№ 34 del 23 agosto 2013 · con teleradio dal 25 al 31 agosto
e t a m r a ile s b i a d i d e rm o z f l r e Fo e ne sarà do svizzero? Ch
t eserci
C T · RT · T Z · .–
AFRICA BIANCA
di Elio Ferrario
“33 GIORNI NELLA STIVA DI UNA NAVE: HO LASCIATO TUTTO IN CAMERUN. MIA MOGLIE, I MIEI FIGLI, IL MIO LAVORO, I MIEI AMICI. MI CHIAMO STÉPHANE EBONGUE E SONO SCAPPATO DAL MIO PAESE PERCHÉ SONO ALBINO.”
“Nel 2007, c’è stata l’eruzione del Monte Camerun: ogni volta che succede, i miei connazionali credono che sia l’ira del dio della montagna e che ci voglia il sangue degli albini per placarla. Così scatta la caccia.” “Ci sono tante dicerie sugli albini: che ci vedono bene di notte, che non muoiono mai. CERTE credenze vogliono che alcune parti del corpo di un albino servano per fare delle pozioni magiche: il cuore, per sedurre un uomo o convincere un amore ribelle. Le ossa, per diventare invisibili. Nel 1987, mio fratello albino è scomparso e non è più stato trovato.”
“Ora vivo nel Canavese, ai piedi di un monte, ma non è un vulcano, anche se il mio paese si chiama Forno.”
“Insegno italiano agli africani, ma sono laureato in giornalismo. Vorrei tornare a Douala e costruire una biblioteca con libri in corpo 18 e un videoingranditore, per i bambini ipovedenti (tutti gli albini lo sono), in modo che possano andare a scuola e tornare a sorridere.”
“Attraverso la cultura, si può creare un mondo senza più superstizioni.” Il docu-radio “Africa Bianca” di Barbara D’Amico e Fabio Lepore NEL giugno 2013 ha vinto il primo premio al Bellaria Film Festival (fra i tre giurati, Roberto Antonini, RSI).
Ticinosette n. 34 del 23 agosto 2013
Società Celebrazioni. Derive festive Mundus Hotel Europa
Impressum
Letture La lista è questa
8
11
roberto roveda .................................................................
12
Reportage Tokyo. Silenzi e oscurità
Editore
Tendenze Suoni e tendenze. Ukulele
Redattore responsabile
Teleradio 7 SA Muzzano
andrea ramani ..............................................
tito mangialaJo rantzer................................................
di
Chiusura redazionale
di
di
10
Vitae Stefania Chiesa
Venerdì 16 agosto
4
matteo aroldi ..................
37
Keri gonzato ...........................................
44
Svaghi ....................................................................................................................
46
teSto e fotografie di di
Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Soldato a metà Illustrazione ©Bruno Machado
di
marco Jeitziner ................................................................
di
Tiratura controllata 68’049 copie
Silvano de Pietro .............................
Agorà Riforme dell’esercito. Soldati al verde
È necessario pedalare Luglio e agosto sono stati i mesi delle vacanze e delle partenze, si sa. E per chi vive nei o a ridosso dei maggiori centri del cantone sinonimo anche di “pace stradale” (autostrade e semi autostrade escluse, ahimé). Diciamo che recarsi al lavoro quando sulle vie verso il mare brilla il “bollino nero” non è la peggiore delle sfortune: i tempi per spostarsi si fanno agevoli, lo stress da code un lontano incubo. Poi arriva settembre e le scuole dell’obbligo – deserte per settimane, docenti a parte – riaprono. Comprendere il legame tra aumento del traffico stradale e inizio dell’anno scolastico rimane un piccolo mistero, lo è meno se consideriamo che un buon numero di allievi vengono “portati” nelle loro sedi da genitori motorizzati. Tutta colpa della scuola, dunque? Forse no, fatto sta che appena si presenta una settimana di vacanza dai banchi, ecco che molte strade miracolosamente si svuotano, come se parte dei problemi legati alla viabilità e una porzione considerevole dell’economia cantonale ruotassero attorno agli istituti, pubblici e privati. Certo, la scuola è un rilevante datore di lavoro (ma non tutti siamo docenti). E le vacanze scolastiche coincidono in alcune famiglie anche con le ferie dei genitori (vero, ma solo per alcuni). Tralasciando iniziative meritevoli come i “Pedibus” – ed elogiando tutti coloro che si spostano a piedi o con i mezzi pubblici –, tra le ragioni a sostegno dell’equazione “apertura scuole = aumento traffico” vi è la sempre più rara (ma sanissima, leggasi lotta all’obesità infantile) abitudine da parte degli allievi di utilizzare la bicicletta per il tragitto casa-scuola-casa. La geomorfologia del nostro cantone non aiuta? Sarà, ma non possiamo dire che agglomerati quali Bellinzona, Locarno, Chiasso, in parte Biasca
e Mendrisio, e i grandi quartieri di Lugano che si affacciano sul Cassarate non siano pianeggianti. È probabile che ci troviamo di fronte al più classico dei circoli viziosi: molti non si spostano in bicicletta o a piedi perché lo considerano troppo pericoloso (visto il traffico e la carenza di piste ciclabili sicure), e la situazione viaria non migliora perché continuiamo a muoverci prevalentemente in auto. Pro Velo Svizzera ha organizzato anche lo scorso anno scolastico Bike2school, un’iniziativa che incentiva attraverso una gara a squadre l’utilizzo della bici per recarsi a scuola. Dei molti cantoni rappresentati, il Ticino non brilla purtroppo per partecipazione: scorrendo le classifiche della “stagione 2012/2013” sono infatti solo tre gli istituti iscritti, e giunti lontani dai primi. Nella classifica per km percorsi, la squadra “Senza catena non si parte” (media di Losone) si è posizionata 127esima sulle 218 conteggiate, con un bottino di 1545 km. Le altre ticinesi a punti sono “Swissmilk” (media di Gordola; 182esimi, 950 km) e “Bike Attack” (media di Giubiasco; 211esimi, 552 km). Pensate che i vincitori, gli studenti del comune bernese di Unterlangenegg (900 abitanti!) hanno pedalato per ben 12.203 km. Speriamo che l’edizione 2013/2014 porti maggiori soddisfazioni alle nostre scuole; nell’attesa, che dire, complimenti ai vincitori e bravi i loro genitori. Perché le buone abitudini nascono dall’imitazione di modelli adulti positivi: noi ticinesi lo siamo? Buona lettura, Giancarlo Fornasier
Soldati al verde Riforme. L’esercito svizzero è in cura dimagrante. Un progetto legislativo vuole ridurne le truppe e i mezzi, adeguandone le capacità alle nuove forme che possono assumere le minacce alla sicurezza collettiva. Una decisione non facile, che deve vincere la resistenza ad allontanarsi dalla tradizione e che, prima di diventare definitiva, il prossimo settembre dovrà fare i conti con il voto popolare sul mantenimento del sistema di milizia e più avanti anche sul controverso acquisto dei nuovi caccia di Silvano De Pietro; illustrazione ©Bruno Machado
“I Agorà 4
l miglior esercito del mondo” l’ha definito il ministro della difesa Ueli Maurer. E forse è vero. Un giornalista americano, John McPhee, autore del saggio La Place de la Concorde Suisse – apparso in italiano con il titolo Il formidabile esercito svizzero (Adelphi, 1987) – ha sostenuto che persino “gli israeliani hanno modellato il loro esercito, di ben nota efficienza, su quello degli svizzeri, che non fanno guerre da cinquecento anni”. Chissà, magari è proprio il non fare la guerra, mostrando però la volontà di farla, l’aspetto più apprezzabile di questo sistema di milizia, che a un osservatore esterno può apparire come un club, una corporazione elitaria e nel contempo popolare, piuttosto che uno strumento di guerra. Ma è un sistema per nulla improvvisato, che possiede la stessa determinazione e prontezza d’impiego di un esercito di professionisti.
