Ticino7

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№ 36 del 6 settembre 2013 · con Teleradio dall’8 al 14 sett.

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democrazia e poTeri Senza le lobby non si governa ma senza regole lo stato muore


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20.08.13 09:34


Ticinosette n. 36 del 6 settembre 2013

Silvano de Pietro .......................................

4

roberto roveda ...................................................

8

Agorà Democrazia. Di lobby in lobby Arti Babel. I signori della sabbia

di

Media Cinema. Popcorn e stili di vita

Impressum

Mundus Chiamatemi olinguito…

di

di

nicoletta barazzoni ..................................

10

duccio caneStrini ...........................................

12

di

Tiratura controllata

Letture Il visionario

di

Fabio Martini ......................................................................

13

Chiusura redazionale

Vitae Ivano Torre

Fabio Martini ..........................................................................

14

Editore

Reportage Museo Vincenzo Vela

di

tiziana conte; FotograFie di reza Khatir ............

39

Luoghi Maglio del Malcantone

raFFaella carobbio; FotograFie di reza Khatir .........

46

68’049 copie

Venerdì 30 agosto Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor

di

di

giancarlo FornaSier ......................

48

Svaghi ....................................................................................................................

50

Tendenze Auto. 1963: la prima Lamborghini

di

Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Il teatro della politica Illustrazione ©Antonio Bertossi

La zona grigia Il tema dell’articolo di apertura di questo numero, a firma Silvano De Pietro, tratta il problema del lobbismo, in relazione a una recente proposta avanzata dal consigliere nazionale del PLR, Andrea Caroni. Se da un lato le lobby, come espressione di molteplici istanze sociali ed economiche, rappresentano un fattore indispensabile allo sviluppo democratico di un paese, d’altra parte non possono essere ignorati i rischi che eventuali pressioni o infiltrazioni possono determinare nella formulazione degli orientamenti legislativi. Una maggiore disciplina riguardo alla presenza dei lobbisti, soprattutto all’interno della sede del parlamento, rappresenta dunque per Caroni un passo essenziale a garanzia di una effettiva trasparenza dell’agire politico e a tutela dei diritti dei cittadini. Certamente, e anche il nostro paese non ne è esente, esiste una zona grigia all’interno della quale i maggiori gruppi economici, proprio grazie all’attività di lobbying, riescono a ottenere vantaggi spesso a discapito delle esigenze pubbliche. Va però ammesso che la Svizzera da questo punto di vista, nonostante alcuni aspetti negativi peraltro evidenziati dall’articolo di De Pietro e dalle posizioni di Caroni, resta un paese tutto sommato virtuoso. Su questo piano, il confronto con la vicina Italia, dove a riguardo non esiste alcuna regolamentazione, risulta piuttosto impressionante. Il parlamento italiano, grazie anche a una legge elettorale – il cosiddetto

Porcellum – che non consente all’elettore di scegliere i nomi dei propri rappresentanti, è divenuto, soprattutto nel corso degli ultimi anni, uno spazio al cui interno gli interessi dei gruppi di potere agiscono in moltissimi casi direttamente, attraverso gli stessi deputati e senatori, senza la mediazione dei cosiddetti lobbisti. Una situazione gravissima, da cui pare molto difficile arretrare (una legge elettorale ben fatta e una drastica riduzione del numero dei deputati e dei senatori rappresenterebbero già un grosso passo in avanti) e che, nei suoi aspetti più deteriori, ha favorito l’ingresso in parlamento di rappresentanti di gruppi criminali e mafiosi (è proprio di ieri, 29 agosto, l’arresto a Dubai di Amadeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia, considerato un importante referente di alcune ‘ndrine calabresi). Se il caso italiano rappresenta in Europa un estremo preoccupante – secondo Trasparency International l’Italia nel 2012 si è posizionata al 72esimo posto per quanto riguarda il livello di corruzione interno, arretrando di tre posizioni rispetto al precedente rilevamento –, non significa che si debba “abbassare la guardia”: il fatto che quasi tutti i membri delle commissioni che si occupano di sanità siano legati a casse malati, associazioni mediche, ospedali o industrie farmaceutiche fa pensare che in fondo un po’ di disciplina non farebbe male anche da noi. Buona lettura, Fabio Martini


Di lobby in lobby Democrazia. In un sito di leghisti italiani ammiratori della democrazia diretta svizzera, nella lista dei benefici veri o presunti a essa attribuiti si fa riferimento alla sua capacità di ridurre “il potere delle lobby”. Chi vive in Svizzera ed è minimamente informato sa che questo non corrisponde al vero: a Berna durante le sessioni parlamentari Palazzo federale brulica di lobbisti. E ovviamente non manca chi, come il consigliere nazionale del PLR Andrea Caroni vorrebbe imporre, se non proprio un freno, almeno un po’ d’ordine e di trasparenza alle loro attività di Silvano De Pietro

L

Agorà 4

a domanda da cui partiamo è: le lobby rappresentano una minaccia per la democrazia? Non è facile rispondere. Con il termine inglese lobby (derivato dal latino medievale laubia, loggia) che significa “corridoio”, gli americani indicano il luogo che nel parlamento è aperto al pubblico e dove i gruppi d’interesse cercano di ottenere dai parlamentari provvedimenti a proprio favore (cioè fanno lobbying, appunto). Per tentare di capire il fenomeno occorre quindi definirlo esattamente. E per farlo è bene partire da tre considerazioni di fondo. La prima è che il lobbismo è nato nel parlamento britannico come metodo “democratico” per ricordare a coloro che devono decidere nell’interesse generale anche l’esistenza di interessi particolari e di settore da tutelare. La seconda è che il lobbismo ha trovato la regolamentazione più attenta, e quindi riconoscimento e legittimazione, negli Stati Uniti d’America, cioè in quella che viene considerata la democrazia più avanzata al mondo. La terza considerazione è che la costituzione di lobby ha senso solo in una democrazia, poiché nelle dittature o nei regimi autocratici non c’è posto per chi non è già molto vicino al potere. Inoltre, quando si affronta questo tema è ormai consuetudine citare la famosa definizione che dei lobbisti diede John Fitzgerald Kennedy, quando era ancora senatore del Massachusetts. “I membri del Congresso – scrisse Kennedy sul New York Times Magazine del 19 febbraio 1956 – esercitano una rappresentanza basata su confini geografici; i lobbisti, invece, che parlano in rappresentanza dei vari interessi economici, commerciali e di altro tipo di questo paese sono estremamente utili e hanno assunto un ruolo importante nel processo legislativo”. E più esplicitamente: “I lobbisti sono quelle persone che per farmi comprendere un problema impiegano dieci minuti e mi lasciano sulla scrivania cinque fogli di carta. Per lo stesso problema i miei collaboratori impiegano tre giorni e decine di pagine”.

