№ 28 del 12 luglio 2013 · con Teleradio dal 14 al 20 lug.
spazi occupaTi
in Ticino si continua a costruire molto, in modo confuso e con scarsa pianificazione. Ma il territorio non è una risorsa infinita
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Ticinosette n. 28 del 12 luglio 2013
Media Televisione e web. Reputescion
Impressum Tiratura controllata 68’049 copie
Chiusura redazionale Venerdì 5 luglio
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Nicoletta BarazzoNi ...............
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aNdrea ramaNi ..........................................
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Agorà Territorio e pianificazione. Mani sui quartieri di
di
alBa miNadeo; illustrazioNe di rachele masetti ........................
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marco JeitziNer ..............................................................
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marwaN BassiouNi/Phovea ...............
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marisa gorza .....................................................
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Svaghi ....................................................................................................................
46
Fiabe L’albero libro
di
Vitae Flavia Brühlmann
di
Reportage Benghazi Hotel
testo e fotografie di
Tendenze Surf. Onda su onda
di
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
Stampa
(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Agno. Campo di aviazione (Vincenzo Vicari, imm. ant. 1988) ©Archivio di Stato, Bellinzona
“Poveri ladri...” o poveri noi? Negli scorsi giorni una gentile signora di Coldrerio ha preso contatto con la Redazione, contrariata per l’articolo “Poveri ladri...?” apparso su Ticinosette n. 26 dello scorso giugno. I suoi appunti concernono alcuni termini e concetti presenti nello scritto e che, a suo parere, sembrano in qualche modo “giustificare” atti criminali ai danni del patrimonio, perché commessi (a volte) da disperati provenienti da paesi e regioni tendenzialmente povere. Ma la lettrice intravede pure una sorta di accusa che il giornalista muoverebbe nei confronti di abitudini poco “furbe” e accorte da parte di molti ticinesi (lasciare porte e finestre aperte quando si esce di casa, le chiavi sotto lo zerbino o nella buca delle lettere, oggetti di valore in vista, a casa o nell’automobile ecc.). Questi ultimi sono, tra l’altro, i comportamenti che le autorità di polizia evidenziano nei loro comunicati come “pericolosi”, tutte le volte che ondate di furti fanno la loro comparsa nella nostra regione. Atti criminosi che avvengono oggi così come accadevano in passato per la verità, anche se le cronache più recenti mostrano che in periodi di crisi profonda si ruba veramente di tutto. L’arrabbiatura e un certo risentimento della signora di Coldrerio hanno un loro perché: sia lei sia uno stretto familiare negli scorsi mesi hanno dovuto fare i conti con le solite “mani leste”, eventi che hanno – e non poteva essere altrimenti – minato il senso di sicurezza e di protezione che, almeno in casa propria, tutti dovrebbero poter vivere. Le ragioni e le osservazioni della nostra
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lettrice sono dunque mosse da un evento traumatico che, come avviene per tutti, ferendoci nel profondo porta a leggere parole e considerazioni generali come attacchi e/o accuse personali. Ma l’articolo in questione ha ben altre mire e certo non intende esaltare i nuovi Robin Hood (“rubare ai ricchi per ridare ai poveri”), eroi e castigatori dei benestanti ticinesi. Si mette piuttosto in evidenza come questo cantone – e il resto della Confederazione – sono oggi delle isole felici in un contesto europeo quantomeno “problematico”… Senza considerare quanto sta avvenendo in molti paesi del Mediterraneo (si veda il Reportage a pag. 37). Si badi bene, l’agiatezza che una buona parte dei nostri concittadini vive se l’è guadagnata lavorando e risparmiando, e potendolo fare perché avevano o hanno un’attività professionale in un contesto economico-politico favorevole; ma di fronte a questa evidente disparità rispetto a paesi a noi vicini, i nostri comportamenti non possono più essere quelli di pochi anni fa. Oggi la pressione alle frontiere è forte e continuerà a crescere: vi sono stati e regioni dell’UE dove la disoccupazione giovanile ha toccato il 50% e la fuga verso le “isole felici” (la Germania, per esempio) ricorda i grandi esodi degli anni sessanta/settanta. Il problema semmai è che la Svizzera di oggi non è più il paese in forte crescita di quei decenni. E certo le eventuali “colpe” di un mondo in profondo cambiamento e segnato da grandi disparità (non solo economiche) credo non siano da attribuire alla stampa. Buona lettura, Giancarlo Fornasier
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Mani sui quartieri Sostenibilità. Nonostante perduri la tendenza a considerare il territorio come un ambito elettivo al dilagare della speculazione edilizia indiscriminata (e il Ticino continua a dare pessimi esempi sotto questo profilo), si stanno sviluppando nuove sensibilità grazie anche a soluzioni tecniche innovative ed ecocompatibili e a un approccio “etico” al costruire. Ne abbiamo parlato con l’architetto e docente Massimo Mobiglia di Nicoletta Barazzoni
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na nuova cultura urbana1 si sta imponendo attraverso un’attenta valutazione del contesto sociale, della morfologia del territorio e del suo metabolismo. Considerando in particolare l’osmosi tecnologica, i cambiamenti che riguardano le nuove identità geografiche, costituite da cittadini sempre più eterogenei e da flussi migratori che stanno diventando una costante, l’approccio si basa sul governo del territorio anche a livello di ecosistema. Anche se il progresso urbano sembra essere sempre più orientato alla filosofia del fare soldi e alla speculazione edilizia 2. Quando si parla di traffico, insediamenti urbani e nuove configurazioni territoriali si sente evocare, soprattutto dai politici, termini quali attrattività, competitività, efficienza che appartengono al linguaggio economico, non considerando invece con la stessa risonanza la città anche dal profilo qualitativo. L’incremento delle aree edificabili dovrebbe includere la questione morale di una città intesa come insieme di individui che condividono lo stesso spazio pubblico con affinità socioculturali, perché il carattere di uno spazio urbano dev’essere identitario, e in particolar modo difeso come quando si difende un’opera letteraria o artistica. Inoltre abitare e muoversi in uno spazio significa prima di tutto vivere nel vero senso della parola. Il mondo secondo Riccardo Putrella, economista e politologo docente all’Accademia di Architettura di Mendrisio, è il luogo dell’abitare degli abitanti, elemento centrale di un patto comune e sociale. La dimensione della popolazione, preconizzata dagli esperti, per esempio per tutta la zona del luganese, prevede un futuro urbano che toccherà una densità di 157mila abitanti in pochi anni. Con l’architetto Massimo Mobiglia parliamo di cultura urbana e di quartieri sostenibili, ideati con un nuovo approccio. Mobiglia, ricercatore e docente alla SUPSI, è specialista Minergie (l’etichetta di qualità per edifici nuovi e rimodernati), ed esperto del Certificato energetico cantonale (CECE) nonché consulente dei Quartieri sostenibili3. Arch. Mobiglia, quali le responsabilità e compiti dei pianificatori e degli urbanisti?