Giù gli organici, avanti con le riforme Ebbene, questa efficiente organizzazione di difesa popolare ora deve fare i conti con la riduzione del budget, con la diminuzione degli effettivi e con nuove minacce che non sono più quelle militari. A dire il vero, della necessità di riformare lo strumento militare elvetico si parla da oltre vent’anni, cioè sin da quando scomparve, alla fine degli anni ottanta, la minaccia rappresentata dall’Unione sovietica. Durante la guerra fredda la Svizzera aveva 600mila soldati, il 10% della popolazione: una proporzione abnorme in tempo di pace, e anche in cifre assolute una delle armate più potenti d’Europa, che assorbiva un terzo del bilancio federale. Ma subito dopo la caduta del muro di Berlino (1989), l’iniziativa lanciata dal GSsE (Gruppo per una Svizzera senza esercito) raccolse comunque in votazione popolare il consenso di oltre un terzo degli svizzeri. Solo qualche anno prima, John McPhee nel suo libro ironizzava: “Un referendum per abolire la cioccolata avrebbe le stesse probabilità di successo”. La realtà è che in quel momento storico la politica di difesa elvetica, come quella europea, era necessariamente
cambiata, nel senso che la strategia militare non avrebbe più dovuto contrastare il nemico sovietico proveniente da est. E i cambiamenti sono diventati inevitabili. La prima grande riforma ha prodotto, nella seconda metà degli anni novanta, una limitazione degli effettivi dell’esercito a 400mila uomini. Il secondo progetto, approvato dal popolo nel 2003, proseguiva nella riduzione dell’organico, portato gradualmente a 180mila unità. È stata anche introdotta la possibilità, per una parte delle reclute di ogni anno civile, di prestare tutto il servizio in una sola volta. E l’organizzazione generale è stata semplificata. Ma è subito parso chiaro che quella riforma non sarebbe bastata. Già nel 2004 il Consiglio federale aveva iniziato a prospettare nuove misure per adeguare l’intero apparato della difesa alle nuove condizioni determinate da minacce che non sono più quelle tradizionali. Non c’è due senza tre... Adesso, dopo diversi studi e analisi che hanno portato alla pubblicazione di due rapporti nel 2010 (uno sulla politica di sicurezza e uno sull’esercito), il Consiglio federale ha messo in consultazione la terza riforma che, una volta superati gli ostacoli dell’approvazione parlamentare e dell’eventuale referendum, dovrebbe “incrementare dal 2016 la prontezza dell’esercito per gli impieghi più probabili”. È una revisione mirata anche a “migliorare l’istruzione e l’equipaggiamento”, nonché a “creare basi solide per un adeguato rapporto tra prestazioni e risorse finanziarie”. Quest’ultimo obiettivo significa ulteriori tagli e diminuzioni non solo nell’organico, ma anche negli equipaggiamenti, nelle armi, nei materiali e nelle infrastrutture. L’effettivo sarà ulteriormente ridotto da 180mila a 100mila uomini, e l’obbligo di servizio limitato a 225 giorni invece di 260. Strutture superflue ed equipaggiamenti superati saranno dismessi. Tra le vittime dei tagli al budget dovrebbero figurare sistemi d’arma invecchiati, come i missili antiaerei Rapier,
(...)
“L’UDC vorrebbe che l’armata svizzera venisse anzitutto messa in grado di svolgere la funzione classica della difesa del territorio. Bisogna però capire da quali nemici, visto che le minacce di guerra o i classici attacchi militari sono ormai impensabili in Europa”
Agorà 6
i radar Taflir e i blindati Piranhas dotati di missili anticarro. I carri armati Leopard e gli obici blindati M-109 sono al momento risparmiati, ma non dovrebbero rimanere in servizio oltre il 2020. Saranno mantenuti solo gli equipaggiamenti giudicati indispensabili alla conservazione delle competenze tecniche. “Si mantiene il saper fare, ma si perde il poter fare”, ha commentato su un giornale romando il brigadiere Denis Froidevaux, presidente della Società svizzera degli ufficiali. L’armata svizzera diventerebbe insomma un esercito tascabile, che dovrebbe però rimanere in grado di potenziarsi ed essere rapidamente operativo nel caso, attualmente ritenuto improbabile, che la situazione strategica in Europa si degradasse. Anche il patrimonio immobiliare subirà dei tagli. L’infrastruttura per l’istruzione dovrà essere ridotta di una dozzina di piazze d’armi e di un centro di reclutamento, con l’aggiunta di un sostanziale abbassamento del numero delle piazze di tiro e d’esercizio. Depositi sotterranei, ospedali e diverse basi aeree saranno alienati. Non si sa ancora quali caserme verranno chiuse, né quando: una questione delicata, questa, perché tocca interessi economici regionali. Altro notevole cambiamento è la riduzione del numero di scuole reclute e la diminuzione del numero di giorni di servizio. I corsi di ripetizione dureranno 13 giorni invece di 19, il che dovrebbe permettere di limitare i costi e gli inconvenienti a carico dell’economia, dato che l’abbandono periodico del posto di lavoro da parte dei cittadini-militi potrà essere ridotto di circa 100mila settimane all’anno. La Costituzione e il ruolo dell’esercito Questo progetto, denominato “Ulteriore sviluppo dell’esercito” (USEs), ha già attirato le critiche della maggioranza borghese in Parlamento, la quale ha voluto aumentare a 5 miliardi di franchi il budget annuale dell’esercito che il Consiglio federale aveva limitato a 4,7 miliardi. “L’esercito ha raggiunto una soglia critica inferiore che molto difficilmente gli permetterà di adempiere il suo compito costituzionale”, ha lamentato Froidevaux. La preoccupazione sembra essere in effetti quella di mantenere la capacità di “prevenire la guerra e contribuire a preservare la pace”, come vuole la Costituzione federale, cioè la capacità di garantire la sicurezza del paese. La rappresentazione più efficace del dubbio intorno al quale ruota oggi il dibattito sull’esercito l’ha data lo stesso consigliere federale Ueli Maurer, preso in mezzo tra le pressioni del suo partito, l’Unione democratica di centro (UDC), e le altre formazioni parlamentari. L’UDC vorrebbe che l’armata svizzera venisse anzitutto messa in grado di
