Ticino7

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№ 25 del 21 giugno 2013 · con Teleradio dal 23 al 29 giu.

Il gIardIno magIco

Situato in uno dei luoghi più incantevoli del cantone, il Parco Scherrer accoglie il visitatore in un,idilliaca atmosfera da sogno C  T · RT · T Z ·  .–


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Ticinosette n. 25 del 21 giugno 2013

Impressum Tiratura controllata 68’049 copie

Chiusura redazionale Venerdì 14 giugno

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

Parco Scherrer. Cariatide Fotografia ©Reza Khatir

4 Letture Max Frisch. Un amore difficile di eugenio KlueSer......................................... 7 Società Iran. Il paese sconosciuto di Stefania Briccola .............................................. 8 Mundus Problema pubblico di andrea ramani ....................................................... 11 Vitae Murat Pelit di gaia grimani ........................................................................... 12 Reportage Parco Scherrer. Idillio a Morcote di r. roveda; foto di r. Khatir ............ 37 Fiabe Il re cerca moglie di faBio martini ................................................................. 42 Tendenze Bagno. Il luogo più intimo di Keri gonzato ........................................... 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Libera circolazione. Falsi timori?

di

Silvano de Pietro .....................................

Il lato oscuro In occasione del 12 giugno, giornata mondiale dedicata alla lotta contro il lavoro minorile, sono stati diffusi dai media di tutto il mondo i dati relativi a un fenomeno che vede la connivenza e il coinvolgimento di moltissime aziende occidentali e non. E i numeri a riguardo sono impressionanti: 215 milioni i bambini e gli adolescenti che lavorano e di questi 115 milioni sono coinvolti in attività ad alto rischio. Gli ambiti sono i più diversi: dai lavori domestici all’industria, dall’agricoltura all’estrazione mineraria. Come ha sottolineato Papa Francesco, “sono milioni i minori, per lo più bambine, vittime di questa forma nascosta di sfruttamento che comporta spesso anche abusi, maltrattamenti e discriminazioni. È una vera schiavitù. Auspico vivamente che la comunità internazionale possa avviare provvedimenti ancora più efficaci per affrontare questa autentica piaga”. Ad aggravare un quadro drammatico si aggiunge il dato relativo all’incremento del fenomeno che, come sottolinea l’International Labour Organisation – l’agenzia dell’ONU che si occupa di queste tematiche –, è misurabile nell’ordine di circa 15 milioni di minori che ogni anno vengono coinvolti in attività di produzione. Se da un lato la povertà e il disagio sociale rappresentano fattori che incentivano lo sfruttamento minorile anche all’interno delle stesse famiglie, e d’altra parte essenziale considerare quanto, su questo fenomeno siano andati

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a incidere i programmi di delocalizzazione produttiva che numerose aziende hanno messo e stanno mettendo in atto in questi anni. La ricerca del profitto, la pressione determinata dalla crisi finanziaria, il bisogno di manodopera a costi inferiori in paesi in cui i controlli risultano sporadici se non del tutto assenti e in cui il soddisfacimento delle necessità materiali di base assilla la maggior parte della popolazione, sono elementi che alimentano un fenomeno odioso e intollerabile. Non sono affatto un sostenitore della “decrescita” o della “sostenibilità” – slogan più che concetti, che cozzano con la nostra storia culturale e tecnologica – ma credo in uno sviluppo “meno insostenibile” e nella capacità della politica di regolare ciò deve crescere rispetto a ciò che invece deve decrescere. Ed è in quest’ultima categoria rientra a pieno titolo il lavoro minorile. Buona lettura. Fabio Martini

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Immigrazione. Falsi timori? Libera circolazione. Da decenni la presenza di lavoratori immigrati è tema di discussione in Svizzera. Se l’accordo del 2002 con l’Unione Europea ha reso più complessa la valutazione del fenomeno, lo scarso consenso ottenuto dall’iniziativa popolare “contro l’immigrazione di massa”, indica che i vecchi clichés non fanno più molta presa. Ma, al di là delle operazioni di taglio demagogico, permangono diffidenze e timori nonostante i dati rassicuranti di recente diffusi dalla Segreteria di Stato dell’economia di Silvano De Pietro

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a politica svizzera sull’immigrazione sta cambiando pelle, in un quadro molto più difficile di quello valido fino a dieci anni fa. In passato bastava controllare, regolamentare, contingentare, cioè introdurre freni alla concessione di permessi di lavoro e di soggiorno. Al limite, si chiudevano le frontiere. Con la libera circolazione (accettata in cambio dei numerosi vantaggi commerciali rappresentati dagli altri accordi bilaterali) iniziative del genere sono da escludere. Anzi, a tirare troppo la corda c’è il rischio che saltino i buoni rapporti con l’UE. Ma il clima generalmente favorevole alle esigenze dell’economia, che di tali buoni rapporti ha un bisogno vitale, sta oggettivamente cambiando. E cresce il disagio verso tutte le conseguenze di una accresciuta presenza di “europei” sul territorio elvetico. Se, da un lato, la libera circolazione delle persone è stata percepita come un’opportunità per tutti, in pratica sono in molti a considerarla come un vantaggio solo per i cittadini dell’UE. L’affluenza di lavoratori e professionisti europei in Svizzera è infatti sempre più associata a sviluppi percepiti come negativi. Si tratta in realtà di situazioni differenti, quali la concorrenza sul mercato del lavoro, la pressione verso il basso sui salari, la scarsità di abitazioni a pigione moderata, l’affollamento sui treni, il traffico congestionato, l’aumento della popolazione (ormai superiore agli 8 milioni). Se ne lamentano non solo la destra populista e i movimenti antistranieri, ma un po’ tutti: i sindacati, i politici locali (che devono pianificare territorio e trasporti), gli ambientalisti. Cresce, insomma, lo scetticismo verso l’immigrazione determinata dalla libera circolazione delle persone, la cui accettazione è messa alla prova. Ciò nonostante, i dati pubblicati lo scorso 11 giugno dalla Segreteria di Stato dell’economia confermano come l’incremento dei lavoratori immigrati – frontalieri o in possesso di un permesso temporaneo – stia contribuendo significativamente alla crescita economica globale del paese, senza che a ciò corrisponda un aumento dei livelli di disoccupazione dei lavoratori svizzeri. È una insofferenza che non va affatto sottovalutata, so-

prattutto in vista delle votazioni popolari in programma per l’anno prossimo: quella sull’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” e quella sull’estensione della libera circolazione delle persone alla Croazia. L’Unione Europea ha già fatto capire che non vedrebbe affatto di buon occhio un inasprimento della politica svizzera sull’immigrazione, e che cadrebbero tutti gli altri accordi bilaterali se venisse disdetto anche il solo accordo sulla libera circolazione delle persone. Fra incudine e martello Preso tra l’incudine degli umori interni della popolazione e il martello dei rapporti con l’UE, il Consiglio federale cerca di barcamenarsi. Ha fatto ricorso alla cosiddetta “clausola di salvaguardia”, prevista nell’accordo, che consente di rallentare l’immigrazione contingentando per un anno i nuovi permessi di lavoro e di soggiorno. E ha rafforzato le misure d’accompagnamento per la protezione dei salari e delle condizioni di lavoro vigenti in Svizzera. Ma la sensazione è che si tratti di provvedimenti tampone. “Il Consiglio federale tatticheggia”, conferma il Consigliere agli Stati ticinese Fabio Abate, del PLR, al quale abbiamo chiesto un giudizio su questa situazione, “perché arrivano delle decisioni importanti a livello popolare nel 2014 per quanto concerne l’estensione della libera circolazione delle persone”. Abate è membro della commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati, competente anche per il diritto degli stranieri e dell’asilo. Il Governo svizzero, prosegue il parlamentare “ha percepito la preoccupazione della popolazione; e in una situazione alquanto complicata e difficile propone delle soluzioni che non accontentano nessuno. Sono piccole pillole per il mal di testa che tuttavia non fanno passare l’emicrania”. Per Abate “il problema della migrazione, e in particolare del grosso flusso che abbiamo avuto in questi anni, non può essere affrontato senza una visione globale che includa, per esempio, tutto quello che è l’effetto traffico e l’offerta infrastrutturale, tutto quello che è alloggio (costi del mercato delle abitazioni), tutto quello che è formazione (soprattutto dei nostri giovani in relazione alla concorrenza di chi arriva)”. Una tale strategia


