№ 45 dell,8 novembre 2013 · con Teleradio dal 10 al 16 nov.
spiriTualiTÀ
un viaggio per immagini nella quotidianità di alcuni complessi conventuali svizzeri
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Ticinosette n. 45 dell’8 novembre 2013
Impressum Tiratura controllata 68’049 copie
Chiusura redazionale Giovedì 31 novembre
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
4 Kronos Guillaume-Henri Dufour. La Svizzera di carta a cura della redazione ............. 8 Media Televisione. Reality, non realtà di aleSSandro taBacchi .................................... 9 Arti Mostre. Il grande equivoco di aleSSandro taBacchi ........................................... 10 Mundus Religione. Una Chiesa vitale di don rolando leo ...................................... 12 Vitae Gianna Macconi di laura di corcia ............................................................... 14 Reportage Monaci di roBerto roveda; fotografie di Patrick gilliéron loPreno........... 39 Fiabe Stampello e Stampella di g. locatelli; illuStrazioni di S. groSSlercher .............. 46 Tendenze Commercio. Swap Party di laura di corcia ............................................ 48 Svaghi ..................................................................................................................... 50 Agorà Imprenditoria. Chiasso: città del futuro?
di
Stefania Briccola..........................
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
Stampa
(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Monaci cistercensi. Abbazia di Hauterive (FR) Fotografia ©Patrick Gilliéron Lopreno
Riflessioni sulla patria Pubblichiamo con piacere uno scritto di una nostra collaboratrice giunto in Redazione a commento del mese tematico dedicato all’identità e alla cultura svizzera (“Gli Svizzeri”) che le reti SRG SSR propongono sino al prossimo 30 novembre. Ricordiamo che i programmi radio e TV che rientrano nell’iniziativa sono contrassegnati o colorati in rosso (vedi inserto centrale “Teleradio”). Per capire da dove veniamo, chi siamo e dove andremo la nostra RSI si è letteralmente mobilitata con tutto il suo potenziale radiotelevisivo, per parlare di noi svizzeri. Abbiamo così sentito il richiamo alle nostre origini, perché da tempo ci interroghiamo su come stiamo affrontando i cambiamenti sociopolitici. L’idea di concentrare un mese di programmazione tematica sugli svizzeri, in un momento storico particolarmente delicato, aldilà di alcune polemiche, fa risplendere le nostre radici. Perché malgrado le caratteristiche che gli altri ci invidiano come il perfezionismo, la precisione e la puntualità, e malgrado la Svizzera sia forte grazie al suo plurilinguismo e al suo federalismo, molti di noi soffrono di una crisi d’identità. Chi scrive è cresciuta in una famiglia ticinese, con un padre patriota come la maggior parte degli svizzeri della sua epoca. Un padre che si profilava per il mantenimento dei valori confederati ma che impartiva lezioni gratuite agli italiani (in prevalenza erano operai) che lo interpellavano, in qualità di uomo di scuola, perché volevano ottenere il passaporto svizzero. E dunque necessitavano di una formazione civica per poter superare gli esami. La contraddizione che si respirava in famiglia (da un lato si difendeva la patria ma dall’altro si dava una mano agli immigrati italiani), oggi ce la spieghiamo osservando la storia di questo paese. Il ruolo
della Croce Rossa esclude forse o è incompatibile con la legge federale sugli stranieri? Abbiamo alle spalle una generazione di antenati, nonni e bisnonni, che in tempo di guerra aiutavano i fuoriusciti partigiani a oltrepassare il confine. Oggi abbiamo amici con passaporto straniero. Un argentino, una rumena e un siriano, sposato con una sua connazionale, nata e cresciuta in Svizzera. Di nazionalità siriana, avendo sposato un’autoctona, ha da poco ottenuto il passaporto svizzero con la naturalizzazione agevolata, e ora ha la doppia cittadinanza. Era visibilmente emozionato mentre noi stupiti ci chiedevamo: ma come, è qui da soli cinque anni ed è già svizzero? Ma cosa è successo a questo paese? Potremo forse trovare alcune risposte a queste nostre domande dopo aver seguito i quattro documentari-fiction “Gli Svizzeri”, seguendo molte altre proposte radiotelevisive sul tema, (scritto in maiuscolo per sottolineare non solo la semplice appartenenza geografica e culturale). La contraddizione che di certo abbiamo ereditato non ha nulla a che vedere con la difesa dei valori ai quali siamo legati (e quando diciamo il nostro paese è perché nutriamo per esso un legame d’amore). Avere degli amici stranieri e provare un forte senso di cittadinanza rossocrociata non sono realtà che si autoescludono. E nemmeno entrano in contraddizione tra loro. Giustizia e umanità possono coesistere. Il nostro paese lo riconosciamo per le battaglie di personaggi illustri che hanno avuto la forza di battersi. Il ricordo dei posteri viene dunque ricostruito attraverso questa seri di trasmissioni radiotelevisive dedicate al tema, che andranno in onda per tutto il mese di novembre, nel solco della memoria collettiva e attraverso la voce di sei personaggi emeriti che hanno fatto la storia svizzera. Nicoletta Barazzoni, giornalista
Chiasso: città del futuro? Imprenditoria. La delocalizzazione delle aziende dall’Italia al Ticino è ormai una realtà. Il fenomeno porta con sé inevitabili conseguenze economiche e sociopolitiche di cui abbiamo discusso con Moreno Colombo, sindaco di Chiasso, dopo il recente incontro con gli imprenditori italiani. La città di confine sta infatti ponendo le basi per divenire un importante centro produttivo e uno snodo nei flussi economici europei di Stefania Briccola
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l sindaco di Chiasso, Moreno Colombo, promuovendo l’iniziativa comunale “Benvenuta impresa” lo scorso 26 settembre nel teatro della città di frontiera ha risposto a una domanda pressante con l’obiettivo di porre un po’ d’ordine all’esodo incontrollato di aziende che dalla vicina Italia stanno cercando di trasferirsi sul suolo svizzero. Certamente la Svizzera presenta indubbi vantaggi, come la burocrazia snella e una fiscalità equa, ma certamente non è l’Eldorado. Non si accetta il dumping salariale, l’occupazione massiccia dei frontalieri e gli stipendi devono rispettare valori ben definiti. Per chiarire meglio le regole di ingresso delle nuove attività a Chiasso, il Comune ha pubblicato un compendio ricco di informazioni dettagliate. In esso sono presenti una serie di linee guida con indicazioni chiare da osservare per le aziende che mirano a trasferirsi a Chiasso, città cha aspira a trasformarsi in un polo del terziario e in un incubatore di start-up nel settore digitale tramite la Fondazione Agire. Abbiamo posto una serie di domande al primo cittadino della città di frontiera in merito alle polemiche suscitate dall’iniziativa, che non ha nulla di eccessivo se commisurata alle campagne di promozione del territorio poste in atto da altri cantoni. Colombo ci ha descritto le prossime fasi della strategia messa in campo, gli impegni che dovranno essere assunti da parte degli imprenditori e i cambiamenti in atto. Signor sindaco, come siete giunti all’iniziativa “Benvenuta impresa nella città di Chiasso” che si è rivelata un successo? Abbiamo iniziato due anni fa creando una banca dati relativa agli immobili e ai terreni disponibili a Chiasso. Il progetto, realizzato con il sostegno del Dipartimento Finanze nell’ambito della politica regionale, rappresenta una novità a livello nazionale. Sul sito internet di Chiasso c’è una mappa Google con le segnalazioni degli spazi attualmente disponibili, un tempo occupati dagli operatori del settore finanziario che in questi anni si è spostato verso la Svizzera tedesca. Abbiamo agevolato il contatto tra privati che facevano richieste e proponevano offerte. Chiasso ha grande disponibilità di uffici e spazi limitati per l’artigianato. Il censimento realizzato in seguito alle richieste sul territorio ha sortito l’arrivo di due banche a Chiasso.
