Ticino7

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№ 33 del 16 agosto 2013 · con Teleradio dal 18 al 24 agosto

La misura deLL’uomo

il gioco delle bocce ha origini molto antiche ma il suo fascino è rimasto immutato. il segreto? Forse quell’apparente semplicità

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7000 famiglie sono state deportate in quest’area desolata dove sono costrette Villaggio di Kan Dang Kao a vivere in condizioni disumane

vero amore

conosciuto misura

Associazione Missione Possibile Svizzera Banca Raiffeisen Lugano Numero di conto: 1071585.70 Via Ungè 19, 6808 Torricella Via Pretorio 22 IBAN: CH04 8037 5000 1071 5857 0 Tel. +41 91 604 54 66 6900 Lugano Codice bancario: 80375 www.missionepossibile.ch info@missionepossibile.ch


Ticinosette n. 33 del 16 agosto 2013

Impressum Tiratura controllata 68’049 copie

Chiusura redazionale Venerdì 9 agosto

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

Il segno della posizione (Grotto Ponte Vecchio, Camorino) Fotografia ©Flavia Leuenberger

4 Arti Verdi e Wagner. Maledetto tedesco! di oreste Bossini ........................................ 8 Media Editoria. Libri da mercato di MarCo aLLoni .................................................. 10 Letture I “cattivoni” di roBerto roveda .................................................................. 11 Vitae Claudio Ghiringhelli di LudoviCa doMeniCheLLi ................................................ 12 Reportage Il gioco delle bocce di antonio Cavadini; foto di fLavia LeuenBerger ........ 37 Fiabe L’arciere distratto di Chiara PiCCaLuga; iLLustrazioni di giovanni oCChiuzzi .......... 42 Gaphic Novel #sentitoindogana di oLMo Cerri e MiCha daLCoL .............................. 43 Tendenze Moda e bellezza. Lato B di Marisa gorza .............................................. 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Beni culturali. Di male in peggio?

di

Laura di CorCia .....................................

Oh no, ancora i cinesi...? Buongiorno, buon articolo, scritto molto bene... L’altro giorno, al negozio della stazione FFS di ***** un altro simile episodio... Tre cinesine (o asiatiche) cercavano di farsi capire dai due ragazzi “smart” dietro la cassa. Ma da quei due neanche una parola d’inglese, e nemmeno un gentile italiano verso le ragazze straniere... Mi sono chiesta se hanno una retribuzione così misera che anche un sorriso costa loro fatica... Pensare che lasciamo anche questo come ricordo ai turisti stranieri... Saluti, H. G. (Minusio) Alla luce degli ultimi dati resi pubblici, il turismo cantonale si starebbe risollevando. Nessuno brinda e Ticino Turismo evita i toni trionfalistici per una ripresa avvenuta negli ultimi mesi tanto eclatante quanto inaspettata (almeno per i non addetti ai lavori). L’8 agosto, poi, i quotidiani alimentavano la fiamma dell’ottimismo dando il giusto spazio a quanto sta avvenendo a Bellinzona, dove “le entrate paganti ai castelli a fine giugno erano già oltre 15.000. Il 50% in più del 2012”. Pernottamenti in linea con i record del 2012 e visitatori della regione in crescita inarrestabile, “complice anche la sempre più massiccia presenza di gruppi di orientali (cinesi e giapponesi)” si legge nel Corriere del Ticino dello stesso giorno. La manciata di righe riportate in apertura le scrive invece una cortese lettrice: almeno lei ha apprezzato le considerazioni contenute

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• Lenisce il dolore e il prurito

in “L’accoglienza è importante“ (Ticinosette n. 30/2013 del 26 luglio) a firma di Marco Jeitziner. Lo stesso non possiamo dire per alcuni esercenti della capitale, offesi dall’articolo perché metterebbe in cattiva luce la categoria (o almeno coloro che sono presenti sul Viale della Stazione). La casualità ha voluto che proprio in quel numero del settimanale si parlasse in modo approfondito di economia asiatica, di classe media cinese e della sua ricchezza. Sono insomma le stesse persone che viaggiano in mezzo mondo e visitano (fortunatamente) anche i castelli bellinzonesi. Per evitare problemi di sorta (con minacce di possibili querele e altre azioni), come avrete notato il luogo della “mancata capacità comunicativa” segnalata dalla signora di Minusio è stato omesso. Speriamo così che quanto riportato diventi fonte di riflessione costruttiva sulla qualità dell’accoglienza, e sui piccoli ma essenziali gesti di cortesia che un cantone a vocazione turistica dovrebbe sempre avere nei confronti dei suoi ospiti. Come dimostrano molte altre realtà nel mondo (assai meno ricche di noi), non servono i tappeti rossi per rendere felici tre cinesine affamate e bisognose di una bottiglia d’acqua o di un’informazione. A volte basta un sorriso e qualche gesto gentile: chissà, anche questi potrebbero aiutare l’esplosione degli incassi e delle cifre d’affari. Buona lettura, Giancarlo Fornasier

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Di male in peggio? Territorio. Joachim Eder, consigliere agli Stati liberale radicale, ha promosso un’iniziativa che mira a facilitare l’intervento su monumenti e beni paesaggistici, escludendo tutti quegli intoppi che oggi la legge frappone per proteggere quello che è considerato patrimonio pubblico. Una proposta che, secondo alcuni, metterebbe in serio pericolo molti dei beni culturali presenti nel nostro paese, impotenti vittime di ruspe e speculazione di Laura Di Corcia

S

Agorà 4

i tratta in sostanza di dare una rispolverata agli articoli 6 e 7 della Legge federale sulla protezione del paesaggio e della natura, in modo da ridurre il potere d’azione della Commissione federale dei Monumenti storici e della Commissione federale per la protezione della natura e del paesaggio. Ma come si permettono, viene da chiedersi. Domandiamocelo pure, la risposta è che questi manufatti e spazi verdi – edifici religiosi e ville storiche, fabbriche dimesse, parchi naturali, fiumi, laghetti, bacini – dovrebbero poter essere toccati con maggiore o minore delicatezza qualora gli interessi della Confederazione o dei cantoni o l’insieme degli interessi in gioco lo giustifichino. Ma, di grazia, come si fa a valutare se è più importante conservare un vecchio mulino o costruirci una strada per accedere a chissà dove? Siamo sicuri di non andare a infilarci in un ginepraio, sottoscrivendo simile iniziativa? Ne abbiamo discusso con Nicole Bauermeister, direttrice della Società di storia dell’arte in Svizzera, che recentemente ha preso posizione sul tema. Signora Bauermeister, lei si è espressa in modo critico sull’iniziativa del consigliere di Zugo Joachim Eder. Di che cosa si tratta, nello specifico? È una revisione della Legge sulla natura e sul paesaggio che vuole far scendere di livello gli oggetti classificati come “A”, che ora godono di protezione speciale e sono giudicati di interesse nazionale (per esempio, i castelli di Bellinzona, ndr.), inserendoli in una lista meno importante, dove quindi questi oggetti possono essere manomessi con più facilità. Avverto un campanello d’allarme nella sua risposta… È molto pericolosa, infatti. E la cosa più inquietante è che il pretesto addotto sono le energie rinnovabili, quindi, per esempio, i pannelli solari. Alliance Patrimoine ha realizzato uno studio che evidenzia come la maggior parte dei casi trattati dalla Commissione federale per la protezione dei beni culturali abbia a che fare con le strategie legate alle economie “pulite”. Ma queste non devono assolutamente diventare una scusa per demolire edifici che costituiscono il nostro patrimonio storico-artistico.