La dogana di Ponte Chiasso; immagine tratta da ripuliamoci.blogspot.com

globale occorre alla Svizzera per non farsi cogliere impreparata davanti a una situazione che vede l’economia “viaggiare a una velocità molto elevata, superiore a quella che potrebbe essere la possibilità di percezione di ogni individuo”. In altri termini è necessario saper cogliere in tempo le esigenze dell’economia e affrontarle con le giuste aperture, anche sul mercato del lavoro. Tuttavia, non soltanto questa tempestività è mancata, ma “sono stati in verità sottovalutati alcuni aspetti che, soprattutto nelle regioni di frontiera, in particolare nel Ticino, erano stati immediatamente ravvisati come problematici”. È chiaro che in determinati settori fondamentali, quali l’edilizia e i lavori di interesse pubblico, il ricorso alla manodopera straniera è fuori discussione. E poi, “un paese che paga e finanzia con miliardi la salute pubblica si è accorto di dover far capo a personale proveniente dai paesi vicini; e un paese che vuole vendersi, anche a giusta ragione, come realtà turistica interessante, si è accorto che in determinati settori, nella ricezione alberghiera e nell’esercenza, non poteva fare a meno della manodopera estera”. In queste situazioni, quindi, la libera circolazione ha fornito le risposte adeguate. Distorsioni e necessità Gli esempi di ritardi o errori di valutazione sono invece quelli riscontrabili nella situazione che si è determinata con la grave crisi dell’eurozona contrapposta alla stabilità economica della Svizzera, il cui mercato del lavoro è diventato molto attraente. È pertanto cresciuto il flusso di persone in cerca di lavoro. Il tasso di disoccupazione è rimasto stabile, a

conferma del fatto che comunque il lavoro per queste persone esiste. Ma il mercato, secondo Abate, “ha iniziato a reagire in modo distorto”. Non solo perché determinate misure fiancheggiatrici sono arrivate troppo tardi, ma anche perché si è prodotta un’offerta che asseconda un certo tipo di mercato. E il politico ticinese fa un esempio: “Ritengo inammissibile assumere avvocati stranieri che non hanno nessuna conoscenza delle nostre leggi, quando il paese investe nella formazione dei nostri giovani in modo assolutamente rilevante”. Situazioni simili si ripetono, nel tentativo di cogliere ogni opportunità offerta dalla libera circolazione delle persone, in diversi rami del terziario e un po’ in tutti i cantoni, non solo in quelli “di frontiera”. A Zurigo, per esempio, la presenza di tedeschi è diventata decisamente molto rilevante sulla piazza finanziaria, nella sanità, tra i liberi professionisti, nell’insegnamento (scuola superiore e università) e in posti qualificati o dirigenziali nell’industria e nei servizi. L’offerta di lavoro per questa immigrazione di fascia alta è tale che in questo cantone, centrale per l’economia elvetica e per nulla periferico, persino il numero dei frontalieri è incredibilmente cresciuto: gli ultimi dati parlano di un raddoppio, da 4000 a 8000, di quelli che giungono dalla Germania e dall’Alsazia, e di un incremento del 45%, fino a 55.000, di quelli che abitano in altri cantoni. Per avere un’idea di come si sia internazionalizzato il mercato del lavoro zurighese, basti considerare che già 74.000 abitanti del cantone (circa il 6% del totale) è di lingua inglese, e che il 17% di tutti gli occupati parla soltanto inglese sul posto di lavoro. (...)

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“…è mancata la formazione di una coscienza collettiva all’interno del mercato, per cercare di capire dove effettivamente la libera circolazione rappresenta un’opportunità e dove invece si sarebbe rivelata pericolosa perché non avrebbe più permesso, per una semplice questione di soldi e di opportunità finanziarie, di differenziare tra quello che è già in casa, e paghi per valorizzarlo, rispetto a quello che ti arriva a basso costo dall’estero”.

Le conseguenze, positive e negative, di una tale immigrazione di fascia alta si sono già fatte pesantemente sentire. Anzitutto sul mercato immobiliare. La Banca cantonale zurighese calcola che i prezzi sul mercato delle abitazioni nel cantone di Zurigo sono cresciuti l’anno scorso mediamente del 7,2% e gli affitti, già molto alti, del 3,1% (media svizzera 2,5%). Certo, i primi dati del 2013 e le previsioni per l’anno prossimo segnano un leggero rallentamento, ma il livello rimane elevato. Delle conseguenze positive, invece, si parla poco: se tutto, in molti settori, continua a funzionare senza intoppi è anche perché sul mercato sono disponibili buone professionalità facilmente reperibili dai paesi vicini. Agorà 6

Un atteggiamento ambiguo Ma questo rappresenta uno svantaggio per i giovani svizzeri come denunciato da Abate: “Qui si sta giocando con il fuoco. So cosa ci costa la formazione di ogni giovane nell’ambito accademico; però se l’investimento è questo, se alla fine il ritorno all’interno del settore economico è questo, allora mi chiedo se sia colpa dei frontalieri, se sia colpa dello stato, o se non vi sia un problema serio di educazione alla domanda”. La tesi sostenuta dal politico ticinese è che, in sintesi, la popolazione da un lato reclama per i disagi e gli effetti negativi dell’immigrazione e della libera circolazione delle persone, ma dall’altro approfitta senza pensarci troppo dei vantaggi delle frontiere aperte e “se ha bisogno di un giardiniere lo va a cercare in Italia…” Le reazioni negative del paese, secondo Abate, si spiegano “perché sostanzialmente è mancata la formazione di una coscienza collettiva all’interno del mercato, per cercare di capire dove effettivamente la libera circolazione rappresenta un’opportunità e dove invece si sarebbe rivelata pericolosa perché non avrebbe più permesso, per una semplice questione di soldi e di opportunità finanziarie, di differenziare tra quello che è già in casa, e paghi per valorizzarlo, rispetto a quello che ti arriva a basso costo dall’estero”. Tale mancata educazione alla domanda avrebbe generato la diffusa insofferenza verso persone che tutto sommato vengono solo per lavorare, esercitano diritti che gli sono conferiti dalle leggi e offrono quanto la domanda richiede. Questo, spiega il nostro interlocutore, “non ha nulla a che vedere con gli abusi, perché le cifre non sono solo quelle legate agli abusi, ci mancherebbe: quelli vanno combattuti in modo veramente decisivo. Ma scremando gli abusi, rimane comunque una presenza