Quindi l’iniziativa “Benvenuta impresa” si inserisce nell’ambito di un progetto più ampio che guarda al territorio e fa fronte a un’esigenza precisa. Perché dice ai ticinesi di stare tranquilli nonostante l’esodo di piccole e medie imprese che dalla vicina Italia approdano in Svizzera? La delocalizzazione è in atto e solo chi non apre gli occhi non vede le aziende italiane che approdano in Svizzera. A noi spetta di mettere un po’ di ordine. Di recente a Chiasso si è verificato un problema con l’apertura di quattro call center che hanno assunto cinquecento giovanotti, retribuiti con 800 euro al mese e puntualmente rincorsi dai sindacati. Le aziende che non rispettavano certe norme per intervento della Commissione tripartita e dei sindacati sono state chiuse. Ci siamo fatti carico di un’esigenza concreta e abbiamo riunito fiduciari e avvocati per informare le nuove società svizzere sulle regole da rispettare. Il comune ha realizzato un compendio diviso in tre parti (Confederazione, Cantone, Chiasso) dove a pagina 33 sono indicati gli stipendi che si devono versare agli svizzeri. Gli imprenditori in Ticino avranno una burocrazia più snella, minore pressione fiscale, maggiore sicurezza del diritto, ma dovranno occupare anche personale indigeno e rispettare i parametri degli stipendi salariali in uso che sono negoziati tra le parti o nell’ambito di convenzioni collettive di lavoro. Le retribuzioni medie annue lorde (compresa la tredicesima mensilità) vanno dall’attività semplice (50mila franchi) a quella semi-qualificata (65mila) fino a quella altamente qualificata (95mila). Non tutti i settori sono protetti dai contratti collettivi di lavoro e quando il privato si inventa qualcosa di nuovo nen è detto che lo stato sia pronto a rispondere. Sui giornali appare la notizia del grande esodo soprattutto delle imprese italiane e della difficoltà delle istituzioni di canalizzare nella giusta direzione questo afflusso… Siamo stati prudenti perché volendo, date le richieste giunte che sono state un migliaio, potevamo organizzare “Benvenuta impresa” allo stadio. Invece abbiamo selezionato 161 aziende e 300 imprenditori dando la priorità alle società di servizi che sono l’ideale per Chiasso. L’ente pubblico non può controllare
La dogana di Ponte Chiasso (wikipedia.org)
tutte le assunzioni, ma facendo sistema con fiduciari e avvocati possiamo creare nell’imprenditore italiano serio una mentalità di attenzione sociale, in particolare se si evidenzia il problema della disoccupazione giovanile. Chi assume personale indigeno ha la possibilità di potervi accedere tramite l’URC (Ufficio regionale di collocamento), che svolge la funzione di collegamento sul territorio tra datori di lavoro e chi cerca un impiego, e l’USSI (Ufficio sostegno sociale e inserimento) che agevola i relativi costi tramite degli incentivi. Noi vediamo che molti giovani faticano a trovare un posto di lavoro. Un disoccupato a vita costa allo stato e all’ente pubblico per l’assistenza dai 600mila agli 800mila franchi. Queste cifre devono farci riflettere. Fino a un certo periodo del secolo scorso la frontiera è stata vista come un confine flessibile e portatore di speranza. Poi c’è stata un’ondata xenofoba in cui si è trasformata in un muro che segna una divisione netta culturale e sociale. Come vede la frontiera oggi, come una barriera o un’opportunità? La ricchezza di Chiasso è dovuta in gran parte alla sua condizione di città di frontiera. Nel contesto della delocalizzazione se si abusa della situazione facendo dumping salariale e concorrenza sleale probabilmente i rapporti con l’Italia andranno a deteriorarsi. Dobbiamo regolarizzare questa situazione disordinata soprattutto perché cresce nei cittadini ticinesi la voglia di avere meno frontalieri che è del tutto legata al posto di lavoro, mentre ancora oggi i nostri commerci sul confine guardano con interesse ai consumatori italiani dislocati nel raggio di 50 chilometri dalla frontiera e non solo. L’iniziativa “Benvenuta impresa” ha cercato di accogliere le richieste secondo un disegno ben preciso della città che verrà dove il settore terziario sarà protagonista. Come vede il futuro di Chiasso? Chiasso ha sempre avuto un ruolo importante nell’attività di
trading e nei trasporti internazionali su strada e su ferrovia, ora con le nuove tecnologie sarà un nuovo crocevia nell’era del web; mantiene la propria identità e al contempo guarda al mondo. Il cantone ha deciso di fare decollare proprio qui l’incubatore per le start-up nel settore del digitale, gestito direttamente dalla Fondazione Agire e con il sostegno del comune, che sarà in grado di ospitare contemporaneamente 10-15 giovani aziende in fase di espansione con la conseguente creazione di 30-50 posti di lavoro. L’incubatore digitale di Chiasso nell’ambito del progetto Tecnopolo Ticino è una struttura in grado di attirare ogni anno nuove imprese e di generare occupazione. Gli esperti non parlano più di delocalizzazione, ma di rilancio dal canton Ticino e Chiasso sembra rappresentare un’ottima sede per guardare al mondo. Che opinione ha in merito? Possiamo solo essere lusingati da questa definizione e dal ruolo di Chiasso. Ripartire dalla nostra città è interessante, ma penso conti molto lo standard del made in Switzerland che vuole dire oltre alla qualità anche una burocrazia snella, fiscalità equa, certezza del diritto, personale qualificato che parla e scrive quattro lingue tra cui l’italiano, Chiasso è a 50 km da Milano e con AlpTransit (NFTA) potremo accorciare le distanze tra Lugano e Zurigo. Per chi vuole provare a reinventarsi Chiasso è una buona piazza. Quest’anno poseremo le fibre ottiche dapprima in alcune zone e poi in tutto il territorio comunale. Scricchiola il mito della Svizzera cassaforte d’Europa che “lava più bianco” enormi capitali. I tesoretti da mettere in banca forse non fioccano più dal cielo… Il segreto bancario in Svizzera è sotto pressione. Si va nella direzione di depositare capitali verificati a livello fiscale. Tuttavia rimane la qualità e la tempestività delle operazioni dei nostri istituti. L’attività bancaria si aggiornerà e modificherà, ma potrà ancora rappresentare il futuro del Ticino.