svolgere la funzione classica della difesa del territorio. Bisogna però capire da quali nemici, visto che le minacce di guerra o i classici attacchi militari sono ormai impensabili in Europa. Il resto delle forze politiche vorrebbe invece dare maggior peso e valore al secondo compito che la Costituzione assegna all’esercito, quando stabilisce che esso “sostiene le autorità civili nel far fronte a gravi minacce per la sicurezza interna e ad altre situazioni straordinarie”. Così, da un lato c’è il presidente dell’UDC, Toni Brunner, che alla NZZ am Sonntag ha dichiarato: “L’esercito deve concentrarsi sul suo compito principale, la difesa nazionale all’interno del paese, di cui fanno parte la sicurezza e la sorveglianza delle frontiere. Non dobbiamo contare sui nostri vicini. Abbiamo bisogno di una fanteria forte, affiancata da un’aviazione efficace”. Dall’altro lato c’è un ministro della difesa che, in un incontro con la stampa tenuto a maggio in una caserma dell’Argovia, ha dovuto ammettere un po’ a malincuore che per i prossimi decenni il principale compito dell’esercito sarà il sostegno alle autorità civili e alla popolazione. I Gripen e l’opinione pubblica “Dovremo provvedere ai bisogni delle autorità civili, che potrebbero essere gravate da una minaccia terroristica, da una catastrofe naturale o da una pandemia”, ha spiegato Maurer. Ma nello stesso tempo il ministro ha voluto precisare che “una riduzione degli effettivi è una diminuzione della sicurezza”, poiché il minor numero di giorni di servizio significa che per alcune settimane all’anno la Svizzera “non disporrà di un esercito”, per cui “in futuro dovremo manovrare su una lastra di ghiaccio molto sottile”. Un pessimismo, questo, che è probabilmente dettato da due esigenze di fondo. La prima è quella di dover riuscire, utilizzando le risorse a disposizione, a trovare 300 milioni di franchi all’anno per sostenere l’acquisto del nuovo aereo da combattimento (il Gripen svedese) fino a pagare l’intera fattura di 3,1 miliardi. La seconda è quella di motivare l’opinione pubblica – o di spaventarla, a seconda del punto di vista – in previsione della votazione popolare, che si terrà il prossimo 22 settembre, sul mantenimento del sistema di milizia. Maurer deve però anche evitare di fornire argomenti al movimento pacifista GSsE . Non può quindi non sostenere che il cambiamento di missione, orientato verso il sostegno alle autorità civili, dovrà tradursi in un rafforzamento delle regioni territoriali con battaglioni di fucilieri, del genio e delle truppe di salvataggio. E nel contempo, le unità dedicate alla difesa dovranno perdere di importanza: pezzi d’artiglieria, carri armati e blindati di ogni genere
subiranno lo stesso processo di ridimensionamento che colpì la cavalleria negli anni sessanta. I 700 carri armati del 1961 diventeranno un centinaio e le 1500 bocche da fuoco dell’artiglieria di allora saranno ridotte a 68, con due brigate meccanizzate. La truppa sarà quella sufficiente per i 109 battaglioni previsti al posto dei 177 di oggi. Il “fronte digitale” e la polivalenza Ma la vera trasformazione per adeguarsi alle nuove minacce (principalmente quelle di tipo terroristico) è costituita dall’organizzazione di una efficace difesa cibernetica, la cui piena operatività, ha indicato il ministro Maurer, non si avrà tuttavia prima del 2020. Nel frattempo, con un’armata ridotta in uomini e mezzi, si dovrà puntare su truppe più mobili, capaci di “creare sicurezza in maniera rapida, flessibile, polivalente”. Questo significa, scrive il brigadiere Froidevaux, che “al centro dell’addestramento militare deve esserci la formazione dei quadri dell’esercito. La durata dell’addestramento deve fare in modo che le scuole delle reclute e dei quadri siano coordinate con i programmi di formazione civile e universitaria; i corsi di ripetizione devono svolgersi con durata annuale”. Inoltre, continua l’alto ufficiale, “l’obbligo generale di leva deve essere mantenuto e applicato con rigore. L’esercito deve essere organizzato e addestrato in base alle esigenze e ai mezzi della milizia. La milizia deve poter accedere a tutte le funzioni. L’esercito deve essere decentralizzato e radicato in tutte le regioni del paese. Il concetto di stazionamento deve essere sviluppato con
queste premesse”. Il che significa che occorre completare i cinque centri logistici attuali con depositi di materiale più prossimi alle regioni. E quindi disporre localmente di equipaggiamenti supplementari. Dunque, una rivoluzione nell’assetto organizzativo che prefigura un esercito ridotto ma, avverte il ministro Maurer, non una diminuzione delle spese. Anzi, sarà il contrario. E questo è il motivo per cui l’esercito dovrà accettare un abbassamento del livello tecnologico del suo equipaggiamento convenzionale. Ne è prova la scelta del caccia Gripen, che dispone di capacità non eccezionali ma ragionevoli, efficaci e, soprattutto, nei limiti dei mezzi finanziari disponibili. Mezzi che attualmente si aggirano intorno all’1% del prodotto interno lordo, ma che in futuro potrebbero salire fino all’1,5% dello stesso. In conclusione, il progetto di riforma prevede il mantenimento del sistema di milizia, molto più contenuto nei numeri ma con maggiore rapidità e flessibilità d’intervento locale. Rimarrà un nucleo di difesa convenzionale, piccolo ma pronto a “crescere in potenza”, con sistemi d’arma efficaci ma non necessariamente all’avanguardia. E un sistema di difesa cibernetica ed elettronica, che è ancora in fieri e forse lo sarà sempre. Una difesa moderna che si fa anche, e forse soprattutto, con le risorse finanziarie. Per il ministro della difesa Ueli Maurer “gli investimenti nella sicurezza sono investimenti a lungo termine per il nostro benessere. Se venissero trascurati, ciò potrebbe costare molto caro”.
Derive festive
Il tema della festa è stato e resta una fonte di polemiche. In esso convergono questioni che vanno ben oltre la finalità di divertimento legate a questo tipo di raduno, abbracciando oggi problemi di ordine pubblico, di decoro… e i soliti interessi economici di Andrea Ramani
Società 8
Nel nostro cantone gli esempi, anche recenti, si sprecano e toccano indistintamente tutti i principali poli urbani. Basti ricordare la linea dura presa dal municipio di Mendrisio per fermare il raduno di giovani a margine dell’happy hour di un noto bar del capoluogo momò; la battaglia legale del Bar Oops! di Lugano per riuscire a rimanere aperto; infine, le lotte continue nella città di Bellinzona per rendere il centro una zona priva di rumori molesti. Rapidamente queste polemiche sono slittate nel campo della politica, che resta un terreno di scontro in cui s’insinuano interessi altri che la semplice necessità di festeggiare. La società civile nella maggior parte dei casi è rimasta impassibile di fronte alle decisioni prese a proposito di un argomento che la riguarda direttamente. Questa tendenza all’apatia, allo “anche se la cancellano non mi cambia la vita”, può essere interpretato come il sintomo di una disaffezione ai festeggiamenti, frutto di una svalutazione del concetto stesso di festa.