Mi lasci indovinare: dietro alle motivazioni “green”, ci sono interessi tutti rivolti al mattone e al cemento. Ma a che punto siamo, a livello politico? L’iniziativa è stata approvata, è già in vigore? Esatto, esatto. Al momento, il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati la stanno esaminando, ma per ora non è ancora stata applicata. Mi faccia un esempio di cosa potrebbe avvenire se Eder e il suo partito dovessero vincere la loro battaglia. Potrebbero dire, costruiamo un parcheggio lì dove ora sorge un edificio storico, perché è importante per l’economia. La cosa irritante è che si fa credere alla gente che si agisce per il bene pubblico, quando invece sono gli interessi privati gli invisibili manovratori di certe iniziative. A essere onesta, credo che ci sia una parte del partito di Eder che agisce in buona fede, e un’altra parte che non ha intenzioni molto buone. Lei, come direttrice della Società di storia dell’arte, monitora la situazione di tutto il nostro territorio. Ci sono già stati crimini ambientali e culturali di un certo peso? Me li può elencare? Per ora no. Ma se questa iniziativa dovesse passare, non preoccupatevi, ce ne saranno eccome! A me invece pare che questa strada sia stata già imboccata: penso al caso molto dibattuto e mediatizzato in Ticino di Villa Galli/La Romantica di Melide... Noi come Società di storia dell’arte in Svizzera ci eravamo espressi contro la demolizione. Mi scusi, ma io colgo dell’impotenza nelle sue parole, signora Bauermeister. Senza leggi che tutelino fino in fondo il nostro patrimonio storico-artistico, le parole sono aria fritta. Ha ragione. Ma il caso della Romantica è particolare, perché la villa non faceva parte della classe “A”, di cui le parlavo. Quindi non potevamo intervenire sul piano legale. Ora, se l’iniziativa passerà, avremo tante e tante Romantiche, per intenderci.


Agorà 5

Melide, 1903–1907. Il ponte-diga visto dal monte San Salvatore con, a sinistra, il comune di Bissone e al centro Villa Galli/La Romantica. In alto a destra, il monte San Giorgio, oggi patrimonio naturale mondiale UNESCO (Fondo Ernesto e Max Büchi, ©Archivio di Stato, Bellinzona)

(...)


Agorà 6 Bellinzona, 1917–1918. Una veduta panoramica da ovest con, in primo piano, l’attuale via Carlo Salvioni e sulla destra Villa Bonetti, edificio di pregio che la STAN-Sezione Ticino indica come “minacciato” (Fondo Ernesto e Max Büchi, ©Archivio di Stato, Bellinzona)

A volte pare che di beni culturali si parli solo alle nostre latitudini. Che cosa avviene nel resto d’Europa? Mi saprebbe indicare un paese che dimostra una certa sensibilità verso il proprio patrimonio naturale e culturale? Se la Svizzera dovesse prendere appunti, per intenderci, a quali porte dovrebbe bussare? Per il momento, ahimé, non esistono isole felici. La cultura, ai giorni nostri, purtroppo, è ipoprotetta. Io credo che la Svizzera abbia una buona legislazione, se devo essere onesta, ma deve conservarla. Quello che mi dice suona strano. Lei sa quanti edifici dall’indubbio valore storico-artistico sono stati demoliti in Ticino? Lo so, “purtroppo” in Svizzera c’è il problema del federalismo: e questo comporta che la Confederazione non possa intervenire in tutti i casi... Cosa consiglia a coloro che non vogliono vedere crollare palazzi e ville che contribuiscono a radicare il loro vissuto? Si possono rivolgere a enti sovranazionali? Direi di no. L’unica strada da imboccare è quella di rafforzare le leggi e la sensibilità nel contesto del proprio paese. E voi, come Società di storia dell’arte in Svizzera, che cosa fate concretamente?

L’unica cosa che possiamo fare è promuovere e far conoscere alle persone il patrimonio storico-artistico che li circonda. Diffondere la cultura. Melide e altri “ping pong” Non sono bastati gli appelli, accorati, giunti da più parti. Non è bastato nemmeno l’intervento appassionato di Tita Carloni – la terra gli sia lieve – per cercare di salvare la storica dimora rosa, in stile tardo-classicistico, fatta costruire da Leopoldo Galli nel 1835. Niente: gli attuali proprietari di Villa Galli a Melide sono andati dritti per la loro strada, hanno rifiutato di costruire la struttura alberghiera che avevano in mente nella zona dove ora sorgono i campi da tennis, disilludendo le aspettative del cantone che sperava in questo modo di risolvere la faccenda e non scontentare i diversi cittadini ticinesi cui piange il cuore. E sì che la bella dimora, che è stata un ristorante di lusso, un night, un bordello, che sembra quasi sospesa e in qualche modo svincolata dal resto del territorio, la splendida location dove si sono innamorate fior e fior di coppiette (soddisfava anche palati sopraffini, tipo quelli di Romy Schneider e Alain Delon), l’aveva già scampata nel lontano 1969, quando all’allora proprietario, l’eccentrico Jacky Wolf, era venuta la geniale idea di costruire un albergo di ventidue piani. Grandi personalità già allora si scagliarono contro quello scempio, fra cui anche lo scrittore e poeta


Il cantone, i comuni e la proprietà privata Ma “l’affaire Romantica” è solo la punta dell’iceberg di una pratica non di certo ossequiosa agli edifici storici di pregio, che trova le sue radici nell’attuale Legge sulla protezione dei beni culturali cantonale. Avventurandosi nella lettura della documentazione (facilmente reperibile online), si appura che la protezione dei beni culturali immobili è concepita come “integrata” e le competenze sono distribuite fra gli enti pubblici. Ovvero: cantone e comuni. Citiamo pedissequamente quanto riportato nel Messaggio numero 4387, anche questo facilmente consultabile sul sito del cantone nella sua interezza: “La protezione degli immobili passa da un ambito di competenza solo cantonale (iscrizione nell’elenco) a una sfera di competenza anche comunale (protezione a mezzo del piano regolatore). Ciononostante la responsabilità del cantone resta prioritaria nell’istituzione della protezione degli immobili di interesse cantonale, sia in occasione di interventi su beni protetti. L’aggancio alla procedura di adozione dei piani regolatori, che coinvolge democraticamente la popolazione interessata, avrà oltretutto il pregio di contribuire a sensibilizzare la popolazione al rispetto del proprio patrimonio culturale”. Molti edifici di interesse pubblico, però, appartengono ai privati. E l’articolo 5 su questo punto recita: “Quello che la legge si attende dal proprietario è che egli sia consapevole dell’importanza della sua proprietà anche per la collettività, adoperandosi per salvaguardarla e tramandarla. Non è in concreto immaginabile che l’ente pubblico assegni un proprio «guardiano a tempo pieno» a ogni bene protetto. Spetta necessariamente al proprietario garantire in primo luogo questa sorveglianza quotidiana e ordinaria. A questo scopo egli deve

tuttavia sempre poter contare sia sulla consulenza che sugli aiuti economici dello Stato (incentivi fiscali e contributi), il quale resta comunque il garante istituzionale del patrimonio culturale di interesse pubblico”. Responsabilità e prospettive Bisogna stare attenti a non confondere la gestione con la responsabilità della tutela: se questa è affidata agli enti pubblici, quindi al cantone e ai comuni, la gestione è invece di competenza del privato, il quale però può usufruire dei sussidi cantonali per le opere di restauro e conservazione del bene. Si legge più avanti: “Quando è riferita a beni di proprietà privata, la politica di conservazione inevitabilmente interferisce con il diritto di proprietà. Il nostro progetto è orientato verso un’interferenza morbida, nel senso che riduce al minimo indispensabile le limitazioni della facoltà di disporre conseguenti alla protezione del bene”. Insomma, fuor di retorica, se vogliamo arrivare al nocciolo della questione: la conservazione dei nostri edifici storici costa. Il professor Luigi Bobbio, ricorda che questi di cui parliamo sono beni immateriali, il cui valore non è quantificabile, i cui frutti si raccolgono non proprio nel breve termine. Di cose delicate e importanti come queste deve occuparsi il cantone, deve avere voce in capitolo la confederazione. I municipi e i privati, alle prese con affari ben più prosaici, rischiano di diventare degli schiacciasassi e di annichilire punti di forza e ricchezza del nostro paesaggio, che, una volta cancellati, non torneranno mai più.