Nel nostro territorio ticinese vediamo un’eredità lasciata sia dai politici sia dagli urbanisti e dai pianificatori del territorio. La maggior parte dei piani regolatori sono stati ideati e messi in vigore più di trent’anni fa, con una visione completamente differente: il suolo non era ritenuto un bene, una risorsa così preziosa. Caratteristica di questo periodo è perciò l’edificazione diffusa: nel concreto il tipico quartiere con case unifamiliari. Al giorno d’oggi un’organizzazione del territorio deve garantirne l’utilizzo parsimonioso in quanto è la risorsa più rara esistente in Svizzera. Il compito attuale dei pianificatori e degli urbanisti è difficoltoso poiché essi devono, in collaborazione con tutti i portatori d’interesse, aggiornare la visione della gestione del suolo. Osservando certi spazi abitativi e insediamenti si ha l’impressione che ci sia un’incapacità nel prefigurare una città che sappia integrare anche l’aspetto qualitativo? Una pianificazione che prevede, per esempio, una divisione del suolo a comparti monofunzionali, come la zona residenziale in cui è permesso unicamente abitare, o la zona industriale dove sono possibili solo attività industriali, si rivela un grosso ostacolo per promuovere qualità del territorio. Si genera in questo modo un’elevata “ghettizzazione” che è sinonimo di bassa qualità. Prefigurare una città con aspetti qualitativi significa creare spazi pubblici di incontro, zone con più utilizzi, in modo che vi sia un percorso breve per andare al lavoro; significa fare in modo che il quartiere in cui si lavora non si svuoti alla sera. In sintesi, un buon mix funzionale è un presupposto importante per prefigurare una città con un aspetto qualitativo elevato. Vi sono inoltre molti altri fattori che favoriscono una elevata qualità di vita urbana. La trasformazione urbana è spesso in relazione alla speculazione edilizia? La trasformazione del territorio è purtroppo vittima di pressioni della speculazione, ciò che avviene anche al di fuori del nostro territorio. Il coinvolgimento di tutti i portatori d’interesse, in maniera partecipativa, è sicuramente un’opportunità per migliorare il processo. E qui mi riferisco anche
Lugano. Cornaredo, il Cassarate e parte dell’attuale quartiere di Pregassona (Vincenzo Vicari, novembre 1951; ©Archivio di Stato, Bellinzona)
alla popolazione, che abbia partecipazione attiva e porti il proprio consenso, prima di iniziare la trasformazione del territorio. Tutte le parti coinvolte, popolazione, amministratori, finanziatori, proprietari, realizzatori, si devono sedere allo stesso tavolo per trovare la soluzione in modo partecipato, che si rivelerà la soluzione migliore per tutti. Un buon risultato anche dal punto di vista economico, dovrebbe sensibilizzare gli speculatori sulle opportunità di questo modo di procedere. Essi si dovrebbero trasformare in una realtà che interpreti i desideri della popolazione, proponendo quindi un prodotto facilmente commerciabile e vendibile. Ci vuole dunque maggiore trasparenza? Anziché di mancanza di trasparenza io parlerei di consenso e partecipazione insufficienti. Molte ditte coinvolte nella speculazione edilizia perpetrano un modus operandi acquisito e per loro assodato. Se fossero coinvolti tutti i portatori d’interesse, quindi anche la popolazione, per capire quale possa essere il prodotto migliore da vendere, i promotori riuscirebbero a raggiungere un riscontro economico ancora più interessante. Spartirsi la torta in materia di appalti è il mestiere più vecchio del mondo. È possibile cambiare mentalità? Il percorso partecipativo e il coinvolgimento dei portatori d’interesse, l’informazione delle parti su ciò che si intende fare, portano verso un’apertura che inevitabilmente significa cambiamento del modo di operare. Trasparenza e partecipazione
vanno a braccetto, perché le parti devono decidere insieme. In futuro il suolo dev’essere gestito in maniera coordinata, non c’è altra scelta, e ciò attraverso la partecipazione. Un quartiere pianificato con i principi della sostenibilità, quindi coinvolgendo le parti, viene commercializzato con più facilità. Modificare il modo di operare presuppone un cambio di paradigma. La densità è sinonimo di scarsa qualità ed è nemica della sostenibilità? Suddividendo la sostenibilità nelle sue tre dimensioni si può dire che di principio un’alta densità è un buon indicatore dal punto di vista ambientale, perché riduce i consumi e inoltre è un ottimo indicatore economico poiché permette di contenere i costi. Dal punto di vista sociale è più delicato; il criterio sociale è quello che deve essere controllato al meglio per evitare che l’alta densità si trasformi in una edificazione a tappeto la quale non porta nessuna qualità, anzi. Un’edificazione densa ma che garantisce sufficienti spazi sociali per gli incontri e i contatti, e sufficienti spazi verdi, raggiunge un’alta qualità a condizione che questi spazi siano fruibili da tutti. L’alta densità di un comparto dev’essere ben controllata, per raggiungere buoni risultati contemporaneamente sia dal punto di vista ambientale, economico e sociale. L’abitare del futuro presuppone di ritornare a un addensamento dal momento che le risorse a disposizione sono rare. La cultura dell’abitare legata allo stereotipo della casa isolata non aiuta a comprendere. (...)