è fatti di essa – si reincarna nel mito della «Festa», mito che non ha che pochi legami con le feste del passato. Oggi, la «Festa» è dappertutto. I suoi segni invadono ogni spazio della nostra vita. [...] Questa dissoluzione della festa e la sua frammentazione in molteplici tratti senza legami reciproci, se non addirittura l’illusione moderna di vivere in una società edonista e senza tabù, è il risultato di un lungo processo storico e culturale. Nei secoli, ci furono infatti la condanna e la repressione della maggior parte delle feste popolari che non erano soggette a un controllo rigido dell’autorità politica o ecclesiastica. In seguito, una volta che queste feste scomparirono o si normalizzarono, si assistette alla loro glorificazione ideologica, e a volte alla loro reinvenzione, in rapporto diretto con la nostalgia che ogni società ha con il proprio passato. Infine, per terminare questo processo, dei tentativi di una reincarnazione «zombie» della festa sono diventati la regola nelle nostre società di consumo che hanno trasformato questa istituzione in un potente argomento di vendita e in un valore economico essenziale”.1
L’onnipresenza della festa La festa è stata un oggetto privilegiato delle scienze sociali. Per la sua natura di sospensione del corso routinario della vita, essa è un tema che ha sempre affascinato antropologi e sociologi. Il giorno di festa stava a significare il raduno di una comunità, che si riscopriva unita da una stessa appartenenza. In tempi non lontani, le feste del raccolto o della vendemmia segnavano il termine di un anno di duro lavoro della terra, alla fine del quale si festeggiava omaggiando il periodo di abbondanza alimentare. Il passaggio alla vita adulta o l’unione di due persone, e di due famiglie, costituivano l’occasione per fare festa. Anche in questo caso la comunità si stringeva su se stessa per celebrare un cambiamento importante e per ridefinire i suoi confini. Con il passaggio alla società di consumo vengono meno i riferimenti alla natura e all’alternarsi di periodi di abbondanza e di penuria alimentare. In seguito va perso il senso di appartenenza a una comunità legata da uno stesso destino. L’abbondanza di beni di consumo e di divertimenti accresce a dismisura l’offerta festiva che, nella sua onnipresenza, perde una componente di spontaneità e il suo significato ancestrale. Una deriva storica ben riassunta dall’antropologo svizzero Monder Khilani: “Nel momento in cui le feste tradizionali muoiono e che altre forme di socievolezza le rimpiazzano, si assiste ai tentativi più disparati per ristabilirle. Attualmente, la festa tradizionale – o piuttosto l’idea che ci si
Riaffermazione e liberazione Al di fuori del fine economico che spesso accompagna le odierne feste, esistono due grandi categorie che riflettono due modi diversi di vedere la festa: la festa istituzionale e la festa popolare. Lo scopo della festa istituzionale è la riaffermazione di una comunità. Sotto questo cappello s’inseriscono le feste di paese, regionali, nazionali e quelle religiose. Durante una festa istituzionale la comunità riafferma i suoi confini attraverso l’esaltazione comune dei valori sui quali essa si fonda. È per questo motivo che la festa istituzionale ha un carattere fortemente normativo: oltre che ricostruire a livello simbolico i confini di una collettività, riafferma le regole di partecipazione a essa. A differenza della festa popolare essa è costruita in maniera verticale. È la comunità in sé che riafferma il suo primato sull’individuo, tanto nell’assegnazione del periodo di festa – per esempio la data della festa nazionale – quanto nelle modalità e nei valori trasmessi, siano essi della comunità politica, quindi etici, o della comunità religiosa, quindi morali. “Il rito serve a mantenere la vitalità delle credenze, a impedire che esse si cancellino dalla memoria, significa insomma che esso serve a ravvivare gli elementi più essenziali della coscienza collettiva. Grazie a esso, il gruppo rianima periodicamente il sentimento che ha di lui stesso e della sua unità: al tempo stesso, gli individui sono riaffermati nella loro natura sociale”.2 Un principio diverso sta alla base della festa popolare. In-
La comunità assente Alla luce di queste definizioni ci si rende rapidamente conto che le feste contemporanee poco hanno a che vedere con le feste tradizionali. Una deriva inevitabile se si considera che la popolazione e la differenziazione sociale sono fortemente aumentate nel corso dell’ultimo secolo. Difficile quindi costituire una comunità allargata a livello della società. La partecipazione degli individui in svariati gruppi ostacola la formazione di un senso d’appartenenza duraturo; i legami temporanei e instabili impediscono di costituire un gruppo omogeneo e coeso, vero propellente delle feste istituzionali. Le feste un tempo popolari diventano un oggetto di consumo, perdendo così la loro spontaneità e mostrando la loro natura artificiosa. Risultato di questa mancanza di riferimenti, è la perdita di sentimenti positivi associati alla festa. Essa diventa un dovere partecipativo e si svuota di quell’effervescenza che si prestava come valvola di sfogo
per sfuggire al quotidiano. La festa contemporanea diventa così parte integrante della monotonia del vivere, un appuntamento fisso, e di poco valore, inserito a scadenza fissa nel tran-tran dell’individuo. Il quadro non è però completamente negativo: l’attualità ci ha mostrato come la necessità e la capacità di fare festa siano insite nell’uomo. Prima di degradare in scene di guerriglia urbana, i sollevamenti di piazza a Istanbul sono stati vissuti come una festa, come l’affermazione positiva di una comunità. Se ci si vuole allontanare dai tumulti rivoluzionari di piazza Taksim in Turchia, ripensando a una giornata di festa vissuta come tale, ci si accorgerà che spesso si è svolta fra un gruppo ristretto di persone, in una piccola comunità o, all’inverso, lontano dai luoghi e dalle persone che popolano normalmente la propria vita, nella libertà dell’anonimato. La sfida che si pone alla società, prima che alla politica, diventa allora quella di far riscoprire ai suoi membri il loro carattere fondamentalmente sociale e, così, il piacere di fare festa.
www.legge-sul-lavoro-si.ch
note 1 M. Khilani, Introduction à l’anthropologie, Payot, 1996, pp. 29–30. 2 E. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religieuse, PUF, 1998, pag. 536. 3 M. Ozouf, La fête révolutionnaire, 1789–1799, Gallimard, 1976, pag. 31. 4 R. Caillois, L’homme et le sacré, Gallimard, 1959, pp. 125–126.
Comitato apartitico SÌ alla legge sul lavoro Laupenstrasse 2, 3008 Berna
nanzitutto essa si fonda su un principio di orizzontalità: le differenze sociali sono interrotte per il periodo della festività, esaltando ogni individuo nella sua unicità. Per questo suo sollevamento dal basso, la festa popolare è spesso mal vista dall’autorità che coglie in essa uno sgretolamento dei codici di comportamento civili. La festa popolare manifesta in sé la necessità di sfuggire per un breve periodo alle catene poste dal vivere in comunità; dà all’individuo la possibilità di sentirsi libero, non prigioniero dei vincoli che lo legano alla vita collettiva. Questo non significa tuttavia che la festa sia l’occasione per dare sfogo alla più bieche pulsioni. Il successo di una sana festa popolare sta proprio nel potersi sentire unico ma al tempo stesso sicuro all’interno di un gruppo: “Un popolo che parte con un buon passo: tale è la prima immagine della festa, la prima condizione per la quale un testimone di una festa sappia che essa ha avuto veramente luogo. È una messa in moto non pensata, impreparata che nulla ha veramente condannato, un movimento che supera l’appello: con questo s’intende che il popolo non si sottomette né alla legge né all’istituzione e nemmeno alla concertazione [...] Questa festa è la convergenza delle volontà piuttosto che l’educazione, o il contagio, delle volontà le une con le altre”.3 Esistono evidentemente forme ibride di festività in cui, all’interno di una ricorrenza fissa, si dà possibilità di espressione della libertà individuale e si sospendono le leggi e le gerarchie sociali: una su tutte è il carnevale. Come all’inverso, esistono moti spontanei che si codificano rapidamente e assumano il carattere di festività istituzionalizzate: un esempio potrebbe essere il rapido slittamento del concerto rock, che a partire dagli anni sessanta acquista un carattere liturgico tipico di una cerimonia religiosa. L’elemento che accomuna questi due tipi di festa è l’interruzione temporanea del corso normale della vita: “Le feste oppongono un’esplosione intermittente a un’eterna continuità; una frenesia esaltante alla ripetizione quotidiana delle stesse preoccupazioni materiali; il soffio potente dell’effervescenza comune ai calmi lavori dove ciascuno se ne sta in disparte; la concentrazione della società alla sua dispersione; i suoi febbrili istanti culminanti alla tranquilla fatica delle fasi atone dell’esistenza”.4
Roberta Pantani, Consigliera nazionale Lega TI:
«Alle due del mattino, le commesse possono vendere un cervelat, ma non una luganighetta. Fermiamo questa burocrazia inutile!» Il 22 settembre
LEGGE SUL LAVORO
SÌ
Hotel Europa
Bellinzona, Milano, Bergamo, Valencia: cronaca di una partenza estiva in un mondo che è (quasi) sempre paese. Tra stazioni affollate, cellulari sempre accesi, aria condizionata polare ecc. ecc. di Marco Jeitziner
Esterno, mattina. Stazione di Bellinzona, diretto a Milano Centrale. Posto riservato, ma qualcuno allo sportello m’ha venduto un biglietto con un numero già prenotato: nemmeno i computer si capiscono da una parte all’altra del Gottardo. A Chiasso sale la Finanza, controlla tutti gli italiani, mostro la mia bandiera ma manco mi filano, come le due brune svizzero tedesche con l’aria da “shopaholic”. Stazione Centrale, formicaio imperiale, mercato delle valigie, imballate, a forma di proiettile, piattaforma di viaggiatori, ansiosi, eccitati come me. Si parte, si va. E io, col mio zaino verde e grigio, comodo, minimale, comprato giù alla fine del mondo. Schivo tutti, veloce, rapido, un pesce nel fiume, mi devo imbarcare nuovamente.
