Ticino7

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№ 52 del 27 dicembre 2013 · con Teleradio dal 29 dic. al 4 gen.

Balla che Ti passa

esercizio fisico, straordinario collante sociale, passione senza limiti d,età. e una varietà di stili e ritmi sorprendente…

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SPINAS CIVIL VOICES

LA VITA DI TROPPI BAMBINI SI SPEGNE PER MANCANZA DI ACQUA POTABILE. Per Natale, chiedete acqua potabile per i bambini africani. Avviate ora la vostra raccolta fondi al sito

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Ticinosette n. 52 del 27 dicembre 2013

Impressum Tiratura controllata 68’049 copie

Chiusura redazionale Giovedì 19 dicembre

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

4 Mundus Economia. Smarketing di duccio canestrini ............................................... 6 Letture Probiotici. Ritrovati equilibri di Giulio carretti ............................................. 7 Levante Primavera araba. Lo strappo antropologico di Marco alloni ..................... 8 Vitae Marija Jankovic di Marco Jeitziner .................................................................. 10 Reportage Dancing into... 2014 di Keri Gonzato; fotoGrafie di reza Khatir ............. 35 Tendenze Ballare. Il delirio del tango di Marisa Gorza ........................................... 40 Svaghi .................................................................................................................... 42

Agorà Società. Svezia & Svizzera

di

Keri Gonzato ....................................................

Un ticinese (quasi) dimenticato

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina Samah Gayed Fotografia ©Reza Khatir

A seguito dell’articolo “Dolce, ma non troppo” dedicato in parte alla stevia, una pianta dolcificante (Ticinosette n. 50/2013), il docente e ricercatore Danilo Baratti ci ha segnalato un importante legame tra l’argomento trattato e Mosé Bertoni (1857–1929), botanico/sperimentatore bleniese emigrato in Paraguay dove fondò una colonia agricola. Riportiamo di seguito alcuni brani di un’intervista alla quale partecipa anche Patrizia Candolfi, pubblicata sulla rivista Altre Modernità n. 10/2013 (Università degli studi di Milano; riviste.unimi.it/index.php/AMonline). P. Candolfi: Bertoni la conosceva (la stevia, ndr.) fin dal suo arrivo in Paraguay, nel 1887 e l’aveva classificata già nel 1899, dandole il nome di Eupatorium rebaudianum Bertoni, in omaggio all’amico Ovidio Rebaudi (...). Il nome scientifico definitivo le è dato nel 1905 e nella sua forma completa è Stevia rebaudiana (Bert.) Bertoni. (...) Bertoni aveva intuito subito i pregi dietetici e medicinali e i possibili vantaggi di una produzione industriale. La difficoltà stava però nella domesticazione della pianta. Fin dalla prima comunicazione della scoperta, Bertoni ha ricevuto varie lettere di interessamento da parte di importanti industrie chimiche e alimentari mondiali (tra cui le svizzere Hoffmann-La Roche e Tobler). A quell’epoca la quantità raccolta in natura era scarsissima, assolutamente insufficiente per una distribuzione su larga scala. Bertoni ha tentato per anni di riprodurre la pianta artificialmente ma senza riuscirci (...). D. Baratti: Certo, se (Bertoni, ndr.) fosse riuscito nell’intento, avrebbe forse risolto una volta per tutte i suoi ricorrenti problemi economici. Nelle intenzioni di Mosè Bertoni la colonia Guillermo Tell, formata essenzialmente dalla grande famiglia (tredici i figli e decine di nipoti), a cui si aggiunge qualche peone e qualche occasionale lavorante guaraní, doveva essere economicamente autosufficiente. La vendita di prodotti

agricoli, soprattutto di caffè e banane, doveva sostenere la ricerca scientifica (agronomica, meteorologica, botanica e zoologica, etnografica...) e permettere di pubblicarne i risultati (...). P. Candolfi: Oggi la Stevia rebaudiana Bertoni si sta affermando un po’ ovunque, suscita molto interesse e molte iniziative commerciali (...). Per parecchio tempo la sua diffusione era stata ostacolata dalle autorità di vari paesi, in particolare nell’America del Nord e in Europa. Per esempio negli Stati Uniti la Food and drugs administration ha condotto una dura guerra alla stevia, così come altri enti nazionali e sovranazionali, tra cui anche l’OMS. Secondo i fautori della stevia, gli allarmi sui possibili pericoli della pianta (eventuali allergie, o la cancerogenicità di una sostanza, lo steviolo), facevano in realtà gli interessi dei grandi produttori di dolcificanti artificiali, a cui la diffusione del Ka’á-he’è (stevia, ndr.) poteva fare una temibile concorrenza. (...) Nei supermercati svizzeri si trovano ora gli estratti dolcificanti di questo tipo prodotti da Assugrin, un marchio che fin qui si identificava con i dolcificanti al ciclamato o all’aspartame, la cui nocività è vivacemente discussa da anni. Curioso no? L’impressione è proprio che il via libera alla stevia sia stato dato quando i grandi produttori di dolcificanti chimici erano ormai pronti al cambiamento e in grado di assicurarsi la nuova materia prima e mantenere la loro presenza sul mercato. In Europa, da prodotto di nicchia e semiclandestino, la Stevia rebaudiana Bertoni sta diventando un grande affare. Troppo tardi per Bertoni, che oltretutto, per praticità o sciatteria, viene quasi sempre dimenticato nella denominazione del prodotto. Anche nelle confezioni dell’erboristeria svizzera, che pure potrebbero farne un “brand ticinese”, è indicata semplicemente come stevia o stevia rebaudiana. Ticinosette augura a tutti i lettori un sereno e positivo 2014. Buon Anno! La Redazione


Svezia & Svizzera Società. Noi abbiamo il formaggio, loro le aringhe. Noi la croce bianca, loro gialla. Noi le Alpi, loro l’aurora boreale. Noi Ueli Maurer, loro re Carl XVI Gustaf. Noi le terme, loro la sauna ecc. Molti aspetti fanno di Svizzera e Svezia due paesi lontani. Ma, in verità, tali contrasti sono sorpassati da una notevole quantità di similitudini di Keri Gonzato

