Ticino7

Page 1

№ 23 del 7 giugno 2013 · con Teleradio dal 9 al 15 giu.

un solo uomo

Genetisti e antropologi sono concordi: le razze umane non esistono. ma il razzismo continua a sopravvivere

C  T · RT · T Z ·  .–


www.renault.ch

RENAULT SCENIC

VALORI SVIZZERI SU QUATTRO RUOTE

<wm>10CAsNsjY0MDQx0TU2MrM0MwUAR_qlyA8AAAA=</wm>

<wm>10CFXMoQ7DUAhG4Sfi5gcuUIZc6pqKZR7TVO_91XLnJo77co6jbODXcz_f-6sYPCepeLqVpQ0Jr019iBSMQ8D6YFXWTI8_TiIIAL0MwYijmUlBhnbMyE2bdV16HSDjc91fTmpzZIMAAAA=</wm>

¡ QUALITÀ: BOSE®-SOUNDSYSTEM E CERCHI IN LEGA DA 17" ¡ SICUREZZA: SENSORI DI PARCHEGGIO CON TELECAMERA DI RETROMARCIA ¡ COMFORT: CLIMATIZZAZIONE AUTOMATICA BI-ZONA E NAVIGATORE TOMTOM® ¡ EQUITÀ: DA SOLI FR. 25 900.– (FINO A FINE GIUGNO)

EQUIPAGGIAMENTI ESCLUSIVI DI SERIE, ORA DAL VOSTRO PARTNER RENAULT.

In Svizzera si sa apprezzare il valore aggiunto. Per questo abbiamo dotato la nuova Renault Scenic SWISS EDITION di equipaggiamenti speciali supplementari. Oltre all’High-End BOSE®Soundsystem, ai cerchi in lega da 17", alla climatizzazione automatica bi-zona e al navigatore Carminat TomTom®, questo modello offre di serie anche sensori di parcheggio anteriori e posteriori (con telecamera di retromarcia), assistente per il mantenimento della corsia e regolazione delle luci abbaglianti e molto altro ancora. Il tutto a soli fr. 25 900.–, inclusi 3 anni di garanzia. Vale dunque particolarmente la pena far visita al vostro rappresentante Renault.

Modello illustrato (incl. equipaggiamenti supplementari): Scenic SWISS EDITION TCe 130 Stop&Start, 97 kW/132 CV, 1197 cm3, 5 porte, prezzo catalogo fr. 30 650.– meno premio stock fr. 4 000.– = fr. 26 650.–. Offerta valida per i clienti privati su veicoli particolari contrassegnati presso i rappresentanti Renault che aderiscono all’iniziativa in caso di stipula del contratto e immatricolazione dal 15.5.2013 al 30.6.2013.


Ticinosette n. 23 del 7 giugno 2013

Impressum Tiratura controllata 68’049 copie

Chiusura redazionale Venerdì 31 maggio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

4 Letture Io, me stesso di MaRiella dal FaRRa .............................................................. 7 Arti Antonio Sant’Elia. Le città della mente di Nicoletta baRazzoNi ............................ 8 Eroi Didone di FRaNcesca Rigotti ............................................................................. 10 Lingua Delitti d’ortografia di gaia gRiMaNi ............................................................. 11 Vitae Michele Biaggi di deMis QuadRi ..................................................................... 12 Reportage Instagram. Immagini in divenire testo e FotogRaFie di Matteo FieNi ........ 37 Fiabe Le pernici litigiose di chiaRa Piccaluga; illustRazioNi di giovaNNi occhiuzzi......... 42 Tendenze Architettura d’interni. Materiali al top di FRaNcesca ajMaR ...................... 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Giochi .................................................................................................................... 47 Agorà Razzismo. Un nonsenso biologico

di

RobeRto Roveda .....................................

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

Pubblicità

Publicitas Publimag AG Daniel Siegenthaler Muertschenstrasse 39 Postfach 8010 Zürich tel. 044 250 36 65 tel. 079 635 72 22 fax 044 250 31 32 daniel.siegenthaler@publicitas.com dati per la stampa a: service@publimag.ch www.publimag.ch

Annunci locali

Publicitas Lugano tel. 091 910 35 65 fax 091 910 35 49 lugano@publicitas.ch Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 bellinzona@publicitas.ch Publicitas Chiasso tel. 091 695 11 00 fax 091 695 11 04 chiasso@publicitas.ch Publicitas Locarno tel. 091 759 67 00 fax 091 759 67 06 locarno@publicitas.ch

In copertina

Martin Luther King (1929–1968) Elaborazione grafica ©Bruno Machado

Impressioni e intenzioni Il testo che accompagnava il reportage fotografico apparso sul numero 21 di Ticinosette – scritto da Marco Jeitziner a corredo delle immagini che Flavia Leuenberger ha realizzato, immortalando alcuni giovani che vivono in Ticino (a destra, la copertina dell’usicta in questione) – ha sollevato, proprio da parte di alcune delle persone raffigurate una serie di obiezioni alle quali con piacere rispondiamo. Le osservazioni riguardano in specifico l’accostamento delle fotografie a un testo giudicato da un lato correlabile alla loro immagine – e ai modi di porsi/vestirsi – e dall’altro secondo alcuni ingiustificatamente “arrabbiato” nei confronti delle generazioni più giovani (per inciso, l’autore non è esattamente un Matusalemme). Per chi non avesse avuto modo di leggerlo, si trattava di un articolo volutamente sopra le righe, provocatorio nei confronti di una categoria sociale tutt’altro che omogenea o facilmente inquadrabile in schemi precostituiti ma, ritengo, redatto con il preciso intento di stimolarne l’autenticità e le capacità innovative. Posso dunque assicurare che non vi era l’intenzione di riferirsi direttamente o meno alle persone rappresentate nelle belle fotografie di Flavia, giovani uomini e donne che peraltro l’autore non conosce affatto e la cui dimensione personale, le cui idee e le cui scelte non sono oggetto di giudizio da parte di alcuno e tanto meno da parte nostra. Se dunque qualcuno fra di loro ha intravisto un collegamento, spero che le mie parole possano rassicurare, al di là delle possibili critiche alle idee di Jeitziner, che comunque

la Redazione ha voluto pubblicare proprio in virtù del punto di vista non scontato – sarebbe stato sin troppo “sentito e risentito” parlare delle origini delle mode giovanili e delle sottoculture urbane, ne converrete – e in tutti i casi dal contenuto foriero di ulteriori approfondimenti. L’intenzione era soprattutto questa, e sappiamo che ciò è certamente avvenuto. Colgo quindi l’occasione per ringraziare le persone che hanno accettato di farsi ritrarre, sia per la disponibilità mostrata sia per la capacità che hanno avuto di stabilire un confronto vivo e diretto con questo settimanale. Un confronto che ci auguriamo costruttivo e, magari, futuribile. Cordialmente, Fabio Martini


Un nonsenso biologico Razzismo. Il concetto di “razza” è stato per secoli utilizzato per giustificare l’egemonia dell’uomo bianco. Ora che l’uso di questo termine è stato bandito dalla comunità scientifica, non bisogna dimenticare che, se è vero che le “razze” sono un’invenzione senza fondamento, il razzismo perdura e continua a rappresentare un problema concreto. Un tema sempre attuale di cui abbiamo discusso con il genetista e antropologo Francesco Cavalli-Sforza

di Roberto Roveda; illustrazione @Antonio Bertossi

L’

