Ticino7

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№ 31 del 2 agosto 2013 · con Teleradio dal 4 al 10 agosto

A LE I C E SP

L A V I FEST FILM DEL R NO LOCA

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Nel 2011 Coop era al 1° posto nel Corporate Rating oekom dei dettaglianti.

Per i sapori della mia patria. Il mostbröckli di Markus Wetter viene lasciato essiccare all’aria fresca appenzellese a ben 900 metri d’altezza. Grazie alla sapiente arte di lavorare i migliori pezzi di carne nasce un inconfondibile prodotto Pro Montagna. Per ogni acquisto viene versato un contributo al Padrinato Coop per le regioni di montagna, in questo modo le nostre montagne continueranno a vivere. E noi potremo gustare anche in futuro prodotti di montagna autentici. www.coop.ch/promontagna

Per le nostre montagne. Per i nostri contadini.


Ticinosette n. 31 del 2 agosto 2013

Marco Jeitziner .........................

4

deMis Quadri ........................

6

Keri Gonzato ........................................

8

Agorà Festival del film Locarno. Prove di turismo

di

Società Organizzazione e logistica. Dietro le quinte Media Pardo Live. Comunicare il cinema

Impressum

nicoletta Barazzoni ..........................................

10

roBerto roveda ..................................................................

12

Arti Open Doors. L’altro mondo

di

Tiratura controllata

Vitae Carlo Chatrian

Chiusura redazionale

Reportage Quelli che non si vedono

Editore

Tendenze Escursioni. Senza stress a Stresa

Redattore responsabile

68’049 copie

Venerdì 26 luglio Teleradio 7 SA Muzzano

di

di

di

reza Khatir ...............................

37

zucca alessandrelli ...................

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Svaghi ....................................................................................................................

46

fotoGrafie di di irina

Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina Roby Fotografia ©Reza Khatir

Terreni perduti Vivo a Molino Nuovo, meglio nella “enorme Lugano”, dal 1978, e dunque ho letto l’articolo “Mani sui quartieri” (e guardato la vecchia fotografia di Cornaredo) con molta malinconia (Ticinosette n. 28/2013, ndr.), e sono anche d’accordo con il signore di Viganello (“Editoriale”, n. 27/2013, ndr.). Quello che sostiene l’architetto che avete intervistato, sulla necessità che in un quartiere vi siano non solo palazzi e supermercati, ma tutta una serie di infrastrutture che comprendono sia l’artigianato sia le industrie di piccole dimensioni sia gli spazi di incontro (non solo i bar e i ristoranti) e le zone verdi, è proprio quello che è avvenuto a Molino Nuovo. Chi si ricorda come si viveva in questa zona solamente vent’anni fa, oggi fa fatica a capire per quale ragione sia diventata il nuovo corridoio veloce per arrivare nel centro di Lugano. Non voglio dire che a Molino non siano mai passate macchine prima dell’apertura della galleria (la Vedeggio-Cassarate, ndr.), ma di sicuro i benefici che gli abitanti di Savosa, Vezia, Massagno e Besso forse oggi vivono altri li stanno pagando a caro prezzo: parliamo di vivibilità, di qualità di vita, di costruzioni a dimensione umana, di luoghi dove portare a spasso il proprio cane e fare una passeggiata dopo cena. Quando in un quartiere si perdono piano piano i riferimenti e i punti di incontro, e si fa spazio solamente a nuove costruzioni anche di lusso (in un posto che per decenni era di operai e ceti medio-bassi), allora significa che c’è una volontà politica di cambiare la natura di un quartiere e le sue radici. Io capisco benissimo che i piani regolatori possono fare poco e molto sta nelle mani dei proprietari (spesso grandi gruppi immobiliari, assicurazioni e banche), ma non possiamo continuare a raccontarci che il comune ha le mani legate e che la città si vede evolvere.

Molino Nuovo; ©Google Maps, 2013

Ma la città e il territorio sono anche le persone che ci vivono, non sono solo i bilanci disastrosi (ma nessuno se ne era accorto prima?) e i servizi alla popolazione da tagliare (come il caso recente delle mense scolastiche). Come aveva detto qualcuno anni fa, la maggior parte di Lugano sembra oggi un posto ricostruito dopo il bombardamento della seconda guerra mondiale: abbiamo avuto un sindaco che di professione faceva l’architetto per trent’anni e il più bel parco pubblico in riva al lago è diventato un piccolo orticello dove il comune pianta ciclamini e zappa le aiuole. In compenso gli affitti sono sempre più impossibili per un pensionato, il traffico è congestionato dagli anni sessanta (qualcuno se lo ricorda?), siamo nel 2013 ma i bus vanno sempre a diesel e ancora oggi l’unico posto sicuro dove muoversi in bicicletta è sulla riva del Cassarate, assieme ai poveri pedoni. Non mi pare che sono segnali positivi e di civiltà, ma i ruderi di un fallimento. Saluti, J. B. (Molino Nuovo)


Prove di turismo Economia. A pochi giorni dall’avvio della 66esima edizione del Festival del film Locarno, il maggiore evento culturale del cantone e tra i più importanti per il turismo, tentiamo alcune riflessioni sul settore con gli addetti ai lavori di Marco Jeitziner

N

on si può non voler bene a un “vecchio” che da 66 anni rappresenta l’evento faro della stagione estiva del cantone, che rientra tra i “top-events” della Svizzera e che figura tra i maggiori festival cinematografici del mondo. Cultura (cinematografica e non solo), incontri, socializzazione, turismo, commerci, economia, marketing ecc., tutto questo ruota attorno alla decina di giorni del Festival del film di Locarno. Forse oggi, con l’aria di crisi che tira in tutta Europa, sono aspetti che assumono un valore ancora maggiore. Ma siamo tutti coscienti della sua importanza? Senza fare i criticoni, la domanda che ci poniamo è: albergatori, esercenti, enti turistici, si preparano ad accogliere migliaia di persone, con spirito innovativo e migliorando, oppure siedono sugli allori?

Agorà 4

Un ruolo indiscusso Scrive il governo ticinese: “Il Festival gioca un ruolo di primo piano per il Ticino e per la Svizzera dal punto di vista dell’immagine: sia a livello internazionale, sia nelle relazioni del Ticino con gli altri cantoni come occasione assai qualificante di valorizzazione della cultura italiana all’interno della Confederazione”1. Sono parole importanti, sulle quali torneremo più avanti. A livello di marketing cantonale, ci ha detto il giovane e neo direttore di Ticino Turismo, Elia Frapolli, “per il turismo il Festival è un evento di grande portata, che attira ampio pubblico e di conseguenza genera pernottamenti (e non solo nel Locarnese)”. Non solo: “nonostante la crisi i veri cinefili non rinunciano a un evento del genere. Questo non significa naturalmente che in termini turistici non vi sia margine di miglioramento... al contrario”. Frapolli ha ragione: è noto infatti che, da alcuni decenni, la tendenza globale del turismo in Ticino (salvo alcuni picchi sporadici di crescita) è sostanzialmente in caduta libera2. Quale sia il margine per fare meglio lo lasciamo volentieri scoprire ai professionisti. Fabio Bonetti, direttore dell’Ente turistico Lago Maggiore e Valli, è ottimista e non potrebbe essere altrimenti. Sul Festival osserva che “tutta la regione vive una «vita parallela» generata dalla manifestazione e dal commercio che vi ruota attorno”. Insistiamo e gli chiediamo se il Ticino sia veramente all’altezza di un evento che, da quest’anno, è considerato alla stregua di festival più blasonati come Cannes o Berlino3. “Certamente, se così non fosse non saremmo giunti alla 66esima edizione. I locarnesi hanno il Festival nel cuore e lo attendono ogni anno come un rito”. Per Bonetti “la qualità dell’esperienza turistica nella nostra regione non viene messa in discussione”, tuttavia preferiamo la cautela: i risultati lo dimostrano. In fondo lui stesso

