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№ 39 del 27 settembre 2013 · con Teleradio dal 29 sett. al 5 ott.

in cerca d’auTore

Sette giovani attrici raccontano la loro passione per la scena e per i personaggi che interpretano

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«SONO FAN DELLA CROCE ROSSA. PER MERITO SUO, I MIEI FIGLI ED IO SIAMO PROTETTI DALLA MALARIA.» Adèle (33), Grâce (3) e Kao (bebè), Massada (Togo)

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MALA RIA 9

Per un mondo più umano

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Ticinosette n. 39 del 27 settembre 2013

Impressum Tiratura controllata 68’049 copie

Chiusura redazionale Venerdì 20 settembre

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

4 Arti Daniel Levy. Note sulla meditazione di oReste bossini ........................................ 8 Visioni L’eterno ritorno di Fabio MaRtini................................................................... 9 Media Televisione. Orrori in onda di Fabio MaRtini ................................................. 10 Virtù Speranza di Gaia GRiMani .............................................................................. 11 Vitae Gianluca Ambrosetti di steFania bRiccola ....................................................... 12 Reportage Sette giovani attrici di deMis QuadRi; Foto di Reza KhatiR ....................... 37 Tendenze Accessori. Cosa bolle oggi in pentola? di FRancesca ajMaR...................... 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Religione cattolica. I pezzi della Chiesa

di

RobeRto Roveda..............................

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

Sarah Lerch, 2013 Fotografia ©Reza Khatir

Vendite “schermo a schermo” Ho trovato molto interessante l’articolo dedicato al futuro della televisione che avete pubblicato sul no. 37 (“Strategie oblique” di Roberto Roveda, ndr.). Innanzitutto ho apprezzato la citazione di Karl Popper in copertina sulla TV come dispensatrice di dis-educazione e anzi, un vero “potere incontrollato” come scriveva il filosofo inglese e che troppo spesso ci regala violenza e stupidità gratuite (in particolare ai più giovani). Popper oggi forse è passato anche di moda (meglio Serge Latouche e la decrescita visti i tempi di magra), ma per quanto riguarda i modelli e gli atteggiamenti poco edificanti propinati da alcuni programmi nessuno può dire che non ci avesse visto giusto. (...) Quello che però trovo ancora più infimo, e che ho letto anche nella vostra intervista, è il discorso legato al marketing e alla pubblicità in televisione. Naturalmente, non essendo nato ieri, so benissimo che senza aziende che promuovono i loro prodotti non esisterebbero né i canali privati/commerciali e nemmeno molte delle televisioni pubbliche (o di stato) riuscirebbero a sopravvivere, e a trasmettere e produrre i loro programmi. Ma che uno “spot” diventi da un breve intermezzo all’unico scopo dell’intera trasmissione mi pare sia il punto di non ritorno: “Il brand diventerà l’editore pagando per l’intera trasmissione, serie o programma che andrà in onda. Ciò significherà dettare regole precise anche per i contenuti che dovranno rispondere all’editore-sponsor”, come scrivete voi. Invece del passato io avrei utilizzato il tempo presente: tutto questo succede ormai da anni e molte trasmissioni sono diventate inguardabili! L’unica cosa che non diminuisce è il livello bassissimo dei contenuti: non solo l’azienda che sponsorizza la trasmissione te la ritrovi ogni tre minuti con piccole finestre sullo schermo, ma anche quello che c’è dentro lo schermo e che ti mostrano è legato allo stesso sponsor.

Nelle trasmissioni sportive succede spesso di vedere inquadrature che insistono su questo o quel logo. Come in una recente gara di Moto GP trasmessa da un canale privato italiano: tutta la trasmissione è sponsorizzata da una famosa azienda legata alla telefonia e durante la gara, di tanto in tanto, le inquadrature andavano a cercare le moto rosse e bianche che hanno proprio quell’azienda tra i suoi sponsor. Forse lo facevano perché le moto erano nelle prime posizioni? No, perché quelle di altri piloti in corsa non sono mai state inquadrate dalle telecamere: non interessavano da un punto di vista pubblicitario, mi pare di capire a questo punto. D. B. (e-mail) Sulla sponsorizzazione delle trasmissioni TV (ma anche radiofoniche, va ricordato) i creativi e le aziende si sono sbizzarriti parecchio negli ultimi decenni. Tra i filoni più interessanti ricordiamo la vecchia formula traghettata direttamente dal cinema, nella quale le multinazionali del tabacco facevano fumare tizio e caio in qualsiasi occasione. Lo scopo era di mostrare il pacchetto di “cicche” e renderne facilmente riconoscibile il logo. Con le sigarette anche le automobili sono state ottimi soggetti da inserire in questa o quella scena, naturalmente con lauti guadagni per i produttori e la case cinematografiche. In tempi più recenti è toccato all’abbigliamento, con conduttori che riuscivano in mirabili esempi di autopromozioni, essendo loro stessi a capo di marchi (si ricordi il caso di Simona Ventura e delle sue tute). E gli orrori – che riescono purtroppo a oscurare anche le tante produzioni di qualità messe in onda dalle reti generaliste – si rinnovano con puntualità (si veda il contributo del collega Fabio Martini, p. 10). Buona lettura, Giancarlo Fornasier


I pezzi della Chiesa Religione. Ben organizzati, motivati e disciplinati, i movimenti ecclesiali stanno acquisendo un peso crescente nel mondo cattolico. A loro le gerarchie ecclesiastiche sembrano aver affidato il compito di conquistare fedeli, resistere alla secolarizzazione, formare nuovo clero. Una scelta non esente da rischi…

di Roberto Roveda; illustrazione ©Giovanni Occhiuzzi

Agorà 4

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egli ultimi decenni il mondo cattolico sta co­ noscendo una profonda crisi, solo a malapena mascherata dalle adunate oceaniche che caratte­ rizzano i grandi eventi come i viaggi papali e le Giornate mondiali della gioventù. Sono, infatti, in calo costante le vocazioni religiose, così come il numero dei praticanti e di chi accede con regolarità ai sacramenti. Soprattutto sempre meno persone vedono nella Chiesa un’autorità imprescindibile dal punto di vista morale. In questo panorama piuttosto fosco per il futuro del cattolicesimo, almeno per come è stato tradizionalmente concepito, stanno assumendo un peso crescente in seno alla cattolicità i movimenti ecclesiali. Con questo termine si intendono le associazioni di fedeli che, secondo il diritto canonico, devono avere come finalità l’incremento di una vita più perfetta (ricerca della santità), la promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana, il compimento di opere di apostolato. Solitamente questi movimenti nascono attorno a una figura carismatica di riferimento e col tempo assumono le caratteristiche di vere organizza­ zioni strutturate, con regole interne e gerarchie del tutto peculiari per ogni movimento. Quando parliamo di movimenti ecclesiali, infatti, ci rife­ riamo a realtà assai diverse tra loro, come il Cammino neo­ catecumenale, i Focolarini, Rinnovamento dello Spirito, Comunione e Liberazione e Opus Dei, ma caratterizzate tutte dall’offrire ai loro membri un cammino di fede for­ temente totalizzante ed esclusivo, non volto tanto a essere partecipi della società moderna, ma in forte competizione con essa1. Dall’esterno questi movimenti appaiono spesso chiusi, impermeabili, fortemente autoreferenziali, tanto che molti studiosi dei nuovi fermenti religiosi tendono a individuarli come vere e proprie sette.