Agorà 4

elezione negli Stati Uniti del primo presidente di colore e l’accelerazione che negli ultimi anni ha conosciuto il processo di costituzione di una società multietnica sembrano aver rassicurato buona parte dell’opinione pubblica nei paesi europei: il razzismo è ormai un retaggio del passato, un “cimelio” culturale che fa parte del DNA solamente di sparuti gruppuscoli della destra estrema. Questa idea di essersi lasciati alle spalle una parte del proprio lato oscuro si autoalimenta grazie anche alla tendenza media di “cavalcare” il tema del razzismo solo quando qualche caso di cronaca lo riporta alla ribalta (i cori contro Mario Balotelli sono di pochi giorni fa). Quindi non è certo un caso che il celebre “I have a dream” di Martin Luther King, la frase simbolo della lotta per i diritti civili dei neri d’America, sia stato ridotto a slogan pubblicitario per vendere un nuovo piano telefonico1. Il concetto di “razza umana” Viceversa il razzismo è un nonsenso biologico – quindi una concezione priva di una base scientifica – molto radicato nell’uomo europeo, una convinzione che per quanto assurda cela una lacerazione profonda: quella dell’uomo occidentale, che non riesce a fare i conti con il proprio sanguinoso passato coloniale (quello sì, vero “fardello dell’uomo bianco”) e che continua tutt’oggi a proporsi nel ruolo di civilizzatore del mondo. Non dimentichiamo che proprio al passato coloniale – e all’eurocentrismo di cui ancora siamo un po’ tutti “malati” – è legata la nascita del concetto di “razza”: proiettati nella conquista del pianeta, gli europei sono entrati in contatto, dopo le scoperte di Colombo alla fine del quattrocento, con migliaia di popolazioni diverse nell’aspetto ma soprattutto nei costumi che praticavano, che in buona parte restarono a loro del tutto incomprensibili. Fra settecento e ottocento, con una conoscenza ancora molto scarsa della natura e

nell’assoluta ignoranza della differenza fra biologia e cultura, l’uso del termine “razze” – che deriva dall’arabo haraz, termine con cui si designava un particolare allevamento di cavalli – è stato esteso a indicare le differenze visibili tra le varie popolazioni del mondo, anche all’interno di uno stesso continente (in Europa, per esempio, si parlava di “razza nordica”, “razza alpina”, “razza mediterranea”). Era una parola coniata dai conquistatori, che avevano imposto la propria sovranità con la forza delle armi: fu quasi una logica conseguenza che questi considerassero “superiore” la propria “razza” e “inferiori” le altre. Alla base vi era la convinzione che i popoli “dominanti” dovessero la loro superiorità a una sorta di diritto di natura, perché la natura, o Dio, li avevano resi più forti e più capaci, e pertanto destinati a sopraffare i popoli meno progrediti. Un’ennesima affermazione del “diritto del più forte” che però beneficiò di giustificazioni e teorizzazioni elaborate, come quella del diplomatico francese Arthur de Gobineau nel suo noto Saggio sulla ineguaglianza delle razze umane (1855), con cui nasce il razzismo moderno. Un razzismo che ha segnato tragicamente, come ben sappiamo, la storia recente del nostro continente e che non è certo scomparso del tutto. Scienza e razza Occasione per ripensare un tema così scottante e sempre attuale è stato l’incontro “Rispetto e umiliazione” organizzato a Bellinzona, lo scorso 21 marzo, dalla Fondazione Sasso Corbaro di Bellinzona (sasso-corbaro.ch) in concomitanza con la Giornata internazionale contro il razzismo. A margine dell’incontro abbiamo incontrato Francesco Cavalli-Sforza2, professore di Genetica e Antropologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, Milano. Con lui abbiamo approfondito alcune delle tematiche del suo intervento nell’ambito dell’incontro, un intervento dal titolo davvero significativo: “Le razze non esistono, il razzismo sì”.


la varietà genetica è la miglior garanzia di sopravvivenza di una specie. Quella umana infatti è una specie molto giovane, la cui diffusione sul pianeta data a partire da meno di 100mila anni fa, e non raggiunge nemmeno 4000 generazioni. Dal momento che l’evoluzione biologica è assai lenta, la specie non ha avuto sufficiente tempo per differenziarsi al proprio interno fino a formare gruppi abbastanza omogenei da poter essere definiti come “razze”.

Professor Cavalli Sforza, grazie a quali evidenze scientifiche oggi sappiamo che le razze umane non esistono? Già Darwin notava, più o meno negli stessi anni in cui si pubblicava il saggio di Gobineau da lei citato, come gli studiosi dei suoi tempi distinguessero da due a più di 60 razze umane – e in una pagina divertente elenca tutte queste classificazioni – osservando come fosse difficile dare credito a un concetto su cui gli stessi promotori nutrivano opinioni così disparate. Ma è solo nel corso dell’ultimo secolo che si è compreso in cosa consista l’eredità biologica, si sono raccolti dati su popolazioni di tutto il mondo, e in questi ultimi decenni è divenuto possibile sequenziare il DNA confrontando così individui appartenenti a popoli diversi. È risultato che la grande differenza, nella nostra biologia, è fra gli individui e non fra le popolazioni. Meno del 15% del DNA può essere riferito all’origine etnica di una persona. Tutto il resto, cioè la vasta maggioranza delle differenze fra esseri umani, distingue fra loro anche persone che hanno la stessa provenienza. È naturale che sia così, cioè che la grande differenza sia fra gli individui e non fra le popolazioni, perché

Lei abitualmente definisce il razzismo un nonsenso biologico. Perché? Rispondo facendo un confronto con quanto avviene per gli animali. Gli allevatori riescono a ottenere le diverse razze ricorrendo a incroci molto attenti, selezionando gli accoppiamenti, perché ogni razza deve avere caratteristiche omogenee (la lunghezza del pelo, o della coda, o la forma Agorà delle orecchie, per esempio). 5 Questi incroci selettivi devono essere ripetuti per parecchie generazioni, e poiché spesso si tratta di incroci fra consanguinei, che tendono a dare problemi genetici e sterilità, l’allevatore corre sempre il rischio di “perdere” la razza, un rischio che è tanto più forte quanto più la razza è “pura”, cioè omogenea per determinati caratteri. Al contrario, l’incrocio fra tipi geneticamente diversi dà origine al cosiddetto “vigore degli ibridi”, un fenomeno ben osservabile anche nella specie umana che, per nostra fortuna, non è mai stata oggetto di selezione artificiale (benché alcuni ci abbiano provato, come Federico II di Prussia e Hitler). Per tutte queste ragioni, parlare di razze nella nostra specie non ha alcun senso: apparteniamo tutti a un’unica “razza”, quella umana. Insomma le variazioni dell’aspetto esterno del corpo, la sua forma, il colore della pelle sono tutti adattamenti specifici al clima in cui vive un gruppo umano, indotti dalla selezione naturale nel corso dei millenni, anche in rapporto alle caratteristiche della sua alimentazione. Per fare un solo esempio: i gruppi che hanno colonizzato la Siberia, una delle regioni più fredde del mondo, hanno sviluppato narici lunghe e sottili, per raffreddare l’aria gelida prima che raggiunga i polmoni. Nei gruppi che si sono stanziati nell’Africa equatoriale troviamo invece narici corte e larghe: l’aria a quelle latitudini è sempre a temperatura corporea e può raggiungere (...) direttamente i polmoni senza fare alcun danno.


“… La varietà biologica e la varietà culturale all’interno della nostra specie sono le migliori garanzie di sopravvivenza per l’umanità nel suo insieme, perché fanno sì che possa esservi sempre un qualche tipo genetico o culturale meglio attrezzato per superare una possibile crisi…”

E lo stesso, aggiungiamo noi, vale per il peso specifico dei corpi: da alcuni studi risulterebbe che quello degli Inuit è il più elevato, perché vivendo in un clima estremamente freddo il loro corpo deve trattenere il più possibile il calore. Al contrario, il peso specifico del corpo degli africani è inferiore, proprio per la necessità di disperderlo rapidamente, dato il contesto climatico tropicale o subtropicale in cui si sono trovati a lungo a vivere.

Agorà 6

Un’idea che resiste Eppure, nonostante le ultime scoperte in campo biologico, continuano a emergere teorie pseudoscientifiche che affermano l’esistenza di “razze” diverse. Alcune sembrano quasi tratte da un racconto di fantascienza: è il caso di quella teoria secondo cui il DNA della nostra specie sarebbe stato in passato manipolato da extraterrestri. Oppure di quel parco a tema nel sud degli Stati Uniti dove alcune ricostruzioni mostrano che i dinosauri si sono estinti perché erano troppo grossi per salire sull’Arca di Noè. Ovviamente siamo lontani anni luce da ogni formulazione di carattere scientifico che, in quanto tale, dovrebbe basarsi su fatti e dati osservabili. Nonostante tutto, la ricerca di una differenziazione basata sulla razza non solo persiste ma trova sempre nuovi seguaci. Professor Cavalli-Sforza, come è possibile spiegare, al di là dell’evidenza scientifica, il prosperare del razzismo? La nostra è una specie molto sociale e il “noi” ha grandissima importanza nelle nostre vite, che sia la famiglia o il giro degli amici o il villaggio, la squadra di calcio o la nazione, il club o il partito politico. Nel “noi” cui sentiamo di appartenere si sviluppano i nostri rapporti affettivi, sociali, intellettuali. L’altro, il diverso, ciò che appartiene al “non-noi” può essere visto come un’incognita, una minaccia, un possibile fattore di turbamento del nostro mondo. A volte lo è, naturalmente, ma vediamo che anche quando la sfida è amichevole e sportiva, all’insegna del “vinca il migliore”, come nel calcio, si possono manifestare vere e proprie forme di razzismo ed episodi di violenza fra tifosi di diverse squadre di uno stesso paese; se poi un giocatore ha la pelle nera (e magari è anche più bravo) può fornire il pretesto per sfogare la propria rabbia verso chi è al di fuori di quel “noi” che ci dà sicurezza e tranquillità. Paura del diverso e di chi nella sua storia ha maturato consuetudini e un universo di valori e credenze differenti dalle nostre… Certamente. L’evoluzione della cultura è molto più veloce dell’evoluzione biologica, perché il DNA può essere trasmesso