riconosce che “come sempre vi sono esempi brillanti come pure casi che andrebbero corretti”. Peccato che lo si dica da anni, soprattutto riguardo all’accoglienza e alla cultura del turismo: “è essenziale nel nostro settore e viene coltivata” dice Bonetti. Che sia essenziale è chiaro, che venga coltivata da tutti ci permettiamo invece di nutrire qualche dubbio4. I primi operatori turistici siamo tutti noi cittadini, festivalieri e non, tutto l’anno e non solo per dieci giorni: su questo ancora non brilliamo particolarmente.5 Albergatori: c’è chi investe Si stima che la ricaduta economica regionale del Festival si aggiri “tra i 20 e i 30 milioni di franchi”6, una bella boccata d’ossigeno, anche per i commercianti. Ma a parte i turisti che posseggono delle case di vacanza nella regione, l’offerta dipende in sostanza dagli albergatori (per chi si ferma almeno una notte), dai campeggi, dagli esercenti (per esempio, per il turista di giornata). Ma in quali condizioni ci troviamo? Se è vero che ci sono esempi di eccellenza ricettiva, ce ne sono anche altri che abbassano la media. Molti alloggi, ricordano gli operatori, andrebbero rinnovati e adattati a un turismo moderno. Proprio in tempo di crisi, forse, bisognerebbe investire. L’unica vera novità a Locarno ci rimanda al 2009 col nuovo hotel Ibis. Il presidente degli albergatori locarnesi, Felix Krähemann, è stato abbastanza schivo alle nostre domande: ha soltanto ribadito l’importanza del festival per la categoria e ha citato alcuni casi, come l’hotel Muralto (rinnovato però nel 2007-2008), il nuovo Rinascente e il Rio. Realtà, queste ultime, dovute però a una sola persona visionaria: il facoltoso imprenditore svizzero-iraniano Rahim Houshmand. Suo anche il futuro progetto di due nuovi alloggi in Piazza Grande. Houshmand ha più volte ribadito7 di voler soprattutto abbellire e animare di più la piazza, altrimenti deserta nel resto dell’anno appena fa sera. Senza voler essere riduttivi, se per gli esercenti il Festival è una manna finanziaria e per molti di loro (soprattutto in piazza) l’occasione per aumentare leggermente i prezzi, per i turisti c’è almeno la possibilità di mangiare una pizza a tarda sera, cosa di fatto quasi impossibile nel resto dell’anno. “Come sempre gli esercenti accoglieranno le migliaia di festivalieri con proposte gastronomiche fresche e stuzzicanti” ci dice Claudio Risi, presidente di Gastro Lago Maggiore e valli. “Quest’anno la novità sarà la collaborazione con Ticino a Tavola, con una maggiore valorizzazione dei prodotti ticinesi e uno speciale panino ticinese”. Panini a parte, Locarno nemmeno durante il Festival sfug-


ge alla crescente intolleranza sonora da parte di cittadini e di alcuni turisti. I fasti fino al mattino (come accadeva al Grand Hotel di Muralto) sono finiti da un pezzo: nei vari luoghi della manifestazione (Rotonda, Cambusa, Paravento ecc.), la musica dal vivo è tollerata fino a mezzanotte, quella dagli impianti fino all’una e alle tre di notte tutti (o quasi) a casa8. Gli esercenti si dicono “sempre disponibili al dialogo costruttivo” dice Risi, “ma occorre coinvolgerci di più”, altrimenti “se vogliamo far diventare il Ticino un deserto turistico, siamo sulla buona strada”. La categoria non ama fare autocritica: ogni anno spuntano lamentele, vuoi sui prezzi, vuoi sul servizio, sulla cordialità ecc. Eppure in Ticino esiste una formazione obbligatoria per i numerosi esercenti, a cui tocca poi formare i camerieri ai quali, si dice, un sorriso in più non costerebbe nulla. Secondo Risi “i reclami sono sempre più rari” e “spesso sono frutto di luoghi comuni”, anche se riconosce che si può sempre migliorare. Resta la domanda: che senso hanno in una regione turistica i limiti serali all’intrattenimento e ai commerci? E poi: su quale turista si punta, il giovane o il più anziano? Chi scrive non l’ha ancora capito. Non perdere il treno Leggiamo che all’Ente turistico di Locarno, unitamente a quello di Ascona, basterà presentare il biglietto del Festival per ottenere una riduzione del 20% per varie attività del tempo libero (culinarie, sportive, di benessere ecc.) e presso diversi alberghi convenzionati. Una bella iniziativa, ma stupisce che risalga soltanto... all’anno scorso!9 Meglio tardi che mai, vien da dire, soprattutto quando lo stesso Festival, stando ai dati dell’ufficio stampa, sta affrontando un calo di pubblico importante: dal picco storico del 2006 (192mila spettatori), nel 2012 sono state registrate oltre 30mila presenze in meno. Per lo stesso governo ticinese – e non solo – è chiaro che “vi sono dei punti deboli che è necessario risolvere al più presto”. Soprattutto una sede definitiva, come a Venezia o a Berlino: il palazzetto del Pardo da 32 milioni di franchi dovrebbe essere edificato quest’autunno. Per il governo le nostre piccole dimensioni rappresentano un limite: un “mercato svizzero esiguo e soccombente di fronte alle potenzialità offerte dai mercati francesi, tedeschi, italiani”. Soltanto le finanze complessive dei festival di Cannes o di Berlino sono stimate “tra i 20 e i 25 milioni di euro” rispetto ai “7 milioni di euro” di Locarno10. E quest’anno? Sarà una specie di banco di prova per il Festival, non solo per un nuovo (ennesimo) direttore artistico, ma anche per i fondi federali che potrebbe ricevere nei prossimi anni, già concessi invece ad altri festival del film elvetici.11 Senza il mare di Cannes, la poesia di Venezia, la metropoli che è Berlino, cos’è il festival di Locarno? Per Frapolli, concordiamo, “è una vetrina promozionale per tutti e per tutto il Ticino sarebbe stolto non sfruttarla!”, anche se riconosce che “è una lotta costante per non perdere terreno e per questo urgono anche strutture adeguate”. Bonetti, da parte sua, allunga la vista: con la “Casa del cinema”, dice, “si potrebbe finalmente estendere sull’arco di tutto l’anno l’esperienza culturale, turistica ed economica che si vive nei dieci giorni dell’evento”. Realistico? Nessuno oggi lo può dire, tant’è che le critiche alla prevista struttura non mancano. Per ora c’è un luogo, le persone e le idee.