Mundus 10
tranquillamente scivolare al gate. Azzanno il panino tra donne mediorientali incappucciate e chiassosi nordafricani, tiro fuori El País, quotidiano globale, così, tanto per apparire quello che non sono. Capisco quasi tutto, mi sento un genio, un po’ meno quando due articoli mi illuminano, uno del cubano Leonardo Padura, l’altro dello spagnolo Juan José Millás.
Innocui accendini Schizzo all’imbarco, perché ho ancora il terrore che vissi a Gran Canaria, quando sentii il mio nome per l’ultima chiamata. Colpa mia, eravamo al bar e dicevo che c’era tutto il tempo. Vado al gate, ma prima l’assurdo zig zag tra paletti e cordoni, taglio, supero, scavalco selvaggio. Devo gettare tutto il da bere: amici ameValigie e panini ricani, grazie. Devo citare Michael Bus per lo scalo di Bergamo. Mai Moore: niente “oggetti pericolosi”, stato a Bergamo, io. Sono tutti in ma l’accendino, proprio nessuno, Piazza Luigi di Savoia, come elete lo fa buttare. Sicché potrei dare fanti morti. Pago cinque euro alla fuoco all’interno della fusoliera… “ragazza sandwich”. Lo zaino non Supero il “detettore” di metallo, passa nel vano sopra i sedili, quindi non “suono”, però mi ordinano di finisce nella pancia dell’elefante, togliermi il cappello, che magari ci schiacciato tra certi trolleys gigannascondo una bomba? ti, camere da letto con la maniglia Immagine tratta da “Extending the Friendly Skies” Sono nell’aereo giallo e blu, un’ora dell’artista Alexia Mellor (alexiamellor.com) telescopica. E ti chiedi: ma vanno e cinquanta, trovo posto a metà, fa in spedizione, ‘sti qua? bene alle gambe ma ho la responsaCinquanta minuti se non c’è traffico, ma a Milano ce n’è bilità, qualora precipitassimo, di aprire l’uscita d’emergensempre. Dopo le rumorose telefonate di una donna veneta, za. Sì, già, certo, come no. L’aereo è pieno di cugini italiani, eccoci a Orio al Serio. Bel nome, ha carattere, mica come quasi tutti. Redarguirei quelli che non spengono il cellulare Capodichino giù Napoli. Budello milanese per il mondo quando lo ordina il capitano, ma alla fine si decolla e si aeronautico, però scalo internazionale, insomma. C’ho atterra sul cemento iberico. due ore davanti a me, mi viene fame, m’incolonno per All’ufficio turistico non tentano nemmeno di fregarmi: ‘sta menata tutta italiana, prima lo scontrino, poi il resto. dicono che non conviene l’abbonamento per tre giorni Quindi doppia coda: panino al prosciutto e rucola, non e risparmio venticinque euro, così li spenderò in paella y scaldato, la tipa mi guarda stupita. L’acqua ce l’ho già. tinto de verano. M’imbuco nella metropolitana di Valencia, Mi sposto, vago, mi ci perdo, gente di ogni dove, famiglie moderna, comoda, in mezzora sono in centro. Fuori son di ogni tipo, in fondo tutti uguali. Fumata all’esterno, si 37 gradi, qui dentro 18, si gela. boccheggia, altra gente sputata fuori da un altro torpe- Fermata Xàtiva, salgo, esco, sole rovente, sotto l’imponente done. Un inglesino smorto mi chiede da fumare, ho solo feria dei tori. C’è la polizia per un gruppo di manifestanti del tabacco, quindi arrangiati. In coda per il check-in anti corrida, pacifici però. Ecco, succede già qualcosa, si non posso credere che gli umani arrivino a tanto, bestia- protesta, s’incazzano, qui per i tori, da noi per... boh! Perme, soltanto bestiame, come pinguini in partenza dalla corro la Calle Ribera tra aromi di cibo e puzza di spazzatura banchina antartica. È un po’ che non volo; scopro che calda. Sette ore in ballo, mille e rotti chilometri, non vedo da imbarcare ci sono solo io e il mio zaino, quindi posso l’ora di lasciare il mio zaino, Hotel Europa, camera 410…
Letture La lista è questa di Tito Mangialajo Rantzer
Ho letto questo volume del critico musicale
*Vivo Casa , internet fino max. 2 Mb/s. Verificare la disponibilità su swisscom.ch/checker
del New York Times Ben Ratcliff incuriosito dal titolo, che mi ha evocato un importante testo scritto dal compositore Aaron Copland nel 1939 (e che consiglio vivamente: Come ascoltare la musica, Garzanti, 2001). In realtà, il titolo originale del volume di Ratcliff sarebbe, letteralmente, “L’orecchio jazzistico. Conversazioni sulla musica”, che in effetti rispecchia meglio il contenuto, estremamente interessante e stimolante del libro. Il giornalista americano ha incontrato e intervistato 15 maestri del jazz, di età e formazione molto diverse: da Sonny Rollins a Pat Metheny, da Ornette Coleman a Maria Shneider, passando per il cubano Bebo Valdés e la cantante Dianne Reeves. A ognuno di loro ha chiesto di indicare una lista di cinque/sei brani che avrebbero voluto ascoltare insieme a lui e che fungessero da presupposto, da origine, per una conversazione sulla musica e sul jazz. In effetti queste conversazioni sono state inizialmente pubblicate sul NYTimes in una
rubrica appunto chiamata “Listening With” (“All’ascolto con”). Unico paletto posto da Ratcliff è stato il divieto di inserire brani che coinvolgessero in prima persona il musicista protagonista della conversazione. Ne sono risultati 15 “ritratti” davvero interessanti, che ne hanno messo in luce, oltre che la personalità musicale e artistica, anche il lato umano dell’intervistato. La cosa più importante, secondo l’autore – e qui appare chiaro il perché del titolo originale –, è stato vedere come i musicisti ascoltano, a che cosa prestano più attenzione, che cosa provoca in loro una reazione spontanea. Da queste risposte, sempre secondo Ratcliff, “è possibile individuare quello che un musicista giudica importante nella musica, che a sua volta è collegato a quello che per lui è lo scopo primario della musica stessa”. In più, le liste dei brani stimolano la nostra curiosità e ci spingono ad ascoltare, o riascoltare, le musiche prescelte. E che, a loro volta, ci possono portare lontano, alla scoperta di mondi musicali ancora sconosciuti.
