Ticino7

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№ 21 del 24 maggio 2013 · con Teleradio dal 26 mag. al 1. giu.

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Ticinosette n. 21 del 24 maggio 2013

Impressum Tiratura controllata 68’049 copie

Chiusura redazionale Venerdì 17 maggio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

Francesca Fotografia ©Flavia Leuenberger

4 Società Allievi conducenti. Sedicenni patentati di nicoletta Barazzoni ..................... 6 Ascolti Beata gioventù... di Giancarlo Fornasier ....................................................... 9 Media Nativi digitali. Fra reti e retaggi di Mariella dal Farra .................................. 10 Web App. La paura del “no“ di roBerto roveda ...................................................... 12 Arti Jacqueline du Pré. L’angelo caduto di oreste Bossini ........................................ 14 Kronos Viaggiare e lavorare. Nuovi nomadi di Keri Gonzato.................................. 16 Mundus Alieni tra noi di duccio canestrini ............................................................ 17 Luoghi Centri giovanili. Fragili mura di Marco Jeitziner; Foto di Flavia leuenBerGer .... 18 Vitae Loris Allemann di Gaia GriMani...................................................................... 20 Reportage Giovani una volta sola di Marco Jeitziner; Foto di Flavia leuenBerGer ....... 48 Tendenze Cinema. C’era una volta... a Hollywood di valentina GeriG .................... 56 Graphic Novel De sfroos di elio Ferrario .............................................................. 58 Astri ....................................................................................................................... 59 Giochi .................................................................................................................... 60 Agorà Scuola e lavoro. Formazione: quale scelta?

a cura della

redazione ..................

L’altra faccia della rete In un numero dedicato ai giovani il tema dei social network non poteva mancare. Un argomento di cui abbiamo trattato spesso per segnalare l’uso commerciale e di analisi di mercato che le aziende svolgono grazie a questi strumenti, altre volte per analizzarne le implicazioni sul piano della privacy e del controllo dei soggetti, altre ancora per scandagliare l’uso (e l’abuso) che, in particolare i più giovani, tendono a farne, in quanto eletti a mezzi privilegiati di comunicazione interpersonale. Ne è passata inosservata la funzione che questi media hanno avuto nel corso delle rivoluzioni in nord Africa e in Medio Oriente, e l’uso accorto che leader e formazioni politiche ne hanno fatto negli ultimi anni a fini elettorali e di ricerca del consenso (da Barack Obama a Beppe Grillo). Insomma, al pari di qualsiasi invenzione umana, anche i social rivelano pregi e difetti a seconda dell’uso che se ne fa. Un esempio positivo, e di cui non ero a conoscenza, è emerso nel corso di un servizio realizzato da Raffaella Calandra, brava e competente giornalista di Radio 24, trasmesso l’11 maggio nel corso della rubrica radiofonica “A ciascuno il suo”. Il tema riguardava le condizioni in cui si trovano a vivere le donne di ‘ndrangheta, mogli e compagne degli affiliati a quella che è considerata una delle più potenti organizzazioni criminali al mondo. Lo spunto nasce dalla vicenda di Giuseppina Pesce, figlia di Salvatore Pesce, il potente boss di Rosarno, grazie alla quale nel 2011 le forze dell’ordine italiane hanno

messo a segno un duro colpo all’organizzazione calabrese, con il sequestro di beni per un valore complessivo di diverse centinaia di milioni di euro. Indotte a sposarsi giovanissime secondo le indicazioni dei boss locali – che peraltro ne possono disporre fisicamente a loro piacimento – dopo la farsa della “fuitina d’amore”, esse si trasformano in vere e proprie ombre dei loro uomini che spesso non vedono più per anni, a causa della latitanza o del carcere. Incatenate a un mondo di violenza e costrette a vivere una condizione di costante minaccia fisica e psicologica, molte di loro hanno trovato ed esperito, attraverso i social e l’anonimato che li caratterizza, una condizione di “normalità”, grazie alla quale sono entrate in contatto con persone in grado di apprezzarle e con cui scambiare riflessioni e affettuosità. In alcuni casi la scoperta del mondo “ordinario”, proprio attraverso la rete, le ha portate a prendere coscienza della propria condizione e a ricercare l’aiuto dello stato per trovare una via d’uscita per sé e per i propri figli. Buona lettura, Fabio Martini


Formazione: quale scelta? Educazione. Scuola superiore, liceo, commerciale o professionale: la scelta di un percorso scolastico va affrontata responsabilmente ma senza patemi d’animo. Rispetto al passato, l’offerta formativa garantisce infatti una maggiore flessibilità e la possibilità di confrontarsi con il mondo del lavoro, una realtà che muta sempre più rapidamente. Ne discutiamo con Manuele Bertoli, consigliere di stato e direttore del DECS a cura della Redazione

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Agorà 4

l canton Ticino presenta un tasso elevato di allieve e di allievi che, terminata la scuola dell’obbligo, decidono di proseguire il proprio percorso formativo frequentando il liceo. Se da un lato si tratta di una decisione in linea con alcuni indicatori secondo cui il mercato del lavoro richiederebbe ancora personale qualificato formatosi seguendo il classico percorso liceo-università, d’altra parte la scelta è non di rado influenzata dall’idea di una maggiore rilevanza delle professioni del terziario rispetto, per esempio, a quelle artigianali o di servizio. Naturalmente esistono una serie di possibilità alternative altrettanto valide, come quella legata alla formazione professionale che offre un’ampia serie di prospettive di sbocco sul piano del lavoro. Si tratta dunque di due tendenze contrapposte che pare essenziale conciliare in modo da garantire un’offerta formativa il più possibile articolata e ricca, anche alla luce dei sempre più rapidi mutamenti degli scenari economici – e della conseguente offerta di lavoro –, mutamenti che richiedono al sistema scolastico una maggiore permeabilità e flessibilità. Di questi temi, di sicuro interesse per i giovani come per le famiglie, abbiamo parlato con Manuele Bertoli, consigliere di stato e direttore del DECS (Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport). La formazione professionale non è un percorso alternativo ma è parte integrante del sistema educativo del nostro paese. Sul piano nazionale due giovani su tre scelgono la via della formazione professionale al termine della scuola dell’obbligo. Attualmente sono circa 230mila le persone coinvolte in questo settore della formazione e ogni anno sono circa 80mila quelle che iniziano un apprendistato in una delle oltre 200 professioni. Dall’assistente di studio medico al podologo, dall’impiegato di commercio all’operatore socio assistenziale, dall’informatico all’addetto alla ristorazione, dall’elettricista al muratore ecc. In Ticino abbiamo costruito, in collaborazione con le organizzazioni del mondo del lavoro (associazioni professionali e parti sociali), un sistema completo, permeabile e trasparente che offre moltissime possibilità di acquisire un mestiere, di inserirsi nel mercato del lavoro e di perfezionare le proprie competenze. La formazione professionale di base apre le porte al mondo del lavoro, con titoli di studio riconosciuti sul piano nazionale, oppure alla formazione professionale superiore (scuole specializzate superiori), alle scuole universitarie

professionali e, non da ultimo, grazie alle cosiddette passerelle, alle università e ai politecnici federali. In Ticino sono 979 (429 maschi e 550 ragazze) i giovani di fine obbligo che a giugno dello scorso anno hanno scelto di frequentare il liceo pubblico, e cioè il 29,1% sul totale delle scelte. A titolo di paragone erano 834 (591 maschi e 243 ragazze) i giovani che hanno deciso di seguire una formazione duale, apprendistato in azienda. Il mercato richiede tutti i profili, da chi ha svolto una prima formazione di base, a chi si è specializzato in un percorso professionale, a chi ha seguito una formazione universitaria. Un elemento centrale per un efficace indirizzamento formativo dei giovani è quello dell’orientamento professionale. Che cosa si sta facendo in Ticino? Gli sforzi dell’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale stanno dando buoni risultati. Stiamo pensando di creare anche in Ticino, sul modello già adottato dal canton Ginevra, una Città dei Mestieri che completi i nostri sforzi nell’ambito dell’orientamento, della consulenza e dell’organizzazione di manifestazioni importanti e molto apprezzate come “Espoprofessioni”, anche se abbiamo qualche problema a finanziare questo progetto. La questione non può però essere delegata allo stato: anche i giovani e le loro famiglie sono chiamati ad assumere un ruolo più attivo nell’informarsi, preparandosi attivamente alla scelta. Siti come orientamento.ch sono delle vere e proprie miniere di informazioni. Regolarmente si apre la questione sui rapporti che debbono intercorrere tra un sistema formativo, in particolare pubblico, e le esigenze espresse dal mondo dell’economia e del lavoro. Quale è la sua posizione rispetto all’idea delle “formazioni mirate”? La formazione professionale è per definizione il frutto di un partenariato fra la Confederazione, i cantoni e le organizzazioni del mondo del lavoro. La Confederazione assume il ruolo di direzione strategica, i cantoni si occupano dell’attuazione e della vigilanza, le organizzazioni del mondo del lavoro si occupano dei contenuti e dei posti di formazione. Il fatto che queste ultime definiscano i contenuti delle formazioni e delle procedure di qualificazione (esami) nazionali rappresenta di per sé un buon punto di partenza affinché i programmi siano adeguati alle esigenze del mondo


del lavoro. È comunque sempre molto difficile fare previsioni sulle professioni del futuro, perché queste sono legate all’evoluzione dell’economia, mai come in questi tempi soggetta a cambiamenti e trasformazioni. Occorre poi considerare che tra la fine della scuola media e la fine di un apprendistato passano 3 o 4 anni, 8 o 9 per gli studi accademici se tutto va bene: in questo lasso di tempo le condizioni dell’economia o della professione prescelta possono mutare radicalmente. Da qui la validità del sistema di formazione svizzero, che permette di passare più agevolmente che in altri stati da un contesto formativo all’altro senza essere troppo penalizzati. Esistono comunque professioni che continuano a essere in un certo senso “snobbate” dai giovani ticinesi, che invece prediligono prospettive in particolare nel terziario, settore oggi parecchio sottotiro da un punto di vista occupazionale. Che fare per riequilibrare questa tendenza? Vi sono settori che annunciano un forte fabbisogno di personale qualificato, un buon esempio che conoscono tutti è quello della formazione in ambito sanitario. Ma vi sono anche altri settori, forse un po’ negletti perché ritenuti a torto poco prestigiosi, che offrono importanti opportunità di occupazione ben retribuita, di carriera, di perfezionamento: i settori industriale, artigianale e dell’edilizia denunciano, per esempio, da tempo uno scarso interesse da parte dei giovani e nei prossimi anni la mancanza di personale qualificato, una realtà già ora molto preoccupante oltralpe, aggravata anche da un sensibile calo demografico, si farà sentire. Con tutte le problematiche che ne derivano, come l’assunzione di personale non indigeno senza il quale molte aziende si troverebbero in difficoltà, e pure con qualche deriva o facile scorciatoia di troppo. Il cambiamento è, e non può essere altrimenti, di tipo culturale e chiede di abbandonare una certa visione riduttiva della scala dei valori delle professioni. Ogni professione ha la propria dignità e assolve a un importante compito per lo sviluppo sociale, culturale e economico del paese. Quando ogni mattina ci laviamo i denti ci dimentichiamo che a monte di quel rubinetto c’è stato un grande lavoro che ha coinvolto molte professionalità, dall’idraulico al piastrellista, dall’elettricista al falegname, dall’informatico al polimeccanico, al tecnico, all’architetto, all’ingegnere ecc. Non crede che determinati vuoti formativi possano contribuire, in una certa misura e insieme ad altri fattori, al fenomeno della richiesta di personale dall’Italia? Il caso della fisioterapia è emblematico: da quando esiste una buona scuola in Ticino la richiesta di fisioterapisti dall’Italia è crollata... L’apertura della scuola di fisioterapia in Ticino è stata voluta dopo aver valutato tutta una serie di fattori. Il numero di allievi era stato calcolato tenendo conto del numero di fisioterapisti in entrata dall’estero, ma anche della necessità di evitare un eccesso di personale formato. Un ragionamento di questo tipo è stato fatto anche per la formazione degli infermieri presso la Scuola specializzata in cure infermieristiche e in tempi più recenti anche alla Scuola universitaria professionale. Questi sono però settori in cui è possibile una certa pianificazione degli effettivi, considerato come molto sia determinato dall’evoluzione demografica prevista per gli anni a venire. Non tutti i settori sono però così “pianificabili”. In questo senso è stata avviata un’indagine per

