№ 48 del 29 novembre 2013 · con Teleradio dal 1. al 7 dic.
SPECIALE
LIFESTYLE & LUSSO
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Ticinosette n. 48 del 29 novembre 2013
4 Arti Chill-out. Raffreddamento globale di M. dal FaRRa ........... 8 Società Design. Un’ottima idea? di M. JeitzineR .................... 10 Mundus Uomo ricco mi ci ficco di d. CanestRini ................... 12 Letture Parole di donne di G. FoRnasieR................................ 13 Vitae Sergio Crivelli di e. KlueseR .......................................... 14 Reportage Il lusso del tempo di F. MaRtini; Foto di P. KelleR .. 39 Luoghi Nuove frontiere. Lugangeles di M. JeitzineR............... 44 Graphic Novel Solipsismo di e. FeRRaRio .............................. 46 Tendenze Moda e imprese. Luxury games di M. GoRza ....... 48 Svaghi ................................................................................... 50 Agorà Economia. La nuova corsa all’oro
di
R. Roveda .............
SWISS WATCHES TO DREAM OF FOR 160 YEARS
L’utile e tutto il resto Gli articoli presenti in questo numero inducono a riflettere sul significato profondo della fruizione dei beni cosiddetti “superflui”, un significato che può essere rinvenuto nella ricerca di un’esclusività personale dell’esistere come manifestazione conclamata della propria soggettività. Dagli abiti ai più aggiornati dispositivi di comunicazione, dalle auto agli oggetti di design, siamo costantemente “tentati” dai prodotti di lusso che se da un lato rappresentano un’indubbia fonte di gratificazione, in quanto potenti placebo capaci di addolcire la crudezza della vita, dall’altro, rappresentano, in un’epoca in cui i bisogni e le aspirazioni a livello globale tendono a omologarsi, un’occasione attraverso la quale “connettersi” (forse solo illusoriamente) gli uni agli altri. Ciò non toglie che però, soprattutto molti giovani, a prescindere dal loro livello di “connessione”, siano di fatto poco informati. Dall’intervista a Claudio Campana, imprenditore ticinese al centro del Reportage a pagina 39, emerge come vi siano ambiti produttivi – penso in specifico all’orologeria – in cui vi è un’oggettiva difficoltà a reperire personale specializzato, a partire dagli operatori delle macchine a controllo numerico fino agli stessi meccanici-orologiai. Forse è il caso di imparare a usarle meglio queste “connessioni” dato che in molti casi le occasioni di lavoro non solo esistono ma sono anche a portata di mano. Cordialmente, Fabio Martini Impressum Chiusura redazionale 22 novembre Editore Teleradio 7 SA 6933 Muzzano Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir Tiratura controllata 68’049 copie Amministrazione via Industria
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La nuova corsa all’oro Economia. Metallo nobile per eccellenza, simbolo di lusso e bene rifugio in tempi di crisi, l’oro è tornato negli ultimi anni a far parlare di sé anche a livello macroeconomico, tanto che alcuni esperti ritengono sia il tempo di ritornare ai rigori e alla stabilità dell’antico sistema aureo. Anche se non è tutto oro quello che luccica… di Roberto Roveda
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a crisi economica che dal 2008 si è abbattuta un po’ su tutto l’occidente, pur con effetti diversi da paese a paese, ha riacceso i riflettori su un bene prezioso che la maggior parte degli economisti considera da alcuni decenni una sorta di fantasma appartenente al passato. Parliamo dell’oro, fino a pochi decenni fa fulcro dell’intero sistema economico mondiale, grazie al cosiddetto Gold Exchange Standard, sistema basato su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro, il quale a sua volta era agganciato all’oro da una parità fissa. In soldoni – è proprio il caso di dirlo – il valore del dollaro e quindi delle altre valute nazionali non era libero di fluttuare come oggi. Ritornare al sistema aureo? Si tratta dunque di un sistema regolamentato che alcuni economisti non fanno mistero di rimpiangere, indicando nella fine del Gold Standard (1971) l’inizio dei problemi di cui l’economia occidentale e i mercati nostrani soffrono oggi. È questo, per esempio, il tema al centro del volume Il film della crisi. La mutazione del capitalismo (Einaudi, 2012) di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini. Per i due autori il sistema aureo impostato con gli accordi di Bretton Woods del 1944 ha garantito all’Europa e agli Stati Uniti un’epoca di benessere e di crescita senza precedenti nella storia, una età dell’oro appunto: “Sotto la guida degli Stati Uniti si realizzò quel grande compromesso tra capitalismo e democrazia che assicurò crescita e benessere nei successivi trent’anni. Due furono gli ambiti in cui si realizzò il compromesso. Il primo fu caratterizzato dal tentativo di stabilire un ordine nel segno dell’egemonia americana. La moneta centrale del sistema divenne il dollaro, legato a sua volta all’oro da una parità fissa. L’egemonia americana venne esercitata con indubbio senso di responsabilità attraverso l’esperienza del piano Marshall e con la progressiva apertura degli scambi commerciali che sostennero e alimentarono la crescita delle economie europee. Erano questi i due pilastri di quello che potremmo definire il grande compromesso socialdemocratico europeo e liberaldemocratico americano che dura
circa trent’anni, dalla fine della guerra alla prima metà degli anni settanta”. A porre fine a questa epoca di economia virtuosa fu la scelta del presidente americano Nixon che, per reagire alle richieste da parte degli stati europei di svalutazione del dollaro rispetto all’oro, si decise a una mossa drammatica. Sganciò la moneta statunitense da ogni parità fissa con l’oro. Con questa decisione il dollaro divenne una moneta puramente fiduciaria, costringendo a passare a un regime di cambi flessibili e di liberalizzazione dei movimenti di capitale. Nacque il capitalismo finanziario così come lo conosciamo oggi, ossia un sistema economico basato sulla Borsa e sulla mancanza di regole stringenti che ha mostrato i suoi limiti in quanto una delle cause scatenanti dell’attuale recessione mondiale. La domanda di oro oggi La grande domanda cui provare allora a rispondere è se in termini meramente economici abbia senso vagheggiare ancora il sistema aureo e i suoi meccanismi e se l’oro, al di là della vulgata mediatica che parla di bene rifugio per eccellenza, abbia ancora un peso sui mercati mondiali. Prima di tutto precisiamo che oggi la richiesta di questo prezioso metallo proviene sostanzialmente da quattro ambiti: gioielleria (44%), mondo degli investimenti (35%), industrie per utilizzo tecnologico (10%) e Banche Centrali (10%). Negli ultimi anni, mentre la domanda delle industrie per uso tecnologico è rimasta costante, la domanda di gioielli – tradizionalmente la parte più consistente della richiesta – si è ridotta di quasi il 20%, per la recessione economica in atto in occidente. Una riduzione consistente, avvenuta nonostante la rilevante richiesta aurea proveniente dai paesi emergenti, Cina e India in primis, paesi in cui l’oggetto in oro sottolinea l’appartenenza a una sorta di élite privilegiata, e in cui si tende a investire in lingotti. Non è certo un caso che, recentemente, le più importanti aste internazionali di gioielli e preziosi abbiano registrato notevoli investimenti da parte dei sempre più numerosi miliardari cinesi e che dalle statistiche fornite dal World
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Lingotti d’oro (eastafro.com)
Gold Council (l’associazione industriale delle principali aziende minerarie aurifere) sia evidente come negli ultimi quadrimestri India e Cina insieme rappresentino quasi il 60% della domanda di gioielli. Bisogna dire però – ed è questo l’aspetto forse più interessante se si vuole parlare di oro in una prospettiva di macroeconomia – che il calo nel comparto gioielli è stato comunque più che compensato dall’aumento della domanda legata al mondo degli investimenti e dalle Banche Centrali. Negli ultimi anni, infatti, sia le Banche Centrali (in particolare quelle di ex paesi in via di sviluppo quali Cina, Russia, Turchia e Kazakistan), sia molti investitori privati e istituzionali hanno mostrato un rinnovato interesse per l’oro, tornando a acquistare massicciamente il metallo giallo. Questo significa forse che l’oro sta avviandosi a riacquistare l’importanza perduta con la fine del Gold Standard ritornando a essere l’unico asset veramente di valore in grado di interferire sulle grandi manovre di politica monetaria e di contrastare la svalutazione della moneta? O conferma semplicemente la sua utilità in termini di economia “spiccia”, mantenendo la mera funzione di bene rifugio che riesce a conservare il proprio valore nel tempo nei periodi di insicurezza e crisi economica come quello che stanno vivendo?
Investire nel metallo più nobile Partiamo da quest’ultimo quesito. Come forma di investimento, l’oro presenta caratteristiche uniche: è reperibile facilmente, ha un prezzo fissato giornalmente e in maniera pubblica, ha mercato in tutto il mondo, non necessita di competenze particolari per investire. Inoltre, numerosi studi negli anni hanno confermato il fatto che l’oro, indipendentemente dalla mutevoli condizioni economiche, ha sempre garantito il suo potere d’acquisto, mantenendo una grande e unica stabilità di valore. Per queste ragioni appare a molti investitori come lo strumento maggiormente in grado di fornire sicurezza al portafoglio. In realtà, quello che non viene considerato del tutto, è che tale stabilità viene garantita su un arco di tempo molto prolungato e quindi non effettivamente allettante o remunerativo per un investitore che voglia puntare sul vantaggio congruo e immediato. L’investimento in oro, quindi, ha senso principalmente come asset a sé stante in un’ottica di diversificazione degli investimenti, grazie alle sue capacità di mettere al riparo dai rischi di inflazione e di volatilità dei prezzi nonché dal fatto che, a differenza delle monete, detiene un valore reale. Insomma l’oro dà sicurezza, come ci confermano Giovanni Barone Adesi, esperto in derivati, e Alvaro Cen- (...)