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La Svizzera di carta Guillaume-Henri Dufour è stato il primo generale dell’esercito svizzero. Ma è stato anche politico, ingegnere e cartografo; nel 1838 fu proprio lui a fondare l’Ufficio topografico e a dare vita alla prima completa carta nazionale a cura della Redazione
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La precisione doveva averla nel sangue Guillaume-Henri fu anche supervisore per la creazione del catasto cantonale Dufour (1787–1875). Figlio di Bénédict (orologiaio) e di e dal 1829 compì diversi viaggi in Francia per studiare le Pernette Valentin (ricamatrice e istruttrice) tra i suoi nume- realizzazioni industriali e ferroviarie transalpine. Dufour, rosi ruoli e attività svolte vogliamo ricordare qui quella di cofondatore della Scuola militare federale di Thun (1819), cartografo. La “carta Dufour” della Svizzera deve il suo nome fece l’istruttore del genio fino al 1831 quando divenne capo proprio al nostro generale, che progettò, pianificò e coordi- di Stato maggiore dell’esercito e l’anno seguente quartiermanò il gruppo di lavoro che diede vita alla carta topografica stro generale della Confederazione; egli iniziò così a dirigere i nazionale in scala 1:100.000, la complessi lavori di triangolazione prima opera cartografica ufficiale necessari alla stesura di una nuova estesa a tutto il territorio. carta della Conferedazione. La rappresentazione cartografica più antica del nostro attuale terLa “carta Dufour” ritorio si trova nella cosiddetta Così, tra il 1845 e il 1864 l’ufficio Tavola peutingeriana, che indica topografico fondato a Ginevra il sistema di strade e le distanze nel 1838 proprio da Dufour (ognell’Impero romano. Dobbiamo gi Ufficio federale di topografia) risalire ai secoli XV e XVI per ripubblicò la prima carta ufficiale trovare le prime importanti carte complessiva della Svizzera. d’insieme della Confederazione; Sin dall’inizio dei lavori, Dufour quelle elaborate su pergamena nel definì il quadro esterno della car1496–’97 dal medico e astrologo ta, che doveva consistere in una zurighese Conrad Türst, oppure griglia di cinque fogli per cinque. Il piano di Magadino a fine ’800 (map.geo.admin.ch) la rappresentazione della Svizzera Ciascun foglio comprendeva un nell’Atlante di Claudio Tolomeo territorio di 70 km di larghezza (1513), dove compare la prima carta geografica a stampa in direzione ovest-est e di 48 km in direzione nord-sud. del nostro paese. Particolarmente interessante è poi la carta La carta copriva dunque complessivamente una superfidi Aegidius Tschudi (incisa su legno e pubblicata nel 1538), cie di 350 x 240 km; i fogli ai quattro angoli erano però eseguita ex novo e ritenuta dai cartografi un’opera “eccezio- riservati ai titoli e ad altre aggiunte. Per i rilievi originali in nale”. Negli anni 1796–1802 fu eseguito per iniziativa priva- scala 1:50.000 i fogli furono suddivisi in 16 quadranti (di ta il Meyer-Weiss-Atlas, con 16 calcografie in scala 1:120.000, 17,5 x 12 km). Per la scala 1:25.000 ogni quadrante fu ulun’opera da considerare come la prima carta interamente teriormente suddiviso in quattro tavolette (di 8,75 x 6 km). nuova e globale dopo quella del già citato Tschudi. Dufour controllò di persona i rilievi originali che vennero A inizio ottocento non esistevano però carte dell’intero consegnati, che furono poi ridotti nella scala prevista per territorio in una scala elevata. Anche da un punto di vista la pubblicazione (1:100.000) e in seguito, a mezzo di un militare e strategico, dunque erano necessarie conoscenze calco, riportati a lettura inversa su lastra di rame. Il disegno precise della Svizzera. Alcuni cantoni rilevarono da soli il della carta fu inciso su rame e una volta terminata l’incisioproprio territorio; in quelli di montagna e finanziariamente ne si procedette alla stampa calcografica della mappa. La più deboli, la Confederazione fu costretta a effettuare i rilievi morfologia del terreno fu raffigurata mediante tratteggi e originali senza l’aiuto delle autorità locali. ombreggiature, aspetti assai preziosi e ricercati. La sua pubblicazione rese celebre nel mondo intero la carUn uomo del fare tografia svizzera, e l’opera di Dufour rappresentò la prima Dai primi decenni dell’ottocento, Guillaume-Henri Dufour immagine geometricamente corretta ed esteticamente piastava maturando una grande esperienza nell’ambito dell’in- cevole dello Stato federale, giovane ma già unito. gegneria civile. A partire dal 1823 si occupò della costruzione a Ginevra di diversi ponti (per esempio quello di Bergues, bibliografia 1833–34) e dal 1827 intraprese la ristrutturazione del lun- “Cartografia”, Dizionario storico della Svizzera; hls-dhs-dss.ch golago e della rada della città sul Lemano. In quegli anni “Carte storiche” in swisstopo.admin.ch
Reality, non realtà Il gioco è fatto: alcuni programmi televisivi non buttano via proprio nulla e tutto fa brodo, dal tamarro alla ricerca dell’oggetto considerato raro, dalla ristrutturazione delle case alla scelta del marito. Realtà o pseudo realtà? di Alessandro Tabacchi
Negli ultimi anni il mondo della televisione pare invaso Una gabbia chiamata vita da un’inusitata ondata di realtà. Passato quasi del tutto A volte, imbattendomi in questi spettacoli, mi vengono il trend lacrimoso dell’impegno, superato pure in parte in mente le installazioni di Paul McCarthy, l’artista amequello falso e sdolcinato del “raccontare storie”, com- ricano maestro dell’orrore grottesco, che con il ketchup e plice anche la diffusione della programmazione legata la cioccolata ricrea la sensazione del sangue e delle feci, al digitale terrestre, stiamo assistendo all’apogeo della ricostruendo in studio l’orrore della civiltà dei consumi, TV della realtà. O di qualcosa che viene spacciato per demolitrice del nostro senso estetico. Altre volte mi ricortale: la proiezione televisiva del reale, il reality (e la sua dano una versione abbrutita ed elevata a potenza di certa evoluzione iperrealista, il docu-reality), sta invadendo pop art anni sessanta, quella dei nudi senza occhi ma con progressivamente i nostri schermi in ogni momento, con i seni turgidi di Tom Wesselmann, delle pin up pornograuna violenza psicolofiche di Mel Ramos, gica e culturale tale da delle torte in bella relegare a nostalgico vista, sempre diverse antiquariato le isterie e sempre immancapost-adolescenziali e bilmente identiche di il voyerismo da buWayne Thiebaud, dei co della serratura del tavolini feticisti di Altanto aborrito Grande len Jones… Altre volFratello. Una realtà te penso anche agli sommaria, grezza, una orrori dell’Azionismo realtà falsa, una pura viennese, alle orge di apparenza di realtà, sangue di Hermann ricreata in toto artifiNitsch e ai ritratti La giuria di “The Apprentice”, con Flavio Briatore (fremantlemedia.it) cialmente. erosi e brutalizzati di Arnulf Rainer. Lezioni di stile… Ma quella era arte che faceva della critica agli orrori del E così eccoci serviti, in canali tematici e non, infinite e consumismo la propria ragion d’essere, e traeva dal disgusempre uguali sequenze di massaie alle prese con cup cakes sto che induceva nello spettatore una vera forza estetica e gelatinosi o con manie sessuali represse, sposine afflitte da morale, fungendo da sana e efficace catarsi contro le vacuità problemi edipici intente a saldare il conto con la propria del vivere alienato. Qui invece, immersi nei colori senza coscienza comprando abiti da migliaia di dollari (o euro, o sfumature dei reality, siamo all’opposto. Tutto è esaltato rupie, o yen poco conta: qui ormai il cattivo gusto è interna- come dato di fatto, quasi a dire che la vita è questa e nulla zionale), celebrazioni bulimiche dello shopping compulsivo, più: questa mancanza di prospettiva, questa asfittica gabbia orripilanti descrizioni delle operazioni a cui grandi obesi di azioni compulsive dettate solo da strategie pianificate devono sottoporsi per ridurre l’adipe in eccesso, industrio- a tavolino da menti fredde e sottili, tutto questo agitarsi e sissime famigliole plastificate intente ad acquistare casette in urlare senza senso, tutto questo sessismo votato alla vencampagna da uno o due milioni di euro (o di dollari), tanto dita di oggetti, dovrebbe indurre orrore. Un mondo in cui per sfuggire allo stress della vita in città, descrizioni minu- la fantasia sia relegata a progetto di acquisto e il senso del to per minuto della vita di tamarri sciamannati, arrapati e mistero sia bandito a favore del dato, dell’esistente senza sessisti, sedicenni immancabilmente sovrappeso alle prese alternativa, dovrebbe indurre orrore. Un mondo in cui con gravidanze indesiderate, adolescenti brufolosi caduti anche la velleità dei singoli di cambiare il proprio status nella depressione più nera, lezioni di stile e di management sia ridotta a mera pianificazione di azioni documentabili, elargite al popolo da parte di improbabili maestri dalla carta dovrebbe fare orrore. di credito facile, e poi cuochi ai fornelli, chef improvvisati o In questa realtà virtuale viene ucciso il senso profondo della meno, cucine incrostate, besciamella e grassi vegetali, cascate vita: l’esistenza è affossata dall’esistente, in una forma assai di cioccolato… cibo, cibo, cibo… sempre e ovunque cibo, simile a quel “diffuso piagnisteo” con il quale, secondo dappertutto, in ogni secondo e ogni dove… T. S. Eliot, il mondo avrebbe finito i suoi giorni
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Il grande equivoco “Pollock e gli Irascibili” è una mostra da non perdere. Non solo per la qualità delle opere esposte, ma perché permette di affrontare alcune questioni fondamentali dell’arte novecentesca di Alessandro Tabacchi L’espressionismo astratto è stato quasi sempre presentato come la prima vera esperienza artistica completamente “americana” nella storia dell’arte del novecento. In tanti non hanno resistito a considerarlo una sorta di resurrezione dello spirito eroico del romanticismo nel periodo inquieto del be-bop, in quella New York degli anni quaranta e cinquanta già icona cinematografica (non a caso la t-shirt di Pollock si sovrappose a quelle di Marlon Brando e James Dean nell’immaginario comune e nel look dei giovani ribelli).