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Agorà 4

i punti di contatto fra Svizzera e Svezia ce ne sono molti e ciò contribuisce a stimolare molteplici parallelismi tra i due paesi. Simmetrie talvolta esilaranti… come quando, in viaggio, all’affermazione “I come from Switzerland” puntualmente l’interlocutore – americano, cinese o indiano che sia – capisce “I come from Sweden”. Una simpatica amica svedese, evidentemente frustrata dopo una vacanza negli USA, ha persino creato il blog (http://sweden-not-switzerland.blogspot.ch) per sottolineare le evidenti differenze tra i due paesi. Effettivamente, però, già nei nomi la consonanza e l’assonanza spettacolari fanno pensare a un’impossibile parentela tra le due nazioni. Come se, in un tempo molto lontano, Svezia e Svizzera fossero state unite e poi, in seguito a un mitologico moto delle placche tettoniche, si ritrovarono separate da migliaia di chilometri di terra. Al di là di questa divagazione sulle scienze geologiche, rimangono tuttavia una serie di aspetti che i due paesi hanno in comune. Parallelismi Per esempio, la Confederazione Elvetica e il Regno di Svezia condividono un carattere fortemente indipendente, che risulta chiaro nella scelta di mantenere la propria moneta. Entrambi i paesi sono neutrali e hanno una popolazione di natura tranquilla, rispettosa del prossimo e fondamentalmente gentile. Per le strade e i sentieri, svizzeri o svedesi che siano, è difficile trovare una cartaccia perché l’educazione civica e la sensibilità ambientale di tali paesi è ancorata profondamente nella coscienza degli abitanti. Vige un rispetto degli spazi verdi e comuni, talvolta maniacale, difficile da trovare in molti altri luoghi del mondo. Non per niente il livello dell’educazione è molto alto: il grado di alfabetizzazione è del 99% in entrambi gli stati. L’acqua dei canali di Stoccolma splende limpida così come quella dei fiumi nelle nostre città, proprio perché sono presenti sia un impegno politico sia una forte pressione pubblica che spingono a rispettare le risorse naturali. Entrambi i paesi, inoltre, sono dotati di una rete estremamente efficiente di mezzi pubblici e di un sistema infrastrutturale all’avanguardia. Certamente molti di questi

aspetti vanno ricondotti a una caratteristica primaria, che li lega ulteriormente, ovvero la ricchezza. Si tratta infatti di due tra le nazioni più ricche al mondo. Ricchezza e welfare Una conseguenza diretta di tale abbondanza pecuniaria è anche legata all’elevato costo della vita: i prezzi di un caffè a Stoccolma equivalgono grosso modo a quelli di Zurigo. Questo significa che chi vive un momento di fragilità economica si ritrova a fare i conti con tutta una serie di servizi e beni che, per via del loro costo, diventano inaccessibili. Per fortuna, in entrambi i casi, è presente una buona rete di sostegno sociale che aiuta le persone con una situazione precaria. Questo è vero per gli svizzeri, ma ancora di più per gli svedesi che dispongono di un sistema sociale particolarmente efficiente e generoso. Un esempio lampante è quello relativo ai costi della sanità, coperti fino al 98%, e degli studi, gratuiti fino al master. Gli studenti universitari non solo non pagano gli studi, ma ricevono dei soldi dallo stato per mantenersi. Tale welfare state, simile in tutti i paesi scandinavi, è modellato sulla volontà di offrire un livello di qualità della vita alto e un livello elevato di protezione sociale: per renderlo possibile la popolazione accetta volentieri le richieste esigenti della tassazione. La Svizzera da questo punto di vista ha ancora molta strada da compiere. Un altro aspetto in cui la Svezia supera il nostro paese è il tasso di donne in parlamento, 47% rispetto al nostro 27% circa. La Svizzera invece batte la Svezia sul fronte della disoccupazione, con un 3% circa che supera di gran lunga l’8% svedese. Non tutto ciò che brilla è dunque oro e, anche se molte delle cose che le due “super nazioni” condividono sono molto positive, c’è anche il lato più ombroso… Il lato oscuro Secondo il World Happiness Report 2013, pubblicato questo settembre dal Columbia University Earth Institute, la Svizzera occupa il 3° posto e la Svezia il 5° fra i paesi più felici al mondo. Paradossalmente però in entrambe le nazioni come sottolinea l’alto tasso di suicidi, ci sono anche molte


Agorà 5

Ragazze a Stoccolma (maxcebycecilej.com)

persone infelici, un sentimento che si manifesta in molti modi diversi, fisici e psichici: si parla quindi di vari tipi di stati psicologici e devianze, dalla depressione all’ansia, dall’alcolismo alla dipendenza da psicofarmaci, fino alla decisione drastica di togliersi la vita. Secondo alcune ricerche nascere e crescere in paesi così “perfetti” creerebbe nelle persone una certa “ansia da prestazione”. Confrontarsi con modelli di vita immacolati, effettivamente, può fare sentire alcuni individui inadeguati. Quest’ipotesi è stata ulteriormente comprovata da uno studio, compiuto nel 2011 su larga scala, che ha trovato la motivazione di tale paradosso proprio nella tendenza umana a giudicare la propria felicità paragonandosi agli altri. In sistemi, come quelli in esame, che spingono le persone all’eccellenza, a mostrare il meglio di sé, a essere sempre competitivi, la pressione in questo senso è particolarmente forte. E poi, quando si nasce in un luogo tranquillo, pulito, pacifico e neutrale a volte manca un po’ di sana follia nel

quotidiano, l’eccezione alla regola, la sbavatura, il sapore dell’imprevisto… Manca lo spazio per l’errore. E forse è anche da lì che sgorga un senso di disagio e di insofferenza. In qualche modo, questa necessità di uscire dagli schemi, gli svedesi di Stoccolma l’hanno trovata nel vestire. Durante l’ultima visita sono rimasta colpita dallo stile stravagante, spesso esagerato, buffo, fashion in modo esasperato che contraddistingue molti stoccolmesi. Da un punto di vista socio-psicologico potrebbe proprio trattarsi di un modo sano di emanciparsi dall’eccesso di rigore che culturalmente li contraddistingue. Dalla strana vicinanza tra Svezia e Svizzera possono nascere quindi tante riflessioni interessanti. Incontrarsi senza forzare un paragone competitivo, senza la volontà di decretare chi sia il migliore o il peggiore, ma per stimolarsi a una crescita reciproca è la regola che sia a livello individuale che a livello politico e globale sarebbe utile iniziare a sperimentare.