“Invece di tornare all’oro bisogna passare a un sistema monetario sano e ordinato, mentre è vero che il sistema attuale non va bene, non funziona. È profondamente malato e patologico e si può anche capire che ci sia chi pensa al sistema aureo in modo un po’ nostalgico, augurandosi di poter dare al nostro sistema monetario la stabilità che oggi non ha. È giusto aspirare a questa stabilità ma, non penso sia corretto pensare di poterlo fare con un ritorno all’oro” (Alvaro Cencini)
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cini, esperto in economia e politica monetaria, entrambi professori all’università della Svizzera italiana (USI). (Adesi): “Sicuramente l’oro viene considerato un bene rifugio perché la quantità che esiste è praticamente costante: la nuova produzione annua è meno dell’1% della quantità disponibile, che sostanzialmente è tutto l’oro scavato degli ultimi duemila anni. Con l’incertezza su quello che sarà il corso futuro dell’economia mondiale e degli accordi monetari che la sosterranno, naturalmente c’è anche una certa domanda per l’oro perché è una quantità nota e apprezzata da tutte le culture”. (Cencini): “Chi acquista oro spera nel fatto che il suo prezzo possa continuare a salire. Invece di investire i propri soldi in Borsa oppure diversamente, dove sussiste un rischio maggiore, o c’è un’instabilità crescente e così via, si preferisce farlo con l’oro. Però il sistema economico nel suo insieme non beneficia degli investimenti in oro da parte dei risparmiatori che hanno timore dell’evoluzione del sistema nel suo insieme”. L’oro e l’economia mondiale Le parole di Alvaro Cencini pongono l’accento sull’altra questione a cui accennavamo precedentemente, quella dell’impatto dell’oro sul sistema economico mondiale. Sul ritorno a una centralità del metallo aureo stanno scommettendo sicuramente i sostenitori del referendum, proposto dall’UDC, con cui la Svizzera sarà chiamata nel prossimo maggio a decidere se aumentare dal 9% al 20% le riserve auree detenute dalla Banca Nazionale Svizzera (SNB), facendo rimpatriare l’oro detenuto all’estero e togliendo alla Banca Centrale il potere di vendere l’oro detenuto. Alla base del referendum c’è la convinzione che la FED (la Federal Reserve, ossia la Banca Centrale Americana) e la BCE (la Banca Centrale Europea) stiano operando una svalutazione delle loro monete stampando e immettendo sul mercato una quantità enorme di dollari e euro, mettendo così a rischio di svalutazione le notevoli riserve svizzere convertite in queste valute. Il rimpatrio e l’aumento delle riserve d’oro consentirebbe quindi alla SNB di rinforzare la propria posizione, permettendo alla Svizzera e alla stessa SNB di mantenere un certo spazio di manovra e indipendenza nella gestione
della politica monetaria. Una operazione onerosa, se consideriamo che le riserve di oro oggi nei caveau della SNB ammontano a circa 1100 tonnellate per un controvalore di 49,5 miliardi di franchi svizzeri. Se passasse il referendum voluto dall’UDC, la SNB sarebbe costretta ad acquistare oro per oltre 50 miliardi di dollari circa, ossia per un ammontare simile a quello oggi detenuto. Un’impresa non da poco anche perché questa iniziativa – originata anche dal timore di possibili vendite da parte di Cipro delle proprie riserve, seguito da paesi come l’Italia e il Portogallo, vendite che porterebbero a rilevanti perdite di valore del metallo – secondo molti non comporterebbe benefici di rilievo, visto che ormai l’oro non costituisce da tempo il fondamento del valore delle monete e, essendo un bene rifugio, il suo apporto potrebbe essere determinante solo in caso di elevata inflazione. Dubbi che trovano conferma nelle parole nell’esperto Alvaro Cencini: “Il problema oggi è abbastanza chiaro: da una parte l’oro non costituisce il fondamento del valore delle monete. Si è detto in passato che fosse importante disporre di riserve auree perché queste potevano attribuire valore alla moneta: credo che sia fondamentalmente sbagliato, non è mai stato così e oggi non lo è più sicuramente. È la produzione che dà valore alla moneta, non certamente l’oro. Le banche centrali se ne sono rese conto e hanno abolito qualsiasi legame tra la moneta e l’oro: sia la convertibilità che esisteva in precedenza sia la definizione stessa del legame. Da allora le banche hanno continuato comunque ad avere riserve, le cosiddette riserve ufficiali. Ci sono banche centrali, come la SNB, per esempio, che hanno riserve auree ancora importanti ed è in atto una iniziativa referendaria per aumentare queste riserve, nella convinzione che le riserve auree siano più solide e garantiscano meglio di quanto potrebbero fare le divise. Perché oggi la componente essenziale delle riserve ufficiali sono le divise, cioè le monete estere e i dollari in modo particolare. È difficile dire che questa manovra possa avere benefici, perché si dovrebbe immaginare una crisi spaventosa, che porti un disastro a livello mondiale, di dimensioni inaudite, per cui le monete – il dollaro e tutte quelle che oggi fanno parte delle riserve ufficiali – vengano
svalutate, perdano valore. Però sarebbe anche sciocco credere che, in una situazione del genere, con una crisi generalizzata di questa ampiezza, l’oro possa conservare il suo valore. Il valore dell’oro ha senso solo a condizione che possa essere «realizzato», insomma che possa essere venduto”. Ma allora, quali scenari si possono prevedere per il futuro in relazione al mercato dell’oro? (Adesi): “Una forte domanda proveniente soprattutto dall’Asia che sul lungo periodo potrà determinare un aumento delle quotazioni. Ma non nell’immediato. Attualmente, infatti, tale domanda è eclissata dalla progressiva liquidazione dei fondi auriferi nei paesi occidentali cui molti risparmiatori si erano indirizzati negli ultimi anni a causa dell’aspettativa di alta inflazione legata alle politiche monetarie di Stati Uniti e altri paesi. In realtà, questa forte inflazione non c’è stata e difficilmente ci sarà, almeno finché le banche continueranno a essere deboli nei paesi più importanti perché ciò limita l’attività di credito con la conseguenza che l’immissione di liquidi messi in circolo dalle Banche Centrali non entra nell’economia reale e non stimola i prezzi. Attualmente il volume dei fondi finanziari è elevatissimo, si pensi al fatto che il mondo finanziario è pari a venti volte quello della domanda fisica, ne consegue che la liquidazione delle posizioni legate all’oro terrà ancora per un po’ le quotazioni del metallo sotto scacco”. Insomma, l’oro non ha quest’impatto così forte a livello di macroeconomia…
(Adesi): “No, certamente non lo ha perché almeno le quotazioni attuali, in realtà, sono bruscolini. Per darle un’idea: spesso in Italia si parla delle riserve aurifere come di una possibile soluzione al problema dell’ingente debito pubblico italiano. In realtà, nonostante l’Italia abbia delle riserve molto consistenti, queste andrebbero a coprire solo il 5% del debito pubblico, che quindi è 20 volte maggiore”. Per concludere, una domanda ai nostri esperti: l’oro continuerà a svolgere nelle dinamiche economiche future il ruolo marginale che ha oggi? (Adesi): “Al momento, sì. Se si avviasse una grande realtà inflazionistica ovviamente tutto potrebbe cambiare. Ma attualmente l’economia è troppo debole per consentire aumenti generalizzati dei prezzi”. (Cencini): “Sì, assolutamente. Non ha nessun senso preconizzare un ritorno al sistema aureo che era in vigore prima della seconda guerra mondiale oppure ancor prima della prima guerra mondiale. C’è qualche nostalgico, qualcuno che ogni tanto, non sapendo che pesci pigliare, pensa al ritorno all’oro. Invece di tornare all’oro bisogna passare a un sistema monetario sano e ordinato, mentre è vero che il sistema attuale non va bene, non funziona. È profondamente malato e patologico e si può anche capire che ci sia chi pensa al sistema aureo in modo un po’ nostalgico, augurandosi di poter dare al nostro sistema monetario la stabilità che oggi non ha. È giusto aspirare a questa stabilità ma, non penso sia corretto pensare di poterlo fare con un ritorno all’oro”.
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Raffreddamento globale Centoventi battiti al minuto, sonorità impalpabili attraversate da suoni liquidi e un’inconsistenza programmatica che fa di questa musica “ciò che senti quando non stai ascoltando nulla”1. È la “chill-out”, sottofondo elettivo di SPA, resort, sale d’aspetto odontoiatriche ecc.: tutti quei luoghi in cui è necessario “rilassarsi”…
di Mariella Dal Farra
Nata non a caso nelle “camere di decompressione” dei
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rave party durante gli anni novanta, la chill-out (letteralmente “raffreddarsi” e, per estensione, “distendersi; rilassarsi”) mescola i generi nu jazz, lounge e ambient in una soluzione diluita di suggestioni elettroniche che possono prevedere, o meno, la presenza della voce umana. Solitamente etichettata come musica “facile” (o easy listening), la chill-out si basa in realtà su un concetto non banale: quello dell’incorporazione della musica allo sfondo percettivo contro il quale si staglia la nostra esperienza sensibile. Ora, sappiamo come tutto ciò che scivoli sotto la soglia della nostra attenzione sia suscettibile di esercitare un effetto pari, se non maggiore, a ciò di cui siamo consapevoli… Forse il suo successo risiede proprio nella capacità di trasmettere suggestioni distensive senza farsi troppo notare.
fisici. In questo caso, però, non si tratta degli astratti e sottilmente alienanti aeroporti cui si ispira una delle opere più rappresentative di Brian Eno3, bensì di tre locali molto popolari: il Café del Mar a Ibiza; il Buddha Bar a Parigi e, sempre nella capitale francese, l’Hôtel Costes4, le cui raccolte, curate dal DJ Stéphane Pompougnac, sono arrivate nel 2011 al CD numero XV e a oltre quattro milioni di copie vendute nel mondo. Si tratta in tutti e tre i casi di luoghi di socializzazione a vocazione vacanziera, le cui colonne sonore – originariamente selezionate da esperti DJ per i clienti e poi riversate su cd per il resto del mondo – intendono appunto ricreare l’atmosfera di quel tipo di contesto.
