Ticino7

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№ 47 del 22 novembre 2013 · con Teleradio dal 24 al 30 nov.

IDENTITÀ ELVETICA

Che cosa significa essere cittadini della Confederazione?

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Ticinosette n. 47 del 22 novembre 2013

Impressum Tiratura controllata 68’049 copie

Chiusura redazionale Venerdì 15 novembre

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

4 Letture Labirinti di vita di Marco alloni .................................................................. 7 Kronos Fede e ragione. Risurrezione di carlo Baggi................................................. 8 Eroi Stefano Franscini di daniele Fontana .................................................................. 9 Media RSI. Ricognizione radiotelevisiva di nicoletta Barazzoni................................ 10 Vitae Gizi Fluck di Keri gonzato............................................................................. 12 Reportage Nonnaregina di anna ruchat; illuStrazioni di SoPhie chKheidze ............... 37 Luoghi Autolavaggi. Saune ferrose di Marco Jeitziner; Foto di Flavia leuenBerger ....... 42 Tendenze Zurigo. Perdersi a Niederdorf di Keri gonzato ...................................... 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Cittadinanza e identità. Valore svizzero

di

Silvano de Pietro ...........................

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Rosso come la Svizzera (tra il giallo e il magenta) Illustrazione ©Antonio Bertossi

Che cosa fa chi non c’è più? Come avvenuto per il numero apparso la scorsa settimana, Ticinosette ospita un nuovo Reportage “non fotografico”: dopo le impressioni di viaggio di Adriano Crivelli, vi proponiamo un racconto illustrato della nota traduttrice, scrittrice e docente Anna Ruchat (nell’immagine). Come spiega la stessa autrice nel cappello introduttivo, la fiaba – che si sviluppa in cinque variazioni sul tema della scomparsa di un familiare – è stata scritta per la nipote Cecilia, bimba molto legata alla nonna (e mamma di Anna), la nota architetta e docente al Politecnico di Zurigo Flora Ruchat-Roncati, deceduta nell’ottobre di un anno fa. Anna Ruchat è nata a Zurigo nel 1959. Ha studiato filosofia e letteratura tedesca (a Pavia e a Zurigo) e oggi vive tra Riva San Vitale e l’Italia. Come si può leggere in uno dei profili disponibile in rete, tra gli autori da lei tradotti dal tedesco “in molti anni di attività, vi sono Thomas Bernhard, Paul Celan, Nelly Sachs, Victor Klemperer, Mariella Mehr e Werner Herzog, Peter Bichsel”. Rilevante anche la sua produzione letteraria: “Nel 2004 è uscita la raccolta di racconti In questa vita (Casagrande; volume che ha vinto il Premio Chiara l’anno seguente, ndr.). Nel 2005 ha pubblicato il volume di poesie Geografia senza fiume (Campanotto) e, in collaborazione con la fotografa Elda Papa, il racconto Il male minore (Ed. Fondazione Beltrametti). Nel 2009 è uscita, in collaborazione con l’artista Giulia Fonti, la raccolta di poesie Angeli di stoffa (Pagine d’Arte) e, nel 2010, il romanzo breve Volo in ombra (Quarup). Nel 2012 sono stati pubblicati la raccolta di poesie Terra taciturna e apocalisse con i disegni di Daniele Brolli

(Campanotto) e il volume Il malinteso (Ibis). In tedesco sono apparsi Die beide Türen der Welt (Rotpunkt Verlag, 2006) e Schattenflug (Limmat Verlag, 2012)”. Nel 2012 Volo in ombra è diventato anche un docu-film per la regia di Olmo Cerri, in cui Anna elabora la morte del padre André deceduto in un incidente aereo militare avvenuto a Meiringen nel 1960, quando l’autrice aveva solo 10 mesi. Segnaliamo che domani, sabato 23 novembre, presso l’Auditorio dell’università di Lugano - USI, l’associazione nel - Fare arte nel nostro tempo di Cureglia (associazione-nel. ch; +41 (0)91 966 81 28) organizza un’importante giornata di dibattiti e incontri dal titolo “L’uomo è solo? Nel mondo affollato in cui cedono le relazioni significative e aumentano le diversità la solitudine cresce”. Tra gli ospiti Salvatore Settis, Telmo Pievani, Bice Curiger, Thomas Ruff e N. T. Binh. La presenza di Marc Augé – importante etnologo e antropologo francese – pare al momento non essere confermata. Per ulteriori informazioni e iscrizioni vi rimandiamo al programma e ai recapiti sopraindicati. Buona lettura, Giancarlo Fornasier


Valore svizzero Identità. Perché la Svizzera è la Svizzera? Perché non somiglia a nessun altro stato in Europa e nel mondo? Per la storia e le tradizioni degli svizzeri e dei loro cantoni, certo, ma anche per le istituzioni che ne tramandano i principi e i valori. Ciò comporta che per essere dei cittadini della Confederazione non basta avere un passaporto “rossocrociato”, ma occorre partecipare alle istituzioni e condividerne i principi e i valori posti alla sua base

di Silvano De Pietro; illustrazione ©Antonio Bertossi

A

Agorà 4

ll’interno della cupola di Palazzo federale, a Berna, è riprodotta in latino la frase “uno per tutti, tutti per uno”. È il motto della Confederazione svizzera. Un motto che spesso viene interpretato, specie da commentatori stranieri, con un’enfasi retorica fuori luogo. Il suo significato è invece molto semplice: la Confederazione garantisce i diritti e gli interessi di tutti i cantoni, e ciascun cantone collabora con tutti gli altri nella Confederazione. È il patto di solidarietà confederale che tiene insieme e fa funzionare questo paese multietnico, plurilingue, multiculturale e pluriconfessionale. Quel motto cristallizza e rispecchia esattamente la volontà storica dei cantoni di stare insieme, nonostante le tante differenze e particolarità. Da questo punto di vista, la Svizzera è una realtà molto antica. Come stato moderno, invece, la Confederazione è nata nel 1848, dotandosi di un parlamento bicamerale chiaramente ispirato a quello degli Stati Uniti d’America. La Costituzione federale è stata improntata alle idee liberali di metà ottocento, integrate con i principi e i valori consolidati nella lunga storia dei cantoni e nelle esperienze collettive degli svizzeri. Anche nelle sue successive revisioni (l’ultima è del 1999) la Costituzione ha conservato i concetti ispiratori e ha mantenuto inalterate le radici etiche originarie. L’attuale versione della Costituzione, infatti, oltre a rinnovare nel preambolo l’invocazione “in nome di Dio Onnipotente”, già nei primi articoli delinea il fondamento ideologico e il profilo etico di questo stato. E ne fissa i principi basilari: i diritti del popolo, la coesione interna e la pluralità culturale, il federalismo, lo stato di diritto, la sussidiarietà, la responsabilità individuale e sociale. Seguono i diritti fondamentali, tra cui in particolare l’uguaglianza giuridica e il principio della buona fede, e le principali libertà: di credo e di coscienza, di opinione e d’informazione, di riunione e d’associazione, economica e sindacale.

Le tessere del puzzle Ciò che caratterizza la Svizzera e l’essere svizzeri sono però anche altre peculiarità, a volte chiaramente codificate nella Costituzione e nelle leggi, a volte quale semplice portato della storia locale e della tradizione. Tali sono, per esempio, la cultura politica partecipativa, che si è formata nella prassi storica della democrazia diretta (la Landsgemeinde) e che oggi si esprime nel diffuso associazionismo e nella democrazia semidiretta, e il sistema di milizia (nell’esercito, nelle istituzioni politiche e nella società). Lo sono anche alcuni principi etico-sociali tipici della “elveticità”, come la volontà di conciliazione (disponibilità al compromesso), la tolleranza e la solidarietà. Senza dimenticare i valori derivati dall’etica del lavoro, quali il pragmatismo, la puntualità, l’affidabilità, la precisione, la lealtà. Tutte queste sono le virtù che, nel loro insieme, delineano grosso modo cosa vuol dire oggi essere svizzeri. E costituiscono anche quel particolare fascino della Svizzera quale paese antico e nello stesso tempo moderno, compatto ma frazionato in mille particolarità, tradizionale ma multiculturale, conservatore ma aperto e accogliente. I più recenti dati dell’Ufficio federale di statistica dicono che qui vivono un milione e novecentomila stranieri, su una popolazione di oltre otto milioni di residenti. Ogni anno un certo numero di stranieri riceve la cittadinanza elvetica. Il 2006 è stato l’anno che ha registrato il maggior numero di naturalizzazioni: 45.987, di cui 16.790 nati in Svizzera (nel 2012 tali cifre erano scese, del 28% la prima e del 24% la seconda). Una democrazia da coltivare Ci si può allora domandare come sia possibile far diventare e far sentire “svizzeri” gli stranieri naturalizzati. La chiave è ovviamente nel grado di integrazione. Dunque, quali valori bisogna inculcare nei giovani per avere un’integra-