Perché sette cattoliche? Tra questi Marco Marzano, professore ordinario di Socio­ logia dell’organizzazione all’università di Bergamo, che di movimenti ecclesiali cattolici si è occupato nel volume Cattolicesimo magico. Un’indagine etnografica (Bompiani, 2009) e nel recentissimo Quel che resta dei cattolici (Feltri­ nelli, 2012). “Nei miei libri parlo di sette per i movimenti ecclesiali in senso «tecnico», rifacendomi cioè all’accezione introdotta da Max Weber2 e Ernst Troeltsch3 e ripresa poi dalla letteratura sociologica. A mio parere nei movimenti ecclesiali cattolici si ritrovano molte delle caratteristiche sociologiche che accomunano i testimoni di Geova, i buddisti della Soka Gakkai, Scientology e molti altri gruppi universalmente riconosciuti come sette. Un primo elemento è la vocazione minoritaria di questi movimenti, cioè il fatto di rappresentare una minoranza sociale le cui attività in genere sono ignote alla maggioranza della popolazione. Pochi conoscono, per esempio, i rituali peculiari dei neocatecumenali, come la Messa del sabato sera, al posto della domenica, o la confessione, che ha luogo in giorni prestabiliti ed è un rituale collettivo: tutti i membri della comunità si siedono in circolo e a turno, per pochi minuti, si avvicinano al sacerdote, che rimane nel centro e li ascolta rimanendo in piedi. Un rituale molto diverso dalla tradizionale confessione”. Quali altri elementi di questi movimenti sono di tipo settario? “Un altro elemento che caratterizza le sette è il fatto che in genere vi si aderisce per scelta e non vi si appartiene per nascita. Molti di noi sono stati battezzati da bambini perché sono nati in famiglie cattoliche, quindi sono entrati nella Chiesa senza una vera riflessione autonoma; nelle sette al contrario si entra precipuamente per scelta volontaria e consapevole. La caratteristica fondamentale delle sette è infatti quella di essere

(...)


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“(...) in queste organizzazioni la partecipazione alla vita della comunità non è un dato occasionale o accessorio, ma è un elemento centrale dell’identità di chi appartiene al movimento. Non a caso, i problemi sorgono spesso al momento del passaggio generazionale, quando i membri che hanno deliberatamente scelto di aderire alla setta cercano di trasmettere il senso di appartenenza ai propri figli”

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costituite in larga misura da convertiti. In genere poi le sette hanno un carattere oppositivo rispetto alla cultura dominante: a differenza delle chiese, che per molti versi pretendono di essere egemoniche, le sette sono consapevoli di essere e desiderano rimanere gruppi minoritari. Inoltre in queste organizzazioni la partecipazione alla vita della comunità non è un dato occasionale o accessorio, ma è un elemento centrale dell’identità di chi appartiene al movimento. Non a caso, i problemi sorgono spesso al momento del passaggio generazionale, quando i membri che hanno deliberatamente scelto di aderire alla setta cercano di trasmettere il senso di appartenenza ai propri figli”. Perché sorgono problemi? “Le difficoltà nascono dal fatto che le regole dell’appartenenza sono molto severe. La setta richiede ai fedeli un forte impegno personale e un comportamento esemplare; vi sono quindi pochi margini di tolleranza per chi «sgarra». Viceversa nelle chiese, dal momento che, in linea di principio, la salvezza non è negata a nessuno, alcuni comportamenti vengono tollerati o giudicati meno duramente”. In generale, chi sono le persone che più facilmente entrano a far parte di questi movimenti? “Difficile da dirsi in astratto: il fenomeno coinvolge persone di tutti i ceti sociali, che hanno probabilmente in comune alcune attitudini personali, come il bisogno di appartenere a un’orga-

nizzazione totalizzante e che riempie la vita oppure una certa tendenza alla dipendenza psicologica. O entrambi. Questo in parte valeva anche per le «sette» politiche che si sono diffuse in Italia negli anni sessanta e settanta: gruppuscoli di estrema sinistra o di estrema destra che sognavano cambiamenti palingenetici. Secondo me però oggi siamo di fronte a sette di tipo nuovo, gruppi «terapeutici» o intimisti, i cui obiettivi principali sono il benessere e la salvezza individuale degli aderenti e non il cambiamento del mondo intero. La vocazione a «stare nel mondo» appartiene comunque soprattutto alle sette di vecchio tipo, come erano appunto quelle politiche degli anni settanta. Tra i gruppi ecclesiali è soprattutto Comunione e Liberazione a manifestare questa vocazione”. Effettivamente il caso di Comunione e Liberazione è molto interessante. È una sorta di setta a metà? “Cl ha molti dei caratteri distintivi di una setta, però possiede ancora un orizzonte di impegno politico e sociale. I ciellini non si sono mai ripiegati solo su se stessi, ma si sono sempre esposti verso l’esterno, prendendo posizione nell’arena politica e sociale. In passato appartenere a Comunione e Liberazione era addirittura una scelta controcorrente rispetto alla cultura egemonica della sinistra italiana. È un’organizzazione che non può essere del tutto assimilata agli altri movimenti, proprio perché conserva un forte interesse per la sfera pubblica. In ogni modo, al pari degli altri gruppi, anche Cl ha pienamente


accettato la secolarizzazione e il carattere minoritario della presenza cattolica in Italia, stipulando alleanze e compromessi e muovendosi con una certa disinvoltura anche nello scenario post-democristiano della seconda repubblica italiana”. La scelta del consenso I movimenti ecclesiali rappresentano una grande novità all’interno della Chiesa, nonostante sia Benedetto XVI sia il suo predecessore li abbiano spesso equiparati agli ordini monastici medievali, sostenendo che nella Chiesa sia sempre stato presente un accentuato pluralismo interno. In realtà, ci troviamo di fronte a una pluralità di tipo completamente inedito, perché riguarda gruppi di laici, di credenti, che ritengono di costituire una comunità esemplare, che si credono cristiani migliori degli altri, soprattutto di quelli “normali” che frequentano le parrocchie. Il risultato è un sostanziale svilimento del ruolo dei credenti “normali”, non organizzati e un sostanziale indebolimento della struttura parrocchiale, da secoli elemento nevralgico del ramificarsi del cattolicesimo nella società. Nonostante questo appare evidente come le gerarchie cattoliche blandiscano o quantomeno tollerino questi movimenti. Per quali ragioni, professor Marzano? “Credo che l’atteggiamento di apertura della Chiesa cattolica nei confronti delle sette rappresenti una risposta relativamente semplice ai problemi conseguiti alla secolarizzazione della società. Queste organizzazioni, infatti, non mettono in dubbio il carattere clericale dell’istituzione, ma si sviluppano piuttosto come strutture parallele, che non sostituiscono il corpo principale, ma si limitano ad affiancarsi a esso. In questo modo si rinvia sine die l’avvio di autentici processi riformatori, di cui beneficerebbe quella che potremmo definire la Chiesa tradizionale, fatta di parrocchie e fedeli della domenica”. In altri termini davanti a una profonda crisi istituzionale, la Chiesa invece di avviare una grande riforma preferisce aggregare attorno a sé movimenti in grado di generare consenso ed entusiasmo? “Esatto. Bisogna dire che si tratta di gruppi estremamente fedeli al pontefice, che riempiono le piazze in occasione delle grandi adunate pubbliche, come quella del Family Day. Io credo che tra i movimenti e la gerarchia si sia stabilito una sorta di tacito patto: da una parte questi gruppi vengono lasciati crescere all’interno della Chiesa, usufruendo delle risorse simboliche che ancora questa possiede, dall’altra i movimenti si impegnano a non mettere in discussione gli equilibri complessivi dell’istituzione e l’autorità del pontefice. La convivenza può sembrare un paradosso, ma di fatto non lo è: gli uni infatti si muovono a un livello popolare, quello della fede e della pratica religiosa, e non intaccano in nessun modo il ruolo del papa, che è essenzialmente mediatico. Si tratta insomma di un’inedita e sorprendente alleanza, che da alcuni è considerata molto pericolosa. Un’alleanza giustificata anche dal fatto che, dal punto di vista squisitamente dottrinale, le sette cattoliche non hanno sviluppato una vera e propria teologia originale che possa sfidare quella della Chiesa ufficiale, a differenza di quel che avvenne con la Teologia della liberazione4, che, non a caso, fu tanto duramente ostacolata”.

