Ticino7

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№ 3 del 17 gennaio 2014 · con Teleradio dal 19 al 25 gen.

nodo dI SCAMBIo

Pensare globalmente ma agire localmente. È la “glocalizzazione”, la formula vincente per regioni periferiche come il Ticino

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# sentitodinotte

Credo sia una storia vera: racconti sentitingiro di Olmo Cerri e Micha Dalcol

È che se pensi che michael jackson è nato un anno prima di mia mamma tutto si relativizza, no?

secondo me almeno quattro. erano i giorni degli esami al liceo.

anche i punk o gli skater se ci pensi sono roba degli anni ‘70.

mia mamma per michael jackson ha un vero e proprio odio. penso che rappresenti tutto quello che non vuole che io diventi.

strano neh, tutti si ricordano cosa facevano l’11 settembre e nessuno si ricorda cosa faceva quando è morto michael jackson.

e da quant’è che è morto? uno o due anni?

secondo me non è così strano. io mi ricordo comunque.

che dovrebbe essere una passione dei miei genitori invece ancora oggi sembra si tratti esclusivamente di cose da giovani.

cosa centra?

avevo una cassetta, con thriller registrato dalla radio, non voleva che l’ascoltassi. si arrabbiava se la facevo sentire ai miei compagni.

hai in mente quando balla e si tocca il pacco? ecco quello la mandava proprio fuori di testa.


Ticinosette n. 3 del 17 gennaio 2014

Impressum Tiratura controllata 66’475 copie

Chiusura redazionale Venerdì 10 gennaio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

4 Eroi Laura Poitras di alba Minadeo ............................................................................ 6 Letture Gli sdraiati di GiancaRlo FoRnasieR ................................................................ 7 Mundus Invenzioni. A distanza di sicurezza di duccio canestRini .............................. 8 Visioni Il passato di nicoletta baRazzoni ................................................................... 9 Vitae Stefano Ferrari di nicoletta baRazzoni............................................................ 10 Reportage Ascona. Teatro San Materno di deMis QuadRi; Foto di Reza KhatiR .......... 35 Tendenze Moda e sostenibilità. Upcycling di MaRisa GoRza ................................... 40 Svaghi .................................................................................................................... 42

Agorà Società. Globale + locale = Glocale

di

RobeRto Roveda....................................

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

La forza di un sistema economico “glocalizzato” Illustrazione ©Bruno Machado

Libere droghe di Stato? Pubblichiamo le riflessioni di un lettore relative al complesso e dibattuto tema della liberalizzazione delle droghe leggere. Gentili redattori, invio questa lettera alla vostra rivista per due ragioni. La prima è che in passato avete scritto di questo argomento, interrogando anche i lettori; la seconda riguarda invece la mia posizione professionale – lavoro in ambito medico – che mi costringe a una continua riflessione sui temi etici e su quelli legati alla salute pubblica. Vi scrivo infatti riguardo alle recenti (e meno recenti) discussioni sul tema della liberalizzazione dell’uso della cannabis e dei suoi derivati, un tema che, per esempio, in Italia ma anche in Svizzera qualche anno fa, è stato al centro del dibattito politico e sociale. Un tema che non appare irrigidito su posizioni ideologiche predefinite ma divide trasversalmente i diversi schieramenti, come è accaduto di recente in Italia con le dichiarazioni a favore della liberalizzazione da parte di un esponente della Lega Nord. Su questo tema la mia posizione è decisamente ambivalente. Mi spiego. Se da un lato non posso che condividere le posizioni antiproibizioniste che, a mio modesto parere, rappresentano forse l’unico strumento efficace per sottrarre alle organizzazioni criminali la gestione del traffico degli stupefacenti, dall’altro sono contrario a una diffusione libera della cannabis che di fatto viene trattata come una droga leggera ma i cui effetti, anche su tempi piuttosto limitati, possono essere estremamente nocivi per la salute di giovani e meno giovani. Le società occidentali negli ultimi anni si sono impegnate

e continuano a impegnarsi nella lotta contro le dipendenze da tabacco e da alcol e nell’arco degli ultimi cinque decenni le abitudini a riguardo sono parecchio mutate anche se tanto resta da fare. Dietro alla liberalizzazione della cannabis mi pare che invece, oltre alla sacrosanta motivazione di colpire le organizzazioni criminali, sussista una sorta di vizio ideologico: come se la cannabis libera rappresentasse per il paese che adotta questa decisione una sorta di fiore all’occhiello in termini di garanzia di libertà per i propri cittadini. Resta però indiscutibile il fatto che fumare – e quindi aspirare nei polmoni sostanze prodotte da una combustione – costituisce sempre e comunque un atto lesivo della propria salute (e non entro in questioni mediche più dettagliate relative ai danni a carico del sistema respiratorio e cardiovascolare). Senza dimenticare l’effetto psicotropo del tetraidrocannabinolo (il principio attivo della cannabis) capace di innescare e far deflagrare psicosi latenti nei giovanissimi, soprattutto nel caso di coltivazioni geneticamente modificate, oggi parecchio diffuse. Fatta eccezione per gli usi terapeutici di questa sostanza, da effettuare sotto controllo medico, l’unica possibilità che intravedo, pur con molti rischi, è quella di una totale gestione della materia da parte dello stato (centri di distribuzione pubblici, tesseramenti, controllo della percentuale di THC ecc.), uno scenario che mi pare però suscettibile di ulteriori rischi a partire da quello della nascita di un mercato parallelo illegale per non parlare della violazione privacy e del controllo sulla popolazione. Insomma, dalla padella alla brace… Con molti saluti e complimenti, E.W. (email)


Locale + globale = Glocale Società. La globalizzazione fa paura. Perché apparentemente inarrestabile e capace di uniformare e omologare tutto, modificando una serie di concetti e valori a cui siamo abituati da secoli: cittadinanza, appartenenza, tradizioni, nazionalità. Ma diventare “globali” significa davvero rinunciare alla nostra realtà territoriale oppure esiste una via alternativa? di Roberto Roveda; illustrazione ©Bruno Machado

L

a globalizzazione procede a velocità elevatissima e muta i nostri parametri di riferimento a livello sociale, economico, culturale. Muta anche la nostra percezione e concezione dello spazio e del tempo. È, infatti, un processo rutilante, di informatizzazione e comunicazione planetaria che permette all’uomo contemporaneo di poter raggiungere fisicamente nell’arco di ventiquattro ore ogni luogo, anche il più sperduto della Terra superando in tal modo i limiti spaziali. Analogamente anche i confini temporali vengono spazzati via perché in un secondo possiamo raggiungere via email o con telefono qualsiasi persona, ovunque nel mondo.