LEGALIZZARE LA LUGANIGHETTA

Il 22 settembre LEGGE SUL LAVORO

Comitato apartitico SÌ alla legge sul lavoro Laupenstrasse 2, 3008 Berna www.legge-sul-lavoro-si.ch

Francesco Chiesa (1871–1973): l’ebbero vinta, e tutti tirarono un sospiro di sollievo. Ma certi destini, ahimé, sono segnati: non passano quarant’anni e lo spauracchio dell’albergo torna in auge. Il cantone e il comune si rimpallano la patata bollente. Sembra che non si possa limitare la libertà di distruggerla; si dice che per salvarla servano fondi troppo cospicui e che non siano alla portata delle casse comunali e cantonali, già provate dalla crisi. Nessuno insomma vuole muovere un dito: a fine aprile il Consiglio comunale di Melide, con 18 voti sfavorevoli contro uno, respinge le modifiche al Piano regolatore che avrebbero salvato la villa. Anche chi voleva difenderla, di fatto, si arrende. E anche lei cade, in ginocchio, trasformata in un mucchietto di cenere, esattamente come un’altra dimora storica (Villa Branca, sempre a Melide) uccisa dalla miopia e da una legislazione che pare avere qualche lacuna. Chi ripagherà il territorio di queste ferite, di questi colpi bassi alla memoria storica del cantone e alla stratificazione architettonica del paesaggio? A volte, però, la principessa riesce a fuggire dall’orco che vuole divorarla: succede non solo nelle fiabe, ma anche a Bellinzona, dove le ruspe erano già quasi in moto per sbranare Villa Carmine, ma il municipio, tenendo conto di quanto suggeritogli dall’Ufficio dei beni culturali, si è opposto. Non ci faremo complici di questo scempio, la villa va salvata, insieme ad altri edifici di pregio costruiti a Bellinzona tra ottocento e novecento. È una prima vittoria, un primo traguardo (ricorsi e opposizioni permettendo).


Maledetto tedesco! Il destino non ha separato i nomi dei due maestri nemmeno dopo la loro morte. E così Milano ha avvicinato fisicamente, almeno per una volta, Giuseppe Verdi a Richard Wagner. Una beffa che certo brucia ancora al povero italiano di Oreste Bossini

L’unica statua di Milano in onore di Giuseppe Verdi (1813–1901) si trova in piazza Buonarroti, di fronte alla Casa di Riposo per Musicisti voluta dal maestro. Il monumento è stato eretto nel 1913, in occasione del primo centenario della nascita di Verdi, il quale da un secolo se ne sta ritto lì, con le mani in tasca, a guardare con l’aria un po’ perplessa verso il centro di Milano. Infatti, che cosa ha pensato di fare la Commissione toponomastica del comune? D’intitolare a Richard Wagner (1813–1883) uno slargo adiacente, a nemmeno un centinaio di metri dall’aiuola che ospita la sua statua! Insomma, il povero Verdi non è riuscito a scrollarsi di dosso nemmeno da morto quel maledetto tedesco rompiscatole, con le sue manie di grandezza, le sue pretese da intellettuale, la sua arroganza da rottamatore e la sua tracotante sicumera. Arti 8

Wagner: ancora lui…! Quel Wagner lì, sempre tra i piedi! Il povero Verdi, da contadino e gran lavoratore quale era, s’era fatto un mazzo così – gli “anni di galera”, li chiamava – per diventare il numero uno in Italia, e a Parigi aveva sgobbato come un negro per non farsi imbrogliare dagli impresari e mettere sotto i piedi dai colleghi francesi con la puzza sotto il naso. E sul più bello, quando pensava di essere finalmente riuscito a scalare la vetta del teatro europeo, Verdi si è visto arrivare a Parigi quel fanfarone super-raccomandato, che pretendeva di stravolgere di punto in bianco le abitudini del pubblico, dei cantanti, delle ballerine e soprattutto dei loro amanti. Non erano ancora cominciate le prove di Tannhäuser, che a Parigi si parlava già di lui come di un genio! Senza aver sentito una nota! E quelli che si scaldavano di più erano gli artisti più giovani, gente strana e nevrotica… come “quel” poeta, Baudelaire, che si era umiliato scrivendo a Wagner una lettera untuosa e rivoltante. Ma Verdi aveva capito subito che lì tirava un’altra aria. Non aveva a che fare con un rivale come gli altri, uno che si potesse mettere a posto sul piano musicale. Quel ciarlatano la sapeva lunga. Wagner rappresentava un nuovo modo di essere, di vedere la vita, persino di vestire. Era arrivato al punto di convincere quel povero idiota del re di Baviera, un residuo del settecento gonfio di quattrini, a costruire addirittura un teatro solo per rappresentare le sue opere. Mica un teatro come gli altri, ma una sala dove il pubblico fosse costretto a stare al buio senza fiatare, con i musicisti infossati in un buco sprofondato sotto la platea. Tutto questo al solo scopo di gratificare l’immenso ego di quel venditore di fumo! Come avrebbe potuto combattere Ver-

di contro concetti astratti come “musica dell’avvenire” e “opera d’arte globale”? Cosa contrapporre a un Dulcamara che vendeva elisir per un malessere dell’anima cagionato da un indefinibile futuro? Ma la cosa peggiore era che persino a casa sua, nella Milano del suo editore Giulio Ricordi, la peste wagneriana si stava diffondendo, specie tra i giovani. Prendiamo quel surrogato dei romantici parigini che a Milano si chiamavano “scapigliati”, gente con un po’ d’ingegno ma senz’arte né parte. Il loro capobanda, un mezzo italiano e mezzo polacco di nome Arrigo Boito, era arrivato al punto di paragonare l’arte italiana a un altare bruttato come un lupanare. Ah no, questo era troppo, anche per un uomo con le spalle larghe come Verdi! Ma cos’era questa follia collettiva, questa smania di liberarsi dell’antica sapienza artigianale di generazioni di musicisti? Questi studentelli impudenti e arroganti pensavano davvero che il popolo italiano si sarebbe appassionato per le astratte armonie delle Sinfonie di Beethoven e dei Quartetti di Mendelssohn, voltando le spalle alle disgrazie degli amanti e alle malvagità dei potenti cantate da Verdi e dagli altri maestri del melodramma? Una questione “nazionale” Che delusione, la nuova Italia! Verdi aveva accettato di diventare senatore del primo Parlamento italiano dietro le insistenze di quel galantuomo di Cavour. Sperava che la giovane nazione restituisse agli artisti la dignità perduta, che togliesse i teatri dalla condizione miserabile in cui versavano, preda di impresari farabutti e di artisti corrotti. C’era voluto poco per capire che le cose sarebbero andate avanti come prima, se non peggio. Quei dementi, invece di unirsi per difendere la loro storia artistica, spalancavano le porte al teatro di Wagner! E a pugnalarlo alle spalle, dirigendo il Lohengrin a Bologna, era stato proprio quell’Angelo Mariani che doveva tutto, la carriera, i soldi, la fama, all’amicizia di Verdi. Mariani era un debole, e aveva pure dato retta ai pettegolezzi su una relazione tra il maestro e la sua fidanzata, il soprano Teresa Stolz. Era forse colpa di Verdi se la Stolz di punto in bianco l’aveva piantato? Aveva sbagliato Mariani a mettersi con una donna troppo bella e troppo ambiziosa per lui. Sta di fatto che quel poveraccio aveva pensato di vendicarsi facendo la stupidata di portare Wagner in Italia. C’era andato anche Verdi a sentire quel Lohengrin a Bologna, nel 1871, nascosto nell’ombra di un palchetto per non farsi vedere. Non c’era proprio niente di speciale in


quel libretto assurdo e dilettantesco, scritto ovviamente da Wagner stesso. Anche Verdi aveva messo in musica copioni scombinati come quello del Trovatore, ma le sue storie parlavano di uomini e donne in carne e ossa, mica di semidei misteriosi scesi da una barchetta tirata da un cigno! Quelle erano favole buone per i bambini, ma ammantate di una musica indigesta per gli adulti. Eppure quello stregone riusciva a farsi largo. Dunque Wagner voleva la guerra? E guerra sia! Vediamo se la musica italiana è ancora buona a qualcosa, deve aver pensato Verdi scrivendo la Messa da Requiem per Manzoni. Tutti pensavano che dopo Aida il vecchio patriarca non avesse più nulla da dire. Adesso era una specie di disfida di Barletta per difendere l’onore nazionale, il campione dell’arte italiana contro quello della musica tedesca. Nella tana del lupo Malgrado l’età, Verdi insisteva affinché Ricordi gli procurasse concerti in Europa, e ci teneva in particolare a dirigere la Messa da Requiem in Germania. Voleva andare nella tana del lupo, per far sentire a quella gente come cantava il popolo italiano. Ma il successo clamoroso della Messa non bastava ad arginare la falla. Gli introiti delle opere di Wagner in Italia continuavano a lievitare, tanto che Giulio