zione veramente piena? E quali istituzioni se ne fanno più carico? Ne abbiamo parlato con due esperti in questo campo: la vicepresidente del FIMM (Forum per l’integrazione delle migranti e dei migranti) Fiammetta Jahreiss, che è stata deputata e presidente dell’organo legislativo della Città di Zurigo, e il professore di storia al Liceo cantonale di Lugano 1, Maurizio Binaghi, presidente dell’Associazione ticinese degli insegnanti di storia. “Per me fondamentale è il valore della democrazia diretta, della partecipazione – afferma la signora Jahreiss – e ciò che mi disturba è che nell’attuale sistema tanti che non hanno il passaporto svizzero, anche se sono nati e cresciuti qua, non possano partecipare e dire la loro. Il privilegio che hanno gli svizzeri di potere manifestare la propria opinione in tantissime circostanze, non soltanto nelle elezioni politiche ma anche su questioni, leggi e regole che influiscono sulla vita quotidiana delle persone, trovo sia un valore grandissimo. Mi è sempre

molto difficile spiegare a persone che sono in Svizezra da 30-40 anni o che sono nate qui, che questa bellissima democrazia in fondo è imperfetta. Questo privilegio della partecipazione, che fa del nostro un paese speciale, dovrebbe essere più coltivato”. Per partecipare, però, bisogna conoscere il sistema istituzionale. E bisogna che ai giovani vengano trasmessi i valori fondanti della Confederazione. Si diventa svizzeri di più nella scuola o nella famiglia? “Secondo la mia esperienza – risponde il professor Binaghi – gli svizzeri si formano di più nella società, che è composta sia dalla scuola sia dalla famiglia. Però qui bisogna compiere una distinzione importante. Non è che la scuola insegni a essere svizzeri: la scuola insegna a essere cittadini, persone consapevoli dei diritti e dei doveri di un cittadino. Essere svizzeri è un discorso più complicato. La scuola riflette su che cosa vuol dire essere svizzeri, cercando di non entrare in un discorso abbastanza vecchio. La scuola non fa propaganda, ma insegna delle materie e un’educazione civica che formano un cittadino consapevole”. Agorà Anche per Jahreiss “se si parla di 5 giovani, naturalmente il mezzo più importante e più adatto è la scuola, che in fondo ha il compito di formare dei cittadini, persone che poi siano in grado di inserirsi nella nostra società”. La vicepresidente del FIMM ritiene che il compito delle istituzioni scolastiche non sia quello di far imparare a memoria la struttura del sistema politico svizzero, ma di “aiutare o educare i bambini, gli adolescenti e i giovani a sentirsi partecipi di questo paese, a sentirsi responsabili anche per il bene comune”. Una cosa, questa, che è “un valore molto speciale della Svizzera”. Certo, c’è anche la famiglia che dovrebbe “cercare di educare i figli in questa direzione. Peraltro, se i genitori immigrati vengono sempre esclusi da questo sistema, diventa per loro sempre più difficile trasmettere questi valori”. Però è anche vero che altri attori della vita sociale potrebbero farlo: i datori di lavoro, i sindacati, le associazioni sportive, i centri religiosi ecc. Fiammetta Jahreiss – che è anche direttrice di un ente di formazione professionale italo-svizzero a Zurigo – ne conviene. E precisa: “I datori di lavoro, sicuramente, per chi fa un apprendistato. Anche i sindacati (ma quanti giovani oggi sono membri di un sindacato?). Pure le associazioni costituiscono un fattore positivo e un grosso appoggio per chi viene da fuori. Però, questo presuppone sempre che i giovani stranieri partecipino. Ma il veicolo principale (...) d’integrazione rimane la scuola”.


“La Svizzera ha avuto e ha tuttora un potenziale d’integrazione grandissimo. Se guardiamo la composizione della nostra popolazione, non credo siano molti coloro che non hanno almeno un genitore oppure un nonno o un avo con radici in un altro paese”

Agorà 6

Maturazione ed esperienza civica Dunque è nella scuola che, grazie all’educazione civica, si acquisisce la consapevolezza di appartenere a uno stato così particolare come la Svizzera, dove essere un cittadino consapevole vuol dire saper usare quel privilegio che è la partecipazione. Maurizio Binaghi nota che “l’educazione civica è da qualche anno un tema molto dibattuto”. In Ticino, in particolare, una legge votata dal Gran Consiglio inserisce l’educazione civica tra le materie d’insegnamento della scuola. “Una materia che verte essenzialmente, per quanto riguarda l’aspetto delle istituzioni, nelle lezioni di storia” spiega Binaghi, “ma poi ci sono gli elementi di educazione alla cittadinanza, che viene fatta con giornate particolari”. “Tuttavia – continua il professor Binaghi –, il problema è posto in modo sbagliato. Perché è vero che lo studio della storia svizzera pone la conoscenza degli elementi fondanti della Svizzera in quanto tale, ma anche la geografia quando tratta della Svizzera, la filosofia, l’italiano… La «svizzerità» è in realtà qualcosa in divenire, che si costruisce: ogni elemento formativo la produce e la sviluppa. La scuola aiuta a costruire. Ma bisogna veramente uscire da questa logica che si devono insegnare le radici svizzere”. Come dire che non si può diventare “veri svizzeri” se non con la maturazione culturale e l’esperienza civica in questa società. Fondamentale, quindi, è che con l’integrazione si assimilino (a scuola, sul lavoro, nella società) molti valori “elvetici”. Come quelli dettati dall’etica del lavoro: la puntualità, la precisione, l’affidabilità, l’onestà ecc. Per Fiammetta Jahreiss “anche qui va sottolineata l’importanza dell’educazione. Valori come la puntualità e l’affidabilità si imparano moltissimo nell’apprendistato. Sotto questo profilo, il datore di lavoro svolge un ruolo fondamentale nel processo d’integrazione. E non è poi detto che i ragazzi immigrati di seconda generazione siano in quest’ambito in condizioni peggiori di tanti svizzeri”. Multiculturalità come ricchezza Ma quali risultati garantisce questo metodo? Basta davvero solo vivere e lavorare qui per diventare “veri svizzeri”? “Intanto non dovremmo dipingere questo quadro troppo negativamente – replica la signora Jahreiss –. La Svizzera ha avuto e ha tuttora un potenziale d’integrazione grandissimo. Se guardiamo la composizione della nostra popolazione, non credo siano molti coloro che non hanno almeno un genitore oppure un nonno o un avo con radici in un altro paese. Mentre ci sono molti immigrati di seconda generazione che non si nota

nemmeno siano stranieri... a parte il nome, il più delle volte”. Quelli che arrivano adesso però trovano sovente difficoltà ad adeguarsi a valori come la legalità, lo stato di diritto, il rispetto per gli altri, la solidarietà… Ma per Jahreiss “non si può fare di ogni erba un fascio. Sicuramente in tutte le culture e in tutte le categorie ci sono persone che hanno problemi con le regole. Inoltre, valori come la legalità e la solidarietà sono universali, per cui c’è chi li possiede e chi no, ci sono famiglie che li trasmettono ai loro figli e famiglie che non lo fanno. E questi sono limiti presenti anche in nuclei familiari svizzeri. Non si può proprio generalizzare”. Cosa ne pensa Binaghi? Ha notato se tra ragazzi svizzeri e stranieri c’è un modo differente di recepire e assimilare i valori “svizzeri”? “Sinceramente, questo discorso dei valori, dell’essere svizzeri mi disturba. Sono del parere che la scuola debba insegnare a essere cittadino e a considerare quali sono i principi base dello stato svizzero. Non c’entra se uno è o non è svizzero: abitare in Svizzera è un elemento di consapevolezza che ci sono dei diritti e dei doveri. Quindi, la discussione con l’allievo straniero è esattamente la stessa, anzi si arricchisce perché può essere confrontata con l’educazione che riceve in famiglia, la propria tradizione ecc.”. Dunque, la diversità della cultura d’origine non è un limite, ma un’opportunità, un arricchimento. Anche ai fini dell’integrazione e della naturalizzazione? Secondo Fiammetta Jahreiss “è sicuramente una cosa in più. Sia per quanto riguarda la lingua, perché questi ragazzi crescono come minimo bilingui; sia perché chi porta con sé i valori della propria cultura e delle proprie tradizioni possiede qualcosa in più, un supplemento a quello che si impara in Svizzera. E questo dà la possibilità di aprire la mente, di vedere le cose in maniera più aperta. È quindi opportuno che la cultura, la lingua e le tradizioni d’origine vadano coltivate: sono un arricchimento e aiutano a essere critici nei confronti di una società o di un’altra. Se non si ha una base solida, manca il fondamento su cui costruire un’altra cultura”. Per il professor Binaghi, invece, “tutto sta nel quanto la società è pronta ad accogliere le differenze. In realtà è un problema sociale ed economico. Ogni cultura in quanto tale è un arricchimento. Ma è chiaro che i giovani stranieri appartenenti a ceti più abbienti, con un background economico e sociale più elevato, sono più adatti a recepire e a integrarsi. Perché hanno meno problematiche. Nel processo di integrazione la condizione sociale della famiglia ha un ruolo rilevante, più che le origini nazionali o culturali”.