capire meglio quali altri settori dell’economia potrebbero essere maggiormente sviluppati nell’ambito formativo. Da sempre cerchiamo in ogni caso di anticipare le esigenze del mondo del lavoro mettendo a disposizione risorse per la creazione di infrastrutture all’avanguardia, una per tutte il nuovo Polo dell’alimentazione di Trevano, e collaborando con le migliaia di aziende formatrici del nostro cantone. Il ruolo dello stato è sussidiario e la collaborazione con le organizzazioni del mondo del lavoro di capitale importanza. Certo che qualche deriva la facciamo notare quando vediamo che da un lato ci si chiede di formare certi profili, mentre dall’altro si prendono comode scorciatoie che ci portano ai numeri che vengono segnalati dagli Uffici del lavoro. Lei registra una sorta di competizione tra la via formativa tradizionale e quella professionale? Questa competizione per fortuna si registra poco fra i diretti interessati, i giovani. Sono belle e significative le interviste alla TV in cui l’apprendista o lo studente liceale raccontano di essere contenti della propria scelta, che il proprio sogno era quello di diventare giardiniere oppure veterinario. Basta andare alle cerimonie di consegna degli attestati o dei diplomi federali oppure di maturità federale per percepire chiaramente la fierezza, la soddisfazione per la via scelta e per il (primo) traguardo raggiunto. A differenza del passato, quando il sistema era molto più rigido e la scelta dopo la scuola media era “per la vita”, oggi se qualcuno si rende conto di non aver fatto la scelta giusta ha la possibilità di adattarla, di cambiare, di iniziare un nuovo percorso. Un altro tema molto importante è quello della messa a disposizione, da parte delle aziende, di posti di tirocinio. Da qualche tempo si stanno registrando crescenti difficoltà nel reperire questi posti. Come lo spiega? Non è che l’intera macchina rischia di imballare? I posti di tirocinio disponibili sono anche riflesso dell’andamento congiunturale. Abbiamo riscontrato alcune difficoltà dal 2008, anno in cui si era registrato un buon numero di posti, ma per ora si è riusciti a tenere la situazione sotto controllo. Quest’anno, per ovviare a eventuali difficoltà dovute a motivi congiunturali, è stato avviato un lavoro di riflessione all’interno della Commissione cantonale della formazione professionale con l’obiettivo di aumentare il numero di aziende e dei posti di tirocinio messi a disposizione. Inoltre sono state sensibilizzate le amministrazioni pubbliche, cantonale e comunali, affinché possano incrementare anche loro il numero di apprendisti in formazione. Finora siamo sempre riusciti a giungere al pieno collocamento, il che significa che tutti coloro che desideravano iniziare un apprendistato hanno trovato un posto oppure hanno avuto accesso a una formazione transitoria come il pretirocinio. L’economia risponde quindi tutto sommato bene ai nostri appelli, anche perché sa bene che investire nei futuri collaboratori significa investire nel futuro dell’azienda. È anche una questione di responsabilità sociale. Sono gli enti pubblici che forse potrebbero fare di più, seguendo, fatte le debite proporzioni, l’esempio di Lugano, che ha circa 100 apprendisti in formazione. In ogni caso prima o poi (in Svizzera interna già sta succedendo), inizierà la “caccia all’apprendista”. La mancanza di personale qualificato in certi settori diventerà infatti un problema sempre più grave. ringraziamenti: Si ringrazia Daniele Fontana per la gentile collaborazione.

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Piccoli patentati

Da tempo si parla dell’eventualità di assegnare ai giovani di 16 anni la licenza di condurre, seguendo l’esempio del modello statunitense. Ma le obiezioni certo non mancano di Nicoletta Barazzoni

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Nella stesura di questo articolo ci siamo attenuti alla nostra esperienza di automobilisti che a volte, meglio dei fatti, ci suggerisce e ci insegna come comportarci. Perché anche alcuni noi, come molti ventenni, abbiamo avuto una macchina potente. E anche noi spingevamo sull’acceleratore sentendoci padroni del mondo alla guida di una vettura con tanti cavalli. Ma allora perché “bruciare le tappe”, ventilando l’idea di abbassare a 16 anni l’ottenimento della licenza di condurre? Gli organizzatori del Touring Club Svizzero (TCS) e dell’Automobil Club Svizzero (ACS) sostengono che è necessario investire per risparmiare. Perché se si investe nella preparazione, così come si sta facendo con i corsi a due fasi per i sedicenni, si riduce anche il rischio di incidenti. La proposta di consentire la licenza di guida a questa fascia d’età torna insistente soprattutto dopo l’introduzione del concetto a due fasi, entrato in vigore nel 2005, con cui si è puntato sulla sensibilizzazione attraverso i corsi preparatori alla guida che, tra le altre cose, costano parecchio (con un minimo tra i 2mila e i 3mila franchi). Ma a 16 anni si è davvero sviluppata una coscienza del rischio? Considerando gli introiti finanziari1 destinati agli ambienti che gravitano attorno a questa iniziativa, il nocciolo della questione è che la sicurezza in auto non deriva dall’età anagrafica ma solo dal livello di preparazione, dall’esperienza ma in maniera determinante dallo sviluppo psicofisico del giovane. Durante il 14esimo forum dell’Ufficio prevenzione incidenti (UPI) sul tema dell’istruzione alla guida in Svizzera2, tenutosi nel 2012, sono stati presentati alcuni recenti studi sullo sviluppo del cervello con i quali si dimostra che i giovani non dispongono ancora della maturità fisiologica per gestire compiti così complessi3 come la guida di un’automobile. E poi si sa che i meccanismi derivanti da un senso di onnipotenza caratterizzano proprio il periodo adolescenziale. Da un lato c’è chi sostiene che la patente a due fasi è un modo per sensibilizzare i giovani, e dall’altro che le pressioni delle lobby, delle case automobilistiche e delle compagnie assicurative sono talmente forti da ottenere un maggior numero di soci e affiliati grazie all’abbassamento dell’età della licenza. Il caso Stati Uniti La formazione alla guida in due fasi ha accresciuto la sicurezza. L’Ufficio prevenzione infortuni4, incaricato dell’Ufficio federale sulle strade (USTRA), in uno studio ha rilevato il calo di incidenti stradali, con esito grave o mortale provocati da giovani neopatentati, stabilendo

una diminuzione marcata (di oltre il 10%) rispetto al calo medio calcolato su tutte le fasce d’età5. Sarebbe tuttavia bene confrontarci anche con le esperienze di quei paesi pionieri nell’introduzione della patente a 16 anni. Negli USA, stato in cui è lecito guidare a 16 anni, la correlazione tra età e comportamento di guida è un tema di indagine per i ricercatori della sicurezza autostradale. Le statistiche americane hanno messo un freno alla convinzione che la patente a 16 anni sia una conquista sociale e un’ambizione votata al senso di libertà e dei diritti dei cittadini. Numerose ricerche indicano come i giovani automobilisti raggiungano una percentuale preoccupante con l’81% di incidenti fatali da loro provocati e spesso attribuibili all’inesperienza. I guidatori sedicenni provocano il 300% in più di incidenti per chilometri di guida rispetto ai loro coetanei diciottenni6. Gli incidenti stradali sono inoltre la principale causa di morte fra gli adolescenti in tutti gli Stati Uniti: i ragazzi e le ragazze, tra i 16 e i 19 anni, registrano la media più alta di incidenti annuali e il più alto tasso di infrazioni del codice stradale rispetto a qualsiasi altro gruppo sociale. Anche le statistiche fornite dall’Amministrazione nazionale per la sicurezza stradale e autostradale7, giungono alle medesime conclusioni. È dunque generalmente ammesso che il maggior rischio di incidenti stradali avviene tra gli autisti adolescenti. Calcolando un indice di 1000 autisti, si rileva per i sedicenni un tasso di incidenti 3,7 volte superiore a quello calcolato per tutte le età. Così come, se consideriamo tutta la fascia di giovani dai 16 ai 19 anni, il tasso di incidenti rimane comunque 2,7 volte più alto dell’indice per tutte le età. Ma allora perché questa proposta? Per giustificare le statistiche oppure per ottenere un sostanzioso riscontro economico dalla paventata patente ai sedicenni? Aspetti giuridici da capogiro La triste “supremazia”, sempre secondo il dipartimento nazionale californiano8, risulta anche per quanto riguarda le cause giuridiche calcolate per 100 autisti. Infatti il tasso di cause giuridiche per i giovani è quasi il doppio rispetto alla media calcolata per tutte le età (1,8 volte per i soli sedicenni e 2,1 per la fascia fra i 16 e i 19 anni). La situazione cambia leggermente per quanto riguarda il numero di incidenti stradali provocati da abuso di alcol (indice calcolato per 10mila licenze di condurre). Il tasso di incidenti per i giovani di 16 e 17 anni è 1,8 volte inferiore rispetto a quello di tutte le età, mentre il tasso di incidenti


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per alcol al volante per la fascia d’età tra i 18 e i 19 anni è 1,9 volte più alto di quello di tutte le età. Questo risultato si spiega con le restrizioni legali e i divieti associati al consumo di alcol per i minorenni. Un altro dato interessante proposto dalle statistiche americane riguarda la “recidiva”. Se consideriamo il numero di incidenti causati da autisti che hanno già commesso un incidente risulta che questi hanno una probabilità 1,5 volte maggiore di commettere un altro incidente rispetto a coloro che non hanno mai provocato incidenti in precedenza. Gli autisti che hanno già causato 3 incidenti precedentemente hanno una probabilità di incorrere in incidenti che è 3,3 volte maggiore rispetto a coloro che non hanno mai fatto incidenti. Come dire, ci si esercita alla recidiva? Le percentuali di incidenti mortali Le cause primarie delle collisioni con esito letale tra gli autisti nella fascia critica, 16/19 anni, calcolate dal dipartimento californiano, sono: eccesso di velocità 35,3%, precedenza da destra 20,6%, svolte inappropriate 14,8%, mancanza di segnale 8,1%, alcol/droghe 5,1%, sorpasso/ cambiamento di corsia 4,3%, invasione di corsia 3,1%, altre cause 8,7%. Abbiamo già abbastanza problemi da risolvere con gli adolescenti, come la violenza, l’abuso di alcol e le droghe. Difficoltà dell’adolescenza ma anche dell’ambiente in cui essi crescono che non sono confinate tra le mura

domestiche ma inevitabilmente si ripercuotono sulla collettività con costi sociali importanti sia umanamente che economicamente. Immaginiamoci un incidente simulato in cui nostro figlio/a o vostro figlio/a di appena 16 anni (un passo poco lontano dai 15 anni) sia coinvolto in un incidente stradale con esito mortale. Anche lui verrà accusato di omicidio colposo qualora non avesse rispettato le regole del codice soprattutto per eccesso di velocità. Qualcuno dovrà rispondere di una tale infrazione culminata con la morte di una persona per non parlare delle implicazioni della morte stessa del giovane alla guida. E della qualità di vita di un giovane che si trova ad avere sulla coscienza la morte di qualcun altro. Cosa succederà sotto il profilo legale? Si potrebbe obiettare che i sedicenni possono guidare una moto di bassa cilindrata e quindi perché non dovrebbero poter guidare un’auto, molto più sicura di una due ruote. La popolazione americana tra i 15 e 24 rappresenta solo il 14% dell’intera popolazione ma raffigura 30% (19 miliardi di dollari) dei costi totali derivati da incidenti per i giovani uomini e il 28% (7 miliardi di dollari) per le giovani donne. Altre statistiche recenti È generalmente ammesso che il maggior rischio di incidenti stradali è tra gli autisti adolescenti. Anche il Centro per il controllo e la prevenzione della malattie9 infatti (...)