Ricordi, l’amico di una vita, da uomo pratico, fiutò l’affare e convinse la concorrente Giovannina Lucca, che aveva i diritti delle opere di Wagner per l’Italia, a cedere l’azienda. Questo avveniva subito dopo che la Scala, nel 1887, aveva accolto in maniera trionfale Otello, un progetto a lungo rimuginato da Verdi e quasi estratto con il forcipe dal “scior Giulio” con infinito tatto e pazienza. Verdi alla fine, dopo la scomparsa di Wagner, si era deciso a musicare il libretto di Boito, venuto strisciando a Canossa. Finalmente, pensava, avrebbe avuto l’ultima parola e dimostrato al mondo che si poteva rinnovare l’opera italiana senza estirpare le radici. Macché, anche da fantasma il famigerato tedesco veniva a tirargli i piedi. Dopo una lunga e onorata carriera Verdi doveva sentirsi dire dai critici che era diventato un imitatore di Wagner! Quell’uomo era la sua sciagura, sembrava venuto al mondo all’unico scopo di rovinargli la vita. A Verdi rimaneva un solo colpo, anche perché gli anni cominciavano a essere troppi: scrivere un’opera comica, l’unico genere quasi del tutto estraneo al rivale. Almeno lì, nessuno avrebbe potuto sostenere che avesse cercato d’imitarlo. E così con Falstaff Verdi scrisse il capolavoro del suo teatro, ma anche questa volta sembrava una vittoria di Pirro. I giovani ormai copiavano la musica di Wagner, non la sua. Persino quel giovanotto toscano, il Puccini, che pure aveva del talento, ficcava gli intrugli armonici del Tristano nelle sue operette come la Bohème, una commediola patetica ambientata nella Parigi che Verdi aveva fatto in tempo a vedere da giovane. Il pubblico preferiva stordirsi con storie incomprensibili annegate in una melassa musicale? La critica pensava che le sue cabalette e i suoi concertati fossero roba da museo? Benissimo, ne prendeva atto e toglieva il disturbo. Forse aveva vissuto troppo. La vecchiaia, specie per gli artisti, non è solo triste, ma anche crudele. Il tedesco aveva sperperato i soldi per mantenere in piedi il suo assurdo teatro a Bayreuth, Verdi invece intendeva investire i risparmi per costruire un istituto dove i vecchi artisti fossero ospitati degnamente alla fine della carriera. Mausoleo per mausoleo, il suo era più nobile. Nel mondo contadino, nessuno viene lasciato morire da solo. Verdi era stato costretto a dividere la scena musicale con il rivale, ma solo lui almeno sarebbe stato ricordato come un benefattore. Perlomeno dai milanesi, pensava Verdi. Poveretto, non sapeva ancora della commissione toponomastica dell’Amministrazione comunale.

nota Per un ulteriore approfondimento sulla “rivalità” tra Verdi e Wagner – nell’anno del bicentenario della loro nascita – si veda anche, sempre a firma di Oreste Bossini, “Italia vs Germania” (Ticinosette n. 18/2013; http://issuu.com/infocdt/docs/n_1315_ti7).

Arti 9


Libri da mercato

L’editoria, per secoli ambito di conoscenza e di diffusione della cultura, si regge oggi su meccanismi promozionali puramente commerciali. È la legge della domanda e dell’offerta di Marco Alloni

Media 10

È probabile che il libro che ha vinto quest’anno il premio Strega non sia il migliore del suo autore. Critici affidabili affermano che Resistere non serve a niente sia infatti inferiore a molti altri titoli di Walter Siti. Che poi finalisti e vincitori di questo e altri premi siano spesso decretati da pressioni e condizionamenti è cosa risaputa, tanto che si potrebbe dire che sul piano editoriale vale più o meno la stessa regola che domina il mondo dei motori: a vincere sono più le squadre e le scuderie che i piloti. Dacché mondo è mondo fallibilità e clientelismo, pubbliche relazioni e conoscenze privilegiate fanno tuttavia parte del gioco. E pare che persino Pasolini si sia una volta rivolto a Sciascia affinché sostenesse un suo libro a un determinato premio letterario (non ricordo quale). Ignorare che l’editoria – come ogni altro ambito delle relazioni umane – sia risparmiato da tali pressioni è pertanto chimerico e ingenuo.

A parte luminose e rare eccezioni gli editori hanno così subìto una metamorfosi cruciale: alla promozione della letteratura antepongono la promozione dell’editoria e all’acculturazione del pubblico le vendite dei loro libri. Prova ne sia che una volta esaurito un filone, l’autore che l’ha inaugurato viene scaricato, messo a margine o ignorato dai piani promozionali.

Credere e investire Naturalmente il discorso attiene alla dimensione morale solo marginalmente. Se il generale decadimento dell’editoria dipendesse solo da questo, infatti, sarebbe gioco facile ignorare gli editori meno spregiudicati e prestare attenzione soltanto a quelli cosiddetti puri. Ma appunto il problema non investe solo la caratura etica degli editori bensì un processo economico generale che – dai supermercati alle case editrici – rende ormai prevaricante la logica della domanda e dell’offerta, e quasi del tutto L’editoria e la letteratura ininfluente la natura del prodotto. Il Rassegnarsi al condizionamento – cortocircuito è noto: non è più l’ofnon tanto come espressione di una ferta a determinare la domanda ma naturale sensibilità degli uomini alle la domanda a determinare l’offerta. lusinghe, ma come subordinazione E se il pubblico vuole Coelho non gli Pier Paolo Pasolini nella sua abitazione ˇechov. di Roma, 1973; immagine tratta alle logiche di mercato – è prassi si può certo rifilare C da parolesantels.blogspot.ch oggi fin troppo diffusa. Se ieri era In termini editoriali la questione dipiù o meno garantito che un giurato venta la seguente: se un tempo un deaccondiscendesse a una determinata pressione solo se terminato tipo di letteratura chiamava a sé una determinata esercitata da un autore di qualità, oggi tale pudore è quasi quantità di pubblico, oggi i piani si sono ribaltati: non è totalmente negletto. più il pubblico ad adattarsi alla letteratura ma la letteratura Perché questo accada è evidente: la centralità non è più nel- ad adattarsi al pubblico. Con l’ovvia conseguenza che la la letteratura ma nell’editoria. Non è più l’editoria a essere spirale procede sempre più verso il basso e, quanto più il subordinata alla qualità letteraria, ma la qualità letteraria bacino del lettorato si fa ampio, quanto meno è all’edua essere subordinata all’editoria. E se fino a qualche tempo cazione di tale lettorato che l’editoria aspira, tanto più fa era la letteratura a decidere dell’importanza di un’opera, gli editori dismettono la loro funzione di promotori della oggi le parti si sono ribaltate: a decidere dell’importanza di buona letteratura per occuparsi d’altro. un’opera è il suo riscontro di vendite. Tale processo determina lo slittamento a cui stiamo assiD’altronde nessun esperto di letteratura, critico, scrittore stendo. Tranne rare eccezioni, i libri non vendono perché o intellettuale è oggi più nelle condizioni di imporre al- sono importanti ma vengono considerati importanti percunché. A queste figure si è sostituita quella dell’agente (o ché vendono. E ne sia conferma il fatto che la maggior parte dell’editor) che, non essendo un elargitore di misericor- degli editori finanzia oggi i libri importanti delle proprie dia, è evidentemente interessato prima di ogni altra cosa collane con quelli che vendono. Con l’effetto paradossale all’aspetto economico della sua professione, e non certo a che quello in cui credono maggiormente finisce per essere diffondere nuove voci. quello in cui investono meno.


