Ticino7

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№ 35 del 30 agosto 2013 · con Teleradio dal 1. al 7 settembre

OlTre il cOnfine

Spartiacque tra nord e sud del cantone, il Monte ceneri rappresenta un sorprendente concentrato di storia e contraddizioni

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Ticinosette n. 35 del 30 agosto 2013

Impressum Tiratura controllata 68’049 copie

Chiusura redazionale Venerdì 23 agosto

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

4 Media Web e rivoluzioni. Piazza globale di KeRi Gonzato ......................................... 8 Eroi Malala Yousafzai di FRancesca RiGotti ................................................................. 9 Levante Lezioni di povertà di MaRco alloni .......................................................... 10 Oggetti Le posate di daniele Fontana; illustRazione di valéRie losa ............................ 12 Vitae Abbondio di Tessalonica di euGenio KlueseR ................................................... 14 Reportage Monte Ceneri di steFano GueRRa; FotoGRaFie di Reza KhatiR ..................... 39 Fiabe L’uomo indeciso di chiaRa PiccaluGa; illustRazioni di stePhanie GRossleRcheR....... 46 Tendenze Animali. Save the Dogs di ludovica doMenichelli ................................... 48 Svaghi .................................................................................................................... 50 Agorà Risorse. I tesori del Polo

di

RobeRto Roveda.....................................................

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Passo del Monte Ceneri. Stazione di notte Fotografia ©Reza Khatir

Lotte e fughe per la sopravvivenza “È di nuovo emergenza profughi” titolavano le agenzie stampa in Italia all’inizio di settimana scorsa, dove in poche ore sono sbarcati sulle coste siciliane di Porto Empedocle, Agrigento e nei pressi di Siracusa circa mille persone. Dall’inizio dell’anno gli immigrati giunti sulla penisola sono già decine di migliaia e si attendono nuove ondate di arrivi, visto quanto avviene in Siria ed Egitto. Qualche giorno prima lo stesso governo italiano, attraverso il Ministero degli interni, aveva fornito i dati precisi degli sbarchi, cifre contenute in un cosiddetto “rapporto di Ferragosto”: dal primo agosto 2012 al 10 agosto 2013 “sono sbarcate 24.277 persone”, di cui quasi 9mila in soli 40 giorni. Che fine faranno questi esseri umani? Raccolti nei già sofferenti centri di accoglienza – situazioni drammatiche già ampiamente documentate, anche in seguito alla visita in luglio di papa Francesco a Lampedusa –, molti fuggono immediatamente dalle strutture adibite alla loro registrazione, altri attendono il visto per muoversi verso nord: in Germania, per esempio, e prima ancora in Svizzera. Nel luglio del 2013 sono state presentate nel nostro paese 1819 domande d’asilo, il 18% in più rispetto al mese precedente. A metà agosto i quotidiani informavano che “nel 2013 sono state presentate 12.844 domande d’asilo, ossia 4375 in meno rispetto ai primi sette mesi del 2012”. L’Ufficio federale della migrazione ha fatto sapere che “tra i principali paesi di destinazione dei richiedenti l’asilo in Europa soltanto la Svizzera, il Belgio e la Svezia registrano un netto calo del numero di domande”; ma a livello europeo i numeri sono ben altri, tanto che entro la fine del 2013 sono attese “per la prima volta dal 2002, più di 400mila domande d’asilo a fronte

delle 350mila domande presentate nel 2012”. Tra i problemi più immediati che si pongono, la ricerca di una sistemazione in centri di accoglienza più o meno periferici è il più scottante e delicato. Con proposte e risvolti in qualche caso anche piuttosto incomprensibili: come l’individuazione di luoghi assolutamente discosti (Valle Bedretto), anche se almeno per quest’anno la Confederazione dovrebbe aver rinunciato all’utilizzo del bunker di All’Acqua. Anche le prese di posizione sulle poco chiare zone “off-limits” nel comune di Bremgarten dimostrano come la materia asilanti e rifugiati sia di complessa gestione e, visto il coinvolgimento diretto della popolazione che risiede nei pressi dei centri, le “imposizioni dall’alto” in questi casi sarebbe sempre da evitare. Scriviamo questo per fugare qualsiasi malinteso rispetto ai contenuti all’articolo dedicato ai cani randagi a pagina 48. Sappiamo che gli amanti degli animali sono molti e la cifra d’affari generata dalla cura di gatti, cani e tutti gli altri amici di compagnia è enorme. In un documento elaborato nel 2011 dal portale bonus.ch (“Pelo, piume o squame: in Svizzera, i nostri amici animali sono molto amati!”) risulta che il 57,1% degli intervistati spende una cifra che oscilla tra i 50 e 150 franchi al mese per il loro animale, mentre l’8,8% ne spende fino a 150. Senza scadere in banali considerazioni, appare evidente e lodevole aiutare animali altrimenti destinati a sofferenze e morte certe. È altresì vero che di fronte alla scelta di dare un futuro migliore a un cane oppure a un bambino, una donna o un uomo in cerca di un futuro migliore, la priorità dovrebbe essere una sola. Speriamo. Buona lettura, la Redazione


I tesori del Polo Risorse. I mutamenti climatici e il progressivo riscaldamento del pianeta hanno prodotto significativi mutamenti nei territori dell’Artico: i ghiacci diminuiscono e le condizioni di vita si fanno progressivamente meno estreme. Nuove rotte commerciali sono state aperte a nord e risultano più accessibili le immense riserve di petrolio, minerali e gas naturali presenti nell’area. E il Polo Nord balza al centro dei grandi interessi delle potenze mondiali di Roberto Roveda

L’

Agorà 4

aspetto più evidente per gli scienziati è che l’Artide non è più la distesa di ghiaccio a cui si era abituati fino a un po’ di tempo fa: “La superficie del ghiaccio artico oggi appare diversa. Specialmente in inverno. Non c’è più un vero e proprio inverno artico. E questo rappresenta un grosso cambiamento” ha affermato Peter Wadhams, professore di Oceanografia all’università di Cambridge e a capo di più di quaranta spedizioni polari dagli anni settanta a oggi, durante il Workshop internazionale sul clima “The Climate Challenge in the Arctic. Environmental Impacts, new opportunities and future policy options” che si è tenuto lo scorso 6 maggio a Venezia. In cifre, nell’ultimo quadriennio lo spessore del ghiaccio nell’area artica si è ridotto di oltre 60 centimetri e la superficie di 1,28 milioni di km2 rispetto alla media registrata nei trent’anni precedenti. Inoltre, sempre secondo i dati degli scienziati, l’estensione dei ghiacci al Polo Nord è scesa dai circa 9 milioni di km2 di un secolo fa a meno di 4 milioni dell’ultimo periodo. Il dato è allarmante: più della metà dei ghiacci scomparsa in soli cento anni, quando abitualmente cambiamenti di questo tipo avvengono nel corso di migliaia di anni. A tal proposito l’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) ha da poco lanciato un altro allarme: nei mesi di agosto e settembre 2012 – agosto e settembre sono i due mesi in cui normalmente il ghiaccio raggiunge il suo livello di estensione più basso – la calotta sul mare Artico ha registrato una superficie di soli 3,4 milioni di km2, ben il 18% in meno rispetto al minimo precedente del 2007. La nuova frontiera Cambia quindi il clima a settentrione, cambiano paesaggi e territori. Cambia soprattutto l’attenzione con cui il resto del mondo guarda a queste terre e mari fino a pochi anni fa poco “frequentati”. Meno ghiaccio, condizioni climatiche meno estreme sono fattori che favoriscono l’apertura di nuove rotte marittime e un accesso più semplice alle risorse naturali della zona, in particolare petrolio, gas naturale ma anche minerali pregiati come oro, manganese, nichel. Per questo l’Artide è diventato negli ultimi tempi uno scacchiere di primo piano nel confronto geopolitico