Smarketing

La pubblicità, grazie al web, ai social network e alla comunicazione digitale si è fatta pervasiva e onnipresente. Il suo unico scopo pare sia quello di farci sentire infelici…

di Duccio Canestrini

Mundus 6

“Che problemi ci sono Chloe?”, chiede una mamma alla figlioletta. È sera. La donna sta esponendo una relazione alla sua bambina che la ascolta con espressione corrucciata, già dentro il suo letto. “Ai miei clienti questa presentazione è piaciuta moltissimo!”. La vignetta umoristica (nell’immagine al centro) è stata pubblicata dal giornale americano The New Yorker nel gennaio del 2000. Il disegnatore, Stuart Leeds, vuole evidenziare il fatto che Chloe non è una cliente, ma una figlia; e non è detto che ciò che piace ai clienti debba piacere ad amici e parenti. Anzi. Eppure per molte persone, che in tal senso si danno da fare, l’“onda” sembra ancora quella. Anacronisticamente, mi pare. Fare amicizia per vendere. Strumentalizzare i nuovi incontri. Trasformare i contatti di Facebook in potenziali rapporti commerciali per ampliare il proprio business. Non è il massimo. Proprio su Facebook di tanto in tanto capita di leggere messaggi (cioè post) raccapriccianti, buttati lì con tanta naturalezza che sulle prime sembrano quasi buone idee. Converti i tuoi amici in altrettanti clienti. Fai marketing, impara a convincere. Recentemente mi è arrivato via mail il messaggio pubblicitario di una casa editrice che ha da poco rieditato un libro di tale James Borg, “psicologo del lavoro e consulente aziendale” intitolato Persuasione. L’arte di convincere le persone (Tecniche Nuove, 2010). Mi dispiace, ma non ci siamo e non ci stiamo. Non sono più tempi di persuasione, occulta o manifesta che sia. Non c’è più spazio per gli imbonitori, per i manipolatori, per gli studiosi dei processi decisionali pagati e pilotati dalle grandi aziende. Senza alcuna etica. Cultura da piazzisti Oggi urta proprio la naturalezza con cui si dà per scontata questa aziendalizzazione dei rapporti umani, come se alla fine il solo valore reale fosse quello della transazione economica. Al cui servizio è giusto, indiscutibilmente giusto, che

ogni disciplina si applichi. Dico “rapporti” umani e non “risorse” umane, sperando che tale locuzione mutuata dall’inglese human resources – per designare il personale dipendente considerato sotto il profilo dell’investimento – precipiti finalmente nel dimenticatoio. I figli non sono clienti. Gli amici non sono clienti, o perlomeno non lo sono necessariamente. Neppure gli studenti delle scuole superiori e delle università sono clienti: ed è drammatico che gli istituti di formazione e gli atenei se li contendano a colpi di promesse di “placamento” (leggi, lavoro futuro), o chiedendo ai docenti “clemenza” alle prove d’esame, per non apparire troppo severi o selettivi. L’economista ribelle Serge Latouche non si stanca di ripeterlo: “Siamo colonizzati nel nostro immaginario, pensiamo che la società dei consumi sia la società dell’abbondanza, ma nei fatti è tutt’altro. La pubblicità deve renderci infelici di ciò che abbiamo, per farci desiderare ciò che non abbiamo. Così ci troviamo a vivere in una condizione allo stesso tempo di spreco e di scarsità, il che è anche una tragedia per l’ambiente”. È allora tempo di smarketing (con la “s” davanti); che però non significa rinuncia alla comunicazione. Nel suo divertente manualetto, intitolato proprio Smarketing. Comunicazione per tutti i piccoli che hanno grandi cosa da dire (Altreconomia, 2013) Marco Geronimi Stoll osserva: “Abbiamo lasciato che comunicazione e marketing diventassero sinonimi, ma è come chiamare addestramento la scuola di Platone (…) o definire rancio l’invito a cena di una persona innamorata. Il marketing vuole vendere qualsiasi cosa più è possibile, lo smarketing vuole vendere la giusta misura di prodotti e servizi che rispettano l’uomo, l’ambiente e la società”. Sapremo uscire dalla vecchia cultura piazzista, che spaccia futilità per irrinunciabili beni di consumo? Sapremo ragionare o, se vogliamo, sragionare virtuosamente? “Che problemi ci sono, mamma...?”.


Letture Ritrovati equilibri di Giulio Carretti

Nel corso degli ultimi anni si è assistito a un crescente interesse verso i probiotici, a tal punto che alcune note quanto spregiudicate aziende produttrici di yogurt e similari si sono inventate i nomi di nuovi microrganismi pur di riuscire a piazzare i loro prodotti. In realtà, la questione andrebbe ricondotta a una migliore conoscenza del funzionamento del nostro intestino e della sua flora batterica, dalle cui alterazioni (disbiosi), dovute a stili di vita errati e a un’alimentazione scarsamente equilibrata possono derivare disturbi come dermatiti, acne, bronchiti, cefalee e altre patologie, di cui fino a pochi anni fa non si riusciva a identificare la causa. Il fumo, l’abitudine a mangiare a pranzo fuori casa, lo stress, la scarsa attività fisica sono tutti elementi che contribuiscono ad acuire questa condizione di disequilibrio, che non può essere risolta affidandosi alle proposte degli uffici marketing delle multinazionali dell’alimentare. La materia è certamente complessa, dato che, come spiegano gli autori di questo

esauriente volume, il microbiota intestinale è costituito da centinaia di specie batteriche diverse, le cui molteplici funzioni metaboliche influiscono sulle nostre condizioni di salute. L’alterazione di tale attività ci espone all’attacco degli agenti patogeni Nel volume scritto da Luciano Lozio – direttore del Centro studi di farmacologia e biofisica della nutrizione di Burago Molgora – insieme ad altri studiosi si fa quindi luce su un tema spesso oggetto di semplificazioni. Attraverso la descrizione dell’ecosistema intestinale e del sistema immunitario, si chiarisce il ruolo essenziale dei probiotici, le patologie autoimmuni e le intolleranze alimentari. Un testo chiaro, rivolto non solo a chi si occupa di nutrizione e di malattie del sistema immunitario, che descrive lo stato dell’arte delle ricerche in questo campo, mostrando i meccanismi di funzionamento dell’intestino e spiegando come le corrette abitudini alimentari e alcuni alimenti possano svolgere un ruolo essenziale per la nostra salute.