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Brè. Veduta panoramica sul lago di Lugano, in secondo piano il San Salvatore (Vincenzo Vicari, 1950–1975; ©Archivio di Stato, Bellinzona)
Parliamo ora del progetto “Quartieri sostenibili by Sméo”… È un progetto promosso congiuntamente dall’Ufficio Federale dello Sviluppo Territoriale (ARE) e dall’Ufficio Federale dell’Energia (UFE). Iniziato nel 2007, monitorando una serie di quartieri pilota su tutto il territorio svizzero, ha avuto come primo risultato concreto l’omonimo strumento di valutazione della sostenibilità di un quartiere reso pubblico nel maggio del 2011. In alcuni quartieri realizzati, e personalmente visitati, si percepiscono i luoghi in cui si può vivere e lavorare con un’elevata qualità di vita in un territorio più densificato. Si sta dunque puntando verso luoghi in cui si abiti e lavori in prossimità. È un modo più moderno di vivere che accentua la preservazione del suolo, la risorsa da tutelare a tutti gli effetti. Il nostro cantone a che punto si trova? Per ora non vi sono quartieri pilota, o se ve ne sono l’iniziativa è individuale. All’interno dell’Istituto di Sostenibilità Applicata dell’Ambiente Costruito (ISAAC) della SUPSI, è stato costituito il “Centro di contatto per Quartieri sostenibili” allo scopo di sensibilizzare gli attori ticinesi, che siano politici, amministratori cantonali e comunali, pianificatori come pure tutti gli altri interessati, in particolare gli architetti da sempre coinvolti
nella trasformazione del territorio, per trasmettere una conoscenza, un know how, testato nel resto del territorio elvetico. Reperire anche in Ticino quartieri pilota da monitorare è un grande desiderio. Il monitoraggio permette di valutare in che modo siano stati raggiunti o meno gli obiettivi iniziali. Il Centro di contatto potrà diventare un centro decisionale? Sovvenzionato da Svizzera energia, alla ricerca di un partner in Ticino per le attività di sensibilizzazione, il Centro di contatto ha compiti informativi. La previsione è quella che possa diventare, in collaborazione con altri attori, un centro di competenza e di formazione. Per ora forniamo documentazione e materiale scientifico, ma l’idea è di offrire un supporto per facilitare le decisioni dei portatori d’interesse. Prossimamente vi sarà una visita guidata a quartieri sostenibili realizzati in altri cantoni, coinvolgendo politici e amministratori comunali e cantonali ticinesi. Il progetto però è stato voluto dalla Confederazione e dunque stiamo ancora una volta parlando di una decisione politica? Per i quartieri sostenibili possiamo tranquillamente dire che la decisione politica proviene da Berna. La Confederazione è
alla costante ricerca di progetti pilota promossi da qualsiasi attore. Non si tratta di rispettare leggi o ordinanze. I cantoni e i comuni non devono in questo ambito rispettare direttive vincolanti. Chi ha ideato o promosso un quartiere lungimirante dal punto di vista della sostenibilità può annunciarsi, poiché i due dipartimenti hanno sempre a disposizione fondi per progetti pilota. In ambito energetico, invece, sia il cantone sia diversi comuni ticinesi hanno politicamente deciso di sviluppare e adottare un documento di pianificazione, il cosiddetto PEC/PECo. Otto comuni ticinesi hanno inoltre ottenuto il label di Città dell’Energia. In che misura l’Accademia di architettura verrà coinvolta? Con l’Accademia ci sono contatti da diverso tempo, in particolare con l’Institute for the Contemporary Urban Project (i.CUP). Per ora il centro di contatto ha uno scopo informativo, in particolare per quel che concerne lo strumento “Quartieri sostenibili by Sméo”, ma nel momento in cui si potrà parlare di progetti concreti sarà necessario lavorare in modo partecipativo. Il coinvolgimento e la partecipazione del più gran numero di portatori d’interesse è un presupposto essenziale per una buona pianificazione territoriale. Dev’essere quindi portata in avanti la collaborazione con l’Accademia affinché ogni istituto porti le proprie competenze. Il centro di competenza sarà una fitta rete e nella stessa gli istituti universitari avranno un ruolo importante.
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La sfida più grande è quella di lavorare sull’esistente e intervenire sui quartieri già presenti? È prioritario il rinnovamento dei quartieri esistenti (in particolare nelle aree in declino) e la valorizzazione delle riserve non sufficientemente sfruttate nel cuore delle aree già urbanizzate (zone industriali dismesse, spazi vuoti delimitati da altri edifici, ampliamento di edifici esistenti). La realizzazione di tali obiettivi di densificazione privilegia i progetti che vengono attuati nelle città e negli agglomerati esistenti al posto di quelli che hanno tendenza ad alimentare la dispersione. Il popolo elvetico ha preso coscienza di questo nella Legge sulla Pianificazione del Territorio. Per evitare come detto in precedenza che la densificazione svaluti la componente sociale, rinnovare i quartieri esistenti significa, per esempio, lasciare spazi verdi, piazze comuni, simboli identitari, la memoria del territorio, riportare più funzioni in un’area. Più è alto il numero di peculiarità sociali, ovviamente assieme a quelle ambientali ed economiche che possono essere garantite, migliore sarà il risultato finale.