Letture I “cattivoni” di Roberto Roveda

Una delle peggiori caratteristiche di una parte della narrativa oggi in libreria è di raccontare spesso di personaggi e situazioni assai peggiori rispetto alla nostra quotidianità. Il tutto ampiamente condito con un gusto per la descrizione del male e dell’abiezione che si spiega solo con la furbizia di scrittori pronti a tutto, e a titillare gli istinti più bassi del lettore pur di vendere e far parlare di sé. Tra questi frequentatori abituali dello sguazzare masochistico negli abissi più torbidi dell’animo, un posto di rilievo lo occupa sicuramente il norvegese Jo Nesbø. E a testimoniarlo è anche questo suo recente volume uscito in italiano. L’autore costruisce infatti la oramai trita figura di “eroe” tutto al negativo, qui il “cacciatore di teste” e ladro di opere d’arte Roger Brown. Freddo e analitico, Brown – nel più scontato dei ribaltamenti di ruoli – cade preda di Clas Greve, un manager ancor più spietato e senza cuore, abilissimo nelle tecniche di interrogatorio e profondo conoscitore delle sofisticate tecnologie di controllo dati, il

classico “supercattivo”, insomma. Certo, il congegno della storia è talmente ambiguo da risultare affascinante e l’autore conosce a menadito le regole del ritmo narrativo. Però quanti romanzi sono usciti negli ultimi anni incentrati su personaggi squallidi e senza morale? E quanti ambientati nell’universo dei top manager, un mondo (sai che novità…) con ben poche regole? Si dirà che “conta come si narrano le vicende”: forse, ma credo sia ancora più importante quello che si racconta e il messaggio che si vuole trasmettere. Da questo punto di vista autori come Nesbø, spogliati dell’abilita scrittoria, ci appaiono cinici come le situazioni che descrivono, fondamentalmente incapaci di raccontare nella sua interezza la complessità umana. Che non è fatta solo da lati oscuri, spesso i più semplici da narrare. Nesbø, insomma, parla alla mente e ancora di più alle viscere; viceversa credo avremmo bisogno di scrittori che parlino al cuore e alle anime, capaci di farci sognare. A deprimersi c’è sempre tempo… e ben altri temi.

Il cacciatore di teste di Jo Nesbø Einaudi, 2013


S

ono nato a Domodossola, primo di tre fratelli maschi. Ho vissuto i primi anni della mia vita vicino a Novara, dove lavorava papà. Già all’età di nove anni sono uscito di casa, frequentando il collegio a Vercelli in internato dai preti: entravo il lunedì mattina e uscivo il sabato a mezzogiorno. Dopo un anno di corso intensivo di tedesco ho in seguito frequentato il liceo cantonale a Svitto, per continuare i miei studi all’università di San Gallo, dove mi sono laureato in economia. La mia casa era diventata il collegio, mi sono trovato benissimo e ho goduto dell’essere fra coetanei. L’internato mi ha permesso di crescere in maniera più autonoma e indipendente di quanto avrei potuto a casa. Non ero uno studente modello, ma ho sempre conseguito i miei obiettivi senza perdere tempo. A 23 anni, fresco di laurea, iniziai la mia prima esperienza professionale nel campo del trasporto intermodale a Chiasso. Lavoravo tantissimo, rincorrendo con tutte le mie forze la carriera, senza fermarmi e senza chiedermi se realmente era ciò che volevo. Parallelamente cresceva il mio disagio interiore, un’insoddisfazione profonda che mi faceva soffrire molto e, nel poco tempo libero a disposizione, a cercare vie di sviluppo personale. Decisi di cambiare lavoro, di passare al mondo dell’impreditoria, pur restando nell’ambito della logistica globale. Dopo un paio di esperienze come consulente nell’ambito del trasporto ferroviario, decisi di aprire con un partner austriaco una società che si occupava di organizzare flussi logistici per l’industria automobilistica e petrolchimica. Viaggiavo moltissimo, costruivo progetti per grandi corporations, guadagnavo bene, ma la voglia di dedicarmi a tutt’altro, di prendermi cura della mia parte spirituale non mi dava pace. Dedicavo una fetta sempre maggiore del tempo alla mia crescita personale, avvicinandomi sempre più al mondo esoterico. Nel 2009 ho scoperto i libri di Thorwald Dethlefsen, psicologo bavarese, padre della terapia della reincarnazione. Mi appassionai a tal punto che decisi di prendere contatto con una sua allieva svizzera, con la quale iniziai un percorso terapeutico. Nel tempo libero iniziai a frequentare i suoi corsi per diventare a mia volta operatore. Sempre

più forte cresceva in me la consapevolezza che quello che andavo cercando non lo avrei mai trovato nel mondo della logistica. Così a fine 2012 ho dato una svolta alla mia vita. Ho ceduto la mia attività, con il desiderio di voler portare in Ticino il metodo della terapia della reincarnazione. Oggi ho quarant’anni e tanta voglia di dedicare la mia vita a cose in cui credo e che mi danno piacere. La soddisfazione personale che provo dopo una seduta con il cliente non ha paragoni nemmeno con la firma di un grande contratto nel mondo della logistica. Durante la seduta il cliente entra in contatto con la sua parte più profonda e inconscia, prende coscienza aumentando la consapevolezza sulle sue qualità, i suoi problemi e sul continuo e inspiegato ripetersi di eventi indesiderati e a volte dolorosi che condizionano la sua vita. Per me è impagabile, mi carica di energia pura. Perché in realtà lavori per il bene del tuo cliente ma allo stesso tempo devi metterti in gioco anche come operatore per cogliere l’altro, migliorando te stesso. Questo è la terapia della reincarnazione. E non è necessario credere al fenomeno della reincarnazione per approfittare dei benefici della terapia. Ovviamente io ci credo, per la validità e la completezza di sensazioni e immagini sperimentate in seduta, ma questo non mi impedisce di rispettare qualsiasi altra opinione. Questa passione non sarà tuttavia l’unica mia attività. Parallelamente sto lanciando un progetto volto a creare uno strumento organizzativo che permetta di semplificare e rendere accessibile a un numero sempre maggiore di persone i prodotti e i servizi del commercio locale. Sono convinto che il mondo e il nostro modo di vivere stiano cambiando e voglio contribuire a promuovere l’unità, la collaborazione e il rispetto fra gli uomini e per la natura. Non voglio più pensare “così non si può andare avanti”, ho deciso di attivarmi e fare quel che posso. Due sfide, una sola idea: migliorando noi stessi, miglioriamo la vita di tutti. Dobbiamo solo volerlo e avere il coraggio di provarci.

CLAuDiO GHiriNGHELLi

Vitae 12

Dalla laurea in economia alla terapia della reincarnazione. Un complesso percorso di ricerca personale, fatto di spiritualità, consapevolezza e desiderio di migliorare il mondo

testimonianza raccolta da Ludovica Domenichelli fotografia ©Peter Keller


Bocce

avversari (ma non nemici)

di Antonio Cavadini; fotografie ŠFlavia Leuenberger


C’

è chi, non senza una troppo palese audacia, fa risalire l’origine del gioco delle bocce a un’epoca remotissima. Addirittura ai gesti un pochino tribali degli uomini primitivi, all’età della pietra. La vita, allora, aveva due primari scopi: il procacciamento del cibo necessario alla sopravvivenza e la difesa dagli animali feroci o pericolosi. All’uopo, il gesto naturale e spontaneo consisteva nel lancio di una pietra adatta all’offesa così come alla difesa. Gestualità semplice, scelta mirata del proiettile, affinamento della tecnica: nei secoli, negli innumerevoli secoli, il bisogno di

resistere si è trasformato in gioco, in divertimento. In fondo i (pochi) principi fondamentali sui quali regge il gioco delle bocce sono la capacità e la bravura di avvicinarsi il più possibile (e meglio degli avversari) a un oggetto prestabilito (il pallino) e di allontanare, colpendoli con adeguata violenza, i pezzi altrui troppo vicini. Nella storia il gioco delle bocce è divenuto popolare come poche altre attività ludiche. Si sono cimentati nobili regnanti e umili servitori, professionisti e operai, giovani e maturi in una miscela che ha avuto un ruolo del tutto importante nell’abbattimento delle barriere legate al censo, alla razza,