che coinvolge in primis i paesi affacciati sul Circolo polare artico, cioè gli stati scandinavi, la Russia e il Canada, cui si aggiungono gli Stati Uniti (l’Alaska è un territorio americano in pieno Grande Nord), la Cina e la stessa Unione Europea, che non vuole certo restare esclusa dal “banchetto”. Obiettivo più o meno dichiarato di tutti gli attori in campo è di ottenere il maggior controllo possibile sulle nuove rotte marittime e su porzioni sempre più estese della landa settentrionale in modo da godere dei diritti di sfruttamento dei tesori artici. Per quanto riguarda le nuove rotte di navigazione oggi si possono percorrere nei mesi estivi due nuove vie: il passaggio a Nord-Ovest, cioè la rotta che collega Oceano Atlantico e Pacifico passando a Nord del Canada, e il passaggio a Nord-Est, che collega i mari dell’Europa del Nord a quelli di Cina e Giappone passando a settentrione della Russia. L’apertura dei due passaggi consente di ridurre sensibilmente le distanze marittime e i tempi di percorrenza abituali: con il passaggio a Nord-Est, per esempio, il viaggio da Amburgo a Shanghai si riduce di 6500 chilometri e di dieci giorni rispetto al classico tragitto attraverso il canale di Suez. Per non parlare del fatto che i nuovi passaggi settentrionali evitano il pagamento dei pesanti pedaggi previsti per attraversare i canali di Suez e di Panama. In prospettiva, quindi, siamo di fronte a un cambiamento epocale, che riguarda le economie di intere aree. Pensiamo solo che attraverso Suez transitano in media ogni anno 18mila navi di diverso tonnellaggio e che gli introiti derivanti allo stato egiziano per i pedaggi da questi transiti si aggirano intorno ai 400 milioni di dollari annui. Non a caso, tornando all’Artide, per la Russia lo sviluppo delle rotte marittime settentrionali rappresenta una priorità, tanto che il piano strategico con scadenza 2030 presentato recentemente dal Ministero dei trasporti russo individua nella rotta nordica la chiave di volta per dar vita a un cospicuo aumento del traffico commerciale marittimo. La previsione degli esperti è che già nel 2020 si giungerà a un trasporto di merci pari a 40 milioni di tonnellate che toccheranno i 70 milioni nel decennio successivo.

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“A rendere le cose più complicate è il fatto che non è del tutto chiaro a chi realmente appartengano molte zone artiche e questo contribuisce ad accrescere la competizione tra gli stati. A contendersi la torta sono principalmente gli otto paesi che si affacciano sulla regione polare: Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Canada, Russia, Svezia e Stati Uniti”

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La “guerra” per le risorse In generale negli ultimi anni la Russia si sta muovendo apertamente per espandere la sua area di influenza nel settore settentrionale e rivendica il diritto a inglobare nei propri confini marittimi più di 1,2 milioni di km2 di acque artiche. Le pretese russe sono espressione di una vera e propria guerra per la supremazia economica dato che i fondali dell’Artide rappresentano un importante scrigno energetico. Secondo le stime relative al 2008 dell’US Geological Survey (USGS, l’agenzia scientifica del governo degli Stati Uniti che si occupa delle risorse naturali) nell’area a nord del Circolo polare artico si troverebbero riserve pari a 90 miliardi di barili di petrolio, 47 miliardi di metri cubi di gas naturale e 44 miliardi di barili di gas liquido. Sempre secondo l’USGS tali riserve formano circa il 22% delle riserve energetiche mondiali non ancora sfruttate e tecnicamente recuperabili e comprendono circa il 13% di petrolio non ancora sfruttato, il 30% di gas naturale e il 20% di gas liquido. Non c’è quindi da stupirsi che operatori indipendenti e compagnie petrolifere nazionali stiano spendendo miliardi di dollari e anni di programmazione ed esplorazione negli ambienti più ostili della Terra per accaparrarsi una fetta di queste risorse. L’USGS ha, infatti, documentato che già nel 2008 numerose aree offshore in Canada, Russia e Alaska erano state esplorate e sviluppate con la conseguente scoperta di più di 400 campi petroliferi e di gas a nord del Circolo polare artico. Tali aree esplorate, che si stima contengano circa 240 miliardi di barili di petrolio e di gas naturale equivalente al petrolio, formano circa il 10% delle riserve mondiali petrolifere oggi sfruttabili. I padroni dell’Artide A rendere le cose più complicate è il fatto che non è del tutto chiaro a chi realmente appartengano molte zone artiche e questo contribuisce ad accrescere la competizione tra gli stati. A contendersi la torta sono principalmente gli otto paesi che si affacciano sulla regione polare: Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Canada, Russia, Svezia e Stati Uniti. Sono gli stessi stati che nel 1996, firmando la Dichiarazione di Ottawa, hanno dato vita al Consiglio artico, un forum per la cooperazione intergovernativa

nato per garantire all’area artica uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Bei propositi, già svaniti nel nulla di fronte al profitto economico e alle rinnovate smanie di potenza dei governi che si fronteggiano diplomaticamente – ma non solo – per ottenere giurisdizione su aree sempre più grandi così da avviare i loro programmi di sfruttamento. La Russia, per esempio, ritiene di avere la più ampia linea costiera che si affaccia sull’Artide e quindi di aver diritto a controllare la zona più estesa di territorio e di mare in base a quella che all’inizio del novecento fu definita la “teoria dei settori” (per settore si intende una fetta triangolare di Artide la cui base è la costa nord di uno degli stati affacciati sul Circolo polare artico e i cui lati sono i due meridiani più a ovest e a est dello stato stesso). Grazie a questa teoria tutte le terre, le acque e i fondali contenuti all’interno di tale area sarebbero di esclusivo sfruttamento dello stato in questione. Altri stati privilegiano viceversa le cosiddette “teorie di occupazione effettiva” e di mare liberum: chi arriva per primo si aggiudica le terre, mentre il mare è libero per chi ha le capacità tecniche e le risorse economiche per sfruttarlo. Di questa logica beneficiano i paesi più ricchi e tecnologicamente avanzati come gli Stati Uniti e la Norvegia a scapito proprio della Russia. Ma non finisce qui. Recentemente Mosca, comprendendo che la teoria dei settori non garantisce a sufficienza le sue pretese settentrionali, ha annunciato che l’area che si trova a nord delle sue coste sarebbe in realtà la continuazione della piattaforma continentale russa, come proverebbe la Dorsale di Lomonosov, una catena montuosa sottomarina che dalle coste russe si estende sino al Polo. A scanso di equivoci e mentre si discute a livello diplomatico già nel 2007 un sommergibile russo ha piantato la propria bandiera sul fondale marino nel punto esatto del Polo Nord geografico. Come a dire: “L’Artide è cosa nostra”. Inoltre il governo russo ha progressivamente militarizzato le sue coste settentrionali. Una politica che ha messo in allarme gli altri stati dell’Europa settentrionale, in particolare Svezia, Finlandia e Danimarca che hanno risposto mettendo in campo, a loro volta, una forza di pronto intervento militare per contrastare le pretese russe sull’Artide. Insomma, una riedizione in tono minore della “guerra fredda”.


Trivellare il Polo: quali conseguenze? Al di là dei giochi delle grandi potenze ci dobbiamo però interrogare se sia giusto trivellare l’Artide, uno dei pochi ecosistemi del pianeta ancora non totalmente modificati dall’azione umana. Le associazioni ambientaliste, non a caso, sono da tempo in allerta per le possibili fuoriuscite di gas o petrolio che potrebbero provocare un disastro ambientale senza precedenti, ben superiore ai danni climatici già ingenti causati dal surriscaldamento del pianeta. Ancora dobbiamo chiederci quanto sia privo di rischi trivellare in territori dalle caratteristiche ambientali comunque estreme e ostili nonostante i recenti cambiamenti climatici. Per il Parlamento europeo e il Comitato ambientale della Commissione europea non è sicuro operare nell’Artide e il rischio di catastrofi ambientali è elevato. Diversamente la pensa il governo norvegese conscio del fatto che il benessere della Norvegia poggia sulla possibilità di trovare sempre nuovi giacimenti da sfruttare nei mari del Nord. Sulla stessa lunghezza d’onda dei norvegesi si pone il governo russo. Una questione, quella di se e come trivellare i fondali dell’Artide molto intricata, anche perché non esiste una chiara legislazione internazionale in materia e i protocolli di sicurezza per quanto rigorosi faticano a essere applicati e fatti rispettare da tutti gli stati. In parole povere domina un clima da Far West che fa realmente temere che sull’Artide ci si avventi senza troppi scrupoli, complici la distanza di queste aree, lo scarso popolamento di queste zone, la poca attenzione dell’opinione pubblica e della stampa.