Alle origini del fenomeno Il musicista e compositore inglese Brian Eno, che per primo ha mutuato in senso musicale il termine “Ambient”, genere considerato precursore della chill-out, afferma: “Un “ambiente” è definito come un’atmosfera, o un’influenza che circonda: una tinta. La mia intenzione è di produrre pezzi originali apparentemente (ma non esclusivamente) per momenti e situazioni particolari, con l’idea di costruire un piccolo ma versatile catalogo di musica ambientale adatta a un’ampia varietà di stati d’animo e di atmosfere”.2 Una musica mimetica, dunque, capace di alterare sottilmente la tonalità emotiva dell’ascoltatore attraverso la sincronizzazione dei parametri fisiologici (respiro, frequenza cardiaca) e l’evocazione “sotto traccia” di particolari colorazioni emotive. Di nuovo, nelle parole di Eno: “La musica ambient deve essere capace di andare incontro a numerosi livelli di attenzione nell’ascolto senza esaltarne uno in particolare; deve essere tanto ignorabile quanto è interessante”.
Elementi naturali e dance-floor Sul piano sonoro, l’ancoraggio allo spazio fisico è provvisto attraverso campionature di suoni ambientali (acqua che scorre, motori di automobili o altri mezzi meccanici, ciangottio d’uccelli ecc.) frammisti a interpolazioni di sapore etnico quali assoli di sitar, vocalizzi esotici, mantra e così via. Suoni di natura e provenienza diversa vengono tritati e omogeneizzati fino a renderli fluidi e uniformi, cover comprese: una sorta di pappa sonica facilmente digeribile e, in certi casi, un po’ stucchevole. Fanno eccezione quei musicisti che, pur riconoscendosi tangenzialmente nella chill-out, hanno sviluppato linee espressive più personali e “individuate”. Fra queste, e del tutto soggettivamente, è possibile citare gli Orb (il singolo senza fine Blue room, 1992), il duo francese Air (Moon Safari, 1998), il discendente di Herman Melville (sul serio!) Moby (Play, 1999), i Groove Armada (Vertigo, 1999). Nella direzione opposta, quella cioè di una maggiore uniformità sonora, si situano invece le limitrofe lounge music (che originariamente veniva trasmessa nelle hall degli alberghi) e Muzak, la cosiddetta “musica da ascensore”.
Dagli aeroporti agli alberghi La componente “ambientale” della musica chill-out sembra trovare conferma nel fatto che le meglio note serie di omonime compilation prendono il nome da luoghi
Musica per persone “disattente”? A prescindere dalle sue diverse declinazioni, viene da chiedersi se la pervasiva diffusione della chill-out non sia sintomatica di un’epoca caratterizzata da una certa labilità
attentiva, come se questo genere musicale rispecchiasse la volatilità delle nostre coscienze individuali, frammentate nella miriade di sollecitazioni che attraversano il quotidiano, espanse nell’intero globo terracqueo dai nuovi mezzi di comunicazione e al contempo rese sempre più mono-tone dal restringersi delle categorie sensoriali implicate (la vista e l’udito, che presuppongono entrambi una distanza fra il sé e l’oggetto percepito). Musica anestetica per tempi anestetizzati? Le generalizzazioni, com’è noto, sono sempre fuorvianti…
per saperne di più Un genere collaterale che alcuni, e a parere di chi scrive impropriamente, riconducono alla chill-out è il cosiddetto trip-hop. Nato a Bristol più o meno nello stesso periodo (anni novanta), il trip-hop è a sua volta musica elettronica che si avvale in maniera estensiva di campionamenti e di suoni ripetitivi pseudo-ipnotici. Improntato a sonorità più cupe e caratterizzato da un’articolazione compositiva di tutt’altro spessore, il trip-hop trova le sue espressioni più compiute in artisti molto noti quali Tricky, Portished, Massive Attack, Zero 7 e, su un piano più “lieve”, Morcheeba e Smoke City.
Sedie d’attesa (immagine tratta da bodrum2011.com)
note 1 it.wikipedia.org/wiki/Ambient 2 Ibidem 3 Ambient 1: Music for Airports, Brian Eno (Polydor, 1978). 4 Attualmente, sotto forma di franchising, in diverse altre città del mondo.
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Un’ottima idea?
Quali alternative alla standardizzazione dello stile e del design? Dagli oggetti di uso quotidiano all’arredamento delle nostre case, la critica del consumo e lo spreco delle risorse impongono una svolta che riguarda tutti. Clienti, progettisti, artigiani e aziende di Marco Jeitziner
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Prendiamo una poltrona. Immaginate che qualcuno (il designer) ne abbia pensato forma, dimensione, colore, materiale e via dicendo; che qualcun altro (un’azienda) abbia creduto all’idea e, ritenendo che sussista una domanda, l’abbia quindi prodotta e venduta; che altri ancora (noi) l’abbiano poi di fatto acquistata, perché bella, comoda o a buon mercato. Ora magari vi siete comodamente seduti sopra, tranquilli e contenti. Ma se sapeste che non l’avete comprata in piena libertà, che la stessa si trova in migliaia di altri salotti, che centinaia di altre poltrone identiche sono rimaste invendute, sprecando risorse ed energia, sareste ugualmente tranquilli e contenti? Forse non dovreste, perché è proprio in questi termini che il design di massa, in una società in cui l’artigianato scompare sempre più e le conseguenze ambientali del consumismo si fanno sempre più evidenti, viene messo in discussione. La fine del design? Il concetto di design industriale, di consumo o di massa, in teoria è molto semplice: “è fatto di quattro componenti: progetto, produzione, vendita e consumo” spiega il noto storico dell’architettura Renato De Fusco1. In pratica però è più complesso per le sue molte implicazioni e non a caso è in crisi almeno dagli anni settanta. Scrive la designer francese e docente universitaria Stéphanie Sagot: “la fatalità di uno standard industriale di massa è contestato. Il circuito di produzione non si rivolge più a una maggioranza egualitaria. Si afferma il diritto alla differenza nei comportamenti individuali e il design funzionalista vive un brusco rifiuto da parte del pubblico”2. Se la creatività umana non ha limiti, a che punto siamo? Perché, o meglio, per chi, come e con quali conseguenze progettiamo? Tra gli esperti non c’è chiarezza. Enzo Mari, noto per le sue posizioni etiche, afferma: “che il design non esista più, non lo dicono solo i folli come me, ma anche le imprese”3. Perciò ai giovani dice: “non pensate al piccolo gruppo, al negozio sofisticato di design”, ma progettate per il mondo! Altri, come il francese Philippe Starck, sostengono che se “il design come lo intendiamo è morto”, in futuro “si produrranno oggetti carichi di sentimento completamente inutili”4. Ma è proprio di questo che abbiamo bisogno? Verso la sostenibilità “Non credo che il design di questo tipo (industriale, ndr.) sia finito” ci dice Riccardo Blumer, docente all’Accademia di architettura di Mendrisio. “Rimarrà come una tipologia speci-
fica ma altre, già ora prevedibili, si svilupperanno in alternativa producendo nuovi modelli. Il vero problema sarà quando le macchine (tra non molto) avranno la capacità di essere creative. Come si dice, allora saremo veramente nei guai!”. Una tipologia sulla quale si riflette da tempo ce la spiega Michele Amadò, filosofo e docente di estetica e comunicazione alla SUPSI di Lugano. “Si credeva che il design industriale avesse definitivamente superato e ucciso l’artigianato tradizionale a favore di una standardizzazione globale. Ma la crisi del settore è a livello di economia e sostenibilità, più che di design”. In altri termini, sostiene il docente di disegno industriale a Firenze Massimo Ruffilli, “il design deve migliorare la qualità del vivere e non distruggerla”, perché ormai “occorre fare i conti con le risorse”5. Chiediamoci, per esempio, a che serve continuare a disegnare, produrre e vendere milioni di cucchiaini, tutti un po’ diversi ma tutti con la stessa identica funzione? Si stima che, per moltissimi prodotti, lo spreco energetico delle aziende sia del 20%: “prodotti che nessuno vuole né vorrà mai!”6. “Per una produzione industriale sostenibile va rovesciato il processo (come era per l’artigiano)” sostiene Amadò, “ovvero che il cliente vada coinvolto molto prima nella catena di produzione, anche nella fase di design”. Altrimenti? “Altrimenti avremo sempre cucchiaini inutilizzati e inutilmente stoccati”. Secondo Amadò occorrerebbe seguire la strada della “personalizzazione dei prodotti per il cliente effettivo”. “L’uomo passa, il mobile rimane” “Chi compera una cosa la dovrebbe comperare come un riflesso di sé, dovrebbe conservarla, invece questo design (di massa, ndr.) una volta acquistato, è già «andato»!” ci dice l’architetto e noto designer di Ascona Carlo Rampazzi. Dunque? “Io cerco di dare un valore al mobilio e all’artigiano. L’idea è che una sedia è sognata e poi comperata dal cliente, disegnata da me e dipinta dell’artigiano, ma magari tra trecento anni finirà in un appartamento su Marte! Sarà «eterna», diciamo. L’idea è che l’uomo è di passaggio, mentre il mobile rimane”. Tuttavia, per Blumer, “il mondo delle costruzioni particolari molto qualificate, di nicchia o del lusso, mi sembra indifferente al fenomeno” della cosiddetta “democrazia dell’arredamento”, quella basata sul design di massa poco caro. Come si fa ad avvicinare di più il progettista al cliente, se il successo di aziende globali come Ikea, forse la più nota, si basa soprattutto sul risparmio? Qualcuno disposto a pagare qualcosa in più c’è sicuramente, ma è pur vero che siamo
Giovani soffiatori di vetro per la fabbricazione di isolatori elettrici (Chicago Insulating Company; cd135collector.webs.com)
Società 11 ancora lontani da tutto questo. Per chi scrive, servirebbe forse progettare di più coi giovani: “un’integrazione tra il settore dell’artigianato e i giovani in formazione alla SUPSI, CSIA, Accademia” afferma uno studio ticinese, allo scopo di “integrare conoscenze e competenze sui materiali, sul design, sull’architettura, sul marketing”.7 Le giovani generazioni (ri)scoprirebbero gli artigiani e non il contrario, come si pretende spesso e a torto: avremmo una maggiore domanda di qualità, un’offerta più personalizzata e, in definitiva, meno spreco. Democrazia e libertà? Se la “democrazia dell’arredamento” non è di per sé negativa, ci sarebbe invece qualcosa da ridire sull’omologazione degli spazi abitativi: casa nostra dovrebbe riflettere la nostra individualità e invece... E invece oggi la standardizzazione “è lo stile”, fa notare Blumer, “non essendo tutti dei creativi o meno semplicemente mobilieri, falegnami, fabbri”. L’esempio di Ikea è emblematico. Come dice il collega Ettore Livini, “una volta varcata la soglia dell’Ikea (...) si entra nella bambagia delle certezze estetiche planetarie” e si perdono gli “ultimi frammenti di biodiversità domestica”8. Per i sociologi come Tony Blackshaw, Ikea va oltre i suoi prodotti, è un concetto di vita, è il calore della casa, il senso della famiglia, il tempo libero ecc. E “siamo tutti come dei clienti di Ikea, perché spesso non sappiamo cosa vogliamo”, “spesso compriamo per impulso”, dice Blackshaw9. Vogliamo gli oggetti perché sono come i sogni, destinati a durare poco, subito obsoleti perché programmati così.