LE BOCCE, L’ARTE E IL DIALETTO Emilio “Mimmo” Rissone, l’ottuagenario artista di Lugano, ha alimentato a lungo e con successo un filone di opere direttamente legate al gioco delle bocce: disegni e acquarelli, soprattutto, in bianco e nero e a colori. Ha ritratto personaggi, luoghi, piante, situazioni, curiosità. I suoi uomini si muovono, giocano, bevono e si divertono nei grotti e nelle trattorie, intorno alle piste, spesso sotto la protezione di alberi secolari, in un’unica coralità. Ma Emilio Rissone è andato ben oltre. Ha pubblicato un originale volume dal titolo A punt e rigul che tradotto suona “Accosto e raffa”, ovvero le due possibilità che i giocatori hanno per avvicinarsi al pallino (l’accosto) o per allontanare la boccia dell’avversario (la raffa). Si tratta della sistematica e paziente raccolta, illustrata con ben 64 tavole di detti, voci ed esclamazioni che fioriscono intorno alle corsie dei grotti ticinesi e delle trattorie lombarde. Dice Rissone che le domeniche d’estate guardava dentro quei vialoni: “C’erano personaggi grotteschi che vociferavano, imprecavano, sentenziavano, gesticolavano, apprezzavano, gridavano numeri, bevevano e ridevano. Mi sembravano matti, erano solo un po’ allegri”. Sono oltre 1200 espressioni dialettali originali colorite, registrate con pazienza certosina, molte delle quali entrate nel linguaggio popolare di tutti i giorni. Il volume è onorato da una colta prefazione del professor Ottavio Lurati. Nella sua seconda edizione sono persino inserite alcune traduzioni con aggiustamenti in “Schwytzerdütsch” curate da Theo Mäusli, omaggio ai ferrovieri e ai trasportatori germanofoni sempre numerosi alle nostre latitudini. In occasione dei suoi 80 anni, una mostra di opere di Emilio Rissone, tutte legate al mondo delle bocce, sarà allestita fino a dopodomani, domenica, nel vecchio stabile del Grotto Cercera a Rancate, nell’ambito dei Campionati svizzeri giovanili (vedi pagine seguenti).

alla tradizione, alla cultura. I giocatori si presentano sui terreni deputati senza nessun pregiudizio. Si tratta di prati dismessi, di viali ghiaiosi, di radure boschive, di spiagge levigate. Sono incontri che non conoscono barriere sociali: nessun nemico – anzi, tutti amici – avversari solo nel gioco. Il gioco nei secoli pian piano evolve. Le esigenze di spazi sempre più adeguati diventano impellenti. Si individuano i terreni sui quali poter giocare nelle adiacenze dei centri abitati. Si costruiscono intorno tavole di legno con lo scopo di dare ai praticanti anche una precisa dimensione territoriale. Sovente i viali adatti vengono accostati ai punti

di ristoro, ai luoghi di culto, agli spazi civici, insomma nel cuore dei centri urbani. Le bocce diventano così uno dei giochi più popolari e diffusi del mondo. Ticino: terra di passione La nostra regione, lembo di terra incuneato nella Lombardia (e nell’Italia), non poteva non conoscere e persino non condividere le tradizioni del paese che è considerato, con qualche buona ragione, la culla del gioco delle bocce. Non si contavano, fino ad alcuni decenni fa, le strutture esistenti nei centri urbani più importanti: nei villaggi, nei borghi (...)



RANCATE - CAMPIONATI GIOVANILI 2013 Sul fronte agonistico del gioco delle bocce, domenica 18 agosto il Ticino ospiterà i Campionati svizzeri giovanili. Si tratta di quattro tornei distinti così come sono distinte le categorie del movimento nazionale. Saranno distribuite quattro medaglie d’oro: una per gli Under 23, una per gli Under 18, una terza per gli Under 14 e infine una quarta per i marmocchietti della Under 11. L’onere dell’organizzazione se lo è assunto la Bocciofila Cercera di Rancate. E sarà proprio nel cuore del popoloso quartiere della Città di Mendrisio che la manifestazione vivrà le sue fasi più importanti. Saranno interessate, nelle fasi preliminari del mattino, tutte le corsie di gioco del Sottoceneri, da Taverne giù giù fino a Chiasso, passando persino da Campione. Le finali il pomeriggio nell’impianto del club organizzatore. L’epilogo non sarà privo di autentiche emozioni: dall’attribuzione delle medaglie al collo dei protagonisti, alla solenne esecuzione dell’Inno nazionale che i giovani convenuti da tutta la Svizzera ascolteranno ai piedi del podio sul quale saranno stati impalmati i quattro vincitori. La giornata sarà pure una tappa di particolare significato nel percorso di crescita sportiva e umana dei giovani protagonisti.

nelle pagine precedenti Nello Fabbri di San Vittore (Grigioni), seduto a bordo corsia, osserva e rispetta con rigorosa discrezione una raffa di Dante Ghisletta di Gnosca. Il gesto tecnico del giocatore, particolarmente coordinato, lascia trasparire la lunga (e affinata) esperienza che gli ha permesso di vincere il titolo ticinese a coppie nel non lontano 2007 in formazione con Donato Lucchini di Castione. in questa pagina Una boccia azzurra quasi celata sotto una mano dalla quale traspare tutta la longevità del popolare gioco che non ha, tra l’altro, nessun limite anagrafico. nella pagina di sinistra Sopra: Michelino Rebozzi (al centro) ha praticato a lungo il calcio militando ai più alti livelli della massima serie nel Bellinzona, nello Zurigo e nel Lugano. È stato un campione amato e stimato sia per le sue straordinarie qualità tecniche – era un coriaceo difensore – sia per gli aspetti umani della sua carriera. Oggi si diletta, con successo, con il gioco delle bocce. È detentore del titolo ticinese a coppie della categoria veterani. Nella foto sembra volere indicare a un suo compagno, con gesti eloquenti, la giusta via che permetterà di posizionare la boccia proprio accanto al pallino. Sotto: le bocce si segnano sulla corsia di gioco con dei trattini convenzionali poiché, in caso di necessità, esse devono essere riposizionate nella postazione originale. Spesso, per stabilire quale è la più vicina al pallino, occorre procedere a una precisa misurazione mediante la stecca, uno strumento speciale in dotazione su tutte le superfici. ringraziamenti Ringraziamo gerenti, personale e clienti del grotto “Ponte Vecchio” di Camorino per la cortesia e la disponibilità.

Flavia Leuenberger Classe 1985, ha frequentato il Centro scolastico per le industrie artistiche (CSIA) di Lugano ottenendo nel 2004 il diploma di grafica. Dopo alcuni anni di esperienza anche in ambito fotografico svolge ora entrambe le attività come professionista indipendente. flavialeuenberger.daportfolio.com

e nelle città. Non c’era grotto o trattoria che non avesse una pista sulla quale poter offrire ai clienti l’opportunità di divertirsi, di misurarsi, di aggregarsi. Sono nostalgiche le immagini degli avventori che si accanivano, sfere nelle mani, alla ricerca del successo o più semplicemente del passatempo più economico e tranquillo. Riecheggiano ancora nelle orecchie dei meno giovani le popolari melodie corali che i protagonisti delle interminabili sfide echeggiavano a fondo campo tra una giocata e l’altra. Spesso noncuranti dell’esito della contesa, ma lieti di sorseggiare l’abbondante nettare che fuoriusciva dai boccalini rossoblù. E più la partita durava, più forti erano le intonazioni musicali… Ultimi baluardi e grandi campioni Nel nostro cantone i grotti e le trattorie sono stati tradizionali luoghi di pratica quotidiana del gioco delle bocce. Oggi, purtroppo, la più parte vive solo nei nostri ricordi e nella nostra fantasia. Lo sviluppo urbano, i valori dei terreni, soprattutto quelli cittadini, non hanno lasciato scampo. Le fotografie che pubblichiamo sono state scattate al “Ponte Vecchio” di Camorino; è uno degli ultimi baluardi, dalla commovente resistenza, di una situazione dai contenuti oramai compromessi. Abbarbicato sul fiume Morobbia, che scorre incurante degli avventori e con il suo incessante rigoglio, il viale occupa lo spazio gradinato adiacente al tradizionale grotto. D’estate è meta di quotidiane adunate di appassionati che si cimentano in infinite e accanite sfide che rinnovano con straordinaria puntualità. Il Ticino vanta due campioni d’Europa: il giovane sedicenne Giuliano Cairoli di Rancate che vinse il titolo continentale a Voghera nel 2009, e l’ottima Milly Recalcati, una fuoriclasse over 65 che si impose in Turchia nel 2011, prima medaglia d’oro “in rosa” della storia svizzera. Come a dire che il gioco delle bocce ha in sé una straordinaria universalità anagrafica. Nel secolo scorso, le bocce hanno assunto anche la dignità di vero sport. In molti stati del mondo, dall’Italia al Brasile, dalla Svizzera alla Cina, dalla Russia all’Argentina, sono state create numerose Federazioni nazionali che hanno lo scopo di gestire l’attività agonistica. Il nostro paese può persino annoverare due Campioni del mondo: Brenno Poletti, un arzillo oramai ottantasettenne di Ascona che vinse a Milano nel 1985, e Davide Bianchi, un quarantino di Mesocco che fu impalmato nel 2005 negli Stati Uniti d’America.