I rischi per il cattolicesimo Il crescente peso di questi movimenti, però, non è privo di conseguenze. Il rischio principale consiste nel fatto che la religione diventi territorio d’azione dei fanatici e che la Chiesa si trasformi in qualche modo in una sorta di federazione di movimenti rappresentati sulla scena mediatica dal papa romano. Diventerebbero così protagonisti quei credenti che vivono la fede con una partecipazione fortemente emotiva e con un’intensità talvolta eccessiva. È un rischio grande perché il cristianesimo, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, ha mostrato un’attitudine alla mediazione e all’ecumenismo che verrebbe completamente smentita dal trionfo delle sette. Se venisse del tutto meno lo slancio conciliare, il cristianesimo rischierebbe di diventare una delle tante forme di fanatismo o di partecipazione terapeutica post-politica di cui la nostra società attuale è già piena. Un problema serio con cui si dovrà certamente confrontare il nuovo pontefice, Francesco, uomo proveniente dall’Ordine dei Gesuiti e quindi da un modello di vita cristiana estremamente differente, se non in piena antitesi, con quello professato all’interno dei vari movimenti ecclesiali. A lui toccherà la difficile scelta tra proseguire la strada intrapresa dai suoi ultimi predecessori e consegnare così di fatto il cattolicesimo all’espansione delle sette, oppure provare a invertire la rotta, anche correndo il rischio di fratture, di dolorosi abbandoni, di cali nelle vocazioni. Questa sfida non riguarda solo la Chiesa cattolica, ma ha una risonanza anche per la società civile in quei paesi dove i cattolici sono in maggioranza come conclude sempre il professor Marco Marzano: “Questi gruppi non hanno interesse a vivere davvero all’interno dello spazio pubblico, portando all’attenzione della comunità più allargata le loro idee oppure compiendo opere di solidarietà che non siano rivolte ai membri del movimento. Per fare un esempio, i catecumenali non disdegnano le opere di bene, come il versamento della decima per i meno abbienti, ma questa serve esclusivamente per aiutare i più deboli del proprio gruppo. Insomma, è proprio la carità nel senso più pieno del termine a essere stata smarrita. L’enfasi viene posta piuttosto sull’entusiasmo della fede, a scapito della ricerca del dialogo con chi la pensa in modo diverso. Ovviamente questi comportamenti nei paesi europei non hanno mai assunto una declinazione violenta, però alla lunga il rischio è che si accentuino, nel corpo della società, gli elementi di autoreferenzialità e di divisione, oltre che i fenomeni di manipolazione psicologica che sono purtroppo imputabili alle sette di tutto il mondo”.

note 1 Per un primo approccio ai diversi movimenti ecclesiali si vedano le voci corrispondenti nella versione italiana di Wikipedia. Sul tema è possibile leggere Lorne L. Dawson, I nuovi movimenti religiosi, Il Mulino, 2005. 2 Sociologo tedesco (1864–1920). 3 Filosofo e teologo tedesco (1865–1923). 4 Corrente teologica sviluppatasi in America Latina dopo il Concilio Vaticano II, che partendo dalla situazione di marginalità e dipendenza del Terzo Mondo, lega la riflessione sulla fede alla prassi politica, sottolineando la forza di liberazione sociale intrinseca al messaggio cristiano e la coerente necessità di agire per l’emancipazione dei più poveri.

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Note sulla meditazione Sino al prossimo 16 ottobre, l’Accademia internazionale di eufonia propone un ricco programma del pianista argentino Daniel Levy, Una serie di interpretazioni dedicate alle relazioni tra corpo, emozioni, mente e intuizioni di Oreste Bossini

Arti 8

L’imperatore Marco Aurelio ha scritto i suoi pensieri nella fortezza di Carnunto, sulle rive del Danubio, mentre era impegnato ad arginare la pressione delle tribù germaniche sul limes orientale. Ta eis eauton, a se stesso, era il titolo delle confessioni intime di questo imperatore colto e melanconico, che dettava in un elegante greco il frutto delle lunghe meditazioni sul tempo e sulla vita, prefigurando forse al di là dei trionfi e delle vittorie militari la prossima fine del suo mondo. “Volgi subito lo sguardo dall’altra parte, alla rapidità dell’oblio che tutte le cose avvolge, al baratro del tempo infinito, alla vanità di tutto quel gran rimbombo, alla volubilità e superficialità di tutti quelli che sembrano applaudire…”. A pochi chilometri di distanza, oltre al Danubio, dove oggi si trova Bratislava, si accampavano nel folto della selva boema i Marcomanni e i Naristi, tribù molto aggressive e pronte a tendere agguati alle legioni che si avventuravano oltre le fortificazioni. Tuttavia quel confine ostile e fonte di costante preoccupazione politica era anche un luogo di incontro tra la civiltà romana e l’oscuro mondo in fermento dell’Europa centrale.

musica dell’est soffia e si insinua in tutta la musica dell’ottocento, a partire da quella di Schubert, nato in una famiglia morava inurbata a Vienna. Anche Johannes Brahms, sceso a Vienna dalle rigide brume nordiche di Amburgo, guardava spesso verso est e fu il primo ad accogliere con simpatia le melodie fluenti della musica del boemo Dvorak, così come nutriva un sincero e profondo rispetto per i ritmi di valzer delle orchestre da ballo della famiglia Strauss. Malgrado tutta la sua arte raffinata e un magistero insuperabile, forse lo scorbutico maestro rimpiangeva di non saper scrivere una melodia come quella del Bel Danubio blu.