Agorà 4

Dalla globalizzazione al pensiero glocale Questa mobilità enormemente accresciuta di informazioni e comunicazioni, cultura e scambi commerciali muta, oltre ai nostri parametri di riferimento, l’aspetto del mondo in cui viviamo, sia per quel che riguarda le relazioni fra gruppi umani sia per quel che concerne la “filosofia” con cui questi cambiamenti sono accettati o rifiutati. Una “filosofia” che considera con spirito critico gli effetti nefasti della globalizzazione di matrice finanziario-speculativa, ma che evidenzia i tratti potenzialmente utili all’umanità della globalizzazione delle culture e delle informazioni è il pensiero glocale1. In estrema sintesi, questo pensiero rivendica il fatto che non esistono luoghi che non siano in misura crescente attraversati da flussi globali di varia natura, né flussi globali che non siano declinati secondo le molteplici particolarità dei luoghi. Secondo questa linea di pensiero, quindi, ogni spazio o esperienza locale può contenere e interrelarsi con tutto ciò che c’è di globale attorno a noi. Così, pensare e agire “glocalmente” permette di fruire di tutte le potenzialità del globo secondo una declinazione concretamente locale. La differenza, rispetto alla “pura e semplice globalizzazione” intesa come mera mobilità, è netta: la glocalizzazione permette infatti di “piegare” l’elemento globale alla propria esperienza locale mantenendone intatta ogni potenzialità informativa e culturale. I vantaggi del pensare “glocalmente” Pensare “glocalmente”, anziché solo globalmente oppure localmente, offre dei vantaggi nell’affrontare i rapidi muta-

menti che caratterizzano la nostra epoca. Ci consente, per esempio, di vivere meglio la perdita di alcune certezze che credevamo perenni, come l’idea di nazione, di cittadinanza. Il modello dello stato nazionale, per esempio, è tutt’ora preponderante sia concretamente sia psicologicamente. Tuttavia questo modello è stato messo in crisi da situazioni di vita sempre più “globali”. L’economista indiano e premio Nobel per l’economia nel 1998 Amartya Sen ci insegna che, a fronte delle molte identità che accumuliamo al giorno d’oggi in conseguenza di una vita mobile, un atteggiamento etnicamente o nazionalmente chiuso è ampiamente superato e, in una società dello scambio, rischia di generare contrasti insanabili quando non forme di violenza. Certo, la cittadinanza, ovvero l’appartenenza a uno stato nazionale, ci ha dato la possibilità di accedere ad alcuni diritti impensabili in passato come il diritto di rivendicare condizioni di vita migliori o il diritto e la possibilità di riferirsi a una Costituzione, ovvero a un insieme di leggi condivise e operanti. Tuttavia è evidente come il contenitore nazionale appaia oggi un ambito ristretto e insufficiente di fronte all’illimitatezza di una scelta globale di valori, orientamenti, culture, abitudini, rappresentazioni artistiche ecc. Pensare globalmente e agire localmente Una soluzione potrebbe essere quella di uscire da schemi ormai sorpassati per provare a “pensare globalmente e agire localmente” come propone l’associazione di istituzioni glocal Globus et Locus (globusetlocus.org), presieduta dal politico e imprenditore italiano Piero Bassetti. Ne parliamo con lo scrittore e giornalista Sergio Roic che collabora da anni con Globus et Locus. Signor Roic, che vantaggi assicura il pensiero e la prassi glocale nel governo e nella gestione dei territori e delle persone? Faccio una piccola premessa: la mission di Globus et Locus consiste in primo luogo nella precisa volontà, coniugata con una legittima ambizione di riuscita, di dar conto alle classi dirigenti del suo “local” di riferimento, ovvero il nord Italia e il Ticino, dei vantaggi che un approccio glocale è in grado di fornire quando si affrontano le complesse problematiche del mondo odierno. La globalizzazione rappresenta ormai un dato di fatto acquisito ed


Il Ticino è una realtà locale che si sta interrogando sulle strategie migliori per affrontare una crisi pervasiva e, forse, planetaria. Il pensiero glocale potrebbe essere d’aiuto nella scelta della strada giusta? Certamente. Per quel che riguarda le reti corte e medie, regioni di frontiera svizzere come Ginevra e Basilea già da decenni attuano concrete strategie di interazione con i territori d’oltreconfine. Vi sono infatti numerosi enti, organizzazioni e associazioni che si occupano con un certo successo di questa problematica. Il Ticino è in ritardo da questo punto di vista. Il tentativo di rendere effettiva l’omogeneizzazione crescente dei territori insubri è parzialmente fallito a causa dello scarso entusiasmo politico, da entrambe le parti del confine, nei confronti dell’esperimento della Regio insubrica. La riottosità di un certo Ticino di ammettere la grande influenza della metropoli milanese a sud delle Alpi, situata a pochi passi dal confine, non facilita di certo le cose. È chiaro, tuttavia, al di là di ogni rivendicazione localistica di corto respiro basata su rendite di posizione ampiamente superate in un contesto globale-locale, che il Ticino deve trovare un suo equilibrio sull’asse nord-sud Zurigo-Milano e ciò potrà accadere unicamente se il prolungamento verso sud della Nuova trasversale ferroviaria alpina sarà portato a termine compiutamente.

è sotto gli occhi di tutti. Il mondo globale, tuttavia, è una realtà tremendamente complessa e ampia e avere un approccio positivo nei riguardi di questa dimensione che appare lontana da noi, e che però influisce grandemente sui nostri destini quotidiani, offre un vantaggio notevole a chi è in grado di concretizzarlo. Detto questo bisogna chiarire che l’approccio glocale non è un’utopia o una speranza da applicare alla società per migliorarla, ma un valido strumento per interpretare la società come di fatto oggi è. Ecco, un paragone efficace è quello della bussola: possedere una “bussola di orientamento glocale” semplifica, e di molto, le scelte che dobbiamo prendere in ambito socio-economico e anche politico all’interno di una società globalizzata. Il pensiero e la prassi glocale propongono, allora, l’applicazione conseguente di un nuovo modo di ragionare e di muoversi: quello che privilegia un modello aperto e reticolare. Modello reticolare e aperto da applicare prima di tutto alle strategie di interazione economica. Termini un po’ complessi per noi profani. Che cosa intende esattamente? Penso a reti corte, medie e lunghe di contatto e scambio in assenza delle “strettoie” imposte da una strategia di tipo nazionale; ricerca, quindi, di opportunità economiche e di contatti diretti su uno scacchiere vasto e composito, senza limitazione. Un modello però valido anche per quel che riguarda l’accoglienza. I nuovi venuti in un territorio delimitato spesso procurano arricchimento non solo culturale ma anche economico: rappresentano di fatto uno stabilizzatore sociale in quanto assicurano un necessario equilibrio demografico a società in via di invecchiamento. In quest’ottica, i territori si aprono a una realtà regionale di contatto e scambio tenendo sempre in debito conto le numerose opportunità che offre uno scacchiere globale opportunamente interloquito.