L’arciere distratto trascrizione di Chiara Piccaluga da una storia del “Mahabharata” illustrazioni ©Giovanni Occhiuzzi

Fiabe 42

n grande maestro arciere decise di organizzare una gara per valutare i progressi dei suoi allievi, alla quale furono invitati anche gli amici e i parenti dei partecipanti. Giunto il giorno della competizione gli spettatori si sedettero sui gradini allestiti ai bordi di un’ampia radura e all’estremità della stessa fu appeso in cima a un albero un bersaglio di legno con al centro un piccolo cerchio rosso; all’estremità opposta fu tracciata una linea sul terreno dietro la quale si posizionarono i concorrenti. Quando tutti si furono sistemati, il maestro alzò le mani per chiedere il silenzio: “Cari allievi, a turno ognuno di voi cercherà di colpire il centro del bersaglio con le frecce. Presentatevi solo quando vi sentirete perfettamente pronti”. Tutti gli allievi acconsentirono e un giovane avanzò impaziente di far mostra della sua abilità. Prese l’arco e una delle frecce appoggiate sul cuscino rosso, poi si mise in posizione di tiro dietro la linea e dichiarò: “Posso scoccare la freccia, maestro?”. Il maestro che lo stava osservando attentamente domandò: “Vedi i grandi alberi che ci circondano?”. “Sì maestro, li vedo tutto intorno alla radura”. “Bene” rispose il maestro, “ritorna a sederti perché non sei ancora pronto”. L’allievo stupito posò l’arco e ubbidì. Si presentò un secondo concorrente, impugnò l’arco e inserita la freccia e cominciò a prendere la mira. Il maestro si mise accanto a lui. “Riesci a vedermi?” gli chiese. “Sì maestro, siete proprio qui vicino a me”. “Allora vai a sederti, perché non riusciresti sicuramente a centrare il bersaglio” disse il maestro. Il terzo concorrente si presentò con coraggio, si concentrò posizionandosi alla perfezione e disse: “Posso scoccare la freccia, maestro?”. “Riesci ad udire gli uccellini che cantano? Sono sopra

l’albero dietro al bersaglio”, chiese il maestro. “Sì, li sento cinguettare, maestro”. “Allora torna a sederti perché anche tu non sei ancora pronto, e così non mireresti di certo il bersaglio”. Uno dopo l’altro tutti i partecipanti provarono a prendere l’arco e a mirare, ma a ognuno il maestro chiedeva qualcosa, ascoltava le loro risposte e li rimandava al posto. Gli spettatori non sapevano che cosa pensare e cominciarono a spazientirsi, perché nessuno degli allievi era riuscito a scoccare una sola freccia. Venne avanti allora un allievo molto giovane che finora era rimasto in disparte, incoccò la freccia, tese l’arco e rimase perfettamente immobile con lo sguardo fisso davanti a sé. “Vedi gli uccelli in volo sopra la foresta?” gli chiese il maestro. “No maestro non li vedo”. “Riesci a vedere l’albero dov’è appeso il bersaglio?”. “No, maestro non lo vedo”. “Vedi almeno il bersaglio?”. “No, maestro non lo vedo”. Gli spettatori cominciarono a ridere crepapelle: come poteva colpire il bersaglio se neanche lo vedeva? Ma il maestro ordinò di fare silenzio e chiese al giovane allievo: “Dimmi cosa vedi”. “Vedo un cerchio rosso”. “Bene, allora puoi tirare” disse il maestro. La freccia attraversò dritta la radura e andò a piantarsi vibrando al centro del cerchio rosso, nel cuore del bersaglio. Gli spettatori applaudirono quel magnifico tiro. Il maestro allora disse: “Bisogna focalizzare l’obiettivo e rimanere concentrati su di esso, non farsi distrarre da ciò che sta attorno e che può confonderci sia nel gioco sia nella vita”.


#sentitoindogana

di Olmo Cerri e Micha Dalcol

mmm, vestiti di ricambio, il computer, dei libri...

guardi se ha hashish o marijuana me lo dica subito e la buttiamo via

controllo doganale, dichiara?

iniziamo dalle tasche ma non tolga la felpa, non è una perquisizione

guardi spero di non trovare tabacco se no scatta una denuncia

no, no, trank!

e questo sarebbe il computer che diceva?

volevo dire sostanze stupefacenti

esatto, proprio il computer, che dicevo.

deve prendere il treno delle 22 e 17?

scusi?

si, fra quattro minuti! le ho comperate, in erboristeria.

capsule di artiglio del diavolo, è naturale, scioglie le contrazioni muscolari alla schiena

allora cerchiamo di velocizzare, cosa sono queste?

mmmm, no omeopatico penso di no, qui non centra la diluizione. È fitoterapico. non sono un esperto ma penso si possa dire così!

ma in erboristeria o è un medicamento omeopatico?

chi gliele ha date? ma lo prepara questo “dottor bossi della farmacia di besso” lui direttamente?

ah, qui c’è scritto che è un preparato naturale. strano, in capsule…

guardi, se vuole le buttiamo via, oppure ne prendo una davanti a lei, non ha praticamente nessun effetto…

non saprei...

dobbiamo testare che cosa c’è in queste capsule

guarda se nella provetta reagisce?

no quello è blu, non viola.

reagisce agli oppiacei!

ma reagisce sempre a tutto

reagisce anche agli alcaloidi

fallo andare.


LATO

Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza


Avere un fisico bello e armonioso è il sogno di tutte (anzi, di tutti!). Il corpo è lo strumento con il quale ci relazioniamo con il mondo, ci esprimiamo, ci raccontiamo, seduciamo... In particolare i glutei danno forza, carattere ed equilibrio estetico alla figura, la impostano, la definiscono. Non a caso molte donne dello spettacolo sono famose proprio per il loro meraviglioso “lato B”: sodo, tornito, incastonato come un prezioso gioiello

L’

apprezzamento del fondo schiena non è una prerogativa solo dei tempi moderni. L’arte ha sempre dedicato una grande attenzione alla edonistica tematica, sia da parte di scultori sia di pittori e poi del cinema e della fotografia. Tra i più celebri glutei di statuaria consistenza marmorea, un posto di rilievo è occupato dalla Afrodite Callipigia di epoca romana, copia di un originale bronzo ellenico del III secolo a.C. La dea è immortalata nel femminilissimo gesto di sollevare il peplo e volgere lo sguardo indietro per compiacersi del suo splendido kallipygos (letteralmente, “bel sedere”). Passando a qualcosa di più contemporaneo basti citare il pennello di Renoir che ha spesso ritratto da tergo Aline, sua moglie e modella. Per non parlare di Degas che aveva un occhio particolare per le ballerine e non mancava di raffigurarle nei momenti più intimi e con le nude rotondità en l’air. E mentre la fotografia domina la scena degli ultimi decenni, nel cinema capostipite indiscusso è il posteriore esuberante e saldo di Brigitte Bardot che ne stabilisce i canoni contemporanei. Canoni, nella loro evoluzione, sempre più richiamati al modello atletico (sia maschile che femminile), dalla muscolatura ben definita, propri dell’antico mondo classico. Chi l’avrebbe mai detto? Via via sempre più enfatizzato come indice di fitness, come status di perfezione e modello estetico, già sdoganato per l’estate che lo ha messo in mostra con bikini ridottissimi, ma anche per le stagioni più coperte fasciato dai jeans e dalla gonna a tubo. Tuttavia non tutte le donne sono soddisfatte del loro fondo-schiena. Per alcune è sempre troppo largo, grosso, basso; per altre è inesistente o poco tornito. Condannate all’eterna invidia verso le più fortunate? Ma neanche per sogno! In ogni palestra e spiaggia (quanti esercizi mirati anche sul bagnasciuga o a bordo della piscina...) il grido di battaglia è “scolpire i glutei!” che, essendo muscoli, possono mantenersi o ritornare tonici nonostante l’età, il peso e magari le gravidanze. RIMEDI PIÙ DRASTICI E DECISI Affrontiamo l’argomento con Simona Nichetti, medico estetico di nostra conoscenza che precisa