Ammesso che le cose stiano così, cioè che siamo tutti un po’ “ikeizzati”, ma almeno i progettisti saranno liberi? Idealmente, dice Amadò, chi progetta “è tanto più libero quando può confrontarsi con le esigenze del cliente, quasi direttamente, altrimenti progetta in astratto, per una azienda che poi cerca il cliente”. Soprattutto quando sono già le aziende a cercare i progettisti. Per esempio, la Fondazione Ikea (Svizzera) mette in palio migliaia di franchi per dei progetti “innovativi”10: è accaduto per degli utensili da giardinaggio di due giovani designer svizzeri. Ebbene, questi hanno dichiarato: “siamo rimasti liberi e indipendenti a livello lavorativo e progettuale”11, salvo poi riconoscere che senza i soldi di Ikea non avrebbero mai potuto testare, né le varie forme né i vari materiali.
note 1 Casa&Design, 25.11.2008 (da la Repubblica online). 2 In L’objet et son lieu, a cura di C. Azèma, Ed. Sorbonne, 2004. Brano tradotto dall’autore. 3 Da La Stampa (online), 12.4.2013. 4 Dal Corriere della sera (online), 4.4.2001. 5 M. Ruffilli, L. Giraldi, Design a mano libera, Alinea Editrice, 2010. 6 Si veda Mass Customization & Sustainability di C. Boër, P. Pedrazzoli, A. Bettoni, M. Sorlini (Springer, 2013). 7 “Studio e analisi della situazione dell’artigianato tradizionale in Ticino”, GianettoniConsult, Lugano, 2012. 8 Da la Repubblica (online), 1.9.2013. 9 T. Blackshaw, Leisure, Routledge, 2010. 10 ikea-stiftung.ch 11 ikea.com/ms/it_CH/media/Newsroom/lusholm/ikea_lusholm_ita.pdf
Uomo ricco mi ci ficco Volete farvi lasciare da vostra moglie o dalla vostra compagna? Fatevi licenziare e perdete il vostro lavoro, sicuro e ben pagato. E con l’addio alla sicurezza economica, riuscirete a perdere anche la “vostra amata”… di Duccio Canestrini
Mundus 12
Rinaldo è stato lasciato dalla moglie quando il suo ristorante alle Canarie è fallito. Forse i problemi tra loro sussistevano anche prima. Ma economicamente le cose andavano piuttosto bene: anni di lavoro fianco a fianco, personale inquadrato e fedele, molte soddisfazioni, qualche risparmio, due figlie gemelle di 11 anni. Ora tutto è perduto. Rinaldo lo racconta in treno, le mani nei capelli. È magrissimo, dice di aver perso trenta chili. Prima di lasciarlo, lei lo ha distrutto psicologicamente: “Mi ha detto che sono un fallito. Le donne sono tremende, con la crisi cercano l’uomo che sta bene”. Il passaggio problematico è naturalmente quello dall’avere (o in questo caso dal non avere più) all’essere: perché un conto è perdere denaro, o sbagliare una strategia imprenditoriale, altro è essere falliti, esistenzialmente parlando.
La rete è un’epifania di siti web che presentano giovani donne, molte dell’Europa orientale, disposte al matrimonio: spesso sono laureate (o sedicenti tali) che cercano un marito “occidentale”, cioè un uomo che guadagni discretamente bene e che le mantenga. Tutto ciò è sostenuto da una mitologia popolare ormai pressoché planetaria, di cui le telenovelas in stile Rosa Selvaggia sono le narrazioni archetipiche: vale a dire il sogno dell’amore che scocca tra la povera e il ricco, classicamente tra la domestica e il figlio del padrone.
Sindrome di Cenerentola L’eccezionale inversione di questo schema, cioè l’uomo che cerca la moglie ricca per scansare le fatiche, non a caso scatena un misto di riprovazione sociale e di ilarità. Penso non tanto agli occasionali gigolò, quanto ai cosiddetti mantenuti, che per la civiltà patriarcale mediterraSuccesso - potere - donne nea non sono modelli di virilità Generalizzare è sempre rischioconforme. so, ma dal punto di vista socioUno strepitoso Alberto Sordi, per biologico e nel nostro contesto esempio, nel vecchio film Souveculturale, è normale – non dico nir d’Italie si accompagnava ad atgiusto, per carità – che il succestempate turiste in visita nelle città Richard Gere ai tempi di American gigolò (1980). so di un uomo nel campo degli d’arte italiane. “Latin lover” cialPer la serie “donna ricca mi ci ficco”… affari comporti premi sessuali, se trone e profittatore, in quella non affettivi. parte Sordi suonava di malavoNegli annunci matrimoniali dei giornali gli uomini spesso glia serenate con il mandolino in camera da letto, come da offrono ciò che hanno, specificando, se possono, di avere stereotipo, e godeva senza troppi scrupoli della generosità un lavoro sicuro. Le cose vanno ancora così, ci sono servizi e delle ricche signore straniere. beni di prestigio (viaggi, gioielli, automobili, aiuti in casa, ri- Non tutti i rapporti sono determinati da calcoli econostoranti ecc.) che per molte donne rappresentano approdi a mici, ovviamente. Né per così dire da istinti etologici. una sistemazione auspicabile e socialmente riconosciuta. Biologizzare i rapporti tra i sessi in termini darwiniani I mezzi per conseguire tale status un tempo erano con- di sopravvivenza individuale e di successo riproduttivo siderati semplicemente onesti o disonesti; oggi le cose può essere interessante, ma anche fuorviante. Perché le sono cambiate, nel senso che il confine tra opportuni- storie sono tante ed esistono desideri e destini indivismo e prostituzione si è molto attenuato. Il bestiario di duali più forti, che travalicano la presunta progettualità veline, starlette, igieniste, attricette e pittrici di qua- che accoppia individui della stessa specie. Basti ripensare dri osé che negli ultimi anni ha rallegrato presenta- alla fiaba di Cenerentola: bella, invidiata e maltrattata. tori e politici è un campionario di ragazze aspiranti Le sue sorellastre aspiravano al matrimonio con il Principe, benestanti, con parametri di giudizio diciamo evoluti, circa come garanzia di una vita sfarzosa. Lei, invece, desiderava la propria onorabilità. soltanto essere amata.