Torniamo allora alle importanti parole usate dal governo ticinese, citate in apertura. Non è forse proprio sulla nostra “immagine”, un po’ confusa agli occhi di chi vien da fuori, che converrebbe riflettere? Non sono forse le “relazioni”, un po’ snobbate tra noi svizzeri di lingue diverse, un po’ freddine con gli stranieri, che andrebbero maggiormente coltivate? Non è forse questa mitizzata “cultura italiana”, spesso rivendicata soltanto quando fa comodo, che bisognerebbe ulteriormente valorizzare? Riassume bene tutto ciò una recente dichiarazione dello stesso Frapolli: “sappiamo accogliere i turisti, li vogliamo, ma a volte ci danno fastidio”.12 Contraddizione o che altro? Credere in un settore Era il 2007, prima della crisi globale che tutti invocano come causa principale del crollo turistico. Pochi, purtroppo come oggi, lanciavano idee a medio-lungo termine. Idee e opinioni che oggi sembrano retoriche13. “Dovremmo migliorare la nostra cultura dell’ospitalità oggi purtroppo decisamente carente” disse il direttore della Scuola superiore alberghiera e del turismo Mauro Scolari. Motivo: “non si mette mai in rilievo abbastanza l’importanza economica di questo settore”. Al Ticino, che sempre più turisti snobbano, dichiarò l’ex presidente della commissione svizzera dell’UNESCo, Francesca Gemnetti, servirebbero “operatori turistici che sappiano coniugare il pragmatismo teutonico alla fantasia latina”. Dick Marty, allora presidente di Svizzera Turismo, affermò che bisogna “uscire da una visione campanilistica e di politichetta locale. Da noi le strutture turistiche sono troppo vincolate a questi aspetti”. Cosa sia stato fatto da allora a oggi, lo giudichi il lettore. Chi scrive si domanda soltanto: se l’osservatorio del turismo all’Università della svizzera italiana è stato creato soltanto nel 2011, per “colmare il deficit di conoscenza qualitativa e quantitativa”14, fino ad allora su quali dati ci si è basati? Quale politica turistica è stata condotta finora se soltanto oggi, ci dice Frapolli, è in corso il primo studio sull’indotto generale del turismo in Ticino? Quali risultati ha portato la bellezza di una decina di enti turistici regionali in un territorio così piccolo? note 1 Dal messaggio governativo del 20 aprile 2010 sugli aiuti finanziari al festival per il 2011–2015. 2 Solo in pernottamenti, dal 2000 al 2011 la regione “Lago Maggiore e Valli” ha perso il 17% dei turisti, ossia oltre 230mila ospiti. Per dati più precisi si veda osservatorio del turismo (otur.usi.ch). 3 Si allude al premio “Europa Cinemas Label” (comunicato del festival del 17.5.2013). 4 Vedi per esempio la puntata de I conti in tasca, “Turismo ticinese. Quale futuro?”, Teleticino, 22.1.2013. 5 Vedi anche “Integrazione e pregiudizio”, Ticinosette n.25/2012 e “Svizzera. Visti da fuori”, Ticinosette n. 51/2012. 6 Ibid. 1. 7 Ticinonline, 18.2.2010. 8 laRegioneTicino, 12.7.2013. 9 laRegioneTicino, 25.6.2013. 10 Ibid. 1. 11 admin.ch/aktuell/00089/index.html?lang=it&msg-id=48954 12 Dalla trasmissione radio Millevoci, “Quali turisti vuole il Ticino?”, Rete Uno RSI, 1.4.2013. 13 Il Caffè, 2.12.2007. 14 www4.ti.ch/fileadmin/DFE/DFE/studi/turismo/studio.pdf

Agorà 5


Dietro le quinte

Il Festival non è fatto soltanto di proiezioni nelle diverse sale e nella magica cornice di Piazza Grande. È soprattutto un enorme sforzo organizzativo che sottende tutta la manifestazione. Ne abbiamo parlato con Mario Timbal, successore di Marco Cacciamognaga alla direzione operativa della kermesse locarnese

di Demis Quadri

Società 6

Grazie al Festival del film, il cantone ha la possibilità di ospitare uno tra i maggiori eventi culturali a livello nazionale, nonché una tra le più importanti manifestazioni cinematografiche sul piano internazionale. Ma con gli indubbi vantaggi convivono anche le difficoltà, perché un evento di queste dimensioni implica evidentemente degli sforzi organizzativi tutt’altro che lievi. Per averne un’idea, abbiamo incontrato Mario Timbal, al quale chiediamo di spiegarci il suo ruolo di nuovo direttore operativo nell’allestimento della manifestazione. Un aspetto che si è sviluppato soprattutto sotto la gestione del presidente Solari e in seguito alla richiesta di professionalizzazione da parte del cantone, è stato quello di dare un’organizzazione più solida al Festival, che per questo è stato strutturato in due parti: una artistica, dove lavorano Carlo Chatrian con il suo team, e una operativa, dove siamo io e i miei collaboratori. Queste chiaramente sono comunicanti, perché lavoriamo assieme tutti i giorni, e dipendono entrambe dal presidente. Nella parte operativa non ci occupiamo della selezione del film e dei contenuti artistici: il nostro lavoro consiste nel creare una struttura che permetta al meglio a Carlo di programmare il Festival e al pubblico di accedervi. Sotto di noi si trovano quindi i settori che riguardano gli aspetti amministrativi, lo sponsoring, il marketing, la logistica, la sicurezza, la biglietteria ecc. Le direzioni artistiche danno una forte impronta a un Festival, che necessita comunque di una continuità e solidità della quale appunto si occupa la direzione operativa. Il Festival ha conosciuto negli ultimi anni una crescita notevole sia dal punto di vista artistico, che da quello del numero di spettatori e professionisti che arrivano a Locarno: una delle più grosse sfide è quindi fare in modo che tutto si sviluppi con un equilibro tra qualità artistica e organizzativa. Trattandosi poi di una manifestazione di undici giorni per la quale si lavora tutto l’anno, un’altra sfida è che dal momento dell’inizio del Festival tutto funzioni a dovere... Per farsi una breve un’idea di alcuni aspetti organizzativi del Festival, il marketing è certamente un settore cruciale. Un ambito che ha visto proprio lei protagonista sin dal 2009... Il marketing di un evento come questo, un po’ come tutta la sua comunicazione, si muove su due livelli. Da un lato il Festival ha la necessità di mantenere il proprio posizionamento nel mondo di questo tipo di manifestazioni: perciò c’è un marketing che si