Norme e tutele Secondo gli esperti ambientali dell’Unione europea, per esempio, sarebbe necessario adottare normative più severe che obblighino chi opera nel campo della trivellazione a offrire garanzie economiche, agendo tempestivamente in caso di fuoriuscite di petrolio. È storia recentissima (fine maggio scorso) l’approvazione dell’Europarlamento di una nuova direttiva che dà il via libera all’autorizzazione alle trivellazioni solo per le compagnie in grado di garantire risorse fisiche, umane e finanziarie sufficienti a prevenire incidenti gravi e limitarne le conseguenze. In più, le società di perforazione saranno obbligate a presentare alle autorità nazionali europee, prima che le operazioni inizino, una relazione speciale che descriva l’installazione della perforazione, i principali potenziali pericoli e gli accordi speciali a tutela dei lavoratori. Una direttiva che segna un piccolo passo avanti nella messa in sicurezza delle trivellazioni e parzialmente anche per il patrimonio ambientale anche se c’è da chiedersi cosa siano disposte a rischiare le grandi potenze e le ricche compagnie del petrolio e dell’energia a fronte dello sfruttamento delle nuove risorse energetiche artiche: se da un lato si accaparreranno cospicui profitti e un primato geopolitico sul Grande Nord, provvederanno con la stessa energia a garantire realmente, in caso di disastro ambientale, adeguati piani di emergenza e fondi sufficienti per pagare eventuali danni? I dubbi permangono.

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Piazza globale

Fin dall’antichità, il popolo si è opposto al volere dei potenti scendendo in piazza e manifestando. Ma oggi il mondo dispone di un’immensa piazza virtuale: il web, uno spazio sconfinato che, pur avendo un carattere immateriale, tange con il mondo reale di Keri Gonzato

Media 8

Nel pieno dell’era dell’attivismo online, organizzazioni co- vanno dall’ambiente alla protezione dei diritti umani, esistome Avaaz e Amazon Watch, operano con azioni di protesta no poi organizzazioni con un campo di azione più specifico. di una portata mai vista prima. Grazie alla potenza del web, è È il caso di Amazon Watch, un gruppo nato con lo scopo di infatti possibile creare blocchi di opposizione pubblica tanto proteggere dagli abusi le aree geografiche dell’Amazzonia e vivaci da forzare le lobby a cambiare rotta. Avaaz, nata nel chi vi abita. L’organizzazione si impegna quotidianamente 2007, è la più grande di queste organizzazioni con al suo ad attirare l’opinione pubblica sulle vicende riguardanti il attivo oltre 20 milioni di membri sparsi in 194 paesi. Brasile, la Colombia, l’Ecuador e il Perù. Lo sguardo monRecentemente, grazie allo tsunami partecipativo della diale fa si che aziende come Monsanto e Petroamazonas popolazione mondiale, è riuscita a costringere importanti non possano più agire indisturbate. Al contempo, l’organizaziende dell’abbigliamento a zazione lavora direttamente firmare un trattato per tutelacon le comunità indigene per re le condizioni di lavoro nelle migliorare la loro qualità di loro fabbriche. Nonostante vita e per creare, assieme, un tali stabilimenti fossero situati progetto di protezione a lungo nei paesi in via di sviluppo, termine delle foreste. lontani da sguardi indiscreti, Avaaz ha fatto in modo che Obiettivi comuni gli occhi del mondo intero si Il successo di tali azioni si basa focalizzassero proprio lì, metsulla capacità di unire le forze tendo a nudo le ingiustizie in – di comunità indigene, orgaatto. Tra i successi recenti delle nizzazioni non-governative e campagne di Avaaz spicca poi popolazione globale – orienla battaglia contro l’utilizzo tandole verso un obiettivo dei pesticidi, tossici per le api, comune. Recentemente, una in Europa. Un’azione vinta campagna volta a proteggere Ecuador: una cascata nello Yasuni National Park; lo scorso aprile, dopo due la foresta di Yasuni in Ecuador, immagine tratta da earthfirstnews.wordpress.com anni di pressioni attuate con ha raccolto più di un milione messaggi costanti ai politici, di firme online in meno di proteste fisiche degli allevatori di api e 2,6 milioni di fir- una settimana. Amazon Watch, segue da vicino le vicende me. In una famosa canzone Gaber cantava che la libertà della zona amazzonica e coinvolge il resto del mondo, è partecipazione ed effettivamente questi processi, volti a rendendo pubbliche notizie che altrimenti passerebbero in emancipare il mondo dall’onnipotenza dei vertici, poggiano sordina. Si potrebbe dire che si tratta di una sorta di organo proprio sul coinvolgimento della società civile. di informazione con un focus specifico, volto a supplire le lacune del sistema informativo internazionale e a far sapere Nuovi strumenti al resto del pianeta cosa capita in queste aree. La società è Questi cortei di protesta virtuale, e non solo, traggono la pro- invitata a sostenere, sia a livello finanziario che divulgativo, pria forza dalla somma totale del potere dissidente di ogni le azioni di questo gruppo. singolo individuo. Il clic accade quando, io e te, ci prendia- A seguito di questo fenomeno possiamo affermare quindi mo il tempo di sottoscrivere una petizione globale, quando che internet, dopo Wikipedia e WikiLeaks, ha fornito un la condividiamo tramite i vari social network, scriviamo a nuovo strumento per rinforzare un sentimento di demoun presidente o addirittura lanciamo una nuova campagna: crazia mondiale. Mahatma Gandhi che, utilizzando l’arma atti veloci e indolori che permettono a tutti di “scendere in bianca del boicottaggio, fu un pioniere nell’opporsi a una piazza” e unire la propria voce al coro. Niente fumogeni, grande potenza come l’Inghilterra, affermò “Sii il cambiamenlacrimogeni, poliziotti in tenuta d’assalto, niente più stri- to che vuoi vedere nel mondo”. Partecipando a queste mobiliscioni, slogan urlati a squarciagola, il tutto si semplifica in tazioni mondiali, seppur nel nostro piccolo, ci avviciniamo questo nuovo luogo di contestazione, senza però perdere a questo principio uniti nel cammino verso un mondo che efficacia. Se Avaaz si occupa di tematiche molto varie, che ci auguriamo migliore.


Malala Yousafzai

Il Partito laburista norvegese ha promosso ufficialmente la sua candidatura al Premio Nobel per la pace 2013. E il luglio scorso ha parlato al palazzo delle Nazioni Unite di New York indossando lo scialle appartenuto a Benazir Bhutto. Ma chi è costei? di Francesca Rigotti

Chi è l’eroe? Chiediamocelo ancora una volta, riflettendo

su alcune considerazioni generali prima di andare a occuparci dell’eroina di questa puntata. L’eroe è una figura centrale, un protagonista che affronta una situazione di sfida, subisce rovesci di sfortuna, vive delusioni, mostra debolezze ma intanto cresce nella sua preparazione e alla fine si mostra in ciò che fin dall’inizio dormicchiava in lui: l’eroe. Un eroe la cui storia segue spesso uno schema fisso: chiamata all’avventura, incontro con un mentore e poi con dei compagni, prime prove, prime sconfitte, e poi ritorno decisivo con tutto l’arricchimento dovuto alle prove subite. L’epoca post-eroica Le storie degli eroi sono affascinanti perché ognuno di noi vorrebbe condividerne la sorte: uscire dal tran-tran, compiere un’impresa eccezionale, diventare un eroe. Oggi? Oggi che gli eroi sembrano non esistere più e che dobbiamo accontentarci di un’“epoca post-eroica”, come la definiscono sociologi e politologi? Oggi che viviamo morbidamente avvolti dal benessere, in un mondo con poche nascite dove sui figli viene investito un altissimo potenziale affettivo da parte delle famiglie, da riversare nella realizzazione personale? Oggi che tutt’al più si esperisce una stagione di eroismo/antieroismo “pop”, un eroismo senza veri eroi nel quale viene prescelto, a giocare la parte dell’eroe, chi si occupa esclusivamente del proprio interesse e della propria salvezza, come Angelina Jolie, elevata agli altari dell’eroismo per essersi fatta amputare i seni allo scopo di evitare una possibile malattia genetica? Popsophia: eroi e antieroi Si è svolto a Pesaro, ai primi del mese dello scorso luglio, un Festival di Popsophia dedicato a eroi e antieroi, a eroi “pop” la cui caratteristica principale è quella dell’autorealizzazione (e se poi altri ne ricevono vantaggi, tant mieux). Invece l’eroe è chi con tutte le sue forze e talora fino all’autosacrificio si dedica alla realizzazione di un compito comune, fa qualcosa per gli altri, a favore degli altri: gli svantaggiati, i perseguitati, gli oppressi, gli esclusi. Cambiare il mondo Questo ha fatto, e per questo la propongo qui come eroina, Malala Yousafzai, la ragazza pakistana oggi sedicenne (è nata

