№ 1 del 3 gennaio 2014 · con Teleradio dal 5 all,11 gen.
UN TRONO DI PIETRA
La chiesa dei santi Pietro e Paolo a Biasca è un importante esempio di arte romanica in Svizzera. Austera e dominante raccoglie in sé una storia millenaria
C T · RT · T Z · .–
1_EDITORIALE
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il-mio-desiderio-per-natale.ch
SPINAS CIVIL VOICES
TICINOSETTE
Ticinosette n. 1 del 3 gennaio 2014
Agorà Culture. Lezione di civiltà
di
Marco Jeitziner................................................... oreste Bossini ..........................
6
Francesca rigotti ....................................................................
8
Arti Alexander von Zemlinsky. Un genio ignorato Eroi William Stoner
Impressum
di
4
Letture Delizie cantonali
di
di
eugenio Klueser .............................................................
9
10
Tiratura controllata
Vitae Magio Gaspare
Chiusura redazionale
Reportage La fortezza del Signore
Editore
Tendenze Bookcrossing. Nomadismo librario
Keri gonzato ..............................
40
Redattore responsabile
Svaghi ....................................................................................................................
42
68’049 copie
Venerdì 27 dicembre Teleradio 7 SA Muzzano
di
roBerto roveda ................................................................. di
giancarlo Fornasier; Foto di Peter Keller ........
Fabio Martini
di
35
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Maestà in trono e i 4 Evangelisti. Chiesa dei ss Pietro e Paolo, Biasca Fotografia ©Peter Keller
Babbi, santi e bambini Care lettrici e cari lettori, pubblichiamo una lettera giunta in Redazione a commento del titolo di copertina del numero 51 apparso a ridosso del Natale. Cara Redazione, abbiamo appena ricevuto l’ultimo numero di Ticinosette e siamo rimasti allibiti e profondamente delusi dal titolo di copertina (Caro Babbo Natale...). Fra l’altro vi si leggeva “il grande vecchio simbolo delle feste natalizie”. Ci chiediamo: se anche noi nella nostra cultura abbiamo preso Babbo Natale, inventato dalla Coca Cola, come simbolo della Natività, siamo veramente finiti in basso svilendo il vero senso di questa ricorrenza che, come credenti o no, resta comunque la nascita di Cristo. Cordialmente salutiamo e porgiamo gli auguri di buone feste. M. e L. B., Bellinzona Naturalmente non era nostra intenzione urtare la sensibilità religiosa di alcuno, tanto più che il Reportage scaturiva proprio dall’idea di dar visibilità ai desideri che i bambini rivolgono, con la loro consueta innocenza e semplicità, a Babbo Natale. Al di là di ogni fede e religione è un dato di fatto che, almeno per i più piccoli, il signore con barba bianca, le renne, gli gnomi ecc siano divenuti a tutti gli effetti alcuni dei principali simboli del Natale. Fra l’altro, i due lettori dimenticano che ridurre a semplice icona commerciale il “mito” di Babbo Natale è operazione impropria e riduttiva. Chi scrive, sempre nel numero 51 ma del 21 dicembre 2012 (esattamente un anno fa), poneva infatti la firma alla rubrica “Vitae” dedicata a Nicola di Myra, santo
della Chiesa cattolica e vescovo, a cui viene fatta risalire la tradizione attuale di Babbo Natale. Il nesso, come si spiegava nell’articolo in oggetto, era riconducibile all’impegno che san Nicola pose nel corso della sua vita e della sua opera pastorale alla tutela e alla difesa dei bambini. Inoltre, nell’articolo si accennava in modo esplicito alle mistificazioni commerciali che a riguardo sono state compiute. Ma confondere il dito con la Luna è altra cosa. Cosa accadrebbe se in luogo di Babbo Natale (o san Nicola) mettessimo Gesù bambino e fosse questa l’immagine utilizzata commercialmente? E inoltre, ha davvero una così grande importanza lanciarsi contro una tradizione che è entrata a far parte dell’immaginario collettivo, in particolare dei bambini, la maggior parte dei quali fra l’altro ignora del tutto il legame con la nota casa produttrice della bevanda americana? Io credo di no. Leggiamo piuttosto le preghiere e le richieste che i bambini fotografati indirizzano nelle loro letterine a Babbo Natale: di giochi si parla poco. A prevalere è il desiderio di pace, di salute, di serenità per se stessi, per i loro congiunti e il mondo intero. Forse è piuttosto questo il senso profondo e autenticamente cristiano dei loro messaggi. E sinceramente poco importa che siano rivolti a Babbo Natale, a san Nicola o a Gesù bambino perché, e lo sappiamo tutti benissimo, i veri destinatari siamo noi adulti, primi responsabili delle atrocità, delle violenze, delle ingiustizie e delle sperequazioni che affliggono il mondo e di cui le principali vittime sono sempre loro, i bambini. Buona lettura, Fabio Martini
Lezione di civiltà Culture. Potremmo chiamarla antropologia comparativa quella che ha ispirato il documentario “Le premier monde”, girato nel 2010 da Thierry Demaizière e Albain Teurlai. Quando le cosiddette società primitive, commentando la società moderna, ci insegnano il rispetto della natura e della vita… di Marco Jeitziner
N
Agorà 4
el bel documentario “Le premier monde”, girato nel 2010 dai francesi Thierry Demaizière e Albain Teurlai e facilmente reperibile nella rete, si propone un lavoro antropologico inusuale e un po’ diverso dal solito. L’uomo bianco si reca sì in una regione discosta e remota dell’Amazzonia, lo Haut Xingu, presso una tribù di indigeni confinati nella giungla dalla deforestazione selvaggia provocata dalla nostra fame di bistecche (secondo Greenpeace sono 20mila i metri quadrati di selva che spariscono ogni anno dal 2000!), ma anziché osservare in silenzio e con distacco il più oggettivo possibile i loro usi e costumi, viene mostrato loro il peggio e il meglio della nostra cultura (e di altre parti del mondo), allo scopo di provocare reazioni e commenti. Questi indigeni adulti parlano brasiliano, occasionalmente hanno accesso ai media e a internet soprattutto quando si recano in città, tuttavia il risultato è a volte sorprendente, oltre a offrire una straordinaria lezione di civiltà. Rimette in discussione non solo la nostra suddivisione (puramente economica) tra primo, secondo e terzo mondo, ma anche il concetto stesso di antropocentrismo (l’uomo al centro dell’universo). Uccidere la Luna Bambini, giovani adulti e anziani, maschi e seminudi, agghindati e dipinti coi loro tradizionali costumi e colori tribali, osservano le immagini da un computer portatile. Lo sbarco sulla Luna di due astronauti statunitensi che conficcano sul suolo lunare la bandiera a stelle e strisce. I reporter domandano: avete mai visto queste immagini? Gli indigeni rispondono di no, ma che ne hanno già sentito parlare. Poi vengono invitati a reagire. “Ma perché siete andati lassù? Cosa siete andati a cercare? Qual è l’interesse per gli umani di andare sulla Luna?” chiede uno di loro. Un altro afferma: “Questo ci inquieta, la Luna è stata creata per stare lontana dalla Terra, per non toccarla, esiste per illuminarci la notte. Una volta non c’erano così tante eclissi, l’avete disturbata! Qui abbiamo notato dei cambiamenti: abbiamo sempre più caldo, c’è meno aria fresca di un tempo. Con la vostra tecnologia ucciderete la Luna!”.