Letture Labirinti di vita di Marco Alloni Ponderoso, 1Q84 gioca sul filo dell’ambiguità. Il titolo è un rimaneggiamento del più noto 1984 di Orwell, in cui per la prima volta nella storia della letteratura compare la figura del “Grande Fratello”. Murakami spinge però la sua storia oltre il piano del surrealismo orwelliano per raggiungere quello della pura iper-realtà, che nell’autore può essere considerata quello spazio della letteratura, o della fantasia, o del pensiero filosofico, in cui la logica cessa di avere (contrariamente a Orwell) voce in capitolo. L’iper-realtà dell’autore – ben diversa da quella artistica dell’ingigantimento del dettaglio – è una realtà in cui persino la metafora fatica a trovare la sua parte. Le situazioni partono sempre da dati di ordinaria normalità, e i personaggi sono sulle prime semplici abitanti della Tokio contemporanea. Ma col procedere della storia “enzimi” sempre più insidiosi e indecifrabili si insinuano nel racconto, scombinando le regole della narrazione tradizionale e superando, per così dire, tanto la poetica dell’assurdo di un Jonesco o di un

Beckett quanto quella di un Kafka. E il lettore deve lasciarsi trasportare in una dimensione incognita e cessare di voler capire attraverso gli strumenti della razionalità. Nel caso di 1Q84 le storie sono due e corrono in parallelo per congiungersi centinaia di pagine più avanti (il libro ne conta oltre 700). Da una parte uno scrittore, Tengo, che entra suo malgrado tra i reticoli di un mondo immaginifico, e tuttavia collimante con la realtà, impersonificato da una stramba figura femminile scrittrice di testi “dettati” da entità misteriose chiamate Little People. Dall’altra la giovane Aomame, che nel suo ruolo di serial killer incarna l’irriducibilità del bene e dell’amore a categorie della morale. In mezzo, una folla di personaggi che, nella trama accattivante ma troppo spesso manieristica di questo intreccio senza soluzione, dispiegano un universo in cui l’unica vittoria è di Murakami, della sua irriducibilità a un senso o a un messaggio. E l’unica sconfitta la nostra abitudine a capire soltanto razionalmente.

1Q84. Libro 1 e 2 Aprile–settembre di Murakami Haruki Einaudi, 2011

Nel corso del 2012 è apparsa anche la terza parte dell’opera, sempre per l’editore Einaudi: 1Q84. Libro 3 Ottobre–dicembre

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Una soluzione si trova sempre


Risurrezione

Il primo scontro tra fede e ragione descritto dalla nostra tradizione religiosa, avvenne quando ad Atene alcuni filosofi udirono da Paolo di Tarso le parole “anástasis necron”, risurrezione dei morti1 di Carlo Baggi

Kronos 8

In effetti, pur ammettendo che in natura, come riconosciu- produttiva, ma anche un senso di spiritualità nel momento in to dalla fisica classica, sia possibile una forma di “riciclo” cui l’individuo, donandosi, supera il suo egoismo. Partendo della materia, il concetto di risurrezione del corpo appare da quest’aspetto e andando ancor oltre, in un’esistenza sottoinesplicabile sotto ogni aspetto legato alla nostra realtà messa allo spirito, si può scorgere nella sessualità l’annuncio e quindi scientificamente “incredibile”. Jean Guitton, in di un rapporto con la trasmutazione dei corpi10. Prospettiva un suo scritto2, partendo da quell’episodio, osserva che: recepita da tutte le culture con l’importanza e la sacralità “La risurrezione è sempre caduta nel «punto cieco» della retina conferita all’argomento. pensante” poiché “essa non è per il pensiero un mistero… è un L’autore, per corroborare il suo pensiero, offre poi un conelemento inassimilabile”3. tributo esegetico di un passo del Cantico dei Cantici (8:6). Ciò posto, egli si propone di fornire una base Questo richiamo merita un’ulteriore attena questo pensiero, considerando che la risurzione, perché quel testo biblico, descrivendo rezione di Gesù di Nazaret (di cui non pone la relazione d’amore in ogni suo aspetto (erola questione nell’opera in oggetto) “ci obbliga, tico, psicologico e spirituale), lascia trasparire infatti, a considerare l’ipertesi di uno statuto designificati imprescindibili per l’argomento in finitivo e superevolutivo dell’uomo e anche della questione. Il Cantico, in quel suo punto finale natura”4. L’evento diviene pertanto attuale ove lo spirito prende il sopravvento, descrive anche alla luce di una “prospettiva ultima” una pressante richiesta dell’amata: “Mettimi dell’umanità. Il problema fondamentale scacome un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo turisce non solo dal rapporto esistente tra il sul tuo braccio; poiché l’amore è forte come la tempo e l’eternità, vissuto drammaticamente morte...”. Queste parole, se da un lato espridall’uomo al cospetto della morte, ma anche mono il desiderio di trasfondersi interamente dall’altrettanto angosciosa esperienza legata nell’amato11, dall’altro svelano il significato e alla sproporzione esistente tra l’onnipotenza stimolano l’uomo nella necessità di ricercare del pensiero (tutto è pensabile) e la limitalo spirito. L’urgenza di questo “matrimonio” tezza dell’azione (non tutto è possibile)5. In tra l’infinito amore divino (Amato) e il finito Risurrezione di Matthias aggiunta a questi due deficit esistenziali si amore umano (amata) è assoluta. Da quell’inGrünewald, particolare della potrebbe anche aggiungere la sensazione contro dipende l’eliminazione di quel nemiPala d’altare di Isenheim, d’immortalità, determinata dalla capacità di co che, annidato nell’uomo, ha nella morte olio su tela, Museo programmare il proprio futuro nel presente. la sua immagine fisica. Il Cantico, affermando di Unterlinden, Colmar Proprio queste incongruenze sarebbero, tutche l’amore è forte come la morte (e non “più” tavia, un segnale dell’esistenza di un processo riparatorio della morte), riconosce nel drammatico equilibrio l’aspetto che, permettendo finalmente l’incontro tra finito e infinito, assorbente (ben reso dall’espressione “amare da morire”) che coinvolgerebbe l’intera struttura umana composta di corpo, si sprigiona da quell’unione spirituale. L’amore “abbracpsiche e spirito6. Tuttavia, il passaggio dall’homo sapiens ciando” la morte la trasforma da elemento annichilente a all’homo spiritualis presuppone l’avvento e il superamento strumento per la trasfigurazione. La risurrezione della carne di un’emergenza esistenziale ineludibile, che assorbendo la sarà, allora, solo una conseguenza. psiche, renderebbe possibile l’unione diretta tra il corpo e lo spirito7. Matrimonio d’amore Anche la teologia cristiana considera la risurrezione come una “trasformazione” della natura umana, ma non come “processo autoevolutivo del corpo”, bensì come il “risultato dell’intervento del Cristo”8, che è “primizia di coloro che dormono”9. Al di fuori di questo contesto, in cui la fede e la testimonianza delle Scritture neotestamentarie sono decisive, occorre allora verificare per quali percorsi lo straordinario evento sia già prefigurato nell’uomo. Guitton considera che l’esperienza sessuale umana non abbia solo una finalità ri-

note 1 Atti degli Apostoli 17:32. 2 J. Guitton, Filosofia della risurrezione, Ed. Paoline, 1981. 3 Op.cit., pag. 13. 4 Op.cit., pag. 37. 5 Op.cit., pag. 39. 6 Op.cit., pag. 21 (1 Tessalonicesi 5:23). 7 Op.cit., pagg.130–135. 8 I. Chareire, La risurrezione dei morti, pag. 74, Ed. San Paolo, 2002. 9 1 Corinzi 15:20. 10 J. Guitton, pagg. 23–25. 11 G. Ravasi, Cantico dei Cantici, pag. 151, Oscar Mondadori, 1996.