Il pensiero glocale insiste molto anche sull’importanza dell’ambito culturale o sbaglio? Anche dal punto di vista culturale, fondamentale per lo sviluppo di una politica di buon vicinato, le iniziative di largo respiro, come per esempio il nuovo centro culturale luganese LAC, dovranno essere sostenute e promosse in un ampio raggio regionale con un ventaglio di proposte condivise. Da questo punto di vista, la dizione originaria che designa il LAC come “porta italica” di interazione culturale è efficace e va concretizzata. L’adesione convinta del Ticino a quella che Globus et Locus chiama la “civilizzazione italica” (un’amplissima rete globale di contatti tra italofoni e italo fan), di cui il Ticino fa già parte a tutti gli effetti per quel che riguarda valori e predilezioni, aiuterebbe molto il cantone meridionale svizzero inserendolo in una rete di interessi e scambi di taglia globale e facendo aumentare di molto il suo “peso” economico-sociale-politico anche in ambito svizzero. Detto così sembra una prospettiva solo in positivo. L’obiezione che può sorgere è che una prospettiva glocale rischia di acuire alcuni problemi già molto sentiti in Ticino, come per esempio quelli legati al lavoro frontaliero e all’immigrazione. È ovvio che alcune problematiche legate ai territori di confine, come quelle del lavoro sottopagato, andranno risolte con regolamentazioni del mercato del lavoro condivise e impegni reciproci di collaborazione al di qua come al di là della frontiera. Solo così una regione dal grande potenziale produttivo e dall’alto valore turistico, situata a ridosso della grande Milano, potrà ritagliarsi il giusto spazio e la giusta attrattività locale in un contesto globale. note 1 Il termine “glocalismo” (o “glocalizzazione”) è stato introdotto dagli studi di sociologi come Roland Robertson (Globalizzazione. Teoria sociale e cultura globale, Asterios, 1999) e Zygmunt Bauman (Globalizzazione e glocalizzazione, Armando editore, 2005) per indicare i fenomeni derivanti dall’impatto della globalizzazione sulle realtà locali e viceversa.

Agorà 5


Laura Poitras

Documentarista e produttrice americana, Laura Poitras è una delle due persone, insieme con Glenn Greenwald, in possesso degli archivi delle comunicazioni di sorveglianza di massa raccolti da Edward Snowden. Ha messo in gioco la sua vita in difesa dei diritti civili, ma pochi sanno qualcosa di lei e della sua audacia di Alba Minadeo

Ha

Eroi 6

firmato solo alcuni degli articoli sul caso Snowden, Nel 1992 è a New York: qui inizia la sua carriera nel cinema lasciando che fosse Glenn Greenwald, ex avvocato ed edi- e segue corsi di scienze politiche e sociali alla New School. torialista del “Guardian”, a scriverne in prima persona. Lui Realizza cinque film, il più recente dei quali The Oath viene la chiama Keyser Söze perché è invisibile ma onnipresente, insignito dei premi Peabody e MacArthur. Nel 2004, si reca come il personaggio de I soliti sospetti. Laura Poitras, 49 in Iraq per documentare gli effetti della guerra sui civili anni, fa di tutto per mimetizzarsi, e non per timidezza. iracheni, diventando così bersaglio di gravi accuse, subendo Sul New York Times del 13 agosto, il svariati fermi e perquisizioni. giornalista Peter Maas ha raccontaDal 2006, tutti i suoi biglietti per i to la sua storia. All’inizio del 2013, voli nazionali sono contrassegnati Laura Poitras riceve una mail da “SSSS” (Secondary Security Screening un uomo che non conosce e che le Selection) ed è sottoposta a controlli chiede di mandargli la sua chiave più accurati del normale. Durante crittografica pubblica, in modo da un interrogatorio all’aeroporto di poterle inviare un messaggio criptato Newark, le proibiscono persino di che solo lei avrebbe potuto decifrare prendere appunti. Da quel momento usando l’altra chiave crittografica, riduce l’uso del telefono cellulare, quella privata. evita di inviare documenti comproLo sconosciuto le invia anche delle mettenti per mail, usa dei software istruzioni per creare un sistema anper la navigazione in incognito e cora più sicuro a protezione della diversi computer per montare i suoi loro corrispondenza e poco dopo una film e legge i file riservati su un PC mail criptata in cui descrive diversi che non tiene mai collegato in rete. programmi di sorveglianza segreti del governo. Immediatamente, Il video di Snowden Laura Poitras si scollega da internet Dell’incontro con Snowden ha giraLaura Poitras (macfound.org) e cancella il messaggio, pensando to un video di 12 minuti e mezzo, “ok, se quel che ho letto è vero, la mia diffuso il 9 giugno, subito dopo la vita da ora è cambiata”. Quell’uomo era Edward Snowden. pubblicazione dei primi articoli di Greenwald. Quando entravano nella stanza di Snowden, lei e Greenwald toglieChi è Laura? vano le batterie dai cellulari, le mettevano nel congelatore A giugno, insieme al collega Glenn Greenwald – conosciuto del minibar e coprivano la porta con dei cuscini in modo nel 2010 quando questi lavorava su WikiLeaks –, si reca a che nessuno potesse ascoltare. Hong Kong a incontrare l’ex dipendente dell’NSA che affida “Sono simpatetica con la sua visione degli orrori del mondo loro migliaia di documenti segreti, la cui pubblicazione è e di ciò che potrebbe accadere in futuro e voglio comunicarla fonte, ancora oggi, di un grande dibattito sulla legittimità con la massima risonanza possibile. Se dovessi rilasciare un dei programmi di sorveglianza del governo americano. sacco di interviste, so che mi allontanerebbero da ciò con cui Laura Poitras, in realtà, è stata un ripiego per Snowden: la voglio restare in contatto. Non è solo uno scoop, è la vita di una persona a cui lui avrebbe voluto affidare i documenti era persona” ha detto Laura Poitras, giornalista freelance, non Glenn Greenwald, ma siccome il software per la crittografia organica a una redazione e quindi poco protetta. È costretta è veramente complicato, e il giornalista non rispondeva a vivere fuori dagli Stati Uniti, pur non essendo accusata alle sue mail, si è rivolto a Laura che aveva già dimostrato di nulla. Paradossalmente è vittima degli stessi programmi di essere in grado di maneggiare informazioni segrete in di cui ha annunciato l’esistenza: per rivelare i metodi di modo molto accurato. sorveglianza del governo potrebbe essere condannata a una Poitras, nata nei dintorni di Boston, dopo le scuole supe- sorveglianza a vita. “Non so se sarò ancora capace di vivere riori si trasferisce a San Francisco, dove lavora come chef in un posto sentendomi padrona della mia privacy. Questa in ristoranti di lusso e studia al San Francisco Art Institute. possibilità potrebbe essere svanita per sempre”.