note 1 Sistemi urbani policentrici capaci di operare in rete come dei veri e propri organismi urbani sulla base del New urban intensity o del New urban metabolism, che elaborano un nuovo approccio della complessità urbana. Si veda: i.CUP - IRE (2008), La nuova Lugano, Accademia di Architettura USI, Mendrisio (arc.usi.ch/ris_ist_icup_pub03.pdf ). 2 Ricordiamo il film di Francesco Rosi, Mani sulla città (1963). L’intenzione del regista non era quella di fare un film denuncia sulla speculazione edilizia e immobiliare ma di soffermarsi sulla cultura dominante in cui l’uomo non può più trovare posto. 3 quartierisostenibili.ch
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Reputescion
Una trasmissione originale quella condotta da Andrea Scanzi che, grazie all’apporto della rete, trasforma il classico format del talk show in un confronto televisivo ricco di sorprese di Andrea Ramani
Media 8
Il giornalista Andrea Scanzi; fotografia ©Giancarlo Restuccia tratta da andreascanzi.it
Uno sfondo azzurro, per non stancare gli occhi. Due sedie da barbiere, perché nei saloni si raccontano i pettegolezzi e le storie di paese più succulente. Un’enorme lampada da scrivania, di quelle che si vedono nelle stanze degli interrogatori. Lo studio è allestito in maniera essenziale, il resto è aggiunto dal computer: citazioni virgolettate di personaggi famosi, video di YouTube, hashtags (#) di Twitter e commenti di Facebook. Per sommi capi si presenta così la trasmissione “Reputescion quanto vali sul web?”, in onda sull’emittente privata italiana LA3 (la3tv.it). Un fortunato esperimento televisivo capace di catturare l’interesse del pubblico grazie anche alla conduzione del giornalista Andrea Scanzi1. Una trasmissione che propone il formato del classico talk show in una vesta nuova, più vicina al mondo di internet. Andrea Scanzi, “Reputescion” fa parte di una nouvelle vague di trasmissioni televisive che manifestano la necessità per il piccolo schermo di corteggiare il web... La tivù è spesso autoreferenziale. O noiosamente generalista,
nel senso di ingessata e malamente popolare. O inutilmente “fighetta”. Per rinnovarla è inevitabile corteggiare la rete. Il web è ormai parte integrante, e forse dominante, della comunicazione. Una tivù ingessata non ha futuro. Noi cerchiamo di fare un cross-over originale, senza però inseguire unicamente il “pubblico 2.0”. La rete è la scintilla per raccontare, in maniera il più possibile inedita, ospiti che (nel bene e nel male) hanno qualcosa da dire. E magari, prima, non lo avevano mai detto. Non in quel modo, quantomeno. Il concetto alla base del programma è semplice: discutere con l’intervistato della sua reputazione nella rete – misurata scientificamente da un istituto di sondaggi che elabora una valutazione del livello di apprezzamento online – andando a toccare quegli elementi della sua vita che gli utenti della rete associano al suo nome. Data la natura senza filtri di internet, gli ospiti di Scanzi si confrontano con questioni che, in altri contesti televisivi, non verrebbero toccate per evitare di suscitare polemiche. E in questo clima di apparente trasparenza, l’impressione è che gli intervistati si
permettano di dire cose che normalmente non direbbero. In questo senso, un plauso va sicuramente dato a Scanzi, abile nel proporre delle domande scomode o lanciare la polemica, in modo sereno, impedendo di alzare eccessivamente i toni della discussione. Giù dal piedistallo! L’interesse suscitato da “Reputescion” può essere riconducibile all’approccio particolare all’intervista. Un metodo quasi olistico, in cui quantitativo e qualitativo si fondono, dando profondità ai cinque principali hashtags associati dai “twittomani” al nome dell’intervistato. La trasmissione condensa le opinioni degli utenti del web diventando, nel bene o nel male, portavoce di questo gruppo molto eterogeneo. Un passo ulteriore che riavvicina i personaggi pubblici, siano politici oppure legati al mondo dello spettacolo, a chi li ha eletti tali? Qualsiasi personaggio pubblico deve capire che, con la rete, il concetto di intoccabilità non esiste più. Tutti sono attaccabili e insultabili. Niente più piedistalli. O hai un’autostima granitica, o prima o poi vai fuorigiri. Molti ospiti scoprono di essere detestati. E sentirsi leggere gli insulti del “popolo del web”, come a volte faccio, non è mai esaltante. Spesso hanno reazioni di stupore, di rabbia o di delusione. Si aggrappano alla sedia da barbiere, si ritraggono, sbuffano. In questo senso, “Reputescion” riproduce abbastanza fedelmente la sensazione che si ha davanti al monitor, quando ti arriva una grandine di critiche su Facebook o Twitter.
Una finestra sull’intimo Nel corso delle dodici puntate, aumentate a sedici per il successo della trasmissione, Scanzi ha potuto intervistare personaggi italiani amati dalla rete, come Maccio Capatonda o il compianto don Andrea Gallo, che senza sorpresa hanno ricevuto valutazioni positive. Altri, Emilio Fede e il segretario della Lega Lombarda Matteo Salvini, hanno visto il loro reputometro scendere sotto lo zero, a causa di uscite infelici, o gesti pubblici, non segnalati dalla televisione ma circolati in rete. Per esempio, lo sputo di Fede contro un gruppo di persone che lo stava insultando. Ma anche nel caso di una bassa reputazione online, gli ospiti di “Reputescion” sembrano offrire uno scorcio del loro intimo. Forse, seduti su quella sedia ricordano l’artificiosa intimità del salone da barbiere, in cui vengono dette tante cose private, prontamente raccolte dall’orecchio attento dei clienti in attesa.
note 1 Classe 1974, è un giornalista e scrittore italiano. Ha mosso i primi passi della sua carriera scrivendo per Il Manifesto, L’Espresso e Panorama per passare al quotidiano torinese La Stampa e in seguito a Il Fatto Quotidiano con cui tuttora collabora. Nel 2008 pubblica il libro Ve lo do io Beppe Grillo, che lo ha reso l’analista di riferimento del Movimento 5 Stelle. La sua figura è emersa durante la campagna elettorale per le elezioni politiche 2013, durante la quale è stato un ospite fisso dei principali talk show politici. Da marzo 2013 conduce il programma “Reputescion” (LA3, su Sky e digitale terrestre).
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L’albero libro di Alba Minadeo; illustrazione ©Rachele Masetti
Fiabe 10
iveva da molto, molto tempo, ai margini di un bosco di abeti: avrebbe dovuto leggere tra le righe del suo tronco per sapere da quanti anni. Per fortuna, apparteneva alla famiglia degli alberi ad alto fusto che gli uomini lasciavano crescere anche fino a cent’anni in modo che, dopo il taglio, nuove piantine vi trovassero posto, nascendo dai semi degli alberi lasciati. Lui era il primo della fila, prendeva più freddo degli altri, è vero, ma poteva vedere molte cose, vicino com’era al prato profumato: poteva scorgere anche un castello, oltre la valle. Un albero non può muoversi, ma osserva e registra tutto quello che succede intorno. E lui non poteva dimenticare quella volta che vide nascere un amore, proprio dalla radice, anche perché le iniziali dei due amanti erano state incise dolorosamente sulla sua giovane corteccia, e ne portava ancora i segni: una grande cicatrice a forma di cuore con le lettere “E.” e “S.” scolpite all’interno. Era una tiepida giornata di primavera. Gli abeti erano coperti di teneri germogli, il ruscello gorgogliava d’acqua e sul terreno restava solo un po’ di neve qua e là. Vide sbucare i due giovani dalle pendici del monte: cavalcavano piano, fianco a fianco, in silenzio. D’un tratto lei, una giovane donna con i capelli rossi e la carnagione di porcellana, fermò il cavallo e guardò a lungo il suo compagno negli occhi. Poi, imbarazzata, incitò il suo cavallo e partì al galoppo. Dopo essere giunta a una certa distanza, si voltò e gli gridò di provare a prenderla, se ci riusciva. Lui sorrise, presto la raggiunse e la superò. Girò il suo destriero e andò incontro alla ragazza, evitandola all’ultimo momento. Poi le girò intorno sempre più veloce e si mise in piedi, in equilibrio
sulla sella, con le braccia aperte, però non vide un grosso ramo di abete che lo buttò a terra. Sembrava una brutta caduta e il ragazzo giaceva immobile. Lei scese da cavallo, si chinò su di lui e cominciò ad accarezzargli il volto, ma il giovane aprì gli occhi e l’abbracciò ridendo, rotolando con lei sul terreno. All’improvviso tacquero, tenendosi abbracciati, con lo sguardo dell’uno in quello dell’altro e la felicità nel cuore, come se in quel momento non esistessero parole, ma solo il canto degli uccelli e il mormorio delle foglie al vento. Lui la baciò sulla fronte, sulle guance, sulle labbra. Poi le disse: “Il nostro amore dovrà superare molte prove, lo sai, vero? Mio padre e tuo padre si odiano e finché saranno in vita non acconsentiranno alla nostra unione”. Lei rispose: “Lo so, ma io voglio essere tua più d’ogni altra cosa al mondo”. “Anch’io sono tuo e lo sarò sempre”, disse lui. Poi prese un temperino dalla tasca e incise le iniziali dei loro nomi sulla corteccia, alla base dell’abete. Le lettere si espansero con il crescere del tronco, ma l’albero non seppe mai come andò a finire la loro storia, perché non li vide mai più.