L’ultima lettera

Lo abbiamo immaginato, Stefano Franscini, il giorno precedente la sua morte, intento a scrivere all’amico Carlo Cattaneo una lettera in cui ideali, ricordi, frustrazioni e visioni del futuro si intrecciano come a dar vita a un ideale testamento di Daniele Fontana

Berna, 18 luglio 1857

Carissimo amico mio,

pane e lavoro. E poi il nostro viaggio attraverso la Svizzera, Ti scrivo in questa strana sera di metà luglio, con una mano scoprendone bellezze, forza e segreti. I nostri comuni, inscura e algida che mi attanaglia il cuore. Da qualche giorno crollabili ideali di conoscenza e di progresso. un inquieto malessere pervade il mio corpo e da lì contagia So che la storia procede per ampi respiri e che agli la mia anima. Al punto che le anse della superba Aare, che avanzamenti fanno seguito ripiegamenti. Ma alle voldalle finestre di casa mia vedo svolgersi nella piana, mi pa- te gli intervalli tra gli uni e gli altri paiono incolmaiono stringere il ponte di Nydegg come fosse il mio petto. bili. Almeno per noi. E per il tempo che ci è dato. Sento l’ombra e l’affanno della sera Penso ai miei figli e a quelli della e il mio pensiero corre a te, amico mia terra. E ai figli dei loro figli. Che di speranze, di ideali, di viaggi e di ne sarà di loro domani, e dopo, e tra battaglie. Corre a te e porta con sé, duecent’anni? Forse in campo matecome testamento, il bagaglio di una riale molte cose saranno migliorate vita. Umile nelle sue origini vallee questa a volte nera miseria si sarà rane, modesta anche nei momenti un poco o assai diradata. Ma spiridelle sue più alte cariche, appassioto, cultura, apertura, che sono aria nata nei suoi progetti e fedele nel irrinunciabile per il respiro, quanta suo servizio. ce ne sarà? Quante volte ricadrà, la Non so cosa resterà di me, della mia mia amata terra, vittima dei sobillotta inesausta per il mio popolo, latori, sempre pronti a innaffiare sotto le bandiere della civiltà, del prole malvagie sementi rimastele nel gresso e con le armi dell’educazione seno da antecedenze tutte servili e e dell’emancipazione. Dentro di me rozze? Quante altre saprà rialzarsi certo provo una dolce soddisfazione e guardare avanti. E attorno a sé? per le non poche cose compiute. Non ti nascondo che il battito delle Ritratto di Stefano Franscini (ti.ch/DECS) In particolare, nei campi pressoché tenebre alle volte parmi estinguere la deserti della scuola pubblica per il nostro popolo ticinese e fiamma di fiducia che da sempre riscalda il mio cuore. Sia delle scienze statistiche, occhiali formidabili per leggere la pure, forse sarò ricordato, ma non è nei ritratti che voglio verità delle cose. Una dolcezza che per ampi tratti sopravan- finire. È nelle cose. Nel progresso. Delle idee e delle persone. za l’amarezza delle fatiche e delle incomprensioni. Anche se, Sacrificherei, credimi, il mio nome per le mie aspirazioni. lo riconosco, una ferita ancora mi sanguina nel petto. Ed è Carlo, amico mio, mi pare che, dall’ammasso di case fatiquella infertami dal pugnale della mia stessa gente, quando scenti che stanno alle mie spalle, la sera scenda rapida in mi negò la rielezione al Governo federale. Quell’amarezza questo giorno pur di luce lunga. E sento, anzi le vedo, ombre ancor oggi percorre a ritroso la lama, la mano e il braccio ancor più lunghe e cupe srotolarsi sulla strada della storia. che vibrarono il colpo, su su sino a giungere al corpo dalla Temo che neppure la fiaccola ardente di quell’Engels – tedoconservazione, della chiusura più retriva e meschina di cui foro che va attraversando anche la Svizzera per incendiare sa essere capace la mia amata terra, pur generosa su altri il mondo e che mi si dice esprima apprezzamenti sul mio fronti e in altri modi. Un profilo che nella mia mente si so- operato – riuscirà a debellare la forza del male oscuro. Che vrappone, confondendovisi, al cesarismo regressivo di quel rinasce, instancabile, nelle nostre stesse carni. Scusa, amico Quadri che tanto danno ha causato alla parte più nobile e mio carissimo, questo sfogo amaro di un uomo che a volte generosa del mio popolo. si sente solo, allontanato dal mondo dal duplice agire della So invece cosa resterà di noi, amico mio carissimo. Il nostro sua sordità e della sua malinconia. incontro a Milano, terra di fermenti, di idee e di speranze Tu, se puoi, se lo vuoi, ricordami per quel che sono. E che per l’intero continente e al tempo stesso terra fertile e gene- sono stato davvero. rosa per la gente ticinese che a frotte vi ha cercato e trovato Stefano

Eroi 9


Ricognizione radiotelevisiva Criticare la “nostra” RSI – perché davvero la sentiamo “parte del nostro mondo”, ma anche perché, pagando il canone, partecipiamo ai suoi costi – è un atto malevolo. A meno che non si portino delle valide alternative

di Nicoletta Barazzoni

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Avanzare delle critiche alla Radiotelevisione svizzera di lingua italiana significa, innanzitutto e di riflesso, muoverle anche ai nostri colleghi giornalisti che ne fanno parte. Chi siamo noi dunque, che non abbiamo mai fatto un minuto di televisione, per giudicare una trasmissione etichettandola come sciatta o servile? Fare della critica senza prima aver fatto dell’autocritica è molto più ridicolo della critica stessa, perché prima di guardare il naso altrui sarebbe bene guardare allo specchio il proprio. Ci lanciamo però in una serie di ricognizioni che, da questo momento, seguiranno a cadenza più o meno regolare, su come alcune offerte televisive entrano nel salotto di casa. Produrre televisione senza abbassare il livello, proponendo programmi validi qualitativamente, è un impegno aziendale ambizioso a cui molte reti televisive tentano di far fronte. La presenza nel web della nostra emittente di servizio pubblico sta cambiando anche lo sguardo dell’utenza, difficilmente classificabile in un’unica tipologia di telespettatori. Allargando il dominio in rete si amplia anche l’impatto mediatico, aumentando a sua volta l’opportunità di attirare radio e telespettatori. Considerando il basilare principio secondo cui ognuno ha le sue preferenze, riteniamo l’attuale prodotto televisivo dotato di un livello qualitativo piacevole se si tratta di intrattenimento, e piuttosto autorevole se si tratta di

approfondimento. Poi ci sono le solite “mosche nella vetrina del macellaio”, quelle che guastano l’immagine e non ci soddisfano affatto, sia perché vorremmo avere la TV personalizzata (spesso si hanno delle aspettative individuali) sia perché ognuno in fondo ha il proprio modello di televisione in testa. Ma non avendo terminato di fare dell’autocritica (ed essendo le mosche in quantità non così rilevante), soprassediamo nel trattar di loro. Una televisione professionale Se negli anni passati le trasmissioni della RSI ci annoiavano, da qualche tempo a questa parte aspettiamo con interesse l’appuntamento preferito, recuperandolo magari sul web. In tempi di difficoltà finanziaria e di ristrettezze economiche non ci sembra ci siano state delle cadute di stile tanto da far precipitare la “nostra” nella classifica della TV spazzatura. A nostro parere il mosaico televisivo denota una vasta gamma di scelte non pensate per giustificare il prodotto nella chiave di ripartizione con le altre emittenti confederate, bensì selezionate nel rispetto della pluralità. Queste considerazioni valgono anche per la radio, con la sua informazione regionale e nazionale, seria e professionale. Gli amici italiani ci dicono di apprezzare molto la diffusione radiotelevisiva nel loro dominio, e quando il mo-

Ha una buona memoria ma ne usufruisce solo lei.


nopolio delle reti private ne oscura la ricezione, si dicono delusi perché ritengono che la nostra TV, al cospetto della loro inconsistenza mediatica, è molto più attrattiva. Anche i TG li ritengono superiori a quelli italiani perché, oltre a essere meno faziosi, trattano più approfonditamente delle dinamiche socioeconomiche del centro Europa.