Letture L’anello della vita di Giancarlo Fornasier

Questo libro di Michele Serra – giornalista e scrittore che non necessita di molte presentazioni – ha un enome difetto: è troppo breve. Cento paginette, niente di più, ma segnate da un’apparente leggerezza e da un’incoscia intensità in grado di gettarti in un mare dal quale è difficile essere salvati. Divori parole, situazioni, conflitti, incomprensioni, speranze a loro volta in grado di riproporre aspetti della propria adolescenza dimenticati o sopiti: e ti rendi conto che, tanto tempo fa, anche tu sei stato un incompreso e scoraggiante “sdraiato”... Per riflettere sui conflitti generazionali, Serra non ha scritto il classico romanzo di formazione e nemmeno un pedante saggio; il volume ha l’immediatezza del “diario”, intimo e personale, senza date o giorni. Passato, presente e giorni a venire, ricordi e progetti, realtà e finzione – e futuristici conflitti tra vecchi e giovani nella “Grande Guerra Finale” – si amalgamano scanditi da eventi puntuali, quotidiani (a volte minimi), paradigmi della lontananza che separa

(e che dovrebbe sempre dividere) adulti e ragazzi, ragione da disinteresse, disordine, sgregolatezza e positiva leggerezza. Ma Gli sdraiati è anche una sentita autocritica verso ciò che un genitore non è e non è stato in grado di essere (“sento di sembrare uno che si è ricordato all’improvviso, costretto dall’emergenza, che avrebbe avuto il compito di governare. E non lo ha fatto”, pag. 84); oppure di quello che alcuni adulti sono diventati (“l’unico vero problema del figlio è avere una rompicoglioni siffatta che lo segue, lo asfissia, lo giustifica, lo soffoca, gli fa da alibi, lo assolve”, pag. 36) e le preoccupazioni – piuttosto concrete e materiali – per un mondo che abbiamo amato e che è destinato a sparire (“guardo i miei vasi di portulache, affacciati sul mare [...]. Il più futile dei pensieri – chi curerà questa terrazza quando non ci sarò più – è anche il più lacerante”, pag. 32). Ci penserà una simbolica gita in montagna a ridare ordine al mondo e alle cose della vita. Un passaggio di testimone tanto inaspettato quanto commovente.

Gli sdraiati di Michele Serra Feltrinelli, 2013

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A distanza di sicurezza L’invenzione si chiama “Spike Away”. E a qualcuno l’idea della cinese Siew Ming Cheng nelle ultime pazze festività natalizie avrebbe probabilmente fatto molto comodo…

di Duccio Canestrini

Il

Mundus 8

gilet antifolla si presenta irto di punte, è di plastica verde, e serve a tenere lontana la gente dal proprio spazio vitale. È stato realizzato durante un workshop tenuto dal designer tedesco Werner Aisslinger all’università di Singapore; nel suo apparente surrealismo, si presta anzitutto a una riflessione sulle nostre relazioni con gli altri. Nella vita di società siamo messi a dura prova. Ci affaticano i messaggi dei mezzi di comunicazione, i convenevoli, i rituali. A volte pesa persino fare e ricevere gli auguri. Figuriamoci se alla lunga non ci sfibra il contatto fisico. Soprattutto nei poli urbani, sui treni, sugli autobus.

cornicioni e davanzali per tenere lontani i volatili e le loro controverse deiezioni. Ma appartiene a un genere di oggetti che i giapponesi hanno chiamato chindogu: si tratta di cose quasi inutili che vengono ideate per risolvere in maniera buffa problemi di tutti i giorni. Rientrano in questa categoria, per esempio, gli imbutini da applicare agli occhi per instillarvi gocce di collirio. Oppure le speciali scarpe da indossare in casa che portano sulla punta della sinistra una palettina, e sulla punta della destra una spazzola: servono ovviamente a raccogliere briciole, polvere o cocci dal pavimento senza piegare la schiena. Con un opportuno movimento di gamba sarà poi agevole (soprattutto per chi pratica arti marziali) vuotare la paletta nel bidone dell’immondizia.