Il fattore “trasparenza” Eppure, gli americani in primis, ma poi numerosi altri paesi occidentali si sono dati da fare per regolamentare l’attività delle lobby e metterla in qualche modo sotto controllo. Perché? Perché i lobbisti si muovono spesso in modo poco trasparente, avvicinano i parlamentari individualmente, offrono loro pranzi, regali, posti nei consigli d’amministrazione, finanziamenti ai partiti o per le campagne elettorali. Cercano insomma d’influenzare con ogni mezzo i politici che detengono il potere legislativo. Non c’è dunque da meravigliarsi se per molti il lobbismo non ha soltanto il merito di ricordare ai politici gli interessi di quelle componenti della società solitamente ignorate, ma è anche l’esercizio di un potere oscuro che difende principalmente interessi economici particolari e si confonde con la corruzione. È da queste preoccupazioni, da questa immagine negativa delle lobby che scaturisce l’esigenza di una regolamentazione specifica che riconosca diritti ma imponga anche obblighi a chi esercita il lobbismo. Succede così negli Stati Uniti, dove i lobbisti devono iscriversi in un apposito registro, indicare i finanziamenti che elargiscono, rendere noti i contatti che hanno con i parlamentari e con l’amministrazione. Normative analoghe a quelle degli USA sono state adottate in Argentina e Cile, ma anche in Canada, Israele, Australia e Taiwan. Nell’Unione europea, sia il Parlamento che la Commissione, rispettivamente nel 1996 e nel 2008, hanno attivato un registro dei lobbisti pubblicato online e un codice di condotta, insieme a requisiti e sanzioni, per una maggiore trasparenza nell’intreccio di relazioni tra UE, imprese, gruppi d’interesse e organizzazioni non governative. Tra Bruxelles e Strasburgo i lobbisti registrati sarebbero circa 15mila. A livello di singoli paesi europei, hanno regolamentato l’attività di lobbying Germania, Austria, Polonia, Lituania, Ungheria. In Francia e Gran Bretagna prevalgono invece

(...)


VIAGGIA & ASSAGGIA: PROSSIMA FERMATA

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“… i rapporti tra i politici e le lobby non sono sempre trasparenti. Il lobbismo sarà pure funzionale al sistema, ma non sembra molto corretto che, per esempio, quasi tutti i membri delle due commissioni che si occupano di sanità siano legati a casse malattia, associazioni mediche o di ospedali, industrie farmaceutiche ecc.”

la consuetudine e i codici di deontologia professionale. In Italia manca ogni forma di regolamentazione.

Agorà 6

Bisogno di norme Anche in Svizzera le lobby sono molto attive e tradizionalmente ammesse. Il loro ruolo viene riconosciuto da tutte le scuole accademiche e di pensiero del paese come fondamentalmente utile, persino funzionale al sistema democratico elvetico basato sulla costante ricerca del consenso. La democrazia diretta espone al rischio di referendum abrogativo qualsiasi provvedimento, per cui nel processo di elaborazione delle leggi il sistema tende a scongiurare questa minaccia mediante la procedura di consultazione. I progetti sono sottoposti al parere dei cantoni, dei partiti politici, delle federazioni centrali che rappresentano interessi istituzionali, economici e sociali, e degli ambienti interessati al caso specifico. Ma pur essendo perfettamente funzionale a questo sistema, anche da noi l’attività delle lobby suscita dubbi e getta ombre sulla prassi democratica. Quanti parlamentari vendono il loro voto? Quanti di loro si lasciano condizionare dalle informazioni di parte che ricevono dai lobbisti? Quanti riescono a mantenere indipendenza di giudizio e a formarsi un’opinione propria? Che il problema esista è indiscutibile, dal momento che numerosi sono i tentativi di porvi rimedio. Ne parliamo con l’autore dell’ultima iniziativa parlamentare in tal senso, l’avvocato appenzellese e consigliere nazionale del PLR, Andrea Caroni. La sua intenzione non è quella di combattere le lobby, ma di disciplinarne l’attività almeno all’interno della sede del parlamento. La proposta di Caroni è che i lobbisti vengano sottoposti a una forma di accreditamento (come avviene per i giornalisti), dichiarino chi li manda e chi li paga e rispettino chiare regole di comportamento. Attualmente, invece, i lobbisti possono entrare a Palazzo federale se trovano un parlamentare che procuri loro una tessera, cioè un “badge” d’ingresso (ogni membro delle Camere può donarne due). “Entrambe le parti vengono così a trovarsi in una posizione poco chiara, sia agli occhi dei media che dei cittadini”, ha scritto Caroni nella motivazione della sua iniziativa. Una distinzione difficile Questa “posizione poco chiara” vuol dire forse che lobbismo e corruzione procedono sempre a braccetto? “Assolutamente no”, risponde Caroni. E spiega: “Il lobbismo è legale e di per sé è una rispettabile attività democratica. Fare lobbying significa introdurre i propri interessi nel processo politico. La corruzione è illegale e si verifica (di rado) nel contesto del lobbismo quando il lobbista promette al politico illeciti vantaggi in cambio del

riguardo verso i propri interessi. In Svizzera esiste tuttavia la particolarità che molti parlamentari sono al soldo di associazioni quali lobbisti. Che ricevano uno stipendio per il lavoro che svolgono all’interno dell’associazione non è scorretto. Ma se ottengono compensi affinché votino in un modo o in un altro, questo è di per sé problematico. Nella pratica, differenziare non è possibile. E questo è l’aspetto che un po’ mi preoccupa”. A settembre dell’anno scorso, un’altra iniziativa parlamentare per disciplinare il lobbismo era stata presentata dal consigliere agli Stati sciaffusano Thomas Minder (l’indipendente che ha vinto, con la votazione popolare del 3 marzo scorso, la lunga battaglia contro le retribuzioni eccessive dei manager). Ma il Consiglio degli Stati si è mostrato meno tenero verso la sua proposta anti-lobby, bocciandola con 22 voti contro 17. Forse perché Minder nel dibattito era stato troppo polemico: “Oggi i lobbisti accedono quasi liberamente alla «sala dei passi perduti» e arrivano persino a occupare le postazioni di lavoro informatiche che si trovano nell’anticamera del Consiglio degli Stati. Entrano ed escono indisturbati e, di tanto in tanto, siedono addirittura in fondo all’aula del Consiglio degli Stati per seguire le operazioni di voto”, aveva sostenuto lo sciaffusano. Minder si era poi spinto a fare nomi, precisando che “certi gruppi di pressione, come il WWF o l’Unione svizzera delle arti e dei mestieri, dispongono di ben sei tessere d’accesso”. Un discorso, questo, che aveva irritato persino il presidente del PS, Christian Levrat, nonostante i socialisti siano da sempre schierati in prima linea contro le lobby: “Il lobbismo più importante ha luogo nei pressi della Paradeplatz di Zurigo o nell’Hotel Bellevue di Berna. E nei consigli d’amministrazione o di fondazione nei quali siedono i parlamentari”, aveva replicato Levrat. E secondo lui, il fatto che molti lobbisti entrino indisturbati a Palazzo federale sarebbe “totalmente irrilevante”. Una posizione davvero sorprendente, che porta a chiedersi perché mai il lobbismo in parlamento sia così poco controllato nonostante getti ombre sui rapporti tra politica ed economia. “Perché siamo un parlamento di milizia”, spiega Caroni, “nel quale certi parlamentari scelgono di fare il lavoro di lobbista. A tale riguardo, i parlamentari-lobbisti possono nascondersi dietro il sistema di milizia e dire: questo è il mio lavoro normale, e come ogni altro lavoro è una questione personale”. Lotta fra lobby Un altro argomento che spesso ricorre è quello politico, secondo cui le soluzioni ottimali ai problemi si trovano se tutti gli interessi coinvolti sono rappresentati nelle Camere. “Questo è vero solo in parte”, replica Caroni, “poiché certi interessi, come quelli dell’edilizia o delle casse malattia, hanno molto più accesso alla politica di altri interessi più diffusi, come


quelli dei consumatori o dei contribuenti. E alcune lobby, tra cui quella degli agricoltori, sono fortissime”. Sta di fatto che i rapporti tra i politici e le lobby non sono sempre trasparenti. Il lobbismo sarà pure funzionale al sistema, ma non sembra molto corretto che, per esempio, quasi tutti i membri delle due commissioni che si occupano di sanità siano legati a casse malattia, associazioni mediche o di ospedali, industrie farmaceutiche ecc. Con il risultato che la riforma della legge sull’assicurazione contro le malattie si trascina da anni mentre i costi della sanità e i premi assicurativi continuano a crescere. La natura del lobbismo è dunque fondamentalmente antidemocratica? “No”, risponde l’avvocato appenzellese, che spiega: “In una democrazia gli interessi della società devono pur essere rappresentati. Il problema è semplicemente che i lobbisti presentano i propri interessi sempre nella luce migliore. È dunque compito dei parlamentari valutare e confrontare tali interessi con il punto di vista degli altri, ovvero della collettività. Spesso, però, anche la presenza delle altre lobby aiuta: si neutralizzano a vicenda, per cui è possibile farsi un’immagine complessiva”. Può darsi. Ma sta di fatto che in parlamento troppi interessi economici divergono: davanti alla progressiva apertura dei mercati internazionali, piccole e medie imprese si scontrano con le multinazionali, agricoltori contro settori che vivono di esportazioni, banche contro industria, e così via.