sviluppa in un senso orientato al mondo dei festival e del cinema. Dall’altro il Festival è uno dei più grandi eventi pubblici del paese, per cui c’è tutto un lavoro di posizionamento a livello nazionale tra le manifestazioni culturali. In questo senso tra le altre cose siamo membri di Top Events of Switzerland, un’organizzazione fondata insieme a Svizzera Turismo che riunisce gli otto eventi più rilevanti del paese. Se ci si muove su due binari, quello dei professionisti del settore e quello del grande pubblico, anche la comunicazione deve muoversi in due direzioni diverse, utilizzando linguaggi e temi differenti. A volte noi diciamo che Locarno di giorno ha un “black carpet” che riguarda i concorsi e la scoperta di nuovi autori e cinematografie, e che interessa soprattutto i cinefili e i professionisti del mondo del cinema. La sera invece, con la Piazza Grande che permette di raggruppare 8mila persone davanti a un grande schermo, abbiamo un “red carpet” che è rivolto a un pubblico più ampio ed eterogeneo. Tra i pilastri che sostengono qualunque manifestazione culturale, grande o piccola che sia, c’è sicuramente quello dei finanziamenti, che spesso possono provenire dall’ente pubblico. Il sostegno pubblico nel mondo dei festival cinematografici è indispensabile per vari motivi. I finanziamenti funzionano sempre attraverso mandati di prestazione e hanno scadenze diverse. In primo luogo è chiaro che il Festival genera grosse ricadute sulla regione e sul turismo, la cui stagione ne è in un certo senso anche prolungata. D’altra parte i finanziamenti sono necessari per mantenere l’accessibilità a questo tipo di cultura. La possibilità di assistere alle proiezioni in Piazza Grande a costi ragionevoli, per esempio, si realizza grazie ai partner pubblici e privati, che ci permettono di praticare la nostra politica dei prezzi pur lasciandoci – e questo va sottolineato – totale libertà artistica. Il rapporto tra contributo pubblico e privato ogni anno oscilla un pochino, perché cerchiamo costantemente di crescere col privato, ma entrambi sono indispensabili. Un ulteriore elemento che assume una grossa importanza, come risulta evidente anche frequentando Locarno nei giorni precedenti l’inizio della manifestazione, riguarda la logistica… Noi abbiamo un aspetto che ci differenzia da molti altri eventi e che rappresenta sia un vantaggio, sia una difficoltà. Da una parte organizziamo un grande evento in una piccola città: un


Società 7

In attesa del pubblico; per gentile concessione ©Festival del film Locarno

aspetto unico e affascinante è che Locarno per undici giorni diventa il Festival, per cui è impossibile arrivarci senza accorgersi di quanto sta avvenendo. Un evento del genere in una città come Berlino non ha lo stesso effetto pervasivo. D’altra parte però a livello strutturale una metropoli ha delle facilità molto maggiori. Noi portiamo nel Locarnese fino a 160mila spettatori, che in rapporto alla popolazione locale rappresenta un numero altissimo. Per questo, dal punto di vista logistico bisogna fare degli sforzi incredibili – grazie naturalmente a un team forte che, durante l’evento, conta 600 collaboratori. Il Festival, per esempio, ha fino a dieci sedi di proiezione: ciò significa dover riuscire a ricavare sale di proiezione da luoghi, come la Morettina e il Fevi, che normalmente non lo sono. E questo mantenendo la qualità necessaria per un evento di tale livello. E anche la Piazza Grande, con il suo schermo di oltre 360 m2 e il suo sistema di proiezione, è una sfida che va al di là del semplice open air…

Quando si parla di spazi, non si possono dimenticare le persone che li animeranno... Per la gestione degli ospiti, una volta che un film è stato selezionato, il ciclo si basa su un nostro regolamento interno che determina quello a cui le persone hanno diritto. L’Ufficio Ospitalità organizza la loro permanenza a Locarno e i loro pernottamenti in un periodo ben definito, quello durante il quale verrà proiettato il film. Una volta arrivati a Locarno, entra in scena – soprattutto per personaggi più celebri – la parte di guest management che organizza il personale che li segue e le loro giornate: incontri col pubblico, presentazioni di film e attività varie che si inseriscono in un programma ben preciso, perché in questi casi non si può improvvisare! Si tratta di una struttura ormai ben consolidata e che tiene conto anche della provenienza degli ospiti, in quanto ogni regione del mondo ha i suoi tipi di protocollo e di usanze di cui tener conto e per i quali negli anni abbiamo sviluppato un certo know-how.


Comunicare il cinema “I film sono la ragione per cui esiste il Festival, noi siamo semplicemente uno dei facilitatori delle emozioni che passano sullo schermo” (Michele Jannuzzi) di Keri Gonzato

Media 8

Prove di Pardo; ©Jannuzzi-Smith

Appena entrata nello Studio di grafica e comunicazione Jannuzzi-Smith il mio sguardo viene catturato dalla grande nuvola bianca che pende dal soffitto. Una presenza che, oltre a essere decorativa, ha una forte valenza simbolica. Sono infatti la leggerezza e la versatilità mobile delle nuvole a caratterizzare le strategie brillanti messe in atto dal team, che si divide tra Londra e Lugano. Alla guida di questa squadra che, dal 2006, si occupa dell’immagine del Festival del film di Locarno e fornisce consulenza per i progetti legati alla sua comunicazione, c’è Michele Jannuzzi. Lo abbiamo incontrato per scoprire come questo evento culturale comunica con il mondo. Pardo Live “Non si tratta di una cosa sola quanto piuttosto di una sorta di nuvola che contiene la voce del Festival”, racconta ammiccando al cumulonembo che fluttua sopra di noi, “il mondo mediatico si è stratificato e ora si ha più modi per raggiungere

la propria utenza, in diversi momenti, in diversi contesti e su diversi supporti”. Sulla scia di queste considerazioni, negli ultimi tre anni, lo studio di Michele Jannuzzi si è occupato di rivoluzionare le strategie comunicative del Festival, introducendo una nuova creatura multimediale chiamata Pardo Live. Questo concetto ha infuso nuova vita nelle vene del Festival con l’effetto di amplificarne il ruggito, portandolo sempre più lontano. Si parla di una creatura articolata, che poggia su contenuti audio e video da lanciare nel cielo del web. “Pardo Live fa sia un lavoro di informazione pubblica che un discorso indirizzato alla nicchia dei professionisti”, ci spiega, mettendo in rilievo la natura bivalente della manifestazione. Si tratta di un mezzo viaggiante che, grazie alla sua struttura leggera e agile, permette al Festival di raggiungere il regista emergente di Bangkok così come il produttore affermato di Berlino. Per convincere un giovane cineasta a venire a Locarno devi proporgli una piattaforma che lo renda visibile e uno degli scopi principali di Pardo Live è