nel 1997) vittima di un attentato dei talebani. Il 12 luglio 2013, giorno del suo sedicesimo compleanno, Malala ha parlato ai microfoni dell’ONU affermando che “... un bambino, un maestro, un libro, una penna, possono cambiare il mondo”. Giovanissima, a soli undici anni, Malala Yousafzai iniziò a tenere un blog, sotto pseudonimo, nel quale raccontava la vita sotto i talebani e diffondeva le sue idee sulla promozione dell’educazione di bambine e ragazze, bandita da tale corrente politico-religiosa. Nell’ottobre 2012 fu vittima di un attentato: le spararono in testa e alla nuca mentre tornava a casa sullo scuolabus dopo le lezioni. Trasferita in gravi condizioni in un ospedale in Gran Bretagna è riuscita a riprendersi e da allora vive, protetta, in quel paese; ha ricevuto numerosi premi e onorificenze ed è candidata al premio Nobel per la pace. “Tutti ci rendiamo conto dell’mportanza della luce quando ci troviamo al buio, e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c’è il silenzio” ha aggiunto Malala nel suo discorso davanti alle Nazioni Unite, “e nello stesso modo quando eravamo nello Swat, in Pakistan, noi ci siamo resi conto dell’mportanza dei libri e delle penne quando abbiamo visto le armi. I saggi dicevano che la penna uccide più della spada, ed è vero. Gli estremisti avevano e hanno paura dell’istruzione, dei libri e delle penne. Hanno paura del potere dell’istruzione. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa. Ed è per questo che hanno appena ucciso a Quetta quattordici innocenti studenti di medicina. È per questo che fanno saltare in aria scuole tutti i giorni. È per questo che uccidono i volontari antipolio. Perché hanno avuto e hanno paura del cambiamento e dell’uguaglianza che entrerebbe nella nostra società”. Eroi e ricordo Ascoltando o leggendo le parole della coraggiosa ragazza pakistana forse qualcuno si ricorderà anche di Iqbal Masih, il bambino, anch’egli pakistano, ucciso nel 1995. Iqbal si batteva contro la schiavitù del lavoro minorile e venne ucciso dai suoi ex schiavisti: a lui spararono mentre andava in chiesa in bibicletta. Un piccolo eroe del quale ricordarsi, perché se abbiamo bisogno di eroi è proprio per potercene ricordare, affinché il loro ricordo sia in grado di aiutarci a rimanere retti e onesti nei compiti quotidiani della vita.

Eroi 9


Lezioni di povertà Spesso è nelle condizioni più disagiate e segnate da grandi privazioni che l’uomo rivela la sua generosità e il rispetto del prossimo. Come nella pellicola egiziana “Kit Kat”, un inno alle qualità più nobili degli esseri umani di Marco Alloni

Qualche giorno fa guardavo il film Kit Kat tratto dall’omo-

Levante 10

Una scena rimane impressa: skeikh Hosni scopre nel sinimo romanzo dello scrittore egiziano Ibrahim Aslan. Kit lenzio del venditore di ceci, da cui si reca ogni giorno Kat è un quartiere povero del Cairo dove, fino a qualche deponendo in una ciotola le monete del pasto, un tacito anno fa, vigeva l’abitudine, per le famiglie più disagiate, rimprovero alla sua decisione di vendere l’appartamento di condividere il proprio appartamento con altre famiglie: che quest’ultimo aveva costruito mattone su mattone ognuna in una stanza. Filo conduttore del film i problemi insieme al padre. Poi, un giorno, chinandosi verso di lui legati all’indigenza: come garantirsi una minima rendita per chiedergli perdono, e baciargli la mano, scopre che per permettere al figlio di partire costui è morto. Lo solleva, lo per l’estero, come affrontare il depone in una carriola e lo porta dramma della sussistenza, come alla veglia funebre. La tenerezza ritagliarsi un proprio margine di del gesto rivela il sotteso conflitto felicità nella miseria. Nessuna fra due valori profondi che cercaestetica del pauperismo, piuttosto no un’estrema conciliazione: il uno spaccato di che cosa signifirispetto per i padri e l’amore per i chi la povertà. figli. Il film ci racconta che la poCome spesso mi è accaduto vivertà non solo custodisce quindi vendo al Cairo, ho ritrovato in straordinarie risorse di sopravviquel film quello che chiamerei il venza, ma anche valori e dignità. genio egiziano nel saper affronCi racconta che laddove la vita tare l’inclemenza della vita: lo offre poco o niente, qualcosa di stesso che siamo soliti attribuire essenziale sembra dischiudersi alla capacità dei napoletani di dal profondo: le qualità degli inventarsi gli espedienti della souomini. Quasi a suggerire che la Cairo. Piazza Kit Kat; imm. tratta da panoramio.com pravvivenza. Con una differenza: privazione può sottrarci tutto ma che nel genio egiziano è assente non la nostra nobiltà. la furbizia. Sopperiscono invece, alle difficoltà della vita, il canto, l’hashish, la birra, l’adulterio, la fantasia e la Gli spazi della cecità creatività. Seguendo Kit Kat continuavo ad andare con la mente a una persona (che non nomino), il perfetto contraltare di Povertà-nobiltà-dignità quella storia. Pensavo alla sua condizione di privilegio, al Il vecchio cieco sheikh Hosni accompagna per le strade di suo stipendio e al suo posto di lavoro sicuri, alle prospettive Kit Kat un religioso cieco fingendo di vederci benissimo, di promozione. Pensavo a quanta disinvoltura aveva messo e discorrendo con lui si inventa una biografia del tutto nell’allontanare un suo collaboratore dal posto che aveva immaginifica, al punto che quest’ultimo non arriva a occupato per mesi, nel subordinare la propria scelta a ragiosospettare l’inganno finché non ruzzolano entrambi nel ni di mera compatibilità. Mi domandavo se praticando un Nilo. A quel punto l’imam scoppia a ridere: anche lui di- mestiere di testimonianza del mondo – dunque anche del mostra così di preferire, alla verità, l’immaginazione. Terzo mondo – si fosse mai interrogata su quel che avrebbe Il vecchio Hosni non risponde però alla sua condizione di potuto implicare una tale decisione. menomato soltanto attraverso la fantasia, ma anche con E se parlando di precarietà e povertà avesse mai avuto sentol’orgoglio. “Sono povero e cieco – sembra dire – mi intrattengo re di cosa stesse parlando. La immaginavo osservare Kit Kat con gli amici fino all’alba fumando hashish e suonando il liuto, in solitudine e non capire, e non piangere, e non soffrire. ma ho una dignità”. Tanto che per tutto il film si ostina, L’ho immaginata incatenata all’inveterata abitudine a riteprima di cedere il proprio appartamento, in un’estenuante nere che il mondo sia la sua rappresentazione, la sua datità, contrattazione, e solo ad accordo concluso mette a parte la sua evenemenzialità: non gli uomini, ma la loro funzione. il figlio dello scopo dell’impresa: permettergli di partire E ho amato ancor più sheikh Hosni, e il compianto Ibrahim per l’estero. Aslan che ci ha insegnato, attraverso la cecità, a vedere.


Siamo i primi al mondo a offrire tonno MSC catturato con un metodo rispettoso dell’ambiente come la canna da pesca.