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Una questione di equilibri La maggiore trasparenza possibile sembra quindi davvero

vitale per la democrazia. “Con la mia iniziativa parlamentare io chiedo appunto che ve ne sia di più a Palazzo federale”, conviene Caroni. Ma puntualizza: “Non servirebbe però obbligare i politici a pubblicare i propri redditi: una soluzione, questa, che direbbe poco sulle collusioni d’interessi”. Sembrerebbe dunque questa la ragione per cui finora quasi tutti i tentativi di regolare e controllare il lobbismo sono falliti. Si continuerà così? “Intanto la mia iniziativa parlamentare ha ottenuto 16 voti nella Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale, e quindi potrebbe ancora avere successo. Ma il lobbismo ha sempre anche un lato privato: a fare lobbying sono individui, ditte, associazioni che non si vede perché dovrebbero denudarsi”. Ma in definitiva, il sistema svizzero possiede sufficienti anticorpi per tenere a bada il lobbismo ed evitarne gli abusi? O questa è soltanto un’illusione? La risposta di Caroni è fiduciosa: “I politici devono pensare in modo indipendente. Spesso si incontrano lobby e controlobby, e quindi si ha un quadro completo. Ma sovente si ascoltano soltanto singole lobby, e allora manca la visione d’insieme”. E per concludere chiediamo a Caroni se crede davvero che i sistemi di regolamentazione e controllo adottati dall’UE e dagli USA siano efficaci. Sarebbe davvero utile per la Svizzera seguirne l’esempio, come suggerisce lui con la sua proposta? “È un piccolo passo per rafforzare, tra l’altro, la reputazione del parlamento. Con il sistema dei badges noi stringiamo legami troppo stretti con i lobbisti. Mediante l’accreditamento, invece, ognuno riacquista il proprio ruolo. E si entra a Palazzo federale in modo indipendente gli uni dagli altri”.

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I signori della sabbia Dal 12 al 15 settembre si tiene a Bellinzona l’ottava edizione del Festival di letteratura e traduzione Babel, dedicata quest’anno alla nuova letteratura africana in lingua francese. All’interno della manifestazione ci sarà la possibilità di conoscere meglio una cultura che rischia di scomparire: quella dei Tuareg, i leggendari nomadi del Sahara di Roberto Roveda

Arti 8

Il gruppo musicale dei Tartit

Letterature, nuovi itinerari, contaminazioni: quest’anno

gli eventi del festival Babel (babelfestival.com) ruotano intorno al tema del dialogo tra Africa e Francia e ai nuovi talenti nati dall’incontro di queste due culture, un confronto sempre più fecondo a ormai cinquant’anni di distanza dalla decolonizzazione. In questo percorso che attraversa un crogiolo di voci, tradizioni e lingue diverse, un posto di rilievo il festival di quest’anno lo dedica ai Tuareg, popolo leggendario al centro di un incontro dal titolo “MALI” previsto per sabato 14 settembre. Ad animarlo l’etnologa italiana Barbara Fiore1, la musicista

tuareg Fadimata Walett Oumar, leader del gruppo musicale Tartit 2 , il griot (il cantore tradizionale tuareg) Ag Mohamed Idwal. Un evento all’interno del festival perché degli “uomini blu” poco si continua a sapere in Europa. Crisi culturale Popolo di pastori nomadi pastori, i Tuareg si sono da sempre mossi all’interno del grande “mare di sabbia” del Sahara. Successivamente, prima con la colonizzazione francese e poi con la definizione dei confini tra i diversi stati del Sahara, la condizione dei Tuareg è mutata pro-


Sahara; immagine tratta da jirivolesky-cestovani.cz

fondamente perché a questo popolo la nascita delle nuove frontiere impediva di fatto di spostarsi liberamente come aveva sempre fatto. A questo si è aggiunta l’ostilità prima dell’amministrazione francese, che ha sempre privilegiato le popolazioni locali sedentarie, censite e quindi più controllabili, e poi dei governi nati dopo la decolonizzazione. Come ci racconta proprio Barbara Fiore: “I Tuareg si sono ritrovati a essere degli «estranei» mal sopportati in quelle zone dove avevano vissuto per secoli, e così hanno progressivamente dovuto abbandonare il nomadismo riducendosi a vivere in maniera disperata alle periferie delle città. La loro disperazione ha portato a molte ribellioni, duramente represse. L’ultima è recentissima, dello scorso anno, ha fatto sì che centomila Tuareg abbiano lasciato il Mali. Ora moltissimi di questi vivono in Senegal, Mauritania, Burkina Faso, Algeria: alcuni sono in campi di rifugiati, altri in situazioni ancor più precarie”. Come si può facilmente immaginare, l’abbandono della tradizionale economia nomade ha portato inoltre a una profonda crisi culturale. Da una parte molti giovani si sono urbanizzati, emigrando soprattutto in Libia, dove sono diventati soldati mercenari al soldo di Gheddafi; dall’altra si è recentemente diffuso tra i Tuareg l’islam integralista, rigido e centrato sulla figura maschile, molto diverso da quello della loro tradizione. Ora il rischio è che tutto quel patrimonio di conoscenze, pratiche e vita comunitaria si perda, disperso come sono ora i Tuareg, popolo privato della propria patria tradizionale: il deserto. Arte che unisce In questo scenario tragico, la musica è diventata la vera voce di questo popolo. Un’arte che unisce tradizione e protesta, come appunto la musica dei “Tartit” (parola

che significa “unione”), nato come gruppo femminile prima di accogliere tra le sue fila il griot Ag Mohamed Idwal. Continua la Fiore: “È un gruppo che combatte con la musica. E insieme un modo per affermare l’identità tuareg, dando voce alle donne, che accompagnavano gli uomini con i loro canti nella guerra – evento centrale nella vita tradizionale tuareg – e da qualche decennio accompagnano le ribellioni in atto con la musica. È una musica significativa dal punto di vista politico”. Musica e canzoni che tengono in vita la cultura di questo popolo perché composta su modelli tradizionali, ma con contenuti totalmente moderni come ci spiega sempre l’etnologa italiana: “Alcuni testi parlano della bellezza della donna o dell’amore, ma altri sono formati da liste di nomi di luoghi e persone che hanno lo scopo di tenere in vita una rete di relazioni che si sta disperdendo oppure parlano di lotta o della situazione di perdita del popolo tuareg. Cantano la speranza, con un’intensità assoluta”. Una speranza che oggi può venire solo dal dialogo con i paesi francofoni, che si stanno sempre più facendo carico della causa tuareg. Come recitano alcuni testi delle canzoni più recenti “l’unico futuro è nel cambiamento”: l’apertura verso la modernità per i Tuareg è ormai l’unica scelta per continuare a vivere, per non diventare una semplice leggenda del passato.

note 1 Autrice del volume Tuareg (Quodlibet, 2011) 2 Lo stesso 14 settembre alle 21 il complesso musicale Tartit si esibirà in concerto presso il Teatro Sociale di Bellinzona. Prevendita presso Bellinzona Turismo, ticketcorner.ch e nei punti vendita di Ticketcorner in Ticino.