Letture Parole di donne di Giancarlo Fornasier
Pubblicato da pochi giorni, questo piccolo manuale linguistico (80 pagine in tutto) dedicato alla declinazione al femminile di professioni, ruoli e cariche ha già riempito interi paginoni. Sarà perché le due autrici sono anche nomi noti della radiotelevisione (RSI), sarà perché quando si parla di uomini e di donne – oh oh scusate, di donne e uomini, in ordine alfabetico come caldamente consigliano nel volume... – e di mancata parità (in questo caso linguistica) una certa attenzione non può mancare. Zeppo di esempi tratti dalla stampa (in senso lato) locale e della Penisola, divertente per il taglio scanzonato e gli evidenti paradossi tra femminile e maschile riportati e arricchiti da deliziose vignette (di Pat Carra), il volume è prima di tutto una condanna del “maschile neutro” quale passaporto per sdoganare due generi (femminile e maschile) che come tali andrebbero trattati. Tra le poche eccezioni l’impiego del sostantivo uomo per indicare noi tutti, proprio perché la sua etimologia deriva dal latino “homo”,
cioè “essere umano o vivente, persona nel suo complesso”, “l’umanità tutta”. Un manuale leggero, mai banale, tutto da scoprire e “cavilloso” al punto giusto. Dei capitoli che lo compongono, segnaliamo l’ultimo – oltre alla sempre interessante bibliografia, con ottimi riferimenti per chi vuole approfondire la materia –, dal titolo, emblematico, “Signore e signori... i sessi sono due!”, una sorta di riassunto conclusivo per evitare cadute di stile (e di senso). Illuminante, per esempio, l’utilizzo dell’abusato suffisso -essa per declinare i sostantivi maschili, da alcuni linguisti sconsigliato (meglio professora?), anche se ormai nessuno rinuncerebbe più al classico “dottoressa”. Dunque, attenti a non etichettare una donna con vigilessa, avvocatessa, presidentessa o sindacatessa: stanno a indicare che quella signora è la moglie di un vigile, un avvocato, un presidente ecc. Sempre che il soggetto non siano le commedia sexy italiane anni settanta con Edwige Fenech, Nadia Cassini e Gloria Guida...
Il direttore in bikini. E altri scivoloni linguistici tra femminile e maschile di Francesca Mandelli e Bettina Müller Edizioni Casagrande, 2013
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Una soluzione si trova sempre
S
ono nato a Stabio nel 1944. Nella Svizzera tedesca ho conseguito il diploma in commercio e poi ho iniziato a lavorare in banca. Ma la mia grande passione è sempre stata un’altra: l’equitazione all’americana. Da giovane mi sarebbe piaciuto andare negli Stati Uniti per imparare a montare a cavallo all’americana, un tipo di monta che si praticava e si pratica ancora oggi in quelle terre. Ma ai miei tempi, negli anni sessanta, non c’era internet e non era così semplice andare negli States… e così sono rimasto qui, senza però abbandonare la mia passione. Anzi, da ragazzo ho persino girato un film western nella zona tra Stabio e Arzo che recentemente la RSI ha trasmesso dopo che l’ho recuperato da un ripostiglio. Si chiamava La vendetta ha il suo prezzo e nel film, con cinque amici, mi sono divertito a portare l’atmosfera western qui in Ticino. Oltre ai cavalli e al mondo del West, mi piaceva la musica: suonavo in un gruppo, Le Ombre, che si rifaceva agli Shadows, la famosa band inglese. Quando il gruppo si è sciolto ho cominciato a suonare nella Old Time Ramblers N.O. Jazz Band di Lugano, e questo fino a sei anni fa quando, dopo aver sentito il concerto di un gruppo che riproponeva brani degli Shadows, ho deciso di ricontattare i miei vecchi amici delle Ombre e abbiamo rimesso in piedi il gruppo. Torniamo ai cavalli: nonostante qui in Svizzera si sapesse ben poco, ho continuato a interessarmi della monta all’americana. Nel 1976 ho recuperato un cavallo maremmano e a Stabio, con alcuni amici, abbiamo aperto il Ranch Club S. Margherita: un maneggio con 20-21 cavalli che era l’unico centro in Ticino dove si poteva imparare la monta western. In Svizzera c’era solo una scuderia che importava quarter horses, cavalli di razza americana ideali per questo tipo di monta: ho contattato il proprietario e siamo diventati amici. Intanto un mio amico aveva comprato proprio un quarter horse: per me è stato un sogno poterlo cavalcare. Finché un giorno un amico mi ha chiesto di accompagnarlo a Cesena per l’inaugurazione dell’associazione Quarter horse Italia. La manifestazione è stata un mezzo disastro, con cavalieri alle prime armi, e con cavalli non abituati alle bandiere
e che andavano da tutte le parti! Nonostante la confusione della giornata, siamo tornati a casa con tanti stimoli, soprattutto con il desiderio di partecipare alle gare di monta all’americana che proprio a quei tempi cominciavano a diffondersi. Ma allora in Svizzera era proibitivo poter partecipare alle gare che si tenevano in Italia, perché si doveva aspettare troppo alla dogana, bisognava fare mille controlli, le tasse erano alte e non si trovavano tanti quarter horses, dato che l’importazione era molto onerosa. Allora abbiamo deciso di organizzare a Stabio delle tappe del campionato svizzero e ticinese di monta western. Questo è durato fino al 1995 quando tre miei amici si sono stabiliti a Cantello, in provincia di Varese, dove hanno comprato una scuderia. A quel punto ho deciso di andare anch’io a Cantello, ho comprato uno stalloncino quarter horse di un anno e dopo averlo domato e addestrato con l’aiuto di Tim Curtis, un trainer americano, ho cominciato a partecipare alle gare, nella specialità del reining. È stato un periodo intenso, ho gareggiato in tutto il Nord Italia, ho imparato tanto. Poi è terminato anche il periodo delle gare: è subentrata un’associazione che ha riunito le varie associazioni di quarter horse italiane, è aumentata la burocrazia, l’ambiente cominciava a diventare un po’ “snob” e così ho detto basta. Lo stallone aveva nel frattempo preso l’Herpes Virus che l’ha debilitato a livello motorio e così l’ho messo al pascolo. In seguito ho preso un cavallo da cutting, una disciplina in cui si separano i vitelli dalla mandria, e con alcuni amici abbiamo comprato una mucca meccanica che ci serviva per addestrare il cavallo quando non c’erano vitelli a disposizione. Oggi posso dire che la passione per i cavalli mi ha portato lontano, persino negli Stati Uniti, sei anni fa, dove ho vissuto per un periodo in un ranch del Wyoming e ho fatto il cowboy realizzando il mio sogno di ragazzo, e mi trascinerà anche nei prossimi anni, sperando che la salute mi assista e io riesca ancora a salire in sella!
SeRgIO CRIVeLLI
Vitae 14
La grande passione per i cavalli e la monta all’americana lo hanno portato a girare un film, a fare il cowboy negli USA, a gareggiare in tutto il Nord Italia. E ora, a quasi settant’anni, è ancora in sella
testimonianza raccolta da Eugenio Klueser fotografia ©Flavia Leuneberger
Il lusso del tempo di Fabio Martini; fotografie ©Peter Keller
Dopo la crisi iniziata negli anni settanta e protrattasi per quasi un ventennio, il settore dell’orologeria svizzera ha saputo risollevarsi individuando nella produzione di alta gamma e nel ritorno all’orologio “analogico” la sua specificità. Un percorso virtuoso che conferma come, anche in una fase di spietata concorrenza dovuta alla crescente globalizzazione, i principi dell’originalità e della qualità risultino sempre vincenti. Un percorso a cui il Ticino ha dato e continuerà a dare un contributo essenziale grazie alla presenza di una sinergia di aziende di alto profilo
U
na storia che ha a che fare con l’oro non può che suggerire visioni pionieristiche, di corse spietate attraverso polverose praterie verso giacimenti reali e talvolta solo sognati. Ma la storia dell’oro ticinese ha al contrario caratteristiche molto concrete, tipicamente elvetiche, come ci spiega Claudio Campana, direttore commerciale di Trecor SA, azienda di Chiasso affermatasi a livello internazionale nella produzione di casse e bracciali in metalli preziosi per orologi: “All’inizio c’erano degli industriali e dei bancari, e i primi, che si occupavano di affinamento dei metalli preziosi, si sono posti una domanda legittima: «Noi produciamo oro. Perché non connettersi con il mondo bancario in modo da commercializzare il nostro prodotto?». E così tutto ha avuto inizio”. La nascita delle tre raffinerie – Valcambi, Argor e Pamp – trova dunque nel settore bancario e finanziario il suo logico sbocco, oltre che, naturalmente, nella massiccia richiesta di metallo prezioso che veniva dall’Italia, paese per molti anni ai vertici della produzione nel campo dell’oreficeria. Ma poi qualcosa cambia. Il legame con le banche si interrompe e i grandi istituti, fra cui Credit Suisse e UBS, per motivi etici, decidono di tirarsi indietro. Entrano nuovi partner e l’attività prosegue seguendo e adattandosi alle esigenze di un mercato in costante mutamento, come ci racconta Campana: “Con le monete e i lingottini il mercato dell’oro ha avuto un notevole incremento soprattutto perché, a partire dal 2000, i fondi d’investimento e gli strumenti finanziari sono stati guardati con crescente sospetto dal pubblico. Un caso specifico è rappresentato dagli investitori medio-piccoli dei
paesi asiatici. Dato che la loro moneta ha valore solo all’interno dei loro paesi, preferiscono investire in oro e questo ha accresciuto di molto la richiesta. Le raffinerie oggi vivono sì di affinaggio ma soprattutto di lingotti. E a tutto questo si è aggiunto il semilavorato per l’orologeria, profilati, laminati e filo per successive lavorazioni. Oggi il mercato italiano assorbe molto meno e sono paesi come India e Cina ad acquistare complessivamente oltre il 60% dell’oro mondiale. Si producono circa 2500/3000 tonnellate all’anno in Svizzera e, come dicevo, una fetta consistente prende la via dell’Oriente”. Una scelta azzeccata Campana è uno di quegli uomini che del suo settore conosce tutto o quasi, anche perché la sua storia professionale parte da una gavetta come giovane stampista di casse. Il tutto grazie all’intuizione, decisamente perspicace, di sua madre e suo zio: “Da ragazzo abitavo a Lugano con i nonni ma mia mamma lavorava a Bienne alla Rolex. Non volendo dedicarmi all’attività in campo bancario, su consiglio di mia madre e di mio zio – il papà l’avevo perso –, sono andato a Bienne dove mi sono formato come meccanico e tecnico orologiaio. Ero portato e l’orologio mi piaceva come oggetto, e così ho iniziato a fare il prototipista. Quasi subito mi ha cercato una ditta di Ginevra e lì ho iniziato a occuparmi di acquisti, di logistica e anche del servizio controllo, allargando così la mia esperienza anche ad altri aspetti dell’attività. Dopo dieci anni la Valcambi cercava un direttore per incrementare la produzione delle casse e ho deciso di tornare in Ticino. Del resto si trattava
Le immagini di questo reportage, relative ad alcune fasi di lavorazione di casse e bracciali per orologi di alta gamma, sono state riprese all’interno dello stabilimento Trecor SA di Chiasso. Nell’ultima pagina sono visibili due componenti ormai terminati, pronti per essere inviati alle aziende produttrici
Peter Keller Classe 1950, ha dapprima seguito una formazione nell’ambito della tipografia e della fotografia, in seguito si è diplomato in Ingegneria della stampa e dei media presso l’Università di Stoccarda. Dopo una carriera dirigenziale per diversi quotidiani, da luglio 2012 lavora come fotografo e autore indipendente. Ha collaborato con i fotografi Adriano Heitmann e Reza Khatir. Nel 2010 è stato pubblicato il volume fotografico Barocco (Edizioni Casagrande) e alcuni suoi lavori sono presenti in Dodicisette (EdizioniSalvioni, 2012), il catalogo della mostra “12 x 7” (Casa Cavalier Pellanda, Biasca).