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La nostra promessa fino al 2020: soltanto pesce e frutti di mare da fonti sostenibili. La Migros offre già oggi tonno rosa in scatola catturato da pescatori locali con la canna. Questo metodo evita le catture accessorie ed è solo una delle tante soluzioni cui ricorriamo ai fini di una pesca sostenibile, per attuare la nostra promessa entro il 2020. Grazie a questa e a molte altre misure ci impegniamo oggi per la generazione di domani. Di più su generazione-m.ch


Le posate

Tre oggetti quotidiani, umili ma capaci di evocare insospettabili similitudini, pensieri e riflessioni di Daniele Fontana; illustrazione ©Valérie Losa

Oggetti 12

Il coltello “Diciamocelo chiaro guardandoci in faccia. La mia riflessa nell’acciaio della tua lama, la tua stampata nei miei occhi. Tu sei colpevole. Nemmeno complice né correo. Proprio colpevole e basta” “Ma perché? Cosa ho fatto?” “E me lo chiedi? Tu sei lo strumento del male. Il tuo filo è quello degli omicidi, degli ammazzamenti, degli sgozzamenti” “Ehi bello, sto qui in cucina per servire te sai? Ed è da quando eravate poco più di scimmie che vi sto servendo. Primo utensile (anche se di selce) ufficialmente riconosciuto nel cammino della vostra cosiddetta civiltà”

“Si si, ma ti abbiamo usato per staccare filamenti di carne rinsecchita dalle carcasse. O tutt’al più per sbudellare animali di piccola taglia, ché per quelli più grandi ci è toccato sin da subito inventare lance fiocine e arpioni” “Sarà, però per il corpo a corpo non c’è niente di meglio di un coltello” “Appunto. Arma malandrina, da colpo traditore e infingardo. Vuoi mettere la spada? Non per niente l’han fatta simbolo di giustizia mentre tu sei il marchio dei tagliagola. Provati a paragonare il gesto plastico di Martino che divide il proprio mantello con quello barbaro di Abramo pronto a sgozzare suo figlio, e poi dimmi” “Senti un po’, esteta dei miei stivali, ma tu le hai mai vi-


La forchetta “Ehi, guardala. Guardala un po’“ “Vista. E allora?” “Ma dai. Quelle arie che si dà. Quelle curve. Quel corpo flessuoso. Ma chi si crede di essere?” “Una forchetta” “Appunto. Invece fa la snob. Non vedi come è diversa dalle altre posate?” “Beh è sempre stata diversa. È nata nobile, sulle sponde del Mediterraneo” “Già già, immagino. Roba da ricchi. Per non sporcarsi le dita. E così è rimasta presuntuosa” “Insomma, i suoi brutti momenti se li è passati pure lei.

www.legge-sul-lavoro-si.ch

Il cucchiaio Ci si può perdere in un cucchiaio? Vuoto, certamente sì. Nei suoi due volti, concavo e convesso, che ci distorcono il viso, che lo girano, lo tirano, lo stringono, lo deformano sino alle soglie di un dolore immaginato ma poi per misteriosa e fortunata sorte non provato, e che ci rimescolano anche i sensi. La vista, che lui inganna dunque quando è vuoto. Ma pure il gusto e l’olfatto quando assolve al proprio compito nutrizionale, facendosi despota assoluto tra l’universo dei cibi liquidi e la nostra fame di alimenti. Per quelli della nostra generazione poi il cucchiaio è un ponte sullo Spoon River di Edgar Lee Master, verso quelle poesie lette da noi stessi o cantateci da De André. Lo Spoon River, il fiume cucchiaio, dal nome con cui gli indiani di quelle terre chiamavano le conchiglie usate come stoviglie. Forse, quei volti simili a noi e insieme difformi, riflessi dalla piccola conca lucente, altro non sono che lapidi della collina raccontata da Lee Master. Le vite “diverse”. Le vite normalmente strane di tutti i giorni. Le vite nostre e degli altri. Quelle possibili e quelle reali. Tra sogno e spietatezza. Con il cucchiaio a farsi effigie del presente e suono della memoria. A modo suo è una versione domestica del teschio che, ricordandoci la morte, ci educa alla vita. È posata all’apparenza la più innocua. L’errato luogo comune della narrazione filmica dice che sia l’unica che si lascia ai carcerati, decine di volte usata poi però per rocambolesche evasioni. Innocuo e liberatore, dunque, il cucchiaio. Capace di stravolgere tanti destini. E allora ci si può perdere sì in un cucchiaio. Ci si può perdere la propria vita per vederne riaffiorare un’altra. Fosse anche solo da una semplice minestra.

Intanto, quando dopo l’Impero romano sono arrivati i barbari è sparita per un pezzo dalla circolazione” “Appunto, vedi, si può farne a meno” “Di un sacco di cose si potrebbe fare senza, ma una volta che le hai avute prova a fartele togliere...” “Comunque, con quelle punte a me non convince. Mio nonno, da piccolo, ci ha perso un occhio” “Strumento del diavolo l’hanno chiamata. E le hanno caricato addosso un sacco di credenze. La chiesa l’ha persino tenuta fuori dai conventi per secoli” “Hanno fatto bene. E come vedi ho ragione. Non siamo forse progrediti anche senza di lei? Non abbiamo mangiato? Non ci siamo sfamati anche con cibi raffinati? E allora che bisogno c’è di quella altezzosa ne me touchez che me guastez, tutta forme e pericoli?” “A parte che in Francia ha faticato a prendere piede, persino alla corte del re Sole, non mi pare poi così snob. Pensa ai servizi che umilmente rende al coltello. Provati a tagliare una bistecca privandotene…” “Sempre pronto a difenderla tu. Non sei un vero rappresentante del popolo, della gente. La forchetta è per i signori. È corruzione dell’autenticità. Non serve ai cibi veri, semplici. Un cucchiaio per la zuppa, un coltello per la carne e le mani per il resto. Di cosa altro c’è bisogno per avere una linda dignità?” “Va bene va bene, tribuno, ma ora tira il fiato che sono arrivati gli spaghetti al pomodoro”.

Comitato apartitico SÌ alla legge sul lavoro Laupenstrasse 2, 3008 Berna

ste le ferite prodotte da un fendente o gli scempi di uno sgualembro? Ripassati la storia amico mio. Anche quella della tanatologia, consumatore smisurato ma ignorante di serial americani” “Sarà ma ai nostri bimbi la narrazione della fantasia, dell’azione per le cose giuste gliela vesti con la cappa e la spada (lappàda, lappàda nonno), non di certo con un serramanico” “Siamo alla solita tristissima storia. Che è sempre quella che si gioca tra realtà e narrazione. Tra la vita vera e quella impacchettata nelle carte. Che poi, che ti credi, tocca comunque sempre a me aprirle. Perché prova un po’ a farlo con una durlindana. O anche solo con un fioretto”.

Ignazio Cassis, Consigliere nazionale PLR/TI:

«Un SÌ alla legge sul lavoro è un chiaro segnale contro assurde prescrizioni burocratiche» Il 22 settembre

LEGGE SUL LAVORO


È

Vitae 14

tutta colpa del Manzoni, questa è la verità. È lui che ha dato un bel colpo alla mia reputazione di vescovo e santo! Certo, già prima avevo qualche problema di autorevolezza col nome che mi ritrovo, Abbondio, che dà l’idea di un pacioso grassottello. Il colpo di grazia, però, me l’ha dato proprio il milanese con quel tremebondo curato dei Promessi Sposi. Ha un bel dire che ambientando il romanzo nelle zone di cui sono patrono era giocoforza pensare al mio nome: a me resta l’impressione che Abbondio già di suo gli ispirasse poco coraggio e quindi si sia divertito non poco a rincarare la dose. Immagino che se il santo patrono del comasco si fosse chiamato Gregorio il ragionamento sarebbe stato un altro! Eppure dalle mie parti sono sempre stato molto venerato, mi hanno attribuito miracoli, inclusa una celeberrima resurrezione di un bimbo, e raffigurato con rispetto, con tanto di mitria in testa, il bastone pastorale nella mano sinistra e tutti i paramenti da vescovo con tutti i crismi. Mi hanno dedicato decine di chiese e anche qualche cittadina, come Sant’Abbondio, vicino a Locarno. E poi, nonostante il nome sfortunato, ho affrontato tante di quelle peripezie che i miei colleghi di oggi se le sognano. Ma è meglio partire dall’inizio: sono nato intorno all’anno 400 – anno più, anno meno, anche perché a quell’epoca le anagrafi non è che funzionassero un granché – a Tessalonica, oggi Salonicco, in Grecia. In quegli anni l’Impero romano stava ormai andando in pezzi e sempre più devastanti erano le incursioni dei barbari. A Como ci sono arrivato molto giovane come collaboratore di Amanzio, che era allora vescovo della città. È stato lui a ordinarmi sacerdote e a decidere che dovevo diventare il suo successore. A quei tempi le cose andavano così, ognuno comandava a casa sua e decideva come gli pareva… un po’ come si vorrebbe fare oggi! E così, il 17 novembre del 449 sono diventato vescovo… e sono cominciati i miei problemi. Pensavo, infatti, di potermi dedicare alla mia diocesi, che comprendeva i territori di Como, Sondrio, un po’ del varesotto, le tre valli sud-alpine dei cantoni Grigioni e Ticino. Ma non avevo tenuto conto del papa. Si chiamava