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Lo strappo antropologico Pare che la forma più deteriore di bipolarismo si sia imposta in Egitto. Invece di un centrodestra e di un centrosinistra all’italiana siamo di fronte a due destre: quella militare e quella islamista, istanze della rivoluzione escluse di Marco Alloni

La domanda che tutti si pongono è adesso: il popolo egizia-

Levante 8

ne mondiale. E in quanto tale si configura assai più come strappo antropologico che come sollevazione politica.

no che ha promosso la rivoluzione è stato sconfitto? Resta da scegliere fra la restaurazione e l’oscurantismo religioso? Sono tornati alla ribalta gli interessi dello stato profondo? Strappo antropologico E soprattutto: esistono ancora margini perché, contro il Lo attestano le rivolte in Thailandia, in Ucraina, in Cile, revanchismo della vecchia burocrazia imprenditoriale in Turchia, in Iran (quindi anche al di fuori del mondo mubarakiana – ancora a piede libero malgrado le risibili arabo). Ovunque nel mondo si è venuta affacciando la operazioni cosmetiche della crisi del modello autoritario magistratura – possa ergersi fondato sulla sperequazione il popolo sano di Tahrir, quel economica. È infatti questo daprogressismo laico che, di fatto – che persino in Svizzera ha to, è l’unica opzione di demodeterminato una proposta di cratizzazione dell’Egitto? referendum contro il colossale Personalmente adotto l’ottidivario salariale fra dirigenti e mismo come surrogato della lavoratori – che lascia ancora, passione civile e rispondo: sì, paradossalmente, un margiè ancora possibile. Anche se le ne alla speranza e al sogno. ragioni del pessimismo, nutriQuel dato – che potremmo te degli indefettibili argomenti riassumere nei due termini di della realpolitik, hanno dalla distribuzione mancata (della ricloro la décadence per come si chezza) e partecipazione mancasta profilando la situazione ta (alla politica) – che fa delle nel presente, e possono quindi sollevazioni popolari qualcosa annunciare un futuro a tinte Manifestante in piazza Taskim a Istanbul (huffingtonpost.it) di più marcato e insopprimibile fosche non troppo dissimile di una semplice rivolta sociale. da questo enten eller o aut aut che sembra aver fagocitato Ne fa, appunto – con il dilagare di una coscienza planetaria la speranza (“O con i militari o con l’oscurantismo, o con promossa dai media – un fenomeno antropologico. un regime o con l’altro”). Ciò nonostante i margini per la La speranza e il sogno sono sempre negli uomini e degli speranza restano ancora. uomini. Per cui, a fronte di una mutazione antropologica Questo articolo è dunque lo sguardo che Orfeo rivolge a siffatta, l’argine al loro dispiegamento comporta, assai più Euridice per riagguantare – a prezzo della dannazione – le di una semplice repressione, quell’insidiosissimo meccaragioni dell’amore su quelle della prepotenza. Un articolo nismo di contrasto che si chiama “attentato alla vita”. E assurdo, visto il precipitare degli eventi e tuttavia un ap- quando in gioco non è più soltanto l’ideologia o il partito, pello alla ragionevolezza. la propria personale o collettiva rivendicazione politica, ma C’è ancora speranza perché, fuori da ogni ideologismo la vita in quanto tale, la risposta a una simile repressione o strutturata internazionale, quel che è accaduto il 25 non è calcolabile. Nessun bipolarista può per il momento gennaio 2011 in Egitto – e prima ancora con Boazizi in cantare vittoria. Tunisia – non è la “scaturigine” di una Primavera ma la Precisamente questa incalcolabilità del risentimento e “risultante” di una Primavera. E soprattutto l’espressione dell’indignazione, questo potere antropologico di resistere compiuta, e tuttavia in divenire, di una Primavera che non anche a costo dell’immolazione – il martirio lo abbiamo è affatto – malgrado i corvi del malaugurio – tracimata in sotto gli occhi, nelle forme della protesta privata e di quella un Autunno. Non è un fenomeno che può essere sussunto a simbolica, tutti i giorni – fonda paradossalmente i presupuna contingenza regionale specifica – nel caso in questione posti della speranza e del sogno. Oggi nel mondo i popoli quella araba – ma semmai l’epifenomeno di una trasforma- non hanno strutture ideologiche o partitiche tali da poter zione planetaria a cui il mondo arabo ha prestato soltanto convogliare verso un terreno di rappresentanza – nemmeno l’etichetta mediatica. La vera Primavera ha una connotazio- la rete lo è, in definitiva – l’urgenza di quella “partecipazio-


ne” e “rappresentanza” di cui sono saltati gli argini. Ma i loro cuori hanno colto in se stessi quella risorsa che nessun potere potrà mai contrastare: il potere di sacrificarsi. Lo sguardo di Orfeo Per questo mi sento di affermare, sfidando l’assurdo, che l’ottimismo alberga ossimoricamente nella disperazione. Che è nel genoma rinnovato di questo mondo popolare esasperato che risiede la forma plausibile di un futuro a misura di giustizia e di libertà, di democrazia e di partecipazione sociale e civile ai destini della Terra. E sempre per questo mi sento di assicurare che l’anomalo bipolarismo che si è delineato in Egitto, escludendo di fatto il popolo di cui si è detto – ignorando drammaticamente, e autolesionisticamente, il dato che ha determinato e determinerà le sorti dei futuri regimi – prima o poi collasserà sotto la pressione di un homo sapiens che, non avendo più nulla da perdere, farà perdere la sua tracotanza al nemico: poliziotto, militare, teocrata o satrapo che sia. Certo, lo scenario non è né lineare né esente da qualche coloritura apocalittica. Ma la speranza e il sogno non si fondano sulla semplicità degli obiettivi. La speranza, il sogno, la disponibilità alla lotta, l’indignazione, il coraggio, la voglia di resistere, la determinazione a diventare protagonisti della storia, si fondano sulla morte. E la mutazione antropologica a cui stiamo assistendo – che ha avuto nei kamikaze palestinesi i loro primi esponenti simbolici – ha in qualche modo riassunto come suo imperativo quello castrista di

