti, le permettono di infondere alle opere un senso compositivo, partendo dagli elementi naturali, con i loro dettagli. Definendo il confine tra una fase e l’altra, un ciclo e un altro, la pittrice riproduce elementi esterni mai decorativi che si estendono con armonia grazie alla loro coerenza artistica.

per informazioni: Atelier-Galerie J.-J. Hofstetter rue des épouses 18 · 1700 Friborgo tel. 026 323 24 03 · galerie-hofstetter.ch L’esposizione rimane aperta fino al prossimo 25 maggio.

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Mostre 7

HOFER BSW

La costante ricerca di Felicita Bianchi-Duyne – classe 1958, nata a Zurigo e residente da alcuni anni a Ponte Capriasca – infonde alle sue opere un senso di profondità, in cui le fasi dell’introspezione giocano un ruolo determinante, in un graduale addensamento di forme e figure. Come ogni opera parla dell’artista, anche il lavoro della BianchiDuyne trasmette il suo vissuto interiore, i suoi stati d’animo. Le composizioni riflettono e giocano su linee distinte, chiare e dal carattere definito, come il giorno e la notte, in cui il passaggio dal tramonto all’oscurità, sono fasi inscindibili, tra loro compenetrate. Sono discorsi esplorativi con lievi sovrapposizioni, collegate da un filo impercettibile all’immensità dello spazio. Tra il vegetale e il materiale i quadri di Felicita Bianchi-Duyne propongono scorci contemplativi, immortalati con polveri finemente selezionate che vanno a definire il lavoro ultimo. Riaffiorano paesaggi, pagine strappate che sfalsano le regole, mentre i suoi vasi confondono le prospettive per consegnarle all’immaginario. Attingendo alla natura come grande ispiratrice, l’artista, dopo aver ricomposto momenti e situazioni naturali,

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Doppie in libertà

La questione delle doppie interessa tutti coloro che, parlanti italiano, abbondano o scarseggiano nel loro uso a seconda della regione di provenienza. Un segnale della vitalità della nostra lingua o l’ennesima pugnalata grammaticale? di Gaia Grimani

Lingua 8

I veneti, e in generale i settentrionali, tendono a non pro- Un altro errore d’ortografia piuttosto comune è rappresennunciare e, dunque, a non scrivere alcune doppie. Da Roma tato dalla z del suffisso -zione nei nomi e nei loro derivati in giù, al contrario, c’è la tendenza a infilarle dove la loro che è sempre singola (eccezione, mai eccezzione). Lo stesso presenza non è affatto richiesta. Un esempio classico: “l’ap- comportamento va tenuto con gli aggettivi e i sostantivi che partamento non è aggibile” o “la tua domanda è illeggittima”. finiscono in -zio o -zia o -zie: da inizio a esercizio, da pigrizia, Ecco dunque alcuni degli errori più comuni e le incertezze ad astuzia. Attenzione, però: pazzia, nome in cui la i è acpiù diffuse nell’uso delle doppie. Sarà, in ogni caso, un centata, richiede la doppia z, come va messa, ovviamente, elenco molto incompleto, con nella coniugazione di molti verbi la raccomandazione di ricorrere che ce l’hanno nel tema, come imal vocabolario per i casi dubbi. pazzire o organizzare (impazziamo, È più facile sbagliare le doppie in organizziamo) o in altri nomi con il parole lunghe in cui si alternano suffisso -iere: carrozziere (non carroconsonanti singole e non, per ziere) e tappezziere (non tappeziere). esempio: bisogna scrivere accePer nostra salvezza esistono palerare, non accellerare, dato che role che possono essere scritte in viene da celere, che ha una sola l; due modi, con la doppia o con la aggressivo e non agressivo; briciola semplice. Generalmente si tratta di (non bricciola); colluttazione, non parole derivate dal latino e i rafficollutazione poiché deriva dalla nati preferiscono la forma con la parola lotta. L’errore è evitabile, se consonante semplice, perché più si riflette con quali parole la nostra vicina all’originale. è in relazione oppure da quali deriUn esempio, la parola obiettivo o va, come essiccare che ha nella sua obbiettivo; generalmente nel pasradice il termine secco. sato si parlava di obbiettivo quanAlcune regole da tenere a mente: il do ci si riferiva a una parte della suffisso -bile non ha mai la doppia macchina fotografica e di obiettivo, b, anche se in qualche regione la quando ci si riferiva all’aggettivo. si pronuncia. Per cui scriveremo: Oggi nell’uso prevale, per entramImmagine tratta da wikimedia.org mangiabile, possibile, immobile, e bi i casi, la forma con una sola b. non mangiabbile, possibbile, imUn’altra questione spinosa è il radmobbile. Il suffisso -aggine (con la doppia g) serve a formare doppiamento nelle parole composte, come sopra tutto che, sostantivi astratti: la stupidaggine, per esempio, è un atto scritto unito, diventa soprattutto. Però il raddoppiamento stupido. Statisticamente il popolo delle parole in -aggine è è imposto dalla prima parte della parola composta e non più numeroso di quello delle parole in -agine, con una g sola: dalla seconda: generalmente richiedono il raddoppiamentra cui, immagine e indagine, e molte altre. Ma come capire to i prefissi a (appieno), contra (contrabbasso), sovra e sopra quando ci vuole la doppia g oppure no? C’è un piccolo (sovrapprezzo), da (dappertutto), fra (frattempo), già (giacché), trucco: provate a togliere il suffisso (senza la a): se resta una né (neppure), se (seppure), su (suppergiù); non lo richiedono parola di senso compiuto, ci vuole la doppia g. Se togliete, anzi (anzitutto), contro (controbattere), dopo (dopotutto), intra per esempio, il suffisso a stupidaggine, resta stupida (che ha (intravedere), presso (pressoché), sotto (sottomettere), tra (trasenso); se si toglie a indagine, resta inda (che non ne ha). vestire), ultra (ultracentenario). Va detto che questi elenchi non sono certo esaustivi e i casi Beata ignoranza e buon caffè a tutti! incerti molteplici. Basti l’esempio di infra che vorrebbe il I dubbi sulle doppie riguardano anche le parole che finisco- raddoppiamento (inframmettere), ma nessuno si sognerebbe no in -iggine o -igine e -uggine o -ugine. Con la doppia g tro- di andare al mare con i sandali infraddito oppure quello viamo dabbenaggine, lentiggine, ruggine, ecc. Con una sola g, del gustoso, ma scorretto caffelatte che ci sorbiamo al bar, cartilagine, caligine, lanugine e molte altre: c’è da farsi venire beatamente ignari, per lo più, che bisognerebbe scriverlo le vertigini! In caso incerto, meglio consultare un dizionario. caffellatte.