Giunse il giorno in cui arrivarono i taglialegna a sfoltire il bosco, iniziando proprio da lui. Era come un roulette, non si poteva sapere chi sarebbe stato abbattuto: i boscaioli avevano un loro criterio di selezione, in base all’età, all’altezza e allo spazio. Sfrondavano gli alberi e buttavano i tronchi nel vicino ruscello: lì iniziava un tortuoso viaggio verso valle, e se ne vedevano di cose lungo quel tragitto! Arrivati alla segheria, erano accolti da un rumore sinistro, come dal dentista. Una sola cosa consolava l’animo del nostro vecchio albero, al quale piacevano molto le storie: sapeva che una parte di lui sarebbe servita per fabbricare della carta. Ed eccolo qua: un grande blocco con tanti fogli, dall’estasiante profumo di mandorla amara. Un uomo lo guardava fisso in preda al classico blocco dello scrittore davanti alla pagina bianca: era un po’ che stava lì, pensieroso, cercando di farsi venire un’idea e, ahimé, aveva strappato anche qualche pagina… Allora lo spirito del vecchio albero pensò di aiutarlo e iniziò a sussurrargli la scena a cui aveva assi-
stito da giovane. Lo scrittore, profondamente ispirato, cominciò a scrivere di getto. Arrivato al punto in cui la narrazione s’interrompeva, gli venne in mente che quella storia, stranamente, somigliava molto a quella dei suoi nonni, Ebe e Silvain, che lui non aveva mai conosciuto perché da giovani erano stati separati dalle rispettive famiglie, in conflitto tra loro: lei fu mandata in monastero e lui andò in guerra, ma non tornò più. La nonna aveva avuto un figlio, suo padre, che era stato cresciuto dalla famiglia. Adesso lo scrittore sapeva come continuare il romanzo. Dopo qualche giorno, consegnò il manoscritto all’editore che lo pubblicò entusiasta. Poi andò nel bosco d’abeti e ritrovò l’incisione: le due lettere erano ancora lì, sul ceppo rimasto. Il libro ebbe un gran successo, lo scrittore divenne ricco e famoso, acquistò il bosco e non fece più tagliare neppure un albero, rammentando ciò che disse Bernardo di Chiaravalle: “Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi t’insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”.
A
volte non ci si rende conto che essere un artigiano significa “fare qualcosa”, che serve del tempo, che non c’è il classico cinesino che lavora al posto tuo. Non capisco perché molte persone si siano fatte questa idea, forse perché vogliono tutto e subito. Quello che io offro sono gioielli personalizzati, anche se non posso fare magie: posso metterci due ore come tre settimane per terminarne uno! In passato ho avuto anche richieste strane, come un portachiavi a forma di navicella spaziale, che avrei dovuto creare in due ore... (ride, ndr.). Di clienti particolari ce ne sono molti e a volte un negozio è un po’ come lo studio di uno psicologo. Sono arrivata al mestiere di orafa per caso, ma mi è sempre piaciuto disegnare. Dopo la CSIA di Lugano sono andata a Milano a studiare Design del gioiello. Progettavamo occhiali, orologi... ma ho capito che non faceva per me: volevo qualcosa di materiale. I miei genitori erano un po’ preoccupati e mio nonno una volta mi disse che andavo “a fare un lavoro da povera!”. Quando ha saputo che volevo davvero fare l’orafa si è messo le mani nei capelli. È un paradosso, ma non ho mai disegnato gioielli e non mi sono mai piaciuti in modo esagerato. Dopo Milano ho fatto due anni a Firenze, la città dell’oreficeria, in mezzo a molti giapponesi e qualche italiano. Ci sarei anche rimasta ma mancava il lavoro, così sono tornata in Ticino, purtroppo non trovando nemmeno qui un impiego. Sono ripartita sei mesi a Barcellona, dove ho lavorato in un laboratorio di Majoral (noto orafo spagnolo, ndr.). Lì ho scoperto che desideravo un negozio, essere indipendente. Il mio primo atelier è stato lo sgabuzzino di mia sorella. Ricordo ancora il camion che mi portava gli strumenti, i banchetti, la macchina per fare il filo e tutto il materiale, pinze, seghetti, righelli. Così ho iniziato a fare i miei gioielli e a venderli nei vari mercatini. Solitamente non ho un progetto già in testa, non ci penso, viene tutto sul momento: prendo una lastra o dei resti di argento e mi dico “che carino questo pezzo triangolare, attacchiamoci questo o quest’altro...”. Preferisco acquistare delle lastre già confezionate dalla Svizzera interna, anche se costano di più. Oppure succede
che dei clienti mi portino del metallo da fondere per farci qualcos’altro. Con l’oro lavoro pochissimo, mi piace proprio l’argento, è facile da lavorare e mi adoro il suo colore, sta bene con tutto. La mia specialità è l’anello, anche se faccio orecchini, collane, bracciali: l’anello perché è il gioiello che metto di più, quello che creo è quello che indosserei. Non ci sono dei maestri per me, però mi sono appassionata alle persone che ho conosciuto, tra cui un insegnante a Firenze, il signor Corvaja, un artigiano sin troppo preciso. La gente ora comincia a conoscere il mio stile: un po’ grezzo, spontaneo, spesso graffiato, irregolare, mai lucido. Preferisco non indossare i miei gioielli, è meglio che li mettano gli altri e quando succede sono molto soddisfatta di me. Ricordo la prima volta, in televisione, quando una giornalista ne indossò uno e avevo cercato di fotografarlo: ero esaltatissima! Ci sono anche un paio di aneddoti, come quando, dopo varie esperienze, mi si è staccato un pezzo di dito! Insomma, stavo pulendo una collana, che però si è arrotolata alla macchina; e così il dito si è incastrato e mi sono accorta solo tornando dal pronto soccorso che me ne mancava un pezzo... Un’esperienza tragicomica, ma che non mi ha scoraggiata. Ai giovani consiglio comunque l’apprendistato (che io non ho fatto), perché è la base e con quella capisci se un lavoro ti piace veramente. Io sono stata fortunata, ho frequentato una scuola costosa e tra tutti i miei compagni sono una delle poche che ha proseguito nella professione. Quando dico alle persone che sono un’orafa, credono sia bellissimo essere indipendenti... e certo lo è, ma non vedono il lato più “oscuro”: il guadagno non è fisso. Non mi definisco “un’artista” e non mi reputo assolutamente tale, però è necessario crederci, devi avere passione... altrimenti chiudi dopo un secondo. Almeno una volta alla settimana mi chiedo perché sto facendo questo, soprattutto a fine mese (ride, ndr.), ma apro sempre il negozio col sorriso e quando sono al lavoro capisco perché.