Leone e i posteri l’hanno addirittura soprannominato “Magno”, cioè il Grande, per aver fermato Attila sulle rive del Mincio solo parlandogli. Ma io ci credo poco: ho conosciuto gli Unni, sono gente che delle parole si fa un baffo. Comunque, il papa aveva un problema legato a dispute teologiche e si era preso anche una scomunica da parte di alcuni vescovi riuniti in concilio a Efeso. Pensate un po’: il papa scomunicato! Per cercare di ristabilire la verità – che poi equivaleva alle sue idee – decise di inviarmi a Costantinopoli, per parlare con l’imperatore e portarlo dalla sua parte. Aveva saputo che, oltre al latino, conoscevo anche il greco, dati i miei natali. Quella lingua era fondamentale per fare da ambasciatore presso la corte di Costantinopoli, dove erano superbi e parlavano solo greco. Comunque partii e giunsi in quella che era considerata la più bella città del mondo… però io non avevo nessuna voglia di starci, anche perché sapevo come andavano queste liti tra teologi: tante parole e salamelecchi, ma non di rado ci scappava la pugnalata e il morto. Fortunatamente l’imperatore Marciano la pensava come il papa. Perciò mi fu facile far togliere la scomunica e in men che non si dica me ne tornai a Roma, accolto come un trionfatore. Anche qui però dietro le tante feste si nascondeva la fregatura, perché Leone voleva che indicessi un bel concilio a Milano per riaffermare la sua autorità. Detto fatto… pure in Italia settentrionale l’autorità pontificia era ristabilita. Come vedete altro che don Abbondio! Ora finalmente potevo occuparmi della mia amata diocesi, dove c’era tanto da fare perché le campagne erano piene di pagani. Mi sono perciò dedicato all’evangelizzazione, con particolare attenzione alle zone montane vicino a Lugano, ancora scristianizzate. Che dire… per finire, sono morto il giorno di Pasqua del 468, dopo aver fatto una bella predica. Una morte serena, in un giorno importante. Che si può chiedere di più a un santo?

Abbondio di TeSSAlonicA

Vescovo in anni difficili, patrono di como e di lugano, festeggiato il 31 agosto… eppure tutto questo non è abbastanza, grazie anche al Manzoni e ai suoi “sposi”

di eugenio Klueser; nell’immagine: Pomarancio, Sant’Abbondio che prega per ottenere la guarigione di un bambino (sec. XVii), cremona, chiesa di Sant’Abbondio, Museo lauretano.


monte ceneri di Stefano Guerra; fotografie ŠReza Khatir




P

erché ci parla (e cosa ci dice?) quel distributore di benzina abbandonato sul valico del Monte Ceneri? Cos’è che ci spinge ad andare a vedere se è ancora lì? Come mai abbiamo subito pensato che lo stessero buttando giù quando quest’estate ci siamo trovati davanti il suo scheletro, senza i pannelli che da tempo (da sempre, per quanto possiamo ricordare) gli facevano da pareti? E perché dopo aver saputo che lo stanno ristrutturando, abbiamo sentito l’urgenza di scriverne? *** Il “deposito benzina Aquila” sulla corsia nord-sud della strada del Monte Ceneri è stato progettato da Rino Tami nel 1954. È un’opera minore dell’architetto luganese (1908–1994) che al Ticino ha dato una delle più belle autostrade d’Europa. La “caratteristica principale” dell’edificio “con annessa abitazione del gestore”, è la “soletta di copertura che dalla casa si protende a sbalzo fino a riparare la zona di sosta e le pompe”1. Il proprietario, Egidio Cattaneo, nel 1953 a Rivera aveva avviato il suo commercio di carburanti. Eravamo agli albori della motorizzazione di massa. *** Com’è che non ricordiamo nulla? Quand’eravamo bambini, per andare da Bellinzona a Lugano si percorreva in macchina la vecchia strada del Ceneri. Si scollinava, a volte – a Pasqua e in estate – dopo aver sopportato lunghe colonne, passando davanti al distributore di benzina del

Tami (che non si chiamava più “Aquila”). Poi sì, è arrivata l’autostrada, la galleria, e dalla metà degli anni ottanta – fatta eccezione per la parentesi della scuola reclute e alcuni sporadici passaggi – è normale che il Ceneri sia sparito dal nostro orizzonte. Ma prima, quante volte abbiamo visto quella stazione di servizio? *** Prima immagine. In un filmato d’epoca2, il traffico è intenso ma le auto corrono a velocità sostenuta (effetto del montaggio?) in entrambe le direzioni: la strada è stretta, ancora scandita dai cippi, in lontananza – verso nord – si intravede la pensilina sporgente con la scritta “Aquila”. Proprio davanti alla telecamera, una Volkswagen che viaggia verso Rivera compie un sorpasso azzardato e fa appena in tempo a rientrare nella sua corsia schivando una vettura che sopraggiunge in senso contrario. Non riusciamo a vedere se qualcuno stia facendo benzina, ma non importa. Si capisce che la stazione di servizio “Aquila” è perfettamente calata nel suo tempo: simbolo del Ceneri pre-galleria, centrale passaggio tra nord e sud. Seconda immagine. Un giovane in giacca e cravatta indugia sotto la pensilina rossa:3 è il nipote prediletto a cui un lontano zio d’America “importante imprenditore nel ramo petrolifero”, morto di recente, lascia in eredità “una delle sue più importanti aziende”. Ma che ci fa lui “qui, in mezzo al nulla, come un pesce fuor d’acqua, a guardare le macchine passare”? Cammina perplesso, poi raccoglie un dente di leone cresciuto fra le lastre d’asfalto. E decide


di voltare le spalle a quell’edificio abbandonato, senza più insegne, ricoperto da pannelli di compensato tappezzati di manifesti e scritte: maceria (“traccia inerte del passato”, “sequenza muta di un tempo che non parla più”4) ma anche rovina (“il suo contrario: irriducibile alla storia, o almeno alla cronologia”, essa “dà tuttavia ancora segni di vita”) simbolo di un Monte Ceneri ormai marginale, scivolato nell’abbandono dopo l’apertura della galleria autostradale. *** Monte Ceneri, 2 luglio 2013. I pannelli sono stati tolti, il sole illumina lo scheletro della stazione di servizio ex “Aquila”: all’interno, un water, un lavabo sbrecciato, una sedia sghemba, un traballante tavolino. Guardiamo verso la strada: a colpirci è il fatto che siamo esattamente sul culmine del passo (così almeno ci è parso allora: poi verificheremo e saremo smentiti, ma non fa nulla). La maceria/rovina indica un’aderenza al rilievo del monte, e noi possiamo dire: “ecco, fin qui si sale; da qui si comincia a scendere”. Questa prospettiva ci suggerisce un’esperienza compiuta della salita, dello scollinamento e della discesa. Invece percorrendo l’A2 da nord a sud, viviamo un’esperienza monca: la sua galleria tra Robasacco e Rivera – per evitare all’autostrada di salire ancora – buca la montagna; poi l’A2 procede quasi pianeggiante per un bel pezzo, e solo ben oltre la fine del tunnel prende a digradare piano piano. Fin dove siamo saliti? Da dove abbiamo cominciato a scendere? Non lo sappiamo.