di lavorare su un prodotto di alta gamma con il Credito Svizzero alle spalle, e così ho scelto la via che mi pareva più promettente. A un certo punto la Valcambi ha iniziato a modificare la sua politica e allora ho deciso di dar vita a questa esperienza. Siamo partiti in tre nel 1990, io e i miei due soci, e poco a poco siamo cresciuti. Ovviamente la prossimità delle raffinerie rappresenta un evidente vantaggio in termini di logistica e di maggior facilità nel reperimento della materia prima. Devo dire che il sostegno di alcuni clienti è stato essenziale perché in questa attività non basta acquistare delle macchine e avere uno spazio in cui lavorare ma serve l’oro. Questo è un problema cruciale nel nostro lavoro: l’ideale sarebbe avere alle spalle dei finanziatori in grado di sostenerti. Da soli non è facile, e si è costretti a organizzare la produzione in modo oculato perché l’oro attualmente costa molto”. Oggi in Trecor lavorano una novantina di persone. Un successo per un’azienda partita solo vent’anni fa: “Da allora molte cose sono cambiate: l’esperienza, le idee nuove, l’arrivo di personale dall’Italia e dalla Svizzera romanda ci ha permesso di sviluppare una tecnologia di alto livello alla pari se non superiore a quella della Svizzera interna. Per esempio, nella produzione dei bracciali abbiamo adottato una metodologia italiana – e in questo comparto gli italiani hanno grandi meriti –, che ci permette di produrre in un’ottica che unisce la precisione e l’accuratezza dell’orologiaio svizzero alla creatività dell’artigiano italiano. I clienti che visitano l’azienda si rendono conto che molto lavoro viene ancora svolto manualmente e in questo siamo gli unici. In Svizzera francese l’utilizzo delle macchine e delle tecnologie è invece più sistematico”.
Formazione e personale Una delle domande che rivolgiamo a Campana riguarda la scelta del personale che, oltre che fidato, deve offrire un livello di preparazione e di specializzazione elevato anche perché in Trecor la componente “artigiana” conserva appunto una sua funzione importante: “Fino a cinque anni fa dall’Italia giungeva personale preparato proveniente da piccole medie imprese che però con la crisi hanno chiuso. Questo fenomeno ha ridotto la possibilità per i giovani di formarsi, per cui abbiamo disponibilità di manodopera che però deve essere formata in azienda. Per istruire una persona ci vogliono 2 o 3 anni. Poi è indispensabile capire quali sono le attitudini personali e indirizzarle ai fini produttivi. Come denominazione possono essere considerati degli orafi anche se l’orafo è un artigiano completo in grado di realizzare un orecchino con incastonata una pietra così come un bracciale. Qui l’attività è decisamente più specialistica e settoriale. De resto fare l’orafo oggi è difficile: il piccolo negozio non sopravvive e solo all’interno di una grossa gioielleria dove c’è tanta riparazione e un’importante clientela si riesce a svolgere questa professione. Ho la sensazione che i formatori abbiano le idee poco chiare. Credo che sarebbe bene entrare di più nelle aziende per capire quali sono le vere necessità. Creare un orafo in un mondo in cui i grandi marchi come Bulgari e Cartier, per esempio, producono fino al 50/60% industrialmente ha poco senso. Bisognerebbe orientare meglio, tenendo conto delle evoluzioni che vi sono state. Va inoltre detto che in Ticino e in Svizzera i giovani orafi si adattano male al lavoro più specialistico, che per forza di cosa è più ripetitivo. Ti dicono: «io sono un orafo e non voglio fare l’operaio»”.
Immaginiamo dunque che sul piano della tecnologia e dell’uso delle macchine a controllo numerico il discorso sia più semplice: “No, anche qui ci sono problemi, come del resto in Svizzera francese, e gli operatori di macchine CNC sono assai ricercati. Il più delle volte giungono da altri settori e vanno formati con l’aiuto di un programmatore. La tecnologia meccanica non solo è un fatto generalizzato nel nostro settore ma tenderà a crescere. Un altro aspetto importante è legato a quanto è avvenuto nell’ambito del controllo qualità che tiene conto di particolari microscopici rasentando quasi la maniacalità. Negli anni che vanno dalla fine dei settanta ai duemila l’orologeria ha certamente vissuto una crisi. Ma oggi, dopo il periodo «elettronico» si è tornati al movimento meccanico. Questo ha fatto sì che mancando personale adatto e competente a lavorare su questi prodotti, a capo delle attività di controllo qualità siano stati messi giovani che spesso provengono da percorsi scolastici diversi, per esempio, avvocati o personale che ha studiato scienze economiche ma che non ha esperienza dell’intera filiera produttiva”. La questione sicurezza Trattandosi di oro e di metalli preziosi, l’aspetto della sicurezza rappresenta certamente una delle preoccupazioni principali: “Mensilmente eseguiamo delle pesate di verifica oltre ai controlli giornalieri. Si sa sempre esattamente quanti sono i pezzi in lavorazione in un determinato momento. L’ammanco di un pezzo può essere verificato nell’arco di un giorno o due. Più che altro dove può esserci un ammanco è nel truciolo che fra l’altro è meno facilmente quantificabile. Cade nella macchina e ogni sera viene raccolto, messo in una centrifuga, rifuso e rimesso in circolo. Ovviamente il furto può accadere, e in questo senso abbiamo le adeguate coperture assicurative, così come contro la frode. È chiaro che in questo ambito si può sempre migliorare, ma l’assoluto non esiste. Anche le raffinerie, che dispongono di sistemi costosi e raffinati – si parla in questo caso di tonnellate di oro –, possono andare incontro a problematiche di questo tipo. Esiste un limite di tollerabilità, naturalmente, che si aggira intorno all’1%. Capita anche che un ammanco venga poi recuperato nel tempo, quando viene per esempio eseguita la pulizia dei condotti. Sono sempre belle sorprese”.
Il fattore globale Come in molti altri settori, il processo di globalizzazione ha investito l’orologeria favorendo i gruppi maggiori che hanno assorbito numerose piccole aziende. A ciò si è aggiunto il fatto che a un certo punto il gruppo Swatch, uno dei giganti nel mercato del “tempo”, ha deciso di non produrre più i meccanismi per gli altri grandi marchi, che di fatto rappresentavano la concorrenza diretta, a meno che non acquistassero il movimento completo, cosa che implicava ulteriori costi per l’acquirente (smontaggio, rimontaggio ecc). Questa scelta ha costretto ogni azienda a sviluppare dei settori di produzione dei propri movimenti stimolando, da un lato, la nascita di manifatture vere e proprie, ma dall’altro limitando la produzione sul piano quantitativo, come ci spiega Campana: “Se io desidero un Daytona della Rolex, non è facile trovarlo, non perché manchino casse e bracciali ma perché non vengono prodotti sufficienti movimenti. Anche un’altra importante azienda elvetica, per esempio, che produce 20mila pezzi l’anno con un incremento produttivo del 5% annuo, è oggi costretta ad assumere 200 persone per poter stare al passo con le richieste crescenti proprio a causa della mancanza di movimenti. La creazione dei movimenti meccanici del resto necessita di tempo e personale altamente specializzato. Non è facile… Fortunatamente sono stati creati anche dei percorsi scolastici di formazione all’attività di orologiaio. In Svizzera si producono annualmente 32 milioni di orologi, ma con la legge dello «Swiss Made» che obbliga a non scendere sotto la soglia del 60% per quanto riguarda i componenti prodotti a livello nazionale, il comparto svizzero non potrà che avere dei vantaggi importanti e questo concerne anche Trecor, naturalmente, perché la specificità svizzera è la creazione di orologi in metalli preziosi e di alta gamma. Il problema riguarda piuttosto le marche di maggior diffusione di fascia medio-bassa che, a parte il movimento, realizzavano tutto il resto in Cina. Per loro sarà indispensabile trovare delle soluzioni per poter mantenere il «Swiss Made». Senza contare poi gli elevati costi per la pubblicità che sono importanti e che solo i grandi gruppi possono sostenere pienamente”. Si ringrazia per la cortese collaborazione il signor Claudio Campana, direttore commerciale di Trecor SA, Chiasso.