solo dai genitori ai figli (che di solito sono pochi), mentre le invenzioni, le idee, le novità culturali, si trasmettono anche a moltissime persone all’interno di una stessa generazione. Sul lungo arco della storia, le diverse culture umane hanno sviluppato una grande varietà di convinzioni, comportamenti, tecniche di sopravvivenza, che hanno generato la grande diversità che troviamo oggi. Ciascuna cultura rappresenta una diversa “soluzione di sopravvivenza”, per così dire. Mentre sul piano biologico la grande differenza è tra individui, e la differenza tra popolazioni è di poco maggiore, sul piano culturale è l’opposto: la grande differenza è tra popolazioni, mentre le differenze sono minime all’interno di una stessa popolazione, dove tutti parlano la stessa lingua, si attengono alle stesse leggi, praticano consuetudini comuni. Il razzismo è un fenomeno squisitamente culturale. Sfatato l’inganno della “razza”, rimane la diffidenza e spesso l’ostilità verso chi porta convinzioni e consuetudini diverse dalle nostre, soprattutto in questi tempi di grandi migrazioni, di rimescolamento etnico e di crisi globale. Quali sono le vie per fare in modo che anche il razzismo diventi una “anticaglia” della storia? La via maestra è una sola: la conoscenza, la consapevolezza, il rispetto per se stessi, per gli altri, per la natura e per l’ambiente che abbiamo intorno. La varietà biologica e la varietà culturale all’interno della nostra specie sono le migliori garanzie di sopravvivenza per l’umanità nel suo insieme, perché fanno sì che possa esservi sempre un qualche tipo genetico o culturale meglio attrezzato per superare una possibile crisi, che si tratti di una nuova epidemia, per esempio, o di una carestia, o di un cambiamento climatico, o di un’impasse tecnologica. L’ambiente cambia di continuo ed è la grande molla dell’evoluzione. Ogni cultura umana reca in sé una straordinaria ricchezza, in termini di idee, tecniche, comportamenti. Imparare a capire e ad apprezzare le culture diverse dalla nostra porta anche a noi il beneficio di una parte di questa ricchezza. La storia ci insegna che è la capacità di cooperare fra persone diverse a rendere possibili le civiltà.

note: 1 La frase viene in questo periodo usata per campagna pubblicitaria istituzionale dell’azienda italiana di telefonia Telecom Italia. 2 Assieme al padre Luigi, Luca – uno dei maggiori genetisti a livello mondiale – ha scritto diversi saggi sul tema delle razze e della diversità umana. In particolare ricordiamo Francesco Cavalli-Sforza e Luigi Luca Cavalli-Sforza, Chi siamo. La storia della diversità umana, Oscar Mondadori, 1994.


Letture Io, me stesso di Mariella Dal Farra

Sì a più volume. Sì a più natura. Sì a RAUSCH.

“Questa mia vita travagliata io scrivo per ringraziar lo Dio della natura, che mi diè l’alma e poi ne ha ‘uto cura, alte diverse ‘mprese ho fatto e vivo”

Piazza della Signoria a Firenze è uno dei luoghi a maggiore concentrazione di opere d’arte nel mondo; un museo a cielo aperto suscettibile di provocare mini sindromi di Stendhal anche ai visitatori meno sensibili. A pochi metri l’uno dall’altra, la Giuditta e Oloferne di Donatello e il David di Michelangelo, entrambe copie, ma non per questo meno intense si lasciano contemplare dai turisti con suprema indifferenza: devono esserci abituati, sono secoli che succede. L’attenzione del visitatore si sposta poi sulla Loggia dei Lanzi, attratta da una figura in particolare: la statua di bronzo che raffigura Perseo nell’istante successivo alla decollazione della Medusa di cui tiene alta, nella mano sinistra, la bellissima testa di mostro. Ci si avvicina, comprendendo poco a poco la complessa dinamica del corpo decapitato, che giace scomposto su un cuscino ricoperto da un drappo, e sul quale poggia leggermente il piede alato dell’eroe. Perseo ha un’espressione sobria, quasi contrita; fra la sua testa e quella della Medusa si intuisce una segreta simmetria, di cui non ci è dato sapere di più. Ma c’è un terzo volto nella composizione, un volto nascosto che si scopre soltanto girando intorno alla statua per guardarla da dietro. Mentre le pupille si abituano alla variazione di luce essendo la statua posta nella Loggia e la parte posteriore sempre in ombra, distinguiamo sulla nuca dell’eroe un viso misterioso, costituito dall’elmo appoggiato all’indietro. La cosa ci coglie di sorpresa, e dobbiamo osservarlo per un po’ prima di convincerci che si tratta davvero di un volto; cerchiamo sulla guida una conferma alla

Vivete la forza delle erbe con la linea VOLUMIZZANTE alla malva RAUSCH, per più volume e lucentezza. Provate la differenza di una cura delicata per capelli fini e sensibili. Nelle farmacie / drogherie / nei grandi magazzini. Benvenuto Cellini. Vita a cura di Ettore Camesasca Bur Rizzoli, 1985

nostra impressione, e apprendiamo così che si tratta dell’effige dell’artista che lo ha forgiato: Benvenuto Cellini (1500–1571), orefice e scultore fiorentino. La sua vita avventurosa, “scritta (per lui medesimo) in Firenze”, è racchiusa in una celebre autobiografia che Goethe tradusse in tedesco nel 1807. Con stile vivace e pungente, iperbolico e a tratti un po’ “cialtrone”, Cellini racconta la quotidianità – del tutto straordinaria – di un artista del Rinascimento, sospesa fra i favori e i capricci dei mecenati del tempo (papa Clemente VII, Francesco I, Cosimo I), le guerre, le epidemie, i complotti, gli omicidi e le rivalità, spesso anch’esse mortali, con gli altri artisti. L’acme è rappresentato proprio dalla rocambolesca fusione della statua del Perseo, avvincente come la scena clou di un film d’azione e capace di restituirci un nuovo sguardo sull’opera… Di cui comunque si raccomanda la visione “dal vivo”, prima e anche dopo la lettura del libro.

www.rausch.ch

Malva (Malva sylvestris L.)

Simona S. / Vincitrice del concorso per modelle RAUSCH


Le città della mente La mostra “La città nuova. Oltre Sant’Elia”, allestita a Villa Olmo e alla Pinacoteca Civica di Como, è centrata sulla figura dell’architetto comasco Antonio Sant’Elia. L’esposizione offre un panorama di grande interesse sui concetti urbani che si sono sviluppati nel corso del novecento di Nicoletta Barazzoni

Arti 8

La torre Isozaki, al centro, attualmente in costruzione a Milano nel contesto della futura CityLife, porta la firma di Arata Isozaki e Andre Maffei (immagine tratta da meghistos.wordpress.com)

Il percorso espositivo della mostra in corso a Villa Olmo e alla Pinacoteca civica di Como si sviluppa a partire dal concetto città futura1. Infatti si apre proprio con La Città Nuova, e con una serie di dodici disegni di Antonio Sant’Elia (1888–1916), nei quali vengono riassunte le visioni urbane del giovane architetto comasco, autore del manifesto per un’architettura futurista. Fatti pochi passi veniamo guidati dal curatore della mostra Marco De Michelis che ci proietta 2, nel vero senso della parola, nell’opera dell’artista Jan Tichy. Quest’ultimo riutilizza, con un video digitale a tre canali, la sequenza della città futura dematerializzata, ricollegandosi all’ungherese László Moholy-Nagy, il quale – precisa De Michelis – aveva celebrato il panorama luminoso e fremente della città contemporanea nelle sequenze del film Things to Come