*** Ecco, forse è semplicemente questo: l’idea di un punto di riferimento, la debole traccia di un ordine, la possibilità di una sosta, laddove sembrano regnare smarrimento, disordine, fretta. La malconcia stazione di servizio “Aquila” può avere questo valore per chi, come noi, ha preso l’abitudine di fare su e giù dal Monte Ceneri, di percorrere in lungo e in largo questa specie di terra di nessuno, o perlomeno gli spazi residui rimasti fuori dal perimetro militare. O è qualcosa di più? Magari addirittura l’illusione di un riparo dalla morte che sentiamo onnipresente tutt’intorno in questo luogo che “ha sempre avuto pessima fama per aggressioni e omicidi” e dove nel seicento le streghe si davano convegno attorno a un castagno?5 *** Monte Ceneri, 15 luglio 2012. Qui sotto la pensilina, seduti su uno dei massi che segnano il confine tra l’area di servizio e la cantonale, tentiamo di riprendere fiato: poco prima, in una stradina poco distante, una indiavolata Polo bianca targa nera M (militare) ci stava per mettere sotto. L’abbiamo schivata per un pelo. Ma i pensieri non si fermano, si affacciano immagini di abbandono, morte, guerra: una Fiat Uno bianca impantanata in una radura, dentro la zona militare, i tergicristalli bloccati a metà lunotto; il monumento ai volontari ticinesi antifascisti caduti in Spagna; quello nel vicino santuario dell’associazione ex ciclisti ticinesi dedicato a Hugo Koblet, (...)



sfracellatosi con la sua auto contro un albero; l’omicidio di molti anni fa e i loschi traffici che si svolgevano di fronte, in una stazione di servizio ora sostituita da un rumoroso “City Shop & Snack Bar”; i corpi degli uomini morti negli ultimi due incidenti, avvenuti a pochi metri da qui; un’incompiuta ferrovia in miniatura in mezzo al bosco, con tanto di viadotto in cemento armato su un rigagnolo in secca; “Val Trodo”, una poesia di Fabio Pusterla (… Nascosti in agguato: / i bunker, le sagome automatiche, / gli obici pesanti. / Qui si insegna la guerra.). *** Passano un uomo con in mano una cartina e due donne con una rete acchiappafarfalle. Nel bosco alle nostre spalle si sono appena imbattuti in due esemplari “non comuni” da queste parti: la Neptis rivularis e la Lopinga achine. “Questo è un posto interessante per le farfalle, soprattutto all’interno della zona militare”, ci dice Paolo. *** Adesso possiamo andare. Scendiamo verso Cadenazzo: danno il ritmo (tu-tum tu-tum tu-tum) le ruote dell’auto sulle giunture delle lastre d’asfalto; una Ferrari rossa salendo sfreccia sotto gli occhi dell’angelo Franky, che dal cartellone invita a rallentare (“Slow down, take it easy”); sfilano il monumento al consigliere di stato Agostino Bernasconi (si schiantò il 28 giugno 1951: “L’ardore lo divorò

e la consunzione ebbe il ritmo della premura”), un mazzo di fiori sul guard-rail (“Corrado sei nel nostro ❤”), un ristorante con una pompa di benzina abbandonata. Ci fermiamo in zona “Ai Sassei”, dove la strada scavalca la linea ferroviaria. Fino a pochi anni fa, sullo zoccolo del guard-rail stava una cabina gialla della vecchia “ovovia” del Tamaro. Dall’osservatorio ovoidale affacciato sul Piano di Magadino, e anche ora che non c’è più, volgendo lo sguardo verso ovest si indovina(va) uno sbocco oltre il lago, una promessa di pianura al di là delle montagne. Riprendiamo a scendere. Scorrono i postriboli, tu-tum tutum tu-tum, le auto ci puntano, alcune sorpassano. Quasi in fondo, sul muretto di un tornante, una scritta sbiadita: “Un ultimo bacio, Marisa”. Siamo in basso. Fa caldo, ma noi respiriamo.

note 1 La scheda tecnica è stata gentilmente messa a disposizione dall’architetto Riccardo Bergossi, co-autore (con Kenneth Frampton) di Rino Tami. Opera completa, Mendrisio Academy Press, 2008. 2 Nel documentario “Ceneri sottosopra” di Silvano Toppi e Fabio Calvi (“Era.Ora”, RTSI, 13/4/1999) 3 Nel cortometraggio “Lo zio petroliere” di Olmo Cerri (www. youtube.com/watch?v=w4e_4THsTms). 4 La distinzione tra “maceria” e “rovina” è in Antonella Tarpino, Spaesati, Einaudi, 2012, pp. 29-30. 5 Giuseppe Chiesi e Fernando Zappa, Terre della Carvina, Dadò, 1991.


L’uomo indeciso trascrizione da un racconto indù di Chiara Piccaluga illustrazioni ©Stephanie Grosslercher

Fiabe 46

C’era una volta un uomo la cui indecisione gli impediva di vivere serenamente le sue giornate: trascorreva infatti la maggior parte del tempo assillato dai dubbi. Per esempio, si chiedeva continuamente se avesse scelto bene il colore dei vestiti che indossava, se il luogo in cui abitava fosse adeguato al suo rango, si scervellava addirittura riguardo al nome che aveva dato ai figli ecc… Un giorno, un vicino di casa, non potendo restituirgli i soldi di un prestito, per sdebitarsi gli regalò una rilevante quantità di verdura. L’uomo, esitando oltremodo, non sapeva che fare di tutto quel ben di Dio, se venderlo al mercato oppure ad altri contadini, e quale guadagno ricavarne. Era indeciso se trovare un deposito per avere una scorta nel caso di bisogno oppure godere immediatamente della freschezza e della bontà di quegli ortaggi. I dubbi lo attanagliavano, era impossibile trovare una soluzione che fosse sicura e lo facesse

sentire tranquillo. I giorni passarono abbastanza in fretta e l’uomo non aveva ancora deciso il da farsi, finché finché mosso da un minimo di buon senso si rese conto che non vi era più tempo e qualcosa andava fatto perché gli ortaggi iniziavano ad appassire, marcire e rinsecchire. Dopo qualche giorno, finalmente quindi, si convinse fi nalmente a vendere la merce al mercato, ma essendo passato troppo tempo, era già tardi e gran parte della verdura non era più fresca e così decise di venderla a un prezzo inferiore rispetto a quello che avrebbe voluto. Molta gente acquistò carote, patate, insalate varie, cocomeri, peperoni, finocchi e pomodori, ma non appena se ne cibarono si sentirono male, tanto che diversi accusarono sintomi di una grave intossicazione. I clienti, piuttosto arrabbiati, non lasciarono passare questa grave negligenza e chiesero giustizia rivolgendosi a un giudice. Costui ascoltò i vari racconti, raccolse le testimonianze di coloro che ave-


vano comperato le verdure al mercato e dopo averle cucinate e mangiate si erano sentiti male, alcuni molto male. Il giudice, raccolto tutto il materiale necessario per comprendere la situazione, convocò l’uomo in tribunale, lo interrogò e dopo un’attenta valutazione lo ritenne colpevole e lo condannò. Ma il giudice, conoscendo il carattere indeciso dell’uomo, lo volle sottoporre a un’ulteriore prova per permettergli di superare in parte la sua grande indecisione. Lo pose davanti alla scelta di tre punizioni per sdebitarsi dell’accaduto. Poteva decidere se mangiare verdura andata a male, ricevere venti colpi di frusta o pagare una multa di venti monete d’oro. L’uomo tentennante soppesò a lungo ogni possibilità e preso com’era dall’ignavia cambiò parere innumerevoli volte, finché il giudice, persa la Fiabe 47

pazienza, gli ordinò di prendere una decisione immediatamente. Messo alle strette, egli decise di mangiare la verdura avariata: iniziò con un pomodoro, poi un po’ di insalata ma era disgustato, lo si capiva dalle smorfie e quasi alla fine del pasto, tutto verde in viso, con i crampi alla stomaco, dichiarò che forse sarebbe stato meglio ricevere i colpi di frusta. Così iniziarono a frustarlo, i primi colpi li resse bene, ma alla quindicesima frustata, giudicando il dolore insopportabile, cambiò idea e preferì pagare le venti monete d’oro. In breve, a causa della sua inguaribile indecisione, subì tutte e tre le condanne. “È bene”, sentenziò il giudice “riflettere attentamente prima di prendere una decisione; ma quando la si è presa va mantenuta, portata a termine credendoci fino alla fine. Uno spirito agitato da continue esitazioni non potrà mai trovare pace”.