Come si ascolta il jazz di Ben Ratcliff Minimum Fax, 2010
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S
ono nata in Spagna trentasei anni fa. Allora mio papà lavorava lì per il consolato svizzero. In Spagna ci siamo stati finché io ho avuto quattro anni, poi siamo ritornati in Svizzera, a Chiasso. Ricordo poco dei miei primi anni di vita, ma mi è rimasta solo una frase che, a quanto dicono i miei, ripetevo spesso: “Tengo mucho calor!”. A Chiasso ho frequentato le scuole dell’obbligo poi mi sono iscritta alle scuole commerciali. Facevo molto sport, dalla ginnastica artistica alla pallavolo. Terminate le commerciali ho deciso di partire, destinazione Australia. Volevo fare un’esperienza nuova, imparare l’inglese, confrontarmi con una realtà diversa dalla mia. Sono partita con mio cugino e la mia migliore amica ed è stata un’avventura indimenticabile. Ho imparato che lì la vita è più semplice, si vive alla giornata, non ci si preoccupa di mettere via i soldi per un ipotetico futuro. Dopo questi sei mesi australiani sono dovuta tornare alla realtà: dovevo rientrare in Svizzera per conseguire la maturità commerciale. Dopo la maturità ho lavorato per due anni presso un’azienda farmaceutica, impiego che ho lasciato per riprendere gli studi. Mi sono iscritta alla SUPSI, indirizzo Economia e management... però nemmeno quella era la mia strada. Ho trovato in seguito lavoro presso una grande azienda di moda. Avevo 25 anni e tanta voglia di imparare. Per questa azienda ho lavorato dieci anni, occupandomi di cose molto diverse tra loro. All’inizio ho svolto un ruolo amministrativo, ero l’assistente al direttore di produzione. Poi mi sono cimentata con il disegno delle camicie; anche se non avevo nozioni al riguardo ho imparato in fretta. Dopo il disegno sono passata al reparto industrial engineering, dove gestivo un po’ tutto. Così sono trascorsi i primi cinque anni, poi c’è stata una svolta e sono entrata a far parte del processo creativo. Questo passaggio è avvenuto un po’ per caso, ma per me è stato importantissimo: finalmente avevo la possibilità di fare un lavoro dinamico, che mi piaceva. Viaggiavo anche molto, mi occupavo di ricerca e sviluppo per gli accessori della camiceria, avevo contatti con molte persone, appren-
devo nozioni per me sconosciute. Sono cresciuta molto in questi anni, mi sono messa in gioco. Poi però, come dire, l’incantesimo si è spezzato: da una parte c’era il mio continuo desiderio di cambiamenti e nuovi stimoli, dall’altra l’azienda che cominciava a starmi un po’ stretta e mi chiedeva di cambiare reparto. Io non volevo perdere il ruolo che avevo conquistato dopo tanti anni e poi sentivo che forse era il momento giusto per andare. Così ho mollato tutto e mi sono ritrovata a dire a me stessa: “Bene, e adesso che cosa faccio?”. Non è stato facile ritrovarmi senza un lavoro, e non lo è tuttora, ci sono stati momenti bui. Però ho avuto la consapevolezza, per la prima volta nella mia vita, di avere un enorme potere: poter decidere che cosa fare. Finora il mio percorso era stato il frutto sì di scelte, ma anche di passaggi obbligati o avvenimenti fortuiti. In quel momento invece ero solo io a poter scegliere quello che volevo fare e quale persona essere. Mi sono dedicata alla musica, una passione nascosta, che usciva solo quando cantavo al karaoke con gli amici, e già due anni prima mi ero iscritta a una scuola di canto. Dopo il licenziamento ho deciso di riprendere. Ho iniziato la SMaRT Academy di Balerna dove ho incontrato il mio insegnante, Simone Tomassini, che mi ha seguito in questo periodo transitorio della mia vita, facendomi comprendere certe emozioni. Non so dove mi porterà questa passione, chissà magari un giorno diventerò una cantante! Per ora la musica è un hobby che mi aiuta a buttare fuori quello che ho dentro, le gioie, le paure. Intanto cerco di darmi da fare: frequento un corso serale di gestione e selezione del personale e tra poco inizierò una collaborazione con un’azienda, una sorta di stage. E poi vorrei anche andare all’estero a studiare il tedesco. Ho tante porte aperte, ma vediamo come andranno i prossimi mesi, che cosa avverrà. Per ora vivo questo momento di passaggio e di trasformazione con consapevolezza ed entusiasmo.
STEFANIA CHIESA
Vitae 12
Un’esperienza importante per una grande azienda di moda. Un percorso sempre in crescita, dai primi compiti amministrativi alla partecipazione alla fase creativa. Poi il rapporto di lavoro si interrompe. E lei si trova a dover reinventare se stessa
testimonianza raccolta da Roberto Roveda fotografia ©Flavia Leuenberger
Tokyo Silenzi e oScurità testo e fotografie di Matteo Aroldi
“Ma dove sono i neon?” fu la domanda di un’amica che accoglievo all’aeroporto di Narita, giunta a Tokyo per una breve vacanza. Dal treno che si addentrava sferragliando nel ventre della grande metropoli, le strade semibuie e le pallide luci delle abitazioni erano il solo panorama nell’oscurità incombente del crepuscolo. La rassicurai: doveva solo pazientare e avrebbe ammirato anche i grandi boulevard infuocati da miriadi di neon multicolori
Garzone di un ristorante consegna la cena a domicilio
Arteria stradale deserta a Shinagawa
Baretto isolato in un quartiere anonimo nei pressi della stazione centrale
Sottopasso nei pressi di Hamamatsucho, zona sud di Tokyo
Passaggio pedonale nei pressi di Shinbashi
È
ovvio essere sorpresi dell’inesattezza dei luoghi comuni associati a una metropoli complessa come Tokyo, per chi si trova per la prima volta a vagare nella sua immensità. L’agglomerato urbano più popoloso del mondo (a oggi oltre 35 milioni di abitanti, inclusi i centri di Yokohama e Kawasaki) è in realtà un composito ammasso di situazioni senza soluzione di continuità. Foreste di grattacieli futuristici sparse per ogni dove, animati quartieri popolati da innumerevoli negozietti e piccoli ristoranti dall’aria quasi campagnola, rare isole di verde dove durante la torrida estate il frinire delle cicale è quasi assordante, trafficatissime aree commerciali illuminate a giorno dalle immense insegne luminose dei centri commerciali. Il tutto inframmezzato da vaste aree residenziali dove la calma predominante fa si che il viverci sia piacevole. Yamanote: la sottile linea verde Forse perché confinato entro gli stereotipi dei classici sviluppi urbani delle antiche città europee, ho provato il bisogno di poter trovare e definire, quale che sia, il centro di questa città senza fine. Ho così scelto di seguire una traccia assolutamente identificabile, quella che ho chiamato “la sottile linea verde”. Verde come il colore delle fresche e saporite foglie del tè,
la classica e rituale bevanda del paese del Sol levante. Un verde che racchiude in sé numerosi simboli dell’antica cultura giapponese. Il verde che identifica la linea Yamanote, sicuramente la più importante tra le decine che costituiscono la base della efficientissima rete di servizi pubblici della città. Essa è l’unica senza fine, senza capolinea; un ellisse di circa 35 chilometri e 29 stazioni che attraversa alcuni tra i più importanti e conosciuti quartieri della grande città giapponese. Camminando nella notte – per poter assaporare la città, cogliere per come essa si mostra e le sue proprie luci – ho percorso l’intero circuito della Yamanote, da stazione a stazione seguendone, il più vicino possibile, la sua linea ferrata. Partito dalla stazione centrale di Tokyo, la più vasta e brillante, circondata dai lussuosi grattacieli sedi di miriadi di uffici e sfarzosi centri commerciali del quartiere Marunochi, vi ho fatto ritorno alcune sere dopo ma dalla parte opposta, concludendo così il mio laico pellegrinaggio nelle stesso identico punto dove l’avevo iniziato. Ho così potuto scoprire alcune delle anime celate di questo enorme polo urbano quasi indefinibile, mentre suoni e colori scorrevano sotto i miei passi; e quando, nascosta alla mia vista da disordinati agglomerati di costruzioni, ne seguivo il suo incessante e cadenzato metallico fragore.