L’albero soffre Ecco i tipici giardini alla francese presso Versailles, creati dal celebre paesaggista André Le Nôtre, abbelliti con prospettive e potature circolari. Abituati alla loro foresta selvaggia e difficilmente domabile, un indigeno afferma: “Non è bene quello che fate alle vostre piante! Le fate male, tagliandole così. Per noi le piante hanno uno spirito e non abbiamo il diritto di trattarle in quel modo. Tagliare un albero significa farlo soffrire!”. Un altro commenta: “Quando dobbiamo sradicarle per fare una piantagione di manioca, noi soffriamo!”. Perché uccidere? Scene di guerra, carri armati che sparano, palazzi in fiamme, persone morte riverse per strada. Si spiega loro che, noi bianchi, facciamo così la guerra. Domanda: coi vostri archi e le vostre frecce cosa ne pensate? “Quando noi uccidiamo un animale, non lo facciamo volentieri! Immaginate allora un umano! Perché uccidete? Per mangiare? A meno che non faccia parte dei vostri costumi...” commenta uno. Si replica che anche loro, gli indigeni, facevano la guerra con altre tribù. Uno risponde: “Sì, ma non è la stessa cosa! Voi bianchi fate la guerra per prendere qualcosa su questa Terra, noi no!”. Un terzo commenta: “È vero che i nostri antenati si combattevano, ci rubavano un bambino o una donna e poi noi li attaccavamo con archi e frecce per rubare loro un bambino o una donna, ma senza uccidere tutta la comunità o senza distruggere tutto con le bombe come fate voi! Era una forma di scambio: tu mi rubi, io ti rubo”. Jacko universale Davanti alle immagini del calciatore francese Zinédine Zidane, nessuno di loro reagisce, nessuno lo conosce. Poi ecco il cantante Michael Jackson mentre muove uno dei suoi famosi passi di danza. Domanda: sapete chi è? “Michael Jackson!” risponde sorprendentemente uno dei giovani. Come fa a saperlo? “L’ho visto una volta in TV in città” afferma. Viene chiesto quanti di loro lo conoscono. Eccetto i membri anziani del gruppo, dei quali uno dice
ricordarci di tutto quello che hanno fatto per noi, dalla nascita fino alla vita adulta. Queste immagini mi rendono triste, questo non accadrebbe mai da noi!”.
Un esponente di una tribù dell’Haut Xingu (labasoche.wordpress.com)
“Non ne ho mai sentito parlare!”, la maggior parte alza la mano! Il reporter spiega loro che, di Jacko, si dice che sia stata la prima stella planetaria e che chiunque nel mondo sa chi è. In effetti... Terroristi stregoni Il secondo aereo dirottato colpisce la seconda delle due torri gemelle a New York, si sentono le grida di panico di alcuni cittadini. I volti degli indigeni si fanno scuri, denotano stupore e sconcerto. Gli si spiega cosa è successo quell’11 settembre del 2001 e, mentre una delle due torri crolla su sé stessa, un anziano dice: “Sono come i cattivi stregoni da noi! Queste persone non hanno pietà per nessuno, non hanno cuore, non sanno nemmeno chi uccidono!”. Viene mostrato un ospizio per anziani e spiegato che, molto spesso, nel nostro mondo le persone più anziane vengono lasciate in queste strutture, lontano dalle loro famiglie e dai loro figli. Domanda: che cosa fate voi dei vostri anziani? Uno di loro afferma: “Per noi i nostri vecchi sono sacri, ci occupiamo molto di loro, non li abbandoniamo mai, sono i nostri antenati, li accompagniamo e li curiamo fino alla fine, perché qui non ci sono luoghi per i vecchi, la famiglia pensa a loro fino alla fine!”. Uno dei giovani commenta: “Dobbiamo
Il rapporto con le donne Esplode l’ilarità generale quando appaiono un uomo e una donna che si baciano nel centro di Parigi. È la famosa fotografia “Le Baiser de l’Hôtel de Ville” di Robert Doisneau del 1950. Viene spiegato che, in Francia, quando si vuole dire a una donna che la si ama, la si bacia sulla bocca. Domanda: voi come fate con le donne? “Da noi non ci si bacia mai sulla bocca! Ci parliamo, impariamo a conoscerci e poi si vede se funziona” commenta un anziano. Come fate per far capire a una donna che l’amate? “L’abbracciamo, l’accarezziamo, se si lascia fare va bene, se no ci respinge” dice un altro anziano. Scorrono poi delle immagini di alcune donne che indossano il burqa: si spiega che in alcune parti del mondo si fa così. Ancora una volta scoppiano a ridere e uno di loro dice: “I loro mariti devono essere molto gelosi! Non hanno troppo caldo?”. L’immagine che segue è una donna col niqab. Domanda: dato che le vostre donne vivono nude, come commentate? “Ma come si lavano? Devono restare così anche dentro le loro case? Hanno il diritto di toglierli i vestiti o no?” si domanda uno. “Dopo tutto, è la loro cultura!” commenta un altro (intanto gli altri ridono). La sacralità del canto La famosa soprano Maria Callas sta cantando un’aria dall’opera Norma di Vincenzo Bellini. Gli indigeni guardano e ascoltano in silenzio, c’è meraviglia nei loro volti, finché uno degli adulti commenta: “Abbiamo molto rispetto per i cantanti che, come lei, hanno il coraggio di cantare da soli di fronte agli altri. Quando il pubblico ascolta, sente questa solitudine”. Uno dei giovani dice: “Questa musica non è la nostra cultura, non sappiamo cosa significa, noi possiamo solo guardare e ascoltare, ma ci tocca!”. “Lo trovo sconvolgente, senza capirla, si sente che c’è qualcosa di sacro!” commenta uno degli anziani. Quale futuro? Si commenta quanto loro siano belli coi loro costumi e colori tribali. Viene chiesto se, vedendo le immagini di quel mondo, non temono di venirne ingoiati? “Certo che siamo inquieti! Se vi abbiamo permesso di filmarci, era per mostrare ai bianchi chi siamo” dice un anziano. Uno dei giovani conclude così: “Siamo molto angosciati per il futuro dei nostri bambini. Quale sarà la loro vita? Sentiamo la pressione dell’uomo bianco che sale attorno a noi e alla nostra foresta. Ma che lo vogliate o no, noi resisteremo e ci batteremo affinché non ci rubiate la nostra terra!”.