Arti 10
Gorky percepisco le reminescenze delle anamorfosi di Tanguy, di Masson, perfino delle liquefazioni di Dalì. Senza il seme vivificatore del surrealismo (emigrato in massa fra il ’30 e il ’41 in terra americana) non si potrebbe neppure parlare della Scuola di New York. Tutta l’imponenza della tradizione figurativa europea s’incarna in due opere fenomenali: Door to the river di Willem De Kooning, vera evocazione sciamanica di un paesaggio, a mio avviso il culmine dell’esposizione – anche se per esigenze di cassetta i curatori hanno posto maggior attenzione alla tappezzeria apocalittica pollockiana di Number 27 –, e The Magnificent di Richard Pousette-Dart, prodigio di verticalità e cromie, figlie tanto della pittura bizantina quanto delle visioni filiformi di Paul Klee.
Un’esperienza dirompente Intorno al 1950 pareva davvero che a New York fosse esploso uno sturm und drang aggiornato alle angosce dell’era atomica, imbevuto di vitalismo yankee (e di una buona dose di nichilismo), ma epurato da qualsivoglia scoria europea. L’espressionismo astratLa centralità delle opere to è stato infatti un’esperienza Aggirandoci fra le opere esposte dirompente in cui il trascendentaintuiamo come l’espressionismo lismo di Ralph W. Emerson – forse astratto fosse la somma di senRichard Pousette-Dart. Dal catalogo di una mostra l’unica declinazione della filosofia sibilità e ricerche assai diverse, tenutasi al Whitney Museum nella primavera del 1963 romantica autenticamente made a volte in opposizione fra loro: in USA – giungeva a sposarsi con cosa c’è infatti di più lontano dal l’esigenza fisica di creare una nuova mitologia dell’artista vitalismo sfrenato di Pollock e Hans Hofmann delle ieratiche creatore, non più semplice imitatore della natura, ma fautore e mistiche distese cromatiche di Mark Rothko e Barnett Newdi realtà lui stesso. man? Di fronte al trascendentale senso di infinito evocato Eppure, aggirandomi fra i capolavori di questa mostra – 49 da queste distese di colore il termine action painting appare provenienti dalla collezione del Withney Museum di New inadeguato, mentre si fa strada nel nostro animo un senso York, vera Arca di Noè dell’arte novecentesca americana –, religioso che nelle altre opere pare negato. ho cominciato a nutrire seri dubbi sulla reale collocazione Quel che conta è aver di fronte a noi alcuni dei più impordi questo fenomeno artistico: francamente trovo un po’ ri- tanti manufatti artistici del ventesimo secolo, tanto da aver duttivo ricondurlo a un comune denominatore basato sulla trovato posto anche nella semiologia artistica contemporanea, sua americanità. costretta a creare nuovi sostantivi per descriverli: e allora goQui infatti gli spettri della migliore tradizione figurativa diamoci assieme il dripping (l’atto di gocciolare) di Pollock, la europea aleggiano ovunque. Nel magma filamentoso, ora zip (la linea-cerniera-confine) di Newman, il burst (l’esplosione diafano ora carnale, e solo parzialmente casuale di Jackson improvvisa) di Gottlieb, i chromatic fields (i campi cromatici) di Pollock – come può, infatti, essere totalmente casuale il Rothko… mai come in questo caso nomina sunt consequentia movimento della mano dell’artista, anche nello svuotare rerum: “i nomi sono conseguenti alle cose”). un vasetto di colore in aria? –, nel pulsare cromatico opaco L’atto creativo che si fa sostantivo per aprirsi al mondo: in delle forme biomorfe di William Baziotes, o nel progressivo barba ai critici e alle loro categorie mentali, questa è l’unica disgregarsi dei segni primari di Ad Reinhardt e Clyfford Still, definizione che darei dell’espressionismo astratto. percepisco un legame profondissimo, fosse anche inconscio, con la pennellata archetipica delle cattedrali e dei pioppi di la mostra Monet, delle marine di Courbet, delle nebbie e dei vapori di Pollock e gli Irascibili Turner, dei cavalli e delle giarrettiere di Velazquez, delle vesti Palazzo Reale, Milano. Aperta sino al 16 febbraio 2014. e degli incarnati di El Greco. Orari: dalle 9.30 alle 19.30; giovedì e sabato dalle 9.30 alle 22.30; Nell’agitarsi angoscioso dei personaggi dilaniati di Arshile lunedì dalle 14.30 alle 19.30. Chiuso lunedì mattina.
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Una Chiesa vitale
Pubblichiamo l’intervento di don Rolando Leo a commento dell’articolo “I pezzi della Chiesa” di Roberto Roveda apparso alcune settimane fa, in cui l’autore intervistava il sociologo e docente universitario torinese Marco Marzano di don Rolando Leo
Mundus 12
L’articolo pubblicato sulle pagine di Ticinosette nr. 39 a licato non può infatti essere trattato utilizzando un codice firma Roberto Roveda, dedicato al tema dei movimenti comunicativo giornalistico e un termine sommario come ecclesiali, rappresenta da un lato un bella occasione per “setta”, che presenta un’evidente connotazione negativa. parlare di una realtà complessa ed è segno di una non totale indifferenza verso queste tematiche. Dall’altra, dopo aver Che genere di credente sei? letto l’articolo ed essermi consultato con qualche giovane Quando si parla nell’articolo di credenti “normali” viene da attivo nelle parrocchie e qualche confratello, devo ammet- chiedersi cosa si intenda per “normalità”, a maggior ragione tere di non condividerne sia l’approccio sia il contenuto, se consideriamo che il modello evangelico tanto “normale” che ho trovato scoraggianti e poco equilibrati. poi non è, anzi esso appare piuttosto provocatorio. Se da un lato è vero che la pratica religiosa è molto in crisi Parlando con me un giovane si è espresso con queste parole e la scristianizzazione (o a riguardo: “Gesù chiede secolarizzazione) erode grandi cose, grandi sforzi, costantemente il tessuto è chiaro che è diverso dalla sociale (si tratta del resto normalità, ma come si fa a di un fenomeno storicoosservarlo come un fattore sociologico in atto da negativo? Invece di coglierqualche secolo e non da ne la potenza... senza nesieri), è d’altra parte indisun giudizio nei confronti scutibile che stiamo assidi chi non fa parte di un stendo a una fioritura un movimento”. po’ in tutto il mondo, un Nell’intervista Marzano dato certificato dai numedichiara che: “questi grupri relativi alle conversioni pi non hanno un interesse sia in ambito cristiano sia a vivere davvero all’interverso la Chiesa cattolica. no dello spazio pubblico”. Eventi “di massa”, di rinMa noi sappiamo che vigorimento e di ripresa si tratta di persone che di consapevolezza della lavorano e operano confede nei giovani come, cretamente nella società per esempio, le Giornaricoprendo i ruoli più te Mondiali, rimettono diversi: sono sacerdoti, in movimento molte comedici, insegnanti, proscienze, favorendo l’infessionisti, genitori. Sagresso in seminario, in rebbe questa la chiusura? convento o in monastero Mi risulta al contrario di molti giovani e meno che costantemente venIl manifesto del Meeting 2013 di “Comunione e Liberazione” (communio.stblogs.org) giovani. Perché nell’artigano organizzati eventi colo questo aspetto non aperti a tutti, anche ai lo si fa notare? Occorre dunque cercare di capire cosa sta non credenti o a persone che professono altri credi. Certaavvenendo adesso che si sono istituite realtà così forti e belle mente questi incontri/eventi vengono concepiti e attuati e diverse ma allo stesso tempo prossime tra loro. con uno stile proprio e impostazioni differenti, ma questo, Non mancano nell’articolo aspetti interessanti e condivi- caso mai, rispecchia la vitalità della Chiesa! sibili, tenendo conto delle competenze di ampio respiro Un altro giovane mi ha detto: “Quell’ondata di Spirito Santo del sociologo, ma utilizzare ancora oggi in riferimento ai tradotta in carismi e in raggruppamenti di persone è stata un movimenti ecclesiali l’appellativo “sètte”, lascia perplessi. apporto di linfa per la storia della Chiesa e del mondo. Sono i È una parola troppo forte per affrontare un’analisi e una santi dei nostri giorni, sono persone che danno tutto”. E ancocritica della dinamica Chiesa-movimenti. Un tema così de- ra: “Esistono ovunque abusi, l’uomo è uomo, ma mi fa molta