Pulizia notturna in un ufficio a Shinagawa
Nei pressi di Shin Okubo, il quartiere coreano
Gruppo di impiegati (salary man) in cammino verso la stazione
I bagliori del centro finanziario di Shinjuku
Uno degli innumerevoli sottopassi che attraversano la linea Yamanote
Lo skywalk a Ebisu
Una grande ragnatela Tokyo, capitale di un arcipelago, è una città di isole. Non solo quelle artificiali che popolano la vasta baia, la cui origine risale a parecchi secoli orsono e che continuamente vengono ampliate e sviluppate per permettere maggiore crescita ad una città il cui appetito di spazio pare insaziabile. Isole di vita frenetica e bagliori notturni, agglutinate attorno alle stazioni ferroviarie. Come da Marunochi per proseguire verso Ginza, il quartiere in cui gli affitti sono i più cari del mondo, fino al modernissimo complesso di meraviglie architettoniche di Shiodome. Poi, qualche metro più in là, anonimi e a tratti fatiscenti magazzini misti a modeste abitazioni con tetti di lamiera. Per alcuni chilometri pare di muoversi ai bordi della periferia fino a ripiombare improvvisamente nel lussuoso e quartiere di Ebisu e poco dopo attraversare il più famoso incrocio stradale del Giappone, nel cuore di Shibuya, sul quale si affacciano dai vitrei palazzi circostanti ben cinque megaschermi che diffondono a tutto volume cicli di pubblicità e video clip delle pop star del momento in un’assordante cacofonia indecifrabile. Per quanto ormai avvezzo a causa dei ripetuti e lunghi soggiorni nella città, non ho potuto che stupirmi ogni volta, lasciatomi alle spalle da pochi metri il fragore di
queste isole di luci e fiumane di gente, di ritrovarmi a camminare solitario in vicoli percorsi da rari passanti dal passo affaticato mentre rientrano a casa dopo interminabili giornate di lavoro. Lunghi sottopassaggi che attraversano “la sottile linea verde” in cui la ritmica camminata di un unica persona è il solo suono percettibile, mi hanno quasi inevitabilmente portato ad altre strade anonime e buie. Penombre interrotte qua e la dalle insegne di piccoli baretti isolati. Sempre incombente lo sferragliare dei treni, unico suono che copre le voci gioviali che giungono dalle case adiacenti. Tokyo, che nell’immaginario collettivo richiama immagini di folle, traffico, abbaglianti neon, e modernità, è in realtà anche e soprattutto un’ampia distesa di case e piccoli giardini, palazzine anonime e vie semi deserte. Città di silenzi e oscurità.
Matteo Aroldi
Fotografo professionista da oltre vent’anni, opera e si muove prevalentemente fra l’Asia e la Svizzera. La città, i suoi estremi, le incongruenze, l’interazione tra le persone e lo spazio urbano rappresentano il suo contesto d’azione privilegiato, “dove l’intimità degli esseri umani è esposta e perennemente visibile”. Per informazioni: matteoaroldi.com
UKULELE Lo strumento più sexy deL mondo*
Tendenze p. 44 – 45 | di Keri Gonzato * (Alisea, cantante del gruppo romano Pasta&Patate)
Sinuoso e sensuale. Piccolo ed esotico. In altre parole, irresistibile: è l’ukulele, una miniatura di chitarra, nata in quelle isole mitiche chiamate Hawaii. Attraversando l’Oceano pacifico il suono dolce di questo strumento ha conquistato il mondo. Negli anni cinquanta, la sua allegria ha contribuito a formare il mito della “beach lifestyle”: quella vita da passare con i piedi nella sabbia, a sorseggiare cocktail ghiacciati mentre guardi i surfisti che sfrecciano morbidi all’orizzonte. Chi è appassionato di tutto ciò che rima con tropical, avrà certamente sognato almeno una volta le onde oceaniche guardando il piccolo danzatore di hula che suona il suo ukulele e ti fa l’occhiolino... fosse solo da uno scaffale della libreria. Chi poi non ha amato questo strumento nel rifacimento di Somewhere over the Rainbow, dove accompagnava la voce di Israel Kamakawiwo’ole, il gigante buono scomparso nel 1997
Fra rock e tendenza Oggi torna a incantarci, come il gorgheggio di una sirena. Lo suonano i più hype, cool, i più fichi insomma. Giovani musiciste dall’allure esotica, come la zurighese Lea Lou, gruppi della scena indie-folk sulla cresta dell’onda, come i Beirut, seguiti da neofiti appassionati sparsi per le spiaggie – vere e immaginate – di tutto il mondo. Nel 2011, Eddie Vedder, noto a molti come leader dei Pearl Jam, ha dedicato allo strumento l’album Ukulele Songs. In Italia è persino nata una ukulele-orchestra, Sinfonico Honolulu, mentre in Svizzera il bernese Ukulele Sunnyboy crea musica ispirandosi alle Alpi, e lo skater del team luganese “Warriors”, Dino Brandao in arte Frank Powers, porta in giro le sue allegre uku-canzoni. Pare che l’ukulele sia stato anche lo strumento più venduto nel corso del 2012… Dannatamente sensuale Indaghiamo sul perché. Ha l’ironia di uno oggetto che, per la sua taglia ridotta, sembra quasi un giocattolo, l’innocenza di una brezza estiva, per il suono così zuccherino, e delle forme tanto sensuali che il giornalista Pier Andrea Canei l’ha definito “quasi un sex toy a quattro corde”. Non a caso una delle attrici più sensuali di sempre (o la più sexy), Marylin Monroe, in A qualcuno piace caldo strimpellava proprio un grazioso ukulele.