SALVATE QUEI CANI! Tendenze p. 48 – 49 | di Ludovica Domenichelli

“Save the Dogs” è un’associazione nata nel 2005 con l’intento di far fronte all’emergenza del randagismo canino in Romania. Un fenomeno che ha portato allo sterminio di centinaia di migliaia di cani da parte delle autorità locali Da quando Claudia De Palma ha incontrato la fondatrice dell’associazione Save the Dogs, Sara Turetta, nulla è stato più come prima nella sua vita. “Conducevo un’esistenza normale, avevo il mio lavoro sicuro nel settore immobiliare”, racconta Claudia. “Navigando in rete, sono venuta a conoscenza dell’esistenza di Save the dogs. Ero tuttavia molto scettica, fino all’incontro illuminante con Sara. E allora mi si è aperto un mondo, ho sentito subito l’esigenza di fare parte del progetto”. Aiuti anche dal Ticino Dal 2007 Claudia De Palma è coordinatrice e responsabile di Save the Dogs in Ticino, un compito che le occupa buona parte del suo tempo. L’associazione è nata nel 2005 per dare una risposta alla tragica emergenza che coinvolge i cani randagi in Romania, dove centinaia di migliaia di animali vengono sterminati ogni anno dalle autorità nell’indifferenza generale per arginare un fenomeno ormai endemico e fuori controllo. “Il mio primo viaggio in Romania – racconta Claudia – mi ha segnato tantissimo. Ho potuto vivere da vicino tutta la drammaticità della situazione e parallelamente toccar con mano la bontà del progetto. Durante quel soggiorno ho capito che avrei potuto fare la differenza per questi esseri viventi”. Claudia si occupa principalmente del

programma di adozioni internazionali per cuccioli e cani di piccola taglia. La selezione dei cani avviene in Romania dove si reca ogni due o tre mesi. Lì vengono scelti gli animali non aggressivi e meno impauriti: “È ovvio – spiega la coordinatrice del progetto – che si tratta di animali che arrivano da situazioni drammatiche e quindi necessitano di un enorme lavoro prima del loro affido nelle famiglie ticinesi”. Tutti i cani arrivano in Ticino con il passaporto europeo, il microchip, vaccinati contro le principali malattie compresa la rabbia e già sterilizzati. Save the Dogs ha scelto di espatriare unicamente cuccioli dai quattro mesi in su e cani di piccola taglia per evitare di togliere il posto a cani adulti e di grande taglia spesso già presenti nei canili del nostro territorio e che faticano a trovare ospitalità. “L’associazione funziona in modo molto efficiente, ogni volontario svolge un compito ben definito. Ritiro i cani all’aeroporto di Linate e li ospito a casa mia per qualche tempo. Io mi occupo di educare e preparare gli animali all’affido nelle famiglie. Insegno loro a camminare al guinzaglio, a non sporcare in casa, a relazionarsi in modo equilibrato con le persone. Sono anche volontaria-ispettrice della Protezione animali di Bellinzona, la quale, quando ha disponibilità di posti in canile, accoglie gli animali per poi trovare loro una famiglia”, spiega Claudia. Affido: come funziona? Dal 2007 a oggi, soltanto in Ticino, l’associazione ha trovato casa a oltre 300 cani, circa 60 all’anno. “Spesso sono i cani stessi a farsi pubblicità. Portandoli a spasso, la gente li vede, s’interessa e fa richiesta per un cucciolo rumeno”.

Claudia non è la sola in Ticino a occuparsi nelle prime settimane dei cani in arrivo dalla Romania. Ci sono diverse altre famiglie “temporanee” (o foster families) che sono a disposizione per inserire i cani in un contesto “normale”, permettendo loro di conoscere una realtà di vita molto diversa da un canile in Romania. “Il periodo di adattamento – tiene a precisare Claudia – è fondamentale per conoscere il cane, individuarne le caratteristiche caratteriali, in modo da poter effettuare degli affidi mirati, ovvero di trovare il cane giusto per il padrone giusto”. La volontà è quella di effettuare un lavoro di qualità e non soltanto di quantità. In genere, i cani restano nelle famiglie di accoglienza per un periodo che varia dai 15 ai 21 giorni. Al momento dell’affido viene chiesto un minimo di 150 franchi, somma che viene versata all’associazione per coprire le spese di trasporto e tutte le cure veterinarie, sterilizzazione compresa. Ma il lavoro dei volontari di Save the Dogs non finisce con l’affido nella nuova famiglia. “Può infatti capitare – conclude Claudia – che nella vita quotidiana si presentino problemi di diversa natura. Noi siamo sempre a disposizione per dare consigli e prestare aiuto per ogni singolo caso”.


savethedogs.eu


La domanda della settimana

Ritenete che gli astri abbiano una reale influenza sulla nostra esistenza?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 5 settembre. I risultati appariranno sul numero 37 di Ticinosette.

Al quesito “Vi capita sovente di gettare nei rifiuti alimenti ancora confezionati, ma considerati «scaduti» dalla data di conservazione stampata sul prodotto?” avete risposto:

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Astri ariete L’amore si orienta verso espressioni edoniste. Novità, ma non correte troppo ed evitate di esagerare. Scelte per i nati nella seconda decade.

toro Calo energetico. Siate più flessibili, ma liberatevi degli ostacoli che limitano la vostra evoluzione. Opportunità professionali.

gemelli Urano favorevole. Tra il 5 e il 6 settembre fortuna amorosa per i nati nella seconda decade. Stanchezza per i nati nella terza decade.

cancro Grazie a Giove, possibilità di concludere un importante affare. Ottima la giornata del 7 settembre. Novità per i nati nella prima decade.

leone Opportunità per i nati nella prima decade. Marte impone azioni decise. Tagliate con il passato se questo non vi appartiene più. Occhio alla linea.

vergine Momenti di confusione per i più superstiziosi. Ambigui, o forse troppo idealizzati i rapporti con il partner. Impegno nel settore finanziario.

bilancia Scaramucce sentimentali in decrescita. Le ambizioni non coincidono con le aspirazioni del cuore. Nuovo vigore, nuovi progetti.

scorpione Promozioni e riconoscimenti pubblici. Molto orgogliosi i nati nella prima decade iperstimolati dalla quadratura di Saturno con Marte.

sagittario Momento “doc” per i più creativi. Vi piacciono le persone originali. Nuovi progetti. Speculazioni finanziarie per i nati nella seconda decade.

capricorno Attenti a non nuocere ai vostri obiettivi professionali facendovi condizionare dagli umori del momento. Lunatici i nati nella prima decade.

acquario Grazie ai buoni transiti di Urano i vostri tradizionali schemi di pensiero stanno per essere spazzati via. Reagite con discernimento e cautela.

pesci Grande attività. Favoriti i creativi e gli artisti. Crescita spirituale per i nati nella prima decade. Momento giusto per iniziare un percorso di conoscenza.


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Orizzontali 1. Fucine artigianali • 9. Gigaro • 10. Antica cambiale • 11. Le regine dei pollai • 12. Spagna e Italia • 13. Andati in poesia • 14. La leggendaria regina di Tiro • 16. Le cova la chiocciola • 18. Spinta iniziale • 19. Nome di donna • 20. Costosi • 22. Lo teme l’oratore • 24. Tombola • 25. Dittongo in paese • 26. La coppiera degli dei • 28. Un distillato • 29. La dea della caccia • 31. Delta • 32. Vale a dire • 33. Rosa nel cuore • 34. Per nulla faceta • 36. Consonanti in eresia • 38. Il nome... del libro • 40. Questa cosa • 42. Vetuste • 44. Noce senza vocali • 46. Est-Ovest • 47. Assicurazione Invalidità • 49. Serraglio • 51. Lapalissiano • 53. Lo sono i capelli increspati. Verticali 1. Noto film del 2007 di C. Mazzacurati con F. Bentivoglio • 2. Preparato per la semina • 3. Lo stato con La Paz • 4. Volo acrobatico • 5. La case dell’ape • 6. Un numero che non piace al superstizioso • 7. I confini di Osogna • 8. Delfini di fiume • 12. Forte, vigoroso • 15. Grossa scimmia • 17. Scalata • 21. L’autore de’ “La cantatrice calva” • 23. Colpevoli • 24. Berna sulle targhe • 27. Roccia vulcanica • 30. Grossa arteria • 31. Il lontano West • 35. Vocali in pezzi • 37. Ritrosa, riservata • 39. Dittongo in Coira • 41. Vocali in stinte • 43. Vuoti all’interno • 45. La solita rima per amor • 48. Lo dice chi rimanda • 50. La fine di Belfagor • 51. Pari in forca • 52. Istituto Tecnico.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 37

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 5 settembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 3 sett. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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La soluzione del Concorso apparso il 16 agosto è: CAPITALE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Rita Reguzzoni via Ruvigliana 2 6962 Viganello Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: un abbonamento metà-prezzo con carta VISA offerto da FFS Un buono per l’acquisto di un abbonamento metàprezzo con carta VISA del valore di 150.– CHF. Ulteriori infor­ mazioni su: ffs.ch/metaprezzo

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