molto importante in questo momento in cui la Svizzera è un paese con il tasso di disoccupazione tra i più bassi d’Europa. Eppure, nella preoccupazione principale degli svizzeri vi è il lavoro”. Il ruolo della politica Ci sono insomma situazioni emotive, di preoccupazione, che si sfogano sul mercato del lavoro dinanzi a persone additate come un pericolo. “Da qui, però, a una forma di generalizzazione anche in ambito di politica dell’asilo e di concessione della cittadinanza, ce ne vuole”. È necessario invece che ogni situazione che riguarda la legislazione sugli stranieri vada distinta. I populisti, però, (“un po’ tutti i partiti, in verità, non solamente la Lega”) “mettono tutto in un calderone. Portano la gente sostanzialmente ad arrabbiarsi ma non ad assumersi determinate responsabilità, e nasce quindi un conflitto tra le istituzioni e il paese reale. E di questo non abbiamo bisogno”. E così, invece di produrre “un’educazione al mercato che potrebbe anche essere interpretata come una forma di protezionismo intelligente”, l’economia approfitta della libera circolazione e non fa nulla per capire cosa c’è dietro a ogni offerta (le difficoltà economico-occupazionali dell’Italia, per esempio). Alla fine, sarà dunque l’economia ad avere un rigetto verso persone che introduce nel mercato del lavoro ma che poi non riesce a integrare? A chi il compito di capire i problemi complessi e sviluppare le strategie adeguate? Per Abate “il rigetto da parte dell’economia deve avvenire a titolo preventivo. Se sono convinto che una persona non è qualitativamente all’altezza delle mie esigenze, non l’assumo. Se sono convinto che un determinato servizio, anche in ambito edile, non è qualitativamente adeguato, non lo ordino”. Tocca allora alla politica fornire delle risposte, dal momento che l’economia, sottolinea Abate, “in una prospettiva liberale si muove in modo abbastanza sciolto e indipendente, ma perde di vista determinati principi”. E tuttavia, la politica non può “commissionare un protezionismo in un sistema liberale, di mercato aperto, che fa la ricchezza del nostro paese. Però può indubbiamente educare la domanda e gli operatori economici a rivolgersi a quello che è il mercato locale”. Lo può fare anche la politica della destra populista? “Da noi il populismo s’incanala sempre in una decisione del sovrano, che ha la possibilità di scegliere in modo oggettivo tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. E fino a oggi tutto sommato in questo ambito le decisioni sono uscite in modo equilibrato”.


Letture Un amore difficile di Eugenio Klueser

Max

Frisch non è stato solo uno dei più grandi scrittori e drammaturghi del novecento. Max Frisch è stato anche l’intellettuale che maggiormente si è chiesto cosa significhi essere svizzeri e quali obiettivi e prospettive ideali debba perseguire una nazione così “particolare”. Il suo è stato un interrogarsi continuo, spesso critico e polemico su una patria in cui faticava a riconoscersi, anno dopo anno, un interrogarsi da “patriota critico”, potremmo dire da innamorato che si strugge per l’amata, come rivela il recente Cercavamo braccia, sono arrivati uomini, volume che raccoglie alcuni suoi scritti, datati tra il 1946 e il 1986. Un quarantennio durante il quale vediamo lo scrittore zurighese guardare alla sua patria, risparmiata dalla catastrofe della seconda guerra mondiale, come a una nazione con un grande compito per il futuro: trasformarsi in uno spazio aperto in cui far emergere idee nuove e una rinnovata concezione dell’umanità e della convivenza civile. Questa prima fase di grandi aspettative lascia poi spazio alla disillusione di fronte

a una Svizzera incapace di ideali e di grandi visioni. Da questo disincanto scaturisce la critica di Frisch, spietata e onesta allo stesso tempo, sanguigna come può essere la reazione di un amato deluso, una critica per un paese senza utopie, pronto a ogni compromesso pur di non rinunciare al benessere e al quieto vivere. Per questa ragione per lo scrittore non rimane alla fine che una sola possibilità, cioè resistere: “Forse alla nostra specie non rimane molto tempo, non ci sarà un altro regno millenario nel mondo. Se la ragione morale non farà breccia, e potrà far breccia solo in virtù della resistenza, temo che non ci sarà un nuovo secolo. Il richiamo alla speranza, oggi, è un richiamo alla resistenza” afferma, infatti, in un discorso tenuto a Soletta nel maggio 1986. Parole pronunciate quasi un trentennio fa che però suonano ancora attuali come attuale è il rapporto dello scrittore con la Svizzera, terra tanto amata quanto criticata, mai però odiata fino in fondo, né tantomeno rinnegata. Come ebbe a scrivere: “Io non odio la Svizzera. Odio la falsità”.

Max Frisch Cercavamo braccia, sono arrivati uomini Armando Dadò editore, 2012

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Il paese sconosciuto La comunicazione occidentale riguardo all’Iran verte spesso su generalizzazioni che non permettono al pubblico di farsi un’idea chiara su una società che è complessa e assai articolata. Ne parliamo con la giornalista e scrittrice Farian Sabahi

di Stefania Briccola; fotografia ©Reza Khatir

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L’Iran non è una nazione disegnata sulla cartina geografica al tempo del Grande Gioco in cui le potenze coloniali spartivano fra loro i domini e i territori extraeuropei, ma un paese che vanta un’identità ben delineata e una continuità storica e culturale. Non è una teocrazia, quanto piuttosto un’oligarchia di ayatollah e pasdaran. Delle sue contraddizioni abbiamo parlato con Farian Sabahi, docente di Storia dei paesi islamici alla Facoltà di Lettere dell’Università di Torino dove tiene un corso sulla storia dell’Iran attraverso il suo cinema. La scrittrice e giornalista ha pubblicato di recente il volume Noi donne di Teheran nella collana i “Corsivi” del Corriere della Sera, disponibile anche in formato e-book all’indirizzo www.corriere.it/ cultura/i-corsivi/farian.shtml Professoressa Sabahi, come vivono oggi le donne a Teheran? Le donne di Teheran hanno uno stile di vita simile al nostro e lo ha messo bene in scena il regista iraniano Asghar Farhadi nel lungometraggio Una separazione: alle prese con famiglia e lavoro, con figli che diventano adolescenti e genitori che invecchiano, le iraniane sono spesso di fretta. La capitale iraniana conta dodici milioni di abitanti e ha un diametro di cinquanta chilometri, il traffico è spesso caotico e ci complica la vita. Per il resto le donne di Teheran vivono in modo diverso in base alla classe sociale di appartenenza: in questo senso il benessere economico permette indubbiamente di superare tante difficoltà a ogni latitudine. Tracciando un bilancio sui diritti della donna in Iran rispetto al resto del mondo islamico mediorientale che cosa risalta? Siamo ancora lontane dall’eguaglianza di genere: la testimonianza di una donna in tribunale vale la metà rispetto a quella di un uomo; se uccise o ferite le nostre famiglie ricevono un

risarcimento pari al cinquanta percento rispetto a un maschio; ereditiamo la metà rispetto ai fratelli e fatichiamo a ottenere il divorzio e la custodia dei figli anche se, come scrivo nel libro, i giudici tendono ad affidare i minori al genitore ritenuto più competente. Il velo è obbligatorio da una trentina d’anni e la censura colpisce tutti, uomini e donne. Nonostante le tante difficoltà, le iraniane godono del diritto di voto dal 1963, prima delle svizzere che lo hanno ottenuto nel 1971. Questo testimonia che il diritto di voto non garantisce, da solo, il rispetto dei diritti e una piena democrazia. Quale identità ha l’Islam in Iran? L’Iran è a maggioranza sciita dal 1501. Una decisione politica, al tempo della dinastia safavide: convertire la popolazione allo sciismo per renderci diversi dal nemico ottomano, sunnita, che preme sulle frontiere occidentali. Rispetto ad altre scuole di pensiero, lo sciismo fa un uso maggiore dell’ijtihad, l’interpretazione razionale, e quindi può dare luogo a posizioni più tolleranti. È il caso del cambio di sesso: nella Repubblica islamica dell’Iran è consentito da una fatwa (decreto religioso) dell’Ayatollah Khomeini e il sistema sanitario rimborsa un quarto delle spese mediche. Ma, al tempo stesso, i diritti degli omosessuali non sono garantiti. Quali diritti hanno le minoranze religiose in Iran? Zoroastriani, ebrei e cristiani sono minoranze riconosciute perché hanno un libro sacro, rispettivamente l’Avesta, la Torah e la Bibbia. Di conseguenza hanno i loro deputati in parlamento, un parlamento che ha più di cent’anni. Possono praticare la loro fede, ma non è loro concesso fare proselitismo. Diversa la condizione della minoranza bahai, perseguitata oggi e, con sfumature differenti, al tempo della dinastia Pahlavi. Dal punto di vista teologico la motivazione spesso addotta è che il profeta dei bahai ha rivelato il suo messaggio dopo Maometto, che a sua volta si era dichiarato “il sigillo dei profeti”, e quindi l’ultimo. (...)