Immagine tratta da coloribus.com

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analizza, sulla base di dati del 2010, gli incidenti stradali provocati da adolescenti, che risulterebbero una delle principali cause di morte in Usa. Nel 2010, una media di 7 adolescenti tra i 16 e i 19 anni sono morti giornalmente in incidenti stradali mentre nel 2011 questo dato è aumentato a una media di 8 al giorno. Calcolando per km di guida, gli autisti tra 16 e 19 anni hanno una probabilità di essere coinvolti in un incidente stradale fatale tre volte superiore a quella dei ventenni. Nel 2010 in Usa 2700 adolescenti tra 16 e 19 anni sono stati uccisi in incidenti stradali e 282mila sono stati trattati nei servizi di pronto soccorso per ferite o traumi riportati in seguito a incidenti stradali. I dati del 2011, estratti dall’Istituto per la sicurezza stradale e autostradale statunitensi10 confermano l’elevato rischio di questa iniziativa. Le affermazioni si basano sull’analisi dei dati offerti dal Dipartimento dei trasporti grazie al sistema di report delle analisi delle fatalità.11 Perché 16 anni? Le riflessioni contenute nell’articolo pubblicato nel 2000 dall’Istituto di assicurazioni per la sicurezza stradale dell’Ontario12 ci forniscono spunti interessanti del perché la patente a 16 anni nel continente americano ha alcune ragioni valide. In un paese come gli stati Uniti la motivazione è strettamente legata a esigenze geografiche, alla mancata offerta pubblica e alla necessità di guidare attrezzi agricoli da parte di sedicenni che sono costretti a lavorare nei campi. Il documento porta l’esempio della Francia: “La prova indiretta di sostegno a queste asserzioni è la Francia, dove il minimo di età richiesto è 18 anni. Tuttavia i sedicenni e diciassettenni possono guidare anche se partecipano a un «apprendistato» di guida che implica lezioni di guida sia private che formali. Malgrado questo programma sia in atto da tanti anni, la maggior parte dei giovani non ne approfitta ma aspetta i 18 anni per

richiedere la patente. In effetti solo il 10% coglie questa opportunità per poter guidare prima (Lynam e Twisk, 1995)”. Un altro aspetto da non sottovalutare è il prezzo delle auto. In america esiste un ampio mercato dell’usato con migliaia di catorci traballanti che la nostra legislazione non ammetterebbe mai sulle strade perché i collaudi regolari da in svizzera sono implacabili. aggiungiamo come detto le partecipazioni alle assicurazioni, il costo della benzina in Europa in continua crescita, lo spirito e la coscienza ecologica, soprattutto in svizzera, paese che sta investendo sempre di più per diminuire i consumi e l’inquinamento, e non da ultimo, la mancanza di spazio e di posteggi in tutti i nostri centri urbani. stiamo portando avanti il discorso dei trasporti pubblici per non parlare del traffico intasato: se consideriamo la licenza di condurre a 16 anni bisogna infatti calcolare l’impatto dell’aumento di automobilisti minorenni sulle nostre strade. se poi vogliamo affrontare l’aspetto puramente materiale cosa ne sarà dei costi derivati dagli incidenti stradali, delle spese ospedaliere, dei danni materiali ecc.? Road Cross è la fondazione nata dall’associazione delle vittime della strada. silvan Granig ne è il portavoce. Gli abbiamo chiesto quale posizione assume? “Siamo contrari alla proposta di guida a 16 anni, perché a questa età lo sviluppo del cervello non è ancora completato. Studi recenti lo hanno dimostrato. Questa fascia d’età, come stabiliscono le statistiche, è quella con il più alto rischio di incidenti mortali”. a 16 anni per la legge (eccetto per la legge sanitaria) non si è ancora maggiorenni. In caso di incidente mortale per eccesso di velocità subentra l’omicidio colposo. Chi dovrà rispondere in questo caso? “La proposta del TCS è quella di assegnare la licenza di condurre a 16 anni con la presenza di un adulto o di un genitore o di qualcuno che comunque abbia la licenza da un certo numero di anni. Dal punto di vista legale sono i genitori che si prendono la responsabilità. Questo aspetto è ancora da discutere. La legge sulla circolazione stradale non è concepita per i minorenni quindi si tratterà di valutare anche questa situazione a livello legislativo”.

note: 1 sul Corriere del Ticino di mercoledì 16 marzo 2013 Netoska Rizzi scrive che il canton Ticino ha incassato oltre 148 milioni tra tasse, imposte e contravvenzioni, confermandosi un cantone con 306.088 veicoli immatricolati, con 5888 veicoli in più del 2011. 2 http://www.bfu.ch/Italian/medien/Pagine/2012_11_27.aspx 3 su Ticinosette del mese di gennaio 2012 avevamo trattato il tema dell’amigdala (una parte del cervello responsabile delle emozioni) che negli adolescenti non è ancora sviluppata fino all’età di 20 anni (http://issuu.com/infocdt/docs/n_1201_ti7). 4 http://www.bfu.ch/Italian/medien/Pagine/2012_11_27.aspx 5 http://www.astra.admin.ch/dokumentation/00109/00113/00491/ index.html?lang=it&msg-id=46842 6 http://www.womens-finance.com/auto/sixteendrive.shtml 7 http://www.dmv.ca.gov/teenweb/more_btn6/traffic/traffic.htm 8 http://www.dmv.ca.gov/teenweb/more_btn6/traffic/traffic.htm 9 http://www.cdc.gov/motorvehiclesafety/teen_drivers/teendrivers_ factsheet.html 10 http://www.iihs.org/research/fatality.aspx?topicName=Teenagers& year=2011 11 U.s. Department of Transportation’s Fatality analysis Reporting system (FaRs). 12 http://www.iihs.org/research/paper_pdfs/mf_1261.pdf


Ascolti Beata gioventù... di Giancarlo Fornasier

Le reunion (“rifondazioni”) dei gruppi rock non mi hanno mai convinto. Perché c’è un’età per tutto, e fare il cattivo ragazzo a 50/60 anni suonati certo aiuta a vendere qualche disco datato (e quasi dimenticato), ma poco giova alla storia della musica. Piccolo inciso per dire che i Jesus & Mary Chain non sono certo stati “il più grande gruppo del mondo”, ma un piccolo scossone lo hanno assestato. Siamo nel 1983. William e Jim Reid – due scapestrati fratelli scozzesi – sin dai tempi delle scorribande punk di Damned, Buzzcocks e Sex Pistols hanno in mente una sola cosa: formare un gruppo. Le loro esistenze a Glasgow sono piuttosto miserabile: alcol, droghe di varia natura, lavoretti qui e lì, psichedelia e una massiccia dose di “suoni” anni sessanta, come Love, Stooges, Shangri-Las e Velvet Underground. Da questi ultimi saccheggeranno il guardaroba, giacche di pelle e occhiali neri compresi. Insomma, i ragazzi non sanno suonare mezzo accordo, ma la voglia di fare (e farsi) è tanta. Passano alcuni anni a “scrivere” e a sonic-

chiare (inizialmente sotto altri nomi), incidendo all’inizio del 1984 il primo demo. Nel frattempo la formazione si è stabilizzata, recuperando un bassista (Douglas Hart) e Murray Dalglish, 16enne batterista “minimale” provvisto di due soli tamburi (come già fece Moe Tucker dei citati Velvet). Per farla breve, nell’ottobre dello stesso anno pubblicano per la neonata Creation di Alan McGee “Upside down”, il primo singolo. Come suona? Difficile a dirsi: pensate ai Cramps o ai Ramones che si esercitano con chitarre e amplificatori alla ricerca del feedback più profondo e del “muro del suono” più impenetrabile. Il 45 giri è un pugno nello stomaco, i concerti dei J&MC sono fulminei (e a volte finiscono pure in rissa). Ma dai, sarà la solita meteora proto-punk… Mica tanto: nel 1985 esce Psychocandy, il capolavoro che non ti aspetti, una cascata di suoni acidi fatta di compressori e distorsioni. Altri cinque dischi (sempre più pop) e nel 1999 il gruppo si scioglie. Ma nel 2007 ecco l’immancabile reunion... Peccato.

Upside down/ Vegetable man (Syd Barrett) The Jesus & Mary Chain Creation Records, 1984

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Fra reti e retaggi

“I nativi digitali sono abituati a ricevere informazioni molto velocemente. Gli piace processare in parallelo ed eseguire compiti «multitasking». Preferiscono la grafica al testo, piuttosto che il contrario. (…) Si rinforzano con la gratificazione istantanea e le frequenti ricompense. Preferiscono i giochi al lavoro «serio». (Qualcosa di tutto questo vi suona familiare?)”1

di Mariella Dal Farra illustrazione ©Bruno Machado

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È ormai esperienza comune, presso i genitori dei nuovi arrivati, dare in mano al figlio di tre anni un libro illustrato e osservarlo mentre cerca di “sfogliarlo” come fosse un tablet. La tecnologia modifica i nostri gesti e la percezione, fisica e metafisica, che abbiamo del mondo; per citare McLuhan, “nelle ere della meccanica, avevamo operato un’estensione del nostro corpo in senso spaziale. Oggi, dopo oltre un secolo di impiego tecnologico dell’elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio”.2 Se ciò era vero in riferimento ai mass media tradizionali (radio, stampa e televisione), sembra esserlo diventato ancora di più con l’avvento di internet e il rapido evolversi dei mezzi di comunicazione. Alcuni sociologi3 hanno studiato la cosiddetta Millenial Generation, o Generazione Y, rappresentata da coloro che sono nati fra i primi anni ottanta e gli inizi del nuovo millennio, individuando elementi di discontinuità rispetto alle precedenti Generazione X (o MTV Generation, 1965–1980) e Baby-boomers (1945–1964). Tali discontinuità paiono riconducibili a una consapevolezza qualitativamente diversa della realtà che viene percepita, nei suoi diversi aspetti, come più interconnessa di quanto avveniva in passato. In altri termini, si tratterebbe della prima generazione dotata, proprio per il fatto di esserci nata dentro, di una forma mentis “globalizzata”. Figli nella ragnatela Fra i fattori determinanti la nuova Weltanschauung, quello più menzionato è la rete nelle sue varie articolazioni, dalla diffusione istantanea di notizie e informazioni all’imporsi dei social network (Facebook e Twitter), che espande virtualmente all’infinito l’area della socialità. Strettamente connessa all’evoluzione di internet, vi è poi la crescente tracciabilità degli individui, resa concreta da cellulari, smart phone e GPS che rendono potenzialmente localizzabile ciascuno di noi in qualsiasi momento. E non è soltanto la posizione geografica a essere individuata, ma anche quella relativa alle nostre opinioni, ai nostri gusti e interessi, la cui “profilatura” costituisce l’oggetto di migliaia di ricerche di marketing.