proprio di offrire ai professionisti questa vetrina. “Abbiamo voluto tirare assieme tutti i fili della comunicazione del Festival, che fino a quattro anni fa in realtà si riduceva a un supporto stampato, con l’intenzione di ampliare la capacità espositiva di film, attori e registi”, continua Michele Jannuzzi. L’idea di fondo quindi, non è solo di servire l’audience presente al Festival ma di raggiungere anche un’audience virtuale, tramite questa nuvola che porta tuoni e fulmini mediatici capaci di far parlare della manifestazione, oltre i limiti geo-temporali. Grazie a Pardo Live ci si fionda quindi in una dimensione globale dove il Festival può esistere a Rio de Janeiro come a Parigi e nel Sud-est asiatico… “Tramite Pardo Live, oltre a fare il lavoro informativo convenzionale, crei un mattone in più che permette al Festival di sopravvivere oltre ai suoi undici giorni di vita”, racconta il creativo, “si inventa così una televisione, si crea una squadra di film maker che prepara contenuti video e via dicendo; l’obiettivo è di avere una paletta di contenuti estremamente appetibili, senza chiaramente invadere lo spazio della rassegna perché poi, per vedere i film, devi venirci a Locarno”. La visione inseguita dallo Studio Jannuzzi-Smith è quella di far salire il Festival a bordo di una nuvola con una presa sempre maggiore, con dei contenuti variati, gradualmente catalogati e integrati in un archivio, che raggiungano un’amplio ventaglio di persone sparse in tutto il mondo. Identità Il lavoro del branding non è tanto legato a un continuo rinnovamento quanto piuttosto a una certa staticità: il suo ruolo infatti è quello di rendere un evento riconoscibile. In questo senso, la trama pardata, che rappresenta il Festival del film di Locarno fin dai suoi inizi, riveste una funzione importante. L’aspetto interessante è che si tratta un simbolo antico di Locarno che ha una storia un po’ dubbia… “Alla base esiste una confusione e, molto probabilmente, in origine, quello che venne definito un leopardo era invece un leone”, rivela Michele Jannuzzi. I grandi Festival sono infatti tutti apparsi nello stesso periodo, nel dopoguerra. Cannes e Locarno sono nati nell’estate del 1946 mentre Venezia aveva già esordito tempo prima, scegliendo il simbolo del leone: Locarno non poteva di certo copiarlo. “Per quanto riguarda il nostro Festival oggi siamo strettamente legati al pattern pardato, che ormai fa parte del suo DNA”, afferma l’intervistato. Dato che, nel caos mediatico attuale l’evento è solo una macchiolina che appare ogni tanto, è fondamentale quindi che tale segno venga mantenuto e che risulti riconoscibile. “Dal punto di vista grafico il leopardo, per il suo carattere ben definito, è un simbolo talmente forte e distinguibile che per il Festival di Locarno si è rivelato un vero blessing in disguise, una benedizione mascherata”, conclude il grafico sorridendo. Emozione A fare funzionare tutto, nonostante le limitazioni geografiche e finanziarie della manifestazione, sembra essere un famoso fattore segreto… Questo X Factor trova le sue radici nel cuore pulsante del Festival, un muscolo cardiaco che sa coinvolgere ed emozionare chi vi lavora e chi lo frequenta. “Tutte le rivoluzioni avvenute negli ultimi tre anni sono state realizzate con un budget minuscolo, se paragonate a progetti

Michele Jannuzzi con l’attore Bruno Ganz; ©Mario Timbal

simili in altri settori”, rivela a questo proposito Michele Jannuzzi. “L’aspetto interessante è che Locarno, grazie alla sua ambizione, sta facendo passi avanti che altri iniziano a copiare”, continua. “Benché Cannes, Berlino e Venezia, seppur su altri livelli siano molto più forti, per quanto riguarda le strategie della comunicazione stanno guardando verso di noi”. Il segreto di tale successo? Uno dei punti di forza del Festival è che può contare su un anello di persone che ci credono davvero. “Gli stessi sponsor non sono lì soltanto per uno scopo commerciale e, se hai una buona idea, sono pronti a sostenerla: si tratta di una cerchia di affezionati duri e puri che vanno dal piccolo fornitore fino al partner principale”. L’ingrediente magico che completa l’alchimia della kermesse risiede quindi proprio nel coinvolgimento umano ed emotivo di chi vi partecipa, sia come pubblico che dietro alle quinte. “Far arrivare questo sentimento a chi non è mai stato al Festival è estremamente difficile”, racconta l’intervistato, “all’ora attuale, con il video e il suono, si riesce a descrivere quell’emozione un pochino di più rispetto a quando si comunicava solo con la carta stampata: nei progetti futuri, su cui stiamo lavorando ora, c’è proprio la volontà di creare contenuti che raccontino l’esperienza umana, per esempio, quello che capita nel backstage, per ridurre la distanza tra lo spettatore e il contenuto”. Ma Michele Jannuzzi mi confida che malgrado tutto ciò che possiamo fare, poco sostituisce un’esperienza diretta… “Ricordo che quando Harrison Ford, con Daniel Craig e Olivia Wilde, stava per salire sul palco, alla vista della piazza esclamò: Is that true? Ma è vero?”, rievoca con un sorriso. “Quello che dobbiamo e possiamo fare noi, a livello della comunicazione, è contribuire a questo cosiddetto Locarno Factor”, conclude Michele Jannuzzi, “fare la nostra parte, con una certa modestia, senza avere l’ambizione di essere nient’altro che dei facilitatori di quelle emozioni che poi il film porterà alle persone”.

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L’altro mondo

A partire dalla rassegna “Open Doors” sul cinema africano presentata nell’edizione 2012 del Festival, una riflessione sulla vocazione extraeuropea della manifestazione locarnese di Nicoletta Barazzoni

Nel corso della rassegna Open Doors1 tenutasi lo scorso

anno durante il Festival di Locarno è stato presentato il cinema africano che, come tutta la settima arte, subisce l’influenza di altri stili cinematografici e culturali, assimilando a volte la parte peggiore della modernizzazione ma al contempo proponendo nuovi modi di fare cinema. Nell’edizione di quest’anno della manifestazione sarà invece la volta del Caucaso del Sud, con un focus su Armenia, Azerbaigian e Georgia. Abbiamo parlato della rassegna Open Doors con la sua responsabile, Martina Malacrida.

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Quali sono i criteri di scelta dei paesi che partecipano a Open Doors? Open Doors è sostenuta dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) del Dipartimento degli Affari Esteri. Per questo motivo i paesi che partecipano a Open Doors appartengono sempre al Sud e all’Est del mondo. Questa che potrebbe sembrare una restrizione è invece una ricchezza, perché ci permette di andare a scoprire nuove cinematografie (pensiamo all’Asia centrale e al Caucaso del Sud dopo il crollo dell’Ex Unione Sovietica), o di ridare visibilità a cinematografie che per motivi socio-politici ed economici sono “scomparse” negli ultimi vent’anni e stanno lentamente riemergendo (il caso dell’Africa subsahariana francofona). In questi undici anni abbiamo quasi fatto il giro del mondo, cominciando da Cuba, passando per il Magreb, il Mashrek, l’America latina, il Sud Est asiatico, l’Asia centrale, l’India ecc. Avete avuto riscontri sui potenziali partner entrati in contatto per finanziare e supportare i cineasti invitati alla rassegna? Solo per fare un esempio, nel 2012 abbiamo invitato 59 produttori e organizzato 277 incontri tra i progetti e i potenziali produttori. Normalmente sui 12 progetti selezionati circa 3-4 di loro trovano un coproduttore a Locarno. C’è stato qualcuno che grazie a Open Doors ha avuto degli sviluppi promettenti? In questi anni, anche con l’aiuto di Open Doors su 149 progetti selezionati 50 sono diventati film e sicuramente vedranno la luce nel prossimo anno molti film selezionati tra il 2010 e il 2012, data la media di realizzazione di un film tra i 2-3 anni (più alta di quella della cinematografia del Nord del mondo). Tra di essi abbiamo alcune storie di successo tra cui solo Winter vacation di LI Hongqi, Cina (2009) è stato il Pardo d’oro del concorso internazionale nel 2010; Harmony Lesson di Emir