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Farian Sabahi


“La crescente istruzione superiore ha portato a una maggiore emancipazione femminile, anche e soprattutto nel mondo del lavoro (specialmente nei quadri), e questo indispettisce le autorità. Per questo motivo nel 2006 sono state imposte le quote azzurre in certe facoltà e ora alcuni corsi di laurea sono vietati alle donne mentre ad altri sono invece gli uomini a non poter accedere”

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Cosa poco nota è poi il fatto che non siano pienamente garantiti i diritti della minoranza musulmana sunnita, che a Teheran non dispone di moschee. I sunniti rappresentano all’incirca il 9% della popolazione iraniana e spaventano le autorità della Repubblica islamica per l’altissimo tasso di fertilità (circa otto figli a donna). Quanti tipi di matrimonio esistono in Iran? Direi due: il primo per procreare e il secondo, chiamato sigheh e spesso assimilabile alla prostituzione, che è a tempo determinato e ha come obiettivo dare sfogo ai desideri sessuali. Per essere tale il sigheh deve adempiere due condizioni: definire il periodo e quindi la scadenza, e stabilire la cifra che l’uomo verserà alla donna a fronte della sua disponibilità sessuale. Nel sigheh ognuno vive a casa propria, l’unione può restare segreta, ma eventuali figli sono comunque riconosciuti. Oggi in Iran i sigheh sono molto diffusi, soprattutto tra le divorziate, ma anche tra le giovani coppie. Che peso hanno le donne nelle università? Due terzi delle matricole sono donne che si iscrivono nella stragrande maggioranza dei casi a facoltà scientifiche perché con una laurea in Lettere combini poco e tutt’al più vai a fare l’insegnante. La crescente istruzione superiore ha portato a una maggiore emancipazione femminile, anche e soprattutto nel mondo del lavoro (specialmente nei quadri), e questo indispettisce le autorità. Per questo motivo nel 2006 sono state imposte le quote azzurre in certe facoltà e ora alcuni corsi di laurea sono vietati alle donne mentre ad altri sono invece gli uomini a non poter accedere. Che cosa rimane dell’anima dell’antica Persia nella cultura iraniana? Resta la fierezza di un popolo che, sebbene sia stato occupato più volte, non è mai stato colonia. E resta l’amore per la poesia, soprattutto per i versi, talvolta sovversivi, del poeta persiano Hafez.

Come vive la sua identità di iraniana della diaspora e di seconda generazione? Rifiuto le etichette e rivendico identità molteplici: sono iraniana, ma anche azerbaigiana perché mia nonna è di Baku; italiana e piemontese. Proprio per rivendicare questa molteplicità di identità il 18 giugno a Roma, al festival delle letterature di Massenzio, presento il mio inedito sui femminicidi dove protagonista sarà una donna, piemontese. Anche in Iran la rete internet è una terra di libertà? Meno di quanto si possa pensare. Spesso i dati relativi alla rete sono esagerati: nel caso dell’Iran il movimento verde del 2009 non è stata la “rivoluzione di twitter”, come avevano titolato alcuni giornali, perché gli utenti di questo social network nella Repubblica islamica erano poche centinaia. Inoltre sempre più spesso, e non solo in Iran, a usare internet sono anche i regimi. Il cinema al femminile esiste solo fuori dalla censura? Tutt’altro, in Iran esiste una cinematografia tutta al femminile, che osa sfidare la censura e ci riesce. Le pellicole di registe donne sono moltissime, attive da decenni. Pensiamo al lungometraggio Due donne di Tahmineh Milani, un film del 1999 che contrappone due iraniane provenienti da famiglie diverse. In questo, come in altri film a regia femminile, si criticano il maschilismo pervasivo e il sistema patriarcale, mentre vincente è l’amicizia tra donne. Vale anche per Facing mirrors, il recentissimo film, in programmazione al Piccolo Teatro Strehler di Milano il 22 giugno, che racconta la storia di Adineh che vuole sottoporsi alle cure necessarie per diventare uomo, ma il padre le rende la vita impossibile. Un tema scottante, per l’opera prima della regista Negar Azerbaijani che ha girato in Iran con l’aiuto della produttrice Fereshteh Taherpour. Un team tutto al femminile, che è riuscito a sfidare le regole censorie e a portare nelle sale cinematografiche di Teheran un tema controverso.


Problema pubblico Come nascono i problemi pubblici? A Daniel Cefaï si deve un riuscito tentativo di spiegare questo processo attraverso l’analisi delle sue diverse fasi di nascita, generalizzazione e tentativo di soluzione di Andrea Ramani

Nella

letteratura scientifica si considerano “problemi In questa fase si costituisce quella che Daniel Cefaï 2 chiama pubblici” quelle questioni che, per essere risolte, vanno arena pubblica, un luogo metaforico di scontro fra due entità discusse in un contesto istituzionale – sia esso un consiglio portatrici di valori antagonisti che si battono, secondo le comunale, cantonale, federale o tramite un’iniziativa po- regole dettate dalle istituzioni, per cercare di convincere polare – nel quale il pubblico, in toto o tramite rappresen- l’opinione pubblica. Uno scontro in cui i ruoli si definiscotanza, prende una posizione in merito alla risoluzione di no nel suo svolgersi. Chi vuole combattere il problema si fa uno o più problemi. Ripercorrendo la storia di un oggetto paladino della causa aspettando che qualcuno, dichiarandosi di legge si scoprirà così che esso venne considerato proble- contrario o non d’accordo, si elegga a sfidante designato. matico, e quindi da assoggettare alla E come nelle arene dell’antica Roma, il discussione politica, solo a partire da duello non viene sempre combattuto uno specifico momento storico. In da due gladiatori addestrati nell’arte questo caso è giusto domandarsi, per del combattimento; capita a volte che esempio, quando e perché, si decise di si gettino dei cristiani in pasto ai leoni. trasformare in obbligo l’utilizzo delle Questo effetto perverso nella costitu1 cinture di sicurezza . zione di un’arena pubblica si osserva Senza cadere in un relativismo scelleraquando un gruppo viene identificato to, si potrà obiettare che tale legge non come problematico e, al tempo stesso, ha un carattere antropologicamente esso non può partecipare in maniera assoluto: l’imposizione delle cinture paritetica al processo democratico, per di sicurezza non è valida in tutto il mancanza di risorse o per l’assenza di mondo, certi stati non la considerano un portavoce legittimato e capace di affatto una priorità politica. Questo attirare a sé i membri involontari di non significa che ci siano società più un gruppo creato arbitrariamente dai avanzate di altre, ma piuttosto che la contestatori del problema. sensibilità verso questo tipo di questioNell’ultima fase il problema viene riImmagine tratta da curbsideclassic.com ne è differente. solto se la maggioranza dell’opinione Il problema pubblico nasce nella sfera pubblica si schiera a favore del gruppo. privata di uno o più individui che osservano una frattura, In caso contrario, il processo ricomincia, oppure il gruppo generalmente ripetuta, nello svolgersi normale della loro che ha fatto emergere il problema cerca una risoluzione esistenza causata da un elemento di disturbo. Nella fase di attraverso metodi non legittimi, trasformandosi esso stesso gestazione del problema, fondamentale è l’identificazione in un potenziale nuovo problema. della fonte di questo private trouble: è solo dando un etichetta La costruzione sociale dei problemi pubblici rappresenta un alla fonte dell’inquietudine che l’individuo può riuscire a eccellente paradigma della capacità del linguaggio di modificomunicare agli altri il suo malessere nel tentativo di porgli care in maniera reale la vita degli individui. Se un gruppo si rimedio. Per riprendere il nostro esempio, si cominciò a definisce “automobilisti prudenti” quelli che non l’appoggeparlare di obbligo delle cinture di sicurezza quando un certo ranno, anche solo per disinteresse, finiranno direttamente fra numero di persone reputò che il numero di morti sulle strade gli imprudenti o gli incoscienti. Costruire problemi può difosse troppo elevato e per rimediare al problema si pensò ventare così il mezzo per discriminare gruppi scomodi o non che le cinture di sicurezza potessero, in parte, risolvere la tollerati, andando a stravolgere il senso più nobile dell’atto, questione. quello cioè di migliorare la qualità di vita di una società. Sfida lanciata Nella fase di passaggio da private trouble a public issue, e quindi nella generalizzazione del problema pubblico, entrano in gioco due distinti attori sociali: una massa critica d’individui, che attesta il carattere globale, o presente, del problema, e le istituzioni che convalidano la serietà delle rivendicazioni.