FLAvIA BRühLMANN
Vitae 12
Artigiana per caso, ha iniziato a lavorare l’argento in uno sgabuzzino. Dopo gli studi e la pratica a Milano, Firenze e Barcellona le sue creazioni ora nascono a Bellinzona
testimonianza raccolta da Marco Jeitziner fotografia ©Flavia Leuenberger
Egitto - BEnghazi hotEl
la lunga attEsa testo e fotografie ŠMarwan Bassiouni/Phovea
Marwan Bassiouni Svizzero ed egiziano nato nel 1985, è fotografo e regista, lavora fra Ginevra e il Cairo per l’agenzia ginevrina Phovea (phovea.com). Dopo la laurea presso la scuola di fotografia di Vevey ha diretto un cortometraggio su un difensore siriano dei diritti umani. Interessato alla realtà del Medio Oriente, Marwan, che proviene da una famiglia di culture e fedi diverse, si è dedicato alla produzione di immagini che sfidano pregiudizi e preconcetti. Nel 2011 il suo ritratto di Nabeel Rajab è diventato un simbolo della resistenza non violenta in Bahrain. Nel 2012 ha realizzato due progetti in Egitto: “Hotel Benghazi”, qui presentato, e “Muslim Brothers’ Camp”, un reportage su un campo dei Fratelli musulmani. marwanbassiouni.com
Un albergo nel centro del Cairo. Un incontro casuale, a sei mesi dalla fine della guerra civile che ha devastato la Libia, a sei mesi dalla morte del colonnello Gheddafi. A prima vista si potrebbe pensare che questo sia un momento di gioia ma la realtà è ben più dura
sopra Un veterano delle forze antiGheddafi fa un tuffo in piscina. Mi dicono che una volta si è tuffato dal settimo piano... in apertura Tra benghaziotes l’atmosfera è tesa durante una conversazione sul futuro della Libia
Nel marzo del 2012 ho vissuto al Cairo per un periodo di sei mesi. In realtà, la mia intenzione era di avvicinarmi agli eventi che scuotevano il mondo arabo e le cui eco in Svizzera giungevano attraverso i media. Per puro caso, un venerdì pomeriggio, sul bordo di una piscina di un hotel del centro della caotica capitale egiziana incontro Moustafa. Questo non è il suo vero nome ma lo chiameremo così perché ha preferito restare nell’anonimato. Moustafa ha combattuto con l’anti-milizia Kaddafi durante la guerra. Prima di diventare un combattente, di mestiere faceva il parrucchiere. Non è sposato. Ha circa trent’anni anni, un fisico atletico. Mi racconta di aver trascorso in un carcere libico cinque lunghi anni a causa di una controversia calcistica tra la sua squadra e quella di uno dei figli di Gheddafi. Ora è qui, al Cairo, da alcuni mesi come convalescente per curarsi: se infatti non fosse stato per i medici egiziani oggi avrebbe un braccio amputato a causa di una ferita di shrapnel (proiettile per artiglieria, ndr.) che si è poi infettata. Proviene da Bengasi e come molti altri libici ha ricevuto un indennizzo dal governo per poter essere curato in un paese straniero. Parliamo per più di un’ora e mezza di politica, della guerra, della primavera araba e man mano, guardandomi intorno e ascoltando i discorsi degli altri ospiti dell’albergo, mi rendo conto che la maggior parte di loro sono libici. Moustafa conferma la mia impressione, spiegandomi che la maggior parte proviene proprio da Bengasi, la città da cui è partita la rivoluzione e che, proprio per questa ragione, è stata oggetto di numerosi attacchi delle truppe fedeli a (...)
Mustafa, 34 anni, parrucchiere e combattente delle forze anti-Gheddafi: “Non voglio tornare a casa, voglio vivere in Europa. Ho trascorso cinque anni dietro le sbarre a causa di una controversia calcistica con un figlio di Gheddafi�
Dopo la preghiera del Venerdì, un gruppo di veterani delle forze anti-Gheddafi si rilassa in hotel. Il Consiglio nazionale di transizione hanno speso più di 700 milioni di franchi per compensare la Libia dopo la guerra
Gheddafi, attacchi che hanno inevitabilmente coinvolto la popolazione civile. Come molti suoi connazionali manifesta un odio profondo per l’ex dittatore e mi confessa di non avere nessuna intenzione di tornare a Bengasi. Vorrebbe crearsi una nuova vita altrove, magari in Canada o in Europa. Ma è confuso, Moustafa. Mi presenta ad altri suoi amici, come il giovane Mohamed, ferito gravemente al volto, che ha perso le sorelle e il padre in un’esplosione. E poi Ramadan, studente di 27 anni ferito da un colpo di pistola, e Mariel, 24 anni, anch’egli raggiunto da schegge, che mi raccontano come fino a prima della guerra non avessero mai toccato una pistola e come molti di loro si siano feriti proprio a causa della totale mancanza di conoscenza nell’uso delle armi, pistole o lanciagranate che fossero. Nel corso delle settimane successive, poco a poco, faccio la conoscenza di altri libici, trascorro del tempo insieme a loro, ascolto le loro storie, drammatiche, dolorose. Li fotografo. Non tutti erano al Benghazi Hotel (così l’ho chiamato) per trascorrere un periodo di convalescenza a causa di ferite fisiche. Una parte di loro, chiusa in un silenzio tenace, i segni della guerra e il dolore per i lutti che questa ha prodotto li porta dentro di sé, come un’eredità greve e indissolubile che i loro occhi, i loro sguardi lasciano trasparire.