Contemporaneamente, il verificarsi di eventi, naturali e non, a impatto globale rende forse per la prima volta tangibile l’interdipendenza fra le varie parti del pianeta. Ci si riferisce in primo luogo ai mutamenti climatici e ambientali, la cui consequenzialità diviene sempre più eclatante, ma anche a quelli economici, come il contagio della crisi economico-finanziaria e occupazionale sta dimostrando. La sensazione generale è quella di un mondo i cui confini interni diventano sempre più labili: un mondo rimpicciolito in cui tutto è più “vicino”, consentendo a persone, luoghi e condizioni di “toccarsi”. Non stupisce pertanto apprendere che la Millenial Generation si caratterizzi per un particolare senso di responsabilità che sembra renderla diversa da quelle che l’hanno preceduta. “Questi non sono ragazzi indisciplinati, o privi d’interessi, o ribelli in cerca di guai; al contrario, si presentano come individui molto consapevoli che vogliono fare la cosa giusta”.4 Meno ribelli, più consapevoli? Vicini ai propri genitori e rispettosi dei loro valori, anche se possono non condividerli fino in fondo, gli adolescenti di quest’epoca “riconoscono l’importanza dell’educazione e tendono a concentrarsi sui risultati scolastici, senza per questo trascurare le attività extracurricolari”5. Abituati a essere coinvolti in attività di gruppo dirette da adulti, valorizzano il lavoro di squadra, hanno il senso della comunità e sono motivati a rendere il mondo “un posto migliore”. Abili in ambito tecnologico, preferiscono le materie scientifiche a quelle umanistiche. Tendono a pensare in maniera conforme alla maggioranza e sono rispettosi delle norme culturali e istituzionali; si aspettano di vivere in un ambiente sicuro e regolato, dove diritti e doveri siano condivisi in eguale misura da tutti.6 Questo “ritratto”, necessariamente abbozzato e di fatto rappresentativo delle sole società occidentali, ha spinto alcuni a descrivere i ragazzi di oggi come meno ribelli e “contro-culturali” dei loro predecessori. Tuttavia, bisogna tenere presente come “in un ambiente caratterizzato da un continuo sviluppo tecnologico, la società si affida ai giovani


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per acquisire le competenze necessarie al mantenimento e rinnovamento dell’ambiente stesso. I giovani, in quanto prodotto sociale del nuovo ambiente, sono superiori agli anziani nell’adattarvisi e nel comprenderlo, ciò che li qualifica ad agire come esempi autorevoli del cambiamento sociale”.7 In una società tecnologicamente orientata e intimamente interconnessa, sono i giovani a stabilire gli standard di convivenza, e sopravvivenza, collettiva. Una sopravvivenza legata a valori “tradizionali” quali il rispetto reciproco e la consapevolezza di appartenere a una specie – quella umana – accomunata da un unico destino. per saperne di più: Paolo Ferri, Nativi digitali, Bruno Mondadori, 2011. Ispirato all’articolo del teorico dell’insegnamento Mark Prensky (nota 1), il libro prende le mosse dalla distinzione fra “nativi digi-

tali” – che “parlano” la “lingua” digitale di computer, videogame e internet dalla nascita – e “immigranti digitali”, che invece devono impararla, conservando sempre un minimo di “accento”. note: 1 Mark Prensky, “Digital Natives, Digital Immigrants”, On the Horizon, MCB University Press, vol. 9, no. 5, ottobre 2001. 2 M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare (1968), Il Saggiatore, 2008. 3 W. Strauss e N. Howe, Millennials Rising: The Next Great Generation, 2000; Jean M. Twenge, Generation Me, Excelsior 1881, 2007. 4 G. F. Kelly, “Re-Visioning Sexuality Education: A Challenge for the Future”, American Journal of Sexuality Education (AJSE), 2005. 5 T. Melby, “New generation, new worldview”, Contemporary Sexuality, vol. 40, no. 10, ottobre 2006. 6 T. Melby, op .cit. 7 Melissa E. Weinbrenner, “Movies, Model Ts, and Morality: The Impact of Technology on Standards of Behavior in the Early Twentieth Century”, The Journal of Popular Culture, vol. 44, no. 3, 2011, pag. 650.


La paura del “no” È nata in Italia un’app integrata in Facebook che consente di capire se l’amore segreto è corrisposto oppure no… senza frustrazioni e il rischio di spiacevoli rifiuti. Ma a prezzo di perdere la propria competenza emotiva

di Roberto Roveda

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Piccoli grandi cambiamenti della rete: secondo uno studio effettuato nel 2012 da comScore (comscore.com), una delle maggiori società di ricerca marketing via web l’uso delle applicazioni per smartphone ha superato quello della navigazione in internet. Un dato che sembra segnare una sorta di rivoluzione copernicana per tutti coloro che – giovani e meno giovani – vivono di “pane e tecnologia”. Ormai per ogni cosa c’è un’app pronta per essere scaricata: giochi semplici e divertenti (Ruzzle il più diffuso negli ultimi mesi) che soddisfano il nostro bisogno di svago, versioni elettroniche di quotidiani, per la nostra fame di informazione, ma anche applicazioni di “servizio”, cioè in grado di risolvere problemi pratici, come quelle che ci mettono in salvo quando guidando ci perdiamo o sbagliamo strada. Due di picche Proprio seguendo la logica del “servizio” all’utente, ma in modo molto più ironico e intrigante, è stata creata un’app che cerca di aiutare a risolvere il più classico dei problemi: quello amoroso. Woofun (woofun.com), la prima app totalmente italiana concepita e sviluppata per web e mobile (iPhone, iPad e Android) integrata in Facebook, è nata dall’intuizione di Alvise de’ Faveri Tron, diciassettenne bolognese e liceale attento ai problemi di cuore degli adolescenti impacciati. L’obiettivo è quello di venire in soccorso ai più timidi, a chi è innamorato ma ha difficoltà a compiere la classica “prima mossa”. Dopo averla scaricata dal sito woofun.com, l’utente ha la possibilità di inviare pensieri amorosi (i cosiddetti “Woo”) in forma anonima ai propri contatti sul social network più diffuso al mondo. Dopo aver ricevuto l’Woo, la persona corteggiata potrà a sua volta inviare uno al contatto su cui a sua volta starà fantasticando. Il sentimento sarà corrisposto? A questo punto, se i teneri pensieri saranno reciproci, il sistema rivelerà automaticamente le rispettive identità. In caso contrario il Woo continuerà a restare anonimo, evitando al cuore infranto la dolorosa realtà del “due di picche” ricevuto di persona. Il semplice meccanismo alla base del funzionamento di Woofun può ricordare quello di un qualsiasi sito di incontri, ma guardando in profondità, però, si tratta di qualcosa

di molto diverso: se in siti come, per esempio, Lovepedia l’utente può approcciarsi con dei completi sconosciuti, con Woofun il proprietario dell’account può provare a corteggiare una persona che si trova già nella sua lista di amici. Inoltre, le modalità di corteggiamento previste esulano sia dalla più fastidiosa insistenza che dalla volgarità. L’utente ideale di questa nuova app è infatti l’adolescente che fatica a trovare il coraggio di esprimere i propri sentimenti vis-à-vis: chi non si sente tanto audace da “lanciarsi” in un corteggiamento per paura di compromettere la propria autostima o l’immagine pubblica creata su Facebook oppure ancora che non vuole rovinare il rapporto instaurato con l’inconsapevole amato. La funzionalità dell’app e l’anonimato dei messaggi poi intrigano non solo gli adolescenti, ma anche le generazioni più adulte, accrescendo il senso di mistero che da sempre accompagna il gioco della seduzione e del corteggiamento. In questo senso Woofun si tiene ben lontano dai fenomeni patologici che internet ha contribuito a creare: per dirla con il linguaggio della rete, non incoraggia lo stalking online o il cyberbullismo e non fa spamming o phishing (tra l’altro non richiede registrazioni o inserimento di informazioni personali). Ma il vero pericolo non è quello di non ricevere l’agognato messaggio per consolarsi. Nella rete ci sono tante e tante nuove “prede”. Inaridimento emotivo Adattandosi a una delle filosofie di fondo del social network ideato da Mark Zuckerberg, anche in Woofun chi è iscritto può in un certo senso “scoprire senza scoprirsi”. L’anonimato garantito da quest’app offre una sorta di corazza per chi si sente insicuro e – timoroso di fallire il proprio tentativo di corteggiamento – teme di compromettersi: invita a fare un tentativo ed esporsi cancellando le possibili conseguenze negative. Il sito assicura che in questo modo si possono dimenticare le ore passate davanti al telefono nell’eterno dilemma tra chiamare o non chiamare (il classico dilemma: “m’ama non m’ama”). Ma le conseguenze di un eventuale “no” sono davvero così negative? O forse, da tutto questo, altro non emerge che una cronica incapacità non solo di tollerare la frustrazione ma anche di trasmettere, attraverso gesti (a partire dal classico mazzo di fiori) o iniziative (la


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Dancers (immagine tratta da swungover.wordpress.com)

richiesta d’aiuto a un amico o a un’amica comune, una telefonata, una lettera manoscritta) i propri sentimenti? L’affermarsi dei social network come piattaforma privilegiata di comunicazione fra i più giovani, se da un lato promette “condivisione, allargamento del proprio parco amici, scambio di esperienze”, dall’altro induce a comunicazioni per lo più frammentarie, il più delle volte futili e superficiali. Una lettera stesa di proprio pugno e inviata a un amico così come a una ragazza desiderata da tempo ha ben altro potenziale, non solo per la responsabilità che ci si assume nello scriverla e nel dichiarare emozioni o pensieri, ma perché contribuisce concretamente a formare in chi la redige una “competenza emotiva”. Definire le proprie emozioni, scoprirne il senso, saperle descrivere sono azioni che concorrono ad avviare un essenziale processo di crescita dell’individuo.

Stretti, stretti Ma non è tutto! Come funzionava, trenta, quaranta, cinquant’anni fa? Semplice, si andava in balera o in discoteca dove si aveva la possibilità non solo di scambiare quattro chiacchiere ma anche di avvicinarsi fisicamente, di toccarsi, di annusarsi, in un certo qual modo di “prendere le misure” dell’altro/a, modalità che, se da un lato favorivano un contatto più sano e naturale, dall’altro avviavano seminali forme di comunicazione importanti anche all’interno dell’ipotetica futura coppia. Non sorprende affatto, quindi, che già da qualche anno non pochi sociologi abbiano iniziato a puntare il dito contro i social network, considerati a loro parere i principali responsabili di quello che viene definito come l’analfabetismo emotivo dei giovani e giovanissimi di questo inizio di millennio.