L’arte di Levy Mozart, Beethoven, Schubert e Brahms, tutti questi autori sono presenti nei concerti del tour del pianista argentino Daniel Levy intitolato “Meditation”, che tocca nel giro di poco meno di un mese, dal 27 settembre al 16 ottobre, Ascona, Bellinzona, Lugano e Locarno. Curiosamente Levy, allievo a Buenos Aires come Martha Argerich del leggendario Vincenzo Scaramuzza, non ha inserito nel programma dei concerti proprio Liszt, che aveva tratto dalle toccanti Meditations poétique di Lamartine l’ispirazione Musica e meditazione per una delle sue composizioni più belle, il Il Danubio presso Praga; immagiTacito aveva raccontato come uno dei poema sinfonico “Les préludes”. E in fondo, caratteri più impressionanti dei popoli ne tratta da jenniferlynking.com che altro sono i quaderni delle Années de germanici fossero i canti, che scandivano pèlerinage, se non visionarie meditazioni ogni momento della loro esistenza. Forse anche Marco musicali sul percorso della propria coscienza? Tuttavia in Aurelio, attratto dal mondo incantato del Danubio più che un certo senso la figura di Liszt è presente di riflesso nell’indai fasti di Roma, tanto da finire i suoi giorni a Vindobona, flusso che il suo pianoforte ha avuto sull’intera generazione l’antico nome di Vienna, accompagnava le sue meditazioni romantica, tranne forse Chopin, troppo assorbito dal proprio ascoltando le musiche provenienti dall’altra parte del fiume, mondo esclusivo per risentire l’influenza di qualunque altro dal folto delle foreste infestate da questi temibili guerrieri artista. cantori. Non ci sarebbe da meravigliarsi, perché musica e Ma forse più che sui coetanei Mendelssohn e Schumann, meditazione hanno fatto sempre coppia fissa. le meditazioni dell’anima tormentata di Liszt sono state un L’antica tradizione delle genti germaniche non si è spenta modello per i musicisti più giovani, come Skrjabin e Rachnel corso dei secoli, e ancora nel settecento il musicografo maninov, cresciuti nel pessimismo soffocante della cultura inglese Charles Burney sosteneva, nel resoconto dei suoi a cavallo del novecento. Meditate, peccatori, al suono del lunghi viaggi di studio, che la Boemia fosse “il Conserva- pianoforte di Levy. torio d’Europa”. Praga è stata l’unica città ad aver accolto davvero a braccia per saperne di più aperte il genio di Mozart, che solo tra le sue mura ha potuto “Meditation” - Tour del pianista Daniel Levy contare fino all’ultimo degli amici veri e disinteressati. Da Dal 27 settembre al 16 ottobre 2013 Accademia internazionale di eufonia Praga e dalle regioni circostanti, alla fine del settecento, si Casella postale 683, 6903 Lugano era riversata nella capitale una fiumana di musicisti in cerca Tel.: +41 (0)76 265 77 08 di fortuna. Il vento melodico languido e melanconico della academyofeuphony.com


Visioni L’eterno ritorno di Fabio Martini

Uscito lo scorso anno, Looper è un film di fantascienza di ottima fattura, capace di solleticare suggestioni filosofiche e riflessioni nello spettatore. Del resto il genere, a partire dai capolavori filmici di Kubrick e Tarkovskij (2001 odissea nello spazio, 1968; Solaris, 1972) e da quelli letterari di Dick, ben si presta a condurre l’immaginazione verso situazioni estreme ed estranee alla routine quotidiana. Scritto e diretto da Rian Johnson il film, ambientato nel 2044, narra la vicenda di un killer al soldo della criminalità organizzata. La particolarità è che le sue vittime non appartengono alla sua dimensione temporale ma vengono “spedite” dall’anno 2074 – grazie a un dispositivo che consente di viaggiare nel tempo –, legate, incappucciate e pronte per l’esecuzione. È infatti così che la mafia del futuro si libera dei propri avversari senza lasciare di loro alcuna traccia. Il problema scaturisce però dal fatto che la stessa criminalità, per liberarsi dei propri killer, li invia nel passato in modo che siano essi stessi a uccidersi in un gioco perverso e dai

risvolti drammatici (da qui il termine looper). Ma qualcosa va storto, e quando il giovane Joe – interpretato da Josepf Gordon-Levitt – si trova di fronte al se stesso proveniente dal futuro – l’inossidabile Bruce Willis – la situazione diventa complessa. Benché non manchino effetti speciali e scene d’azione, peraltro non invadenti, il film elude i cliché, offrendo allo spettatore una vicenda interessante, centrata su un ristretto numero di persone (fra queste la brava Emily Blunt, già cointerprete con Matt Damon del dickiano I guardiani del destino, 2011) all’interno del quale si intesse lo sviluppo dell’intera vicenda. E il riferimento a Philip K. Dick per il film di Johnson non pare fuori luogo: l’idea che sottende la trama rimanda all’immaginario dello scrittore americano, in cui tematiche come quelle del tempo e della morte rivestono una funzione fondante e ricorrente. Il film ha avuto un ottimo successo commerciale e di critica, attestando la vitalità e l’originalità del cinema americano anche quando affronta soggetti da blockbuster.

Looper di Rian Johnson 2012, USA

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Orrore in onda

A farsi del male ci vuol poco: fumare, bere, darsi agli sport estremi, la scelta è pressoché infinita. Ma anche la televisione nasconde insidie mortali... di Fabio Martini

Zapping 10

Lo scrittore austriaco Thomas Bernhard (1931–1989) nel cloni dell’interprete preso a modello. Il risultato finale è suo celebre romanzo Il soccombente (Adelphi, 1999), in una mascherata deprimente e imbarazzante e c’è solo da parte ispirato alla propria vicenda personale, tracciava con chiedersi quanto abbiamo preso, in termini squisitamente caustica ironia un impietoso ritratto della città di Coira fino monetari, i vari Amadeus, Kaspar Capparoni, Fiordaliso, a dichiarare che “A Coira una persona, anche se si ferma una Riccardo Fogli, Attilio Fontana, Clizia Fornasier, Fabrizio notte soltanto, può essere rovinata per tutta la vita”. Frizzi, Roberta Lanfranchi, Chiara Noschese e Silvia Salemi Senza voler entrare nel merito delle valutazioni sulla nota per partecipare al tragico show. città svizzera, dove peraltro non ho mai A me è toccato Riccardo Fogli. E non è avuto il piacere di pernottare, vivo nelandata per niente bene. Il suo compito la convinzione che oggi esistano ben era quella di imitare il corpulento canaltre insidie in grado di danneggiare tante greco Demis Roussos, classe 1946, permanentemente un essere umano. già noto come frontman degli AphroFra queste – e ringraziamo Dio dell’esidite’s Child – chi non ricorda la loro stenza del telecomando – va annoveracelebre “It’s five o’clock” – e successito un programma televisivo che dalla vamente collaboratore del compositore primavera 2012 viene messo in onda Vangelis, nonché solista anticipatore su Rai1: “Tale e Quale Show”. Titolo, di uno stile da cartolina spassionatagià di per sé infelice, ma che se non mente melodico e mediterraneo con altro suggerisce l’idea di un confronto canzoni come “Souvenir’s” e “Forever fra intraprendenti capaci di reggere la and Ever”. Esponente di un vocalismo scena calandosi nelle vesti di qualcun kitsch, Roussos ha però il pregio di altro. Non siamo troppo lontani dal possedere una voce e uno stile vocale vero: di mimesi vocale si tratta ma la non comuni, tutto sommato originali, differenza, che ammorba ulteriormente con cui si è dovuto confrontare. Con il tutto, è che a cimentarsi nelle imitaun risultato che avrebbe imbarazzato zioni di altri cantanti sono personaggi anche la più indulgente delle madri: televisivi di una certa fama, soubrette, lasciato solo sul palco il povero “belCoira (chur.ch) attori o cantanti. Così come altrettanlo” della canzone italiana, bardato e to conosciuti sono i tre attempatelli ingigantito come un carrozzone del membri della giuria: Loretta Goggi, Claudio Lippi e Chri- Carnevale di Viareggio, Fogli ha arrancato per quattro mistian De Sica. A gestire il tutto, il presentatore più in voga nuti tentando invano di riprodurre i vocalismi e i melismi del momento nella televisione italiana, Carlo Conti. Le del buon Roussos, sostenuto da una pioggia di applausi a singole performance vengono valutate come sempre dalla comando provenienti da un pubblico opportunamente giuria. Ai loro voti vengono poi aggiunti quelli che ciascun addestrato. “Chi glielo fa fare?”, mi sono chiesto, col cuore sfidante, secondo la propria preferenza, assegna a uno dei stretto dalla pena per quel signore, ormai anzianotto. Certo, rivali. Il valore ottenuto dalla somma delle due votazioni c’è di mezzo la beneficenza ma evidentemente, come dicepermette di comporre la classifica parziale di ogni puntata vamo, la contropartita da qualche parte deve pur esserci, il cui vincitore devolve in beneficienza i tremila euro vinti. altrimenti il “massacro” non si spiega. Sulla base del totale dei punteggi ottenuti nelle dieci serate verrà decretato il vincitore finale. Zapping Di fronte a tale scempio ho optato per un bel documentaIl gioco e il massacro rio. Se non altro, brutti o belli che siano, gli animali la loro Senza voler mettere per forza in mezzo il buon Flaiano – dignità la conservano sempre e comunque. Resta il dubbio: forse l’intellettuale italiano più saccheggiato in quanto a ci- se proprio volevano divertirsi, perché non se la sono orgatazioni – in “Tale e Quale Show” il gioco si trasforma presto nizzata fra di loro, la mascherata? Il fatto è che a cinque in massacro. Sì, perché per chi non lo sapesse, i concorrenti milioni di italiani il format piace, alla faccia di chi il canone non si limitano a imitare vocalmente i cantanti in oggetto lo paga e vorrebbe vedere ben altro. Non sarebbe allora ma vengono addobbati, truccati e ingrassati o dimagriti (a meglio stabilire a priori verso che tipo di programmazione seconda del caso), in modo da mostrarsi come veri e propri vorremmo fossero indirizzati i “canonici” quattrini?