Arti 9


Popcorn e stili di vita Durante la visione di un film o la lettura di un romanzo, il pensiero autonomo e indipendente dello spettatore e del lettore decretano, in ultima analisi, la libertà individuale e i gusti personali di ognuno

di Nicoletta Barazzoni

Media 10

Chiunque assiste (parliamo degli adulti) alla visione di un film o si cimenta nella lettura di un romanzo, diventa giocoforza un semi specialista, anche per il fatto che al cinema e nella lettura, l’atteggiamento critico e quello del piacere coincidono, così come il vissuto interiore e il grado di sensibilità dei singoli interagiscono di continuo. Andare al cinema o immergersi in un libro, sono scelte ludiche spesso orientate dal nostro stato d’animo e dalle nostre preferenze. Le manifestazioni cinematografiche di una certa imponenza come quelle dei festival in generale sono un esempio di come divertimento/piacere e ricerca intellettuale non si escludano a vicenda perché il cinema più di altre espressioni è alla portata di tutti. Non è nato infatti solo con lo scopo di intervenire sui processi sociali (per modificarne le dinamiche) ma anche per suscitare grandi emozioni. Sulla base di ciò, l’educazione all’audiovisivo sia in termini ludici che di apprendimento, si impone con forza anche negli ambiti scolastici. Infatti, a livello federale, per quanto riguarda la sensibilizzazione dei giovani al medium film, vengono sostenuti il progetto E-media della Conferenza intercantonale istruzione pubblica della Svizzera romanda e del Ticino, i Schweizer Jugendfilmtage che si svolgono a Zurigo e, il progetto Cultura cinematografica a scuola. Anche in futuro Castellinaria, festival del cinema giovane a Bellinzona, beneficerà di un sostegno. Labirinti di simboli Il bombardamento dei simboli e delle immagini creano nel cervello umano degli scombussolamenti che non percepiamo direttamente ma che rimangono impressi nel nostro inconscio per manifestarsi in altri modi. Dal momento che è impossibile vivere in un mondo incontaminato, che nemmeno le fiabe riescono a illustrare, i nostri figli crescono circondati da stimoli continui, disconnessi, subliminali, il cui linguaggio porta dei messaggi inquietanti (che nemmeno gli adulti riescono sempre a decodificare). Soltanto analizzando i cartoni animati dei Simpson, per esempio, vi si trovano delle rappresentazioni che incarnano certi ruoli, determinate convinzioni, potenti stereotipi e comportamenti umani, che suggellano di conseguenza i valori della società, a cui il prodotto in questione si rife-

risce (ci ripromettiamo di ritornare sul tema dei Simpson con un’analisi specifica). Non è dunque difficile immaginare come sia complesso per un bambino o un giovane dare senso a quanto gli viene propinato senza avere gli strumenti per smontare, pezzo per pezzo, l’impalcatura del mezzo audiovisivo, al fine di capirne i meccanismi. Per farlo ci vogliono degli esperti e il miglior luogo deputato all’igiene mentale in grado di inglobare tutto l’universo simbolico è senz’altro la scuola. Passioni tristi L’impressione generale (in questo caso la generalizzazione permette di focalizzare il particolare) che ci pervade quando consultiamo le videoteche, i film in cartellone, o i luoghi designati alla visione cinematografica, è a volte quella dello sconcerto, uno stato d’animo preponderante sconfortante, che ci impedisce di compiere una scelta intelligente. L’offerta in genere non è delle più entusiasmanti se non per qualche opera che merita maggiore attenzione. Quando diciamo che ci sentiamo disorientati ci riferiamo al momento contingente in cui viviamo, che inevitabilmente influenza l’ambiente circostante. Il connubio tra cinema e società richiama il concetto dell’aporia dell’uovo e della gallina che non riesce a rispondere alla domanda se sia la società che fa presa sul cinema o se sia il cinema che fa presa sulla società. Il mondo, malgrado le sue leggi gravitazionali, sembra stia sprofondando, e dunque è plausibile pensare che, essendo lo schermo lo specchio del mondo, la perdita di senso sia attribuibile al modo con cui stiamo decifrando questa non ben identificata forma di vita collettiva sul pianeta. Non siamo forse nell’Epoca delle passioni tristi (Miguel Benasayag e Gérard Schmit, Feltrinelli, 2005) e nel secolo dell’indifferenza (Papa Francesco) in cui cresce un malessere generale che permea la società? È meglio avere torto ma essere positivi, o avere ragione ma essere negativi (Albert Einstein) consolandoci sia nell’uno che nell’altro caso perché the game must go on? La potenza del cinema, come medium dal linguaggio intelligibile, raggiunge la sfera pubblica e privata degli individui, in un mescolamento continuo tra forme d’espressione grandiose e società massificata, tra ricerca dell’estetica e degrado.


Media 11

Ragazze prendono appunti dopo una visione cinematografica; immagine tratta da barryislandps.wordpressphoto.com

Occhi cinematografici Il cinema influisce in modo pervasivo e complesso sui processi umani ma anche i processi umani influiscono sull’espressività del cinema. E dunque, ritrovare il filo d’Arianna non è più soltanto una questione intellettuale e artistica, come quella con cui si delinea la scelta di un film piuttosto di un altro. Per creare un’opera cinematografica dovrebbero esserci le condizioni favorevoli non solo economiche ma in particolare dovrebbe prevalere la condizione umana, pensiamo anche a quella descritta nel romanzo di André Malraux (La condizione umana, Bompiani, 2001). Una condizione

di vita e di morte portata all’estremo, che includa il senso metafisico. Non abbiamo forse l’impressione di rassegnarci in massa alla tragedia cosmica, i cui i livelli d’idiozia si alternano a una velocità tale da frantumare la dimensione mente, anima e corpo? I soggetti a rischio che si aggirano in questo immenso castello reale o fantastico dai labirinti inestricabili, sono i più piccoli e i giovanissimi. Imparano a camminare grazie alle leggi della natura, si formano la personalità interagendo con l’ambiente, ma non possono imparare i complessi meccanismi del cinema se non viene loro insegnato a guardare, già in tenera età, il mondo con occhio cinematografico.


Chiamatemi olinguito… La scoperta di una nuova specie è una vera “botta di vita” per il mondo scientifico. L’esistenza invece si complica per il nuovo arrivato (che probabilmente farebbe volentieri a meno delle umane attenzioni) di Duccio Canestrini

Si chiamava Ringerl, ed era un’orsetta lavatrice dello zoo

di Washington. Si era fatta la reputazione d’essere “un tipo difficile”: mai che volesse accoppiarsi con i maschi introdotti nel suo recinto. E aveva ragione: non avrebbe potuto per il semplice fatto che i corteggiatori non erano della sua stessa specie. Vi accoppiereste voi con un gorilla, solo perché vi assomiglia (senza offesa alcuna)?

Mundus 12

conosceva, né lo distingueva da altre specie. Gli indigeni colombiani conoscono questi animaletti da millenni con il nome di cacamizli, ma gli indios, si sa, non fanno testo, e probabilmente non sono tra le persone con cui i naturalisti dello Smithsonian Institution di Washington “sono stati in grado” di parlare. È sempre la stessa storia, chi ha il megafono non ha la verità, chi ha la verità non ha il megafono. Se vogliamo si tratta ancora del vecchio retaggio coloniale di una scienza “occidentale”, piena di evidenze, e spesso anche di arroganze, che ignora metodicamente altre conoscenze tradizionali.