L’angelo caduto

Giovane e bella, Jacqueline du Pré è stata una straordinaria violoncellista la cui sfolgorante carriera, interrotta da una grave malattia, è al centro di alcuni film di Christopher Nupen presentati all’Ascona Music Festival in corso di svolgimento in questi giorni di Oreste Bossini

“Muor giovane colui ch’al cielo è caro”. Così Leopardi tra-

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medici avevano già diagnosticato da tempo la malattia. Per duceva un frammento 125 di Menandro citato all’inizio arrivare a “quel dí ch’io pieghi addormentato il volto / nel tuo di Amore e morte, rendendo immortale grazie al suo Canto virgineo seno”, come cantava il Leopardi, Jackie ha dovuto il nome dell’oscuro poeta greco. Ma cosa vale invece, per aspettare il 1987 e i quarantadue anni, in una condizione i capricciosi inquilini dell’Olimpo, colui che nel primo d’animo, a differenza del poeta, tutt’altro che serena. sbocciare degli anni, dopo aver rapito migliaia e migliaia di La tragica storia di Jacqueline du Pré è stata raccontata spettatori con un talento molteplici volte e in mapurissimo e interpretaniera a volte morbosa e zioni piene d’espressione, romanzesca, come nel vede crollare poco a pofilm di Anand Tucker Hico, con insopportabile e lary and Jackie. Ma nessumalvagia lentezza, ogni no ha reso un omaggio certezza sulla vita, man altrettanto onesto e rimano che il corpo mispettoso a questa grande nato da una inarrestabie sfortunata artista come le malattia degenerativa Christopher Nupen, un come la sclerosi multipla regista inglese di origini gli sottrae la capacità di sudafricane che da quasi compiere anche i gesti cinquant’anni racconta più elementari? nei suoi lavori la musica Di quale colpa potrà mai e i musicisti con un linessersi macchiata, agli guaggio chiaro, asciutto, occhi degli dèi invidiosi, comunicativo, fondato una ragazza di vent’anni, su documenti e testimocapace di stupire il monnianze. Il suo Ritratto di do con il suono del suo Jacqueline du Pré, uscito violoncello e la bellezza nel 2004, è il primo film di ogni sua frase musidi una rassegna dedicata cale, per essere punita in a Nupen dall’Ascona Mumodo tanto crudele e insic Festival, che sino al giusto, senza nemmeno 28 maggio presenta una Immagine tratta da anthonymcalister.blogspot.com l’attenuante di una morbreve antologia dei suoi te precoce e fulminea, lavori con la partecipacome i giovani eroi caduti in guerra o gli atleti stroncati zione dello stesso autore. La maggior parte della rassegna da un incidente di volo? Forse il peccato di Jacqueline du è incentrata proprio sulla figura di Jacqueline du Pré, che Pré è stato il troppo amore di cui è stata circondata in gio- Nupen ha cominciato a riprendere fin dagli anni Sessanta. ventù, un periodo della vita pieno di ansie e di tormenti mescolati a gioia ed entusiasmi per la maggior parte dei Una figura carismatica mortali, ma non per lei, che dei primi anni dell’esistenza Jackie è stata senz’altro l’icona della musica classica in aveva conosciuto solo il lato sfolgorante e benigno. quel breve scorcio di tempo concessole dal destino, spePer contrappasso Jackie, com’era conosciuta da tutti, ha cie in Inghilterra, dove la sua immagine fresca, pulita, dovuto assistere lentamente alla propria morte, vedendo carismatica riusciva a non rimanere del tutto schiacciata sgretolarsi un pezzetto alla volta tutto il suo mondo: la dalla formidabile macchina commerciale dei Beatles e musica, il violoncello, l’amatissimo sposo, gli amici e infine della musica pop. Il merito era anche di questo giovane la vita stessa. Aveva solo ventotto anni, quando si esibì regista appassionato di musica, Nupen, che aveva in menper l’ultima volta in pubblico, a New York, nel 1973, ma i te uno stile meno ingessato e accademico di riprendere


gli artisti e di raccontare la loro vita, le loro esperienze. Verso la fine degli anni sessanta cominciava a circolare il nuovo formato cinematografico in 16mm, che permetteva di riprendere in maniera molto più agile e meno costosa, ma con una qualità di risoluzione quasi pari al 35mm professionale. Il primo dei diversi documentari di Nupen su Jacqueline du Pré, infatti, cominciava con una ripresa della giovane musicista in treno, mentre si divertiva a cantare una canzone accompagnandosi con il violoncello pizzicato come una chitarra. Una ripresa del genere, prima del 16mm, sarebbe stata impossibile, senza un adeguato apparato di luci e ingombranti macchinari, che ne avrebbero tolto tutta la freschezza e spontaneità. Jackie d’altra parte era il personaggio ideale per un ritratto caldo, domestico e lontano dalla retorica dell’artista romantico grazie alla sua miracolosa maturità musicale, che aveva permesso a una normale ragazza della swingin’ London degli anni sessanta di diventare in brevissimo tempo una delle maggiori interpreti del novecento, tuttora oggetto di una sorta di culto per una folta schiera di devoti di tutto il mondo. La magia di Jackie La rassegna di Ascona presenta non solo l’ultimo e definitivo documentario di Nupen su Jacqueline du Pré, ma anche due storiche esecuzioni della violoncellista riprese in maniera completa. Accanto alla leggendaria interpretazione del commovente Concerto per violoncello di Edward Elgar, l’ultimo e nostalgico capolavoro del musicista che aveva incarnato la grandezza dell’Inghilterra vittoriana e imperiale, Jackie aveva impresso il marchio della propria fiorente personalità artistica soprattutto nel regno della musica da camera. Nel suo modo di vivere la musica, infatti, sembrava di avvertire sempre l’urgenza impellente di entrare in contatto spirituale con l’altro, di toccarne l’anima per così dire e di esserne toccata a sua volta. Per questo era così raro trovare una musicista così regale e carismatica come Jackie, una solista a tutto tondo nel vero senso della parola, perfettamente a suo agio anche in un dialogo democratico e alla pari con gli altri strumenti, come è possibile vedere nei film del Quintetto La trota di Schubert e del Trio degli spiriti di Beethoven entrambi in programma ad Ascona. Le registrazioni, così come la maggior parte dei suoi dischi ancora in commercio e mai usciti di produzione, risalgono all’epoca della sua unione con Daniel Barenboim, conosciuto a casa di amici musicisti la sera di Natale del 1966 e sposato d’istinto pochi mesi dopo a Gerusalemme, subito dopo la Guerra dei Sei giorni, con una cerimonia ebraica al Muro del Pianto. Jackie si era gettata nell’avventura del matrimonio con la stessa sincera e libera immediatezza vissuta nella musica, convertendosi a una religione non sua e annullando tutti gli impegni professionali, malgrado le legittime rimostranze degli organizzatori. Ma chi avrebbe potuto resistere al sorriso disarmante di questa giovane artista, così semplice e diretta verso l’interlocutore, così priva di affettazione in ogni sua espressione verbale o musicale, così superiore alla necessità tanto diffusa, specie tra i maschi, di dimostrare qualcosa a qualcuno? Basta osservarla mentre suona e vedere

come Jackie cerchi sempre lo sguardo dei suoi colleghi, la loro fraterna complicità in cambio del candore della sua stessa anima. Del resto la sua fiduciosa certezza nell’immortalità del proprio presente era condivisa da quel pugno di musicisti, all’epoca della registrazione del Quintetto di Schubert, nel 1969, tutti ventenni e con un futuro di successo già scritto nelle stelle: Barenboim, Itzhak Perlman, Pinchas Zukerman. L’unico sopra i trent’anni era un fascinoso giovanotto indiano bello come un attore di Hollywood, Zubin Mehta, che oggi faremmo fatica a immaginare nelle vesti di suonatore di contrabbasso. Non a caso quel lavoro di Nupen è probabilmente il film musicale più trasmesso nel circuito televisivo internazionale. Il potere della musica Ma il successo dei film di Nupen consiste soprattutto nel rimanere sempre strettamente legati alla musica, un fenomeno che da sempre rappresenta una delle espressioni più alte dell’animo umano e che nessuno è mai riuscito davvero a spiegare. Vale per una meravigliosa anima musicale come Jacqueline du Pré, ma ancora di più per un genio senza tempo come Franz Schubert, al quale è dedicato l’ultimo film della rassegna, Il più grande amore e il più grande dolore. Il titolo è ricavato da una frase contenuta in uno dei più ambigui e rivelatori documenti di Schubert, la trascrizione di un sogno fatto dal musicista nel 1822 riguardo ai suoi rapporti con il padre e con la musica, un testo riportato per intero nel film. A Nupen non piace la definizione di documentario per i suoi lavori, perché ritiene che essi non riguardino fatti e vicende personali dei compositori e degli interpreti, bensì soltanto la musica e le intenzioni artistiche degli autori. Il potere della musica comunque rimane un mistero anche per questo simpatico signore barbuto e sorridente, che in gioventù ha avuto anche una romanzesca avventura sentimentale con la leggendaria cantante Lotte Lehman, in uno scenario degno del Rosenkavalier. Malgrado gli innumerevoli film girati sulla musica e sui musicisti, neppure le immagini di Nupen sono in grado di svelare il mistero di un’arte inspiegabile a parole e irriducibile alle leggi di un linguaggio diverso dal suo. Ma almeno un merito innegabile lo possiedono, i suoi lavori, quello di portarci vicino alla natura intima della musica, tanto vicino che ci sembra quasi di poterla toccare con la mano.

per saperne di più: Il ciclo dei film di Cristopher Nupen nel corso dell’Ascona Music Festival ha avuto inizio lo scorso 21 maggio con il Ritratto di Jacqueline Du Pré nella Sala della Sopracenerina a Locarno. Questa sera, venerdì 24 maggio, nella Sala Borghese a Locarno alle ore 20 verranno presentate le pellicole La trota quintetto di Franz Schubert (con Daniel Baremboim, Itzhak Perlman, Pinchas Zukerman, Jacqueline du Pré e Zubin Mehta) e The Ghost - Trio degli spiriti di Ludwig Van Beethoven (Daniel Baremboim, Pinchas Zukerman e Jacqueline du Pré), sempre con la presenza del regista. Martedì 28 maggio sarà invece proiettato Franz Schubert - Il più grande amore e il più grande dolore, alle ore 20 sempre nella Sala Borghese a Locarno.

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Nuovi nomadi

Essere giovani, viaggiare e godersi la vita ma lavorando: un sogno che alcuni giovani ticinesi hanno trasformato in realtà, seguendo modelli che si credevano scomparsi con il tramonto degli anni delle rivoluzioni culturali e dei “capelloni” di Keri Gonzato

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Lasciare la propria casa per vari mesi e andare a lavorare lontano… Se fino a pochi decenni fa si trattava di uno stile di vita dettato magari dalle difficoltà economiche, oggi per molti è una scelta che, alla monotonia di un’esistenza sedentaria, garantisce “movimento”: prima di qua e poi di là. Chi segue questa nouvelle vague lavora parte dell’anno in un luogo e viaggia nei restanti mesi, trovando delle occupazioni occasionali all’estero. Anche tra le giovani generazioni ticinesi c’è chi intraprende questa strada: nuovi nomadi che da quando avevano vent’anni vivono così, “on the road” (ma senza gli eccessi dello scrittore Jack Kerouac).

e trovare anche il tempo per se stessi, famiglia, partner, sport ecc.”. Per ora le piace godersi l’estate in Ticino, stare con famiglia e amici, “guadagnare qualche soldo e, quando arriva il freddo, lavoricchiare in spiaggia in Brasile”.