Baigazin (Kazakstan, 2012) che è stato selezionato quest’anno nel concorso internazionale della Berlinale. In che modo stabilite se un determinato cinema in quella determinata zona ha delle difficoltà a esprimersi in modo indipendente? Potremmo dire che in quasi tutti i paesi del Sud e dell’Est del mondo il cinema indipendente ha difficoltà a esprimersi sia per le problematiche economiche (si fatica di più a trovare i finanziamenti, sempre più scarsi) sia per le problematiche legate alla libertà di espressione e alla situazione politica dei paesi. Quali sono le novità di quest’anno? La formula di Open Doors resta quella attuale ma con un ampliamento dell’offerta formativa ai registi e produttori selezionati. Rinnoviamo, grazie al sostegno della città di Bellinzona, il ciclo autunnale di serate “Porte aperte sul cinema dal mondo” che si terranno alla Biblioteca Cantonale di Bellinzona il 10 ottobre, il 13 novembre e il 5 dicembre 2013. Riflessioni sul cinema africano del 2012 Il discorso sul cinema africano può essere particolareggiato e avere uno stile proprio ma si intreccia, più in generale, con la contaminazione dell’occidente e la mondializzazione (l’emblema più significativo di questo fenomeno è proprio la Coca Cola). I numerosi film che abbiamo visionato l’anno scorso, hanno portato a Locarno (oltre a registi affermati come Souleyman Cissé, Abderramane Sissako, Claire Denis, Moussa Touré, Ousmane Sembene e altri) da un lato l’autonomia identitaria, e dall’altro il fatto evidente di essere all’altezza della situazione, perché il cinema africano è iscritto a pieno titolo in un discorso ampio e complesso, a partire dalla difficoltà di reperire i finanziamenti, benché il Fondo panafricano del cinema e dell’audiovisivo (FPCA) rappresenti un considerevole supporto. Stiamo parlando di un cinema per nulla sperimentale con un potenziale enorme. La coerenza cinematografica, i mezzi politicizzati e ideologici, le distanze geografiche, la mortalità infantile, la corruzione, la siccità, la droga, l’aborto, la promiscuità religiosa (tra cattolici e musulmani e altre etnie religiose), sono stati alcuni aspetti sviscerati da angolazioni differenti. Tutti elementi affrontati con sguardi riflessivi, costruiti su strutture simboliche precise, come nel film di Claire Denis Chocolat, in cui il titolo sta a indicare il colore della pelle del domestico e il simbolo della prosperità economica e sociale dei non nativ. I cineasti africani hanno valorizzato i mezzi filmici (con riprese di paesaggi ed effetti notturni


nella foresta non facili da riprodurre) ma soprattutto hanno illustrato il modo con cui l’Africa sta evolvendo, denotando la capacità di essere un continente diverso e uguale e al contempo uguale e diverso. Certo l’emulazione dello stile di vita occidentale nella sua accezione più deleteria (con il concorso di Miss Guinea nel film di Cheik Fantamady Camara Il va pleuvoir sur Conakry) ha evidenziato sprazzi di “inferiorità” a cui certi africani tendono ad assoggettarsi per un retaggio millenario di sudditanza storica. L’Africa tecnologica, e l’emancipazione femminile, sono solo alcuni elementi con cui i registi africani si impegnano per ridare dignità ai loro paesi, ridefinendo un’immagine autentica dei loro popoli, molto diversa da quella attribu­ ita loro dall’uomo occidentale2. Abbiamo visto mondi nei mondi: scontri generazionali tra gli integralismi religiosi e la modernità, tra il ruolo dell’Imam e la ribellione dei gio­ vani. Le inquadrature di paesaggi esterni hanno dato quel senso di profondo allineamento alla natura, al viscerale

rispetto per la terra, alla tradizione arcaica che gli africani onorano. Le scene cruente o l’erotismo intriso di violenza del thriller (estremamente sensuale l’atto d’amore nella vasca da bagno nel film di Djo Tunda Wa Munga Viva Riva!), hanno statuito l’universalità dei sentimenti che non hanno colore. La difficoltà a sganciarsi dal passato non ha mai preso il sopravvento perché abbiamo avvertito la determinazione nell’assicurarsi di un posto preciso nel mondo, malgrado la principale debolezza dell’Africa sia ancora il suo elevato grado di povertà endemica. La storia collettiva dei film selezionati per la rassegna Open Doors dell’anno scorso ha messo quindi a fuoco la massa critica di una classe di intellettuali fieri delle loro origini. La sensazione è stata quella di avere di fronte una realtà riformista, le cui esigenze sociali rompono con il vecchio sistema di valori e con i pregiudizi, in un confronto tra forze interne ed esterne. Una realtà a cui Locarno ha dato piena visibilità.

note 1 L’“Open Doors” ha lo scopo di mettere in contatto i pro­ fessionisti e cineasti dei paesi prescelti con potenziali part­ ner finanziari. L’anno scorso è toccato ai film dell’Africa francofona subsahariana. Si è trattato di opere rappresen­ tative che hanno focalizzato l’attenzione su quella parte del continente particolar­ mente colonizzata e sotto il dominio sanguinario e di­ spotico dei suoi governanti. Il Festival ha riconosciuto il lavoro di registi che con il loro impegno intellettuale rompono il silenzio con pro­ getti provenienti dal Nord del Mali, dal Senegal, del Camerun, dal Burkina Faso e altri ancora. 2 Nel suo L’incontro mancato (Bollati Boringhieri, 2005) l’antropologo Marco Aime descrive l’anima del turista che incontra i nativi del Mali o della Libia, svelando l’ideo­ logia che sta dietro all’incon­ tro di questi mondi.

a sinistra Il regista malgascio Laza, vincitore con il suo Fragments de vies del premio Open Doors 2012 per la post produzione; fotografia ©Chiara Tiraboschi