Rispetto alle sue origine, pochi sanno che venne al mondo quando, nel 1878, i primi immigrati portoghesi giunsero alle Hawaii. Per scongiurare la saudade di casa, suonavano la braguinha, una chitarrina tipica del Portogallo, da cui nacque poi il primo ukulele. In lingua hawaiiana significa “pulce saltellante”, un animaletto che si muove tanto rapidamente quanto le dita dei musicisti più abili. Una marea di fedelissimi Entrando nel web si è sommersi da una marea di blog dedicati allo strumento: si tratta decisamente di un fenomeno contagioso. Ci sono siti, come ukerepublic.com, che ne vendono di ogni foggia e colore. La piattaforma inglese ukemafia.com, che incita ad abbandonare le armi e ad abbracciare gli uku, così come l’italiano youkulele. com sono invece comunità virtuali che riuniscono i feticisti. Dalle nostre parti è nato ukulele.ch, pagina improntata sull’insegnamento con un’attenzione particolare ai bambini. L’appuntamento più prestigioso per gli amanti della chitarrina invece si tiene annualmente proprio alla Hawaii. L’Ukulele Festival Hawaii è organizzato dai musicisti Roy e Kathy Sakuma, una coppia che ha dedicato una vita intera a condividere questa passione. Parlano di una renaissance dello strumento nella sua terrai natìa e, proprio per questo, ora il Festival
si è allargato a più isole. Se le Hawaii rimangono un miraggio lontano, la Ukulele Orchestra of Great Britain arriverà in Svizzera il 9 ottobre prossimo al Théâtre Forum di Meyrin, con un repertorio che va dal grunge dei Nirvana a Tchaikovsky. Se solo potessi… Per me suonare l’ukulele rimane un sogno nel cassetto... Mi accontenterei di strimpellare qualche nota, con la brezza del lago tra i capelli e sogni dal sapore tropical negli occhi. A incoraggiarmi scopro che nel 2012 in italiano è apparso un manuale completo che promette un apprendimento indolore. Si tratta di No Panic - Metodo completo per ukulele, di Luca “Jontom” Tomassini (sempre in youkulele.com). Non mi resta che fare mio uno dei modelli laser cut pieghevoli creati dall’artista statunitense Brian Chan (web.mit.edu/chosetec/www/ ) e dedicare la prima strimpellata a questa fine estate 2013 con la consolazione che, nonostante le note sballate, mi sentirò fichissima!
La domanda della settimana
Per la classe media ticinese la casa di proprietà è un sogno diventato ormai irrealizzabile?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 29 agosto. I risultati appariranno sul numero 36 di Ticinosette.
Al quesito “Alla luce dei gravi incidenti avvenuti di recente, in Svizzera e all’estero, vi sentite sicuri quando viaggiate in treno?” avete risposto:
SI
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NO
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Astri ariete Capacità comunicative amplificate da una ottima Luna. Momento magico per intraprendere nuove esperienze. Cambiamenti professionali.
toro Momento ideale per concludere una trattativa di affari. Nuovi incontri per i nati nella prima decade. Maggior riposo tra il 26 e il 27 agosto.
gemelli Inquietudini. Con Urano favorevole dovete dar spazio alla vostra creatività per ottenere quello che vi appartiene. Vita sentimentale in crescita.
cancro Miglioramento per quanto riguarda tutte le situazioni connesse al mondo degli affari. Vita affettiva sbilanciata per i nati nella seconda decade.
leone Fate spazio al nuovo che entra. Incontri sentimentali con persone avvenenti per i nati nella seconda decade. Bene tra il 28 e il 30 agosto.
vergine Aumento delle capacità persuasive. Eros in crescita grazie ai trigoni di Mercurio e Plutone. Relazioni di affari per i nati nella seconda decade.
bilancia Fortuna all’estero o con persone straniere. Smaglianti ma inquieti i nati tra la prima e la seconda decade. Colpi di fulmine sotto l’ombrellone.
scorpione Inquietudini amorose provocate dall’arrivo di Venere. Attenzione alle gelosie e/o alle impennate d’orgoglio. Riposate il 26 e il 27 agosto.
sagittario Malumori tra il 28 e il 30 provocati dal passaggio lunare. I nati nella prima decade dovranno mostrarsi più riflessivi nel lavoro.
capricorno Possibili intemperanze nei rapporti di coppia. Difendete la vostra autonomia. Momento utile per dimostrare quanto valete. Mercurio vi aiuta.
acquario Attenti a non cadere in polemiche con partner o soci. Concentratevi sui vostri reali competitors. Fortuna affettiva. Bene il 28 e il 30 agosto.
pesci È il momento per concludere una trattativa di affari/una vertenza legale. Bene il 26 e il 27 agosto. Nuove energie per i nati nella terza decade.
Gioca e vinci con Ticinosette 1
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 36
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 29 agosto e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 27 agosto a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Verticali 1. Noto film del 2000 di J. Schnabel con Andrea di Stefano • 2. La perla del collezionista • 3. Generale tebano • 4. Venuto al mondo • 5. Dittongo in giada • 6. Resti, rimanenze • 7. Lo dice il rassegnato • 8. Il noto Marvin • 13. Addirittura, perfino • 15. Natanti gonfiabili • 17. Avere • 18. La regina con le spine • 20. Il numero perfetto • 25. Un ballo • 26. Il figlio adottivo di Cesare • 30. Trasparenti come il vetro (f) • 33. Si carda • 35. Tesi • 38. Dopo Cristo • 41. Consonanti in tema • 43. Purulenza • 45. Piccolo difetto • 47. Thailandia e Portogallo • 48. I confini di Iragna • 49. La nota degli sposi.
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Orizzontali 1. Abitino estivo • 9. Un ortaggio insulso • 10. Aspro • 11. Furiosa • 12. Chiude la preghiera • 14. Un attore muto • 15. Il verso della cornacchia • 16. Pari in mastri • 17. Soffrire, stentare • 19. Formano la Svizzera • 21. Cono centrale • 22. È ghiotto di miele • 23. Oriente • 24. Nome d’uomo • 27. Dittongo in paese • 28. Meridione • 29. Son dieci in un chilo • 31. Profonda, intima • 32. Preserva i polpastrelli • 34. Le prime dell’alfabeto • 35. La bevanda che si filtra • 36. Il nome di Sorrenti • 37. È opposto allo zenit • 39. Piace al beone • 40. Proprio stupida • 42. Consonanti in utopia • 44. La West del cinema • 46. Nessuno escluso • 49. Sud-Est • 50. Purificatore, liberatorio.
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Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!
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A causa dell’errata posizione di uno dei numeri utili a scoprire la soluzione del cruciverba apparso lo scorso 9 agosto, sono stati inclusi nel sorteggio sia i lettori che hanno indicato come parola chiave RICEETARE sia coloro che hanno trovato quella effettivamente corretta (e di senso compiuto) RICETTARE. Questa settimana la fortuna ha premiato: Innocente Mignola Croce 6635 Gerra (Verzasca)
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A cui facciamo i nostri complimenti!
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Un annuncio vi dà il tempo di trovare quello che cercate. Questo annuncio fa pubblicità alla pubblicità su giornali e riviste. Ogni anno l’associazione STAMPA SVIZZERA indice un concorso per giovani creativi. Anche questo lavoro ha vinto: è opera di Jacqueline Steiner e Noemi Kandler, Unikat Kommunikationsagentur AG. www.Questo-può-farlo-solo-un-annuncio.ch