Lo spazio “culturale” Certo, lo spazio personale “inviolabile” si amplia o si riduce a seconda delle culture. La disciplina scientifica che studia le relazioni di distanza nelle interazioni A che serve…? personali, cioè la prossemiUn altro oggetto chindogu ca, porta sempre l’esempio che di questa stagione pardel norvegese contrapporebbe avere qualche utilità nendolo all’arabo saudita: è il “Toilet Roll Hat”, vale a Immagine tratta da fastcoexist.com per il primo l’approccio dire uno speciale cappello all’altro individuo, esclusi amici e parenti, deve arrestarsi che regge un portarotoli di carta igienica; i raffreddati a una distanza maggiore di quella raggiungibile estenden- cronici avranno così costantemente davanti al volto un do un braccio. velo di carta per potersi soffiare il naso. Per i pendolari Ma non si creda che sia una semplice questione demografi- che, oltre allo stress del contatto da folla, non riescono a ca, o di clima, o come si diceva una volta di indole dei po- stare svegli durante il tragitto, ecco un’altra invenzione poli. Tradizionalmente, in India, un bramino dovrebbe inutile: l’elmetto con ventosa sulla nuca da applicare stare ad almeno 39 metri di distanza da un intoccabile al finestrino che previene i pencolamenti della testa, paria. I russi possono baciarsi sulla bocca, tra maschi, permettendo così di dormire anche seduti o in piedi. in segno di amicizia. In Giappone si preferisce l’inchino Per gli archeologi del futuro sarà un bello scherzo trovarsi alla stretta di mano. Le variabili del resto sono infinite: tra le mani oggetti ironici. Così come talvolta capita a noi, contano il sesso, l’età, il grado di parentela, l’educazione, oggi, di fronte a manufatti di culture lontane di cui non le consuetudini, il prestigio sociale. riusciamo neppure a immaginare l’uso, e che nei musei finiscono per rimanere inclassificati. Cose quasi inutili È il mito dell’uomo economico, dell’uomo razionale, che Ora il giubbino scacciasimili è chiaramente un oggetto va allegramente a farsi benedire. Mentre, con il gilet ironico, probabilmente ispirato ai dissuasori per piccio- antifolla, si affaccia un problema serio: siamo tanti, e un ni, quelle strisce puntute che vengono posizionate su po’ stressati.


influenza? Raffreddore?

Visioni

Erste Hilfe bei Verletzungen und Erkrankungen

di Nicoletta Barazzoni

Il passato di Asghar Farhadi Italia-Francia, 2013

Capita

raramente di sentirsi appagati dopo aver visto un film drammatico, nel quale vengono sviscerate le tragedie sentimentali e affettive di una famiglia, in questo caso per metà francese e metà iraniana, immersa in dinamiche comuni ad altre famiglie. Il Passato del regista iraniano Asghar Farhadi (autore anche di About Elly, 2009; Una Separazione, 2011) inquadra la realtà di un nucleo familiare, senza sbavature. Una realtà tormentata e sincera che Farhadi fa vivere ai suoi protagonisti, che riescono a relazionarsi malgrado i forti conflitti. Svelando i loro segreti, i personaggi affrontano la verità delle vicende personali, assumendosi le responsabilità delle loro azioni, anche di quelle meno nobili. Il coraggio di rivelare ciò che di infimo si può compiere nella vita, libera la giovane Lucie (Pauline Burlet) dal senso di colpa anche perché la verità rende liberi. In gioco c’è la vita della moglie di Samir (Tahar Rahim, attore de Il Profeta), la quale è ricoverata in coma per aver tentato il suicidio, dopo aver scoperto il tradimento del marito con Marie (una straordinaria Bérénice Bejo, premiata a Cannes per la miglior interpretazione femminile). Ma non sono forse i segreti a costellare le vite di molte famiglie, delineandone i comportamenti? Non sono forse le parole non dette, tra gli affetti più cari, a creare incomunicabilità? Il moralismo di Luise è la riproduzione del modo con cui i nostri figli spesso ci giudicano. La ragazza è intransigente con sua madre per la facilità con cui ha avuto quattro relazioni, e per altrettanti figli avuti da matrimoni diversi. Il regista affronta la verità, riuscendo a rendere le difficoltà meno brutte di quanto lo siano realmente. La pellicola mette in rilievo il carattere dei suoi personaggi, piuttosto incasinati, come incasinate sono le stanze, la cucina, gli spazi in cui essi vivono, e il cortile alla periferia di Parigi. Ahmad (Ali Mosaffa), l’ex marito di Marie, è forse l’unico a non averci del tutto convinti, non tanto per le qualità attoriali dell’interprete ma per il ruolo troppo accondiscendente con cui esibisce la sua saggezza, malgrado debba firmare la sentenza di divorzio. Il piccolo Fouad (Elyes Aguis), con quel suo volto corrucciato e triste, è una promettente rivelazione. Non vogliamo anticipare altri particolari dell’intricata trama perché lo spettatore li potrà trovare un po’ ovunque. Diciamo invece che il film ha arricchito il nostro sguardo sul senso e sul valore del passato. Intessendo sofferenza e frustrazione, il regista fa dire a Marie: “Dobbiamo poter dimenticare il passato. E se non lo possiamo fare?”.

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i sono accorto che la vista per me poteva diventare un tramite con il mondo all’età di dieci anni. Simulando una telecamera con le dita, sceglievo la porzione di mondo che volevo raccontare. Mia mamma è bergamasca e mio padre immigrato dall’Emilia. Lei cameriera, lui muratore. Si sono innamorati, e così sono nato a Bellinzona, alle Semine, quartiere di immigrati. Un luogo di affetti che ho nel cuore. Se guardo alle mie origini mi viene in mente la parola fame. Ho dietro di me un albero genealogico fatto di contadini da parte di mio padre e di grande miseria da parte di mia madre, con un elemento comune: il sacrificio. Ho visto i miei genitori sgobbare. Ritornavano in Emilia per costruire quella casa: utopia di un ritorno che non c’è mai stato. L’aspetto di mio padre che porto nel cuore è la sua onestà infinita, un valore che mi ha trasmesso con la convinzione che se sei onesto magari non ci guadagni nell’immediato, ma prima o poi verrai premiato, perché l’onestà porta a una forza interiore. Una tratto del carattere di mio padre che non ho voluto ereditare è quello di accettare situazioni che non si desiderano. Un tratto che in parte però riconosco anche in me. Mia mamma è più irruente, lei è fuoco nella gioia e nel dolore. Tento di prendere da mia madre il suo lato diretto: se ho da dire qualcosa di scomodo, cerco di dirlo sperando che l’altro costruisca un discorso e non mi chiuda la porta. Se qualcuno, che ho nel cuore, ha bisogno, parto lasciando in terzo piano le mie esigenze. Effettivamente mi accorgo che i miei documentari sono storie di vita e tentativi di smuovere certe sensibilità rispetto a chi non ha voce. Il mio più grande maestro, Luciano Berini, un regista che definirei scomodo, sosteneva che i documentari possono cambiare il mondo. Forse è utopia, ma se penso al mio documentario Campo nomadi, ha smosso la visione politica, quando si trattava di decidere cosa fare di loro. Credo nel sorriso, nell’umanità e nel suo senso civico. Da poco è nata mia figlia che mi ha scombussolato la vita con il suo candore. Credo che ci succede solo ciò che è giusto per noi e nel mio destino c’era questa nascita. Sono un uomo grato alla vita. Ho 44 anni, 43 dei quali sono “in più” perché a un anno e tre mesi sono stato dichiarato morente al San Giovanni di Bellinzona, e salvato miracolo-