(1936). L’esposizione si addentra in una serie di rappresentazioni prospettiche e disegni esemplari del linguaggio architettonico di Sant’Elia, e che ben rappresentano l’insieme della sua spettacolare proposta futurista. I riferimenti precisi all’architettura del regista Fritz Lang, con il suo film Metropolis (1927), si congiungono al bozzetto delle scenografie visionarie e espressioniste di Erich Kettelhut. Di questo scenografo – prosegue De Michelis – si possono osservare disegni che rappresentano due versioni della scenografia in cui compare la veduta notturna della Torre di Babele, edificio simbolo del film di Lang, e dove l’elemento futurista è ancora più accentuato. Disegni simbolisti e studi futuristi di grandi architetti, sintesi urbane raffigurate nel dipinto a olio su tela di Mario Sironi, e l’opera di Umberto Boccioni rafforzano il confronto


tra reale e virtuale all’interno del percorso tematico. La mostra propone anche il diorama della città contemporanea per tre milioni di abitanti del più famoso e radicale architetto degli anni venti: Le Corbusier, al quale si affiancano (o si contrappongono), le visioni ipotizzate da Frank Lloyd Wright con Broadacre City, la città ideale americana fondata sulla casa d’abitazione unifamiliare e sull’uso dell’automobile come mezzo di trasporto individuale. Con questi differenti modi di stabilire una prospettiva, e con i diversi poli di immaginare la città densa e la città diffusa, si confronta la città di oggi. In questa chiave di lettura la mostra ne evidenzia le dicotomie, con gli opposti e le convergenze architettoniche. Forme di città Le seconda parte della mostra – sottolinea De Michelis – mette in risalto la rottura che avviene con la seconda guerra mondiale: “dentro il grande dilemma del dover ricominciare tutto da capo oppure se ricostruire, abbandonando i canoni precedenti, si insinuano tutta una serie di visioni radicalmente innovative”. La voce emergente in questo discorso è quella di Arata Isozaki, che dagli anni cinquanta “continua a elaborare una specie di grande rete, di grande maglia tridimensionale sospesa sopra le città, le campagne e le autostrade, all’interno delle quali nasce una città radicalmente nuova. Non più una città destinata all’alternanza di lavoro e riposo ma destinata al gioco, al piacere e al tempo libero”. La corrente di pensiero di questa nuova umanità

viene proposta dalla “città sospesa” di Yona Fridman, che ci introduce alle idee di Arata Isozaki, con Cluster in the air. Viene introdotto in tal modo a Villa Olmo il tema della “città grappolo”: “un concetto urbano che è molto ben rappresentato nel plastico con la Tokio tradizionale e frammentata, di una morfologia disordinata della città giapponese, e con la città nuova, che spunta letteralmente come un fungo”. Tra le proposte più bizzarre del pensiero politicizzato del sessantotto, il curatore De Michelis ha scelto Archizoom che “elabora una città sconfinata con cui cerca di dare forma all’idea totalmente invasa dal sistema capitalistico dominante”. Al mondo senza forma del capitalismo si oppone Superstudio. Il dinamismo espositivo si chiude sulla “città volante” di Krutikov, ricostruita dall’artista tedesco Carsten Hoeller e sulla “città multiculturale” Pizza City, dell’artista americano Chris Burden. Ulteriori informazioni su clponline.it.

note: 1 Sono presenti 100 opere, alcune delle quali inedite, tra dipinti, disegni, modelli, filmati, installazioni di artisti, architetti, registi, quali Antonio Sant’Elia, Umberto Boccioni, Fernand Léger, Mario Sironi, Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Fritz Lang, Yona Friedman, Archizoom, Superstudio, Chris Burden, Carsten Höller e molti altri. 2 Ringraziamo Marco Müller, docente all’Accademia di Mendisio, e Cecilia Liveriero Lavelli, docente CISA e SUPSI, che ci hanno introdotti alla visita organizzata per gli studenti dei rispettivi corsi accademici, e guidata dal curatore Marco De Michelis.

Libertà di parola per la Svizzera. Smart your phone. Navigazione senza limiti con High Speed Internet, chiamate e SMS/MMS illimitati, anche verso l’estero. Non farti sfuggire il tuo abbonamento smartphone all-in per il mondo.

Samsung Galaxy S4

1.– CHF

anziché CHF 798.–

L’abbonamento smartphone. In caso di nuova stipula con Sunrise NOW max (CHF 129.–/mese) per 24 mesi. Escl. carta Micro-SIM a CHF 40.–. Con riserva di modifiche e solo fino ad esaurimento scorte. Info su sunrise.ch/now


Didone

Figura mitologica e regina fenicia che con l’inganno acquistò un terreno su cui fondò Cartagine. Citata da Nevio, Virgilio, Ovidio, Silio Italico e Petrarca, fu un simbolo di coraggio o la vittima succube delle passioni? di Francesca Rigotti

Eroi 10

La storia di Didone, vedova di Sicheo, fondatrice e regina trambe a capo di imperi superbi che si scontreranno un della città di Cartagine, amante infelice di Enea, suicida giorno nelle famose guerre puniche, o cartaginesi, dalle con la spada sul rogo sacrificale (nota a noi soprattutto quali Roma uscirà trionfatrice. E due sono in questi miti dalle pagine dell’Eneide del poeta latino Virgilio), è stata e in queste leggende le figure di Didone: da una parte la narrata e rinarrata per oltre duemila anni. Didone fu nota principessa fenicia, astuta, coraggiosa, giusta e sollecita anche coi nomi di Elissa e Theiosso, la divina, il “dio- sovrana del suo popolo, che si suicida per la vergogna di donna” come evocano l’el fenicio e il theós greco, mentre aver trascurato il governo della città; dall’altra, la donna il nome Didone suggerisce una innamorata, travolta dalla pasderivazione dall’ebraico dâwîd sione per l’amato, che si uccide (capo guerriero, Davide) col per disperazione d’amore quando significato di “conduttrice”. Enea la abbandona. Didone era figlia del re di Tiro in Eppure fu soltanto questa seconFenicia, regione che corrisponde da rappresentazione, la figura più o meno all’attuale Libano. della donna debole e preda inAlla morte del sovrano gli succontrollata delle passioni, che si cede il figlio Pigmalione, che tramanderà per secoli, nelle corti per avidità uccide il marito della d’Europa, nella cultura dell’Insorella, Sicheo; temendo il peggio ghilterra dei Tudor, nei drammi la principessa fugge su una nave di Metastasio, nel Dido and Aeportando con sé un gruppo di neas di Purcell, subendo qualche seguaci, nemici di Pigmalione, e modifica nell’opera di Berlioz Les approda sulle coste settentrionali Troyens, ne La Terra Promessa di Giovanbattista Pittoni, Didone fonda Cartagine fine XVII sec., Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo dell’Africa. Là, su una punta della Ungaretti, nella Lamentación di attuale Tunisia, tra lago e mare, la Didone della poetessa messicana principessa Elissa, rinominata Didone, si procura con un Rosario Castellanos, nelle poesie pubblicate in arabo della raffinato inganno – come molti eroi, anche Didone è di poetessa tunisina Najet El Adwani ecc. (si consiglia, per chi acuto ingegno – la terra su cui fondare una città. Con un volesse approfondire, la lettura del libro di Paola Bono e M. coltello affilato come la sua mente taglia infatti a striscio- Vittoria Tessitore, Il mito di Didone. Avventure di una regina line sottilissime una pelle di bue per tracciare un esteso tra secoli e culture, Bruno Mondadori, 1998). perimetro della città, giacché le era stata concessa tanta terra quanta ne poteva contenere “una pelle di bue”. Regina coraggiosa o pavida innamorata? Viene insomma offuscata nei secoli l’immagine della soL’arrivo di Enea e le due città vrana intraprendente e coraggiosa, “radice e patrona della In breve la nuova città – questo significa Qart Hashdat in prosperità del suo regno” (ibid., p. 22); della regina intelligenfenicio – cresce e prospera. Dopo qualche tempo una tem- te e astuta, della donna politica che è anche, caso unico ed pesta, nella versione romana della storia, spinge sulle coste eccezionale nei miti politici, fondatrice di città. Si cospira del Nordafrica, proprio davanti a Cartagine, la nave di Enea, contro la donna regnante che lottava per mantenere inl’eroe che fuggiva da Troia distrutta. Durante il banchetto tegro il nuovo grande stato che stava sorgendo sulle coste alla quale la regina ospitalmente invita Enea, la dea Venere dell’Africa e la si trasforma in femmina travolta dalle pene spinge Didone a innamorarsi di lui, ma questi decide di d’amore e smemorata del suo dovere. Come per ribadire che abbandonare la donna e di partire per l’Italia dove lo chia- l’epica, che ha per soggetto la fondazione, l’ordinamento ma il suo destino di fondatore di Roma. Mentre le navi di e la difesa delle città, prevede la reggenza del potere e il Enea si allontanano dalla riva, Didone si uccide gettandosi passaggio di responsabilità di padre e in figlio e non è cosa sulla spada conficcata nella pira sacrificale. Dall’alto mare di donne. Eppure nel mito la conduttrice Didone continua Enea vedrà il fumo e le fiamme del rogo. a fondare astutamente e a governare saggiamente la sua Due épos fondativi si mescolano in questa storia: la fon- nuova città, nel mito che racconta di cose che non furono dazione di Roma e la fondazione di Cartagine, città en- mai e sono sempre.