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Un genio ignorato Una delle figure più tragiche e controverse della Vienna di Freud e Adolf Loos, culla della parte più oscura e tormentata della cultura del novecento, porta il nome di Alexander von Zemlinsky, compositore e direttore d’orchestra di Oreste Bossini
Il von del suo nome non aveva nulla a che vedere con il
Arti 6
sangue blu, dal momento che si trattava di una trovata del padre per nobilitare le origini di una tipica famiglia di origini ebraiche sparpagliata per il grande bacino della Mitteleuropa. Il nonno Anton, convertito al cattolicesimo, era un tipico rappresentante della piccola borghesia ebraica assimilata, che aveva ingrossato la capitale nella seconda metà dell’ottocento, fino a far lievitare la percentuale degli ebrei di Vienna dall’1,3% del 1857 al 10% del 1890. Il figlio Adolf però era ritornato alla religione dei padri per poter sposare una ragazza di Sarajevo, Clara Semo, appartenente alla comunità sefardita. Il piccolo Alexander, primogenito della coppia, viene iscritto alla nascita, nel 1871, nel registro della comunità sefardita di Vienna, con l’aggiunta del pomposo prefisso nobiliare. I suoi talenti musicali sono evidenti ancor prima di entrare in conservatorio, dove a 19 anni vince la medaglia d’oro e uno splendido pianoforte Bösendorf in quanto ritenuto uno tra i migliori diplomati dell’anno. Alexander prosegue gli studi di composizione con un personaggio tipico della Vienna musicale di fine secolo, Johann Nepomuk Fuchs, stimato e apprezzato da Brahms. Grazie ai buoni uffici del maestro, Zemlinsky riesce a entrare in contatto con il vecchio Brahms, che lo prende in simpatia tanto da consigliare al suo editore di pubblicare il Trio in re minore per clarinetto, violoncello e pianoforte op. 3 del giovane collega. Ma l’incontro che segna la vita del musicista avviene tuttavia nel 1894, quando Zemlinsky fonda un’orchestra amatoriale chiamata Polyhymnia. Nella fila dei violoncelli siede un giovanotto di qualche anno più giovane, completamente dedito alla musica, ma costretto a lavorare come impiegato di banca per vivere, Arnold Schönberg. I due formano ben presto una coppia inseparabile, legati dalla comune e divorante passione per la musica e più in generale da un reciproco riconoscersi nelle medesime radici culturali di un ceto intellettuale ebraico che sentiva già sul collo l’alito fetido del razzismo viennese. Schönberg aveva cominciato a comporre dei piccoli pezzi fin da adolescente, ma senza alcuna base tecnica. Zemlinsky accetta di dare all’amico delle lezioni di contrappunto, che rimarranno l’unica forma di insegnamento ricevuta dal più sbalorditivo autodidatta della storia della musica. In cambio Schönberg, dopo un anno di studio del linguaggio polifonico, scrive nel 1897 il suo primo quartetto per archi, che reca una dedica proprio a Zemlinsky.
Un colpo mortale Intanto la marea antisemita sale rapidamente a Vienna. Sia Zemlinsky che Schönberg decidono di cancellarsi dal registro della comunità ebraica e di convertirsi al cristianesimo, entrando nella chiesa protestante il primo e in quella cattolica il secondo. L’aveva fatto per motivi analoghi anche Gustav Mahler, un imprevisto nume che stava per piombare all’improvviso sulla vita dei due giovani musicisti. Da ebreo, infatti, Mahler non avrebbe mai potuto diventare sovrintendente dell’Opera di corte a Vienna e di conseguenza non sarebbe mai avvenuta quella incredibile e radicale rivoluzione artistica che avrebbe trasformato, nei pochi anni del suo mandato, non solo il teatro, ma anche l’intera cultura musicale del vecchio mondo. Mahler in verità, e qui si apre la prima insanabile ferita nell’animo di Zemlinsky, ha rappresentato da una parte l’eroe artistico del giovane musicista, ma dall’altra, allo stesso tempo, la causa della sua più cocente delusione amorosa. Giusto all’inizio del nuovo secolo, la figlia del famoso pittore viennese Emil Schindler, Alma, aveva cominciato a prendere lezioni di pianoforte e di composizione da Zemlinsky. Alma, donna terribilmente seduttiva, era attratta in maniera quasi morbosa dalle persone di talento. Tra il maestro e l’allieva scoppiò ben presto una passione incontenibile, almeno per Zemlinsky. Alma nutriva invece sentimenti contrastanti, perché la sincera ammirazione per la personalità artistica di Zemlinsky era in qualche modo soffocata da una sorta di repulsione per il suo aspetto fisico non particolarmente attraente. Il loro rapporto sarebbe forse sfociato anche in un fidanzamento ufficiale, se la famiglia di Alma, e in particolare il patrigno Carl Moll, antisemita convinto, non si fosse opposta in maniera decisa all’unione. Ma più che l’ostilità familiare, a spezzare l’idillio di Zemlinsky fu in realtà l’arrivo di Mahler nella cerchia di affetti di Alma, che si sentì subito soggiogata dal carisma del famoso direttore d’orchestra. Zemlinsky si sentì ferito in maniera profonda dal voltafaccia di Alma, che gli espresse tutte le ragioni del suo allontanamento con una sincerità schietta fino alla crudeltà. Il colpo inferto all’autostima di Zemlinsky fu mortale. Il musicista usciva sconfitto dal confronto artistico con il potente rivale, e in più profondamente umiliato dal rifiuto sessuale di Alma. Un riflesso di questa dolorosa esperienza si può ancora cogliere nell’opera Der Zwerg, “Il nano”, scritta a distanza di vent’anni, nel 1922.