samente a Berna. Per quarant’anni anni ho avuto un’immagine in testa e nei miei sogni: legato in una culla, qualcuno veniva a “tagliarmi”. I miei genitori erano dietro a un vetro, impotenti. A distanza di tutti questi anni, sono tornato a Berna e ho ritrovato quel vetro e quella culla! Ero stato isolato a causa di un’ulcera duodenale e una forte peritonite. I miei genitori mi hanno confermato che quell’immagine che mi ha inseguito per anni, era vera. Da allora ho indagato sul perché non riuscivo a toccare la mia pancia e sul perché avessi paura ad avere figli. Grazie a chi mi ha aiutato a scavare nel mio passato, sono riuscito a “sciogliere” questo nodo. Infatti avere un bambino piccolo mi terrorizzava nel profondo perché collegavo la nascita alla morte. Sciogliere quel nodo mi ha portato alla paternità. Ho una pace dentro che potrei morire domani. Di quel bambino che ero sento di avere conservato molto: quella percezione infantile delle gioie e delle emozioni. Non so se credo in Dio. Credo semplicemente nella pace e nell’amore. Sono aperto a tutte le religioni o forme di spiritualità che promuovono questi valori. Non sono un regista dai gusti ricercati, cosiddetti “alti”. Non sono un conoscitore di tutte le opere di Kusturica, Kubrick o Fellini. Tra i miei film preferiti scelgo L’ultimo bacio di Gabriele Muccino. Poi ho amato tantissimo anche Welcome di Philippe Lioret, storia di immigrazione clandestina ispirata a una storia vera. Infatti sono le storie vere che mi interessano, quelle in cui posso specchiarmi, tuffarmici dentro. Nell’ultimo mio film-documentario per la trasmissione “Storie” (RSI) dal titolo La squadra (premio del pubblico al festival “Castellinaria 2013”, ndr.) mi sono messo totalmente in gioco. Per catturare la spontaneità, nei miei documentari parto dal principio di non rifare mai nulla. Con questo spirito sto progettando altri lavori, uno dei quali sperimentato anni fa: mettermi in strada con un cartello di cartone con scritto “ovunque”. Con il pollice alzato e la cinepresa entrerò nelle auto, ma soprattutto nelle vite di coloro che si fermeranno a raccogliermi, ovunque siano diretti.

STEFANo FERRARI

Vitae 10

Il suo obiettivo è la spontaneità. Con i suoi documentari tenta di catturarne il frutto quasi inarrivabile, come se la telecamera potesse scomparire

testimonianza raccolta da Nicoletta Barazzoni fotografia ©Flavia Leuenberger


AsconA – TeATro sAn MATerno

AvAnguArdie, TrA pAssATo e presenTe di Demis Quadri; fotografie ©Reza Khatir


“I tedeschI cI Invadono.tedesca la ferrovIa,tedesca la posta,tedeschI I telegrafI,tedesco Il commercIo, tedeschIssImI glI alberghI”

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el volume Il teatro nella Svizzera italiana, Pierre Lepori riporta le parole sopracitate del Consigliere di stato Brenno Bertoni (apparse su L’Azione del 23 febbraio 1909) in un paragrafo dedicato a colonie e artisti confederati in Ticino. Si tratta di un pensiero che mostra come l’apertura della Svizzera italiana all’immigrazione da oltre Gottardo fosse vista con un certo fastidio dalla popolazione, che del resto anche oggi manifesta spesso qualche diffidenza. Nel suo libro Lepori accenna inoltre a uno dei numerosi esempi di preziosi contributi culturali portati in Ticino proprio da artisti e intellettuali germanofoni: il teatro San Materno di Ascona. Già allora “multifunzionale” Questo edificio, il primo nel suo genere in Svizzera, viene costruito sulla scia del fervore culturale “alternativo” che, sempre ad Ascona, aveva il suo centro di diffusione all’inizio del XX secolo nel Monte Verità. Il teatro risulta ultimato una ventina d’anni dopo lo sfogo di Bertoni, precisamente nel 1928. Artefice del progetto, commissionato da Paul Bachrach per la figlia danzatrice Charlotte Bara, è l’architetto tedesco Carl Weidemeyer (1882–1976). Oggi ha sede ad Ascona una fondazione che si prefigge di dare un contributo allo sviluppo dell’architettura e delle arti proprio nello spirito di Weidemeyer. Il sito web di tale fondazione (carlweidemeyer.ch) testimonia di come l’idea alla base del teatro San Materno fosse quella di costruire, nel luogo dove Charlotte Bara amava danzare e dove in precedenza sorgeva una chiesa romanica, un teatro che facesse da “tempio per le manifestazioni artistiche nello spirito della scuola di danza”. In effetti, una volta terminato, il teatro ospita spettacoli di danza, di teatro e di musica, ma anche gli spazi per le esercitazioni delle allieve di Charlotte. Per queste ragioni la struttura dell’edificio è sviluppata in senso multifunzionale.

in alto: il lato est del teatro San Materno con la scalinata che conduce all’ingresso; sotto: le finestre e i balconi che si affacciano sulla parete settentrionale in apertura: l’ingresso del teatro che reinterpreta la struttura semi cilindrica della preesistente basilica romanica


La platea e la galleria viste dal palco attestano della linearitĂ e del carattere tipicamente Bauhaus del progetto di Carl Weidemeyer


Il proscenio e il palco del teatro San Materno visti dalla platea. L’arredamento del teatro e delle stanze al piano superiore, incluse le colorazioni delle pareti, risponde esattamente alle indicazioni fornite nel 1928 dall’architetto tedesco Weidemeyer


in questa pagina: le stanze situate nel corpo superiore dell’edificio sono state concepite come veri e propri piccoli appartamenti per gli artisti che si esibiscono o che trascorrono presso la struttura periodi di residenza

locale verso le attività di certi personaggi che all’epoca frequentavano il Monte Verità (definiti in dialetto balabiott), anche il teatro San Materno incontra una certa ostilità. Ciò non impedisce comunque a Charlotte Bara di danzarvi e organizzarvi spettacoli dal 1928 al 1958, e a chi lo visita all’inizio del XXI secolo di considerarlo un “piccolo gioiello di architettura”.