Sono una novità… Il sospetto è venuto – a distanza di 37 anni dalla morte di Ringerl, avvenuta nel 1976 – a uno zoologo dello Smithsonian Institution, Kristofer Helgen che confrontando foto, reperti ossei e poi sequenziando il DNA, ha finalmente annunCondannato alla fama? ciato che Ringerl apparteneva Detto questo, la cosiddetta a una specie allora sconosciuta. scoperta dell’olinguito mette Era sì un olingo, cioè un progioia nel cuore. L’olinguito ci cione arboricolo sudamericano dimostra che il mondo non del genere Bassaricyon, ma di è ancora del tutto esplorato. una specie ancora ignota, più Se ancora oggi possono essepiccola: un chilo di peluche in re trovati nuovi mammiferi, Bassaricyon neblina; immagine tratta da decoing.org tutto, una via di mezzo tra un quante e quali altre sorprese gatto e un orsetto, dal musetto ci aspettano? dolcissimo. Oggi ha finalmente un nome tutto suo, l’han- Descrivere e classificare una nuova specie – consideno ribattezzato Bassaricyon neblina, o più semplicemente rando che ogni anno, invece, se ne estinguono cirolinguito. ca centomila: qualcuno l’ha chiamato ecocidio L’annuncio della “scoperta” di questa nuova specie, è stato – è un buon modo per comprendere e per comunicare dato dalle agenzie di notizie di tutto il mondo con grande la ricchezza e la diversità della vita sul nostro pianeta. enfasi a Ferragosto di quest’anno. Come è evidente, meglio Non si hanno purtroppo notizie degli esemplari di olinsarebbe stato comunicare l’individuazione, più che la sco- guito esaminati dal team di Helgen, che nel corso della perta di un nuovo mammifero. Anche perché l’olinguito, spedizione agostana ne avrebbe classificato anche quattro un po’ come l’America quando fu scoperta, c’era già. Hai diverse sottospecie. E come ha potuto fare, se non cattuvoglia a titolare “È arrivato l’olinguito!” come ha fatto il randoli? E come ha fatto a catturarli? National Geographic. No no, siamo arrivati noi. Ecco allora che con questo piccolo mammifero, che in una fortunata fotografia di Mark Gurney ci guarda perplesso, … e nessuno mi conosce arrampicato sul suo albero, sorgono anche i dubbi e le Una recente spedizione scientifica di esperti dello Smi- preoccupazioni. Non sarà stato meglio per l’olinguito pasthsonian sulle montagne della Colombia e dell’Ecuador, sare inosservato? Vivere nell’equivoco zoologico, rimanere guidata proprio da Kristofer Helgen, ha confermato l’are- indeterminato per la scienza, ma indisturbato dall’uomo? ale di distribuzione, l’etologia e la specificità del piccolo Finita l’estate del 2013, spenti i riflettori dopo il suo debutprocione delle Ande. Anche se, ascoltando Helgen, viene to mediatico nel teatro della natura, c’è da sperare che un qualche sospetto quando sostiene che nessuna delle per- altro tenerissimo e innocente olinguito non finisca così: sone con cui gli zoologi “sono stati in grado di parlare” lo famoso e imprigionato.


Il visionario

Gusto equilibrato

di Fabio Martini

Il sogno di un hippie di Neil Young Feltrinelli, 2012

Il titolo originale voluto dall’autore, di recente esibitosi con i suoi Crazy Horse a Locarno, in realtà non era “il sogno di un hippie” ma “attivarsi per una pace duratura” (waging heavy peace). Gli uffici marketing delle case editrici fanno il loro mestiere e, dopo aver letto questa fresca e spontanea autobiografia, non si può certo affermare che il sogno sia un elemento estraneo all’intricata natura del cantautore canadese. Del resto Young è innanzitutto un sognatore e un visionario – e in questo rivela un’indole da autentico americano – capace di fantasticare progetti e idee nelle quali poi buttarsi a capofitto, ossessivamente, a prescindere dal loro grado di fattibilità. Si va dalla produzione di trenini elettrici alla gigantesca Lincvolt, una grossa vettura elettrica alimentata a biomassa, dalla tecnologia PureTone che aspira a imporsi come un nuovo standard per un ascolto di qualità nell’epoca dell’mp3 e della musica usa e getta al sostegno di progetti per bambini affetti da problemi cognitivi (due dei suoi figli, Ben e Zeke, sono nati con danni a livello cerebrale). Un libro privo di uno schema preciso, una narrazione libera in cui passato e presente si intrecciano incessantemente ma la cui lettura da un lato ci cala in un’epoca ormai lontana e fortemente mitizzata, un’epoca a cui ancora oggi molti giovani guardano con sorpresa e ammirazione, dall’altra in un presente in cui l’autore avverte l’urgenza di definirsi, di offrire al pubblico il meglio di sé. La musica si aggira sullo sfondo, quasi un convitato di pietra capace di ispirare improvvisamente per poi scomparire altrettanto rapidamente (“Io ho scritto tante canzoni. Alcune fanno schifo. Altre sono splendide e certe vanno bene.”). I veri interpreti di questo racconto sono soprattutto le persone: i familiari, i musicisti, i produttori (fra questi, David Briggs che tanto peso ha avuto nel condurre la carriera dell’intemperante Young), i collaboratori di svariati progetti musicali e molti altri ancora. Un libro che è anche un mondo e che immerge il lettore in un flusso di idee, visioni, riflessioni sull’amicizia, l’amore, la droga e l’alcol, la malattia, la morte e, catalizzatrice di tutto, la musica.

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S

ono nato a Bellinzona nel 1954. La musica mi è caduta addosso presto. Ricordo che intorno alla nostra casa c’erano delle ringhiere e io con una bacchetta mi divertivo a correrci accanto per sentire il suono che veniva fuori. Picchiavo su tutto quello che mi capitava a tiro, scatole, latte, recipienti. È un fatto ancestrale, spontaneo: se in una stanza metti dieci strumenti diversi, fra cui una batteria, e dieci bambini, alla fine vanno tutti lì. In realtà, la prima batteria l’ho avuta tardissimo, intorno ai quindici anni, ma io già suonavo da tempo utilizzando i tamburelli siciliani e altri oggetti fra cui la scrivania che usavo come cassa. Poi a dodici anni, ero in collegio, è venuto a suonare un complesso e ho potuto provare a picchiare sui tamburi: è stata un’esperienza micidiale dal punto di vista emotivo. Il piacere di suonare, l’emozione che provavo picchiettando di qui e di là era talmente forte che ho finito per determinare quello che desideravo accadesse. E infatti è successo tutto: la batteria, lo studio, la scuola Dimitri. L’incontro con Oliviero Giovannoni, il percussionista della scuola Dimitri, mi ha permesso di inziare a “picchiettare” alla scuola durante le lezioni di danza e alla fine mi ci sono trovato dentro. Un’esperienza importante, basilare per me, sia sotto il profilo della tecnica che dell’affinamento della creatività e della capacità di improvvisare con artisti di discipline diverse. Poi c’è stato al mio primo concerto in solo. Una sfida propostami da Lorenzo Manetti, il mimo di Bellinzona, con cui ho collaborato in tanti spettacoli. Lui voleva che preparassi un “solo” in modo da imparare a “reggere” la scena. E così ci ho dato dentro e alla fine al Festival rock di Sementina del 1986 mi sono esibito. È stato il primo concerto di una lunga serie che mi ha portato anche in luoghi lontani, per esempio ad Haiti, nel 2005. A trent’anni ho frequentato per un paio d’anni la Swiss Jazz School di Berna. Un’esperienza importante ma faticosa per me che ho uno spirito un po’ anarcoide che tende a rifiutare l’eccessiva “quadratura” in musica. Alla fine del secondo anno mi sono trovato ad assistere al concerto dei diplomandi e mi sembrava di ascoltare sempre la stessa persona, lo stesso gruppo. È stato deprimente e così ho deciso di mollare pur continuando a suonare jazz. In quell’ambito, Elvin Jones (il batterista del quartetto di John Coltrane, ndr.) è