Speranza

L’economia delude, la politica sconcerta, i grandi valori di un tempo sembrano appannati. In cosa credere, in cosa sperare? di Gaia Grimani

Il tempo in cui viviamo è forse uno dei più disperati della di una ragazza che, come molti studenti non capiva nulla storia: la gente è aggressiva, si sente frustrata, non crede nel di matematica e i continui scarsissimi voti che otteneva nei futuro. I paesi industrializzati sono per lo più economica- compiti in classe di questa materia avrebbero scoraggiato mente in crisi. Da quelli tradizionalmente poveri milioni chiunque. Era però molto brava nelle materie letterarie e di persone fuggono alla ricerca di un luogo in cui vivere progettava un avvenire in quella direzione. meglio, persino quelli in via di sviluppo hanno rallentato Arrivata alla maturità, ottenne nello scritto il solito votacla loro crescita. I vecchi stentano limitati da pensioni cio, ma si preparò con molta cura l’esame orale. Vi giunse ogni giorno più snelle e incerte e con il sogno di poter compensare i giovani, da sempre fiduciosi nel l’esito dello scritto e superare l’esaloro avvenire, sono delusi per la me. Lottava perché la sosteneva difficoltà di trovare un lavoro e si una grande speranza e quando il sentono sconfortati nel pensare al docente, alla prima risposta sbaproprio futuro. gliata, stava già per congedarla, Eppure nessun uomo può vivere lei insisté perché le fossero date senza speranza; se gli si toglie la altre possibilità. Il docente, pur capacità di progettare e di guardare incredulo, l’assecondò e lei riuscì avanti, perde rapidamente il gusto nell’intento che si era proposta. della vita. All’ingresso dell’Inferno Senza quella speranza e la fiducia in dantesco sta scritto: Lasciate ogni sé non ce l’avrebbe mai fatta. speranza o voi ch’entrate. La condiGli innumerevoli sogni che colorazione infernale della condanna senno la nostra esistenza muovono il za appello riflette proprio l’assenza nostro agire e ci migliorano. Eppure di speranza, metafora della morte nessuno comincerebbe un’impresa, spirituale e della perdita della vita si metterebbe ad affrontare duri e della luce divina. anni di studio, sacrifici e lavoro, Chi è ammalato di un male, crudelse non si attendesse un risultato mente definito incurabile, se ne è positivo dai propri sforzi. Lo scrittore, drammaturgo e presidente ceco, veramente persuaso, si lascia andare Václav Havel (1936–2011); immagine tratta e, non riuscendo a trovare dentro Il senso della vita da albtex.wordpress.com di sé lo spirito di una pur fievole Durante l’esistenza siamo posti di speranza, soccombe alla malattia; fronte a due aspetti della speranviceversa, se tale prospettiva di guarigione non gli viene za: il primo, che chiamerei orizzontale, riguarda i nostri sottratta, può persino ritrovare dentro di sé la forza di vin- progetti quotidiani; il secondo, verticale, concerne il cere la sua battaglia. Ma oggi chi fa attenzione alle potenze senso ultimo della vita. Václav Havel, ex presidente della dell’anima? Chi si rende conto che non siamo un corpo, Repubblica Ceca soleva dire: “La speranza non è la convinma abbiamo un corpo? zione che le cose avranno un lieto fine; è la certezza che le cose Togliamo a un uomo la speranza e sarà come sottrargli hanno senso”. E lo possono avere solo se innalzate a una la vita. L’umanità non avrebbe mai conseguito nessun prospettiva più alta dell’appagamento quotidiano. progresso, se alcuni individui illuminati non ci avessero Possedere l’ultimo modello di iPad, l’automobile più luscreduto e non avessero sperato nel successo di un’impresa, suosa, il lavoro più ambito e persino l’uomo o la donna al di là di ogni ragionevole speranza. più desiderabili, non bastano alla felicità umana, poiché tutto può, prima o poi, generare delusione. Per evitarla e Speranza o tenacia? dare un senso alla vita, bisogna essere capaci di passare Mi ha sempre sconcertato molto nella mia carriera d’in- dalle speranze alla grande speranza, l’unica che può saziare segnante scoprire che avrei potuto sancire con il mio il desiderio radicale che ci abita, espressione della mancomportamento il successo o l’insuccesso di uno studente, canza di qualcosa cui sentiamo di avere diritto. Alcuni la alimentando le sue speranze e incoraggiandolo, oppure chiamano felicità, altri Dio. Alla fine, nella sua Lettera ai deprimendo i suoi sforzi per riuscire e ottenendo così il Corinzi, l’apostolo Paolo dichiara: “Queste sono le tre cose contrario. Che responsabilità! Mi capitò una volta il caso che rimangono: la fede, la speranza e la carità”.