Contro ogni ostilità Il lavoro di Carl Weidemeyer risponde a un pensiero architettonico che da un lato intende eliminare la separazione tra artista e artigiano, e dall’altro segue principi razionalistici tipici del Bauhaus che, pur traendo spunto nel caso specifico dall’architettura religiosa romanica, sono ben lontani dallo stile tradizionale ticinese. Per tale motivo, dopo le rimostranze di chi la pensava come Brenno Bertoni o le perplessità della popolazione

Nel nome della contemporaneità Dopo un periodo di abbandono, la struttura rinasce negli anni settanta con il lavoro degli artisti Michelle e Michel Poletti e più precisamente, dopo il progetto di restauro sviluppato dall’architetto Guido Tallone, con l’attuale gestione del teatro (teatrosanmaterno.ch), diretto oggi da Tiziana Arnaboldi e Domenico Lucchini. Questa nuova avventura comincia proprio nel segno della rivisitazione di uno spazio ristrutturato, ma che ha comunque alle spalle una storia e una tradizione molto forti. Andando a rivedere l’uso originario del teatro, Arnaboldi e Lucchini ne hanno fatto da una parte un centro culturale dedicato a un’ampia gamma di eventi e di discipline artistiche, e dall’altro un teatro studio capace di proporsi tanto come laboratorio di ricerca, quanto come luogo di manifestazioni artistiche molto attento alla contemporaneità. Dopo aver attraversato il XX secolo superando varie vicissitudini e difficoltà per giungere in piena forma al nuovo millennio, il teatro San Materno mantiene intatto il tutto suo fascino. Ma soprattutto permette alle avanguardie dell’inizio di due diversi secoli di stringersi la mano per gettare uno sguardo decisamente propositivo verso il futuro.

Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. khatir.com


UPCYCLING I VECCHI ABITI DIVENTANO INNOVATIVI Tendenze p. 40 – 41 | di Marisa Gorza


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on questa singolare affermazione, Alberto Saccavini, consulente di moda sostenibile e di commercio solidale, autore altresì di un gustoso libricino La gonna che visse 2 volte (Ponte alle Grazie/Altreconomia edizioni, 2013), ci introduce all’upcycling. Una pratica virtuosa grazie alla quale un oggetto – nella fattispecie un vissuto abito pescato dal nostro guardaroba – viene trasformato in un capo unico dall’interessante plus valore. Con benefici in termini ecologici e, dati i tempi, in termini di risparmio. Qualcosa di più di un semplice riutilizzo, o riciclo di vesti dismesse. Che cosa si può fare con un abito disusato? Secondo l’autore, l’elenco delle potenzialità è alquanto lungo... si può, per esempio, cambiarne la funzione o trasformarlo in un altro vestito, adornarlo, colorarlo, usarne un particolare, smembrarlo e assembrarlo di nuovo. Il ripescaggio negli armadi di casa si rivela già da solo un divertente e attualissimo vintage, ma cambiare i connotati al vestito è più stimolante che mai. Precorrere la moda è la vera frontiera, l’obiettivo da raggiungere. L’upcycling rappresenta il presente, ma anche il futuro. Reinventare un capo che, pur avendo perso un po’ d’appeal, ha in sé inedite potenzialità, è pur sempre una piccola-grande rivoluzione per sfuggire alla soporifera omologazione! Liberare estro e immaginazione Molte delle trovate di Alberto Saccavini riguardano la t-shirt, uno dei capi di abbigliamento più diffusi nel globo dai giorni di James Dean ai nostri. Fatta di jersey o maglina di cotone morbida e duttile, si presta a diventare un top pieno di fresca malizia con una banda di merletto, un pratico cardigan chiuso da nastri, un sotto-giacca con scollo dall’avvincente intreccio e perfino un divertente abitino passepartout unendo per esempio due t-shirt gemelle. E che dire del maglione trasformato in una calda gonna folk, del cappotto un po’ liso mutato in una elegante cappa, dei vecchi, adorati jeans rivissuti come sexy tubino, della cravatta convertita in collana o fascia per i capelli? Perché le idee per riportare in auge le cose neglette del nostro guardaroba sono infinite e insospettate. Soprattutto, l’autore tiene a sottolineare che il “fai da te” aiuta a liberare estro e creatività. L’intenzione

“Se eva aveSSe avuto, invece di una foglia di fico, un pezzo di Stoffa Si Sarebbe fatta un bel veStito. probabilmente un drappeggio” è quella di svegliare il piccolo “genio” che alberga in ognuno di noi, non sfregando la lampada ma le nostre stesse mani, appunto. gioCo di mani Complice, nel giochetto di rianimazione operato da Saccavini, il fornito negozietto dell’amica merciaia, ma per chi non ha la fortuna di averne uno nei pressi di casa, può ricorrere alle scansie dei grandi magazzini per fornirsi di trine, passamanerie, bottoni colorati, zip scintillanti ecc. Anche la sottoscritta, pur non essendo particolarmente abile nel cucito, si è spesso reinventata le cose fin da tempi non sospetti. Invidiato dalle mie amiche è stato un romantico copricostume da me creato assemblando dei centrini di pizzo con dei nastri di seta… un vero sballo! La manualità ritrovata è in fin dei conti uno degli strumenti per riprenderci quanto la società del “benessere” e dei consumi ci ha sottratto. Basta con la voglia di possedere tanti oggetti di bassa qualità da usare e gettare! Valorizziamo piuttosto con stile quello che già si possiede, recuperando la materia prima di pregio, la stoffa o il tessuto che dir si voglia, riscoprendone le sensazioni tattili, la caduta e gli ondeggiamenti. E il pianeta ringrazia. From Waste to Want Si sa che il linguaggio della moda adotta spesso termini come new trend e “innovazione”... in realtà molte idee nuove sono una reinvenzione di stili e capi assolutamente classici. Ciò avviene pure nelle proposte di From Somewhere, maison eco sostenibile (menzionata nel testo di Saccavini), na-