Letture L’avventura di Pico di Roberto Roveda

Nel 1516 Erasmo da Rotterdam scriveva a un amico: “Come osi parlare di infelicità tu, che hai avuto la fortuna di visitare l’Italia negli anni mirabili, quando fiorivano Angelo Poliziano, Ermolao Barbaro, Giovanni Pico della Mirandola?”. A questi “anni mirabili” del Rinascimento italiano lo scrittore romando Etienne Barilier dedica una ricostruzione letteraria della vita di Pico della Mirandola. Un romanzo storico, dunque, ma – è bene dirlo subito – ben lontano dal modello sensazional-anacronistico oggi tanto in voga. Barilier si cala con rigore e rispetto nella realtà dell’ultimo quattrocento italiano – Pico vive tra il 1463 e il 1494 ed è contemporaneo di Lorenzo il Magnifico, di Botticelli, di Savonarola – volendo raccontare quest’epoca per quello che essa è stata realmente: splendore, continua innovazione del pensiero filosofico, vette insuperate nell’arte e nella letteratura, il tutto immerso negli intrighi della politica italica ed europea, che apriranno di lì a poco la strada a una stagione di guerre cruente per l’egemonia continentale.

A dominare, come magistralmente rievoca Barilier, vi era poi una diffusa sensazione di fine imminente, come se gli spiriti più grandi di quel tempo lontano – e Pico della Mirandola fu tra questi – intuissero che si stava avvicinando una stagione di barbarie, di intolleranza, di oscurantismo. Mancavano poco più di vent’anni alla “protesta” di Lutero e alla divisione religiosa dell’Europa, foriera di odi, massacri, violenze fratricide destinate a perdurare per secoli. Contro questo destino plumbeo lottarono gli uomini come Pico della Mirandola, con i loro scritti e le loro idee, animati dalla volontà di affermare contro ogni odio e oscurantismo la dignità e la libertà dell’uomo, la grandezza della ragione umana e la sua indipendenza, la possibilità che ogni individuo ha di elevarsi alle sfere più nobili della conoscenza e dello spirito, se solo lo desidera e gli è concesso. Fu una lotta disperata, quello di Pico e di altri, e destinata all’insuccesso, ma che ancora oggi emoziona e coinvolge per la sua indubbia attualità.

Il decimo cielo di Etienne Barilier Armando Dadò editore, 2012

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Biblioteche. Sale silenti di Marco Jeitziner; fotografie ©Flavia Leuenberger

Luoghi 10

Leggendo il greco antico capiamo perché si va a leggere in questo luogo: biblio sta per libro, teca per posto. La teca dei libri. Pare che dobbiamo tutto agli assiri, ai greci, agli egizi e agli antichi romani. Devo molto a queste stanze silenziose: ero in biblioteca quando decisi di andare all’università; ero in biblioteca quando ho trovato quello che non trovavo; ed ero sempre lì quando ho parlato per la prima volta con quella bellona. Ma nella triste stagione degli esami, preferivo la casa, da solo, meno distrazioni, se no finisce a chiacchiere e ad amoreggiamenti. Perdersi nel labirinto Ricordate la biblioteca de Il nome della rosa? Vanto del monastero teatro del libro di Umberto Eco e del film di Jean-Jacques Annaud? Sede di un intricato labirinto per pochi addetti. Perdersi tra i piani tutti uguali e le sale tutte uguali di queste teche: qual è il punto di riferimento? Le due ragazze bionde con il loro PC e le cuffie all’orecchio o il nonnetto curvo in poltrona che si pulisce gli occhiali? Capita che t’infili tra due cartacee muraglie e scopri che esiste la rivista mai sentita che tratta temi come mai hai immaginato. Ignorante! Ci trovi tutto (o quasi), anche se ti perdi. Semmai chiedi ragguagli, per la connessione Wi-Fi, per i lavori di Italo Calvino, per l’archivio dei quotidiani o, semplicemente, per trovare i bagni. Io mi perdevo tanto e volentieri nella mitica “Banane”, la biblioteca universitaria di Losanna a Dorigny. La chiamavamo così a causa della sua forma curva. Vi si pranzava, si facevano chili di fotocopie, di bibliografie, e fingevi di fare il secchione per fare colpo sulla bella studentessa. La scheda per riservare un tomo bisognava chiuderla in un cilindro di plastica e imbucarlo in una fessura. Lo scivolo della letteratura. La cultura che slitta. Ma dove va?