rabbia non vedere quanto è grande e bello ciò che è successo.” Personalmente non appartengo a nessun movimento ma conosco molti membri di movimenti che vivono una fede genuina, bella, sono presenti in parrocchia e la tengono viva, sono parte essenziale della Chiesa. Mi pare dunque inaccettabile non solo l’assimilazione generalizzata dei movimenti ecclesiali al concetto di “sette”, ma anche il considerare gli appartenenti agli stessi movimenti alla stregua di fanatici e persone che “vivono la fede con una partecipazione fortemente emotiva e con un’intensità talvolta eccessiva”. Seguendo i criteri del sociologo Marco Marzano, citato da Roveda, ogni ordine monastico o religioso nella Chiesa sarebbe riconducibile in un certo qual modo alla “setta”. Ma forse a Marzano danno più fastidio i movimenti, probabilmente perché vi appartengono soprattutto dei laici. Una prospettiva distorta Il professor Marzano ha pubblicato di recente un saggio, Quel che resta dei cattolici. Indagine sulla crisi della Chiesa in Italia (Feltrinelli, 2012), in cui presenta una fotografia impietosa dello stato delle parrocchie in Italia. Scattata da uno studioso che non fa mistero del suo ateismo, questa mappatura apparirà senza dubbio a molti cattolici militante, parziale e ingiusta. Tuttavia rappresenta una provocazione, su cui non è inutile riflettere. Marzano ritiene che l’unica possibilità di salvezza sia individuabile nella parrocchia “progressista”, che afferma
di avere incontrato a Torino, dove il parroco contesta sistematicamente gli ultimi due pontefici e il suo vescovo, e inneggia – o almeno lascia che i laici suoi collaboratori inneggino – all’abolizione del celibato dei preti, al sacerdozio alle donne, alla comunione ai divorziati risposati, al riconoscimento delle unioni omosessuali. A questo modello Marzano contrappone quello del Cammino neocatecumenale, che riconduce al tipo ideale della “setta”, reazionaria e oppressiva. E “sette” sarebbero anche non solo gli altri principali movimenti presenti in Italia, ma le tante parrocchie in cui un sacerdote particolarmente brillante “irreggimenta” i laici in comunità intensamente impegnate e moralmente rigorose. Ma, a parte l’impiego desueto e stereotipato del termine setta, il saggio cade in uno slittamento di prospettiva, dalla sociologia all’ideologia. Marzano non indica quali modelli di religione siano interessanti per gli uomini e le donne del XXI secolo, ma quali sono quelli a lui graditi. Il fatto è che le statistiche compilate con notevole cura da grandi sociologi come Rodney Stark e Roger Finke sul mondo protestante, e talora anche su quello cattolico, rivelano che le comunità progressiste e “politicamente corrette” incontrano il plauso dei lontani, degli atei non devoti come Marzano. Ma al contempo radunano sempre meno fedeli, che invece affollano quelle comunità “ortodosse” e aderenti alla morale cristiana tradizionale che Marzano vorrebbe liquidare come settarie. Insomma, meglio ascoltare qualche altra campana? E ognuno rifletta con spirito critico.
À T I V NO
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L
a mia famiglia è originaria del Malcantone: mio nonno era fornaciaio, e come molti fornaciai ticinesi ha deciso di emigrare nell’Oltrepò pavese, prima solo provvisoriamente, poi in pianta stabile, sposandosi e filiando. Mio padre è nato e cresciuto in quell’ambiente. Io sono nata il 9 marzo del 1937. Nel 1950 una tragedia si è abbattuta sulla mia famiglia: mia madre è morta, lasciando mio padre solo con tre figli. Per aiutarlo suo fratello, che nel frattempo si era trasferito di nuovo in Ticino e faceva il medico condotto in Valcolla, ha deciso di occuparsi di me e mio fratello. Ho vissuto con questo zio, una persona eccezionale che ancora tutti ricordano da quelle parti per la sua disponibilità umana, e ho frequentato il Liceo letterario a Lugano, iscrivendomi in un secondo momento all’Università di Pavia, dove ho studiato dapprima Lettere moderne, poi, dopo la prima laurea, la seconda, in Lingue e letterature straniere. Mentre ero alla Sorbona per un semestre, mi arrivò una telefonata dell’allora direttore del ginnasio di Mendrisio. Iniziai a insegnare lì, prima come supplente, poi come docente di ruolo. Un anno portai una classe al Festival di Locarno e lì conobbi di persona Bixio Candolfi, che già aveva sentito parlare di me dalle figlie, Patrizia e Simonetta, entrambe mie allieve. Sapeva del mio interesse per il cinema, mi stimava, per cui un giorno mi chiamò e mi chiese se ero interessata a lavorare per la TV. Così, capito? Ora tutti spingono per entrare, invece io non feci il minimo sforzo, perché furono loro a cercarmi. Terminai il lavoro a scuola e poi iniziai, nel settembre del 1969. È stata un’avventura molto bella e interessante. Portai subito una novità per la Svizzera italiana: una trasmissione sui libri, “Pagine aperte”, di cui alcuni ancora ricordano. Era molto seguita, diversamente da oggigiorno, dove i programmi culturali sono di nicchia e infilati nelle ore più assurde: a quei tempi era diverso! Si aveva più coraggio! Pensi solo che i doganieri a volte mi fermavano dicendomi, ma lei è la signora che presenta i libri in TV? Erano altri tempi. Il Dipartimento cultura era ancora molto forte. Lavoravo anche dietro le quinte, a livello di produzione, acquistando i documentari dalla BBC e in Italia, viaggiando e scoprendo mille cose. Nelle trasmissioni in
cui apparivo, bisognava calcolare tutto al secondo, e questa mania di lavorare senza perdere tempo mi è rimasta appiccicata addosso. Ricordo come se fosse ieri Govanni Orelli come moderatore dei nostri programmi, i due poeti Sereni e Raboni che intervistavano per la mia rubrica personaggi di spicco del mondo della cultura. Bei tempi. Ma poi accadde qualcosa. Si è rovinato tutto quando è esploso il fenomeno delle televisioni private in Italia: c’è stato un appiattimento verso il basso, è iniziata la corsa all’audience e addio. L’andazzo non mi è piaciuto sin da subito: dovevamo lottare per dimostrare di avere uno share alto, quando nei convegni internazionali sulla TV educativa ho scoperto che tutte le trasmissioni culturali se facevano il 3% c’era da ringraziare il cielo. Io e Gino Macconi (artista, collezionista e gallerista, nda.) ci siamo conosciuti nel ’63, quando ancora insegnavo al Liceo di Mendrisio: era venuto a fare una supplenza come insegnante di disegno. Stava molto per i fatti suoi, nella sala docenti non metteva piede. Un giorno un collega e io gli chiedemmo un passaggio e da lì nacque la nostra storia d’amore. Lui aveva una situazione familiare molto complicata quindi abbiamo cominciato in clandestinità: della mia famiglia, l’unico al corrente dei fatti era mio zio. All’inizio e per molti anni è stato difficile, ma poi la situazione si è sbloccata e abbiamo vissuto la nostra felicità. Ma il periodo della malattia è stato terribile: si è ammalato di un tumore al polmone che l’ha spento, giorno dopo giorno, anche se né io, né lui, nonostante la verità fosse sotto i nostri occhi, volevamo rendercene conto. Anche sul letto di morte, aveva questo chiodo fisso: la Fondazione. Non voleva che il patrimonio di quadri e opere d’arte che aveva accumulato e amato negli anni si disperdesse. Per questo i suoi amici mi presero da parte e mi dissero: devi sposarlo, lo devi fare per lui. Lo feci, dopo qualche titubanza, l’8 gennaio del 1999. Quando gli dissi che avevo deciso di chiamare la Fondazione non “Gino Macconi e Gianna Paltenghi”, come avevamo pensato all’inizio, ma “Gino e Gianna Macconi”, mi guardò negli occhi e mi disse: sono contento. Morì due giorni dopo, il 10 gennaio.