Alexander von Zemlinsky a circa vent’anni (erichkorngold.blogspot.com)
La morte in esilio Nel frattempo diventava sempre più stretto il legame con Schönberg, che nel 1901 aveva sposato la sorella di Zemlinsky, Mathilde. Anche la loro relazione fu travagliata, specie quando Mathilde lasciò per qualche mese Schönberg e il figlio Georg, nell’estate del 1908, per seguire a Vienna il pittore Richard Gerstl. Il tragico epilogo della vicenda, con il ritorno a casa di Mathilde e il suicidio di Gerstl, lasciò un segno profondo su tutta la cerchia degli artisti moderni, che dopo la cacciata di Mahler dall’Opera di Vienna si sentivano isolati e senza una sponda nelle istituzioni. Zemlinsky non aveva la forza di volontà e la determinazione di Schönberg, per resistere al disprezzo della maggioranza conservatrice e all’emarginazione artistica. Nel 1907 sposa Ida Guttmann e accetta il posto di Kapellmeister alla Volksoper, il teatro dell’operetta e del repertorio più popolare. Questa sorta di resa sul piano umano e artistico lascerà in lui una profonda amarezza, che avvelenerà tanto il matrimonio quanto la vita professionale. Zemlinsky farà sempre ben poco per promuovere la sua musica, che malgrado le contrarietà della vita rimane in ogni fase una produzione di altissima qualità e di eccezionale forza espressiva. Molto di più farà invece per sostenere quella di suo cognato, specie dopo essersi trasferito a Praga per dirigere il Nuovo Teatro tedesco, dove rimane dal 1911 al 1927. Zemlinsky porta in breve tempo l’istituzione a un livello artistico di prim’ordine e conferisce al teatro di lingua tedesca un respiro culturale internazionale, aprendo le porte alla collaborazione con artisti di ogni provenienza e svecchiando in maniera radicale il repertorio.
Quando nel 1921 la rivista praghese Der Auftakt dedica un fascicolo monografico a Zemlinsky per festeggiare i suoi 50 anni, Schönberg scrive un articolo sul vecchio compagno di strada: “I sapientoni, se vogliono capire davvero quale valore possa avere per la loro comunità, devono fare la seguente tara al mio giudizio su Zemlinsky: egli è stato il mio maestro, sono diventato suo amico, più tardi suo cognato, e in tanti anni che sono trascorsi egli è rimasto colui del quale cerco d’immaginare il comportamento, nel caso abbia bisogno di un consiglio. Il mio giudizio dunque è condizionato (da un positivo e duraturo concetto) e io sono parziale al massimo grado (a causa di una predilezione per i suoi pregi, che sono cresciuti da quando ho imparato ad apprezzarli)”. In privato però i loro rapporti stavano diventando sempre più tesi, uno squilibrio che si accentuò sempre di più, specie quando i due vecchi amici si ritrovarono negli Stati Uniti, in fuga dall’Europa nazista. A Los Angeles, Schönberg infatti era diventato un venerato maestro, onorato di incarichi prestigiosi e ritenuto il custode della grande arte tedesca della composizione. Zemlinsky invece, incapace d’imparare l’inglese e di guadagnarsi da vivere, vegetava ignorato dagli impresari e dal mondo musicale. Gli ultimi anni americani furono scaldati soltanto dall’amore e dalla devozione della giovane moglie Louise, sposata nel 1930 dopo la morte di Ida. Malato di cuore da tempo, Zemlinsky morì per una polmonite il 15 marzo del 1942, nella villetta di Larchmont, un sobborgo a nord di New York. Ma non era la sua terra, e nel 1985 Louise portò le sue ceneri a Vienna, dove i resti di Zemlinsky riposano nel cimitero centrale sotto una moderna scultura di stampo futurista a forma di “Z”.
Arti 7
William Stoner
A volte gli eroi sono personaggi tanto particolari, coraggiosi e retti da poter appartenere al mondo della fantasia piuttosto che a quello terreno. William è uno di questi ultimi di Francesca Rigotti
William Stoner, l’eroe normale di questo numero, è il protagonista di un romanzo americano del 1965, Stoner (Fazi, 2012). L’autore è un professore di letteratura inglese dell’università di Denver, Colorado, John Williams (1922–1994). Stoner è un romanzo di vita universitaria (visto dalla parte dei docenti), quale fu la vita del suo autore e quale è la vita di molti di noi che scrivono libri, prevalentemente di saggistica, talvolta di letteratura, talaltra dell’uno e l’altro genere.
Eroi 8
na, sicuramente migliore di quella di molti. Ha fatto quel che desiderava fare, ha apprezzato il senso del lavoro che svolgeva, è stato testimone di valori importanti... Ma la cosa più importante del romanzo è che Stoner ha il senso del lavoro: insegnare è per lui un lavoro nel senso più nobile e onorevole della parola” (Stoner, pagg. X-XI).
Ostinata pacatezza È stato un testimone di valori importanti, dice di Stoner il suo creatore letterario: il professore Un eroe normale era un uomo onesto, un uomo proStoner è un uomo di umili origini, bo (le parole di De Andrè ci girano umili come la terra che i suoi genitosempre per la testa). Era un uomo ri, poverissimi contadini, lavoravadevoto al suo lavoro, la ricerca e l’inno, e che anche Stoner lavorò prima segnamento, soprattutto per quello di andare al college. Era destinato a che è e dovrebbe essere, puro stustudiare agricoltura ma si innamorò dio, in sé, puro studio onesto, non della letteratura inglese. apprendimento utilitaristicamente La sua vita cambia dopo l’incontro finalizzato a risolvere problemi per con un lettore del dipartimento rendere le cose più efficienti e i di inglese, Archer Sloane, così che guadagni più alti. Stoner abbandona la scienza per Tra l’utile e l’onesto William Stoner Lo scrittore John Williams (npr.org) studiare letteratura fino a ottenere il aveva scelto l’onesto, anche nel suo Master of Arts e poi il dottorato. comportamento con alcuni studenti Il romanzo continua tracciando i particolari della vita e opportunisti e con certi colleghi corrotti o amanti del quiedella carriera universitaria di un professore di inglese dentro to vivere, e lo perseguiva in maniera coscienziosa, anche le mura dell’università: l’insegnamento, le letture altrui quando avrebbe potuto lasciar correre; con ostinazione e e la propria scrittura, le amicizie, l’innamoramento con pacatezza, senza mostrarsi quale inflessibile fustigatore di una donna idealizzata, le nozze con lei e poi la scoperta costumi. del carattere instabile, privo di tatto come di rimorsi, della Non era certo uno che parlava di virtù per coprire le promoglie, e del suo fare della loro unica e docile figlia, Grace, prie mancanze, quanto un onesto professore di letteratura l’arena di lotta del loro matrimonio. dell’università del Missouri che eseguiva il suo compito con Fuori da questo Stoner ha, con una giovane studiosa, una entusiasmo, impegno e passione anche se si trattava semgratificante storia d’amore che si intreccia con le velenose plicemente di insegnare i fondamenti della grammatica a invidie e vendette dei colleghi. Ma Stoner è comunque e un gruppetto di matricole (Stoner, pag. 27). Non era un Don soprattutto un romanzo sul