Porte (quasi) sempre aperte Quando su “Google libri” non trovi, perdinci se ci devi andare nella teca. Stampati gli orari bene in vista perché a volte sono davvero strani (come sono strani i bibliotecari del resto). Le porte non sono, ahi me, sempre aperte. Una bibliotecaria mi raccontava quanto fosse rifugio aperto dal pensionato al richiedente asilo. Eppure sono orari strambi, né da ufficio, né da casalinghe. Il lunedì solo la sera, poi fino a venerdì dalle 10 alle 19, sabato dalle 9 alle 13, domenica chiuso. All’archivio sono inflessibili: alle 17 in punto fuori dai piedi, oppure traslochi nella sala adiacente con chili di carta e di libri. Si salva solo quella universitaria di Lugano: dalle 9 alle 22 ogni giorno, ma domenica chiuso. E chi non abita a Lugano, come fa...? Solita storia. Concordo stavolta coi giovani politici liberali: bene hanno fatto a chiedere orari più spalmati. Perché no la domenica? Son mica negozi! Perché il sabato pomeriggio solo a Lugano? E noi? Perché a Locarno nemmeno a pranzo? Siamo indietro, ancora. Manca l’utenza, diranno. Ci costa troppo, risponderanno. Ma non è una libreria, è un servizio pubblico, la cultura non dovrebbe avere orari. Silenzio, si legge (di solito) Internet le ha messe un po’ in crisi, d’accordo. Ormai ci fanno mostre, conferenze, concerti e teatri. Ma così si rompe il silenzio. Così si soffocano i suoi tipici rumori, fateci caso. Domandone al banco dei prestiti; il bibliotecario o archivista di turno che parla, sì, parla; il rumore dei tasti del computer; il bzzz! bzzz! dell’apparecchio dei codici Wi-Fi; il toner della fotocopiatrice; il carrello dei libri; lo scricchiolio delle porte senz’olio; rumori di passi, di giacche, di nasi che colano e ti viene il nervoso, di starnuti primaverili o invernali; di bocche che ruminano; di gole che tossiscono; unz! unz! nelle orecchie del truzzo; di ciance e di risatine di impiegati poco rispettosi, ecc. Dato che mica ci abiti in biblioteca, per loro è scontato: “il libro EZ-II-Bra4 lo trova nel reparto della documentazione regionale, secondo piano, terza sala a destra, primo scaffale a metà, copertina arancione, edito da...!”. Poi ti arrabbi perché quel libro doveva rientrare due giorni prima ma l’utente smemorato se l’è tenuto e tu rimani a... cultura asciutta! Oppure l’ha rubato, come il ragazzetto che un giorno m’ha superato all’uscita, facendo suonare l’allarme. Nessuno mosse un dito: ladruncolo troppo veloce o solo un libraccio?


Luoghi 11


C

apolago è il mio paese d’origine, lì sono nato il 16 luglio del ’63. Eravamo quattro fratelli e i miei avevano un garage. Vivevamo nell’ultima masseria del paese, l’ultimo avamposto delle campagne: c’erano ancora i campi di mais, le vigne, i maiali e tutti gli animali. Ho iniziato le scuole elementari a Capolago, poi ho frequentato il ginnasio a Mendrisio. In seguito, mi sono iscritto all’istituto magistrale e sono diventato maestro di scuola. In parte era quello che volevo fare: mi piaceva il rapporto con i ragazzi, l’educazione, mi piaceva insegnare. Dopo un anno di supplenza e un anno di maestro di musica, però, ho cambiato idea: ho capito che desideravo fare solo il musicista. La musica era la mia passione fin da ragazzo: avevo imparato a suonare la chitarra nelle colonie e a diciotto anni facevo parte di un gruppo, i Panighiröl. Con loro raccoglievamo leggende ticinesi e ci divertivamo a musicarle. Non guadagnavamo niente, ma io mi sentivo realizzato. Poi ho partecipato a qualche festival, ho iniziato a suonare per strada, un modo per crearmi dei contatti, per farmi vedere e per stare vicino alla gente. La strada assicura una dimensione libera, che nessun altra situazione consente. Attorno ai vent’anni ho lasciato Capolago per la Val Verzasca: suonavo ai mercati, dove si poteva, e nelle feste, e in quel periodo ho anche fatto qualche supplenza. L’anno successivo mi sono trasferito in Valle Maggia, dove ho provato a fondare una scuola di musica popolare, un genere che avevo già sperimentato con il mio primo gruppo e al quale tenevo molto, soprattutto per la questione del canto in dialetto, ma dopo due anni ho dovuto lasciar perdere. Dopo questa esperienza ho continuato comunque il mio cammino musicale, prima in Valle Onsernone e poi in Val Colla, a Bogno, dove vivo tuttora con la famiglia. Un bel giorno, al mercato di Bellinzona ho incontrato Claudia, la donna che poi sarebbe diventata mia moglie. Abbiamo iniziato subito a suonare insieme e a viaggiare. Siamo stati in Africa, Repubblica Domenicana, Messico, Cuba. Eravamo come una carta assorbente: di ogni luogo assorbivamo la musica, l’arte, le tradizioni, ogni cosa.