GIANNA MACCONI
Vitae 14
Docente e divulgatrice, è stata un personaggio centrale nella storia culturale del cantone
testimonianza raccolta da Laura Di Corcia fotografia ©Flavia Leuenberger
vita monastica
outre noir
di Roberto Roveda; fotografie ŠPatrick GilliÊron Lopreno
in queste pagine: un monaco dellâ&#x20AC;&#x2122;Abbazia di Hauterive (Canton Friborgo) nel chiostro del complesso conventuale in apertura: un monaco cistercense nel chiostro di Hauterive mentre esce dalla messa
Patrick Gilliéron Lopreno Laureato in Storia a Ginevra, si forma in fotografia presso l’agenzia Grazia Neri (Milano). Comincia a lavorare sui tema del confinamento e fotografa nel corso di due anni tre prigioni in Svizzera francese. Il suo lavoro “Puzzle Carceral” è esposto alla galleria Halle Nord (Ginevra). Ha da poco terminato un reportage nel mondo dei monasteri dal titolo “Outre Noir” (di cui presentiamo qui un’anteprima) che sarà pubblicato nel 2014. Per informazioni: lopreno.com
U
n fruscìo, è questo il mio primo ricordo dell’Abbazia e dei suoi abitanti. Assieme al silenzio, così profondo e assoluto in certi momenti da riempire le orecchie. Poi il fruscìo arrivava e interrompeva la malia. Era il rumore delle vesti lunghe, di quelle tonache di tessuto grossolano che sfregavano, quasi stridevano quando i monaci si mettevano in cammino oppure si genuflettevano. Solo dopo li scorgevo. Prima lontani, poi lentamente sempre più vicini e simili a ombre bianche mentre avanzavano avvolti nei panni lunghi, coperti da cappucci. Si muovevano quasi senza spostare l’aria e mentre passavano davanti a me potevo intuire nella penombra del loro copricapo i volti raccolti in preghiera, affilati, spesso austeri, a tratti inespressivi. Bianchi come angeli Ero un bambino e un poco quella processione mi spaventava. Allora mi ritraevo, quasi istintivamente. Mio nonno, probabilmente intuendo il mio stato d’animo – e forse ricordando quando lui bambino percorreva quelle stesse navate – si chinava un poco e con un soffio di voce diceva solo: “Non aver paura. Sono i monaci che vanno a pregare. Guardali, sono bianchi come angeli”. Per me erano fantasmi, anche se, a ben guardare mi rendevo conto che quelle vesti ampie,
ricadenti sulle braccia ricordavano ali appena ripiegate dopo un lungo volo. Ali a riposo, ma pronte a riprendere vita. Fantasmi o angeli? La mia immaginazione di bimbo non sapeva risolversi. Intuivo, però, che quella processione si ripeteva da tempi lontani, che quei gesti erano uguali nei secoli e che rappresentavano qualcosa di più grande, di difficilmente comprensibile, non solo per me che ero piccolo. L’Abbazia e tutto quello che ne faceva parte – esseri umani compresi – mi sembravano lì da sempre, presenti per l’eternità. Forse era la suggestione dei racconti del nonno che mi diceva sempre che i monaci trascorrevano la loro vita tra quelle mura, che alcuni addirittura non uscivano mai e non incontravano mai persone diverse dai loro confratelli. Mi parlava di uomini e donne che passavano la vita in preghiera, oppure immersi nel silenzio e nei loro pensieri. Anticamente, mi ripeteva, venivano detti semplicemente “oratores”, coloro che pregano, e stavano al vertice della società umana, unico contatto tra la Terra e il Cielo, tra Dio e gli uomini. Una vita sempre nello stesso luogo e dedicata alla preghiera… me li immaginavo, allora, questi angeli-fantasmi che si muovevano senza requie tra le stanze dell’Abbazia e le navate della chiesa. Fantasticavo sul loro andare in circolo nel chiostro, tante volte nell’arco della vita e sempre seguendo lo stesso percorso, rispettan-
a sinistra: il particolare saluto che i monaci di Hauterive si scambiano alla fine della messa
a destra: un momento di riposo nella sala di lettura dopo il pranzo all’Abbazia di Saint-Maurice (Vallese)
a sinistra: canto delle suore durante la messa del mattino all’Abbazia di Montorge (FR)
do con accanimento il medesimo susseguirsi di pietre e di mattonelle sul pavimento. Una forma di follia, mi pareva quel loro vivere, una follia santa, alta, inconoscibile, ma comunque estrema.
Un monaco di Saint Maurice (VS) nel corridoio dell’Abbazia
Emozioni di un tempo che fù Una rinuncia troppo grande quella vita, mi diceva la mia mente di bambino, e ancora oggi non so dire se avessi ragione, se posso fare pienamente mie le domande che Hermann Hesse suggerisce al suo Narciso quando ormai è abate e la sua esistenza si svolge interamente in un chiostro. Si chiedeva allora Narciso se “l’uomo era davvero creato per condurre una vita regolata, di cui ogni ora e ogni azione fossero annunciate dalla campana che chiama alla preghiera? L’uomo era davvero creato per studiare Aristotele e Tommaso d’Aquino, per sapere il greco, per mortificare i propri sensi e per fuggire il mondo? Non era egli creato da Dio con sensi e istinti, con oscurità sanguigne, con la capacità del peccato, del piacere, della disperazione?”1. O forse questi pensieri mi sono venuti solo più tardi, una volta divenuto adulto, quando ormai il fascino dell’Abbazia e del suo mondo si era attenuto e mi rimaneva nel cuore più che altro un sentimento di nostalgia. Nostalgia per quelle sere, per quei filari di monaci che mi intimorivano ma da cui non distoglievo lo sguardo, che seguivo lungo la navata e che vedevo raggiungere il coro. E lì, in quel momento, tutto improvvisamente cambiava per-
in questa pagina: vista mattutina del giardino dell’Abazia di Hauterive (FR)
ché quelle pallide figure prendevano a cantare e tutto pareva riprendere vita. Il silenzio veniva scacciato dal lento salmodiare del canto gregoriano, monodico, infinito, a suo modo inebriante. Allora il nonno si sedeva su una panca e mi faceva segno di prendere posto accanto a sé. Guardava rapito e intanto accarezzava piano il berretto che teneva sulle ginocchia. Un gesto tenero, in un uomo che, come tanti uomini della sua generazione, non era incline alla tenerezza. Lo guardavo assorto, sapevo che si sarebbe alzato solo al termine del salmodiare. E allora permettevo ai miei sensi di vagare: tastavo il legno, smangiato dal tempo, delle panche su cui ero seduto. Annusavo quel misto di odori che riempivano l’aria dell’Abbazia: umido, cera bruciata, muffa antica di secoli. Incenso. Osservavo le pietre e il loro incastrarsi mai casuale e lo sbeccarsi di tanti angoli. Sentivo di lontano il muggito di uno dei vitelli della fattoria prossima alla chiesa abbaziale o forse anche questa era solo impressione. Gustavo quell’aria mistica che sapevo temporanea. Alla fine, vinto dai sensi, quasi sempre mi addormentavo e al risveglio la mia testa era poggiata alle ginocchia del nonno, là dove prima stava il suo berretto e dove continuava la carezza della sua mano.
note 1 H. Hesse, Narciso e Boccadoro, 1930.