Nuove frontiere. Lugangeles di Marco Jeitziner; fotografie ©Flavia Leuenberger
inferno per alcuni, una giungla per altri, l’America per certi disperati rotolati giù dalla “Sun Valley”, per certi talentuosi e certi faccendieri alla ricerca di soldi e successo, lassù nei palazzi di vetro di “Paradise Palisades”. I “lugangelini”, fantasmi della città-cantone degli affari, dei commerci, della cultura upper-class, dell’arte urbana e delle creazioni sotterranee, di ogni tipo di piacere e vizio. Restammo ancora un po’. Il tizio ben vestito era ubriaco, chissà, diceva di aver fatto molti soldi e di averne persi altrettanti in quel colabrodo del “Financial District”, che di notte diventa deserto urbano a noi ostile. Lui voleva essere altrove, come noi, ma era lì a rimuginare sul mondo e sui suoi fallimenti.
Luoghi 44
“Strade solitarie velate dalla nebbia e dalla polvere, io non sono più solo. E voi fantasmi che popolate questa stanza, un po’ di pazienza e vi farò vedere” (John Fante)
Accadde di sera, di notte, travolti dalla noia e assaliti dalla solitudine, che noi irrequieti pipistrelli attraversammo il bosco d’asfalto, sorvolammo il quartiere di “Belvedair”, poi quello di “Santa Canonica”, seguimmo luci artificiali e cartelloni pubblicitari disseminati a “East Albertollywood”, giù fino alla “Cattaneo Drive” e lungo il “Sunset Gottard”. Il nostro radar ci aveva ingannato, forse per colpa delle torri magnetiche che si stagliavano qua e là? Volevamo soltanto cibarci di altra vita, uccidendola, immortalandola, come ora sulla carta. Successe che su quei sentieri urbani luccicanti di pioggia, terribilmente deserti, noi e il nostro battere d’ali atterrammo su pianeti opposti, che erano forse soltanto satelliti di qualcosa. Già, ma di cosa? Giù a Downtown Pioveva ancora. Svolazzammo e ci appostammo sotto dei finti lampioni irlandesi, non lontano dal quartiere degli affari. Per essere un giorno uguale a tanti altri, c’era gente da azzannare, c’erano da mordere morbidi colli (ma che reggevano quali teste?) e prosciugare arterie pulsanti (ma quale sangue vi scorreva?). Uno di noi trovò il coraggio, fece un giro dentro quel posto legnoso che odorava di luppolo. Noi invece guardammo dall’alto un tizio ben vestito che, a un altro solitario avventore, disse: “Benvenuto a Lugangeles!”. Domanda retorica, cogliemmo del sarcasmo, ma ora almeno sapevamo dove eravamo atterrati: nella “città degli Angioli”, dove tutti prima o poi finiscono per arrivare, dove (quasi) tutto può accadere e (quasi) tutto è possibile. Un
Lontani da Topanga Quel lunedì riprendemmo il volo, cercammo cibo nel “Ciani Park”, senza esito, così virammo a sud sulle “Montagnola Heights”, fino alle estremità della contea, oltre “Burbeng” e “Little Turkey”, e poi di ritorno sopra i quartieri di “West Lugangeles”, “New Molin” e “Gold Hill”. Qualcuno di noi gridò alla Luna: “Se questa è una città, ho il diritto di uscire e di divertirmi anche il lunedì sera!!”. Come se fosse venerdì o sabato, insomma. Un lunedì notte in cui, per molti, non accadrebbe mai niente, perché non fanno niente, ma ignorano invece che in altre zone dell’area “metropolitana” c’è vita pulsante con la quale, ahi noi, s’andava a scontrarci. Sicché finimmo nel cuore del bosco d’asfalto, vicino al fiume, in un suo magnifico ventricolo, diverso da tutto il resto, che fu in disuso ma, ahi noi, oggi poco o male utilizzato. Non era stato così, un tempo. A testa in giù per un’ora, tra mattoni colorati e nuvole di fumo, li ascoltammo in rispettoso silenzio. Dissero che, giorni prima, a una festa “era andato tutto bene”. Facemmo proposte semplici e concrete, ma scoprimmo con delusione un muro, da parte di alcuni di loro, più anziani ma non per questo più saggi. Dissero che “tutto, qui dentro, non può andare bene”! Mah! Persone sbagliate nel posto giusto? Capriccio ideologico tutto latino, quando nel nord del paese c’era molta più apertura e concretezza. Di pompare sangue nelle viscere di “Lugangeles” a loro non interessava più tanto. Forse un po’ stanchi, forse un po’ viziati, da tempo abituati a fare quello che vogliono nell’indifferenza quasi totale della città. Che rabbia, eppure eravamo nel cuore del bosco d’asfalto, a cuore aperto. Volammo via, ancora una volta a stomaco vuoto, pensando che sì, eravamo lontani dalla vera L.A., molto lontani da Topanga.
Luoghi 45
Fine estate. Eccoci a Rodi, la più grande isola del Dodecaneso.
È molto colorata e piena di gatti randagi.
I miei compagni di viaggio ed io mangiamo enormi barattoli di yogurt, andiamo a ballare e a vedere i posti che si vedono sulle cartoline. E che sopravvivono alla crisi grazie alle cartoline.
Anche in Grecia non c’è trippa per gatti.
Raggiungiamo Lipsi, l’isola meno turistica dell’arcipelago,
Ecco, il mio Colosso di Rodi
ed entriamo in un’altra dimensione: il Solipsismo.
Qui gli abitanti vivono di pesca, di pastorizia e di ciò che offre la terra, ubbidendo solamente ai bisogni individuali, al di là delle leggi prestabilite dal mondo esterno.
Ecco quello che vedo dalla mia finestra, mentre sento che il rapper antifascista Pavlos Fyssas è stato ucciso da un estremista di Chrysì Avgì (Alba Dorata): la lotta per il pane si è trasformata in guerra civile.
Qui a settembre e ottobre il tempo è ancora splendido. Guardando il tramonto e il mare, capisco come nessun eurobond, spread o debito sovrano potrà mai scalfire la bellezza di questo posto. Mi domando come si possa dire che la Grecia è un paese in crisi: forse secondo i canoni del mondo Occidentale, ma sicuramente non secondo quelli che riguardano la natura.
Luxury games Tendenze p. 48 – 49 | di Marisa Gorza
Nelle immagini, due modelli della collezione autunno-inverno 2013 di Brunello Cucinelli
Cosa è mai il lusso? Difficile darne una definizione senza far perdere qualche sfaccettatura al suo carattere complesso e misterioso! Certo elencando parole quali: eccellenza, fasto, gala, magnificenza, prestigio, rarità… ci avviciniamo alla sua accezione. Tuttavia il lusso, pare corrisponda a un tale grado di perfezione di un dato bene, da essere avvertito all’unisono dai nostri cinque sensi. Coordinati però da un sesto senso: quello psicologico in armonia con la cultura e il momento storico Cent’anni fa, il XX secolo si apriva sul mondo occidentale all’insegna delle dispendiose follie de “la belle époque”, lusso per gli happy few, cioè quei pochi privilegiati appartenenti all’alta società Oggi lo scenario appare radicalmente diverso poiché il “lusso”, o ciò che è ritenuto tale, è alla portata di minoranze così corpose da divenire quasi indistinte dalla maggioranza. Tant’è che i protagonisti della moda si propongono di ritrovare un vocabolario che parla di materiali pregiati, tessuti innovativi dalle performance speciali e costruzioni sartoriali. L’obiettivo è far breccia in
quella fetta piuttosto consistente di potenziali consumatori di provenienza russa o dal Far East. A dispetto dell’attuale situazione economica mondiale, assai critica, il numero di individui definibili “super ricchi” pare cresca sempre di più e con esso i fruitori di sensazioni e oggetti speciali, esclusivi… insomma di “lusso”, o che ne abbiano l’allure.
Il piacere del profitto
Nel 2007 usciva un interessante saggio Elogio del lusso. Ovvero l’utilità dell’inutile (Castelvecchi) di Thierry Paquot, filosofo francese appassionato di queste tematiche. Dopo aver analizzato molte forme del lusso contemporaneo, passando per le decine di grandi marchi italiani, francesi e non che tutt’ora rappresentano l’oggetto del desiderio di una miriade di fan, lo studioso scrive: “Il lusso, per come lo intendo io, più che in costosi beni materiali, sta in tre parole che rimandano a uno stile di vita autentico e ritrovato: tempo, spaziosità, silenzio....”. Si legge tra le righe che il lusso non si fonde necessariamente sul circuito monetario di beni e servizi, bensì su scelte di vita autonoma e consapevole,
che si pongono quindi al di fuori del mercato? Ritrovare se stessi, soprattutto interiormente, è un lusso che ognuno di noi si dovrebbe permettere! Ma c’è un’altra analisi, piuttosto dettagliata, riguardante i beni più ambiti, quella della giornalista Dana Thomas declinata nel testo Deluxe. Come i grandi marchi hanno spento il lusso (DeAgostini, 2008). Già il titolo la dice lunga riguardo al come la produzione, gestita da grandi gruppi internazionali, sia concentrata sulla crescita del profitto invece che sulla custodia e il miglioramento dell’heritage di storiche firme della moda. Questo profitto “gonfiato” arriverebbe dal middle market, da consumatori non ricchi, ma disposti a spendere interi stipendi pur di possedere un capo d’abbigliamento o un accessorio (più abbordabile) griffato. Così la borsa esclusiva, il must di stagione che tutte vogliono, è realizzato in Oriente a costo bassissimo. Perfino alcuni celebri profumi vengono diluiti e poi venduti comunque a peso d’oro, mentre campagne pubblicitarie stratosferiche incidono sul prezzo più della vera qualità. Dana Thomas squarcia il velo che avvolge il mondo patinato “deluxe” per rivelare con arguzia un realistico quadro. O piuttosto una… beffa?