Virtù 11


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ra le cose che più mi legano al Ticino ci sono le vedute del Ceresio che si ammirano da Gentilino. Sono nato a Zurigo nel 1974 e sono arrivato sulla Collina d’Oro all’età di due anni. Ero ancora un germoglio e ho messo radici qui. Ci siamo trasferiti a Lugano quando mio padre ha preso le redini dell’azienda. È stato un ritorno alle origini nella casa di famiglia a Gentilino. Quella villa con vista panoramica sul lago, incorniciato dalle montagne ripide, torna ancora oggi nei mei sogni nonostante io non ci abiti più da anni. Persino l’episodio della saga di Guerre Stellari, ambientato nella loggia del Balbianello sul lago di Como, mi dava l’impressione di svolgersi a Gentilino. Qui hanno vissuto il mio bisnonno, Ettore Ambrosetti, capitano d’industria, mio nonno Flavio, pioniere del bebop e del jazz moderno in Europa, e mio padre Franco, musicista e compositore jazz, che rappresenta la colonna sonora della mia vita. La villa negli anni divenne un cenacolo musicale. Tra i vari personaggi ricordo ancora Michael Brecker seduto sul terrazzo di casa. Sarebbe stato lui anni dopo a stregarmi con la sua musica. Più che di un’esistenza divisa tra la ricerca fisica applicata e il sassofono, parlerei di un percorso in cui emergono alcuni leitmotiv. Uno su tutti è la passione per la scienza e la tecnica. Da bambino disegnavo treni e centrali elettriche in prospettiva e m’interessavo alla canalizzazione dell’acqua e alla costruzione di forni. Il mio universo era dominato dal trionfo delle macchine. Ero marinettiano senza condividere il rifiuto del passato. Mi sentivo un po’ un alieno. Nel corso di una trasmissione dedicata al nonno e al papà dissi che la musica mi piaceva molto, ma volevo seguire la via della tecnica. Con gli anni la colonna sonora dei miei giorni si arricchisce e tutto si mescola. Brani fondamentali sono stati Moment’s notice di John Coltrane e Stablemates suonato da Herbie Hancock. Cityscape di Claus Ogerman e Michael Brecker è stato il disco che mi ha cambiato la vita. Mi ha ipnotizzato. Non riuscivo a sentire altro negli anni ottanta. Musica, tecnica e visioni si fondevano nel mio senso estetico. Iniziai a pormi domande sulla strut-

tura dell’universo e sulla percezione della realtà. Da una parte davo spazio alla ricerca della verità scientifica e dall’altra ai sentimenti e in particolare alle donne. Si dice che musica e fisica siano correlate perché basate su matematica e modelli. Io le vedo scisse in due anime: una razionale e l’altra viscerale. La musica è stata il mezzo per esprimere le mie emozioni. La folgorazione per il sassofono è venuta dopo un concerto di Michael Brecker a Milano. È stato un inizio difficile e sofferto. Dal sax tenore non veniva fuori nulla. Alla fine del liceo John Coltrane inizia a entrare nella mia vita e con lui il sax soprano. Mi si è aperto un mondo. Quello strumento, che sottovalutavo, segna il mio esordio in una registrazione amatoriale. Dopo la maturità vado a Boston per studiare con Jerry Bergonzi che mi ha insegnato la vera libertà. Lui ha capito come fare funzionare il mio maestro interiore. Poi tornato in Europa, inizio a studiare fisica all’università di Bologna e scopro un’altra passione. C’è qualcosa che unisce la musica, la fisica teorica e la ricerca in ambito ingegneristico. Ci si trova di fronte a problemi senza soluzioni preconfezionate. Ci si muove sull’orlo dell’abisso. Proprio questa vertigine porta ad assemblare in modo inedito elementi noti come nell’improvvisazione jazzistica. Non sono le note, ma è l’insieme che fa la differenza. Suonare è come raccontare storie e dipingere quadri. Ho il terrore del palco, ma non lo dò a vedere. La frustrazione per il sax tenore mi ha portato a inventare un nuovo strumento: il carbofono. Si tratta di un soprano racchiuso in un involucro dal quale non esce il suono che, microfonato all’interno, produce una timbrica modificata elettronicamente. Nel lavoro sono workaholic. La musica è il mio yoga, il mio stacco quotidiano. Quando sono all’estero negli alberghi chiedo di aprire le sale conferenze per suonare il sax. Suono per un’esigenza interiore e non per dimostrare qualcosa. Questa è stata la vera conquista.

GIANLUCA AMBrOSETTI

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Ha il jazz nel sangue, visti gli illustri musicisti presenti in famiglia. Considera la musica il suo yoga quotidiano, uno strumento con il quale raccontare storie e dipingere quadri. Muovendosi sempre sull’orlo dell’abisso

testimonianza raccolta da Stefania Briccola fotografia ©Flavia Leuenberger


ATTO III – SCENA I testi di Demis Quadri; fotografie ©Reza Khatir

In un’epoca di grandi mutamenti e domande identitarie, anche il teatro si interroga su se stesso, e con lui i suoi protagonisti. Per sondare il terreno, abbiamo posto tre domande a sette giovani attrici: Perché interessarsi al teatro nell’era della comunicazione globale e di massa? Da dove nasce il desiderio di calarsi nei panni di una persona diversa da sé? C’è un regista con il quale sogni di lavorare?

SARAH LERCH Per me una vera comunicazione è istantanea e diretta. Questo non vuol dire che si debba necessariamente usare la parola: la comunicazione inizia con la presenza fisica di due partner in uno spazio condiviso. Perciò il teatro ha l’importanza di un luogo d’incontro vero, e non virtuale. Quando sono in scena, non penso tanto a mettermi nei panni di qualcun altro, ma provo a trovare gli atteggiamenti del personaggio dentro di me, come se sottolineassi dei tratti che sono miei. Quindi la ricerca di un personaggio è sempre anche una ricerca sui miei lati conosciuti e sconosciuti. A me piace lavorare con registi interessati soprattutto a collaborare con gli attori, in modo che tutti possano contribuire alla creazione. Chiaramente se Peter Brook, James Thiérrée o Simon McBurney mi chiedessero di lavorare con loro non direi di no, ma per me alla fine il rapporto personale e il sentimento di fiducia reciproco con un regista sono più importanti della sua fama.

Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. khatir.com

Queste fotografie sono state realizzate con la pellicola Polaroid 665 neg/pos, fuori produzione già da diversi anni, acquistate sul portale eBay da Singapore e scadute nel 2007


AnAhì TrAversi Il teatro, oggi come nel passato, si basa su un fondamentale rapporto per cui qualcuno presenta qualcosa a un pubblico. Si tratta di un moto primordiale, che è dentro di noi in modo ineliminabile e che avrà sempre uno spazio rilevante nella vita dell’uomo, come parte dei suoi comportamenti e della sua cultura.

Interpretare, da un lato è prendersi una vacanza da se stessi, dalla propria singolare umanità: bisogna cercare di allontanarsi dai propri limiti, dalla quotidianità, per avvicinarsi a una delle possibili variazioni del nostro essere. Dall’altro, nel continuare ad attraversare personaggi diversi quello che rimane – il residuo – è in definitiva la propria persona.

Ammiro molti registi, contemporanei e del passato. Mi dispiace molto non aver incontrato Giorgio Strehler, che è stato uno dei più grandi registi degli ultimi tempi. Oggi mi intrigano molto il lavoro di Bob Wilson e gli approcci fortemente performativi e visivi.


Ángela Castillo Rojas La sperimentazione dal vivo del teatro è insostituibile per i nostri sensi: siamo corpi percettivi, sensibili a quanto ci circonda. I corpi in un medesimo spazio condividono domande, si avvicinano, respirano insieme. Viviamo in un tempo in cui forse è particolarmente giusto interessarsi al teatro.