O patria o morte. Una patria che non è più quella da sottrarre a un qualsiasi Batista, ma una patria che coincide con quella minima garanzia di dignità antropologica – un tempo tacitata dallo schiavismo, oggi esplosa nella consapevolezza globale del mondo e dei diritti – che è rappresentata da libertà, giustizia e democrazia. Sono popoli diversi quelli che oggi reclamano il proprio posto nella storia dei rispettivi paesi. Non sono popoli che si affidano a condottieri, a leader – maximi o meno che siano – o al populismo dei tirannucci del momento – per quanto suggestivi nelle loro promesse di palingenesi – ma a se stessi. E contro questo tertium antropologicamente datur non credo possa ergersi nessun tipo di argine politico, sia esso il bipolarismo anomalo all’egiziana o qualsiasi altra forma di tradizionalismo revanchista. Il revanchismo ha le ore contate. O almeno nella sua forma tipica. Qualcosa di totalmente incontrollabile e incalcolabile è salito e sta salendo dalle viscere della storia. Uno strappo che opporrà alla forza della discriminazione sociale ed economica quella della forza bruta della protesta, dell’assembramento, del martirio e dell’O patria o morte che, per il momento, manda solo i suoi sordi borbottii ma è in attesa di riesplodere. L’ottimismo si fonda su questa bestia insolita che ha preso cittadinanza delle strade e delle piazze e non retrocederà senza colpo ferire. Se non oggi, domani o dopodomani. Orfeo ha girato la testa è ha riconosciuto chi ama davvero. Della morte non gli importa più nulla o quasi.

À T I V NO

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opo il comunismo, con la morte di Tito nel 1980, quando sono nata, è cambiata la storia del mio paese ed è cambiata anche la mia vita. Sono sempre stata interessata alla musica, in un modo un po’ particolare. A casa c’era una fisarmonica, mi ero iscritta a un corso, ma questo strumento non mi piaceva, era troppo pesante per una ragazza (ride, ndr.)! Un giorno hanno aperto un corso di corno francese e mi è piaciuta subito la sua forma e il suo timbro, così sono entrata nel mondo della musica classica. Quando ho iniziato a suonarlo è iniziata la guerra nel mio paese, la Serbia. Avevo dieci anni e frequentavo le scuole elementari. I negozi erano vuoti, non c’era elettricità, il collasso totale! La prima cosa che avviene in una situazione del genere è la totale distruzione della cultura! Con la musica e la televisione cercavano di fare divertire la gente, così che non si accorgesse di cosa stava succedendo. C’era il cosiddetto “Turbo-folk”, che non mi è mai piaciuto, un “trash” incredibile. Per non abbandonarmi a questa situazione, mia madre mi comprava sempre delle cassette o dei vinili di musica rock, punk ecc. che mi davano adrenalina. Era un modo per non abbassare la testa e sottomettersi a quello che voleva il sistema di Milošević. Il corno è forse l’unico strumento a fiato che non è presente nella musica folk del mio paese. Prima dei bombardamenti della NATO c’erano manifestazioni, la polizia ovunque, rivolte quotidiane contro il regime di Milošević. Ho visto tanta gente uccisa perché si opponeva al sistema della dittatura! Gli studenti e gli intellettuali scendevano in piazza a manifestare, li vedevo tutti i giorni tornando da scuola con il corno. Un giorno mi hanno detto “mettiti qui e suona con noi!”. Non avevo paura, perché in quei momenti la paura si trasforma in lotta, in protesta. C’era la polizia, ferma, tantissimi manifestanti coi fischietti, che hanno seguito la mia musica per le vie di Belgrado. Nel 1998 sono iniziati i terribili bombardamenti della NATO, sempre di notte, e pensavo: se avessero distrutto tutto, come gli americani in Serbia alla fine della Seconda guerra mondiale, cosa sarebbe stato di me? Sarei riuscita ad andare avanti e a terminare

i miei studi? Non so perché, ma mi sono messa a studiare l’inglese anche se non volevo lasciare il paese. In primavera, dopo i bombardamenti, dovevo finire il liceo musicale “Stankovic” e, nonostante la guerra e le tensioni, le lezioni sono proseguite. Dopo la maturità liceale, sono entrata in accademia. In quel periodo, probabilmente per aiutare il mio paese e noi giovani musicisti, uno dei più grandi e famosi cornisti al mondo, Francis Orval, è venuto a Belgrado. Ha voluto trasmetterci tutto, per aggiornarci sui tanti cambiamenti che non eravamo riusciti a seguire. A metà dei miei studi in accademia ho potuto lavorare in un’orchestra e ho seguito vari corsi. A Praga ho conosciuto il cornista americano David Johnson, guarda caso insegnante al Conservatorio di Lugano. È lui che mi ha chiesto se volevo venire in Svizzera. Dopo tutto il disastro che ho vissuto è stato un altro miracolo per me! (ride, ndr.). Mi sembrava incredibile il fatto di avere la possibilità di studiare in questo paese, dove il corno (come quello delle Alpi) è parte integrante del patrimonio nazionale. Sapevo che tutto questo sarebbe stato possibile solo se avessi ottenuto una borsa di studio che però dovevo dimostrare di meritare. Fortunatamente mi è stata concessa e ho ottenuto il diploma di Master in Pedagogia per corno francese. Ora ho concluso i miei studi musicali e mi dedico all’insegnamento e a suonare ai concerti. Qui mi sento accolta e accettata da tutti, anche se all’inizio è stato difficile: non parlavo l’italiano e la mia identità si costruiva intorno al corno e alla mia musica, ma col tempo ho imparato la lingua e le abitudini ticinesi. Ma il mio passaporto mi rende “diversa” dagli altri: è quasi impossibile restare in Ticino perché sono serba. Tuttavia la mia esperienza mi ha fatto capire che la musica può essere veramente il modo più veloce per integrarsi. La musica è una lingua universale ed è grazie a essa che oggi sono qui e che mi sono lasciata alle spalle l’orrore della guerra per cercare di costruirmi una nuova vita.