note 1 L’esempio citato ha un carattere illustrativo e non vuole mettere in discussione le leggi legate alla sicurezza stradale. 2 Cefaï Daniel “La construction des problèmes publics. Définitions de situations dans des arènes publiques” in Réseaux, 1996, volume 14 n. 75, pp. 43-66.

Mundus 11


S

ono nato il 15 marzo 1982 a Mendrisio e cresciuto a San Pietro di Stabio, in una palazzina molto “tranquilla”, dove peraltro, vivo tuttora. La maggior parte dei miei ricordi di bambino sono legati proprio al mio condominio, abitato da persone e famiglie di ogni cultura. Dopo la scuola media ho cominciato l’apprendistato come spazzacamino, ma a causa di alcune allergie ho dovuto cambiare professione, portando a termine l’apprendistato di selvicoltore. Nel 2004, all’età di 22 anni, durante la scuola per sottufficiali nelle truppe di salvataggio, mi è stato riscontrato un tumore maligno all’osso sacro, e da quel momento la mia vita ha subito un terribile scossone. La malattia mi ha letteralmente cambiato il modo di vivere, ma soprattutto i progetti che avevo per il futuro: se non mi fosse capitato nulla, penso che oggi sarei un soccorritore professionale nelle truppe di salvataggio, invece… Devo però dire che non ho molti rimpianti e, anche se è difficile da credere, questa difficoltà mi ha rafforzato e mi ha insegnato molto, soprattutto ha stimolato in me una nuova energia per provare a me stesso che si può trovare la gioia e la soddisfazione in ciò che si fa anche su una sedia a rotelle. Per esempio, ho sempre sciato, fin da bambino; la mia passione per lo sci è legata all’amore e al rispetto che ho per la montagna. Dopo la malattia e la sua conseguenza, la paraplegia incompleta, avevo bisogno di ristabilire questo legame. Poteva sembrare una cosa impossibile e invece ce l’ho fatta, cominciando a praticare lo scibob e in questo momento, gareggiando, sto cercando di ottenere i punti per la Coppa Europa, primo gradino che poi mi consentirà di partecipare alla Coppa del mondo. Vorrei tanto riuscire a entrare nei top 5, con nel cuore il sogno di partecipare un domani alle Paralimpiadi! Chiaramente tutto questo mi è possibile grazie agli sponsor che credono in me e mi permettono di partecipare a molte gare in Europa, America e Canada. Ho anche un sito internet e, grazie ad esso e ai social network, riesco a tenere aggiornati i miei fans e anche a trovare qualche nuovo sponsor, di cui

sono sempre alla ricerca. Cosa mi spinge? Un grande amore per la vita e il sostegno di tante persone, dalla mia famiglia, agli allenatori e soprattutto agli amici. Il risvegliarmi dopo ogni operazione complessa (ne ho fatte oltre 50!) e vedere tante persone accanto a me, sentire il loro affetto, mi ha sempre trasmesso energia e voglia di vivere al meglio. Grazie proprio a un mio amico, Ivan Schick, presidente e fondatore dell’associazione Espérance (www.esperance-acti.org), ho iniziato a cercare di aiutare persone molto più sfortunate di me. Espérance ACTI è un’associazione umanitaria che ha lo scopo di aiutare i diseredati in Indocina, per lo più nel sud del Vietnam, dove sono stati realizzati progetti di tipo sanitario, d’istruzione scolastica e anche invio di aiuti alimentari. Dal 2000 a oggi siamo riusciti a finanziare la costruzione di 12 scuole/asilo, 1 casa per anziani, 3 infermerie/centri sanitari, 23 ponti in cemento, più di 330 pozzi d’acqua a pompa; abbiamo donato una barca ambulanza, 1100 barche in legno e circa 2000 giare in cemento per la raccolta di acqua piovana in zone dove non è possibile costruire pozzi. In più sono state finanziate 460 operazioni di cataratta e tre operazione a bambini con malformazioni cardiache. In questo momento sono appena cominciati i lavori per una nuova scuola e la realizzazione di ben 180 pozzi d’acqua. Nonostante tutti questi impegni, riesco a coltivare anche degli hobby: sono, per esempio, membro attivo del Gruppo Pescatori della Montagna di Arzo. Con loro mi aggiorno sulle problematiche della pesca in Ticino e porto avanti anche progetti di rinaturalizzazione e d’immissione di pesce nelle acque del Mendrisiotto. E chiaramente pesco! Inoltre, quando ho tempo, mi piace seguire nei vari concerti i miei amici del gruppo musicale The Vad Vuc. L’amicizia ha un grande spazio nella mia vita, è la mia più grande ricchezza, la bussola che mi orienta e mi consente anche tante ore di divertimento.

MUrAT PELIT

Vitae 12

Colto a 22 anni da una patologia che lo ha reso paraplegico, ha trovato la forza di diventare campione di scibob. Impegnato sul piano umanitario, s’interessa anche di pesca e di musica, lasciandosi trasportare dalla magia della vita

testimonianza raccolta da Gaia Grimani fotografia di Flavia Leuenberger


Pa rco Scherrer

IdIllIo a morcote di Roberto Roveda; fotografie ŠReza Khatir


Circa un secolo fa, ai piedi del monte Arbostora, in quel di Morcote, non vi era che un rustico sovrastato da ronchi a vigna e bosco di castagni. Un luogo antico, ma abbandonato che Arthur Scherrer trasformò nel corso degli anni nel suo personale “Giardino delle meraviglie”