Arti 11


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ono nato a Torino il 9 dicembre del 1971. I miei genitori vivevano entrambi ad Aosta, ma ho passato i primi mesi della mia vita nel fumoso capoluogo piemontese, dove abitavano i miei nonni materni. Allora Torino era la città della Fiat. Poi ci siamo trasferiti ad Aosta, dove vivo tuttora, una città circondata dalle montagne, in un contesto protetto, un po’ fuori dal mondo. Ho capito quasi subito che se volevo conoscere il mondo dovevo lasciare Aosta, scendere a valle, verso Torino o Milano e così ho fatto. La mia vita si è sviluppata attraverso le città, perché il cinema, che è la mia vita, è un’arte che racconta meglio la realtà urbana, o almeno così io lo considero. Ma procediamo con ordine… Ad Aosta ho trascorso tutta la mia giovinezza, lì ho frequentato le scuole dell’obbligo e il liceo scientifico. Non dimenticherò mai i martedì sera passati al cinema a vedere i film con i compagni di liceo, seguiti da una pizza per discutere del film appena visto. Erano gli anni ottanta, guardavo i cosiddetti film d’autore al cineclub, dove davano Bellocchio e Bertolucci, oppure i film che venivano dall’Europa dell’Est o dall’Estremo Oriente. Il cinema già allora era per me un modo di confrontarmi, un modo diverso di guardare la realtà, uno sguardo personale, originale, unico, un modo di raccontare una storia attraverso delle immagini forti, più intense e coinvolgenti di quelle che potevo vedere sul piccolo schermo. Poi sono andato a Torino a frequentare la facoltà di Lettere all’università. Durante l’ultimo anno, parallelamente alla stesura della tesi, ho iniziato a collaborare con una rivista universitaria. Scrivevo recensioni di film. Mi piaceva e riuscivo a esprimermi con estrema facilità. Grazie alla rivista ho conosciuto diverse persone, in particolare un critico cinematografico, Luciano Barisone, che mi ha permesso di andare in giro per i festival d’Italia e d’Europa e scrivere di cinema. Questo è stato il primo passo per fare di una passione un vero e proprio mestiere. Insieme al lavoro di scrittura cresceva in me il desiderio di trasmettere ad altri le emozioni che il cinema mi dava. Con alcuni amici di Torino ho quindi organizzato una rassegna legata al cinema e alle altre arti

(letteratura, pittura, teatro...), poi con un gruppo di Milano, che organizzava la rassegna Filmmaker, ho curato delle personali su registi che alla metà degli anni novanta erano ancora sconosciuti in Italia. Per me l’incontro è sempre stato importante, speciale e quindi di qui la volontà di incontrare nuovi registi, partendo dai più accessibili, ma anche da quelli che riuscivano a raccontare la realtà in maniera diversa rispetto al cinema più tradizionale. Incontrare era ed è la possibilità di condividere un’esperienza, cosa che per me è fondamentale e che il cinema, e anche l’andare al cinema, può ancora dare. Nel 1995 ho iniziato a frequentare il Festival di Locarno in qualità di critico. Venezia, Cannes e Locarno sono stati i tre festival che ho vissuto e amato di più, ma in particolare il festival svizzero si è contraddistinto fin da subito per la sua “umanità”: non c’era l’ossessione di entrare o di non entrare nelle sale e si potevano incontrare i registi senza problemi. E poi il primo direttore artistico che ho conosciuto, Marco Müller, aveva portato una varietà dirompente di proposte estremamente diverse tra loro. Ricordo a tal proposito che nel 1998 c’erano in programmazione film come Tutti pazzi per Mary, ma anche film meno popolari, di nicchia. Oggi sono da poco direttore artistico del Festival del film Locarno, questa del 2013 sarà la mia prima edizione. Come direttore, mi piacerebbe continuare a far sì che Locarno sia un festival senza barriere, che sia quindi la casa di tutto il cinema: da quello che lavora molto sull’immaginario a quello che magari piace a poche persone, ma che arriva in profondità e tocca e stravolge. Dal cinema che parla della realtà e aiuta a capire il mondo, al cinema più contemplativo, che gioca sulla bellezza estatica, che usa i volti, i paesaggi. E poi chissà, un giorno vorrei invitare registi come Terrence Malick, o il giapponese Hayao Miyazaki. Sicuramente ho un grande desiderio, quello di portare avanti il cinema come un’arte, alta e insieme popolare, che arricchisce l’uomo.

CARLO CHATRIAN

Vitae 12

Il cinema lo ha affascinato fin da ragazzo e la sua passione per il grande schermo lo ha portato in giro per l’Italia e l’Europa. Oggi è il direttore artistico del Festival di Locarno

testimonianza raccolta da Roberto Roveda fotografia ©Reza Khatir


Festival del film Locarno

Quelli che non si vedono

fotografie ©Reza Khatir

Millecentotrenta tubi in ferro, seicentonove nodi di assemblaggio, tremila dadi e bulloni, quindici tonnellate di peso, quattrocento metri quadrati di telone… sono solo alcuni dei dati relativi al palco e allo schermo del Festival, alla cui realizzazione si dedica un team specializzato di tecnici e operai. È anche a questi uomini, il cui contributo spettatori e operatori del settore cinematografico per lo più ignorano, che si deve la riuscita e il successo dell’annuale kermesse locarnese


sopra: Andry; in apertura: Alessandro


Alessio


Andry

Marco Franscella, responsabile cantiere

Max

Davide

Inรงir



La messa in posizione dello schermo (ore 6.15)


Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. khatir.com

Si ringrazia Marco Franscella e l’intero staff per il prezioso aiuto e la disponibilità

Ramon

Foto di gruppo degli operai e dei tecnici della Piazza

Loris


Senza StreSS a StreSa Tendenze p. 44 – 45 | di Irina Zucca Alessandrelli

Anche se il Festival del film resta uno spazio “adulto”, mai sottovalutare le possibilità di un luogo d’attrazione per i più piccoli. Che si può rivelare una meraviglia anche per i più grandi

A

una cinquantina di chilometri a sud di Locarno, il Parco Villa Pallavicino a Stresa è inserito in uno dei più suggestivi punti di osservazione del lago Maggiore. Dotato di un’amena spiaggetta, riservata al parcheggio, il parco della villa (venti ettari di alberi secolari, aiuole di fiori e un incredibile giardino botanico) ha molto da offrire anche a chi conosce bene questa sponda del lago. Se non si è mai visitato questo zoo immerso in un curatissimo bosco d’altri tempi, tra cascatelle muschi e ruscelli, non si può comprendere a pieno quello che un viaggiatore inglese del secolo scorso avrebbe definito come “pittoresco”. Potrebbe spuntare uno hobbit sul sentiero di ghiaia che costeggia la vecchia scuderia e porta al grande recinto con caprette tibetane e lama. Un’arcata di rose di diverse tonalità offre un’incredibile vista del lago, incorniciata come nei giardini rinascimentali o negli affreschi del Perugino da ghirlande di fiori e piante rampicanti. Qui le

ortensie sono così grandi e piene da sembrare copricapi di un azzurro intenso. I bambini di ogni età adorano poi accarezzare i lama morbidissimi e rincorrere le caprette nei grandi ambienti recintati. Una visita spettacolare Se si segue la via principale che s’inerpica, offrendo a ogni sinuosità un differente scorcio del lago tra le montagne, si arriva alle gabbie dei gufi e delle civette e si incontrano delle zebre verso la zona pic-nic, mentre una serie di tavolini all’ombra o al coperto offrono riparo in caso di maltempo. La passeggiata tra faggi, ippocastani, frassini, platani, magnolie è costellata di piccoli habitat per animali di ogni specie, dalle puzzole, ai macachi, ai cigni neri, sparsi nei 160mila metri quadri di tenuta. Per i più piccoli c’è anche uno spiazzo tra le palme con scivoli, altalene e una casetta a fungo. Un trenino rosso parte dall’orto botanico e ci conduce all’imbarcadero di Stresa.