MArIJA JANkOvIC

Vitae 10

Dalle rivolte ai bombardamenti in Serbia, non ha mai perso la speranza grazie a uno strumento musicale che l’ha portata fino in Ticino: il corno francese

testimonianza raccolta da Marco Jeitziner fotografia ©Flavia Leuenberger


Dancing into… 2014

“Bisogna avere un grande caos dentro sé per partorire una stella danzante” F. Nietzsche di Keri Gonzato; fotografie ©Reza Khatir

“Nel mio percorso la danza è medicina, rituale, veicolo di evoluzione spirituale, linguaggio che cancella le differenze fra gli esseri umani poiché accomuna in quello che è il nostro primo vocabolario e mezzo di apprendimento: il movimento” Cristiana Zenari


“Danza = motore, valvola di sfogo, incontri di un giorno o per la vita, ispirazione, cambiamenti, creazione. In una sola parola: VITA� Danae Cancelli


“La musica e il ballo fanno parte della mia cultura e quindi non si tratta unicamente di movimento. Nella danza e nella capoeira uso il corpo per esprimere le mie emozioni� Miguel


“Quando sento il suono delle scarpe da tip tap non riesco a smettere di sorridere� Nadja Berger


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a crisi economica, vita e, visto che gli egiziaquella ambientani sono un popolo positivo le, il clima di inla danza vi ha trovato un certezza generale terreno fertile”. Per lei il che stanno modificando ballo è uno strumento di la vita di tante persone trasformazione e, quando fanno di questo salto in gira su se stessa come una un altro nuovo anno un Dervishi, con la OneDanmomento intenso, carico ce – che è anche il nome di ansia ma anche di podella sua Associazione betenziale. Si tratta di quel nefica – appare come una particolare potenziale che folgorante visione di pace si concentra solo nei moe unione. “Con questa danmenti di grande fragilità za, che è come una preghiera, e confusione. Momenti in accedo ad uno spazio sacro, cui le certezze si sgretolaall’origine della vita e alla no, il caos confonde ogni fonte dell’amore”. cosa e la vita perde la sua Il giovane Miguel viene forma consolidata. dall’Angola, dove la danSe, anche solo per un attiza e la musica sono parmo, lasciassimo andare la te della cultura. “Io parlo disillusione e il cinismo e attraverso il movimento”, ribaltassimo il nostro punspiega, “uso la danza per to di vista, forse scopriremaffrontare le difficoltà, per mo che proprio da quelle esprimere la gioia e sfogare crepe può sgorgare della la tristezza”. Oggi, Miguel è luce... Il caos esistenziale un’insegnante prezioso per che stiamo sperimentando il gruppo Capoeira Ticino in questo momento storie racconta come quest’arte “La danza per me è armonia, pace, unione, co, potrebbe allora rivelarsi afro-brasiliana, connubio forse in un’unica parola: amore. Ballare per me è vivere” un terreno fertile per rinadi lotta e danza, l’abbia fatSamah Gayed scere, citando Nietzsche, to crescere insegnandogli come tante stelle danzanti. il delicato equilibrio che Dato che nessuna carriera ci da più la certezza di un futuro esiste tra l’essere umile e il mostrare la propria luce. sicuro perché non scegliere di fare quello che davvero ci Cristiana Zenari, danzatrice, insegnante di danza e consufa vibrare interiormente? Ballare attraverso il ponte tem- lente somatica, ha iniziato a muoversi spinta dall’istinto. porale, che dal 2013 ci proietterà nel 2014, potrebbe così “Ho iniziato a danzare molto piccola seguendo un’irrefrenabile assumere un forte valore simbolico. Qualcosa ci dice che è necessità: danzare significava affermare me stessa, comunigiunto il tempo di mollare le maschere e mostrare la nostra care il mio essere. La radice di per sé è rimasta la medesima reale passione per la vita… anche oggi, ma il tutto ha acquisito gradi di consapevolezza più raffinati”. La gioia del movimento Ogni lunedì sera, presso La Tangueria di Locarno, Nadja Le persone che abbiamo incontrato nella preparazione di Berger indossa la sua passione e insegna il tip tap. Quando questo reportage lo stanno già facendo. Le abbiamo scelte balla si sente felice, leggera e libera… “Adoro il movimento per ispirare ognuno ad accendere la stella della propria disinvolto del tip tap e il fatto che tutti possano iniziare a passione. Loro, hanno messo da parte tutte le paure e sono qualsiasi età: bastano le scarpe giuste e via!”. saltate, piroettando, nel sogno della loro vita. Queste testimonianze lanciano un invito a ognuno di “La danza è entrata nella mia vita come un semino quand’ero noi. La vita è troppo breve per piangersi addosso, è ora di piccina” racconta Danae Cancelli, psicologa e giovane ballare – ognuno a modo suo – e di manifestare il meglio direttrice della scuola di Danza DMC Studio, “mi ha ac- che possiamo essere. In un barlume di tempo saremo già compagnata giorno per giorno, ed ora, quel semino, è diventato in un nuovo anno, è ora di saltare sul dance floor della una bella pianta alla quale dedico tempo e un grande spazio nostra vita e di celebrare! soleggiato nel mio cuore”. Il ballo per loro è una ragione di esistere, una gioia, un’esplosione di luce e colori, un Reza Khatir battito del cuore. Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose Samah Gayed, di origini egiziane, balla da quando era testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede nel ventre materno. “La danza è la celebrazione gioiosa della a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. khatir.com


Il delirio del tango Tendenze p. 40 – 41 | di Marisa Gorza

“Pensiero triste che si balla”, così l’intrigante ballo veniva definito dal famoso musicista E.S. Discépolo. Pare che il tango sia diventato “triste” solo quando i poeti iniziarono a scriverne i testi, a mettere in versi le loro storie d’amore inflazionate per di più da mujeres malas y ingratas... Poverette, bisogna capirle: avevano a che fare con sfaccendati machos, infedeli e sciupafemmine!