le due diverse problematiche a riguardo: “Per chi ha dei glutei poco rappresentati la soluzione può consistere nell’introduzione in sede di appositi filler a base di acido ialuronico voluminizzante. Oppure, per le più risolute, ci si può indirizzare all’inserimento di protesi. Si tratta di un metodo molto usato in America dove è apprezzatissimo il sedere ben tornito da bellezza latina. Una tecnica piuttosto innovativa è quella di ricorrere ai fili di sospensione che stimolano la produzione di connettivo rimodellando così le natiche. Utile anche in quelle situazioni in cui l’inestetismo è dettato per lo più da perdita di tono. Poi nel caso di troppa abbondanza e di accumulo di cellulite, la tecnica attuale è la liposcultura: sapienti colpi di ago-canula ridefiniscono il profilo della parte, dandole il giusto, armonico rilievo”. E per quanto riguarda gli uomini? “La diversa struttura del loro bacino e la proporzione fra massa magra e massa grassa a favore della prima, va sicuramente a loro vantaggio. Tutto ciò a cui devono badare, nella maggior parte dei casi, è il mantenimento del peso forma. Tuttavia anche nel mondo maschile ci sono esempi di ricorso alla chirurgia protesica per colmare l’eventuale «vuoto» lasciato dalla natura”. Questo ci consola, dopotutto di rimedi il mondo delle donne ne inventa in continuazione. LA MAGIA DEL “PUSH UP” Infine, è possibile vantare un bel sedere a mandolino senza fare grandi sforzi? Beh, sì: basta adottare i jeans “push up” di grande tendenza. Sono molti i marchi che si sono specializzati in questo prodotto magico, proponendo alle donne diverse tipologie di pantaloni modellanti e performanti. Tra questi abbiamo scelto i cinque tasche Perfect Shape di Fornarina (nell’immagine) costruiti con il denim Recall in Shape di Isko. Brevetto studiato per ottenere un grado di elasticità doppio rispetto ai tessuti ultra stretch attualmente sul mercato. La promessa, appunto, è quella di ritrovarsi un “lato B” in grado di sfidare la forza di gravità, avere una invidiabile silhouette e curve al posto giusto... almeno fintanto che vengono indossati. Linee essenziali date da tagli e cuciture da prodigio, dettagli preziosi e colori decisi per i complici jeans, già pronti da indossare per le prime brezze d’autunno. Dai gialli dorati ai caldi rossicci delle foglie boschive, dal ciclamino al prugna, al più intenso dei dark blue.


La domanda della settimana

Vi capita sovente di gettare nei rifiuti alimenti ancora confezionati, ma considerati “scaduti” dalla data di conservazione stampata sul prodotto?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 22 agosto. I risultati appariranno sul numero 35 di Ticinosette.

Al quesito “Se vi venisse offerta un’attività lavorativa all’estero, di pari responsabilità ed economicamente equiparabile a quella attuale, lascereste definitivamente la Svizzera?” avete risposto:

SI

27%

NO

73%

Svaghi 46

Astri ariete Venere elettrizza la vita affettiva. Bene con l’Acquario tra il 19 e il 20. Calo energetico per i nati nella terza decade. Conflittualità familiari.

toro Mercurio destabilizza. Questioni patrimoniali con fratelli e genitori. Attenti a quello che scrivete e a quello che dite. Ottima la giornata del 18.

gemelli Grazie a Venere in Bilancia si apre un fase rosa. Possibili ritorni di fiamma tra il 19 e il 20 agosto. Fase creativa. Acquisti nel settore immobiliare.

cancro Controllate la vostra irascibilità. Opportunità professionali per i nati nella seconda decade. Promozioni, riconoscimenti pubblici e guadagni.

leone State attenti a non peccar di superficialità tra il 20 e il 21. Forte attrazione nei confronti delle persone più originali. Questioni economiche.

vergine Tranquillità. Maggiormente favoriti i nati nella seconda decade. Positive le atmosfere in riva al mare per i nati nella prima. Accordi professionali.

bilancia Momento critico per i nati di tutte le decadi. Desiderio di indipendenza accompagnato da volontà rivoluzionarie. Liberatevi delle zavorre interiori.

scorpione Momenti indimenticabili. Con Marte dalla vostra sprizzerete di rinnovata energia. L’importante è non abbandonarsi ad atteggiamenti istrionici.

sagittario Fuochi d’artificio per i nati nella prima e terza decade. Incontri e colpi di fulmine con persone straniere. Favorito l’incontro con la Bilancia.

capricorno Se avrete il coraggio di fare scelte rivoluzionare cambiaranno molti aspetti della vostra vita. Confusione tra il 18 e il 19. Bene tra il 22 e il 23.

acquario Atmosfere originali e nuovi interessi negli studi. Mercurio in opposizione per i nati nella terza decade. Parlate di meno! Riposo tra il 20 e il 21.

pesci Tra il 21 e il 23 la Luna vi spinge a ricercare la compagnia delle persone più care. Attrazione per le attività sportive per i nati a fine segno.


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Soluzioni n. 31 La soluzione del Concorso apparso il 2 agosto è:

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Orizzontali 1. Efelidi • 9. Nome di donna • 10. I confini di Roveredo • 11. Un colpo all’uscio • 12. Le calzature di un gatto fiabesco • 14. Il dio egizio del sole • 15. Hanno perso i genitori • 16. Grosso camion • 17. Articolo maschile • 18. Il nome di Puccini • 20. Occhiello • 22. Indossa la muta • 23. Assunzione illegale di stimolanti nello sport • 25. Paga il fio • 27. Il nome di Bonolis • 29. Romania e Svezia • 30. Il motiv che si ripete • 31. Lisa nel cuore • 32. Gran Premio • 33. Olio inglese • 35. Misure per cereali • 37. Avanti Cristo • 39. Priva di fede • 41. I pallini del sarto • 43. Megera • 44. Cuor di cane • 45. Non usano il pettine • 47. Uruguay e Germania • 48. Velivoli senza motore • 50. Rosso a Zurigo • 52. È simile al frac • 53. Incagliati • 54. Mezza casa. Verticali 1. Noto film del 2009 di G. Erschbamer • 2. Originale, strambo • 3. Un genere pittorico • 4. Cittadino di Teheran • 5. Lo uccide Davide • 6. Istituto Tecnico • 7. Città bavarese • 8. Il mitico aviatore • 13. Passati al setaccio • 16. Il giro... francese • 19. Cuba e Svezia • 21. Si estrae dai papaveri • 24. Dispari in galli • 26. Non la nega l’anfitrione • 28. Guardati, notati • 34. Una nota e un articolo • 36. Misera • 38. L’avvoltoio delle Ande • 40. Si affiancano spesso ai quali • 42. Nel centro di Mascate • 46. Il rischio del giocatore • 49. Vezzo nervoso • 51. La bevanda che si filtra.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 35

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 22 agosto e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 20 agosto a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

RIFLESSO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Manuela Meier Via Prada 14 6942 Savosa Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!

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Photo by KEYSTONE | Gallery Stock | Morgan Norman

Basta provarlo: collocate semplicemente il vostro smartphone nello spazio indicato e attivate la fotocamera frontale.

Le inserzioni creano un legame tra cliente e prodotto. E con i media. Questo annuncio fa pubblicità alla pubblicità su giornali e riviste. Ogni anno l’associazione STAMPA SVIZZERA indice un concorso per giovani creativi. Anche questo lavoro ha vinto: è opera di Julia Bochanneck e Jan Kempter, agenzia pubblicitaria Scholz & Friends Schweiz AG. www.Questo-può-farlo-solo-un-annuncio.ch


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