Delitti d’ortografia

Una corretta ortografia è essenziale nella comunicazione scritta. Ma come eliminare gli errori che ci squalificano agli occhi degli estranei? di Gaia Grimani

Come tutti sanno, in italiano è obbligatorio segnare l’accen-

to sulle parole tronche che finiscono in vocale per permetterne la pronuncia corretta: se invece di bontà scrivessimo bonta, dovremmo per forza leggere bònta. Lo stesso comportamento dobbiamo tenere con i numeri che finiscono per tre: trentatré, milletré, e con le parole composte da re (viceré), blu (rossoblù), dare (io ridò), fare (egli strafà). E per la stessa ragione, si accentano i monosillabi con due vocali, se l’accento cade sull’ultima. Si scrive già perché altrimenti si leggerebbe gìa. Però sappiamo che “su qui e su qua l’accento non va” e questo perché la u, in tal caso, non è considerata una vera vocale, ma fa parte della q che in italiano la richiede. Nelle parole con una sola sillaba che terminano con una sola vocale, di solito, non si scrive l’accento, se non per evitare la confusione con altre parole di significato diverso: dà (verbo) e da preposizione. Gianna mi dà un dolce. Vengo da Roma. Nell’uso del pronome personale sé, però, una vecchia regola che lo scriveva senza accento, quando era seguito da stesso e medesimo (se stesso, se medesimo), viene contraddetta dai grammatici odierni che raccomandano piuttosto la forma accentata, anche se di fatto s’incontra più spesso l’altra ed è ampiamente tollerata. Altro scoglio dell’ortografia è l’uso corretto dell’apostrofo: esso segnala, di solito, la caduta di una vocale finale davanti alla vocale con cui comincia la parola seguente. Non si dice lo avvocato, ma l’avvocato. Il vero problema dell’apostrofo è sapere con certezza quando è richiesto oppure no. Infatti, nella lingua italiana vi sono due fenomeni: quello appena esposto, che si chiama elisione, e un altro, che è detto troncamento, e avviene quando una parola perde la vocale

finale, senza però bisogno di segnalare quella caduta con l’apostrofo: (qual, amor, un). Il troncamento è differente dall’elisione sia perché le parole che lo subiscono possono finire solo con alcune consonanti (l e r oppure m e n), sia perché esso, al contrario dell’elisione, non avviene solo davanti a una parola che comincia con vocale, ma anche davanti a consonante o prima di un segno d’interpunzione: un avvocato, un medico. Ma quando possiamo essere sicuri che una parola senza vocale finale ha subìto un’elisione (e dunque richiede l’apostrofo) oppure un troncamento (e quindi non lo richiede)? V’è un sistema: bisogna prendere la parola, per esempio, un l’articolo femminile che troviamo apostrofato in un’amica e proviamo a metterlo davanti a un’altra parola femminile che cominci per consonante, per esempio casa: possiamo dire un casa? Certamente no. L’articolo femminile infatti è l’elisione di una; per questo dobbiamo segnare l’apostrofo; il maschile un, invece, è un troncamento, e non lo vuole mai. Infine abbiamo visto che il troncamento si distingue dall’elisione perché non vuole l’apostrofo. Ci sono però casi particolari che lo esigono, quando a cadere è un’intera sillaba, come negli imperativi va’, fa’, sta’, da’ (troncamenti delle forme con la i: vai, fai, stai, dai), di’ (imperativo di dire), po’ (troncamento di poco), be’ (troncamento di bene), mo’ (per modo, nella frase a mo’ di). Qui l’apostrofo è di rigore, anche se è diverso rispetto a quello dell’elisione poiché non genera nessun legame con la parola seguente. A proposito di po’, bisogna diffidare dalla sua versione accentata pò e non cedere di fronte a quest’uso sciatto della lingua che rende un po’ sciatti anche noi...

% 0 2 – OFFERTA OFUMERIA PROFUMERIA

È il momento di approfittare della nostra offerta profumeria! Da dal 1° fino al 23 giugno beneficiate infatti del 20% sui prodotti Estée Lauder, Clinique, Clarins e su molti altri marchi leader.* *Offerta valida in tutte le farmacie-profumerie Amavita. Non cumulabile con altri sconti, buoni e articoli a prezzo già ridotto. Lista dei prodotti scontati su www.amavita.ch o nella vostra farmacia Amavita con profumeria.

Lingua 11


S

ono nato in una giornata di ottobre a Bellinzona e ho trascorso la mia infanzia a Ravecchia, un bellissimo quartiere dove ai miei tempi operavano ancora molti artigiani, dal macellaio al rigattiere: presenze che da bambino stimolavano molto la mia curiosità. Mio nonno aveva una selleria dove lavorava esclusivamente nell’ambito dei cavalli. In seguito, con la crescita del trasporto motorizzato, il settore è andato in crisi e così si è fermata anche l’attività della mia famiglia. Mio padre, pur avendo imparato il mestiere a bottega, ha quindi compiuto altri studi per poi dedicarsi a un tipo di lavoro diverso, ma sempre conservando delle capacità artistiche e creative. Per tornare a me, dopo il ginnasio a Bellinzona ho fatto la magistrale a Locarno e, dopo il diploma, ho continuato i miei studi a Firenze e poi a Milano, dove mi sono diplomato a Brera in Arti plastiche. Tornato in Ticino negli anni ottanta con la prospettiva di insegnare, ho lavorato per due o tre anni come supplente in attesa di un posto più stabile, che però non è mai arrivato. Allora ho cominciato a deviare sulla produzione di articoli per l’equitazione con gli attrezzi che mi trovavo già in casa. D’altra parte era un’attività che avevo mantenuto anche per pagarmi gli studi, sia in Toscana che a Milano, e visto che mi dava grande soddisfazione mi sono dedicato alla pelletteria con sempre maggiore intensità, rinunciando progressivamente alle supplenze. A un certo punto sono stato coinvolto in una serie di circostanze al contempo sfortunate e fortunate: da un lato mi hanno sfrattato dal mio primo atelier perché avevano venduto l’immobile, ma dall’altro ho trovato una sede in centro a Bellinzona ancora più bella, che fungeva da negozio davanti e da atelier sul retro, come tutte le botteghe. Più tardi comunque ho deciso di separare le due cose, perché il lavoro in atelier era troppo disturbato dal doversi occupare al contempo dei clienti... Col tempo le due attività hanno cominciato a funzionare bene, permettendomi di avviare dei negozi, oltre che a Bellinzona, a Biasca, Lugano e Locarno. Per due anni è nato anche un canale di distribuzione in

Giappone e in America, ma poi con la crisi abbiamo capito che era meglio non investire troppo in quei paesi: come piccola ditta, non avevamo le risorse per mantenere un contatto commerciale di quel livello. Verso la fine degli anni novanta, poi, le nostre attività si sono concentrate in due negozi: a Bellinzona e a Locarno. Nel frattempo avevo deciso di cedere l’attività di fabbricazione per potermi dedicare soltanto alla produzione e alla progettazione, in modo da poter essere più versatile grazie alla collaborazione con laboratori esterni. Attualmente però sto riprendendo il discorso del laboratorio di bottega nel paese in cui abito, Preonzo, in modo da poter realizzare personalmente i prototipi di cose molto particolari. Non si tratta di farne un calcolo commerciale, ma di seguire l’onda dello slow made, una linea di pensiero nella quale mi riconosco, che sta trovando spazio in città come Parigi o Berlino. Naturalmente, non vuol dire lavorare lentamente, ma prendersi il tempo necessario per svolgere tutte le operazioni richieste dalla creazione di un buon prodotto… Nella mia attività mi sono concentrato soprattutto sulla piccola pelletteria, per esempio, portafogli e articoli da scrivania, e sulle borse da donna. Abbiamo in laboratorio più di 300 modelli, poi però a fare il gioco è il cliente: da una parte produciamo secondo la domanda, dall’altra ascoltiamo le richieste per trasformare e migliorare i nostri modelli. Per quanto riguarda le borse da donna, per le quali produciamo anche metalleria e tessuti di fodera, proponiamo due collezioni all’anno: in primavera e in autunno. Si è sempre un po’ in balia di quanto proposto dalle concerie sulla base delle richieste delle grandi firme, ma a partire dagli input che ricevi ti ispiri, sviluppi i modelli, realizzi le campionature e poi decidi di andare in produzione. Ciò avviene sei mesi prima dell’arrivo della nuova stagione, permettendo di avere più elasticità e, anche senza voler fare troppo gli artisti, di approfittare del tempo per trovare le soluzioni giuste...