Direi che c’è un lato che fa parte di noi e che possiamo esagerare, trasformare ecc., per poi attingerne nella ricerca di un personaggio. Forse questo desiderio si lega a una ricerca sulle proprie esperienze personali per trovare quello che si ha per poi dare vita a un essere diverso da sé.

Attualmente no. Ma mi interessano molto le ricerche di diversi registi come Eugenio Barba, Lloyd Newson e Santiago García, che penso facciano un lavoro che apre per l’interprete grandi possibilità di creazione e sviluppo dall’individuo verso il collettivo e viceversa.


Natalia FraNchi Il teatro è un’arte che permette, tanto agli attori quanto al pubblico, di abitare il presente. In quest’epoca in cui il tempo fugge dalle nostre mani, il teatro ci dà quindi la possibilità di “essere presenti”.

Quando creo un personaggio parto sempre da me stessa: mi interessa l’idea di trovare quello che c’è di me nel personaggio e quello che c’è del personaggio in me. Fa parte di un gioco, o meglio di un rito, che mi permette di vivere emozioni e modi diversi di vedere il mondo.

La verità è che in questo momento non ho alcun desiderio particolare per quanto riguarda il lavoro con un regista specifico. Ci sono molti registi che ammiro, ma al contempo ho veramente voglia di creare e di essere la regista dei miei propri progetti.


AnnA KisKAnç Con il teatro si cerca un ritorno all’essenza, all’autenticità, alle origini. Come le supertecnologie, anche le diverse forme teatrali si evolvono, ma il fulcro rimarrà sempre lo stesso: uno spazio, lo spettatore, l’attore. Dando vita a questi tre elementi si crea una magia comunicativa unica e insostituibile.

Innanzitutto l’attore, qualsiasi personaggio interpreti, deve pescare tutto dentro di sé, fare suo il personaggio. L’imitazione superficiale risulta piatta e scarsa in comunicatività. Penso che il desiderio sia quello di risvegliare emozioni alle quali non diamo sufficientemente spazio nella vita quotidiana.

Al momento non c’è una persona che prediligo più di altre. Sto cercando una collaborazione che coinvolga la sperimentazione continua di una forma espressiva includendo sia le potenzialità fisiche sia quelle verbali, insieme alla ricerca di un contenuto che possa lasciare un’impronta non limitandosi al puro intrattenimento.


Raissa avilés Il giorno in cui via Skype si potrà respirare la stessa aria che respira un attore che è in azione dall’altra parte dello schermo ne riparliamo. Per ora il potere e la necessità del teatro risiedono nella condivisione dello spazio, nello scambio di energia. Sfido Google a fare lo stesso.

Intepretare è capire. Ho sempre voluto comprendere le persone, le loro motivazioni, le loro ferite, i loro bisogni essenziali in quanto esseri umani. In ognuno di noi è racchiusa l’umanità intera, possiamo connetterci con essa. Chi non si è identificato con il personaggio di un libro, anche se molto diverso da se stesso?

Ci sono registi più o meno famosi che ammiro, ma le persone con cui veramente voglio lavorare le trovo sul mio cammino. Ci si incontra, ci si capisce artisticamente e umanamente, e si ha voglia di condividere un processo creativo. È bellissimo quando succede.


Sara Bocchini Perché ci serve un antidoto! Non tutti abbiamo potuto scegliere se volevamo o no questo tipo di comunicazione: in parte ci è stata imposta, o ci è caduta addosso, o non siamo stati capaci di mettere dei limiti. Il teatro può parlare a tanti, ma in un modo speciale per ognuno: è fondamentale.

Non credo che interpretare un personaggio significhi calarsi nei panni di qualcuno diverso da sé. Penso si tratti di incontrare qualcosa che ci appartiene, ma che per diverse ragioni non utilizziamo nella quotidianità. “Io è un altro” diceva Barrault. Sono d’accordo: altrimenti non mi spiego metà della mia vita! Sono tanti, alcuni non vivono più!

Un paio di nomi attuali: Nekrošius, un lituano che mi ha mostrato cosa fosse il physical theatre prima che se ne cominciasse a parlare, e Pavel Štourač con il suo Teatro Continuo, per la qualità profondissima del loro lavoro.


Cosa bolle oggi in pentola? Tendenze p. 44 – 45 | di Francesca Ajmar


Chi ama cucinare, conosce bene l’importanza della scelta degli utensili, delle pentole o dei contenitori per la perfetta riuscita di una ricetta. Le caratteristiche e l’ottima qualità degli ingredienti possono infatti essere enfatizzati da un corretto utilizzo di questi strumenti, capaci di intervenire sia sul tipo di cottura che sulla presentazione di una portata. Che le pentole facciano parte da sempre della vita familiare, e che abbiano rivestito un ruolo primario soprattutto nelle società contadine, emerge anche dalla quantità di proverbi popolari in cui questi accessori rientrano: “Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”, “Troppa carne in pentola...”, o ancora: “I guai della pentola li sa solo il coperchio”. Dalla terracotta all’acciaio Il nome “pentola” deriva dal latino picta, divenuto poi in vulgare pinta, proprio per il materiale utilizzato in gran parte per la loro fabbricazione: terracotta smaltata e a volte decorata, dipinta, quindi “picta”, all’incirca con la stessa tecnica ancora oggi in uso. Un’altra ipotesi di origine etimologica è da pendula, poiché anticamente le pentole in metallo venivano appese con una catena a un treppiede, e poste sopra il focolare. Interessante e non casuale anche il legame di significato tra “gusto”, inteso dal punto di vista estetico, e lo stesso termine pensato come “sensitivo”, legato al senso, appunto, di percepire e distinguere i sapori. Scoperta probabilmente in modo casuale la maggiore bontà e digeribilità del cibo cotto, in particolare della carne, I’uomo sperimentò il primo sistema di cottura, una sorta di spiedo, che successivamente divenne una griglia per la cottura alla brace. Attraverso l’uso di grassi animali, prima, e vegetali poi, si scoprì la possibilità di friggere e la necessità di creare dei recipienti che potessero contenere gli alimenti, in particolare carni e verdure, una sorta di