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on è semplice risalire alle sue origini, essendo frutto di un’ibridazione tra passi, ritmi e melodie diverse. Certamente nasce fra le classi popolari che lo danzavano per strada, nei bordelli, nei bar malfamati, o nei balli domenicali, improvvisati tra gruppi rissosi, gente dal coltello facile. Avvinceva e incollava le coppie, coinvolte in irresistibili suggestioni sulle note struggenti del bandonéon (versione argentina della fisarmonica) che sostituiva il flauto e sospirava: taatà-taatànngo… Un metro di 2/4, un ritmo strisciato e staccato, languido, sensuale per non dire erotico. Come anche l’etimologia del nome che probabilmente deriva dal latino tangere, ovvero “toccare”. O dalle lingue africane in cui tango significa “insieme”, caratteristica fondamentale di questo ballo, decisamente di coppia. Le origini Tra i suoi precursori c’è l’ habanera, giunta a Cuba dall’Africa con le navi degli schiavi. Da ballo dei reietti si diffuse in tutto il mondo ispirando musicisti del calibro di Georges Bizet (1838–1875) che ne inserì una suadente versione nel primo atto della Carmen. La struttura del tango è stata influenzata anche dalla milonga criolla, arrivata dalla campagna tramite i gauchos, come pure dal tango andaluz, di chiara derivazione spagnola. Tra la fine e l’inizio del secolo l’Argentina accoglie gli immigrati, molti dei quali giungono dall’Italia in cerca di fortuna. Lungi dal trovare la “terra promessa”, disillusi e tristi, si identificano nei temi e nella musica di questo ballo che in qualche modo riflette il loro disagio e la loro nostalgia. Difatti, espressione delle classi emarginate, racconta tristi epopee di amori perduti, di sentimenti calpestati o colpevoli, soprattutto della perversa e crudele traiciòn. Si sa che l’amore,

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perfino quello infelice, è appannaggio dei più poveri. Non fosse altro per la sua capacità di lenire il dolore, o magari di mitizzarlo nell’esaltazione. Il metissage di genti ovviamente dava origine a un mix di strumenti e interpretazioni e perfino di linguaggio. Venivano inseriti motti delle tipiche parlate italiane, soprattutto dal genovese e dal napoletano, già presenti nel gergo delle carceri argentine. Baires e il mondo Agli albori del novecento l’espressione artistica del tango, comprendente musica, danza e testi, tramite il tumultuoso sviluppo di Buenos Aires, coinvolgeva le vicine Montevideo e Rosario e via, via il mondo intero. Si diffondeva in ogni locale dove, insieme ai popolani, ballavano anche i borghesi, che cominciavano a copiarne le mosse lascive, aldilà delle critiche demonizzanti. Spogliato per convenienza di alcune mimiche esplicite e passato al vaglio del perbenismo internazionale, ecco che tango, tangueros e bandonéon varcano l’oceano e approdano a Parigi. Ma le polemiche restano. Si tratta di un ballo dove la coppia si incontra, si scontra, si blandisce e si strapazza in un intreccio che mima un focoso rapporto amoroso. El hombre decide i passi e conduce la mujer in una metafora della vita dove a condurre è sempre e solo lui. Però se lui impera, lei lo disarma e lo vince con seduzione ed erotismo.

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Con le modifiche apportate in Europa, il tango ritorna in Argentina e diventa un intrattenimento adatto anche alle persone “perbene”. Negli anni venti, periodo d’oro per il paese, vive un momento magico, basti ricordare la voce inconfondibile di Carlos Gardel e l’intensa performance di Rodolfo Valentino ne I quattro cavalieri dell’Apocalisse (1921). Sul ballo argentino si sviluppò tutta una letteratura e sul suo ritmo fiorirono poemi suonati, cantati, parlati, recitati. Tra le più celebri canzoni della guardia vieja troviamo “El Choclo”, “La Cumparsita”, “Camminito mio”, “Adios Muchachos”… In anni più recenti si è affermata l’avanguardia del nuevo tango soprattutto grazie a Astor Piazzolla, autore di una musica complessa e articolata, caratterizzata da fughe sincopate e commistioni jazz, pur senza perdere l’originale fascino malandrino. Oggi il tango è il fenomeno culturale più vasto che l’America latina abbia mai esportato nel mondo. Mania delirante del momento, trova appassionati seguaci in ogni angolo del globo e di ogni età. Tutti sensibili alla malia di un’espressione artistica che nel 2009 è stata dichiarata dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità”. Il Tango in Ticino “Conquista, seduce, incanta, avvince... L’alchimia del tango è capace di liberare energie ed emozioni di cui si è inconsapevoli”, sono parole di Martin Wüthrich, maestro carismatico e ballerino professionista nonché vincitore di concorsi internazionali, oggi responsabile della Newstyledance di Massagno, scuola in cui insegna. Dal 1995 si occupa della diffusione del tango argentino in coppia con Antonella, partner nel ballo e nella vita. Maestro, è difficile imparare questo ballo? Il tango è basato sull’improvvisazione, il passo base in sé è una camminata guidata dall’uomo con segnali del corpo. È importante l’ascolto e la percezione del ritmo e anche della frase musicale. Oltre alla tecnica bisogna attingere alle proprie emozioni, al proprio cuore. La melodia va interpretata ed espressa poi con il movimento. Solo così si può procedere alle figure più o meno complesse, in una creativa interazione della coppia. Che differenza c’è tra il Tango Salòn e il Tango Nuevo? Il primo, il più tradizionale, comporta un abbraccio chiuso, il secondo predilige l’abbraccio aperto. Personalmente prediligo una fusione tra i due in modo da poter interpretare vari autori, dai più classici ai più moderni. Quale genere piace di più agli alunni ticinesi? I nostri alunni, di età compresa tra i diciassette e i settant’anni, amano tutti gli stili del repertorio tanguero e, a seconda delle loro capacità fisiche, ne approfondiscono i segreti applicandosi con passione. Le difficoltà che man mano possono incontrare, una volta superato l’impatto iniziale, anziché essere sentite come ostacoli, diventano nuovi stimoli. Che brano suggerirebbe per la notte di Capodanno? Entrerei nel 2014 ballando sulle note di Poema, un dolce tangopoesia suonato dall’orchestra Francisco Canaro. Poi Noche de estrellas, un romantico vals cantato da Ernesto Famà... A Capodanno cosa c’è di più buon auspicio di una notte di stelle?