La qualità negli anni ’70: il Gatto Arturo con la sua produttrice, Adriana Parola Fonte (da Voce e Specchio. Storia della RSI, Dadò, 2009)

Il valore delle persone La televisione è fatta da persone, buone o cattive, mentre i telespettatori sono, globalmente, ben informati e in grado di scegliere all’interno di una vasta realtà mediatica. Vediamo giornalisti con grande esperienza professionale, che alternano interviste a politici con dei faccia a faccia accesi (di parte sostiene qualcuno? E ben vengano i giornalisti che hanno il coraggio di profilarsi con onestà e sanno attenersi al mandato di servizio pubblico). Purtroppo però non vediamo molta alternanza tra quei giornalisti e quelle giornaliste particolarmente bravi/e (e ce ne sono parecchi/e) in grado di condurre qualsiasi trasmissione, se messi nella condizione di poterlo fare. Ci sono giornalisti che intervengono in campi come la letteratura, la musica, le novità editoriali, nell’espressione delle loro specifiche competenze. Se la RSI ha intenzione di puntare sulla politica del consolidamento, della competenza, della professionalità, ma soprattutto del rinnovamento, con l’ardire di guardare lontano, otterrà un risultato a lungo termine, con un consistente guadagno d’immagine, strumento d’elezione nella lotta alla concorrenza. Dal momento che la politica aziendale, in termini di contenitore ma soprattutto di contenuto, è diventata ai nostri occhi più rigorosa (e guardabile), consentirà al medium di valorizzare la nostra identità e i nostri gusti. Ne consegue che oggi, potendo esibire presenze istituzionali e intellettuali altamente qualificate e poli di competenza in vari campi, con informazioni, approfondimenti e dibattiti, la Radiotelevisione svizzera di lingua italiana porta a fotografare una realtà promettente, fornendo ai cittadini un servizio di qualità rispondente alle aspettative del pubblico.

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Vitae 12

ono cresciuta in una famiglia creativa. Mio padre, architetto, arrivava a casa con i modellini delle sue costruzioni e ci faceva immaginare quegli spazi. Mia madre, che era grafica, inventava mille giochi con me e le mie due sorelle… Con lei le adornavamo di fiori finti le piante che diventavano una giungla tropicale, giravamo i tavoli e, con una coperta, li trasformavamo in tende beduine dove sorseggiare il tè. Fin da allora il mio desiderio di creare è stato intenso e vivace. Dato che in famiglia i soldi non abbondavano, per pagarmi il primo studio di restauro a Firenze, ho lavorato negli ambiti più diversi. Uno di questi impieghi mi è rimasto particolarmente impresso: mi avevano assunta come aiuto infermiera all’Inselspital di Berna, nel reparto per malati terminali. Lì mi resi conto che davanti alla malattia grave e alla sofferenza, tutte le maschere sociali si annullano e diventiamo semplicemente delle persone. Da sempre, alla comunicazione virtuale preferisco il contatto umano diretto, solo così riesco a percepire la persona con tutti i miei sensi. Nel corso della mia vita, ho avuto la fortuna di incontrare molte persone di spessore che mi hanno sostenuta in quello che facevo e mi hanno aiutata a scoprire in me qualità che io altrimenti non avrei visto. Strada facendo, ho imparato a riconoscere le persone degne di fiducia ascoltando la mia voce interiore piuttosto che quella della ragione, una strategia che si è dimostrata vincente. Nel mio percorso artistico sono partita dall’oggetto antico: alta professionalità e manualità unita a una conoscenza dell’arte e le sue tecniche che va indietro nel tempo. Per me il restauro consiste nel ricreare le parti di un’opera, rispettando esattamente i materiali e la lavorazione dell’originale. In questo senso si tratta di un processo creativo a circolo “chiuso” e così, accanto all’attività come restauratrice, ho sempre dato spazio al mio estro creando delle opere tridimensionali personali in carta. Con la seconda formazione, alla Hochschule der Künste di Zurigo, mi sono aperta: dall’oggetto tridimensionale antico sono passata al lavoro con lo spazio e al suo allestimento

scenografico con luci, colori, attori, media e audio. Da lì è nata anche l’ispirazione di creare gli oggetti decorativi e moderni di articino. Nella creatività per me esiste sempre un primo processo di visualizzazione mentale nel quale ti immagini le cose più folli, per poi passare alla fase più importante e impegnativa della realizzazione manuale. Il mio lavoro mi porta a essere sempre a contatto diretto con la materia, la forma e la lavorazione dell’oggetto tridimensionale. Un anno fa, ho voluto far confluire tutto il mio bagaglio in un unico progetto professionale e ho aperto l’atelier per la Comunicazione tridimensionale dove creo oggetti, materiale di ogni genere e allestimenti, per imprese e privati. La mia casa è popolata da mini draghetti salvagente, collezioni di scarpine preziose in miniatura, sushi e praliné giganti. Ideando questi oggetti non posso fare a meno di immaginarli in un contesto specifico, ognuno con la sua propria storia. La mia sfida è riuscire a conferire a ogni oggetto commissionato una personalità e la capacità espressiva di comunicare il messaggio desiderato. Quello che faccio, anche se lo creo per terzi, devo vederlo e capirlo. Dialogo con le opere che progetto, loro mi raccontano delle storie fantastiche e “assieme” ci divertiamo. La speranza è che ogni oggetto riesca poi a comunicare con chi lo guarda: il massimo della libidine! Per natura sono una persona molto allegra e produttiva ma è chiaro che non sempre tutto è rose e fiori… Essendo una creativa ho degli sbalzi particolarmente marcati dallo zero al wow! Oggi, vedo queste fasi come qualcosa di positivo. Mi permetto di andare giù, consapevole che poi tornerò sulla cresta dell’onda piena di energia. È come se ci volesse anche la caduta, il momento in cui ti chiudi nel cocoon, in silenzio, e poi wuuu esci come una farfalla. In questi periodi potrei lavorare non-stop 24 ore su 24. Il mio credo? Una bella risata quotidiana, specialmente se condivisa, risolve tanti problemi.

GIZI FLUCK

Restauratrice e creatrice, sin dall’infanzia la manualità è stata il suo pane quotidiano. Una fantasia che oggi è diventata strabordante e contagiosa...

testimonianza raccolta da Keri Gonzato fotografia ©Flavia Leuenberger


Dov’è andata la

Nonnaregina? di Anna Ruchat; illustrazioni ©Sophie Chkheidze


Un anno fa, quando è morta mia madre, mia nipote Cecilia, che aveva trascorso molto tempo con lei fino a pochi mesi prima, era disperata. La nostra è una famiglia molto laica (come tante famiglie oggi) e so per esperienza cosa significhi avere a che fare con la morte da bambini in un contesto in cui non c’è (o sembra non esserci) altra dimensione al di fuori di quella materiale. Ho cercato, con questa fiaba in cinque tempi, di dare a mia nipote, e a tutti noi, delle linee di fuga dalla brutalità della fine terrena, di aprire una finestra sul dialogo necessario con chi non c’è più

La Nonnaregina potrebbe essere andata su per il cielo con la scala di Giacobbe, la lunga scala di corda che usano gli angeli quando fa buio, per scendere sulla terra e risalire. La Nonnaregina, finalmente libera da tubi e tubicini, sale svelta in quell’andirivieni di ali, di piccoli piedi d’angelo e di capelli d’angelo (che le piacevano tanto cotti nella minestra!). Sale e sale la Nonnaregina ma, a un certo punto, un angelo più attento degli altri si ferma e dice a un altro: “Guarda qui, Gabriele! Questa donnina non è l’architetto di cui ci parlavano ieri? Quello che potrebbe esserci utile nella progettazione della strada tra le stelle. Cosa dici, chiediamo subito?” “Veramente la signora dev’essere ancora un po’ stanca” risponde Gabriele che sta qualche gradino più su, voltandosi verso la Nonnaregina, “ha l’aria così piccolina e delicata…”. Ma la Nonnaregina, che ha sentito tutta la conversazione, dice: “Stanca io? Ma se da mesi non faccio altro che riposarmi, attaccata a tutti quei tubi! Figuratevi che a volte non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal letto. Ora invece, guardate qui!” e la Nonnaregina spicca un sal-

to da un gradino all’altro tenendosi alle corde con le sue belle mani forti. “Piano, piano…”, dice il primo angelo prendendola sull’ala, “ora saliamo fin su e poi Le spiegheremo per bene quello che c’è da fare”. Ma la Nonnaregina comincia subito a tempestarlo di domande: e quando dev’essere pronta la strada, e se hanno già pensato all’illuminazione, e come sono messi gli angeli con la questione della sicurezza…