I

mprovvisamente, varcata la soglia del parco, le coordinate spazio-temporali si fanno meno certe, quasi evanescenti di fronte al susseguirsi degli scenari diversi che si parano di fronte. Una casa siamese, un tempio egizio, fontane romane e sculture di elefanti di chiara fattura indiana. Perfino la riproduzione, in scala ridotta dell’Eretteo con le sue Cariatidi in bella vista. Facile farsi prendere dalla sensazione di essere nei teatri di posa della Metro Goldwyn Mayer o della Fox, facile ritrovare quell’atmosfera allo stesso tempo intrisa di esotismo, lusso e gusto un poco pacchiano da Hollywood

dei tempi d’oro. E tra fauni, ninfe, leoni e Sibille immobili nelle loro pose di pietra – ma per quanto?, viene da chiedersi, osservando l’irrealtà che ci circonda – è facile illudersi che da una scalinata scenda Bette Davies o Clark Gable in sahariana da esploratore d’antan. Gioco di illusioni Certo a fornire qualche punto di riferimento c’è comunque il lago, sotto di noi, e il panorama attorno che ci dice che di fronte ci sono il golfo italiano del Ceresio, le colline del Varesotto e la pianura padana. Perché anche


sopra: veduta del lago dalla Palazzina indiana; in apertura: Eretteo, secondo tempio dell’Acropoli di Atene (in scala 1:4)

il clima confonde e confondono i colori della flora e gli odori che giungono da tutto intorno. Questo angolo di terra bagnato dal lago e chiamato Morcote gode, infatti, di una mitezza particolare e assai invidiata, un microclima che pare aver bandito i venti freddi del nord, così da consentire a piante tropicali e subtropicali di esprimersi al meglio. Il concerto visivo e olfattivo regalato dal Parco Scherrer, quindi, comprende palme, camelie, glicini, oleandri, cedri, eucalipti, magnolie, azalee, arance, limoni e bambù. Un vero giardino delle meraviglie botaniche all’interno del quale Arthur Scherrer tra il 1930 e il 1956

ha “ammassato” i ricordi, le testimonianze e i souvenir dei suoi tanti viaggi in Oriente e nel Mediterraneo. Solo che spesso Scherrer non si accontentava di una stampa con vista oppure della classica riproduzione miniaturizzata. Questo sangallese, che era diventato qualcuno confezionando abiti, scelse la via di ricreare nel suo parco gli ambienti e le architetture che aveva conosciuto durante i viaggi. E così, alle pendici del monte Arbostora, ritroviamo le simmetrie e gli effetti geometrici e prospettici tipici dello stile rinascimentale italiano, effetti applicati ai giardini in modo da farli apparire al visitatore più ampi


Fontana romana


e variegati. Allo stesso modo salendo di pianoro in pianoro ci troviamo di fronte alla compostezza del mondo classico greco e romano e siamo sorvegliati da statue di Venere, Ercole, Giunone e Giove che vigilano fra gruppi di azalee, mentre ancora più in alto si trova il famoso Eretteo. Una ricerca primigenia Ma proprio quando pensiamo di trovarci davvero nella Grecia antica, ecco che costeggiando aceri e canne di bambù ci troviamo davanti una casa del tè in stile giapponese, la statua di Buddha e un serpente dalla chiare fattezze orientaleggianti. In un attimo, quasi senza accorgercene, abbiamo scavalcato i continenti e l’Occidente mediterraneo ha lasciato il posto all’Oriente, vicino e lontano. Un Oriente, che per Scherrer, significava prima di tutto l’antico Egitto dei Faraoni. Ed ecco, infatti, la riproduzione fedele di un tempio egizio di 3500 anni fa, dedicato a Nefertiti la regina d’Egitto che assieme al marito Akhenaton cercò di imporre alla terra del Nilo il culto del Sole. Proprio l’emblema dell’astro più importante ritorna in maniera ossessiva in questa zona del parco, quasi a indicare una vera e propria venerazione da parte di Scherrer. Un culto per ciò che è luce, calore, vita che è in fondo il messaggio che sottotraccia attraversa tutta la creazione di questo imprenditore-creatore sangallese. Quasi che in quest’uomo, figlio del positivismo e dell’Occidente più moderno, vi fosse una costante ricerca di un nume tutelare, di una divinità allo stesso tempo intoccabile e presentissima come solo il disco solare può essere. Una ricerca primigenia da uomo delle origini che invoca insistentemente protezione in qualcosa di più grande di lui. Quel qualcosa Scherrer deve averlo trovato nell’Oriente, che in fondo non è che un altro nome del Sole. E proprio tutto ciò che sa di “levante” sembra aver accesso le fantasie e il desiderio creativo del padrone di casa. Lo vediamo nella tipica casa araba che incontriamo poco dopo, rimasta incompiuta, ma comunque in grado di suscitare emozioni con le sue fantasie di colori, mentre attorno si addensano canfore profumate, yucche, palme di San Pietro, altissime araucarie. Avvertiamo ancora di più questa attrazione verso est e verso tutto ciò che sa di esotismo negli ambienti dedicati all’India e a tutto il mondo del sud-est asiatico che chiudono il nostro viaggio nel tempo e nello spazio racchiusi nel parco Scherrer. Spazio e tempo che qui appaiono effimeri, dilatati, sospesi fino a che il Sole, sempre Lui, scomparendo all’orizzonte non ci riporta al semplice scorrere dei nostri attimi, ai luoghi conosciuti della nostra esistenza. sopra: la Casa araba; sotto: il Tempietto di Nefertiti

per informazioni e visite: Parco Scherrer Tel. 0041 91 996 21 25 municipio@morcote.ch morcote.ch

Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. khatir.com


Il re cerca moglie di Fabio Martini; illustrazioni di Simona Giacomini

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’era una volta, tanto, ma tanto tempo fa, un re. Efi fin n qui nulla di nuovo, direte voi. Questo re, che di nome faceva Etelvaldo, aveva tre figli: figli: due femmine e un maschio destinato, come principe ereditario, a diventare un giorno il signore di quelle terre. Una mattina, dopo una notte insonne e agitata, Etelvaldo chiamò a sé il principe: “Figliolo”, gli disse, “io sono molto vecchio e le tue sorelle stanno per giungere all’età da marito ed è ora che ne trovino uno degno. Ma dato che non voglio che girino per casa conti, duchi o baroni, ti affaccerai alla finestra e i primi due che passano per la via diventeranno i loro sposi. E non importa che siano cavalieri, mercanti o contadini”. “Ma padre, siete certo della vostra decisione?”, chiese il principe assai sorpreso per quella richiesta. “Ci mancherebbe… la corona, almeno per ora, sta sulla mia testa”. E così il principe, un po’ confuso, visto che la maggiore delle sue sorelle compiva i diciotto anni proprio quel giorno, si avvicinò alla finestra. In quel momento passava per strada un cacciatore. “Ehilà, buonuomo, fermatevi”, disse il principe, “ho urgente bisogno di parlarvi”. “Maestà, certo che mi fermo. Cercate forse qualcuno che vi aiuti nella caccia?” “No, ma sarete voi a prendere in moglie la principessa maggiore, perché questo è il volere del re”. Il cacciatore si inchinò a terra e il giorno dopo furono celebrate le nozze. L’anno successivo compiva gli anni la più piccina e anche questa volta il principe si affacciò alla finestra. Proprio in quel frangente passava di lì un beccamorto tutto vestito di nero e con tanto di

cilindro. A malincuore, perché alla sorella minore egli voleva un gran bene, il principe lo chiamò. “Ehi, voi, laggiù”. Il beccamorto alzò lo sguardo e scorto il principe si inchinò a terra. “Che avete da dirmi signor principe? Per caso una disgrazia ha colpito la vostra santa famiglia?” “Beh, in un certo senso è così… Comunque, domani sposerete la mia sorella più piccina”. E così infatti avvenne. Qualche tempo dopo morì il vecchio re Etelvaldo. Impegnato com’era a trattare gli affari di stato il nuovo giovane sovrano non aveva tempo di maritarsi. Un bel giorno gli venne però un’idea: “E se facessi come le mie sorelle… mi affacciassi alla finestra e la prima che passa la pigliassi in moglie? Loro sono felici dei mariti che han trovato…”. E così, senza indugio corse alla finestra. La strada era deserta ma qualche istante dopo transitò per la via una carrozza tutta nera, condotta da un tiro a quattro di cavalli tutti neri e guidata da un uomo nero col volto mascherato. Il giovane re fece in tempo a vedere dietro il finestrino una fanciulla di una bellezza indescrivibile: il viso candido, le labbra rosse, gli occhi ardenti ma velati da una grande tristezza lo catturarono all’istante. Tentò di aprir bocca ma la carrozza era già scomparsa dietro una curva. Chiamò subito le guardie che si misero all’inseguimento della misteriosa fanciulla, ma dopo qualche giorno tornarono a mani vuote. “Possibile che non siate riusciti a raggiungerla!”, esclamò infuriato il re, “con quello che spendo per mantenere i vostri cavalli…”. “Mio signore,” si fece avanti il capo delle guar-