Lusso umanistico
Il lusso ha perso, o no, il suo splendore? Non sempre, per fortuna. Per definire qualcosa un bene di lusso più che il costo esoso, componente, più o meno sincera, contano sì il valore intrinseco ed estrinseco, ma soprattutto il gusto, la classe, la genuinità dell’oggetto in questione. Come esempio l’impresa di moda fondata nel 1985 da Brunello Cucinelli, l’imprenditore umbro, famoso nel mondo intero per le collezioni in purissimo cashmere. La sua filosofia aziendale si basa su un fine che va oltre il profitto, ritenendo importante reinvestire per migliorare la vita di chi lavora e per valorizzare e recuperare patrimoni artistici. In onore a questo principio ha restaurato il borgo e il castello medievali di Solomeo e qui ha dato vita a nuova dimensione imprenditoriale. L’impresa, cresciuta subito in progressione geometrica, conta ora settecento dipendenti interni e un indotto di circa mille collaboratori esterni. Annovera sessanta negozi monomarca e molti “shop in shop” in tutte le grandi capitali. Signor Cucinelli, la filosofia umanistica è conciliabile con gli obiettivi di un’azienda capitalistica all’avanguardia? “La creazione del profitto è congenita al tipo di attività”, sottolinea, “però il denaro riveste un vero valore solo quando è speso per migliorare l’esistenza e la crescita dell’uomo...”. Come non definirlo un innovatore, o magari un imprenditore che ha saputo anticipare una tendenza globale? L’impresa risponde difatti a una sua etica, sia all’interno, nei rapporti interpersonali, sia all’esterno, ponendo i valori umani e culturali al primo posto. Fa parte dell’azienda e del borgo un “Foro delle Arti” comprendente il teatro, l’anfiteatro e il “Giardino dei Filosofi” dove si tengono concerti e meeting. Né manca la mensa aziendale, ricavata dalla vecchia casa del fattore ove si preparano i piatti della migliore tradizione umbra. Travi a vista, camini di pietra, pitture murali e pavimenti in mattonato convivono con sofisticati
e scintillanti laboratori. Soprattutto l’accesso al lavoro è libero e sono state eliminate gerarchie di sorta. Certo in questo luogo di serenità e bellezza la creatività non può che trarne vantaggio. Ne vediamo un saggio con le calde e suggestive proposte per l’inverno alle porte.
Couture quotidiana
Il lusso tradizionale e artigianale si esprime sempre più attraverso l’innovazione high tech, tanto che il mondo glam couture si incontra armoniosamente con quello quotidiano e sportivo. Rassicurante e accogliente la maglieria di Brunello Cucinelli, declinata al femminile, è un mix and match di filati in cashmere con effetti laminati, cardati, bouclé. Punti diamond e intrecci handmade si alternano in jacquard tridimensionali ritmati da tonalità profonde, cioè i marroni ramati, il grigio antracite e il verde brughiera. La giacca di ispirazione tuxedo in classica drapperia, ha forme rigorose in contrasto con gli abiti e le gonne fluide in rasi e crêpe di seta. Interessanti i nuovi pantaloni equestrian mossi dalle pinces in vita abbinati alla più preziosa delle bluse setose.
Melting pot di suggestioni
Anche nelle proposte al maschile la maglieria è il cuore dello stile Cucinelli che veste un uomo romantico e sognatore e tuttavia con i piedi per terra. Direi che assomiglia al suo demiurgo... Cardigan a grosse trecce, maglioni a collo alto nei colori richiamati ai vigneti: barbera, passito, vinaccia e poi grigio piombo e lignite in un corposo tricot a volte foderato e imbottito di piume per funzioni outdoor. Da alternare ai parka multi tasche in panno di lana cashmere. L’abito in tessuti pettinati o in flanella inglese è reso attuale dal fit asciutto. Giacche in quadrettati british e overcheck colorati sono abbinati a pantaloni dalla vestibilità slim o basic. Un insieme dalla forte italianità, ma che attraversa l’Europa e va oltre il Vecchio Mondo alla ricerca di nuove suggestioni e abbinamenti. Questo è lusso destinato a durare nel tempo e, manco a dirlo, autentico.
La domanda della settimana
Vietare il sorpasso ai camion sul tratto autostradale Chiasso–Lugano permetterà di fluidificare il traffico?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 5 dicembre. I risultati appariranno sul numero 50 di Ticinosette.
Al quesito “Al fine di concretizzare il tanto sbandierato «multilinguismo elvetico», rendereste obbligatorio l’insegnamento dell’italiano in tutta la Svizzera?” avete risposto:
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Astri ariete Tra il 2 e il 4 dicembre trigono della Luna con Mercurio e Urano. Nuove opportunità professionali. Ampliamento delle relazioni.
toro Si è aperta una pagina memorabile della vostra vita. L’amore va al meglio per quanto riguarda i nati nella terza decade favoriti da Venere.
gemelli Malumori tra il 2 e il 4 provocati dalla Luna in Sagittario. Dal 6 dicembre in poi, attenti a gestire le comunicazioni. Possibili fraintendimenti.
cancro Momento decisivo per le seconde e la terze decadi. Osate, seguendo gli impulsi dettati dalla vostra essenza. Tra il 4 e il 6 malumori passeggeri.
leone Siate diversi e pensate diversamente. Saturno spinge i nati tra la seconda e la terza decade a prendere di soluzioni drastiche. Liberatevi dell’inutile.
vergine Seducenti e fortunati. Tra il 5 e il 6 dicembre si apre un periodo favorevole sia per i nuovi incontri che per le opportunità professionali.
bilancia Siete sempre al centro della grande Croce Cardinale. Tra il 3 e il 5 possibile risoluzione di una vecchia controversia. Tensioni con i figli.
scorpione Saturno e Luna congiunti tra il 1. e il 2. Ricordi e malinconie. Cambiamenti nello stile di vita. Fortunati in amore i nati nella terza decade.
sagittario Mercurio dal 6 dicembre favorisce una fervida fase sotto il profilo intellettuale. Momento particolarmente creativo e ricco di nuovi incontri.
capricorno Periodo ricco di cambiamenti. Grazie a Marte siete determinati nella diffusione di una vostra idea. Atteggiamenti bi-polari.
acquario Siate più accorti nella gestione dei rapporti familiari. Novità per i nati nella prima decade dal 6. Favorite le collaborazioni professionali.
pesci Periodo favorevole nelle relazioni. La Luna vi favorirà soprattutto tra il 1. e il 2 dicembre, e poi di nuovo tra il 5 e il 6. Lingua a freno.
Gioca e vinci con Ticinosette
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 50
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 5 dicembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 3 dic. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Orizzontali 1. Si lanciano a Carnevale • 10. Ognuno esprime le proprie • 11. La getta il pescatore • 12. Mamma • 14. Città della Sassonia • 16. Si detto a Londra (Y=I) • 17. Diana nel cuore • 18. Proprio stupido • 20. Stampella • 22. Istituto Tecnico • 23. I mobili più comodi • 24. L’Eva di Diabolik • 26. Le separa la “p” • 28. Devota • 29. Le iniziali di Montesano • 31. Dinastia scozzese • 32. Antica, passata • 33. Pari in rimessa • 35. Antico Testamento • 36. Georges, scrittore e politico francese • 38. Sbarbati • 40. La rapì Paride • 42. Essa • 43. Il nome di Pacino • 44. Arto pennuto • 45. Diretti, finalizzati • 48. Amore... a Londra • 50. Pittore statunitense • 51. La belva che ride • 52. Hanno il cordiglio. Verticali 1. La zona andina con La Paz • 2. Intervenire chirurgicamente • 3. Detrazione • 4. Agnese a Madrid • 5. Assicurazione Invalidità • 6. Lo sono i Tuareg • 7. Una sigla del biologo • 8. Intacca la vite • 9. Imprecisa, sbagliata • 13. Infiammazione oculare • 15. La metà di trentasei - 19. Mammifero gibboso (Y=I) • 21. Commissario Tecnico • 25. Il mese del dolce dormire • 27. Tra il Carnevale e la Pasqua • 30. Può essere duttile • 31. Lo è una controfigura • 34. Gradini • 37. Articolo spagnolo • 39. Abitanti dell’Europa Orientale • 41. Lo è la terra d’origine • 46. Dio egizio del sole • 47. Arte latina • 49. Vocali in frecce.
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La soluzione del Concorso apparso il 15 novembre è: CLICCARE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta sono stati sorteggiati: Pierluigi Cereghetti 6826 Riva San Vitale Irma Bernasconi 6850 Mendrisio Yvonne D’Ermo 6853 Ligornetto Ai vincitori facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: buono RailAway FFS per l’offerta “Snow’n’Rail Airolo” RailAway FFS offre 1 buono del valore di 100.– CHF per 2 persone in 2a classe per l’offerta RailAway FFS “Snow’n’Rail Airolo” da scontare presso una stazione FFS in Svizzera. Ulteriori informazioni su ffs.ch/snownrail
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