Io mi dedicavo, e mi dedico tuttora, anche alla pittura e così ero interessato alle tecniche, per me nuove, che scoprivo nel corso dei viaggi. In Africa, per esempio, ho imparato a dipingere con la sabbia, in Messico con il gesso. Ci piaceva sperimentare e rubare i segreti anche della cucina del posto, anche perché io e Claudia avevamo un interesse per le erbe, soprattutto quelle da mangiare, le cosiddette erbacce. Ma tornando alla musica, certamente i viaggi hanno cambiato il mio stile, ma la radice, l’essenza è rimasta la musica popolare. Oggi, io e Claudia viviamo soprattutto di questo. Giriamo insieme, il nostro duo si chiama Tacalà che all’occorrenza diventa trio, quartetto, e in tutto abbiamo prodotto e partecipato a circa una decina di cd. Oltre alla chitarra, che suonavo da ragazzo, ho imparato a suonare altri strumenti, come l’organetto, la fisarmonica, il tres cubano, la cornamusa o la piva ticinese, che mi ha appassionato moltissimo e che da novembre all’epifania è molto richiesta. Nel tempo si è aggiunta un’altra passione, che poi è diventata anche un lavoro: la pesca. Anni fa lessi per caso un articolo in cui si parlava della possibilità di pescare con le reti, attività consentita a pochi eletti. E così, dopo alcuni esami obbligatori, cinque anni fa sono diventato pescatore professionista anche se è da una vita che conosco l’arte della pesca. I miei infatti facevano anche i pescatori: da ragazzo, abitando vicino al lago si pescava sempre, a casa vedevo mamma e papà intenti a sistemare le reti. Questo mestiere mi ha riportato alle origini, alle tradizioni familiari, che ho recuperato anche con l’acquisto di un terreno a ottocento metri di altezza, una specie di masseria ma senza animali, che stiamo riattando. Seguiamo un ritmo agricolo, legato alla terra e alle stagioni. E poi vorrei prima o poi ricominciare a viaggiare. Aspetto solo che i miei figli, Lou e Jora che oggi hanno quindici e diciotto anni, terminino le scuole e riprenderemo questa “pratica” così bella e che fa così bene all’anima.

GIORGIO VALLI

Vitae 12

Musicista di strada, pittore, pescatore, esperto di erbe e viaggiatore. Oggi vive soprattutto di musica popolare e ha una piccola tenuta che ricorda l’antica masseria dei suoi genitori

testimonianza raccolta da Roberto Roveda fotografia ©Flavia Leuenberger


Volare, liberi di Daniele Fontana fotografie ©Jacek Pulawski

“La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori” (Alda Merini, Corpo d’amore)


Cos’è la bellezza? Ma davvero, cos’è la bellezza? È roba ruvida, spigolosa, dura, in bianco e nero. Non ti vuole, ti respinge. Ti prende a cazzotti. Che ti credi? Te la devi meritare sai? Non è lei che ti si offre. Sei tu che te la devi andare a prendere. Non è lo specchio di quel che vorresti essere. È la coscienza di quel che sei. E forse non ci arriverai mai.

Non parla di te. Ma neppure di lei. La bellezza esiste. Punto e basta. Vattela a cercare. Ficca le mani nel fango grumoso. Scava nella polvere piena di detriti, fili arrugginiti e schegge di vetro. Ti farai male, di sicuro. Quanto, non lo so. Sin che ti basterà. Per smetterla o per trovarla. Se la troverai. Non è buona la bellezza. Per nulla. E non vuole bontà. Vuole verità. Vuole impegno. Fatica.


Non è un gioco. E neppure un sogno. Non c’è nulla da comprare, né da sublimare. Non per niente ci hanno messo pensiero e intelletto e costrutti e rigore e logica i migliori filosofi della storia. Non è certo patina né silicone. Né finzione o compassione. È verità e imperfezione. Necessaria e inutile. Guarda oltre ai corpi, dentro agli occhi, ai gesti, ai segni. Dentro le vite. Perditici. Perdi

te stesso. I tuoi pregiudizi. I tuoi stereotipi. Le tue semplificazioni. Anzi no. Tienteli stretti. Fissali in volto, ché l’ottovolante che ti aspetta può rovesciarti come un calzino. E a quel cielo capovolto non sia mai che ti presenti senza i tuoi orsi di pezza. Sarai tu a buttarli quando ti si sarà disvelata. Ma non raccontiamoci storie. Non è cosa facile – per niente facile, mai – anche per chi abbia

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intrapreso il cammino, per forza o per decisione. Prima dello sfolgorio del bianco la botta di nero è sempre in agguato. Blue lo chiamano quelli che parlano inglese. E ci hanno fatto musiche con dentro tanto. Ma non tutto. Ché quando il Blue vira al nero alle volte non c’è proprio nulla da fare né da dire. Allora, nella fucina senza fondo e senza pareti del dio dell’ingiustizia, della disperazione e dell’abbandono, il mantice soffia aria tetra; il maglio, che si coglie solo dal cupo rimbombo, sprigiona scintille di pece. Ogni colpo, senza senso e senza torto, ti batte dentro, disperdendo le ultime, confuse coordinate che ti sono rimaste. Spingendoti sino al cuore atro di quel lago oscuro in cui la quiete, che finalmente ti avvolge, altro non è che attesa, disperata, del nulla che sarà. Ma se vai avanti, ostinato, cocciuto, testardo, quasi patetico nella tua ossessione, anche quel nero può diluirsi. La tenebra cadere. E allora la bellezza è lì. Maledetta. Maledettamente forte e potente. È la bellezza della vita. In tutta la sua maestosa semplicità. In tutta la sua inscalfibile vulnerabilità. È tutto proprio perché è niente. È il volo di una gallina. L’estasi di una nota. Il mondo nello sguardo di un bimbo. L’unione tenerissima e infinita che, fondendoli, travalica i corpi. La forza e la dolcezza dei gesti della cura. L’incanto della creazione.