stato per anni il mio punto di riferimento. L’ho seguito in decine di concerti, osservandolo suonare e cercando di carpire ogni gesto, ogni sfumatura. Alla fine avevo talmente assimilato il suo linguaggio che mi ero trasformato in una sorta di copia. Poi, durante una tournée, il pianista americano John Davies mi ha detto: “Wow… sei davvero l’Elvin Jones europeo”. Al momento la cosa mi ha fatto piacere, ma già il giorno dopo mi sentivo nauseato. È stata la peggior tournée della mia vita. Ero in piena crisi. Mi sentivo vuoto. Ma è anche stato fondamentale perché da quel momento ho iniziato a costruire un mio linguaggio personale. Mi sono sempre più avvicinato all’improvvisazione di matrice europea e alla scrittura contemporanea che sento più vicine alle nostre radici, al nostro modo di essere e lungo questa strada ho collaborato con molti musicisti svizzeri ed europei. Attualmente gestisco lo “Spazio culturale temporaneo” a Bellinzona, dove teniamo concerti – un polo, per quanto riguarda l’improvvisazione, dato che passano musicisti un po’ da tutto il mondo – e dove opero come didatta. Ho elaborato un metodo per percussioni molto intuitivo che consente nell’arco di un anno ai bambini – ma il discorso vale per chiunque – di suonare strutture complesse senza conoscere la notazione musicale. Dal mio punto di vista l’errore in musica non esiste, esiste l’imprevisto che è sempre un’occasione per sperimentare qualcosa di nuovo. E poi la morbidezza, il suonare rilassati, in modo da convogliare al meglio l’energia che nei bambini sgorga in modo spontaneo, senza freni. Sono ragazzi che suonano con espressione e facilità senza i condizionamenti che le tecniche più codificate, come quella classica o del jazz tradizionale, tendono a imporre. Bisogna imparare ad ascoltarsi, a cogliere e sviluppare il proprio materiale, le proprie idee. Questo è fare musica, dal mio punto di vista. Delle mie tre figlie – Ilaria, Lavinia e Dina, rispettivamente di 21, 17 e 14 anni e tutte appassionate all’arte e all’espressione –, Dina è forse la più interessata alla musica: suona il basso e fischia in modo meraviglioso. Spero continui!

IvAnO TORRE

Vitae 14

Percussionista, improvvisatore e didatta, è uno dei musicisti più attivi del cantone a livello nazionale e internazionale

testimonianza raccolta da Fabio Martini fotografia ©Reza Khatir


Museo Vincenzo Vela di Tiziana Conte; fotografie ŠReza Khatir



in queste pagine Vincenzo Vela, “Monumento funerario del duca Ludovico Melzi d’Eril” (1887–90); sulla destra, Vincenzo Vela, “La preghiera dei morti” (1874)

in apertura François Rude, “François Devosge” (1854). Su invito del Musée des Beaux-Arts di Digione e del Museo del Louvre, da marzo a luglio di quest’anno il Museo Vincenzo Vela ha ospitato la mostra “Nel segno della Libertà” dedicata alla coppia di artisti dell’ottocento francese François e Sophie Rude

Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. khatir.com

Fra le maggiori istituzioni culturali del cantone, il Museo Vela non solo attesta della ricchezza dell’arte ticinese dell’ottocento ma offre al pubblico, grazie ai suoi suggestivi spazi e a una gestione lungimirante, esposizioni ed eventi di elevata qualità. Senza ignorare gli apporti e gli stimoli che giungono dalla contemporaneità



in alto: Vincenzo Vela, “Ecce Homo” (1868) pagina a sinistra: Vincenzo Vela, “Tre bagnanti, Ritratto delle figlie del marchese Ala Ponzone” (ca. 1863)

A

qualche passo dalla frontiera si staglia in cima a un poggio una bellissima villa: è il Museo Vincenzo Vela, pochi metri lo separano dalla vicina Penisola, di qui Ligornetto, di là Saltrio. Il flusso di auto su quelle vie è in certi orari intenso. Non sono i turisti curiosi a congestionare le strade, ma il traffico dei pendolari del lavoro, ripetendo una pratica al contrario, in una terra che nei secoli ha vissuto una costante emigrazione di talenti artistici e non, e una ricchezza di scambi culturali con l’Italia e con il resto dell’Europa. Tra questi figura Vincenzo Vela (1820–91), una delle personalità più significative della storia del nostro paese. A sua volta frontaliere tra i due paesi, Vincenzo Vela è stato un esponente di spicco del realismo e ha segnato la storia dell’arte confermandosi come uno dei maggiori scultori del XIX secolo. Un uomo di cultura Nato a Ligornetto da umili origini, Vincenzo Vela decise di costruire a Ligornetto la sua casa, il suo studio e il suo prestigioso museo privato, e di venirvi ad abitare con la moglie e il figlio. Una splendida villa, immersa in uno parco straordinario che, per volontà dello stesso artista, già dal 1898 ospita il Museo, oggi gestito dall’Ufficio federale della cultura. Il Museo conserva, oltre alla gipsoteca monumentale dell’artista, i lasciti del fratello di Vincenzo, lo scultore Lorenzo Vela (1812–95) e del figlio, il pittore Spartaco (1853–94), che vanno a formare una notevole collezione ottocentesca di pittura lombarda e piemontese. Inoltre vi sono raccolti centinaia di disegni autografi e una delle

più antiche collezioni fotografiche private svizzere. Nel 2001 il Museo si rinnova profondamente a seguito di un restauro firmato dall’architetto Mario Botta che lo trasforma in uno spazio museograficamente aggiornato. Le sue superfici espositive offrono oggi, oltre alle collezioni permanenti collocate al piano terreno della villa, mostre temporanee presentate nelle sale al primo piano e nel parco. I Vela: liberi nell’anima Nel segno della Libertà, è il titolo della mostra conclusasi recentemente al museo. Un’esposizione dedicata ai coniugi François e Sophie Rude, importanti esponenti della scultura e, in questo caso, anche della pittura dell’ottocento francese. Questo titolo però, potrebbe essere preso a prestito per sintetizzare alcuni aspetti caratteristici del grande artista ticinese Vincenzo Vela, che con il figlio Spartaco e il fratello Lorenzo aderirono alla fede liberale e che, mossi da questi principi, manifestarono con opere e gesti una grande solidarietà verso le classi oppresse. Questa loro visione del mondo da un lato favorì le intense frequentazioni con gli ambienti risorgimentali e progressisti sia in Lombardia sia nel cantone Ticino, mettendoli in contatto con grandi esponenti della cultura e della politica dell’epoca, ma al contempo i Vela pagarono queste scelte libertarie subendo numerose ostilità da parte dei conservatori ticinesi che li consideravano dei pericolosi anticlericali. Riflessioni in divenire Nel segno della libertà creativa pare essere anche la linea artistica scelta dalla direttrice del Museo,

(...)