O forse la Nonnaregina s’è involata su una foglia portata dal vento. Quella notte c’era un gran vento e la Nonnaregina, come sempre quando c’è vento, aveva il mal di testa ed era un po’ nervosa. Oltretutto, le era giunta voce che sarebbe dovuta salire su una foglia per raggiungere la sua nuova residenza dentro l’albero, ma la foglia non si vedeva. La finestra è aperta. Il vento continua a soffiare. La Nonnaregina s’innervosisce. Così quando finalmente vede planare davanti ai suoi occhi la foglia di faggio rosso, esclama


irritatissima: “Manooo, manooo… ve l’avevo detto che volevo una foglia di Gynco, non di faggio rosso, ne abbiamo già discusso, la foglia di faggio ha dei problemi strutturali, quella di Gynco invece è l’unica foglia solida, essendo la sua pianta, la Gynco appunto, un fossile…”. La foglia di faggio rosso ci rimane un po’ male e diventa ancora più rossa, ma nessuno se ne accorge. Subito arriva lo gnomo della notte che si scusa moltissimo con la Nonnaregina per il ritardo e per il malinteso. “Ecco la foglia di Gynco”, dice lo gnomo indicando un grappolo con cinque ventagli che sta entrando in quel momento dalla finestra come una carrozza alata. “C’è stato uno scambio nelle ordinazioni, di solito non succede…”. “Va bene, va bene” lo interrompe la Nonnaregina “non la metta giù troppo dura adesso, e invece mi faccia un piacere, mi dia un Alka Selzer per il mal di testa...” “Certo” dice lo gnomo e tira fuori dalla tasca una cosa che sembra un mentino. “Non è un Alka Selzer ma fa passare tutti i mali del mondo, da quello di pancia a quello di denti passando per il mal di testa”. La Nonnaregina, un po’ diffidente ma abituata ormai alle medicine, guarda la pasticca e poi, alzando le spalle, se la infila in bocca. In men che non si dica diventa minuscola, lo gnomo la issa sulla foglia di Gynco, il vento la solleva e la porta attraverso la notte fino alla pianta di Gynco più alta e frondosa di Zurigo. Quando la Nonnaregina scende dalla foglia, nell’incavo dell’albero, il mal di testa è passato e il vento non c’è più. Lo gnomo la accompagna nelle due stanze che le sono state assegnate: una cucina piccolissima ma tutta attrezzata e uno studio-camera da letto con un minuscolo tavolo da disegno con i cavalletti e lo sgabello girevole. “Senta” dice la Nonnaregina allo gnomo voltandosi, “lei mi sta proprio simpatico, perché non si ferma a bere un caffè, è tanto che non ne prendo uno…”. “Volentieri” risponde lo gnomo e appoggia sul tavolo un sacchetto “ho portato i gipfel freschi…”.

Ma la Nonnaregina, quella notte, potrebbe anche essersi arrampicata con le sue mani forti su per la pianta del fagiolo magico. Una mano dopo l’altra, qualche colpo di gambe e la Nonnaregina arriva su, oltre le nuvole, dove c’è il castello del gigante, quello della gallina dalle uova d’oro e dell’arpa magica. La Nonnaregina ha sentito dire che il castello del gigante ha bisogno di un restauro, ma non sa cosa davvero l’aspetta... Da anni, in effetti, il castello va in rovina perché il figlio del figlio del figlio del gigante di Giacomino, non trovando più “cristianucci” da mangiare è diventato vegetariano e ha impiegato tutte le sue energie per coltivare l’orto dimenticando il palazzo. La gallina ha smesso di fare uova d’oro e si è messa a fare uova normali, il che è una vera fortuna per la dieta del gigante e della sua gigantessa. Quello che la Nonnaregina non sa quando arriva al castello è che quel posto si è riempito, nel frattempo, di musicisti. Tutto merito dell’arpa magica che, essendo magica, si mol(...) tiplica e si trasforma in mille altri strumenti.


Perciò nel castello diroccato s’è formata una grande orchestra e chiunque arrivi lì deve farne parte. Non appena la Nonnaregina, dopo la lunga arrampicata su per il fagiolo magico, mette piede al castello, la gigantessa le offre un bell’uovo alla coque, come quelli che la Nonna mangiava da ragazza, e già questo la mette di buon umore. Poi i gigantini (figli del gigante e della gigantessa) le danno un abito tutto bianco e lungo di mussola, una stoffa di cotone leggero e molto soffice, che alla Nonnaregina piace moltissimo perché la mussola era la passione della sua mamma. Infine la portano in una grande stanza dove deve scegliere lo strumento che preferisce per poi entrare subito a far parte della grande orchestra del castello. La Nonnaregina ha solo il tempo di pensare “e il restauro?”, ma non riesce nemmeno a pronunciare la domanda, perché l’orchestra sta già accordando gli strumenti. Aspetta solo lei. Felice di poter finalmente suonare in un’orchestra, la Nonnaregina dice soltanto: “Datemi lo strumento che volete, imparerò a suonarlo!”.

Oppure una gru ha portato la Nonnaregina sulla nuvola dell’arcobaleno. Il braccio della gru più grande di Zurigo (un braccio speciale e tutto snodato) s’è allungato dentro la finestra aperta e la Nonnaregina è entrata in una cesta di vimini predisposta per quei viaggi speciali, che era appesa al gancio della gru. Poi il braccio si è allungato su su su finché non ha raggiunto una nuvola enorme e bianchissima; allora la cesta di vimini, con la Nonnaregina dentro, è stata depositata nel bianco ovattato della nuvola e il braccio della gru si è ritirato. Quella nuvola, che vista da fuori sembra fatta d’aria e d’acqua come tutte le altre, all’interno è una specie di centrale elettrica con diversi laboratori pieni di tubi, uno per ogni colore dell’arcobaleno: rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco, viola. La centrale formicola

di persone che indossano le tute dei diversi colori dell’arcobaleno e vanno avanti e indietro lungo i tubi, controllano i rubinetti, verificano la pressione. Al primo colpo d’occhio la Nonnaregina si accorge che il tubo dell’indaco perde e quello del giallo si è un po’ ossidato. Lo dice senza preamboli al vecchissimo signore con la barba che è venuto ad accoglierla. “Buongiorno Signora, La aspettavamo”, dice il vecchio che intanto si presenta: “Piacere, sono Noè, quello del Diluvio Universale. Alla fine del Diluvio, forse Lei non lo sa, mi hanno mandato l’arcobaleno per promettermi che il mondo non sarebbe mai più stato inondato. Da allora dirigo questa centrale da cui nascono tutti gli arcobaleni del mondo. Qualche tempo fa ho chiesto di mandarmi qualcuno – un architetto magari, che avesse però delle buone competenze tecniche e conoscesse i colori – insomma, un consulente, un braccio destro… Vede, io non riesco più a occuparmi di tutto… Vede” dice ancora Noè lisciandosi la lunga barba. “Noi, ogni cento anni, sostituiamo


guarnizioni e condutture, ma anche qui ormai i materiali non sono più quelli di una volta”. La Nonnaregina guarda il vecchissimo Noè, con la sua barba lunga fino a terra ed esclama: “Ah davvero? Allora questi problemi ce li avete anche voi? Non avrei mai immaginato…” “Non me ne parli” risponde Noè, “è stanca? Preferisce riposarsi? O andiamo subito a fare un sopraluogo?” “Andiamo, andiamo”, dice la Nonnaregina e si avvia con passo deciso giù per la scala della centrale.

O invece la Nonnaregina ha raggiunto, con una navicella spaziale minuscola, il pianeta del Piccolo Principe. La Nonnaregina si era già annunciata per quel posto sull’asteroide B612, che era vacante

da molto tempo. Sull’asteroide B612 mancava qualcuno che si occupasse dei baobab. Il pianeta del Piccolo Principe, si sa, è molto piccolo: ci stanno poche cose oltre ai tre baobab, alla scatola con dentro la pecora, e alla rosa.