Quel che l’immagine racconta, le parole faticano a disegnare. La penna arranca, perché ad arrancare è il pensiero, con la ragione, che gli dà forma e poi lo veste di parole. Ma la senti dentro quella forza, quell’energia, quella condizione. Nitida nella sua confusione. Semplice nella sua complessità. Chiara nell’oscurità. È un sorriso, un palpito, un respiro e un sospiro. È smorfia e dolore. Patimento e disperazione. Impossibilità e potenza. È rifiuto e accettazione. È la fatica di molti. L’abbraccio di pochi. L’amore di ancora meno. È la solitudine di ciascuno di noi.

Una storia esemplare A spingerci a parlare di OTAF non è una ricorrenza, né un’occasione istituzionale particolare, anche se alla celebrazione del centenario, in effetti, non manca molto. Fu del resto nel 1917 che Arnoldo Bettelini, ingegnere di professione, pose la pietra angolare di quella che di lì a pochi anni sarebbe divenuta l’Opera Ticinese di Assistenza alla Fanciullezza. Da allora all’oggi l’Opera, trasformata nel 1969 in Fondazione di diritto privato sussidiata dall’ente pubblico cantonale, di strada ne ha compiuta tanta: attraverso la creazione di una vasta rete di strutture sul territorio ticinese dedicate all’accoglienza, alla cura e alla formazione dei bambini diversamente abili – e dal 1984 anche degli adulti –, essa si configu-


ra come il principale organismo di riferimento nell’ambito delle disabilità a livello cantonale. Una missione perseguita con tenacia e sostenuta da un profondo amore non solo per chi, piccolo o grande che sia, vive una oggettiva e spesso grave condizione di svantaggio fisico o mentale, ma anche per tutte le famiglie che si trovano, non di rado impreparate e disorientate, ad affrontare una situazione dolorosa e misteriosa. Attualmente l’OTAF accoglie nelle sue strutture circa trecentoventi persone disabili, sia minorenni sia adulte, mentre i servizi offerti alla collettività spaziano dall’assistenza diurna socio-sanitaria ed educativa alla formazione scolastica (attraverso la Scuola dell’infanzia e la Scuola speciale); dalle attività riabilitativo-assistenziali all’impegno sul piano occupazionale e lavorativo, senza dimenticare lo sforzo rivolto all’integrazione sociale e professionale degli utenti. In tale direzione, si inscrive la recente edificazione della Casa Fomelino, il cui fabbricato, da poco ultimato, è stato innalzato di fronte al centro OTAF di Sorengo su progetto dell’architetto Mario Botta. Una struttura tesa ad ampliare l’attività del già esistente laboratorio di falegnameria creato nel 1984 e da cui escono sia manufatti artigianali sia prodotti per l’arredamento. L’OTAF promuove inoltre le sue molteplici attività grazie al bimestrale Semi di bene, una delle pubblicazioni storiche del cantone, il cui primo numero fu pubblicato nel lontano 1921. Le fotografie presentate in queste pagine – e in parte già apparse in passato su altre testate – sono state realizzate sulla base di una collaborazione del fotografo Jacek Pulawski con il personale e la direzione dell’OTAF. Esse rivelano in modo diretto e senza filtri la realtà quotidiana dei bambini e degli adulti che grazie all’abbraccio degli operatori, degli educatori e dell’intero personale dell’Opera ritrovano una possibilità di crescita e trasformazione. Perché la bellezza, come suggerisce il testo di Daniele Fontana scritto per questo reportage, “è un sorriso, un palpito, un respiro e un sospiro. (…) È rifiuto e accettazione. È la fatica di molti. L’abbraccio di pochi. L’amore di ancora meno. È la solitudine di ciascuno di noi”. (a cura della Redazione)

Si ringrazia vivamente il signor Marco Canonico, Coordinatore dei laboratori protetti dell’OTAF, per la cortese a puntuale collaborazione.

per informazioni: FONDAZIONE OTAF

via Collina d’Oro 3 · 6924 Sorengo tel. +41 91 985 33 33 otaf.ch · segretariato@otaf.ch conto donazioni: CCP 69-210-2

Jacek Piotr Pulawski

Di origini polacche, classe 1978, opera come fotogiornalista freelance in Svizzera e all’estero per quotidiani e riviste. Nel 2009 ha ricevuto il premio della “Swiss Press Photo” come miglior fotografo dell’anno e ulteriori riconoscimenti sono giunti nelle edizioni più recenti. pulawski.ch


Un uomo di cuore trascrizione di Chiara Piccaluga illustrazione ©Simona Giacomini