Stampello e Stampella di Giancarlo Locatelli; illustrazioni ©Stephanie Grosslercher
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Fiabe 46
uardando su disse: “Non so chi sono e cosa ci faccio qui, e tu?” “Nemmeno io so dove siamo e perché” “Tu mi vedi?” “Si, se guardo giù ti intravedo sdraiato per terra, vicino al divano, stai giocando?” “No, sono caduto e non so come fare a rialzarmi, anzi, non sono proprio capace di muovermi da solo, devo sempre aspettare qualcuno che mi prenda e mi sposti. È noioso” “Per me è la stessa cosa, ma adesso che sono appoggiata al muro posso guardarmi attorno, è una bella sala, ci sono piante, un tavolone scuro, un mobile con i bicchieri e sopra dei sassi e dei legni, e quadri alle pareti. C’è anche una bella lampada per metà bianca e per metà arancione” “Si la vedo anch’io, è accesa. Da qui vedo anche sotto il divano dove ci sono due minifigure che mi guardano come se volessero essere raccolte, e vedo anche un tubo grigio con una gomma nera in fondo, come un tappo che fa da scarpetta, e che assomiglia a me”
“Ma! sono io, è la mia punta che appoggia al pavimento!” “Ma? allora siamo uguali? Dimmi un po’, come ti chiami tu?” “Io Stampella e tu?” “Stampello” “Ohh... e anche tu hai una specie di lungo naso grigio, con la punta rossa e con sotto tre gobbette?” “Certo, e sopra una faccia a forma di U, con gli occhi sulle punte” “Caspita siamo proprio uguali” “Allora siamo due Stampelli” “No, diciamo che siamo due Stampelle” “Va bene, però mi aiuti a scoprire che cosa ci facciamo qui... Oh... Oh... Aiuto... aiuuutooo... mi sto muovendo, mi hanno preso” “Hanno preso anche me, sto andando verso la porta” “Anch’io, e sulla faccia, in mezzo agli occhi, mi hanno messo una cosa morbida e blu” “Uguale a me! E sopra e sotto il naso fra le gobbette hai cinque cose calde, morbide, rosa e profumate, che ti stringono?” “Siiii... cosa vuol dire?” “Non lo so, di sicuro che siamo assieme!... Sto tornando verso il divano, e tu?” “Anch’io” “Adesso sono di nuovo appoggiata al muro ma un po’ più inclinata di prima. Sul divano c’è Mino, è lui che ha un maglione blu e le mani profumate, è lui che ci usa... e... Adesso vedo bene anche te, sei proprio qui vicino a me” “Si ti vedo anch’io... ?! È proprio vero, siamo uguali” “Si uguali uguali” “Forse vuol dire che dobbiamo sempre stare assieme?” “Vuol dire che facciamo la stessa cosa”
“Sì, ma cosa?” “Non lo so ancora” “Adesso cosa facciamo?” “Aspettiamo” “Per far che?” “Per vedere se anche la prossima volta che uno di noi si muove, si muove anche l’altro” “È noioso” “Si, io schiaccio un pisolino” “Anch’io, oh oh ecco che mi muovo di nuovo” “Anch’io, mi sa che siamo ancora assieme, stai andando verso il bagno vero?” “Si” “Bene” “Perché bene?” “Perché abbiamo scoperto che, quando ci usano, ci usano assieme e questo significa che da sole non facciamo niente ma che insieme serviamo a qualcosa” “Ah, e a che cosa serviamo?” “Visto che non ci usano quasi mai da fermi forse vuol dire che serviamo al movimento” “Cosa vuol dire servire al movimento?” “Vuol dire spostarsi, essere un po’ qui e poi un po’ là, e siccome quando siamo qui o là non facciamo niente vuol dire che serviamo per andare da qui a là, o da là a qui” “È importante?” “Penso sia importante. Mino non ci lascia mai in giro. Siamo sempre insieme e vicino a lui. Vorrà dire che non può fare nulla
senza di noi” “Mi sa che hai ragione, ma come fai a sapere queste cose?” “Faccio funzionare la testa e gli occhi” “Si ma non ti eri mai accorta di me” “Neanche tu di me, se è per questo” “Hai ragione, è stata una bella scoperta” “Adesso Mino si sta lavando, senti che caldo umido c’è in giro?” “Si, mi dà fastidio” “Ha finito, poi andrà a letto, e noi dovremo starcene tutta la notte ferme a guardarci intorno, speriamo ci appoggi al muro e non per terra” “Ad ogni modo, domani mattina quando si sveglierà avrà ancora bisogno di noi, ci prenderà e ci porterà in giro” “O noi porteremo in giro lui” “Sì, fa lo stesso, mi piace portare in giro qualcuno che ci porta in giro” Stampella e Stampello, contenti, passarono la notte guardandosi attorno. La cameretta di Mino era piena di giochi, libri e costruzioni e lui aveva una gamba coperta da uno strano stivale bianco, duro e pesante. Un po’ si lamentava ma per lo più dormiva. Appoggiate a una sedia attesero pazientemente che Mino si servisse nuovamente di loro, al sorgere del giorno.
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Tendenze p. 48 – 49 | di Laura Di Corcia
Quel bel vestito formato che avevate comprato in saldo, pronte a indossarlo alla prima occasione, è poi rimasto nell’armadio ad ammuffire (forse perché i due chiletti sulla pancia hanno reso l’operazione infila-abito più complessa di un trasloco). E quella gonna in chiffon, che avete acquistato con tutti i buoni propositi del mondo, ascoltando il panegirico della commessa di turno: quando l’avete indossata vi siete ricordate che coi fianchi generosi meglio non fare le spiritose. E i jeans (a vita troppo bassa), o la giacca nera (troppo stretta), senza dimenticare le scarpe (naturalmente scomode) oppure la borsa (indiscutibilmente brutta). E quel cappello mai messo… Quanti sono i capi di abbigliamento e gli accessori che rimangono chiusi nel guardaroba come reclusi in attesa di indulto? Una recente ricerca ha messo in luce che, in media, sono 22: moltiplichiamola per tutte le donne che amano il vestire con gusto, ed ecco che possiamo farci un’idea di quanti abiti abbandonati vaghino per l’aere. Un vero spreco, uno schiaffo alla povertà: non sarà forse il caso di intervenire, di utilizzare meglio le risorse? È con questo spirito (a metà strada fra il green e il modaiolo) che nasce lo swap party, laddove “to swap”, in inglese, vuol dire proprio barattare. Ma qui non si tratta di scambi di merce sbiadita e sdrucita,
bensì di capi di qualità e prestigio, il più delle volte griffatissimi, acquisti sbagliati fatti da maniache della moda come le fashion victim, che a furia di comprare-comprarecomprare incappano anche in qualche scivolone, a volte pure più di uno: e allora perché non dare a un’altra una cosa che non amiamo più, ma che potrebbe riempirle il cuore di gioia? E invece impossessarci di quella sua collana, che lei ritiene demodé e invece su quel nostro maglioncino verde starebbe da Dio? È nella vertiginosa Manhattan newyorkese che si è accesa la lampadina: forse il vecchio metodo medievale del baratto può tornar utile, ha pensato qualcuno, magari rimasto al verde per troppo
Ha sempre qualcosa da consigliarti pur non conoscendo i tuoi gusti.