L’evoluzione di un utensile di uso quotidiano, antico, presente in tutte le civiltà, e sempre al passo coi tempi pentole e casseruole primigénie per la cottura bollita o brasata. Man mano si comprese che questi contenitori dovevano possedere queste caratteristiche fondamentali: essere impermeabili, resistenti alle alte temperature, ed essere buoni trasmettitori di calore. L’argilla fu il materiale utilizzato per creare i primi contenitori in coccio, che però presentavano un grave difetto di permeabilità. La loro superficie porosa non era in grado di contenere a lungo i liquidi, che quindi fuoriuscivano durante la cottura. L’invenzione della lega bronzea – materiale pregiato e costoso, ma senz’altro molto più duraturo della terracotta – fece sì che venissero creati i primi paioli, resistenti e capaci di contenere notevoli quantità di cibo. Questi utensili vennero ben presto riprodot-

ti in più esemplari identici per una questione di economia di produzione, secondo un rudimentale concetto di “industrial design”. In seguito, durante il Medioevo, il bronzo venne spesso sostituito dal ferro, ugualmente resistente, ma molto più economico e più semplice da forgiare. Dal bronzo e dal ferro si passò all’argento, al rame, all’alluminio, fino ad arrivare in epoca recente all’acciaio e persino al titanio. Alla pentola intesa come calderone, gran contenitore capace di raccogliere fino a 50 litri d’acqua, si affiancarono la marmitta per impieghi analoghi e la padella, dapprima soltanto in ferro, poi anche in altri metalli, fino alla recente pentola d’acciaio. I primi ritrovamenti in Europa mostrano pentole in terracotta o in pietra ollare, materiale, quest’ultimo, che sta tornando in auge per particolari impieghi. Il Museo della pentola Per chi fosse interessato, vale una visita il “Museo della pentola” a Rozzano (MI), in via Curiel, 242 (tel. 0039 02 57548; info@amcitalia.it), con una collezione che va dal III millennio a.C. fino ai giorni nostri, dove si possono ammirare anche la ricostruzione di una bottega, di un calderaio e una cucina d’epoca in miniatura. Sono presenti inoltre diversi tipi di pentola “armata”, tipica delle coste italiane, in uso dal 1300 in poi. Si tratta di un contenitore in terracotta rivestito da una maglia in ferro del tutto simile alle reti da pesca, che quindi ne rafforza la superficie, mantenendo le caratteristiche termiche del materiale.


La domanda della settimana

Trovate eccessiva l’offerta di trasmissioni televisive dedicate al gioco del calcio?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 3 ottobre. I risultati appariranno sul numero 41 di Ticinosette.

Al quesito “Il tanto atteso Piano Viabilità del Polo Luganese continua a manifestare seri «problemi di gioventù». Era meglio quando si stava peggio?” avete risposto:

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Astri ariete Formidabile energia e creatività. Date spazio ai vostri desideri divertendovi. I transiti nell’ottava casa solare vi portano verso una metamorfosi.

toro Tempesta passionale. Difficilmente riuscirete a controllare la vostra possessività. Decisioni o rotture dettate dall’orgoglio. Ascoltate il cuore.

gemelli Rapporti familiari instabili. Attenti alle parole in libera uscita. Fase positiva nei rapporti professionali con i collaboratori. Malinconie serali.

cancro Giove e Venere favorevoli. Transito ideale per fidanzamenti e colpi di fulmine. Relazione passionale ma armonica. Bene tra il 2 e il 4 ottobre.

leone Nervosismo in famiglia. Canalizzate le energie nell’Eros o in una attività sportiva. Scelte drastiche per i nati tra la prima e la seconda decade.

vergine Amore a gonfie vele. Momento propizio per artisti e creativi. Ottime prospettive per la chiusura di una vertenza legale. Riposo tra il 2 e il 3.

bilancia Nuova energia: sfruttatela per terminare un progetto. Scegliete con cura i vostri alleati. Cambiamenti decisivi per i nati nella prima decade.

scorpione Gelosie in ambito professionale. Se riuscirete a tenere sotto controllo il vostro ego tutto andrà per il meglio. Incontri tra il 2 e il 3 ottobre.

sagittario Potete dar via libera alla vostra reale natura e realizzare qualcosa di importante. Situazioni e incontri originali. Controllate l’alimentazione.

capricorno Rottura dei vecchi schemi. Competitività all’interno dei rapporti matrimoniali e/o professionali. Cogliete al volo una importante opportunità.

acquario Vi sentiti pronti a entrare in competizione. Affrontate una situazione per volta. Siate creativi. Il gioco è il segreto dell’eterna giovinezza.

pesci Ogni cosa tende ad aggiustarsi. Colpi di fulmine e/o situazioni piacevoli in compagnia del partner. Stanchezza tra il 2 e il 3 ottobre


Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 41

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 1. ottobre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 3 ott. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. Poliedro a dodici facce • 10. Cantone svizzero • 11. Malati di mente • 12. Legno pregiato • 14. Stato africano • 15. Hanno menti eccelse • 16. Ungheria e Norvegia • 17. Isola greca • 19. Il dio dei venti • 21. La fine della Turandot • 22. Il fiume di Bottego • 24. Riconfermare, rinominare • 26. Nessuna Notizia • 27. Variopinto pappagallo • 28. Pedina coronata • 29. Il pupo dell’Iris • 31. Proprio stupido • 33. Arnesi dei boscaioli • 35. Ente Turistico Ticinese • 36. Acquitrino • 39. Assicurazione Invalidità • 40. Il bel Delon • 41. Paesi Bassi • 43. Consonanti in ruota • 44. Variegata • 46. È dolce in un film di Wilder • 48. Imbottitura • 49. Quelli d’inverno sono le serre • 51. Circolano in Giappone • 52. Mesce vino. Verticali 1. Noto film del 2007 di e con Julie Delpy • 2. Un rettile innocuo • 3. La dea della caccia • 4. Questa cosa • 5. Cuor di cane • 6. Trappole del pescatore • 7. Piccolo cervide • 8. Una sigla del biologo • 9. Intacca la vite • 13. Nome d’uomo • 18. I connazionali di Obama • 20. Una nota Goggi • 23. Regione etiope • 25. Paladino • 30. Gracida • 32. Anomale, inusuali • 34. Valutare i danni • 37. Né questi, né quelli • 38. Alno • 42. Matita • 45. Lo sport della Gut • 47. In nessun tempo • 50. Consonanti in daino.

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La soluzione del Concorso apparso il 13 settembre è: VERITIERO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Silvietto Cauzza 6695 Piano di Peccia Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: buono RailAway FFS per l’offerta “Rigi - La regina delle montagne” RailAway FFS offre 1 buono del valore di 100.– CHF per 2 persone in 2a classe per l’offerta RailAway FFS “Rigi – La regina delle montagne” da scontare presso una stazione FFS in Svizzera. Ulteriori informazioni su ffs.ch/montagne.

Rigi - La regina delle montagne. Il piacere di stare in cima al mondo. Un emozionante viaggio a bordo della prima ferrovia di montagna europea seguito da una passeggiata con vista mozzafiato sulle Alpi. Questo è ciò che vi aspetta se decidete di intraprendere un’escursione sul Rigi. Inoltre grazie alle aree attrezzate per barbecue e ai parchi giochi per bambini potrete gustarvi appieno un pomeriggio all’aria aperta in famiglia.

Svaghi 47


Per ogni situazione e ogni stile di vita. Gli innovativi elettrodomestici da incasso di Siemens. siemens-home.ch

Se prima la cucina era un semplice luogo di lavoro, oggi è considerata uno spazio abitativo sempre più importante all’interno della casa. Di conseguenza anche le esigenze di arredamento sono particolarmente elevate. Sia che per voi l’efficienza o la sicurezza dei bambini siano al primo posto, sia che diate invece la priorità al design o al comfort, sia che viviate in coppia o in famiglia, Siemens non solo vi offre una vasta gamma di elettrodomestici da incasso, ma vi propone numerose innovazioni

che vi aiutano nella vita quotidiana quando si tratta di cucinare, refrigerare gli alimenti e lavare: perfezione tecnica, forme moderne, impiego ultraefficiente delle risorse e design straordinario. E la sofisticata ergonomia degli apparecchi di Siemens rende il loro utilizzo piacevole e divertente. Un parere condiviso anche da numerose giurie di design.

Siemens. Il domani è qui.


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