Fiabe 42

n una fattoria isolata abitava una coppia di contadini; il marito era un brav’uomo, generoso e leale e la moglie lo amava teneramente. Purtroppo una notte un temporale distrusse il tetto della fattoria e così per racimolare qualche soldo per poterlo riparare decisero di vendere al mercato l’unico asino che possedevano. Il mattino seguente il contadino si mise in cammino con il suo animale verso la città più vicina, distante parecchi chilometri ma a metà strada incontrò un uomo che, come lui, stava andando a vendere il proprio cavallo. Dopo aver osservato bene l’asino, lo straniero gli propose di fare uno scambio con il cavallo. “Perché no?”, rispose il contadino, “un cavallo è molto utile in campagna: con il suo aiuto potrei far rendere meglio il campo e gua-

dagnare così il denaro necessario per riparare il tetto”. Cedette l’asino allo sconosciuto, si prese il cavallo e tornò verso casa. Ma mentre camminava si rese conto che l’animale inciampava spesso a causa del fatto che era cieco. “Povera bestia” disse accarezzandogli con dolcezza la criniera, “deve essere faticoso camminare su questa strada sassosa senza vedere niente!”. Condusse allora il cavallo verso i margini del sentiero perché potesse mangiare un po’ d’erba e nel frattempo si sedette a pensare sul da farsi. Dopo un po’ gli si avvicinò un uomo che trascinava una mucca. “Che bella bestia”, gli disse guardando il cavallo. “Sì, ma è cieco”


“Mi serve proprio un cavallo per dei lavoretti semplici” rispose l’uomo “e questo potrebbe fare al caso mio, anche se è cieco. Lo scambieresti con la mia mucca?”. L’affare fu concluso e il contadino si rimise in viaggio, ma dopo un po’, vedendo che la mucca procedeva molto lentamente, si accorse che una delle zampe anteriori era più corta delle altre. In quel mentre gli si avvicinò un uomo con in braccio una capretta e gli chiese perché mai avesse quell’aria preoccupata. “Ho appena acquistato questa mucca” spiegò il contadino “e ho scoperto adesso che è zoppa, ma il viaggio è ancora lungo e questa povera bestia soffrirà a camminare tanto”. “È da tempo che ho bisogno di una mucca…” disse lo sconosciuto, “prendi la mia capra, laggiù ci sono le prime case del villaggio, perciò come vedi non dovrà camminare a lungo”. Il contadino accettò e riprese il cammino con la capretta in braccio. Dopo un po’, stanco per il peso, appoggiò la capra a terra e si accorse che tremava e aveva a malapena la forza di reggersi in piedi. “Povera capretta, tu sei malata!”, esclamò il contadino e vedendo una fattoria poco lontana andò a cercare aiuto. Vi trovò una contadina che visitata la capretta, diagnosticò una malattia che avrebbe richiesto al contadino per la totale guarigione della bestiola qualche giorno di permanenza. “Casa mia è molto lontana, non posso né aspettare né tornare”

“In questo caso prenditi questo gallo e io mi terrò la capra”. Nel frattempo si era fatto mezzogiorno, il sole splendeva alto nel cielo e il contadino cominciò a sentire la fame. Non avendo nemmeno un quattrino, al villaggio successivo vendette il gallo per una moneta d’argento con cui comprò un cesto pieno di cibo. Pregustando il banchetto che stava per fare si sedette all’ombra di un albero. Quando stava addentando il primo boccone sobbalzò nell’udire una vocina dietro di lui: “Pietà brav’uomo, non mangio da giorni e non so se mangerò neanche domani”. Il contadino si girò e vide un anziano mendicante appoggiato all’albero. Senza esitare un istante lo fece sedere e gli posò davanti il cesto. Lo guardò felice mentre si saziava e riprese a cuor leggero il cammino verso casa. Sua moglie lo aspettava davanti alla porta e dopo averla abbracciata teneramente gli raccontò tutto quello che gli era successo. “Non avresti potuto agire meglio e sono felice di avere un marito come te!” disse la moglie abbracciandolo. “Entra, che ti preparo qualcosa da mangiare: devi avere una gran fame!”. Il mattino seguente l’uomo si alzò per mettersi al lavoro, aprì la porta di casa e… quale fu la sua sorpresa nel vedere un bell’asino, un cavallo che ci vedeva benissimo, una mucca con le zampe lunghe e tutte uguali, una capretta sana come un pesce, un magnifico gallo e in mezzo all’erba una moneta d’argento! Chiamò la moglie che sorrise vedendo quello spettacolo, lo abbracciò e disse: “Ma dimmi, chi era il mendicante a cui hai dato da mangiare? Hai compiuto tanti gesti d’amore e hai dimostrato un grande altruismo perché hai donato senza chiedere nulla in cambio e questo ti ha reso onore, tanto che qualcuno ha pensato che era il caso di ricompensarti per questo tuo comportamento esemplare”.

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Cucina

FAI DA TE — DI FRANCESCA AJMAR —

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ALCUNI SPUNTI PER MIGLIORARE (CON POCO) UNO DEGLI SPAZI ABITATIVI PIÙ VISSUTI E IMPORTANTI DELLA PROPRIA CASA – TENDENZE p. 44 –

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nche nell’occidentale più ricco e spendaccione pare rafforzarsi l’idea di riparare e riciclare, piuttosto che buttare e ricomprare. Il motto “usato è bello” sta così guadagnando terreno sia per motivi economici sia etici e anti-consumistici. Oggi sono molte le fiere-mercato dell’elettronica, in cui si trovano pezzi di ricambio e apparecchiatture di ogni tipo, dal piccolo al grande elettrodomestico. Questo spirito “green” può aiutarci a modificare e migliorare anche alcuni spazi in cui trascorriamo una buona parte della nostra giornata.