La facciata principale dell’edificio che ospita il Museo Vela


in alto: l’emiciclo al primo piano della villa allestito in occasione della mostra “Nel segno della Libertà” sotto: medaglioni-ritratto a parete con scorcio sul primo piano del museo

Gianna A. Mina, che in quest’ultimo decennio ha offerto un ventaglio di mostre che, seguendo alcuni filoni privilegiati e con un occhio di riguardo per la scultura, hanno offerto esposizioni di alta qualità, aperte e attente al contemporaneo, sia nelle scelte tematiche sia nella selezione degli artisti ospitati. Una programmazione generosa quella offerta negli anni, sia numericamente che qualitativamente, capace di contaminare intelligentemente le arti, per esempio, allestendo puntualmente una programmazione musicale oppure come attesta la prossima esposizione che si inaugurerà il 22 settembre, dal titolo Corpo e potere. Durante la mostra sarà infatti presentato il lavoro del collettivo austriaco del “c/o: K” composto da una dozzina di artisti. Questi ultimi interagiranno attraverso installazioni site-specific con la collezione monumentale di Vincenzo Vela, aprendo una riflessione sul rapporto tra potere e i meccanismi della comunicazione corporea ai giorni nostri. Non solo opere d’arte Un luogo, “il Vela”, che seguendo i mutamenti della società si è fatto referente di identità e di paesaggi culturali e artistici diversi, per esempio, offrendo

un servizio di mediazione culturale innovativo o sviluppando progetti socio-culturali che mettono in dialogo pubblici differenti per generazione e culture. Un’istituzione che non dimentica la necessaria promozione della ricerca accogliendo puntualmente ricercatori e studiosi e che, in modo lungimirante si è aperta alle sinergie collaborative con le istituzioni del territorio, nel tentativo, come si legge nel sito web del Museo, “di confermare il proprio ruolo di spazio culturale che, oltre alla conservazione e alla presentazione del proprio straordinario patrimonio artistico, agisce come piattaforma di arricchimento della comunità a cui si rivolge, e di scambio; un modo per avvicinarsi a quel progetto, caro a Vincenzo Vela, che desiderava veder realizzata nella sua residenza signorile una scuola d’arte, un luogo di formazione, dunque, e di incidenza sulle giovani generazioni”.

la mostra Corpo e potere Dal 22 sett. al 17 nov. 2013; Museo Vincenzo Vela, 6853 Ligornetto; tel. +41 91 640 70 40, museo-vela.ch Si ringrazia per la cortese collaborazione Silvia Canova e Alessia Bottaro del Museo Vela.


Maglio del Malcantone di Raffaella Carobbio; fotografie ©Reza Khatir

Luoghi 46

Un pomeriggio di mezza estate. Facciamo una passeggiata, nulla di impegnativo, solo per respirare un po’di sole e di natura e, anche, per scoprire uno degli ultimi magli del Ticino. Abbiamo infatti deciso di percorrere una piccola parte del “Sentiero delle meraviglie” del Malcantone (itinerario didattico che conduce l’escursionista attraverso i paesaggi della regione, alla scoperta di tracce, spesso poco evidenti, di un’antropizzazione antica, e di testimonianze preziose di una civiltà contadina ormai scomparsa). Iniziamo il nostro cammino poco distante da Ponte di Vello per raggiungere, grazie a una breve scarpinata, il maglio di Aranno. Attraversiamo dapprima qualche prato, dopodiché c’inoltriamo nel bosco, seguendo il percorso del fiume Magliasina. Tra risorse naturali e processi industriali Prati e boschi, in passato erano la principale fonte di lavoro e di sostentamento per la popolazione di queste come di tante altre valli. Falci e falcetti, zappe, badili e forche, scuri e cunei erano i ferri del mestiere. Già, i “ferri”: proprio per mezzo del maglio – o meglio, dei magli che erano un certo numero in Ticino; in alcuni casi la loro esistenza risuona ancora oggi nei toponimi, come per esempio Maglio di Colla – il ferro veniva plasmato, ferro di scarto, recuperato da venditori ambulanti che il maiée acquistava e lavorava. Colpi ritmati che davano a questi semplici strumenti di lavoro la loro forma embrionale, successivamente definita e conclusa dal lavoro del fabbro. Un sentiero tranquillo, immerso nel verde e caratterizzato dalla costante presenza dell’acqua: del fiume, prima, con le sue sinuosità, i salti e le pozze, ma anche da quella della roggia: acqua incanalata e addomesticata che, con la sua forza, instancabilmente imprimeva il movimento alla ruota prima, poi al maglio. Movimento che in questo passaggio si trasforma e da rotatorio diventa verticale. Lungo il sentiero penso a come questo scorrere d’acqua,

questo moto che nel suo svolgersi si trasforma, siano espressione – quasi metafora – del tempo (tempo ciclico, trascorrere e ritmo, tempo scandito); a come ci confrontiamo con una realtà a noi estranea ormai, e distante. Scorrere d’acqua che – passo dopo passo – è anche un trascorrere di tempo, seguendo la corrente della Magliasina risaliamo quella della storia, ci avviciniamo a chi – fino alla metà del secolo scorso – ha vissuto, lavorato e curato questi luoghi. Acqua che scorre lungo il cammino; cammino che, d’un canto, attraversa uno spazio geograficamente e paesaggisticamente definito, mentre dall’altro ci trasporta – attraverso prati e boschi – in un altro tempo. Tempo di una breve gita; tempo che, possiamo immaginare, per quasi un secolo venne scandito dal battere cadenzato del maglio. Maglio che forgiava gli strumenti grazie ai quali contadini e boscaioli davano forma al paesaggio della regione. Il “Sentiero delle meraviglie” Capita spesso, percorrendo sentieri e itinerari escursionistici, di accorgersi di quanto lavoro umano emerga all’improvviso anche negli angoli che ci appaiono più “naturali”: luoghi oggi per lo più dismessi, riconquistati dalla vegetazione, dall’azione del tempo e delle stagioni. Luoghi che sono diventati ormai soprattutto spazi di svago (anche nel caso del maglio di Aranno: proprio accanto all’edificio c’è una cascatella e il fiume forma alcune pozze molto frequentate da chi cerca un poco di sollievo nelle calde giornate estive). Questo lavoro che ha forgiato il territorio, sfruttandone anche le minime risorse. Il piccolo tratto dell’itinerario didattico che abbiamo percorso è solo un minimo esempio di questo disvelamento: il “Sentiero delle meraviglie del Malcantone” permette a chi si prende il tempo di trascorrere un pomeriggio in questa regione di scoprire la relazione – per certi versi difficile, sofferta – tra l’uomo, le sue attività e necessità, e il territorio. L’itinerario articolato in 13 punti didattici (sono distribuiti lungo un percorso di 7 km per circa tre o quattro ore di cammino) mostra tutta una serie di tracce e manufatti: dai mulini alle fornaci, dai muri a secco alle miniere; fra questi spicca – per l’appunto – il maglio di Aranno. Costruito attorno alla metà del XIX secolo e in disuso da oltre 60 anni (un’alluvione avvenuta nel 1951 ne decretò la definitiva chiusura), è stato ripristinato nel 1992 e inserito tra le tappe proposte dal “Sentiero delle meraviglie”. per informazioni museodelmalcantone.ch lugano-tourism.ch


Luoghi 47


LAMBORGHINI autunno1963:alSalonedell’automobile di torino viene preSentata la 350 Gtv. e con lei naSce un mito

All’inizio degli anni sessanta Ferruccio Lamborghini è un uomo arrivato e la sua azienda, che produce trattori e macchine agricole, è sinonimo di tecnologia. Amante delle auto veloci, trova che la sua Ferrari 250 GT ha una frizione “pesante” e una trasmissione imprecisa. Ferruccio, amico di Enzo Ferrari, suggerisce a Maranello alcune possibili modifiche. Non sia mai: “L’automobile è perfetta; semmai, sei tu a essere in grado di guidare solo trattori” pare abbia risposto lo scorbutico Enzo. Detto fatto: Ferruccio se la lega al dito e tra il 1962 e il ’63 pensa, fonda e fa costruire a Sant’Agata Bolognese gli stabilimenti della “Automobili Ferruccio Lamborghini” che, per volontà del fondatore, produrrà solo vetture sportive.


www.legge-sul-lavoro-si.ch

Lamborghini assolda tecnici di provato valore, come Giotto Bizzarrini (già in Ferrari) che gli progetta un motore 12 cilindri a “V” di 3.5 litri, 2 alberi a camme in testa per bancata e 360 cv su un telaio tubolare con sospensioni indipendenti. Nel giro di pochi mesi nasce il prototipo della 350 GTV con carrozzeria disegnata da Franco Scaglione, auto presentata con successo al Salone di Torino del ’63. Ritoccata in parte dalla carrozzeria Touring e con un motore più docile (320 cv), nel ’64 la versione definitiva della 350 GT viene presentata al Salone di Ginevra: 4 freni a disco, cambio manuale a 5 rapporti, 6 carburatori Weber, interni in pelle, volante in legno. Ne verranno costruiti 120 esemplari.