lavoro: sul duro e spietato Chisciotte del campus, solo un onesto docente interessato lavoro nei campi e sul lavoro di insegnare letteratura a all’influenza classica e latinomedievale sulla letteratura del studenti per lo più disinteressati. Rinascimento inglese; che non si faceva però incantare dallo studente brillante e protetto dal potente professore “Penso che Stoner sia un vero eroe” ma carente nella preparazione, nemmeno quando l’amico Soprattutto, come disse l’autore del romanzo, John Wil- decano cerca di convincerlo che il promuoverlo avrebbe liams, in una delle interviste concesse in vita e riportata dal avuto positivi risvolti pratici e avrebbe evitato vendette e curatore dell’edizione inglese del 2003, John McGahern, attriti in facoltà. a proposito del protagonista del suo romanzo, William Insomma Stoner “non aveva talento per la dissimulazione” Stoner: “Penso che sia un vero eroe. Un sacco di gente che ha (Stoner, pag. 200) non cerca protezioni e appoggi per avanletto il romanzo pensa che Stoner abbia avuto una vita brutta zamenti di carriera se deve per questo passar sopra quei e triste. Io penso invece che abbia avuto una vita davvero buo- valori che sono importanti, primo dei quali l’onestà…
Letture Delizie cantonali di Eugenio Klueser
Oggi cucinare è una moda, uno show per chef o aspiranti tali, mentre poi nella quotidianità al momento di metter le gambe sotto il tavolo ci si accontenta magari di un piatto pronto o surgelato. Franca Canevascini (conosciuta come “Rose”) e Davide Comoli nel loro Cibo e vino connubio divino si discostano dalle mode; ci raccontano di una via diversa, più tradizionale e a misura d’uomo, di intendere il rapporto con i cibi, la loro preparazione e il loro accostamento con il vino più adatto. Una visione che per Franca – una vita ai fornelli a preparare leccornie – inizia dalla scelta delle materie prime più adatte, preferibilmente provenienti dal territorio, e dal loro utilizzo in preparazioni semplici, pensate per stuzzicare il palato, ma anche per essere alla portata di chi cucina nella quotidianità, tra impegni di famiglia, figli e lavoro. Ricette sensate quelle della “Rose”, di buon senso, diremmo, e del tutto prive della leziosità velleitaria che caratterizza tanto gastronomiashow a cui sin troppo spesso assistiamo. Ai
piatti di Franca, Davide Comoli, sommelier professionista e fra i maggiori esperti di vini del cantone, affianca “il bacco” più appropriato e fin qui, si dirà, nulla di nuovo. Comoli, però, grazie alla sua conoscenza approfondita della realtà vinicola ticinese, riesce a proporre unicamente vini del territorio: una vera scoperta apprezzare, pagina dopo pagina, quanta ricchezza enologica e varietà di offerta ci sia in Ticino. Ricchezza e varietà – vuoi anche per i prezzi – ancora poco apprezzate fino in fondo, anche dal consumatore nostrano. Insomma, quello di “Rose” e Davide non è il solito ricettario con vini al seguito. È piuttosto un invito a scoprire o riscoprire il piacere di preparare il cibo con le proprie mani, annusando gli odori, ascoltando il rumore dello sfrigolio dei grassi nella padella oppure pregustando il profumo di una bottiglia che decanta prima di essere condivisa. Il loro è un invito a sostare perché cibo e vino sono sempre buoni compagni per chi li sa apprezzare.
Cibo e vino connubio divino di Franca Canevascini e Davide Comoli Tipografia Cavalli, 2013
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agio, non mago, mai fatti sortilegi io. Nella mia terra, la Persia, noi magi eravamo dei saggi, molto considerati e rispettati. Studiavamo la volta celeste, interpretavamo il movimento degli astri e approfondivamo i testi sacri della nostra terra. Insomma, io ero un astronomo-astrologo-sacerdote. Altra cosa: mi chiamano re magio, ma io di reale non ho nulla. Anzi, dopo aver conosciuto quella canaglia di Erode, le teste coronate mi stanno pure indigeste. Invece, e pochi se lo ricordano, sono un santo in piena regola e la mia festa si celebra il 24 luglio anche se io preferisco, chiaramente, essere ricordato il 6 gennaio. Bene, ora che ho messo qualche puntino sulle “i”, ripartiamo dall’inizio. Sono nato poco più di due millenni fa a Susa, una della più importanti città persiane all’epoca. Era uno dei luoghi dove passavano le carovane dei mercanti che facevano spola tra oriente e occidente e forse per questo il mio sogno, fin da piccolo, è stato quello di viaggiare. Fare il magio non ce l’avevo neanche per la testa, ma all’epoca erano i padri a decidere e il mio voleva un figlio con una posizione. Per questo mi ha mandato alla scuola del tempio a imparare l’arte. Anni duri, per me, perché più che studiare avevo la testa fra le nuvole, come diceva sempre il magio-maestro, ma piano piano mi sono appassionato ai miei compiti e ho messo da parte i miei propositi viandanti. Quando potevo, però, correvo sulla piazza del mercato ad ascoltare i racconti dei viaggiatori. Da alcuni di loro, provenienti da occidente, sentii parlare per la prima volta di un Messia, la cui venuta sarebbe stata annunciata da eventi straordinari. Di leggende come quella se ne sentivano tante, e poi, col passare degli anni, ero diventato meno sognatore. Ma una notte scorsi nel cielo una luce fuori dal comune, che si muoveva verso occidente. Non so perché, ma mi sembrò che quella luce mi indicasse qualcosa. Mi misi in marcia, allora, unendomi alla prima carovana in partenza. Di giorno avanzavamo tra altopiani e deserti, di notte attorno al fuoco ascoltavo storie magnifiche. In una di queste soste scoprii che non ero il solo magio a seguire la stella e conobbi Melchiorre e Baldassarre. Decidemmo di proseguire assieme e, da soli, in pochi giorni
giungemmo a Gerusalemme. Qui la stella sparì dalla vista e per la prima volta mi sentii perduto. Io e i miei compagni non sapevamo cosa fare e decidemmo di recarci a corte. Re Erode era uno di quelli che non ti guardava mai negli occhi, ma era incuriosito dal nostro racconto e ancora di più dalla storia del Messia. I suoi sommi sacerdoti ci interrogarono e poi, citando antiche profezie, ci consigliarono di andare a Betlemme. Erode ci riempì di cortesie e ci invitò a tornare da lui se avessimo trovato quello che cercavamo. A me quell’uomo non piaceva, ma era il re e gli dicemmo di sì. Appena lasciata Gerusalemme, la luce tornò a mostrarsi e in poco tempo vedemmo la nostra “guida” fermarsi su una misera stalla, poco più di una grotta, in quel di Betlemme. Entrai per primo e all’interno vidi il bambino. Trovai in quel luogo pace e amore. Mi avvicinai e lasciai vicino alla culla improvvisata l’oro che avevo con me. Rimasi col bambino pochi giorni, decidendo con i miei compagni che non saremmo tornati ai nostri antichi incarichi. Sentivamo che il nostro compito era errare e raccontare quello che avevamo vissuto. L’ultima notte a Betlemme una luce fortissima mi apparve in sogno e mi disse di non tornare da Erode, ma puntare direttamente a oriente. Così facemmo, e per lunghi anni viaggiammo di città in città, di villaggio in villaggio, raccontando della luce che avevamo seguito e poi incontrato. Non ci siamo mai fermati, tanto che anche le nostre ossa hanno attraversato il mondo e ora riposano in parte nel duomo di Colonia, in parte nella chiesa di Sant’Eustorgio a Milano. Insomma, volevo viaggiare e ho realizzato il mio sogno, anzi lo continuo a realizzare, in un certo senso, dato che io e i miei due compagni ogni anno ripartiamo e ci ritroviamo tutti agghindati in pompa magna nei presepi. Però la cosa che forse mi fa più piacere è vedere che grazie a noi magi è nata l’usanza di fare dei doni ai bambini anche il 6 gennaio. Peccato, però, che il merito se lo prenda tutto la Befana…