PER INIZIARE: LA CUCINA

Se desiderate, con l’arrivo della primavera, rinnovare la vostra cucina, intesa come spazio di casa e non come arte culinaria, ma non avete intenzione di acquistarne una ex novo, ecco qualche stratagemma su come modificare alcuni elementi d’arredo che vi hanno stancato, ma che, da un punto di vista funzionale, sono ancora in buone condizioni. La cucina, uno degli spazi più vissuti e più “sociali” della casa, è in realtà un vero e proprio laboratorio per la preparazione e la conservazione del cibo. Fondamentale per la sua efficienza è la disposizione degli elementi che la costituiscono: deve essere un luogo accogliente, ma anche semplice da pulire. Un assioma della ri-progettazione della vostra quasi nuova cucina sarà quindi evitare le distanze troppo ampie, e concentrare le funzioni essenziali. Parliamo allora degli elementi base di questo spazio: il piano o “stazione” di lavoro, il piano di cottura, o “punto fuoco”, e quello di lavaggio, o “punto acqua”. I piani di lavoro si possono disporre in vario modo, a seconda delle pareti libere disponibili e delle aperture (porte e finestre), ma in generale possono essere uno di fronte all’altro, o ad angolo, o in un unico tavolo centrale. Si può pensare anche a elementi retrattili, che quindi non influiscono sulla metratura calpestabile. È buona norma inserire un piano di lavoro tra quello di lavaggio e quello di cottura, pensando anche a come venga spontaneo muoversi, ovvero se da sinistra verso destra, in senso orario, o il contrario. Spesso coloro che usano in prevalenza

la mano destra sono più comodi ad avere il lavello a sinistra, seguito dal piano di lavoro, affiancato a destra dal piano di cottura. Per i mancini, vale l’opposto.

PRIVILEGIARE LA COMODITÀ E RINNOVARE CON FANTASIA

Le dimensioni del piano di cottura devono essere adeguate alle vostre esigenze, così come il frigorifero, ma è bene concedersi qualche lusso in più per questi elementi, così vitali per una buona gestione dell’economia di casa. Il forno può essere pensato a incasso, all’altezza degli occhi, più comodo per infornare e controllare la cottura del cibo, e al tempo stesso lontano dalla portata dei bambini. Per il posizionamento degli elettrodomestici considerate dove siano disposte le prese di corrente, ma non fate dipendere tutta la progettazione della cucina da queste, che sono eventualmente modificabili con una spesa non eccessiva. Se gli arredi vi hanno stancato ma sono ancora utilizzabili, potete riverniciarli o rivestirli con apposite carte, pensandoli in abbinamento al colore e alla texture della parete su cui poggiano. Inoltre a volte è sufficiente cambiare le maniglie dei mobili per ottenere con pochissimo sforzo un effetto completamente diverso e nuovo. Vi sono maniglie pendenti, a listello o ad asta, cromate o verniciate, di ogni dimensione. E se avete la possibilità di cambiare il pavimento, e quindi affrontare una ristrutturazione più consistente, vi consiglio di posare un gres porcellanato effetto legno, che rende l’ambiente della cucina particolarmente caldo, senza problemi di usura del materiale. Se la cucina è abitabile, potete pensare a un tavolo con sedie, anche tutte diverse e magari di modernariato, o a un bancone con sgabelli, o a un tavolo retrattile, considerando che per 4 persone servono almeno 2,6 mq, per 5/6 persone circa 4 mq, per arrivare a 5,2 mq per 7/8 persone. Non sottovalutate l’illuminazione e i suoi effetti: la cucina deve infatti essere ben illuminata, con luci il più possibile naturali, in modo da non sfalsare il colore dei cibi. È bene che la luce sia diffusa in modo omogeneo, e più concentrata sul piano di lavoro e di cottura. Volete qualche spunto e idea originale: visitate il sito bio-arredare.com. Buon diveritmento e buon lavoro!


Astri 46

ariete Mercurio, re delle comunicazioni, il 15 è nella terza casa solare. Se dovete affrontare un concorso o un esame questo è il momento giusto. Con Giove ogni contraddizione tra l’essere e l’avere tende a esser superata.

toro Momento importante per i nati nella prima e seconda decade. Con Saturno in opposizione e Marte in Toro la vita affettiva e di società è pronta ad affrontare nuove responsabilità. Paura a esternare i propri sentimenti.

gemelli Dal 16 maggio Mercurio entra nel segno. Si apre un periodo di fortuna. Colpi di fulmine per i nati nella prima decade. Opportunità professionali in ordine al valore della propria creatività. Fiducia in crescita.

cancro Tra il 14 e il 15 Luna nel segno. Vulnerabilità per quanto riguarda i rapporti con il partner e le aspirazioni professionali. Nuova energia per i nati nella prima decade. Affrontate il Minotauro senza retrocedere.

leone Fortunati e iperattivi. Se avete dei nemici questo è il momento giusto per attaccare: Marte vi appoggia. C’è il rischio che frenesia e ansia possano prender il sopravvento. Bene il 16 ma irascibili il 17 maggio.