MICheLe BIAGGI

Vitae 12

Artista, designer, imprenditore, ha sviluppato negli anni un’attività di successo nel campo della pelletteria. E il muoversi intelligentemente come commerciante gli ha permesso di mantenersi integro e fedele alla propria creatività…

testimonianza raccolta da Demis Quadri fotografia ©Reza Khatir


Immagini in divenire testo e fotografie ©Matteo Fieni

Da sempre le innovazioni tecnologiche, in particolare quelle che riguardano il campo della comunicazione, suscitano reazioni sociali piuttosto contrastanti e non prive di analogie. Un esempio significativo che coinvolge il mondo della fotografia è quello concernente l’iPhone e uno dei suoi applicativi, Instagram, che consente a chiunque di realizzare immagini “artistiche”, o presunte tali. Ma per comprendere meglio il fenomeno dobbiamo risalire indietro nel tempo di quasi duecento anni


L’

invenzione della fotografia, attestata dallo scatto di Niépce nel 1826, provocò sia ondate di entusiasmo per la nascita di una nuova professione sia evidenti preoccupazioni fra chi vedeva in questo nuovo medium un fortissimo competitor. Negli anni successivi le invenzioni nel settore furono numerose e frequenti, e questo portò allo sviluppo di diverse riflessioni sul tema della fotografia. Il pittorialismo, cresciuto alla fine del XIX secolo, fu uno dei primi movimenti critici. Non essendo né fotografia pura né pittura, e soffrendo di qualche complesso di inferiorità nei confronti delle arti maggiori, questo movimento tentò di elevare un mero strumento meccanico di riproduzione aggiungendovi quella manualità di cui sembrava peccare, con pesanti manipolazioni dell’immagine in camera oscura degne di un provetto photoshoppista. Nel calderone delle innovazioni successive agli effetti dei pittorialisti, possiamo inserire

metodologie come il fuoco morbido, filtri particolari come le colorazioni compiute a mano sui supporti sensibili, detti anche film tinting e i viraggi, detti toning. Tutti ne ricordano uno in modo particolare, derivante dal processo di fissaggio, durante il quale si scoprì che l’argento metallico si combinava bene con lo zolfo, stabilizzando meglio l’immagine nel tempo. Questo metodo, oltre a divenire il nuovo standard di conservazione, donava anche un’intonazione bruno-marroncina alle immagini, il cosiddetto color seppia, da cui il viraggio prese il nome. Il nuovo spaventa Tra le evoluzioni che hanno modificato radicalmente il modo di intendere la fotografia ci sono le dimensioni dell’apparecchio fotografico. Ebbene, una delle più popolari fu l’introduzione della tedesca Leica nel 1925, che coincise con l’arrivo del piccolo formato: il 35mm.


Esattamente cento anni dopo la nascita della fotografia, la Eastman Kodak introduceva il primo sistema di pellicole bianco e nero precolorato, chiamato Sonochrome. In poco tempo molte altre combinazioni permisero alla fotografia di rendersi più attrattiva e per certi versi meno qualitativa, seminando qualche malumore tra i puristi del Group f/64, che proponevano di mondare la fotografia dall’inquinamento lasciato dai pittorialisti. Agilità d’uso, qualità ed economicità giocarono un ruolo fondamentale nella diffusione della fotografia, soprattutto dopo le guerre. Svariati film di culto ne offrono testimonianza, come la medio formato a pozzetto Rolleiflex usata dal paparazzo a seguito di Marcello Mastroianni in La dolce vita di Fellini. Ma anche Michelangelo Antonioni, che scelse la Nikon F in Blow up, film che contribuì non poco a definire la figura del fotografo cosiddetto di moda. Gli anni sessanta e settanta vennero però contrassegnati prevalentemente dalla

statunitense Instamatic 100: questa easy-load film di medio formato diventò un must tra i nostri progenitori, proprio per la sua facilità d’uso e infine un cult per via della colorazione sbiadita delle pellicole tipica di quella generazione. Poi fu il turno della mitica Polaroid e della sua pellicola autosviluppante prediletta da fotografi e artisti concettuali. Prima che la “guerra” industriale soppiantasse la pellicola con il sistema digitale, negli anni novanta la Lomo LC-A venne usata dai lomographers, che usavano il concetto della fotografia straight, ovvero azione pura senza interventi manuali, privilegiando l’ambito sociale della street photography, da cui deriva una mia serie intitolata Virgin times, che invito a valutare in questo contesto storico. Lo strumento non era la Lomo: questa serie è stata prodotta con una Nikon F3 degli anni ottanta. Dopo la guerra tra apparecchi, stili, principi e preferenze, fu la pellicola a lasciarci le penne, abbassando ancora un po’, almeno a livello


di percezione, la barriera tecnica d’accesso alla fotografia, facendo proliferare un’industria e affondandone un’altra, per portarci infine al punto in cui siamo oggi. La vecchia scuola A mio modo di vedere, ogni avvicendamento tecnologico è servito per definire meglio la tecnologia appena superata e penso che la serie Virgin times ne sia un esempio. Il vintage, non solo in fotografia, oggi è molto apprezzato e non lo sarebbe così tanto se non ci fosse il digitale e così via. Tutti questi percorsi hanno arricchito il panorama narrativo fotografico, tanto da dare vita ad altrettante eredità estetiche e rendendo così riconoscibili le relative epoche in cui hanno proliferato. Anche l’avvento di Instagram è da considerarsi in questo contesto. Non è altro che un revival della vecchia Instamatic 100 in versione virtuale. Questo

applicativo, comprato da Zuckerberg per un miliardo di dollari nel 2010, ha letteralmente spopolato, facilitando la condivisione dei propri scatti sul web più o meno “manualizzati” e sconfessando i pittorialisti di allora. Infatti, l’uso automatizzato di svariati filtri fotografici messi a disposizione da un programma informatico “lascia agire uno strumento in grado di produrre registrazioni e memorie autonome, favorendo il sorgere di comportamenti, relazioni, funzioni fondamentali per la definizione del significato stesso della fotografia nella civiltà contemporanea” (F. Vaccari, Fotografia e inconscio tecnologico, Einaudi, 2011). A ben guardare, dal punto di vista fenomenologico, Instagram non è poi questa gran rivoluzione. Quel che ci interessa sapere è che questa innovazione, come per le altre passate e tra non poche polemiche, sta donando ulteriore prestigio alla fotografia old school.


Giochi di ruolo Personalmente me ne guarderei prima di giudicare una fotografia “instagrammata” o un instagramers, ovvero chi frequenta il movimento nato attorno a questo applicativo. In fondo, è bello ciò che piace, ed è pure giusto che gli instagramers si godano questo “giocattolo”. Mi piace pensare che tra chi lo usa ci siano persone capaci di emozionarsi impersonificando le gesta di qualche maestro del passato, un po’ come si usa fare con gli attori del cinema italiano degli anni sessanta. Sicuramente tra i simpatizzanti di questo mezzo di comunicazione si nasconde qualche Alfred Stiegliz o Renger Patzsch (per citarne due dell’ambito straight) e se mi è concesso, un Andy Warhol o un Jan Saudek (per i pittorialisti più artistici). Per chi non lo sapesse, ammetto di esserci pure io nel circo delle pulci del micro formato dell’iPhone. A volte ci gioco

molto seriamente, svolgendo ricerche ben approfondite, come nel caso di un mio lavoro pubblicato proprio su queste pagine e intitolato Good morning, Lugano (Ticinosette, n. 5/2012; http://issuu.com/infocdt/docs/n_1205_ti7).