die, “quella era una carrozza magica… più ci avvicinavamo e più sembrava lontana. Ma abbiamo saputo che appartiene all’orco di Wurt, una specie di mostro che vive chiuso nella sua fortezza fra i monti”. Quella sera il re raccontò cosa era accaduto alle sue sorelle che senza perdersi d’animo gli dissero: “Chiama i nostri mariti e insieme andate alla fortezza. Vedrai che con il loro aiuto riuscirai a liberare la fanciulla”. La mattina seguente il re e i suoi due cognati, il cacciatore e il beccamorto – ognuno con i propri strumenti del mestiere –, si misero in cammino. Dopo due settimane giunsero in vista della fortezza circondata da un profondo fossato colmo d’acqua nera come la pece: un luogo desolato e senza vita, sul quale volteggiavano i corvi. “Io ho un’idea”, disse il beccamorto, “qui tutto è nero e tetro come la morte e io con la morte ci lavoro tutti i giorni. Mi presenterò all’orco offrendo i miei servigi di becchino che di certo non rifiuterà e poi vedrò che fare”. E così, mentre gli altri due se ne stavano nascosti dietro un cespuglio, lui, tutto vestito di nero con il suo cilindro in testa, bussò al portone della fortezza. Dopo qualche istante, cigolando lugubremente, fu calato il ponte levatoio che, una volta entrato il beccamorto, si rialzò impedendo a chiunque di penetrare all’interno. Il beccamorto si ritrovò in un grande salone in fondo al quale, su una specie di trono fatto di ossa umane, stava seduto l’orco. “Con che coraggio hai osato entrare, uomo?”, tuonò con voce orrenda il mostro. “Con il coraggio di chi la morte la conosce come le sue tasche”, rispose il beccamorto. “Io sono il migliore a costruire bare e certo presso di voi ci sarà un bel daffare. Che ne dite di metterci in società?”. L’orco ci pensò un po’ e dato che quell’ometto tutto nero e pieno di coraggio gli stava simpatico, rispose: “Perché no! Voi mi piacete, nero come siete”.

“Allora mi metto subito all’opera. Che volete che faccia?” “Fatemi una bella bara dove io possa andare a riposare quando sono stanco o troppo sazio” “Va bene, ma dovete lasciarmi prendere le misure altrimenti potrebbe risultare troppo piccola o troppo grande per voi. Stendetevi qui davanti al trono, per favore”, propose il beccamorto estraendo dalla tasca un metro. Una volta prese le misure di quell’orribile bestione, l’uomo si mise all’opera e in quattro e quattrotto la bara era pronta. “Che ne dite? Non è una bella bara? Guardate che cuscini morbidi ci ho messo dentro… Ora però dovete provarla… per vedere se vi va bene”. L’orco, che di cervello non ne aveva un granché, si stese nella bara e il beccamorto in un baleno chiuse il coperchio e veloce come un lampo lo inchiodò in modo che il mostro, che urlava come un ossesso, non potesse più uscire. Poi chiamò da una finestra i suoi amici: “L’ho preso, l’ho preso!!!”. “Allora facci entrare”, chiese il re impaziente. Una volta all’interno della fortezza si misero a cercare in tutte le stanze finché nella torre più alta, imprigionata dietro una porta di ferro, trovarono la principessa. “Voi siete la fanciulla che vidi tempo fa passare davanti alla mia reggia. Sono venuto a liberarvi per far di voi la mia regina”. A quelle parole la ragazza scoppiò in lacrime per la gioia. Una volta usciti all’esterno i corvi, aizzati dalle urla disperate dell’orco chiuso nella bara, si gettarono sulla compagnia in fuga ma il cacciatore, svelto, lanciò le sue reti rendendoli inoffensivi. Giunti alla reggia, dopo un lungo cammino, fu celebrato un fastoso matrimonio e da quel giorno il beccamorto e il cacciatore divennero i più fi dati consigliefidati ri del re. E naturalmente, come in tutte le fi abe, fiabe, vissero tutti felici e contenti… così almeno mi fu narrato tempo fa da un vecchio contadino che di quei fatti fu diretto testimone.

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Il luogo piÚ intimo Tendenze p. 44 – 45 | di Keri Gonzato

In nessun altro luogo, come il bagno, ci mostriamo in tutta la nostra nuda e cruda natura. Soltanto lĂŹ, fra le classiche quattro pareti piastrellate, ci sentiamo finalmente liberi


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a magia del bagno risiede nel riuscire a farci sentire riparati dai giudizi del mondo. Come dei clown che, scesi dal palco, passano al camerino per ritrovare la propria identità originaria così noi, dopo una giornata di lavoro o di studio, entriamo in bagno e ci trasformiamo in chi davvero siamo: rospi o principi. È lì che la sera ci strucchiamo, ci spogliamo degli abiti di scena, sciogliamo i capelli per trovarci di fronte alla nostra selvatica verità. Davanti a quello specchio, per la prima volta da quando abbiamo lasciato questo singolare “camerino” in mattinata, ci vediamo così come siamo. Per taluni, levarsi queste maschere rappresenta una goduriosa, selvaggia e totale liberazione. Per altri, si tratta di un momento difficile e sofferto in cui bisogna far fronte, non al giudizio degli altri ma al proprio, che spesso è il più crudele. Sta in agguato nel riflesso dello specchio: “hai messo su un altro chilo”, “guarda quella ruga che è appena spuntata”, “uh che aria sciupata hai oggi”, e così via, a suon di colpi bassi. Stare di fronte alla versione di se stessi, spogliata di ogni artificio, e amarsi è per molti di noi un’arte da perfezionare. La natura non perdona Tolto trucco e parrucco, arriva la parte più gratificante: il rito purificatorio dell’acqua e del sapone. Tutto inizia con la miscela sapiente dell’acqua fredda che, assieme alla calda, forma la temperatura perfetta, e poi ci si butta sotto quella cascata sacra e accogliente chiamata doccia. Chi ha il lusso del tempo si concederà alla conca tondeggiante conosciuta dai più come vasca da bagno. In questi ambienti caldi e accoglienti come il grembo di madre natura, ci abbandoniamo e lasciamo che i flutti dell’acqua lavino via le fatiche della giornata, i brutti ricordi, le emozioni, le tensioni. Se il rituale è eseguito alla perfezione, con tanto di oli essenziali, ne usciamo born again: rinati! Ognuno poi ha il suo stile. C’è chi è felice con una doccia alla Flash Gordon, chi passerebbe tutto il giorno sotto l’acqua a cantare e chi si dedica alla cura del corpo fra una serie infinita di flaconi colorati. Una campagna brasiliana usata poco tempo fa per sensibilizzare la popolazione sul consumo dell’acqua lanciava invece un invito peperino: fate