vergine Con Venere di transito vi starà più a cuore cimentarvi in nuove forme di divertimento piuttosto che impegnarvi nell’attività professionale. Marte vi porta ad affermare e a difendere tutto ciò che ritenete giusto.

bilancia Dal 15 maggio il ritmo cambia. Novità in arrivo con l’ingresso di Mercurio nei Gemelli. Venere e Giove favorevoli. Momento ideale per viaggiare, confrontarsi con altre culture o per iniziare una convivenza.

scorpione Stanchezza per i nati nella seconda decade. Con Marte opposto è facile trovarsi impegnati su troppi fronti con conseguente deficit di energia. Momento buono per i nati nella prima decade.

sagittario A partire dal 15 maggio Mercurio entra nella settima casa solare. Improvviso incremento degli scambi comunicativi e, al contempo, momenti polemici all’interno della vostra vita matrimoniale o di coppia.

capricorno Marte e Plutone in trigono per i nati nella seconda decade. È un periodo ottimo per apportare cambiamenti alla propria vita. Fissate un piano e stabilite cosa volete da voi stessi. Favorite le attività finanziarie.

acquario A partire dal 15 si apre un periodo di importanza straordinaria. Grazie a Giove e a Venere in trigono un amore sboccia aiutato da Urano. Novità e amicizie in arrivo. Opportunità per i nati nella seconda decade.

pesci Occasioni professionali per i nati nella terza decade tra il 12 e il 15. Favoriti incontri e scambi commerciali. Spese per l’abbellimento dei vostri spazi domestici. Evitate di fare il passo più lungo della gamba.


Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 21

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 16 maggio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 14 mag. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. Annuncio funebre • 10. Lubrificate • 11. Capo etiope • 12. Piccolo difetto • 13. Segno zodiacale • 15. La prima nota • 16. Frank, indimenticato cantante e attore • 18. Pigro, svogliato • 20. Lo sono i cavalli dal manto variegato • 21. Un gioco da tavolino • 23. Lussemburgo e Romania • 24. Solca i mari • 26. Antica città della Mesopotamia • 27. Vi sosta la carovana • 28. Corona di luce •30. Anno Domini • 31. Pazzie • 32. Venute al mondo • 34. Pari in grave • 36. Il tesoro dello stato • 39. In nessun tempo • 40. Ubriaca fradicia • 42. Zambia e Cuba • 43. La nota più lunga • 44. Ricevuta, tagliando • 46. Tribù indiana dell’America del Nord • 48. Nome russo d’uomo • 49. Nord-Est • 50. Il bel Sharif • 52. Il Nichel del chimico • 53. Dittongo in boato • 54. Il nome di Timperi. Verticali 1. Noto film del 2006 di G. Canet • 2. La giudichessa sarda • 3. Questa cosa • 4. Il dio egizio del sole • 5. Un’eroina di Goethe • 6. Il re della foresta • 7. Antro, caverna • 8. Dittongo in giada • 9. Formano lo scheletro • 14. Grosso bastone • 16. Fa dormire • 17. Stipendi, onorari • 19. Preposizione semplice • 22. Altari pagani • 25. Mezzo valore • 29. Ossigeno e Iodio • 33. Rode il legno • 35. Quello di Dio è il pontefice • 37. Abietti, spregevoli • 38. Fiaccarono Annibale • 41. Passare all’azione • 45. Consonanti in Luigi • 47. Pari in incolto • 51. Le prime dell’alfabeto.

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LINCIARE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Bruna Turchetti Casa Lisetta 6518 Gorduno

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La soluzione del Concorso apparso il 26 aprile è:

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Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: tre carte giornaliere “Arcobaleno”

Più vicino a voi. Nuova Tariffa Integrata Arcobaleno www.arcobaleno.ch

Arcobaleno mette in palio una carta giornaliera di 2a classe (per tutte le zone; il valore complessivo dei premi è di CHF 156.–) a tre lettori di Ticinosette che comunicheranno correttamente la soluzione del Concorso.

I biglietti Arcobaleno sono la grande novità della nuova Tariffa Integrata. Con la carta giornaliera si viaggia tutto il giorno all’interno delle zone prescelte, interrompendo e riprendendo il viaggio quante volte si desidera, fino alla chiusura dell’esercizio. È possibile acquistare anche la multi giornaliera, che offre 6 viaggi al prezzo di 5.

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Per ogni situazione e ogni stile di vita. Gli innovativi elettrodomestici da incasso di Siemens. siemens-home.ch

Se prima la cucina era un semplice luogo di lavoro, oggi è considerata uno spazio abitativo sempre più importante all’interno della casa. Di conseguenza anche le esigenze di arredamento sono particolarmente elevate. Sia che per voi l’efficienza o la sicurezza dei bambini siano al primo posto, sia che diate invece la priorità al design o al comfort, sia che viviate in coppia o in famiglia, Siemens non solo vi offre una vasta gamma di elettrodomestici da incasso, ma vi propone numerose innovazioni

che vi aiutano nella vita quotidiana quando si tratta di cucinare, refrigerare gli alimenti e lavare: perfezione tecnica, forme moderne, impiego ultraefficiente delle risorse e design straordinario. E la sofisticata ergonomia degli apparecchi di Siemens rende il loro utilizzo piacevole e divertente. Un parere condiviso anche da numerose giurie di design.

Siemens. Il domani è qui.


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