MAGIo GASPARE
Vitae 10
Una vita destinata a osservare la volta celeste. Dentro il cuore, però, il sogno di conoscere luoghi e genti lontane. Poi la decisione di partire seguendo una luce nel cielo, che muoveva verso occidente…
testimonianza elaborata da Roberto Roveda fotografia di Magio Gaspare, da un mosaico della basilica di S. Apollinare Nuovo, Ravenna (ca. 600)
Biasca - santi Pietro e Paolo
la fortezza del signore di Giancarlo Fornasier; fotografie ŠPeter Keller
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ome già scritto a proposito della chiesa dedicata a San Carlo/Sant’Ambrogio a Negrentino (Ticinosette n. 22/2013), anche questo importante edificio religioso di Biasca necessiterebbe di un’attenta visita per poterne apprezzare sia la particolare posizione e orientamento sia la forte carica spirituale che lo contraddistingue. Non da ultimo, la storia millenaria che il manufatto racchiude in sé. “L’antica plebana delle valli dell’alto Ticino dedicata ai santi Pietro e Paolo, rappresenta un complesso nodo di problemi storico-archeologici”, dove “elementi arcaici si mescolano con elementi che sembrano assai più recenti, suggerendo la lettura di epoche costrut-
tive diverse” rilevava lo storico dell’arte Virgilio Gilardoni1. E certo di elementi curiosi questa chiesa – costruita forse sulla pianta di un precedente edificio antecedente il X secolo – ne conserva parecchi. A cominciare dal pavimento in lastre di granito dell’aula maggiore leggermente in salita e con tanto di gradini. Dall’entrata, l’altare e la Majestas Domini (Maestà del Signore) con i quattro Evangelisti dipinti nel catino absidale sembrano ancora più inarrivabili. Come in molte chiese di questo periodo, anche a Biasca Gesù è inserito nella classica “mandorla”, un elemento decorativo/ simbolico irrinunciabile, tipico dell’arte gotica ma diffuso già in epoca paleocristiana (III–VI secolo).
in queste pagine Una suggestiva visione dell’interno della chiesa dedicata ai santi Pietro e Paolo di Biasca. I numerosi dipinti murali sono di periodi diversi (secoli XIII–XVII); quelli presenti nella regione del presbiterio e sulle pareti dell’abside sono opera di Antonio da Tradate (1500 circa). Si notino i gradini interni, caratteristici di questo particolare e importante luogo di culto pagina di apertura La facciata della chiesa. È uno dei monumenti romanici più significativi e importanti della Svizzera, risale al tardo XI secolo o agli inizi del XII secolo, ma testimonianze della presenza di un edificio di culto risalirebbero al IX secolo. L’edifico, l’entrata rivolta verso nord-ovest, sorge su un dosso e per accedervi è necessario affrontare alcune rampe di scale
Peter Keller Classe 1950, ha dapprima seguito una formazione nell’ambito della tipografia e della fotografia, in seguito si è diplomato in Ingegneria della stampa e dei media presso l’Università di Stoccarda. Dopo una carriera dirigenziale per diversi quotidiani, da luglio 2012 lavora come fotografo e autore indipendente. Ha collaborato con i fotografi Adriano Heitmann e Reza Khatir. Nel 2010 è stato pubblicato il volume fotografico Barocco (Casagrande).
Il Romanico ritrovato La chiesa si trova su un dosso, accanto alla salita che conduce all’oratorio di Santa Petronilla, e appena sopra la chiesa dedicata a San Carlo Borromeo, un edificio di inizio novecento dalla grande cupola. La facciata è rivolta a nordovest, un perfetto punto di osservazione della biforcazione che introduce alle valli Leventina e Blenio, quest’ultima fondamentale passaggio verso il Nord prima che le gole della Biaschina e del Piottino venissero “domate”. L’edificio che ammiriamo oggi è il frutto dei restauri avvenuti a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, coordinati dall’architetto Alberto Camenzind.
La “ricerca del Romanico”, che aveva contagiato la Svizzera sin dalla seconda metà dell’ottocento, ha portato anche a Biasca alla liberazione della chiesa dai decori, dalle aggiunte e dalle modifiche che nei secoli erano intervenuti2, quelli barocchi in primis. Dal punto di vista architettonico, ciò che rimane di quel periodo è una cappella laterale (parete rivolta a sud), nella quale anche le aperture sono rimaneggiamenti per forma e stile, conseguenti all’eliminazione degli apparati decorativi del XVII secolo. Tutte le pareti esterne sono in pietra a vista – fanno eccezione alcune porzioni dipinte della facciata in cui si riconosce anche un San Cristoforo –, al contrario di quelle interne che alternano dipinti murali
a sinistra Scultura erratica raffigurante probabilmente un Apostolo che regge un libro aperto; è presente anche una scritta che non è ancora stata completamente interpretata a destra Sopra: dipinto murale su una delle colonne della navata centrale raffigurante san Maurizio (o san Vittore Mauro). Sullo sfondo si intravvede un grande dipinto raffigurante le scene della Vita di san Carlo Borromeo, (eseguite attorno al 1620 dalla bottega del bellinzonese Alessandro Gorla); in alto a sinistra la scena della Chiusura del Concilio di Trento Sotto: pianta della chiesa dei santi Pietro e Paolo, un edificio che lo storico Virgilio Gilardoni definiva “sghemba in ogni angolo” (rilievo tratto da Il Romanico, op. cit., pagg. 210–211)
ad ampie zone oggi prive di decorazioni o in pietra nuda (come buona parte dei pilastri). La disomogeneità interna è un chiaro segno di periodi costruttivi diversi, di aggiornamenti successivi e dei restauri sopraggiunti. In verità, anche le pareti esterne mostrano soluzioni decorative diverse ai quattro lati (arcate cieche, arcatelle e lesene ecc.). Per trovare una struttura muraria interamente originale è necessario guardare alla parete laterale nord, costruita con conci lapidei irregolari per forma e colore; le piccole monofore presenti accentuano l’aspetto crudo tipico delle costruzioni dei secoli X–XII, manufatti a volte più simili a fortezze che a luoghi di preghiera. D’altro canto, l’aspetto “arcaico” è uno degli elementi che sempre Gilardoni – il quale rimanda anche alle note dello storico zurighese Johann Rudolf Rahn3 – più volte osserva, soprattutto in riferimento alla pianta curiosamente “irregolare” (e poco compresa) dell’edificio.