Un po’ qui, un po’ lì... Mariella invece, dopo gli studi commerciali e tre anni di lavoro regolare come contabile, ha mollato tutto ed è partita per l’Australia. Tempo dopo si è innamorata del Brasile e da tre anni ormai vive sei mesi qui e gli altri sulle spiagge dello stato di Bahia. Quest’inverno l’ha passato a Jericoacoara “lavorando in una posada gestita da un eccentrico olandese”. Ora è di ritorno in Ticino, dove ha potuto riprendere a lavorare per la stessa agenzia di viaggi dove era già stata impiegata l’anno precedente, che rinforza il personale proprio durante i mesi estivi. “Una volta assaporata la libertà che ti dà questa vita è difficile smettere”, dice Mariella pensando al futuro, “e soprattutto non è evidente riabituarsi allo stile di vita svizzero, lavorare in ufficio otto ore, dal lunedì al venerdì,

Alla ricerca “dell’intensità” Il denaro non è il punto focale della vita di questa insolita tribù. Anzi, si tratta di ragazzi molto adattabili e flessibili, cui bastano pochi soldi per vivere felici. Viaggiano leggeri, spesso da soli, a braccetto con la parola “libertà”. Certo, anche se tutto questo ha un sapore molto poetico, periodicamente questi giovani si ritrovano per strada con davanti una nuova sfida da metabolizzare: bisogna avere molto coraggio per affrontare, a ogni spostamento, la parola “fine” e quella “inizio”. Ma una volta partiti è difficile tornare indietro e, almeno per ora, non c’è modo di far loro cambiare idea. Lo sanno e i loro occhi luminosi non mentono: le rinunce sono ricompensate da una vita densa, intensa e fitta di emozioni.

Accontentarsi di poco e viaggiare leggeri Enea e Celestino invece sono diventati amici grazie alle estati passate all’Alpe Geira, in Leventina. Tra i monti trascorrono i mesi caldi facendo gli alpigiani e poi, non appena il tempo cambia, migrano al caldo. Come Mariella, anche Enea è un grande amante del Brasile, dove ormai ha una grande famiglia di amici che ritrova ogni inverno. Dalla neve alle spiagge Kim, che al momento vive e lavora a Jessica e Reto sono una coppia d’inseBerlino, è una ribelle nell’anima e il gnanti di sci e ogni inverno, da ormai Ticino le è sempre stato stretto… Dosei anni, si spostano a St Moritz per po gli studi in arte al DAMS di Bologna “fare la stagione”. Con l’arrivo della ha completato il diploma alla Scuola primavera le montagne rinverdiscono di turismo a Bellinzona, e da quel verdi e, come enormi semafori, danno momento ha scelto di vivere come il via all’esodo. Solitamente la coppia una gitana. Negli ultimi due anni ha torna per qualche tempo in Ticino vissuto a Roma, lavorato a Londra, “per mettere assieme ancora qualche dormendo per diverso tempo in case soldo con dei lavori estivi” e poi si deoccupate e centri culturali; mentre dica a una grande passione: il viaggio. l’estate scorsa era a Ibiza, occupata Jack Kerouac fotografato da Allen Ginsberg (1964; immagine tratta da artblart.com) Messico, Indonesia, Thailandia, Coin una struttura alberghiera. Il suo lombia, ogni anno la meta cambia e diploma in turismo facilita parecchio l’entusiasmo si rinnova. “Quello che ci piace di questa vita è questa vita “acrobatica”, anche perché molte strutture turiche non ci si annoia mai”, racconta Jessica, “quando si è stufi stiche nel mondo cercano personale stagionale. Solitamente della neve, si torna in pianura, vicino al lago, con l’autunno si Kim torna in Ticino solo per brevi periodi, che sfrutta al parte in viaggio ricaricandosi alla grande e al rientro si è pronti massimo lavorando come hostess per eventi o come barista, per affrontare una nuova stagione sulla neve”. “dove in poco tempo si riesce a guadagnare bene”.


Alieni tra noi

È sempre stato così: un po’ strafottenti, sicuri (all’apparenza) di loro stessi, poco inclini ai compromessi e stanchi del vecchiume che li circonda. Ma soprattutto avanti, molto avanti rispetto agli adulti. Sono ragazzi, non a caso… di Duccio Canestrini

Ciao, allora sei pronto?

Sì, ma non ho mica capito come ti chiami tu: Duccio Sbuccio Mandarini? Bravo! Comunque è di te che parliamo giusto? Ok. Quanti anni hai? Diciassette. Y Generation, Zero Generation, Me Generation: ti riconosci in qualche definizione, qualche appartenenza? Mah, avete un po’ la mania di etichettare. Rapporto con i tuoi genitori? Papà vive a Zurigo, mia madre viaggia tra Lugano e Milano, si è risposata, ho una sorellina di sette anni ganzissima che vive in Italia. Con lei vado d’accordo, coi miei, boh, chi li capisce? Vacanze? Santorini! Ora c’è anche il volo low cost. Crisi economica? Siamo cresciuti tutti a pane e crisi, comunque io l’ho detto a papà: tranquillo, posso fare anche a meno della paghetta. Lavoro che vorresti fare da grande? Viaggiare. Viaggiare non è mica un lavoro. Però un mio amico è stato un mese a Praga e si è mantenuto facendo il giocoliere. Hobby? Montaggi video, poi li carico su YouTube. Cinema? Non ci vado mai, perché i film me li guardo in rete. L’ultimo che hai visto? Oblivion, la terra dopo la catastrofe. Fighissimo. Tivù? Poca. Giornali? No. Per pulire i vetri va meglio un panno umido. Acqua, birra o Coca Cola? Birra. Gruppo musicale preferito? Blink 182. Mai sentiti. Immagino, hanno venduto “solo” 35 milioni di CD. Facebook? Non vorrai mica diventare mio amico, vero? Ma no, è per sapere quanto ci stai, quanto ci conti, quanti amici hai. Un bel po’.

Mundus 17 Dicono che i teenager siano “verbalmente violenti”… Cioè? Che offendete e vi insultate anche tra di voi, dite parolacce… Da qualcuno avremo imparato a parlare. Di che cosa non potresti fare a meno? Internet. Desideri particolari? Ho tre magliette, tre pantaloni, tre paia di scarpe: tutto il resto, musica, foto, ricordi li ho nel mio smartphone. Che cosa non ti piace degli adulti? Quando raccontano balle. Sport preferito? RipStik. Sarebbe…? Sarebbe lo skateboard a forma di clessidra, con la parte centrale strozzata e snodabile, hai presente? Il giunto del deck è reattivo, puoi sgommare, e con un paio di oscillazioni prendi subito una bella velocità, per curvare basta spostare… Va bene, va bene… ho capito! Della politica che cosa mi dici? Non so. Ma sono contro l’inquinamento. Odi qualcuno? Odio chi maltratta gli animali. Il tuo animale preferito? Il gatto. Perché? Perché si fa i cavoli suoi.


Centri giovanili. Fragili mura di Marco Jeitziner; fotografie ©Flavia Leuenberger

Luoghi 18

L’oratorio non è più di moda. Hanno invece fortuna i “centri giovanili”, sparpagliati qua e là nel nostro bel cantone. Tento un’analisi critica ma sommaria: forse per motivi generazionali io non li ho mai frequentati, né ho mai avvertito il bisogno di andarci, così come tanti miei conoscenti. Eppure noi della metà degli anni settanta siamo cresciuti ugualmente responsabili, viviamo integrati in questa società giovanilistica ma sempre più gerontologica. Sarà lo stesso per quella centinaia di baldi 12-18enni che, invece, questi centri li frequenta? Mi piace pensare di sì, anche se questi luoghi non ci dovrebbero essere, ma visto che ci sono... Controllare la responsabilità “Responsabilità” è una parola ormai abusata. Anche “centro” e “giovanile” sono parole abusate. Mi chiedo: perché mai accentrare o concentrare i giovani? Cos’è tutta ‘sta voglia di rinchiudersi in un’immobile, tra quattro mura ovattate, invece di stare nella natura, nelle piazze, sui campi sportivi o semplicemente a casa? Ci leggo una sola cosa: controllo. E un paradosso di fondo: più si chiede responsabilità e autonomia ai giovani, più li si vuole “educare” all’interno di luoghi gestiti dagli adulti. Facciamo un po’ di sociologia spicciola. Allo sfascio della famiglia tradizionale e all’alienazione dei genitori nel lavoro, la politica sociale ancora non riesce a dare delle soluzioni: usa ricette vecchie per rispondere a fenomeni recenti. Il rischio è quello di creare dei giovani ma eterni dipendenti, degli assistiti a vita. Vorrei sbagliarmi, ma in una società (la nostra) in cui i giovani sono spesso visti più come un problema che non come una risorsa, e dove mai come oggi il futuro appare per loro incerto, in cui la disillusione è permanente (ovviamente non per colpa loro) e la gestione del quotidiano rimane una prerogativa degli anziani, qualche dubbio mi permetto di nutrirlo.

Gestire il tempo Questo è “il problema”. Sono scettico: gli adulti lo vedono scorrere inesorabile e tentano di occuparlo in tutti i modi, i giovani ne hanno ancora molto davanti e possono permettersi l’ozio. Ma la paranoia degli adulti li porta a organizzare il tempo dei giovani (o il loro?), per di più normodotati, invece di lasciarglielo vivere come meglio credono. Sono sani, forti, spensierati, esuberanti, incoscienti, ma quel tempo libero è l’unico momento in cui hanno la possibilità di capire e scoprire se stessi. È il senso stesso di una giovane esistenza. E invece gli adulti organizzano, pianificano, propongono, fino a imporre dei canoni che quasi mai corrispondono a quelli dei giovani. Ecco confini e barriere al futuro, oltre a quelle già normative dell’obbligo scolastico, pervasive del consumismo e competitive dello sport. Che cos’è questo se non del management post-oratorio? La legge (elaborata dagli adulti) sulla politica giovanile recita: “favorire l’autonomia, la partecipazione e l’autodeterminazione dei giovani”. Già, salvo poi diffidarli, castigarli, accusarli di schiamazzi e di inciviltà come nel 2009 al centro giovanile di Chiasso. Cosa accadde di così grave? Una normalissima rissa tra ragazzi. Gli adulti hanno la memoria corta... Occupare i laureati Non condanno i centri giovanili, per carità; li hanno rivendicati gli adulti che erano giovani negli anni sessanta e settanta, ma ritengo siano il prodotto di una psicosi, di un’isteria collettiva: quella del “disagio giovanile”. Sono i sensi di colpa degli adulti per il mondo di egoismo e di solitudine che lasciano in eredità. Sono luoghi di giovanilismo per adulti che danno lavoro a frotte di educatori e animatori laureati, encomiabili altruisti. Mi perdonino, ma mi permetto di paragonarli a dei simpatici missionari un po’ egocentrici, a dei soccorritori megalomani ma fragili, a delle ingenue ma pie pasionarie della salvezza altrui. Figure che questa società del bisogno continua a richiedere, purtroppo. Figure che, per occupare il loro tempo remunerato, propongono attività a quanto pare improponibili altrove: film, musica, bricolage, cucina, sport, discussioni o, semplicemente, niente di tutto ciò! Una ricerca ticinese sul tema ha chiesto a questi giovani utenti cosa vorrebbero. Risposta: meno adulti tra i piedi. Vorrebbero “autogestirsi”, ingenui come sono, ma degli assistiti come possono essere responsabili? Come autogestire un posto che è l’antitesi dell’autonomia? Un luogo che, al contrario, alimenta la subordinazione a uno spazio, il rifiuto della dura realtà, la dipendenza dalle persone e dalle cose?