La domanda della settimana

Una salutare e disintossicante dieta rientra tra i vostri buoni propositi per il nuovo anno?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 2 gen. 2014. I risultati appariranno sul numero 2/2014 di Ticinosette.

Al quesito “Il Natale rappresenta ancora un’occasione per riunire, almeno una volta all’anno, la vostra famiglia?” avete risposto:

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Astri ariete Tra il 30 e il 31 sarete assai reattivi alle sollecitazioni del vostro ego anche a causa dell’influsso di Giove in quadratura e di Marte in opposizione.

toro Potrete passare gli ultimi giorni del 2013 nel migliore dei modi. Incontri sentimentali e colpi di fulmine. Vi sentite risoluti e pronti a nuove sfide.

gemelli Emozioni amplificate e forte desiderio di evadere da una quotidianità non all’altezza delle vostre aspettative. Vincite al gioco stimolate dai transiti.

cancro Con le parole siete un fiume in piena travolgete tutto e tutti. Attenti però a non farvi colpire dal cosiddetto fuoco amico. Posiibili di cambiamenti.

leone Tra il 30 e il 31, grazie alla Luna, potrete godere di atmosfere romantiche. Fortunato l’incontro con la Bilancia. Liberatevi di ogni zavorra.

vergine Con Mercurio favorevole nella quinta casa solare sono favoriti gli investimenti e gli incontri con persone più giovani. Instabili tra il 30 e il 31.

bilancia Partite all’attacco, mettete i vostri avversari sulla griglia. Con Marte stabile nel segno emerge la vostra combattività. Bene tra il 30 e il 31.

scorpione Particolarmente sensibili intorno al 29. Amplificazione di ogni vostra emozione. Il periodo si presenta ricco di nuove relazioni sociali. Incontri.

sagittario Concludete il 2013 con i migliori propositi. Urano spinge i nati nel segno a dare una svolta creativa alla propria vita. Prendete al volo le occasioni.

capricorno Incredibile accumulo di pianeti sulla vostra posizione natale. Cavalcate l’onda altrimenti ne verrete sommersi. Favorevole la Luna del 29 dicembre.

acquario Seguite il vostro intuito: non ve ne pentirete. Grazie ai transiti quest’ultima fase dell’anno si presenta assai propizia per agire dietro le quinte.

pesci Momento felice in amore. Ottimi affari. Siete circondati da collaboratori importanti e così le idee non mancano. Progetti in campo finanziario.


Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 2

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 2 gen. 2014 e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro lunedì 30 dic. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Verticali 1. Una trasmissione condotta da Michele Santoro • 2. Ideate, realizzate • 3. Rimanere • 4. Il monogramma di Schubert • 5. Nel centro di Ludiano • 6. Dittongo in giada • 7. Cascare dalle nuvole • 8. Cittadella, roccaforte • 9. I lamenti dell’asino • 13. I confini di Osogna • 15. Cortili agresti • 19. Lega di rame e zinco • 21. Frastuono, tuono • 23. Cantore epico • 25. Privo di cuore • 27. Subisce gli influssi lunari • 29. Avverbio di luogo • 31. Massimo, cantante • 35. Ha la cruna • 37. Privi di malattie • 39. Città e porto del Brasile • 41. Lo sono pecore e capre • 43. Feretro • 44. Giallo pallido • 47. Dea greca dell’aurora • 48. Fiume francese • 51. L’alieno di Spielberg.

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Orizzontali 1. Disonorare, diffamare • 10. Lo fu Ario • 11. Calca, folla • 12. Il cane di Ulisse • 14. Poeta sommo • 15. Occhiello • 16. Andata in poesia • 17. Le pota il giardiniere • 18. Canta “Il carrozzone” • 20. Risonanza • 22. Dato anagrafico • 24. Un condimento • 26. Nel centro di Roma • 28. Piccolo mollusco • 30. Imitazione scadente • 32. Unto senza pari • 33. Un pianeta • 34. Propaggine vegetale • 36. L’opposto del male • 37. Un arnese del falegname • 38. Cavalli dal manto scuro • 39. Il sodio del chimico • 40. La Yoko di Lennon • 42. Legno pregiato • 45. In mezzo ai rovi • 46. Celestiale (f) • 49. Città grigionese • 50. Il niente del croupier • 52. Rosa nel cuore • 53. Aerei senza motore.

Soluzioni n. 50

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La soluzione del Concorso apparso il 13 dicembre è: RITIRARE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Davide Petraglio via Santa Maria 6 6596 Gordola Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: buono RailAway FFS per l’offerta “Snow’n’Rail Disentis 3000” RailAway FFS offre 1 buono del valore di 100.– CHF per 2 persone in 2a classe per l’offerta RailAway FFS “Snow’n’Rail Disentis 3000” da scontare presso una stazione FFS in Svizzera. Ulteriori informazioni su ffs.ch/snownrail

Snow’n’Rail Disentis. Puro divertimento tra sole e neve! Nella regione sciistica Disentis 3000 gli appassionati della neve e del sole trovano tutto ciò che desiderano grazie ai 60 km di piste di diverse difficoltà. Con la funivia fino a Caischavedra per poi proseguire con le seggiovie fino ai 3000 m s.l.m. dove la neve è sempre garantita.

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