La bellezza dell’imperfezione La chiesa dei santi Pietro e Paolo è una costruzione a tre navate sostenute da pilastri, cinque per parte a formare sei campate, volgarmente sei “archi”. Al termine della navata principale – più alta delle laterali ma, aspetto insolito, senza alcuna finestra – vi è il coro/zona absidale a forma semicircolare, rivolto a sud-est; costruito direttamente sulla roccia è (come già detto) molto rialzato rispetto al resto della chiesa. A destra si eleva il campanile. Smantellati quelli seicenteschi, i soffitti oggi sono in prevalenza lignei (come dovevano essere in origine), aspetto che conferma la struttura “primitiva” dell’edificio religioso. Anche la pianta e l’elevazione sono di principio piuttosto classiche e pensate sul modello delle antiche basiliche cristiane4: una tipologia presente, per esempio, sia a Muralto (San Vittore) sia a Bellinzona-Ravecchia (San Biagio).
Nel caso di Biasca, però, la pianta “è sghemba in ogni angolo del quadrilatero” (Gilardoni, pag. 212), una distorsione tanto evidente da sembrare forse voluta (e obbligata) sin dalla prima edificazione e dai successivi ampliamenti. Certo, la posizione e l’orientamento rispetto al pendio sul quale sorge la chiesa non devono essere stati di grande aiuto alle maestranze della fabbrica; in più l’evidente irregolarità della pianta cozza in qualche modo contro la sorprendente cura con la quale, invece, sono stati posati i conci di pietra che disegnano le pareti; soprattutto quelli dell’abside che si contraddistinguono per il loro taglio preciso. Come per la ben nota chiesa di San Nicolao a Giornico5, le sole pareti esterne meritano un’attenta osservazione6 e alcune riflessioni sulle capacità tecnico-costruttive necessarie all’elevazione di tessiture murarie che non stancano di stupire. Sempre Gilardoni nel suo testo – non recentissimo ma ancora fondamentale e ricco di acute osservazioni – si sofferma giustamente sui letti di malta che legano i singoli conci e sul notevole spessore delle pareti, che giungono localmente a misurare un metro e 20 centimetri: “(...) i muri dovrebbero essere, come a Giornico, di paramenti esterni riempiti di pietrame gettato a sacco, affogato nella malta” (pag. 214), una metodologia costruttiva risalente almeno all’epoca romana (Adam, pag. 137 e seg.).
Internamente, la ricchezza e la qualità dei dipinti murali (ad affresco e a tecniche miste), la stratificazione delle rappresentazioni, oltre che la presenza di arcaiche sculture in pietra necessiterebbero di un approfondimento a sé. Rimandiamo per questo ai testi già segnalati nelle note, ricordando qui solamente i dipinti murali più antichi posti nelle vele delle volte a crociera che sovrastano il transetto (decorazioni geometriche bianche con figure zoomorfe; XIII secolo) e un importante ciclo di dipinti dedicati alla Vita di san Carlo Borromeo, opera della bottega di Alessandro Gorla (1620). note 1 Arte e monumenti della Lombardia prealpina. Il Romanico, collana a cura di V. Gilardoni, La Viscontea/Casagrande, 1967, pag. 209. 2 Bernhard Anderes, Guida d’arte della Svizzera italiana, SSAS/ Nuova Edizioni Trelingue, 1998 e agg., pag. 39; e AA .VV, Guida d’arte della Svizzera italiana, Casagrande, 2007. 3 J.R. Rahn (1841–1912), “padre” della storia dell’arte in Svizzera. 4 Jean-Pierre Adam, L’arte di costruire presso i romani. Materiali e tecniche, Longanesi, 1988. 5 Si veda anche Ticinosette n. 50/2009. 6 Segnaliamo le interessanti ricerche di Francesca Selcioni, Gli animali della casa di Dio: guida al bestiario delle chiese romaniche ticinesi (Dadò, 2002) e Le pietre raccontano: le rivelazioni della Casa di Dio. Guida alla simbologia delle chiese di San Vittore di Muralto e San Nicolao di Giornico (Dadò, 2009).
Nomadismo
librario
Ogni libro è un incontro. A distanza di anni dalla prima lettura, mi ritrovo inaspettatamente faccia a faccia con “Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald. L’occasione giunge dalla spartana biblioteca per viaggiatori di un ostello nel sud della Bolivia Tendenze p. 40 – 41 | di Keri Gonzato
È
una vecchia edizione tascabile risalente al 1965. Girando la copertina scopro che non è un volumetto qualunque, infatti appartiene alla categoria dei “libri liberi”. Sono quei libri che non si fermano nelle mani del primo lettore, ma preferiscono spostarsi, di mano in mano, per raccontare la propria storia a una catena di persone. Seguendo un tragitto sconosciuto questo classico della letteratura americana è giunto fino a me… Temporaneamente mio, è pronto a regalarmi una somma di emozioni. Il fattore mistero, scaturito dalla storia di Gatsby ambientata nei favolosi anni venti che preludono alla grande crisi, si intensifica mentre tento di immaginare come un libro edito in Italia nel ’65 possa essere giunto nella cittadella boliviana di Tupiza. Ma torniamo innanzitutto a quel retro copertina, attraverso cui il romanzo svela la sua natura libera. Su quella prima pagina vergine, un ignoto decise il destino del tascabile marchiandolo con stampino e inchiostro verde: “Questo libro non è stato smarrito! È semplicemente libero. Puoi tenerlo e liberarlo nuovamente riportandolo in un punto di raccolta che espone il logo Librovagabondo (l’elenco completo è reperibile sul sito internet robdamat.com) o lasciarlo in un luogo pubblico (un bar, una fermata d’autobus, una stazione,…). Non imprigionarlo nuovamente in uno scaffale, cantina, soffitta ecc… Questa iniziativa s’ispira alla filosofia del bookcrossing. I lettori di questo libro possono scrivere sullo stesso (a bordo pagina o negli spazi vuoti) la data e il luogo del ritrovamento, nonché un breve messaggio ai futuri lettori, creando così il suo diario di viaggio, un vero libro nel libro. Questo libro ha iniziato il suo viaggio il… Dal punto gestito da…” Il fascino misterioso è acuito dal fatto che le due ultime righe sono state lasciate vuote dal primo lettore: la mia fantasia galoppa a briglia sciolta... Per una libera cultura Rifletto sulla natura dei libri selvaggi e realizzo