Luoghi 19


S

ono nato a Locarno nel 1978 e già nella prima adolescenza ricordo che molte domande “scomode” mi scorrevano nelle vene. “Esiste qualcosa di veramente importante?”. “Perchè cadiamo su questo pianeta per una manciata di anni? E poi…?”. Infinite domande esistenziali che per gradi mi hanno obbligato a muovere i primi passi verso la ricerca di risposte. È in questo periodo, e più precisamente all’età di 17 anni, che ho completato la prima stesura del romanzo Gli occhi di Tasha. Racconta di un ragazzino cresciuto col padre, isolato dal mondo, e volutamente tenuto all’oscuro dell’esistenza del male. Saranno dei sogni ricorrenti a porre in Tasha il seme del dubbio e a fargli prendere la decisione di lasciare il suo colle verdeggiante per andare alla scoperta del mondo. Si tratta di un viaggio di formazione che esplora in chiave fantastica le diverse realtà del nostro mondo (religione, guerra, povertà, consumismo, deforestazione…). Non l’ho mai sottoposto a nessun editore… se ne sta chiuso nel cassetto. In seguito, ho scritto Ricomincia da qui, breve saggiointervista in cui indago le questioni cruciali dell’esistenza umana. In due parole? È un invito a osservare e riconoscere gli innumerevoli inganni generati dalla nostra mente, fonte di malessere e insoddisfazione, per riscoprire dentro di sé il valore di “verità” che la sola ragione mai potrà comprendere. È scaricabile dal mio sito (lorisallemann.com) A vent’anni mi reco per la prima volta in India dove scopro la forza vibrazionale della musica sacra indiana. Cosa mi affascina tanto della musica sacra? Non è il senso estetico e neppure la sola qualità interpretativa a rendere attiva la forza di un brano sacro. Per trasmetterne la quintessenza, chi lo suona o canta deve attingere inevitabilmente alla propria sorgente di fede e conoscenza spirituale. Dopo l’India ho voluto scoprire un nuovo continente, l’America latina. Ho viaggiato qualche mese per poi fermarmi a lavorare come educatore di strada con i bambini lustrascarpe in Ecuador. Questa scelta è stata dettata dal fatto che ho sempre sopportato male lo squilibrio tra quella piccola parte di mondo che ha troppo e la maggioranza che deve accontentarsi delle briciole. Per questo, la mia par-

tenza verso l’ostile realtà della strada è stata mossa da un impulso pressoché inevitabile. Attualmente, accanto all’attività artistica, con una collega gestisco un centro di riabilitazione per bambini a Locarno; il Girotondo. Siamo un team di sei persone e ci occupiamo di riabilitazione neuro-motoria e cognitiva; attraverso i reparti di fisioterapia ed ergoterapia. Da un mese circa abbiamo, inoltre, aperto uno spazio di socializzazione integrato dove bambini con disturbi dello sviluppo possono interagire insieme ad altri bambini. Negli anni ho accumulato scritti, canzoni e opere pittoriche. Ho lavorato nell’ombra interessandomi unicamente all’atto creativo. Soltanto a partire dal 2011 ho deciso di aprirmi maggiormente per condividere i miei lavori. Al contrario del passato, oggi ho una gran voglia di confrontarmi con un pubblico, di espormi con i miei scritti e dipinti e soprattutto di cantare (a breve uscirà il mio primo cd). Sono convinto che di due cose ci sia urgente necessità ai giorni nostri: poesia e verità esistenziale. La poesia la vedo come una goccia medicamentosa capace di alleviare per qualche istante i turbamenti del nostro frenetico vivere contemporaneo. “Verità esistenziale” invece per riallacciarci al naturale ordine della vita. Sì, perché, in ultima analisi, cosa siamo noi esseri umani? Non siamo forse “vita”? A differenza di tutte le altre forme esistenziali (vegetali e animali), l’uomo ha la possibilità di scegliere scientemente se esprimere le qualità della vita, partecipando all’armonia dell’insieme, o se invece separarsi dalla propria natura essenziale per creare nuove identità immaginarie (una specie di falso sé). Purtroppo, soggiogati dalla paura, allo stato attuale ci troviamo per lo più separati dalla nostra essenza ultima, ma fortunatamente molte cose stanno cambiando e sempre più persone avvertono l’urgenza di unirsi a quell’armonia strettamente legata a ciò che siamo realmente. Cosa ho capito della vita? Sempre meno… sento però che esiste un “progetto” misterioso in cui si collocano le nostre piccole, ma preziose esistenze; la mia, la sua. Tutte.

LoRIS ALLEmANN

Vitae 20

Ha sempre dimostrato una forte attrazione verso il mistero dell’esistenza. Da educatore di strada in Ecuador a gerente di un centro di riabilitazione per bambini a Locarno

testimonianza raccolta da Gaia Grimani fotografia ©Flavia Leuenberger


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Mi rivolgo a te, gioventù rossa e blu di belle speranze. Sarò provocatorio ma spero stimolante, quindi non ti innervosire, sono solo un vecchio fesso. Parlo a voi, di rose e farfalle tatuate, un po’ pulp e un po’ burlesque, un po’ tutto e quindi niente. Pensate che il carattere abbia una marca, già. Rastafari tira canne a mille chilometri dalle Antille, rockabilly di paese dove la Chevy non ci passa, rockettari teschi e fiamme che suonano cover, metallari romanticoni, skaters senza Malibù, buffi dell’hip-hop privi di veri motivi per incazzarsi, artistoidi figli di papà, secchioni e future studentesse di psicologia, metrosexual di provincia e magari nemmeno etero. Se dimentico qualcuno, me ne scuso. di Marco Jeitziner; fotografie ©Flavia Leuenberger


Boshi


Michelangelo

Pablo

Giovani una volta sola

“(...) ma si può essere immaturi per sempre”. Da Il teatro di Sabbath di Philip Roth (1995)

Codici, travestimenti, maschere, linguaggi, gerghi, tutto questo è normale, ma la domanda è: dove accidenti siete quando c’è bisogno di voi? Lo vorremmo sapere, noi che il mondo ci ha piegati. Vi siete già spezzati? Come lo volete questo pazzo pianeta? Ci sono vecchi ma “giovani dentro”, e giovani come voi ma nati già stanchi. Non so se mi spiego. E tu da che parte stai, eh? Siete consumatori e per giunta persino ingenui. Vi agghindate a squadre per sentirvi parte di qualcosa, perché là fuori, nel mondo duro e triste sul quale da poco vi siete affacciati o che, codardi, bellamente evitate, trovare qualcosa è difficile, più di un tempo. Non è tanto colpa vostra, ma è una colpa non fare niente. Spendete più soldi di quanti non ne avessimo noi o i nostri padri. Tossici dell’avere. Non capite che possedete già la vita, siete vita. Forza, energia, sfrontatezza, coraggio,

possono cambiare questo mondo bello ma triste. Ah, già, dite che tanto nessuno vi ascolta, e spesso è anche vero. Forse è il metodo che sbagliate. Avete personalità, almeno? Chiedetevelo. Steve Jobs, prima di morire, ha detto a giovani come voi: “Siate affamati, siate folli!”. Forse è il miglior motto del millennio. Dovrebbe essere la vostra filosofia di vita, se l’avete capita. Siate fieri di essere europei che dagli americani c’è ben poco da imparare, se non il loro essere più socievoli. Nei reality della tv americana quelli lì non fingono, sono stupidi davvero, okay? Cosa state portando di giovane in un paese che sta morendo di vecchiaia e di noia? Rutti, borsette e bestemmie? Sbagliate a non parlare coi vostri genitori: proprio perché questo non è più il loro mondo dovreste essere voi a spiegarglielo. E se insistono a non capire, insistete anche voi. Lui gira così in fretta che solo

(...)


Murda Bone


Chiara

Alice

voi riuscite a stargli dietro. Tanto gli amici ne sanno quanto voi, internet è un mare difficile, i docenti si rispettano ma alcuni sono anche parecchio fulminati. Ecco, forse, siete soli. Siete figli dei social, della tirannia della moda che vi annienta, della dittatura del silenzio reale, dell’obbedienza virtuale, forse codardi e sudditi. La testa non è un accessorio come la cintura dei pantaloni che portate sotto il sedere. Fame stimolante e follia creativa, ecco cosa vi rimane. Ma finché indosserete codici creati da altri, che non avete scelto ma che vi sono stati imposti dal dio mercato, c’è poco da fare. Tu giovane donna sei altro oltre il fashion? Lotterai per i tuoi diritti? E tu giovane spavaldo, con l’auto potente ma socialmente impotente? Il mondo lo volete al cotto o al crudo? La bestemmia è facile, la poesia è difficile. Vi sbronzate più dei vostri padri perché vi annoiate, ma siete voi a gene-

rare la noia. Vi importano soltanto i soldi, a voi pecorelle ben vestite. Manichini senza un pelo fuori posto. Freddi robot pettinati da dei. Suggerisco di sognare, fare, creare, cambiare, ma da voi, siate originali e indipendenti. Non damerini effeminati o bamboline insipide uscite da un reality. Non spogliarellisti da web-cam e sputtanati a vita. Solo il reale è sensuale. Le vostre alternative per ora non si vedono, ma se non c’è speranza in voi che siete speranza, allora non resta nulla.

Flavia Leuenberger

Classe 1985, ha frequentato il Centro scolastico per le industrie artistiche (CSIA) ottenendo nel 2004 il diploma di grafica. Dopo alcuni anni di esperienza anche in ambito fotografico svolge ora entrambe le attività come professionista indipendente. flavialeuenberger.daportfolio.com


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C’era una volta… a Hollywood Tendenze p. 56 – 57 | di Valentina Gerig

la fabbrica dei sogni di Hollywood ripesca fiabe classiche e le trasforma in film fantasy, un po’ gotici e pieni zeppi di effetti speciali. obiettivo? attirare il pubblico dei teenager e sbancare i botteghini. Ma è anche il segno che le idee latitano tra sceneggiatori e produttori d’oltreoceano

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primo è stato quel geniaccio visionario di Tim Burton nel 2010. Con il suo Alice in Wonderland, ha ripreso una delle favole più celebri ed estrose del passato e ne ha fatto una rivisitazione fantasiosa con attori in carne e ossa, colori sgargianti e tanti effetti speciali. Non è il debutto del mondo fiabesco al cinema, eppure qualcuno dalle parti di Hollywood ci ha fatto un pensierino e si è presto iniziato a ripescare altre favole classiche dell’infanzia. L’idea si è trasformata in breve in un vero e proprio filone. E voilà: principesse, streghe, orchi, lupi, matrigne cattive e principi azzurri hanno invaso il grande schermo. Se si aggiunge poi che nel frattempo è scoppiata la mania per i vampiri inaugurata dalla ormai celebre saga Twilight (prima in libreria poi al cinema), le fiabe sono diventate racconti fantasy e dark, con atmosfere cupe e non infrequenti spargimenti di sangue. Oltreoceano i critici si sono già stufati e si chiedono quando finirà questa mania. Eppure, se si dà un’occhiata ai titoli in listino per il prossimo anno, la moda sembra resistere. Nondimeno sono in molti a sospettare che dietro questa ripresa massiccia del fiabesco rivisitato ci sia anche una mancanza di idee nuove che serpeggia tra gli sceneggiatori di Hollywood. Ma visto che il botteghino detta legge, a che pubblico si rivolgono questi riadattamenti?