Tuttavia, la posizione del pianeta nello spazio è tale per cui da lì si può vedere tutto quello che succede sulla Terra. Si può mettere a fuoco la regione che si preferisce e si possono persino guardare le nipotine quando vanno a scuola o all’asilo (c’è addirittura una panchina pensata apposta). Per questo la Nonnaregina si era prenotata, anche se con qualche perplessità per via delle dimensioni del pianeta. Alla Nonnaregina è sempre piaciuto stare larga e l’idea di passare il suo tempo su un pianeta minuscolo la preoccupava un po’. Inoltre (così credeva) sul pianeta del Piccolo Principe si sta da soli: non c’è nessuno con cui chiacchierare e commentare quello che si vede giù, cosa che alla lunga può diventare noiosa… Figuratevi quindi la sorpresa quando la Nonnaregina, appena scesa dalla navicella spaziale, vede, proprio dietro un baobab, la sua grande amica, la principessa Nadia. “Cosa ci fai qui?” le chiede la Nonnaregina, già un po’ seccata, “credevo che non ci fosse ancora nessuno a prendersi cura dei Baobab”. “Infatti. Io mi occupo della pecora” risponde tranquilla la principessa Nadia infilando l’erba dentro una grande scatola con i buchi. “E comunque ti stavo aspettando. L’ho fatto emettere io il bando per i Baobab, tanto tempo fa, sapevo che ci saresti cascata. E adesso per un po’ non mi scappi più”. “Vedremo, vedremo” dice la Nonnaregina “se mi fai arrabbiare cambio asteroide, ma per il momento va benissimo qui, basta che ognuno sbrighi le sue cose, tu la pecora e io i baobab. Poi guardiamo insieme i nipotini”. “Va bene” risponde la principessa Nadia “Siediti lì, sulla panchina che ti porto il caffè. In questi anni di attesa ho preparato diversi vasi di marmellata di fiori di baobab. La vuoi assaggiare?”. Per Cecilia, nata il 21 novembre 2006 nel giorno del suo sesto compleanno


Autolavaggio. Saune ferrose di Marco Jeitziner; fotografie ©Flavia Leuenberger

niente? Infatti c’è chi non lo farebbe mai e l’auto la lava rigorosamente a casa.

Prelavaggio,

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lavaggio, risciacquo, lucidatura. No, non sto parlando di una lavastoviglie o della lavatrice per il vostro bucato, ma di cofani metallici sotto potenti getti d’acqua, calda per giunta, spazzoloni e sciacquoni, docce per parabrezza e saune per pneumatici. Quando avevo l’auto la portavo alla “Spa” sì e no una volta l’anno: ero un moderato perché, in fondo, era solo un’insulsa vettura. Ma sappiamo che non è così, per questo quando la si lava, statene certi, non state soltanto pulendo del vetro e della lamiera assemblata, ma voi stessi. Puliti e contenti L’ossessione per l’igiene e la pulizia nella nostra società non poteva non includere anche questa protesi che è l’auto, quindi i suoi “impianti sanitari”. Fare la spesa in centro con l’auto che sembra aver appena percorso la Parigi-Dakar, è socialmente poco indicato. E all’appuntamento galante non è forse meglio giungere con l’auto profumata e tirata a lucido? Farle lo shampoo è come farlo ai nostri capelli, ossessione estetica dei tempi moderni. L’automobile è diventata una casa secondaria (più per lavoro che per vacanza), quindi colore e lindore della carrozzeria, dei cerchioni, del parabrezza, indicano pur qualcosa di come siamo. Già scrissi sull’abitacolo (Ticinosette n. 9/2012), piccolo tempio mobile, quindi ribadisco che tra una lucida carrozzeria giapponese e un paio di incerati mocassini italiani non c’è nessuna differenza: status, estetica, ego, virilità ecc. In realtà, questo è sempre meno vero: col benessere tutti hanno l’auto (il vero lusso è non averla del tutto!), col conformismo hanno tutti la stessa e con la parità dei sessi ormai anche le donne si sentono “virili” al volante. Ma l’autolavaggio è un po’ come lavare i panni fuori casa: non penserete mica che mettere all’aria tappetini di gomma o spolverare il pupazzetto scolorato sia cosa da

Il Gange dei guidatori Mentre crescono la sensibilità ambientale e il collasso stradale, gli automobilisti non possono dirsi veramente in pace con la coscienza. Anzi, al Car Wash è un po’ come lavarsela, è “il Gange dei guidatori”! Per ovviare alla “colpa” di possederne una – di auto intendo – conviene allora averla pulita: darà l’illusione di sporcare (inquinare) meno. Andare all’autolavaggio è dunque socialmente ben visto, nonostante tutto. Quando mi recavo in questi “lidi motorizzati” – di solito d’inverno a causa del sale sulle strade – o quando oggi mi capita di passarci davanti, constato soltanto quanto ossessivo sia ancora è il nostro rapporto con l’automobile, quanto simbolicamente significhi nella nostra società. Non sto dicendo che bisogna comportarsi come chi so io, e cioè che l’abitacolo diventa discarica o incubatrice per nuove microscopiche forme di vita, ma m’interrogo quando vedo uomini e donne di ogni tipo, in pigiama o con la minigonna, fare minuziosamente e amorevolmente la doccetta alla loro cara vetturetta tanto sporchetta. Sciacquatina, shampettino e via sorridenti, soddisfatti, boccoli al vento (il laccetto colorato legato all’antenna della radio) lungo nuove strade d’asfalto (in realtà sempre le stesse). Il tempo del lavaggio Un amico mi ha detto che doveva assolutamente lavare l’auto e, conoscendolo, gli ho creduto, anche perché possiede non uno ma due cani. Be’, era una domenica pomeriggio e a Lugano non ha trovato nemmeno un autolavaggio libero: si è recato sino a Cadempino per trovare un erogatore disponibile (che poi era rotto e si è fatto la doccia anche lui!) e per poter dare un colpo di aspirapolvere (mezzo rotto pure quello) a sedili e tappezzeria. Un altro conoscente ha poi aggiunto che il sabato pomeriggio orde di guidatori misofobici intasano questi luoghi: lo sai perché vedi enormi nuvole di vapore caldo stagliarsi in cielo, tanto che pare in arrivo un temporale. Di solito sono giovani neopatentati che “mettono il gel” ai loro bolidi in vista delle scarrozzata notturna in discoteca. Lo stesso accade la domenica, quando padri di famiglia, mamme con pargoli al seguito e pensionati intraprendenti cercano diversivi alla routine di casa. Insomma, è una bella giornata; perché mai non dovrei uscire in auto, inquinare un po’ l’aria e il suolo, sprecare in media 150 litri d’acqua calda per lavarla… Anche se domani hanno dato pioggia? Fa lo stesso.


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ZURIGO

PERDERSI A NIEDERDORF Tendenze p. 44 – 45 | di Keri Gonzato


VAGARE TRA LE STRADINE DEL NIEDERDORF, NELLA CITTÀ VECCHIA DI ZURIGO, È UNO DI QUEI PIACERI DELLA VITA DIFFICILI DA DESCRIVERE: CI SONO I CIOTTOLI CHE DISEGNANO ANTICHI ARABESCHI SOTTO AI PIEDI, LE VETRINE IRIDESCENTI DELLE BOUTIQUE DI NICCHIA CHE TI ATTRAGGONO A SÉ, I BARETTI CHE APPENA ESCE UN RAGGIO DI SOLE SPALMANO SEDIE OVUNQUE PER ACCOGLIERTI ASSIEME ALLE TUE CHIACCHIERE. QUI SI TROVANO PARRUCCHIERI STRAVAGANTI, IMPERDIBILI NEGOZI DI SECONDA MANO, TANTA MODA E DESIGN