shopping ma con la voglia di cose nuove, colori diversi. Un “do ut des” chic, indispensabile nei momenti di crisi come quello che stiamo attraversando. Da lì, la moda è presto arrivata anche in Europa, a Parigi, Londra, Berlino, Barcellona e Milano, attirando ogni volta frotte di fashioniste a caccia dell’affare d’oro. Tutte pazze per lo swap. Da internet al salotto Come per tutte le cose, che esistono nella realtà ma vengono riprodotte nel mare magnum di internet, anche lo swap party è approdato in rete. Persino i più pigri, quindi, si possono sbizzarrire con il baratto: su swapclub.it si trova di tutto e di più, dalle scarpe Enrico Coveri numero 37 a un top firmato Versace con tanto di Swarowski, dall’abito di Desigual alla gonna in pizzo. Il sito swapstyle.com si spinge anche oltre: lì non si swappano solo vestiti e scarpe, ma anche oggetti per la casa, libri, DVD, telefonini e computer, coinvolgendo anche lor signori uomini nello scambio degli oggetti. Chi invece preferisce vedere le cose coi propri occhi, provare e riprovare, non si scoraggi: se in città lo swap non è ancora approdato, nulla vieta di organizzare una piccola festa a casa propria, invitando amici e conoscenti. In rete
si possono trovare ottimi consigli su come organizzare le cose affinché tutto fili liscio: quel che conta è avere un giro di persone che abbiano voglia di partecipare all’evento (si può far girare la voce anche sui social network, Facebook, Twitter ecc.), un po’ di spazio a disposizione e qualche separé per improvvisare dei camerini (e anche qui, via libera alla fantasia: anche le lenzuola, se opportunamente fissate, possono servire all’uopo). Il gioco è fatto. È opportuno anche ricordare agli ospiti di portare merce di qualità e pulita e magari servire un piccolo rinfresco, con succhi freschi, frutta e verdura di stagione. E via dicendo Poi, una volta che è nata una moda, le altre vengon da sé. E per esempio ci si è chieste: perché non unire le forze, quando si ha la stessa taglia e si hanno gli stessi gusti? Così è nato il dress crossing, che indica una sorta di cooperativa d’acquisto alla quale partecipano due, tre, quattro amiche, che fanno gli acquisti insieme e poi se li passano. In questo modo il guardaroba è sempre rifornito di borse di Prada, scarpe di MiuMiu e abiti di Versace. Ma alla fine del mese le bollette non rimangono scoperte. Basta ingegnarsi.
È sempre pronta a consigliarti solo in base ai tuoi gusti. Sunrise TV si ricorda le tue preferenze e ti consiglia i programmi più adatti a te – selezionando anche dalla programmazione degli ultimi 7 giorni, grazie alla funzione ComeBack. Sunrise TV. Molto più di una televisione. In caso di stipula di un nuovo contratto Sunrise TV Set comfort dal 20.10 al 28.12.2013 solo presso Sunrise, mobilezone e digitec. Buono utilizzabile su digitec.ch previa attivazione da parte di Sunrise. Buono valido solo fino al 28.2.2014. Nessun pagamento in contanti. Con riserva di modifiche e solo fino ad esaurimento scorte. Informazioni su sunrise.ch
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La domanda della settimana
L’idea di restare una settimana senza il vostro telefonino vi procura ansia?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 14 novembre. I risultati appariranno sul numero 47 di Ticinosette.
Al quesito “L’attività di casalinga/casalingo dovrebbe essere riconosciuta e retribuita come avviene per tutte le altre professioni?” avete risposto:
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Astri ariete Improvviso fermento nel mondo delle idee, della creatività e del cuore. Atmosfere ricche di passione. Rapporti di lavoro accesi da critiche.
toro L’aspetto fisico tende a migliorare. Apertura verso il partner. Incontri karmici in ordine al contestuale passaggio del Nodo Lunare.
gemelli Rapporti familiari difficili. Controllate la vostra ipercriticità. Nuove opportunità per i nati della prima decade. Dal 13 al 15 giornate particolari.
cancro Opportunità professionali. Attenti tra il 13 e il 15 novembre a non slatentizzare le vostre proverbiali ansie. Vita sociale in particolare fermento.
leone Disguidi nelle comunicazioni, causa messaggi mai giunti. Valutate bene il senso delle parole. Possibile riaffiorare di lontani ricordi. Malinconia.
vergine Se in amore volete vincere dovete imparare a osare. Grazie a Marte nel segno siete più determinati del solito. Scegliete bene i vostri obiettivi.
bilancia Il ritmo della realtà quotidiana si fa particolarmente teso. Incontri culturali e a occasioni mondane. Bene tra il 10 e l’11 novembre.
scorpione Rinascita dell’Eros per i nati tra la prima e la seconda decade. Opportunità professionali per i nati nel segno. Possibile uno scontro sul lavoro.
sagittario Forte competizione all’interno del vostro ambiente professionale. Non disperdetevi. Una cosa alla volta. Premiate le personalità più creative.
capricorno Sta per esplodere un vulcano di desideri nascosti. Fortunati i nati a fine dicembre. Imprevisti dietro l’angolo. Un amico chiede aiuto.
acquario Idee geniali e originalità. Non fatevi frenare dalle inibizioni della ragione. Liberatevi da ogni zavorra. Saturno vi sostiene. Relax tra il 10 e l’11.
pesci Calo energetico. Siate meno competitivi con partner o soci. Attenti agli eccessi alimentari e agli attacchi bulimici. Riconoscimenti professionali.
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Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 14 novembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 12 nov. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Orizzontali 1. Errori madornali • 10. Vive in solitudine • 11. Nodo centrale • 12. Il capitano di Verne • 13. Allegri, ridenti • 15. Vi sguazza il ricco • 16. Perenne • 17. Bevande salutari • 19. Topo... ginevrino • 20. Vi sosta la carovana • 21. Formaggi in genere • 22. Pari in mastri • 23. Smarrito • 25. Nitriscono • 27. Norvegia e Portogallo • 29. Articolo maschile • 30. Risultato • 31. Associazione Sportiva • 33. La Bovary • 34. In mezzo al coro • 35. Un gioco da tavolino • 36. Sensi senza limiti • 38. Le iniziali di Morricone • 39. Allettati • 40. Banchina, pontile • 41. Telefono in breve • 42. Quattro romani • 43. Ricambiata con amore • 45. Se abbaiano non mordono • 47. Fracassati • 48. Fu ucciso da uno scorpione • 49. Precettore antico. Verticali 1. Un organo dell’ateneo • 2. Preziosa, ragguardevole • 3. Sottomessi • 4. Il fiume di Bottego • 5. Cuor di tapino • 6. La cura l’otorino • 7. Un condimento • 8. Ognuno punta al proprio • 9. Proprio stupidi • 14. La città degli arazzi • 16. I confini di Essen • 18. Assicurazione Invalidità • 21. Un fiore novembrino • 23. Consonanti in palio • 24. Una scuola dell’obbligo • 26. Incerto, rischioso • 28. Il custode del palazzo • 32. Teiera russa • 37. Costosa o saporita • 44. Cattiva nel cuore • 46. Il Nichel del chimico.
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La soluzione del Concorso apparso il 25 ottobre è: VINCENTE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Daniela Ranzoni via Cantonale 83 6573 Magadino Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: tre Ape card Arcobaleno Ape card è lo strumento ideale per caricare e pagare i biglietti Arcobaleno risparmiando, grazie al plusvalore di ricarica. Maggiori informazioni su www.arcobaleno.ch/apecard
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IL CONCORSO A PREMI DELLA MIGROS PIÙ GRANDE DI TUTTI I TEMPI.
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I set di adesivi e gli album per la raccolta sono disponibili presso:
Set gratuiti di adesivi e ulteriori informazioni sono disponibili al sito www.migros.ch/megawin Il valore complessivo di 900’000 franchi si riferisce alla somma delle vincite complessive e al numero dei 55 veicoli in palio. Non si tratta dunque di una cifra esatta, ma di una stima calcolata su base teorica e il numero delle vincite effettivamente corrisposte potrà quindi variare ed essere inferiore o superiore a tale cifra. Al massimo 10 set di adesivi per acquisto, fino a esaurimento dello stock. Sono esclusi buoni e carte regalo.
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