Matteo Fieni Nato nel 1976, dopo un soggiorno in Australia (1997) si diploma all’Istituto Europeo di Design di Milano dove ha studiato fotografia. Inizia la sua carriera artistica con alcuni lavori presentati al festival off di Image “Argos Project” (Vevey, 2000) e con diverse performance presso la Fabbrica tra cui figura l’esposizione “Realtà Rivelata” (Losone, 2003). Dal 2010 si sta occupando del progetto progressivo “Ritratti Metropolitani” (ritrattimetropolitani.ch) premiato al concorso Metrocubo (Ancona, 2012). Il suo editoriale “Good morning, Lugano” ha ricevuto lo Swiss Photo Award (Zurigo, 2013). Vive e lavora a Lugano presso la Opening da lui fondata nel 2003 (opening.ch).


Le pernici litigiose di Chiara Piccaluga; illustrazioni @Giovanni Occhiuzzi

Fiabe 42

er prepararsi all’arrivo dell’autunno, una colonia di pernici argentate si era sistemata ai margini del bosco, dove poteva trovare cibo in abbondanza, comodi giacigli per riposarsi e cespugli tra i quali nascondersi. Purtroppo un cacciatore, passando in prossimità del bosco, si accorse della loro presenza e decise di sistemare delle grosse reti per riuscire a catturare le povere bestiole. Le pernici, incaute, ci finirono dentro una a una e furono vendute al mercato. Vedendo le compagne catturate una dopo l’altra, una vecchia pernice riunì le sopravvissute e disse loro: “Amiche, state bene attente: ci sono reti in tutta la radura! Se per disgrazia verrete catturate, potrete comunque riuscire a salvarvi: basterà infilare la testa tra le maglie della rete e battere allo stesso tempo le ali. Tutte insieme riuscirete a sollevare la rete. Fatela

impigliare nei rami di un albero e sarete così libere”. Il giorno seguente molte pernici rimasero intrappolate, ma memori dei consigli della saggia compagna si liberarono e tornarono ai nidi sane e salve. Quando il cacciatore passò a controllare le trappole, restò allibito perché non solo le trovò vuote, ma anche appese agli alberi. Il giorno seguente altre pernici furono catturate, ma subito infilarono la testa tra le maglie della rete e, battendo le ali tutte assieme, riuscirono a sollevarsi e a volare fin sopra le piante per far sì che la rete si impigliasse da qualche parte. Nulla sembrava più spaventare le pernici che avevano imparato il modo per fuggire facilmente e questo le tranquillizzò per un po’. Giorno dopo giorno finivano nelle trappole, alcune una sola volta, altre anche quattro o cinque volte, ma riuscivano sempre a liberarsi.


l cacciatore, che non riusciva a comprendere come le reti finissero ogni giorno in cima agli alberi, decise allora di provare a scoprire questo mistero e si nascose a osservare gli uccelli. Vide con sua grande meraviglia e stupore che le pernici, collaboravano e riuscivano a liberarsi con facilità. “È straordinario” pensò. “Uniscono le loro forze per scappare, ma non sarà sempre così: presto o tardi finiranno per litigare e io potrò ancora catturarle e venderle al mercato”. E si mise pazientemente ad attendere. Qualche giorno dopo alcune pernici becchettavano nell’erba alta quando una rete le imprigionò. “Ascoltate” disse una. “Non c’è ragione di avere paura, sappiamo che cosa fare per liberarci, passiamo la testa fra le maglie e, al mio tre, battiamo le ali tutte insieme. Siete pronte? Uno, due, tr…”. “Non capisco perché devi essere tu a dare gli ordini” rispose piena di boria un’altra pernice, “sono io la più robusta, quindi tocca a me comandare…” “Cosa c’entra?” aggiunse un’altra, “sono io la più anziana!”. “Mi rifiuto di ascoltarvi” si intromise un’altra ancora. “L’ultima volta ho salvato il mio gruppo, ho maggiore esperienza e quindi guiderò le operazioni. Attenzione al mio segnale; uno, du…”. “Anch’io mi sono già salvata dalla rete” interruppe un’altra. “Anch’io posso dare gli ordini e vi dico che tra poco il cacciatore arriverà e quindi non perdiamo tempo. Al mio tre battete tutte le ali: uno, due, tre!”. Ma le pernici sempre più litigiose finirono per perdere tempo prezioso e vennero così catturate e vendute al mercato. Questo servì

Fiabe 43

di lezione a tutte le altre compagne perché da quel momento impararono a restare unite e non vennero mai più catturate. Da quel giorno alla nascita di ogni piccola pernice viene raccontata questa avventura così che ognuna di loro possa capire sin da subito che non è sola e nelle difficoltà può contare sulle compagne perché unite, le pernici (ma non solo loro) diventano davvero una gran forza!


materIalI al top Tendenze p. 44 | di Francesca Ajmar

Il concetto dI desIgn sI evolve dI parI passo con I nuovI materIalI che la rIcerca tecnologIca mette a dIsposIzIone e che offrono vantaggI sIa per versatIlItà e durevolezza sIa per la loro ecocompatIbIlItà. Qualche esempIo nel campo delle cucIne e dell’arredobagno

colorazioni con l’aggiunta di appositi pigmenti. Resistente alla luce diretta del sole, al calore, all’usura, alle macchie e all’umidità, ha una caratteristica traslucenza che varia a seconda dello spessore, offrendo in tal modo la possibilità di creare particolari effetti cromatici legati alla forma stessa dell’oggetto. Non è poroso, ed è facile da pulire, caratteristiche lo rendono particolarmente adatto alla progettazione sia di cucine che nell’ambito dell’arredobagno, anche se purtroppo, punto dolente, il suo essere costo incide notevolmente sul prezzo finale del prodotto. I lavelli e lavabi in Corian possono essere integrati a piani di lavoro dello stesso materiale senza giunture percettibili. Un esempio: il piano lavabo Plano di Planit è un top lavabo sospeso o d’appoggio con copertura inclinata removibile.

Una cucina del designer Franco Driusso

Kerlite - Totalmente ecologico La Kerlite è un gres laminato ottenuto attraverso un sistema produttivo innovativo. Viene prodotto senza l’impiego di stampi, e pressato con una forza pari a 15mila tonnellate. Una linea di taglio completamente automatizzata permette di ottenere i vari formati finali. È resistente ai solventi, agli agenti organici, ai disinfettanti e al calore, ed è completamente compatibile con le sostanze alimentari, oltre che facile da pulire. Leggero, facile da tagliare e da posare, è utilizzato per realizzare intere cucine anche perché permette un design molto essenziale e pulito e con altissime prestazioni tecnologiche. Fatto non trascurabile di questi tempi, è un prodotto totalmente naturale che nasce dall’insieme delle stesse materie prime che costituiscono le piastrelle di ceramica tradizionali: argille, caudini e feldspati. Tutte le tecnologie utilizzate non producono fanghi e acque residue da trattare, e richiedono un basso consumo energetico. Le cucine della serie Twenty di Modulnova rappresentano un ottimo esempio d’uso di questo materiale.

Corian - Pratico e resistente Il Corian è un materiale inventato e prodotto dalla DuPont dal 1967. Ha letteralmente rivoluzionato il settore industriale della produzione dei piani cucina e piani bagno. Il mondo del design, in assoluta simbiosi con l’evoluzione tecnologica, ha saputo cogliere fin dall’inizio le qualità di questo materiale, che offre i pregi dei piani in pietra, ma con una resistenza e una durabilità molto superiore, e una lavorabilità analoga a quella del legno. Il Corian permette di realizzare forme di ogni tipo, e può essere lavorato al tornio come il legno. È composto da 2/3 di idrossido di alluminio e da 1/3 di resina acrilica (polimetilmetacrilato) e si possono ottenere diverse

Paperstone - Caldo e sostenibile Un altro materiale interessante è il Paperstone, un composito costituito da fibre ottenute al 100% da carta riciclata e da resine naturali, a base di acqua e oli ottenuti dai gusci degli anacardi. È infatti composto per l’80% da fibre di cellulosa, e per il 20% da resina naturale. Presenta un’elevata resistenza alla trazione, alla compressione, all’impatto e alla flessione. Resiste inoltre all’abrasione e agli acidi, al fuoco, ed è naturalmente impermeabile. L’aspetto è assai gradevole, simile alla pietra, e non risulta freddo al tatto. Si lavora con i comuni macchinari ed utensili da falegnameria. Non necessita di verniciatura. Il designer Franco Driusso lo ha adottato per creare la sua cucina AK_04 (nell’immagine) prodotta da Arrital.