Uno scorcio del Parco Villa Pallavicino a Stresa; immagine tratta da commons.wikimedia.org

Dopo qualche ora nel parco, smaltiti i panini del pranzo al sacco, una merenda da Gigi’s Bar a Stresa riporta agli anni della Belle époque. Nella sala da tè, che ha qualcosa di piacevolmente decadente, si possono gustare le ”margheritine”, deliziosi frollini tipici della tradizione locale ricoperti di zucchero a velo, o le pizzette di sfoglia, senza pari nel loro genere. Chi avesse il gusto dell’avventura nel sangue e non sentisse la fatica della mattina, può prendere la funicolare (da Piazzale Lido fino alle 17.30 circa) che porta al Mottarone, godendosi una dolcissima vista del lago al tramonto. Tra il rumore della cabina che sale accarezzando le cime degli ippocastani in trenta minuti si può arrivare a circa 1500 metri di altezza. La funivia fa una fermata presso il giardino botanico Alpino, una terrazza di 40mila metri quadri creata con passione nel 1938 da un ingegnere amante della montagna, a salvaguardia delle specie floreali. Se la giornata è limpida, si gode di una splendida vista delle Alpi italiane e svizzere con il gruppo del Monte Rosa. Dalla vetta

del Mottarone, la cosa più stupefacente è individuare i sei laghi (Orta, Maggiore, Mergozzo, Varese, Monate, Comabbio) e, a volte, anche la vetta piramidale del Monviso. Dalla fermata della funivia sul Mottarone, una strada asfaltata conduce a diverse baite dove in piena estate si può gustare un’ottima polenta. Non pensate di patire il caldo, qui nel pomeriggio di solito ci sono dieci gradi meno che a Stresa e, anzi, è spesso preferibile cenare all’interno, o fuori con una giacca a vento anche in pieno agosto. Per chi decidesse di venire per la cena, l’auto è obbligatoria. Ci sono due strade che collegano il Mottarone a Stresa: la strada provinciale che percorre il versante sud salendo da Armeno e una strada a pedaggio che sale da Alpino (Gignese) sul versante est. Al “Rifugio delle Stelle” è possibile anche pernottare, ma la prenotazione è obbligatoria anche per la cena (al numero +39 323 92 42 40). Uno sguardo al cielo stellato conclude egregiamente una gita da custodire con i colori e i profumi per i mesi invernali.


La domanda della settimana

Se vi venisse offerta un’attività lavorativa all’estero, di pari responsabilità ed economicamente equiparabile a quella attuale, lascereste definitivamente la Svizzera?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 8 agosto. I risultati appariranno sul numero 33 di Ticinosette.

Al quesito “Siete favorevoli all’aumento del costo della vignetta autostradale a 100 franchi? ” avete risposto:

SI

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Astri ariete Cercate di canalizzare il vostro potere creativo verso qualcosa di costruttivo. Siate meno impulsivi, soprattutto nei rapporti con i familiari.

toro Fascino e intraprendenza sono parole magiche. Novità professionali per i nati nella terza decade. Vivete il presente, costruite il futuro.

gemelli Scarso impegno nell’ordinaria amministrazione. La vostra fame di conoscenza si dirige verso il nuovo. Colpi di fulmine tra il 6 e l’8 agosto.

cancro Agosto alla grande per gli avventurieri. Potrete dare una svolta alla vostra vita. Approfittate del transito di Giove per avviare nuove iniziative.

leone Cambiamenti radicali. Saturno, vi spinge a fare i conti con il vostro passato, Urano, vi invita a intraprendere una danza con il futuro.

vergine Creatività e amore. Progetti e nuove collaborazioni. Magnetismo e seduttività in crescita esponenziale. Incontri e flirts tra il 4 e il 5 agosto.

bilancia Mancanza di equilibrio. Attenzione agli sfoghi improvvisi e sopra le righe. Cercate di inserire nuovi elementi nelle realtà quotidiane.

scorpione Colpo di fulmine con Pesci, Cancro e Vergine. Acquisti immobiliari favoriti da Saturno e Giove. Momento ideale per cambiare la propria abitazione.

sagittario Opportunità per i nati nella prima decade baciati dal lungo transito di Urano. Incontri con geni creativi tra il 6 e l’8 agosto. Interessi esoterici.

capricorno Venere positiva per i nati nella seconda decade. Attenti a non parlare troppo: con Mercurio in opposizione è facile compiere errori.

acquario Adottate una dieta più naturale. Opportunità provenienti dai vostri collaboratori. Inquietudini tra il 6 e il 7 agosto per la Luna in Leone.

pesci Agosto ricco di fermenti e attività. Incontri con persone fuori dal comune. Espansione della conoscenza favorito dalla vicinanza con il mare.


Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 33

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 8 agosto e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 6 ago. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Verticali 1. Vi sguazza chi gongola • 2. Deciso, convinto • 3. Il mitico aviatore • 4. Canale, fosso • 5. La ninfa d’Arcadia • 6. Norvegia e Germania • 7. Cifra imprecisata • 8. Grosso cetaceo • 9. Frulla in testa • 14. Spinta iniziale • 16. La scienza dello zodiaco • 21. La musa della poesia amorosa • 23. Preposizione semplice • 25. Nominata, prescelta • 26. Ordinò la strage degli innocenti • 30. Sofferenza finale • 32. Ispida • 34. Ha il cordiglio • 36. La belva che ride • 38. Desco sacro • 40. Scuole superiori • 44. Saluto amichevole • 45. Pari in boccale • 46. Replica • 48. Mezzo uovo • 49. Le iniziali di Rascel • 50. Due nullità.

Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!

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Orizzontali 1. Velieri a due alberi • 10. Rimembranza • 11. Anno Domini • 12. Azzardare • 13. Si defalcano dai lordi • 15. Aurea • 17. La nota Zanicchi • 18. Pari in foglio • 19. Strozzinaggio • 20. Caduta in mezzo • 21. Oriente • 22. Undici detto a Zurigo • 24. Ripetere • 27. La fine di Belfagor • 28. La fa dolere l’angina • 29. Adesso • 31. Studiano i costumi dei popoli • 33. Bruciato per il poeta • 35. Stuzzicano le nari • 37. Guasto senza pari • 38. A volte è infiltrato • 39. Lo sono i petali dei girasoli • 41. Il nome di Fleming • 42. Il pronome dell’egoista • 43. L’isola di Ulisse • 45. È bella ma stupida • 47. Abbaino, lanterna • 51. Le Lipari • 52. È ghiotto di miele.

La soluzione del Concorso apparso il 19 luglio è: CENACOLO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Elisabetta Valsecchi via Rodari 10a 6900 Lugano Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

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