Ma il “fabbricante di trattori” non si ferma: prima perfezione la 350 GT (diventata poi 400 GT) e già nel ’65 presenta sempre al Salone di Torino il prototipo di una tra le più incredibili auto mai costruite, forse la più sensuale, affascinante e desiderabile in assoluto: la Miura PT 400. Con il suo motore centrale – tipico delle auto da gara di quegli anni, come la Ford GT40 o la Ferrari 250 LM –, la Miura ancora oggi non lascia indifferenti, grazie a quelle linee senza compromessi tracciate da un giovane Marcello Gandini per la Bertone, su un telaio progettato da Gian Paolo Dallara. Prodotta in tre versioni (compresa la ricercatissima SV da 385 cv del ’71), la Miura montava un V-12 da 3.9 litri, sempre di Bizzarrini. La produzione terminò nel ’73 (circa 765 esemplari), proprio quando a Sant’Agata già si assemblava un’altra opera d’arte: la Countach LP 400.

Comitato apartitico SÌ alla legge sul lavoro Laupenstrasse 2, 3008 Berna

Tendenze p. 48 – 49 | di Giancarlo Fornasier

Fabio Regazzi, Consigliere nazionale PPD/TI:

«Meno burocrazia grazie alla revisione parziale della legge sul lavoro!» Il 22 settembre

LEGGE SUL LAVORO


La domanda della settimana

Se scoprite che il partner/coniuge di una persona a voi vicina ha un’altra relazione, glielo direste?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 12 settembre. I risultati appariranno sul numero 38 di Ticinosette.

Al quesito “Per la classe media ticinese la casa di proprietà è un sogno diventato ormai irrealizzabile?” avete risposto:

SI

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NO

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Astri ariete Il periodo tra l’11 e il 12 settembre si presenta favorevole. Urano marcatamente reattivo per i rivoluzionari nati nella prima decade. Prudenza.

toro Furor amoroso. Sarà difficile tenere a bada la vostra proverbiale gelosia. Tendenza a diventare possessivi con il partner. Possibili incontri karmici.

gemelli È il momento di partecipare a incontri mondani: durante un “spettacolo” possibile incontro con l’anima gemella. Fortuna per architetti e creativi.

cancro Momento buono per iniziare una storia d’amore. Relazioni con persone più grandi/mature. Scelte drastiche sollecitate da Urano e Plutone.

leone Coraggiosi, oltre ogni umana misura. Tra il 9 e il 10 settembre dovrete comunque tenere a freno il vostro orgoglio e le intemperanze.

vergine Momento importante per la sfera affettiva. Ottime le giornate comprese tra il 9 e il 10, prima, e tra il 13 e il 14, poi. Eros e buoni sentimenti.

bilancia Nuove energie. Favorite le soluzioni più creative. Abbandonate i vecchi schemi rilevatisi come perdenti. Bene tra l’11 e il 12 settembre.

scorpione Marte, Luna e Saturno in quadratura. Circostanza astrale esplosiva per la vita sentimentale. Passioni e gelosie fuori controllo.

sagittario Per i nati nella prima e terza decade momento ideale per un viaggio tra l’11 e il 12. Atteggiamenti egocentrici per quelli della seconda decade.

capricorno La croce cardinale tende attivarsi soprattutto l’8 e poi tra il 13 e il 14. Se volete uscirne vincitori dovete cavalcare l’onda del cambiamento.

acquario Grazie a Urano potrete contare su una buona dose di inventiva. Attenti a non farvi condizionare dall’orgoglio. Calma tra il 9 e il 10.

pesci Attenti a non esser troppo puntigliosi ed evitate le parole di troppo. Affari e possibili guadagni tra il 9 e il 10 per i nati nella seconda decade.


Gioca e vinci con Ticinosette

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Orizzontali 1. Datore di lavoro • 10. Lo cova la chiocciola •11. Per nulla faceto • 12. La sposa di Anfione • 13. Squadra madrilena • 14. Un distillato • 15. Pietra iridescente • 19. La patria di Neruda • 21. Ostie • 23. Ella • 24. La rapì Paride • 26. Dispari in rospi • 27. Profondo, intimo • 28. Zambia e Romania • 29. Mezza casa • 30. Uno detto a Londra • 31. Il liquore della Giamaica • 32. Un idrocarburo • 34.I confini di Osogna • 35. Negazione • 36. Cosmici, siderali • 39. L’antico Eridano • 40. Il noto Tse Tung • 41. Utilizzare • 43. Le iniziali della Bullock • 44. Attraversa Berna • 45. Celere, veloce • 48. Ingressi • 50. Il tesoro dello stato • 51. Epoca. Verticali 1. Unità di misura usata in economia e finanza • 2. Re francese • 3. Il nome di un Garrani • 4. Blasone • 5. La fine di Aramis • 6. Lo affronta il temerario • 7. Spiaggia • 8. Il nome della Zoppelli • 9. Le Lipari • 16. Trascorso • 17. Usti • 18. Spagna e Italia • 20. Si stendono sul letto • 22. Si usa anche quello armato! - 25. Traffica con pistole e fucili • 27. Maldestri, alle prime armi • 30. L’onda allo stadio • 33. Articolo romanesco • 37. Anelate, desiderate • 38. Subisce gli influssi lunari • 42. Società Anonima • 43. Una sigla societaria • 46. Gigaro • 47. Articolo tedesco • 49. Numero in breve.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 38

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 12 settembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 10 sett. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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La soluzione del Concorso apparso il 23 agosto è: MANDORLA Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Edith Ghillioni via Valleggia 4 6932 Breganzona Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: un abbonamento metà-prezzo con carta VISA offerto da FFS Un buono per l’acquisto di un abbonamento metàprezzo con carta VISA del valore di 150.– CHF. Ulteriori infor­ mazioni su: ffs.ch/metaprezzo

Metà-prezzo e VISA: la doppia convenienza in una carta! L’abbonamento metà-prezzo abbinato alla carta di credito è conveniente: infatti, costa solo CHF 150.– l’anno (25 franchi di risparmio rispetto al metà-prezzo per un anno) e si rinnova automaticamente. Con questo abbonamento i biglietti per i viaggi in treno, in autopostale e sul battello costano solo la metà, in 1ª e 2ª classe (salvo alcune eccezioni). Inoltre è una vantaggiosa carta di credito VISA, per di più gratuita (senza tassa annua) e accettata in tutto il mondo!

Svaghi 51


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... trasformiamo il nostro olio di frittura esausto in biodiesel. Con circa 290’000 ospiti al giorno, anche noi ci sentiamo ospiti ogni giorno. Ospiti su questo pianeta. Per questo ci preoccupiamo dell’ambiente. Un esempio: i nostri autocarri, alimentati a biodiesel ottenuto dall’olio usato delle nostre friggitrici. Per saperne di più: www.mcdonalds.ch/ambiente

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