Generazione “Twilight” Sono i teenager il target privilegiato del filone fiabesco. Non è un caso che la scelta degli attori spesso cada proprio sugli idoli della cosiddetta “generazione Twilight” nella speranza che il box office dia gli effetti sperati. Qualche esempio? Nel 2011 è uscito il film Beastly, chiara rivisitazione moderna de La Bella e la Bestia, con protagonista la giovane Vanessa Hudgens, nota ai più giovani perché ex stellina di Disney Channel. E poi ancora, per interpretare l’eterea Biancaneve la scelta è caduta su Kristen Stewart, più celebre come la dolce Bella della saga vampiresca, tormentata dall’amore contrastato per l’emaciato e inquieto Edward. Dimenticate però l’ingenua e candida eroina che rifà i letti ai sette nani e canta nel bosco. In Biancaneve e il Cacciatore, questo il titolo del film uscito nel 2012, la fanciulla è tutt’altro che sprovveduta. Combatte a cavallo con tanto di armatura e scudo, sfida a duello chiunque le capiti a tiro e si lancia in fughe e cavalcate all’ultimo respiro. Per la cronaca, gli incassi sono andati benone. L’altro comune denominatore delle rivisitazioni fiabesche sono le atmosfere gotiche. In Cappuccetto Rosso Sangue, del 2011, la bimba che deve attraversare il bosco per andare dalla nonna è un’adolescente col volto angelico dell’attrice

Amanda Seyfried al centro di un triangolo amoroso (che non guasta mai). Il lupo c’è eccome. È diventato mannaro e di giorno assume sembianze umane, quindi dietro ogni cittadino del villaggio si può nascondere la terribile bestia. La regia è di Catherine Hardwicke, che ha diretto anche il più volte citato Twilight. Il gotico è quasi splatter in Hansel & Gretel: cacciatori di streghe, già nelle nostre sale. I fratellini, tenuti prigionieri nella celebre casa di marzapane, sono infatti cresciuti, diventando cacciatori di taglie (o meglio, di streghe) di professione. Se ne vanno in giro con un arsenale di armi in un mondo post-moderno e si scontrano in duelli sanguinolenti con le creature più mostruose che gli capitano a tiro. Il tutto condito da effetti speciali da gustarsi in 3D. Forse è meglio non chiedersi cosa ne direbbero i poveri fratelli Grimm. Le streghe son tornate C’è infine un’altra curiosità interessante. Il personaggio più ambito dalle star di Hollywood non è la principessa o la fanciulla sperduta, ma la cattiva per eccellenza. Strega, matrigna o regina malvagia che sia. La più attesa? Angelina Jolie con gli occhi gialli e la pelle verdastra nella rivisitazione de La Bella Addormentata nel Bosco. Il film uscirà nel 2014 e si chiamerà Maleficent. La prospettiva da cui sarà narrata la storia sarà proprio quello della strega, per indagare quali siano le ragioni che l’hanno portata a tale malvagità. Per i ruoli più negativi vengono scelte le dive oltreoceano particolarmente quotate, e sono loro stesse a tenerci particolarmente a vestire i panni delle belle e cattive delle fiabe. Ne Il grande e potente Oz addirittura le streghe sono tre e due di loro sono interpretate da attrici particolarmente quotate: le brave Rachel Weisz e Michelle Williams. Per le due riletture di Biancaneve sono state scelte Julia Roberts e l’algida Charlize Theron. Se però la Pretty Woman del cinema interpreta una strampalata matrigna che vorrebbe essere ironica ma non ci riesce, la bionda attrice di origini sudafricane risulta particolarmente azzeccata, bisogna ammetterlo. D’altronde anche nelle fiabe può valere l’insegnamento del maestro Alfred Hitchcock: “più riuscito è il cattivo, più riuscito sarà il film”. Ai botteghini l’ardua sentenza.


DE SFROOS

di Elio Ferrario

Dalla seconda metà dell’ottocento, i contrabbandieri italiani, detti “spalloni”, hanno passato nottetempo la ramina con le bricolle in spalla: fino al 1947, per portare di qua farina, uova e riso; sino alla fine degli anni settanta, per portare di là sigarette, cioccolato, zucchero e caffè. Negli anni settanta, molti italiani del Sud emigrarono in Svizzera e alcuni “figli dei fiori” svizzeri andarono a vivere in Sicilia, dove si poteva comprare una casa di campagna abbandonata a pochissimo e vivere di quello che offriva la terra, imparando a preparare le tradizionali conserve.

Alfred e Verena cominciarono così a fare la salsa di pomodoro nelle bottiglie vuote della birra, come facevano i locali.

Quando tornavano in Svizzera, portavano ad amici e parenti le loro conserve fatte in casa e, a grande richiesta, iniziarono un vero e proprio commercio ...cioè...contrabbando, visto che non si può vendere la salsa senza etichetta. A spalleggiarli nei piccoli trasbordi, un amico comasco che, come tutti i laghée, ha un brivido di piacere ogni volta che la fa franca.

“Qualcosa da dichiarare?”

“Sono contento di tornare in Italia.”


ariete A partire dal 26 il transito di Venere interesserà soprattutto i nati nella terza decade. Possibile inizio di una storia d’amore all’insegna della complicità. Fortuna professionale per commercianti e artisti.

toro Grazie a Marte siete accesi da divino furore. È il momento adatto per colpire. Ma prima riequilibratevi fino a ricongiungervi con il vostro centro di gravità permanente. Tutto è possibile per i nati nella terza decade.

gemelli Grazie a Venere, passionali e incandescenti. Scelte matrimoniali per i nati nella terza decade. Tra il 30 e il 31 maggio sarete protetti da una magnifica Luna in Acquario. Momento creativo.

cancro Momento buono per i nati nella seconda decade per dare inizio a una attività. Promozioni e scelte per i nati nella terza decade. Tutto andrà per il verso giusto se non avete problemi da risolvere con voi stessi.

leone Dal 26 maggio lo stellium di pianeti transitante nel segno dei Gemelli interesserà soprattutto i nati nella terza decade. Colpi di fulmine. Attività creativa alle stelle. Sfruttate le vostre doti comunicative.

vergine Bene tra il 27 e il 28. Momenti di grande iperattività. Grazie ai pianeti di transito e alla buona posizione di Marte si configura una fase in cui volete sentirvi al centro dell’universo. Brame in aumento. Dieta.

bilancia Dal 26 maggio in poi Venere trionfa. Finalmente siete a vostro agio con la persona amata e così siete più affettuosi del solito. Se volete creare una buona impressione sugli altri questo è il transito che fa per voi.

scorpione Vi state occupando di troppe attività in contemporanea e così correte il rischio di farvi prendere dall’ansia. Conflitti di personalità all’interno delle dinamiche coniugali. Possibile ricorso a un legale.

sagittario Sbalzi umorali. Le vostre ambizioni sembrano non avere più limiti. Se però volete vincere dovete imparare a lavorare dietro le linee. Il 26 maggio la Luna è nel vostro segno: momento adatto per riposarsi.

capricorno Se avrete coraggio tutto vi sarà dato. Con Saturno in sestile importante selezionare bene le amicizie. Toglietevi di dosso le zavorre. Agite in sincronia con gli obiettivi dell’anima. Con Marte, forza e vigore con voi.

acquario Pianeti favorevoli per i nati in febbraio. Se volete sposarvi, fare un figlio o un amore per sempre… è il momento giusto. Favoriti i rapporti in cui il gioco fa da assoluto padrone. Buone opportunità professionali.

pesci Poco ragionevoli e un po’ confusi i nati tra la seconda e la terza decade. Con Giove in quadratura si rischia di non sapere cosa effettivamente si desidera. Diversamente i nati nella prima decade, ben centrati.

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Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro mercoledì 29 maggio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 28 mag. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Orizzontali 1. Comici, divertenti • 10. Imbianca le vette • 11. Palpita • 12. Nel centro del presepe • 13. Devoto - 14. Mira al centro! • 15. Consonanti in stuoia • 16. Gavitello • 17. Fu regina di Spagna • 18. Copricapi papali • 20. La machine del casino • 21. Soccorre con gli elicotteri • 22. Galletti... creduloni • 23. Gigari • 25. Novantanove romani • 26. Spazzino • 29. Un pezzo degli scacchi • 30. Elevato • 32. Partita a tennis • 34. Lo paga il reo • 35. Carreggiata • 37. Il dio egizio del sole • 38. Costoso • 39. Pari in borgo • 40. Il nome di Branduardi • 41. Il fiume di Bottego • 42. Il Sodio del chimico • 43. Mezza tara • 44. Adorar • 45. Acquistati • 47. Il nome della Zanicchi • 48. Il tesoro dello stato. Verticali 1. Film di successo interpretato da Melanie Griffith • 2. Professione • 3. Avverbio di luogo • 4. Pedina coronata • 5. Labile traccia • 6. Che ti appartiene • 7. Il pronome dell’egoista • 8. Sottogonne, guardinfanti • 9. Celestiale • 13. Edgar Allan, scrittore • 16. Dispari in borsa - 17. Bella nel cuore • 19. Lo è il mare mosso • 20. Il cappello del messicano • 24. Ripetuto è un dilemma • 27. Il becco dell’aquila • 28. Ispida • 31. La fune di Tarzan • 33. Gina, scrittrice • 35. Un affettato • 36. Ammaestrati, sottomessi • 38. Classe sociale • 41. Il bel Sharif • 44. Altare pagano • 45. Mezza casa • 46. Pubbliche Relazioni.

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La soluzione del Concorso apparso il 10 maggio è: TRICICLO Tra coloro che hanno comunicato la soluzione sono state sorteggiate: Maria Lazzaroni 6966 Villa Luganese Loredana Rigoni 6500 Bellinzona Liliana Mazzolini 6914 Carona

Premio in palio: una multi carta giornaliera “Arcobaleno” Arcobaleno mette in palio una multi carta giornaliera di 2a classe (per tutte le zone, del valore di CHF 260.–) a un lettore di Ticinosette che comunicherà correttamente la soluzione del Concorso.

La multi carta giornaliera permette di compiere più viaggi all’interno delle zone acquistate, con la possibilità di interrompere e riprendere il proprio viaggio in ogni momento, entro la validità data. Con la multi carta giornaliera si hanno a disposizione 6 carte giornaliere al prezzo di 5. La multi carta giornaliera è emessa con una durata di validità di 3 anni.


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