<wm>10CAsNsjY0MDQx0TU2tLQ0NQUAAsNL_A8AAAA=</wm>

<wm>10CFXKKw7DQBAE0RPNqns-O14PtMysgCh8SRSc-6PEZgZFnuo4Khqutv3x2p9F0F2MY0RUjGiavRbrTbUQNAVtRXq34bncdlFFApjnI_gzJruQoj5JmzT4aUmFtu_78wMBcKR7fwAAAA==</wm>

Per ogni situazione e ogni stile di vita. Gli innovativi elettrodomestici da incasso di Siemens. siemens-home.ch

Se prima la cucina era un semplice luogo di lavoro, oggi è considerata uno spazio abitativo sempre più importante all’interno della casa. Di conseguenza anche le esigenze di arredamento sono particolarmente elevate. Sia che per voi l’efficienza o la sicurezza dei bambini siano al primo posto, sia che diate invece la priorità al design o al comfort, sia che viviate in coppia o in famiglia, Siemens non solo vi offre una vasta gamma di elettrodomestici da incasso, ma vi propone numerose innovazioni

che vi aiutano nella vita quotidiana quando si tratta di cucinare, refrigerare gli alimenti e lavare: perfezione tecnica, forme moderne, impiego ultraefficiente delle risorse e design straordinario. E la sofisticata ergonomia degli apparecchi di Siemens rende il loro utilizzo piacevole e divertente. Un parere condiviso anche da numerose giurie di design.

Siemens. Il domani è qui.


La domanda della settimana

Un eventuale raddoppio del traforo autostradale del San Gottardo (con due corsie per direzione di marcia) aggraverebbe la già caotica situazione viaria nel Sottoceneri? Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS). La vostra risposta deve essere inoltrata entro giovedì 13 giugno; i risultati appariranno sul numero 25 di Ticinosette.

Svaghi 46

Astri ariete Grazie a Giove avrete l’occasione di perfezionarvi in un settore che potrà rivelarsi utile. Turbolenze sentimentali per i nati nella prima decade.

toro Tra il 10 e il 13 Luna di transito. Momento ricco di atmosfere sensuali. Vita sociale e colpi di fulmine per i nati nella prima decade. Guadagni.

gemelli Momenti di gloria e soluzioni inaspettate per i nati nella terza decade. Realizzazione di importanti progetti. Aiuti inaspettati.

cancro Si avvicina al compimento la grande croce cardinale del 2010. Momento di svolte epocali per quanto riguarda affetti e famiglia.

leone Grazie a Giove potrete dar vita a un progetto a cui tenevate da tempo. Collaborazioni con il partner. Aiuti da parte di terzi. Vacanza all’estero.

vergine Passionali i nati nella prima e terza decade. Limitate il conflitto con i superiori. Umorali i nati nella seconda decade. Scaricatevi con lo sport.

bilancia Entusiasmi. Con Giove in trigono nelle prossime settimane vedrete tutto più rosa. Burrasche amorose sollecitate da Mercurio e Venere.

scorpione Pianeti favorevoli. Incontri e seduzione. Aumento degli appetiti sessuali per i nati nella terza decade favoriti dal transito di Giove.

sagittario Ego a palla per i nati nella terza decade. Attenti a esser più cauti nei giudizi sugli altri e a non cedere di fronte ad atteggiamenti bipolari.

capricorno Cambiamenti epocali favoriti dai pianeti. Esplosione di situazioni inaspettate all’interno della vita affettiva. Spazio ai sentimenti.

acquario Grazie a Giove in Gemelli e all’aiuto di Urano riuscirete a concludere un progetto. Siate voi stessi senza alcun timore. Creativi e audaci.

pesci Se siete della terza decade dovete stare attenti a non disperdervi in mille rivoli. Amore alla grande per i nati nella prima decade.


Gioca e vinci con Ticinosette 1

2

3

4

5

10

6

7

8

La soluzione verrà pubblicata sul numero 25

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 13 giugno e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 11 giugno a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

9

11

12

13

14

15

16

17

8

18

19 21

20 23

22 2

24

25

Verticali 1. Noto film del ’98 di B. Schroeder con M. Keaton • 2. Indossa il saio • 3. Avvoltolato • 4. Strade cittadine • 5. Gioco a premi • 6. Lo è l’evento con il fiocco rosa o azzurro • 7. Anno Domini • 8. Istrice • 9. Dittongo in beone • 13. Il Sodio del chimico • 16. Incolume, sana e salva • 17. Celestiali • 19. Ohio e Uruguay • 22. Particola • 25. Pedina coronata • 28. Dittongo in paese • 30. Un caffè... veloce • 32. Abbassare • 34. Sei romani • 36. Latitudine in breve • 39. Segno matematico • 41. Altari pagani • 43. Il nome della Martinetti • 45. Agnese a Madrid • 47. Attraversa Firenze • 50. Ebbe la moglie trasformata in statua di sale • 53. La fine della Turandot • 55. In mezzo al vicolo.

26

27

29

28

30

1

31

32 4

33

34

35

38

36

42

37

40

39

41

Orizzontali 1. Scintillare, rilucere • 10. Campicelli coltivati • 11. Intacca la vite • 12. Recondito, sfuggente • 14. Il nome di Ughi • 15. Appartamenti lussuosi • 18. Nullità • 20. Le Lipari • 21. Lo fa palpitar l’amor • 23. Cuor di balordo • 24. Danno un punto a scopa • 26. Maestà • 27. Smentita, ricusata • 29. Partita a tennis • 31. Fa coppia con lui • 32. Coincidenze • 33. Periodi storici • 35. Arto pennuto • 37. Personal Computer • 38. L’antica Thailandia • 40. Arnesi del camino • 42. Provare, sperimentare • 44. Quartiere cittadino • 46. Restituita • 48. Pena nel cuore • 49. Antiche pentole • 51. Consonanti in suora • 52. Il nome di Patacca • 54. I confini di Locarno • 55. Preposizione semplice • 56. Intangibile, indefinito.

5

43 7

44

45

46

47

Questa settimana ci sono in palio 150.– franchi in contanti!

9

48

50

49

52

53

51

54

55

56 3

6

La parola chiave è: 1

1

U

10

N

12

E

15

S

18

T

21

R

23

A

26

N

2

2

M E S

A

34

F

37

R

40

A

42

N

I

V

4

R

I

16

P

I A

B

O

R

E

E

G

A

R

I

E

19

T

L

T

I

O

N

45

C

V

E

A

A M 48

E

T

C

I

N

O

E

A

33

L

36

D

39

A

O

G

O

M

O R

41 44

I

I

R

O

L 25

T

R

T

A

L

A

M

A

P

R

A

T

I

R

A

R

I

O

46

6

7

8

9

Soluzioni n. 21

I

N

28

5

E

O

E

O

9

L

R

R

R

E

O

T

C

R

B

S

8

I

17

O

4

14

O

A

O

I O

R

S

L

7

M 27

32 35

43

A

U T

C

G

P

O 38

A

22

29

T U

S

A

T

6

20

24

A 31

S C

13

E

5

11

E

A

I

O 47

O

T

E 30

3

3

La soluzione del Concorso apparso il 24 maggio è: GALLETTO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Marilena Piazza 6967 Dino Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Giochi 47


Il numero 1 delle capsule compatibili.*

<wm>10CAsNsjY0MDQx0TU2MjM1tgQATbt-tQ8AAAA=</wm>

W

<wm>10CFWMuw7CMBAEv-isvceeMVeidBEFSu8moub_K2I6ii1Gmtl9Lzb89tiex_YqhUaIW9JHcbBZT2TdPJsZ4AVqGNTvGqCl2_hr5LI6gLkcAUVjqklITo7enRf6-pirR7TP-f4CrjMQN4YAAAA=</wm>

Kassensturz

Kassensturz 12.6.2012: nota 4.9

*Café Royal detiene la quota di mercato più alta in Svizzera per le capsule compatibili con il sistema Nespresso. Le capsule Café Royal sono adatte unicamente per macchine per il caffè di marca Nespresso. La marca Nespresso appartiene a terzi che non sono in alcun modo legati alla Delica AG. Vendita solo a economie domestiche private in quantità normali. www.cafe-royal.com

Café Royal è in vendita alla tua Migros


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.