ta a Londra nel 1997 dal progetto degli italianissimi Orsola de Castro e Filippo Ricci. Le collezioni, fedeli alla filosofia di base, sono realizzate utilizzando i cascami dei tessuti pregiati, i ritagli di produzione, i fine rotolo, le minuterie avanzate ecc. dei più noti luxury brand, destinati altrimenti all’immondizia e agli inceneritori. Nascono così abiti originali ad alto tasso di manualità, fantasia e poesia. Ogni pezzo è unico proprio per il riuso creativo della materia prima e racconta inoltre la passione per il design e la couture fusi insieme. Un processo di upcycling che sviluppa un’entusiasmante soluzione al problema ambientale, auspicando il futuro di un’industria zero waste. Anzi il motto dell’atelier è proprio “from Waste to Want”. Ben nota è anche la collaborazione con Speedo, marchio leader nello swimwear, che ha dato il via a una sartorialità ergonomica prodotta rielaborando i performanti costumi da bagno LZR, di una stagione passata, con tocchi retrò anni cinquanta. Molto accattivanti e pieni di energia i pull e i cardigan di stagione: audaci patchwork di texture, colori, filati contrastanti e tutti contornati da un bordo di seta. Vestire “da operaio” La nuova frontiera della moda rende possibile l’impossibile, tant’è che da vecchie tenute da lavoro nascono abiti di gran classe, anzi di… lusso. Si tratta di un progetto industriale di alcuni giovani stilisti di Berlino, capeggiati da Daniel Kroh che sta suscitando curiosità e successo. Tute e grembiuli che arrivano da falegnami, giardinieri, meccanici, fabbri e così via... già usurati dal duro lavoro. Fatti però di un materiale così resistente da poter essere riutilizzato a lungo per dar vita a impeccabili giacchette, completi quasi formali e camicie easy e fantasiose. Intanto altri designer tedeschi si stanno specializzando nel riciclo creativo di pezzi di stoffa e accessori dati per cose fruste e inutili, che acquistano però un certo quid. Senza dimenticare che se un abito non piace più, può sempre essere regalato ad altre persone, magari ai centri di beneficenza o inserito negli appositi box – e nei sacchetti che tutti riceviamo regolarmente nella nostra cassetta delle lettere – per la raccolta di indumenti e scarpe da destinare ai più bisognosi.


La domanda della settimana

Ritenete che le pigioni in Ticino rispecchino i reali valori e la qualità degli immobili?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 23 gennaio. I risultati appariranno sul numero 5 di Ticinosette.

Al quesito “Nell’era di internet e del digitale, ritenete che il giornale in formato cartaceo rappresenti sempre un essenziale strumento di informazione?” avete risposto:

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Astri ariete Sbalzi umorali. Date più valore all’aspetto creativo: Urano potrebbe essere dalla vostra parte. Particolarmente irascibili tra il 22 e il 23.

toro Momento rosa per la vita a due. Possibile superamento di conflittualità tra ragione e sentimento. Disturbate le giornate tra il 24 e il 25.

gemelli Novità professionali indotte da Mercurio. Bene tra il 22 e il 23 per quanto riguarda i sentimenti. Il potenziale seduttivo si rileva determinante.

cancro Non esagerate con i sospetti per quanto riguarda il rapporto di coppia. Tensioni per i nati nella seconda e terza decade. Recupero energetico.

leone Desiderio di riscatto. Liberatevi di ogni paura e agite in nome della bellezza e della giustizia. Tra il 22 e il 23 vi sentirete assai determinati.

vergine Il rapporto con il partner si arricchisce di nuove affinità. Scelte importanti per i nati tra la seconda e la terza decade. Contratti e acquisti per la casa.

bilancia Calo energetico e voglia di riscatto. Luna e Marte favorevoli tra il 22 e il 23. Discussioni in famiglia con i figli adolescenti. Autorevolezza e calma.

scorpione Particolarmente protette le relazioni sentimentali in cui vi siano delle concrete affinità elettive. Periodo produttivo per i nati nella terza decade.

sagittario Urano positivo. Date più spazio alla creatività. Sbalzi umorali tra il 19 e 21 gennaio. Novità in arrivo per i nati nella seconda decade.

capricorno Forti tensioni astrali. Tutto dipende da voi e dalla vostra capacità di cavalcare l’onda dei cambiamenti in corso. Possibile ritorno di fiamma.

acquario Se aspettate notizie il 23 gennaio è la giornata giusta. La retrogradazione di Venere favorisce la clandestinità di una storia sentimentale nata nel passato.

pesci Richiamo verso tutto quello che può contribuire alla vostra evoluzione. Tra il 19 e il 21 affrontate i vostri malumori tra le braccia del partner.


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Orizzontali 1. Ruffiano • 10. Lubrificare • 11. Lo zio della capanna • 12. Il Crusoe amico di Venerdì • 13. Tormento finale • 14. Lo cela l’esca • 16. Preposizione semplice • 17. Giallo pallido • 19. Breve esempio • 20. La dea greca dell’aurora • 22. Cantore epico • 24. Pena nel cuore • 26. Ripidi • 28. Un agrume • 31. Il nome di Marley • 32. Blasfemo • 33. Per nulla faceti • 34. Coppia, due • 35. L’albergo dell’autista • 36. Lo spinto del sarto • 38. Oscuri • 39. Curate • 42. Il pronome dell’egoista • 43. Il numero perfetto • 44. Il Ford dei fumetti • 47. Gola centrale • 49. Un fiore e uno strumento • 51. Permessi dalla legge • 54. Si contrappone a off • 55. Ricatto. Verticali 1. Noto film western del 1967 di John Sturges con James Garner • 2. Encomio, lode • 3. Alimento, vivanda • 4. Uccide Abele • 5. Arbusto terapeutico • 6. Mettere sulla bilancia • 7. Un vulcano • 8. La prima nota • 9. Irrealizzabili, inattuabili • 15. Io, in altro caso • 18. Il regno dell’oltretomba • 21. Un valico svizzero • 23. Un rettile innocuo • 25. Fastidiosa, tediosa • 27. Combatte nell’arena • 29. Profonda, intima • 30. Negazione • 33. Dispari in sposa • 37. Un dato anagrafico • 40. Città francese • 41. Il noto Presley • 45. Dittongo in baita • 56. Il cibo quotidiano • 48. L’Essere Supremo • 50. Colonna centrale • 52. Corriere Ticino • 53. Turchia.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 5

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 23 gennaio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 21 gennaio a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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La soluzione del Concorso apparso il 3 gennaio è: FALCIARE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Elvezio Bernasocchi via Belvedere 3 6503 Bellinzona Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!

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SPINAS CIVIL VOICES

LA VITA DI TROPPI BAMBINI SI SPEGNE PER MANCANZA DI ACQUA POTABILE. Per Natale, chiedete acqua potabile per i bambini africani. Avviate ora la vostra raccolta fondi al sito

il-mio-desiderio-per-natale.ch


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