Omar, 19 anni, si sente stanco da quando è stato contaminato da sostanze chimiche negli attacchi contro Bengasi. Vorrebbe diventare ingegnere petrolifero e lavorare nel suo paese, il piÚ grande produttore di petrolio in Africa
Surf o n da s u onda Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza
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uello della tavola è uno sport acquatico che arriva da molto lontano. La sua prima fonte storica è contenuta nel diario di bordo del Capitano James Cook, lo scopritore delle Hawaii (1779). Pagine piene di avventura dove spicca la descrizione delle eleganti evoluzioni dei nativi che in piedi su tavole, solo apparentemente rudimentali, si divertivano un mondo a farsi trasportare dai flutti oceanici. Per la verità ognuna di quelle tavole era ricavata da un tronco d’albero di Koa accuratamente scelto, sagomato e levigato, indi spalmato con il succo di una pianta grassa e reso impermeabile da uno strato d’olio di noci Kukui. L’abilità in questi virtuosi volteggi sull’acqua decretava addirittura lo status di uomo. I regnanti poi avevano shaper (i modellatori o sagomatori delle tavole) e spiagge personali in cui surfavano soltanto con altri della stessa classe sociale e destrezza. Purtroppo lo spirito quasi mistico dello he’e nolu subì un forte declino durante l’ottocento, in buona parte scoraggiato dalle prediche dei missionari cristiani, contrari per via delle nudità ostentate dai praticanti.
Richard Philips
“Onda su Onda... che acqua gelida qua, nessunO mi salverà”, cantava PaOlO cOnte in balia di un mare mOssO che lO POrtava via. eranO gli anni settanta, quandO il cavalcare l’Onda sulla tavOla da surf (“he’e nOlu” in hawaiianO) era Ormai amPiamente divulgatO, cOme un’inarrestabile esOtica Ondata, aPPuntO… Come del resto decadeva la danza hula hula dal sensuale, ondulato rullio dei fianchi. Però verso la fine del secolo, durante il regno di re Kalakaua, il surf e altre espressioni dell’antica cultura locale venivano ripristinati ed è a questo periodo, esattamente nel 1885, che risale il battesimo dello sport sulle coste californiane da parte di alcuni studenti hawaiiani iscritti presso la scuola militare di San Mateo.
il surf versO la mOdernità
Un grosso contributo alla diffusione dello he’e nolu dalle Hawaii verso il resto del mondo arrivò dal grande campione di nuoto Kahanamoku, vincitore olimpico di medaglia d’oro nel 1920. Nel corso dei suoi viaggi agonistici, oltre che sulle coste americane, portò gli appassionanti volteggi sulle acque australiane. Il boom occidentale del surf raggiunse però il culmine tra gli anni sessanta e settanta, periodo inneggiante a rivoluzioni libertarie. Così librare il fisico e volteggiare arditi su tavole piuttosto grandi o longboard, rientrava in qualche modo nella filosofia in auge. Una svolta significativa è stata l’invenzione dello shortboard di taglia più piccola e con tre pinne fendenti l’acqua. Inoltre dalla metà degli anni ottanta ai giorni attuali, la tecnica ha subito delle evoluzioni, come pure i materiali per costruire le tavole in particolare con l’introduzione della schiuma di poliuretano unita alla fibra di vetro e a resine.
unO stile, nOn una mOda
Sport che non necessita di molti “accessori”, nel surf l’abbigliamento varia a seconda della temperatura dell’acqua, la stagione, la latitudine e il tipo di fondale che caratterizza lo spot. Nelle acque fredde viene utilizzata la muta, mentre in quelle calde sono sempre indicati i tipici short al ginocchio, oltre a una t-shirt (a rapida asciugatura). Semplice, dinamico e disinvolto lo spirito del surf e della vita da spiaggia all’americana, piuttosto che seguire la moda, la ispira trasfondendovi
DONNE VS UOMINI
Gary Simmons
Tra le proposte al femminile si fa notare la tutina in chambray, il blazer candido e lo svolazzante abito plissettato da indossare sopra il bikini a onde variegate dal rosa salmone al giallo, dal turchese all’arancio. Si completa con comode infradito o zeppe in rafia, occhiali da sole fosforescenti e una spiritosa borsetta clutch in legno a forma... di tavola da surf. Nell’abbigliamento da uomo non mancano i calzoncini a metà coscia e quelli largotti al ginocchio dalle stampe scozzesi fosforescenti, marcatamente per surfare con dinamica scioltezza. Mentre il retaggio tradizionale del marchio si traduce in t-shirt lineari e confortevoli e una giacca in tela, perfetta sia per le avventure mattutine che intorno al falò sulla spiaggia a tarda notte.
LA TAVOLA
Ma la vera chicca sono le innovative tavole da surf disegnate da cinque giovani artisti (Lola Schnabel, Richard Philips, Scott Campbell, Gary Simmons e Raymond Pettibon), frutto della collaborazione della maison con Art Production Fund, organizzazione no profit che si occupa della promozione dell’arte contemporanea in ambiti diversi da quelli tradizionali. Tant’è che le tavole si animano con i divertenti ritratti della cultura pop, quadri mistici e astratti, l’irresistibile “Smile” (pagina di sinistra) e perfino dipinti realizzati con la tecnica dei gessetti da lavagna. Tanto per aggiungere un’ulteriore, colorata allegria a cavalloni, flutti e marosi... tutti da sorvolare. Magari con il sottofondo della canzone (anche la musica si evolve) dei Beach Boys: “Then ev’rybody’d be surfin like California...”.
la propria identità e un disimpegnato stile understated. Anzi, i surfisti che seguono pedissequamente i diktat modaioli diventano dei poser, dei patetici esibizionisti, non graditi dagli aficionados veraci dello sport.