che si tratta di una solida e valida alternativa all’orda digitalizzante e digitalizzata dei vari supporti, come Kindle e iPad, che vorrebbero sostituire la letteratura cartacea. Grazie a questi antichi portatori di storie senza padrone, abbiamo la possibilità di viaggiare leggero, tenendo con noi solo un volume per volta. All’aspetto senza dubbio romantico di questa filosofia stravagante si aggiunge quindi un lato pratico e, oltretutto, ecosostenibile. La mia curiosità ormai è in volo, digitando il sito internet robdamat.com trovo però solo un’enigmatica pagina in giapponese. Seguendo il termine bookcrossing scopro poi che questa pratica rivoluzionaria nasce in Inghilterra con il nobile scopo di connettere le persone tramite la passione per la lettura. Siccome con la tecnologia tutto cambia, anche questa pratica oggi ha le sue novità. Nel 2001, infatti, è nato bookcrossing. com, un sistema che permette di seguire il percorso geografico tracciato dai libri, grazie a un’identità che viene attribuita registrandoli gratuitamente online. “Un messaggio nella bottiglia dei nostri tempi”, questo è lo slogan scelto dal network. Un motto che ammicca agli albori del bookcrossing, quando il filosofo greco Teofrasto decise di divulgare alcuni testi imbottigliandoli e gettandoli in mare. I 9.655.912 libri attualmente marcati con l’ID di bookcrossing, circolanti in 132 paesi, passando di lettore in lettore, continuano a raccontare una storia parallela a quella stampata sulla carta. Una volta terminata la lettura, non senza una punta di malinconia, anch’io regalo il libro al prossimo sconosciuto lasciandolo su una panchina peruviana. Mi congedo dai misteri di Gatsby, ormai svelati, ringrazio F.S. Fitzgerald per la prosa raffinata e riparto, pronta a incontrare il prossimo romanzo. E così anche i libri, pagando il biglietto con la propria storia, viaggiano con noi percorrendo il mondo, valicando confini a bordo di bus, aerei, navi e biciclette. Il messaggio nella bottiglia che ogni volume porta con sé è quello di una cultura libera, capace di far vibrare la vita degli uomini con il mistero e la poesia.
La domanda della settimana
Nell’era di internet e del digitale, ritenete che il giornale in formato cartaceo rappresenti sempre un essenziale strumento di informazione?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 9 gennaio. I risultati appariranno sul numero 3 di Ticinosette.
Al quesito “Vista la recente scelta del parlamento uruguaiano, sareste favorevoli alla legalizzazione della marijuana nella Confederazione?” avete risposto:
SI
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NO
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Astri ariete Momento favorevole sotto il profilo della comunicazione sia a livello personale (amici e relazioni) sia sul lavoro. Approfittatene. Siate voi stessi.
toro I transiti continuano a complicare la vostra vita sentimentale. Piacevoli intimità e riscoperta di sé. Qualche problema con i figli adolescenti.
gemelli Godetevi la compagnia dei vostri cari durante le feste. Siate più flessibili, e abbandonate per un po’ il vostro proverbiale rigore. Disturbi stagionali.
cancro Possibilità e opportunità sia a livello familiare sia professionale. L’importante è saper cogliere il momento: l’attimo, come ben si sa, è fuggente.
leone Evitate di farvi “grandi” con atteggiamenti roboanti. A volte una manifestazione di affetto può offrire molto di più. Riconciliazione in famiglia.
vergine Cercate di imporvi un maggiore autocontrollo. Possibile avvio di situazioni sentimentali con persone a cui non avevate pensato. Prudenza.
bilancia Nuovi progetti e idee fino a questo momento rimasti nel cassetto. Non abusate di internet e delle relazioni che si possono intessere in chat.
scorpione Grandi cambiamenti in corso. Non spaventatevi, avete tutte le risorse per riuscire a tenere sotto controllo anche le situazioni difficili.
sagittario Una persona di cui vi fidavate sembra riservarvi sentimenti di rancore. Cercate di appianare e sforzatevi di aprirvi maggiormente al dialogo.
capricorno L’invidia non è un bel sentimento e la circospezione che ne deriva vi isola oltre a limitare i rapporti con gli altri. Siate meno gelosi.
acquario Godetevi qualche giorno di vacanza insieme al partner o ai vostri più cari amici, ne avete bisogno. Maggiore attenzione al cibo e all’abuso di alcol.
pesci Momenti piacevoli in famiglia vi consentiranno di lasciare da parte le preoccupazioni e gli impegni lavorativi. Non abusate con il cibo e l’alcol.
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Orizzontali 1. Un negozio di cibarie • 10. Il lago di Ginevra • 11. Ritrovo pubblico • 12. Preposizione semplice • 13. Marcia, andata a male • 15. Sono dieci in un chilo • 17. Libretto per appunti • 18. Le ninfe delle sorgenti • 20. Parco senza confini • 21. Una sigla del biologo • 22. Monti siciliani • 23. Lo è il limone • 25. Nuvola • 27. Società Anonima • 28. Cuor di tapino • 29. È fatta a pioli • 30. Natale a Losanna • 32. Un cetaceo • 33. Non la mangia il vegetariano • 34. Dispari in frati • 35. Dorati • 36. Francia e Italia • 37. Fastidiosa, sgradevole • 39. Pari in pianto • 41. Consonanti in reale • 42. Un graduato (abbr.) • 43. Rapata • 45. Rientro in centro • 46. Copricapo papale • 48. I limiti dello zotico • 49. È fine in alta montagna • 50. Mangiare… a Zurigo. Verticali 1. Noto film di fantascienza del 2009 di John Schultz • 2. Lo è la lumaca • 3. Nel centro di Lima • 4. Il nome della Melato • 5. Fu regina di Spagna • 6. Coccolano i nipotini • 7. Risiedere, dimorare • 8. Un verbo di Figaro • 9. Prende rabbia facilmente • 14. I confini di Comano • 16. Un ricciolo civettuolo • 19. Consegnar • 22. Divulgare • 24. Uruguay e Svezia • 26. Abita a Kiev • 28. Espiazioni • 31. Il nome di un Lionello • 33. Ninnare • 35. Grossa arteria • 38. Il nome di Cechov • 40. Mesciono vino • 44. Cortile agreste • 47. Associazione Sportiva.
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 3
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 9 gennaio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 7 gennaio a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Soluzioni n. 51 La soluzione del Concorso apparso il 20 dicembre è: CAPORALE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata:
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Adriana Gasparini via Primore 11a 6616 Losone Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
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