la doccia in compagnia! Ma tra queste fatidiche quattro mura non tutto è lindo e profumato… Proprio qua, in quello che più che un cabinet de beauté vittoriano per l’occasione diventa una latrina, abbiamo finalmente il permesso di lasciarci andare ad atti che il bon ton preferisce censurare. L’uomo è però un animale e, come tutte le bestiole, deve anche poter svolgere regolarmente le sue funzioni fisiche personali. E quindi aria alle trombe, giù i pantaloni e via con il concerto: che liberazione! Sì perché, per davvero, al gabinetto siamo liberi di essere a 360° con il dolby-surround. Pensieri, sogni e visioni In questa stanza ci sono poi persone che, trovando un riparo dal frastuono del mondo, leggono, pensano e sognano e, talvolta, vivono inaspettate illuminazioni. La sala da bagno è quindi un luogo che, seppur trascurato da letteratura e musica che lo considerano poco poetico, è di cruciale e salvifica importanza per ognuno di noi. Da quel frangente della psicanalisi che studia i sogni giunge un’interpretazione interessante che ne svela un aspetto simbolico. Per lo psicologo junghiano Giorgio Giorgi, sognare di trovare un bagno occupato potrebbe voler dire che in questo momento ci manca uno spazio intimo e libero, dove stare in pace con noi stessi e fare le nostre cose naturali. E siccome al sogno corrisponde la realtà, ecco svelato il mistero degli adolescenti che passano ore in bagno: è l’unico angolo della casa, in cui riescono a trovare la libertà di cui hanno fondamentale bisogno per metabolizzare la propria crescita. Concludo questo viaggio semi-serio con un tuffo nella vasca da bagno della mia infanzia quando, l’atto banale e quotidiano del lavarsi si trasformava in un viaggio magico: immergendo la testa sotto l’acqua calda della vasca, che si trovava in un’oblunga sala da bagno ricoperta di piastrelle nere e bianche, la mia vita si trasformava in quella di una sommozzatrice. Sondando gli abissi blu dell’oceano incontravo balene, sirene, squali, pesci parlanti, relitti e tritoni. Insomma, oltre alle funzioni naturali (e non è poco), c’è molto di più! La sala da bagno, un luogo snobbato e sottovalutato dai più, ha in realtà un fondamentale ruolo sociale e un potenziale magico…


La domanda della settimana

Al quesito “Un eventuale raddoppio del traforo autostradale del San Gottardo (con due corsie per direzione di marcia) aggraverebbe la già caotica situazione viaria nel Sottoceneri?” avete risposto:

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 27 giugno. I risultati appariranno sul numero 26 di Ticinosette.

SI

73%

NO

27%

Siete favorevoli all’uso della sigaretta elettronica nei luoghi pubblici o sul posto di lavoro?

Svaghi 46

Astri ariete Malumori all’interno dei rapporti familiari. Condividete di più le vostre emozioni con il partner. Viaggi e incontri a partire dal 27 giugno.

toro State per riaffrontare un progetto lasciato in sospeso. Impegnatevi nelle relazioni familiari. Vita sentimentale alla grande con ritorni di fiamma.

gemelli Non sprecate il sostegno di Giove. Date spazio ai desideri senza preoccuparvi del domani. Vivete l’istante. Successi e promozioni.

cancro Giove fa il suo ingresso. Se volete approfittare del compleanno per vivere qualcosa di incredibile… fatelo. Matrimoni e ritorni di fiamma.

leone Incremento delle attività intellettuali. Promozioni, incontri sociali e nuove idee. Risoluzione di una questione professionale. Bene il 23 giugno.

vergine Atteggiamenti bi-polari. Puntate di più sugli obiettivi del cuore. Rimanete liberi dai condizionamenti sociali. Praticate sport.

bilancia Giove apre una nuova fase astrale. Cambiamenti in famiglia. Possibili vertenze legali in ordine alla gestione di una eredità. Possibile trasloco.

scorpione Crescita finanziaria per i nati nella prima decade. Eros in aumento per i nati nella terza decade. Ritorni di fiamma. Venere è con voi fino al 27.

sagittario L’estate inizia alla grande per i nati in novembre. Rivoluzione per i nati nella terza decade. Tra il 25 e il 27 giugno transito lunare favorevole.

capricorno Dedicatevi agli obiettivi del vostro cuore. Cambiamenti familiari per i nati nella prima decade. Scegliete in armonia con i vostri desideri.

acquario Approfittate del transito lunare del 25/27 giugno per compiere qualcosa di importante. Energia creativa per i nati nella seconda decade.

pesci A partire dal 27 giugno meraviglioso trigono d’acqua. Siete pronti a un salto evolutivo. Fortunati i luoghi vicino all’acqua. Colpi di fulmine.


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La soluzione verrà pubblicata sul numero 27

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 27 giugno e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 25 giu. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna! Orizzontali 1. Essere florido, progredire • 10. Velivoli • 11. Il dio greco della guerra • 12. Sottili lastre d’acciaio • 14. Ebbe la moglie tramutata in statua di sale • 15. La somma degli anni • 16. Voti scolastici • 17. Solo... a metà • 18. Precede Vegas • 19. Vettura inglese • 21. Una sigla dell’enologo • 22. Un’incognita • 23. Cattivo • 25. Ne ha uno solo Polifemo • 28. Egri • 30. Dispositivo elettronico a due elettrodi •31. Agnese a Madrid • 33. Preposizione semplice • 34. Si contrappone al catodo • 35. Spostato circolarmente • 37. Stella del cinema • 38. Canicola • 40. Abitazione, dimora • 42. Un disinfettante • 44. Palpita • 45. Un colpo all’uscio • 46. Consonanti in Luisa • 47. Una dolce... casa • 49. Il bel Delon • 50. Dittongo in pietra. Verticali 1. Vi si allena il free climber • 2. Crimine • 3. Impronta • 4. Mezza dozzina • 5. Guglia, cuspide • 6. Mezza rata • 7. Una maschera variopinta • 8. Paga il fio • 9. La moglie di Assuero • 13. La dea greca dell’aurora • 18. I confini di Locarno • 20. Dei nordici • 21. È ai piedi del Sempione • 22. Architetto greco • 24. Profondi, intimi • 26. Il Calcio del chimico • 27. Lo rode il cane • 29. Abituarsi, adeguarsi • 32. Immobili, case • 34. Oscuri • 36. Alcoolisti Anonimi • 38. Un bello dell’Olimpo • 39. Dittongo in Paolo • 41. Austria e Uruguay • 43. Vasi panciuti • 48. Cuor di cane.

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Soluzioni n. 23

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La soluzione del Concorso apparso il 7 giugno è: TRASPORTO A causa di un errore nel cruciverba, di cui ci scusiamo, sono state incluse nel sorteggio anche le persone che hanno indicato come parola chiave: TRASRORTO La vincitrice di questa settimana è: Gilomena Modesti via Molinazzo 7 6517 Arbedo A cui facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: 2 buoni del valore di 50.– CHF l’uno per l’acquisto di biglietti per eventi FFS Le Ferrovie federali svizzere offrono due buoni del valore di 50.– CHF per l’acquisto di biglietti per eventi a un fortunato vincitore da scontare presso una stazione FFS in Svizzera. Ulteriori informazioni su ffs.ch

La stazione FFS: il punto di prevendita di biglietti per eventi I biglietti per concerti, party, eventi sportivi e numerose altre manifestazioni sono disponibili presso circa 200 punti di prevendita nelle stazioni FFS. L’assortimento comprende tutte le manifestazioni di Ticketcorner, Starticket, Ticketportal e biglietteria.ch. Nelle maggiori stazioni FFS i punti di prevendita sono aperti anche nel fine settimana. Per raggiungere in tutta rapidità e comodità la sede dell’evento, vi consigliamo di prendere il treno. Ulteriori informazioni sono a disposizione su ffs.ch/events. Buon divertimento!

Svaghi 47


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