INDUMENTI: OLTRE IL “CLASSICO”
Suggerita dalle atmosfere californiane dei liberi e corroboranti sessanta, ecco “Surf Shack” una speciale capsule collection lanciata da Tommy Hilfiger in edizione limitata (nell’immagina a destra). Non si tratta solo di capi specifici per cavalcare l’onda, piuttosto di costumi da bagno e accessori per il surf e l’ “après surf”, adatti sia ai famosi litorali della California, di Biarritz e della Costa Rica, sia per quelli europei meno noti (Sardegna, Portogallo e Spagna per esempio). Così l’amato sport viene celebrato con linee pulite, fantasie appena un po’ azzardate e tinte solari.
La domanda della settimana
Visto il crescente senso di insicurezza, accettereste un aumento delle imposte al fine di garantire allo stato i fondi necessari per un maggior presidio del territorio?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 18 luglio. I risultati appariranno sul numero 30 di Ticinosette.
Al quesito “Quando utilizzate internet e il vostro telefonino, avete mai pensato alla possibilità che qualcuno stia «controllando» ciò che cercate, ricevete e scrivete?” avete risposto:
SI
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NO
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Astri ariete Problemi in famiglia: siate meno permalosi e umorali. I nati nella terza decade potranno contare su un’ottima Venere. Incontri sentimentali.
toro Grande attività mentale tra il 14 e il 20 luglio. Probabilmente impegnati a scrivere una relazione o nel tenere un discorso. Iniziative. Gelosie.
gemelli Rivoluzione sentimentale e nuove imprese amorose. Spregiudicatezza. Venere positiva per i nati nella terza decade. Bene tra il 14 e il 16 luglio.
cancro Un 14/15 luglio da superare per i nati nella prima decade. Se volete vincere cavalcate l’onda del cambiamento. Novità in casa. Seguite l’istinto.
leone Tra il 14 e il 20 Venere transita nei cieli della terza decade. Potrete portare a termine un affare importante. Colpo di fulmine con l’Acquario.
vergine Dopo mesi trascorsi con Marte sul collo la situazione si alleggerisce. Situazioni sentimentali e curiosità per l’avventura. Bene 17 e il 19 luglio.
bilancia Attenti tra il 14 e il 16 luglio. Con i pianeti in aspetto plurimo non c’è niente che di più pericoloso che attuare una politica attendista. Osate!
scorpione È ora di metter a frutto il vostro lavoro. Gelosie per i nati nella terza decade provocate dal transito di Venere. Meno orgoglio fuori luogo.
sagittario Momento favorevole per le questioni sentimentali. Vivacità tra il 14 e il 16 luglio. Cambiamenti per i nati nella seconda decade dal 18 luglio.
capricorno La fase delle scelte radicali continua. L’unica via per andar incontro al successo sembra quella di “partire in guerra”. Riposo tra il 14 e il 16.
acquario Scarso interesse per le questioni professionali. Nuove amicizie all’interno del proprio ambiente di lavoro. Liberate i vostri cassetti dall’inutile.
pesci Un progetto si sta per concretizzare. Importante comunicazione per i nati nella seconda decade. Seduzioni e conquiste. Intuito in forte crescita.
Gioca e vinci con Ticinosette
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 30
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 18 luglio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 16 lug. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
Verticali 1. Noto film interpretato da Gérard Depardieu • 2. Dittongo in poeta • 3. Moine • 4. Uccise il Minotauro • 5. Cono centrale • 6. Ripidi • 7. Zie in Spagna • 8. Limpide • 9. Desiderio, brama • 13. Preciso, privo d’errori • 15. Un rifugio fra i rami • 18. Incitamento • 20. Finisce in fumo • 21. Due nullità • 23. Un dessert a base di frutta • 24. Concernenti • 28. Delfino di fiume • 29. Nome russo d’uomo • 30. Più che centenari • 37. Intacca la vite • 38. Italia e Austria • 39. Malato per il poeta • 42. Arte latina • 45. Marina nel cuore • 47. Antico Testamento.
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Orizzontali 1. Un taglio del macellaio • 10. Lo stato con San’a • 11. Il niente del croupier • 12. Associazione Sportiva • 13. Un anestetico • 14. Inclusi o adiacenti • 16. Svezia e Lussemburgo • 17. Il noto Fidenco • 18. Mezza dozzina • 19. Carme lirico • 20. Segnale d’arresto • 22. Camerata • 25. Un personaggio dell’Otello • 26. I confini di Olten • 27. Sinistra, minacciosa • 29. Agnese a Madrid • 31. Pena nel cuore • 32. Innalzare, costruire • 33. Girandole infernali • 34. Stecca centrale • 35. I confini di Gandria • 36. Un medico specialista • 39. Istituzioni • 40. Pari in Bartolo • 41. Pietra verde • 43. Dittongo in biada • 44. Antica cambiale • 46. Rabbia, furore • 48. Questa cosa • 49. Esseri orrendi.
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La soluzione del Concorso apparso il 28 giugno è: CORAZZATA Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Carmen Scaroni via Rongia 6596 Gordola Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: un buono RailAway FFS per l’offerta “Crociera sul Lago dei Quattro Cantoni” RailAway FFS offre un buono del valore di 100.– CHF per due persone in 2a classe per l’offerta RailAway FFS “Crociera sul Lago dei Quattro Cantoni” da scontare presso una stazione FFS in Svizzera. Ulteriori informazioni su ffs.ch/railaway
Crociera sul Lago dei Quattro Cantoni. Salpare e sfuggire dal tempo. Cinque nostalgici piroscafi a ruote e una flotta impressionante di battelli a motore vi accompagnano ogni giorno nell’arena naturale del Lago dei Quattro Cantoni. Passerete accanto a soavi pascoli alpini, idilliache insenature, impressionanti fiordi lacustri e ammirerete sullo sfondo le pareti perpendicolari delle prime vette d’alta montagna.
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Valido fino al 27.07.2013
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Bikini, T. 128 – 176 invece di 19.95 7.95 Shorts da bagno, T. 128 – 176 invece di 19.95 7.95 Boxer shorts invece di 9.95 4.95 Costumi da bagno, T. 92 – 122 invece di 14.95 5.95 Top da allacciare al collo invece di 17.95 7.95 Slip bikini invece di 14.95 5.95 Pareo invece di 29.95 9.95 Shorts da bagno invece di 29.95 9.95
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