La casa di Lenin in Spiegelgasse 14

Mucca svizzera nei pressi dell’Hotel Adler

Cibo, per il corpo e per il cervello Nel Niederdorf, chiamato Dörfli per l’allure da paesello medievale, molti vengono per soddisfare l’appetito con una fondue da urlo allo svizzerissimo Adler Chuchi – una sorta di châlet urbano presso l’Hotel Adler dove il pittore Rulf Koller usava passare spesso – o in uno dei vari bistrot multi-etnici. Il quartiere, appoggiato sulla riva est del fiume Limmat, mi fa l’occhiolino: passo dopo passo mi ci perdo… I sensi sono all’erta, non voglio “perdermi” nessuna sorpresa: e subito mi ritrovo davanti alla casa in cui nacque il movimento artistico dei dadaisti: che emozione! Si chiama Cabaret Voltaire e oggi ospita un piccolo museo, un café-bar e uno negozietto pieno di oggetti divertenti. Funge da monito storico, ricordando che la città, oltre ai banchieri, ha ospitato anche molti “artisti matti” e menti rivoluzionarie. Tra il XIX e il XX secolo era una zona di fermento artistico e politico, e in Spiegelgasse 14 abitò persino Lenin. Nonostante poi si sia imborghesito, il quartiere conserva ancora, tra nuovi locali di tendenza e vecchi night club con le foto delle donnine semi-nude, degli angoli di vita rock&roll. Una New York in miniatura I contrasti non mancano. Vago liberamente, i tacchi giocano a fare strani suoni con i ciottoli, e mi godo il fresco piacere che solo l’inaspettato regala. In Spitalgasse scopro una galleria d’arte e, subito dopo, la pasticceria Cupcake Affair, dedicata ai bijoux commestibili resi celebri da Sex and the City. Tutt’intorno ci sono dei bar accoglienti, perfetti per una pausa rilassata. Tra questi scelgo il Café Zähringer – a due passi dalla Zentralbibliothek – che, con più di 30 anni di vita, è oggi un’istituzione; uno di quei bar dall’animo alternativo che apre le sue porte a una clientela variata. Seduti sulle seggiole di metallo verde alcuni giovani scrutano il loro portatile, delle ragazze si scambiano confidenze davanti

Piatto tipico

a una torta ai semi di papavero, un signore legge il giornale e due innamorati si baciano teneramente. Dopo una tazza di tè verde, eccomi pronta a ri-perdermi. Con pochi passi, mi ritrovo in Niederdorfstrasse, dove l’atmosfera cambia con punti di ritrovo popolari come lo Züri Bar e il Rheinfelder Bierhalle frequentati perlopiù da una clientela locale, con panza, baffo e birra alla mano. Noto anche tanti Imbiss, angoli che propongono “sani” cibi da passeggio: bratwurst, pommes frites e käsekuchen. Ma i miei passi mi portano dove io non so… Artigianato e tanta Storia Eccomi in una strada più interna, Bruingasse, a sognare i fasti del passato davanti a una facciata dorata, in puro stile barocco: guardo in su e mi accorgo di trovarmi al numero 3: c’est parfait! Continuo questo piccolo excursus vintage e mi faccio catturare dalla vetrina di Massino Biondi, uno di quegli antiquari con l’officina sul retro. Qui si trovano molti artigiani e in Froschaugasse scopro il piccolo Gravier-Atelier di Jürg Bosshart e la bottega Musikhaus Thurnheer dove si riparano strumenti. Con Synagogengasse inizia la zona di Neumarkt. Un’insegna ricorda un fatto storico scabroso: in quest’area della città c’era un vivace ghetto ebraico che, accusato di diffondere la peste, venne eliminato assieme ai suoi abitanti – catturati, bruciati, torturati o espulsi – con il pogrom del 1349. Scoprirò più tardi che, tra il 1436 e il 1862, gli ebrei furono banditi dalla città di Zurigo. Nel fitto reticolo di viottoli si trova anche il teatro dove, nel 1893, si tenne un congresso della Seconda Internazionale Socialista con Bebel, Lenin, Trotsky e Luxemburg. Mamma mia, quanti fantasmi veleggiano nell’aria... Mi fermo. Questo viaggio senza cartina mi ha portata in un angolo di pace, con rose bianche ai tavolini: al raffinato Wystube Isebähnli mi siedo per un bicchiere di vino e ascolto la vita che scorre.


La domanda della settimana

La creazione di una cassa malattia cantonale unica permetterebbe di contenere i premi a carico degli assicurati?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 28 novembre. I risultati appariranno sul numero 49 di Ticinosette.

Al quesito “L’idea di restare una settimana senza il vostro telefonino vi procura ansia?” avete risposto:

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Svaghi 46

Astri ariete Venere e Giove disarmonici. Mancanza di autodisciplina e voglia di lavorare. Cambiamenti provocati dagli aspetti di Urano e di Plutone.

toro Cambiamenti professionali, ma cercate di tenere la lingua a freno. Volete risolvere i vostri problemi? Prima dovete re-imparare a comunicare.

gemelli Vitalità ma anche impulsività. Calo energetico per i nati nella terza decade in ordine alla quadratura con Marte. Siate meno critici in famiglia.

cancro Amplificazione delle relazioni sociali. Sfruttate la positività di Venere per canalizzare le correnti energie marziane verso l’eros. Giove positivo.

leone Discussioni familiari a causa di antichi rancori. Parlate chiaramente. Turbamenti tra il 24 e il 25 portati dalla Luna di transito nel vostro segno.

vergine Incremento della vita sociale. Attenti a non strafare: avete bisogno anche di riposo. Prudenza negli spostamenti. Novità per la seconda decade.

bilancia Prima di far qualunque cosa provate prima a riposarvi un po’. Inquieti i nati tra la prima e la seconda decade stimolati da Urano e Plutone.

scorpione Amore alla grande. Venere favorisce brillanti cooperazioni con il partner. Novità e notizie in arrivo tra il 26 e il 27 novembre. Possibile viaggio.

sagittario Forti sbalzi umorali tra il 26 e il 27 novembre provocati dagli aspetti con Marte e Luna. Eventi inaspettati per i nati nella prima decade il 24.

capricorno Magnetismo e grosse capacità persuasive. Svolte improvvise per chi ha nel proprio tema natale Urano o Giove in posizione dominante.

acquario Mercurio in Scorpione. Avete la giusta occasione per dimostrare quanto siete geniali. Attenti tra il 24 e il 25 a non farvi prendere dall’orgoglio.

pesci Lavoro, amore e perseveranza. Investimenti nel settore immobiliare. Vita sentimentale ricca di novità per i nati nella seconda decade. Stanchezza.


Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 49

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 28 novembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 26 nov. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. Esteriore, superficiale • 10. Fa coppia con lui • 11. Castorino • 12. Abitava Veio • 14. Breve esempio • 15. È simile alla foca • 16. Arti pennuti • 17. Pari in insetto • 18. Profondo, intimo • 19. Tralasciare • 23. Romania e Belgio • 24. Un residuo storico • 26. Vetusta • 28. Viola nel cuore • 29. Lo era Diana • 30. Si dice consegnando • 31. La fugge il sognatore • 34. La indossa il meccanico • 36. Un amico di Charlie Brown • 38. L’organizzazione con i Berretti Verdi • 40. Vale a dire • 41. La perla del Verbano • 44. I confini di Mogno • 45. La visitò Polo • 46. Concorso Internazionale • 47. Piccoli cervidi • 49. Il cibo quotidiano • 51. Starnazza • 52. Guasto navale. Verticali 1. La moglie di Cosimo I de’ Medici ritratta dal Bronzino • 2. Mese autunnale • 3. Tese • 4. Ostinazione, assillo • 5. Cervice, collottola • 6. Mezzo storto • 7. Articolo romanesco • 8. Si empie di stelle • 9. Vi sosta la carovana • 13. Antica città della Mesopotamia • 16. Vivono nel Nuovo mondo • 18. Rabbie, furori - 20. Preposizione semplice • 21. Adipe • 22. Una perla di Roma • 25. Un colpo all’uscio • 27. Bossolo, proiettile • 30. Dottrinale • 32. Dittongo in beato • 33. Consonanti in iella • 35. Il primo dispari • 37. Con i topi in un libro di Steinbeck • 39. La casa dell’ape • 42. Fiume francese • 43. Il Sodio del chimico • 46. Vettura inglese • 48. Avanti Cristo • 49. Mezza paga • 50. Spagna e Austria.

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La soluzione del Concorso apparso l’8 novembre è: MANIPOLO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta sono stati sorteggiati: Vittorino Richina 6809 Medeglia Rosangela Lazzaroni 6982 Agno Claudia Hüttner 6934 Bioggio Ai vincitori facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: tre Ape card Arcobaleno Ape card è lo strumento ideale per caricare e pagare i biglietti Arcobaleno risparmiando, grazie al plusvalore di ricarica. Maggiori informazioni su www.arcobaleno.ch/apecard

Arcobaleno mette in palio una Ape card da CHF 50.– a tre fortunati lettori che comunicheranno correttamente la soluzione del Concorso.

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