Ticino7

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№ 7 del 14 febbraio 2014 · con Teleradio dal 16 al 22 febb.

Cibo per denaro

La speculazione sugli alimenti soffoca i paesi più poveri minando il loro sviluppo

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Ticinosette n. 7 del 14 febbraio 2014

Impressum Tiratura controllata 66’475 copie

Chiusura redazionale Venerdì 7 febbraio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

4 Arti Cecil Taylor. Lo sciamano del jazz di alessandRo tabacchi.................................... 8 Letture Curare le persone e la società di RobeRto Roveda ......................................... 9 Media Animazione. La rivincita dei cartoni di MaRiella dal FaRRa ............................ 10 Graphic Novel Caffè di elio FeRRaRio .................................................................... 12 Vitae Natasha Lusenti di lauRa di coRcia................................................................ 14 Reportage AIUTO! a cuRa di Reza KhatiR; FotogRaFie degli studenti suPsi-cv3 ............ 39 Racconto La bellezza del piombo di daniele Fontana ............................................ 46 Tendenze Ristorazione. Fusion sì, ma cino/giapponese di nicoletta baRazzoni ....... 48 Svaghi .................................................................................................................... 50

Agorà Economia. Il pane quotidiano...

di

RobeRto Roveda ........................................

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione

In attesa del caldo...

via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

La materia prima Illustrazione ©Danilo Sala

Nell’ambito del concorso fotografico lanciato da Ticinosette il mese scorso (n. 4 del 24 gennaio), pubblichiamo una delle immagini giunte in queste settimane in Redazione. La invia Robert di Balerna, una visione “subacquea” con la quale il cortese lettore ha voluto illustrare uno dei soggetti in concorso, “l’invisibile”. Ricordiamo che ciascun partecipante – per ovvie ragioni sono esclusi categoricamente i fotografi professionisti, ma non apprendisti fotografi e altre persone in formazione – nel corso dell’anno potrà inviare una sola foto per ogni sezione, anche in tempi diversi. Oltre alla sezione a cui ha partecipato il lettore di Balerna vi sono: “se stessi”, “in movimento”, “la famiglia”, “il lavoro” e “gli oggetti”. Ricordiamo anche che in ogni invio deve essere specificata la sezione a cui si intende

concorrere, oltre al proprio nome e cognome, l’indirizzo e un recapito telefonico. Come già indicato, le immagini – che saranno accettate solo se inoltrate in alta risoluzione (300/320 ppi) in modo da consentirne la pubblicazione – dovranno essere inviate al seguente indirizzo di posta elettronica: phototicinosette@gmail.com. Mensilmente pubblicheremo una fotografia selezionata tra quelle giunte nell’arco delle quattro settimane, e ritenuta la più interessante dal comitato di Redazione. Nel prossimo numero verrà dunque pubblicata la prima immagine e alla fine del 2014 le migliori saranno raccolte in un reportage. Il vincitore finale, selezionato sempre dalla Redazione, riceverà un premio in contanti di ben 400 franchi. Buona lettura, la Redazione


Il pane quotidiano… Economia. La crisi ha rivelato come una finanza priva di regole e orientata solo al profitto porti vantaggi a pochi, mettendo a rischio il benessere della maggior parte di noi. Una concezione scellerata di intendere le operazioni finanziarie che ha il suo esempio peggiore nella speculazione sulla produzione degli alimenti

di Roberto Roveda; illustrazione ©Danilo Sala

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Agorà 4

peculazione è un termine che suscita apprensione, soprattutto in tempi di crisi economica e di sobbalzi da finanza creativa e spericolata. La preoccupazione aumenta nel momento in cui questo tipo di attività riguarda materie prime o generi indispensabili: gas e petrolio, medicinali e, principalmente, il cibo. In fase di recessione, infatti, il profitto passa anche attraverso la speculazione sulle derrate agricole, un ambito che negli ultimi tempi è diventato terreno d’azione di operatori finanziari più o meno spregiudicati. Operatori che agiscono nel cosiddetto mercato a termine, cioè in quel mercato (definito anche forward) nel quale vengono venduti beni (stock di merci, titoli o valute) per consegna futura a un prezzo prestabilito al momento della stipulazione del contratto di compravendita. In sintesi, chi investe nel mercato a termine fa una scommessa e nel nostro caso scommette sulle fluttuazioni dei prezzi dei generi alimentari. Un gioco spregiudicato che può portare a grandi guadagni ma anche a forti perdite. Un gioco che, fissando in qualche modo il prezzo che un determinato prodotto potrà avere in futuro, influisce sull’andamento dei prezzi e quindi su quanto spendiamo nel momento in cui facciamo la spesa. Investire… Nel contesto degli investimenti sui generi alimentari bisogna però chiarire subito che non sempre si è di fronte a speculazioni e occorre distinguere tra operatori convenzionali e veri e propri speculatori finanziari. Per fare un esempio: l’agricoltore che non sa quanto potrà valere il suo raccolto l’anno successivo, potrà assicurarsi sul mercato a termine, cioè contro le future oscillazioni dei prezzi, fissando contrattualmente il prezzo e la data di consegna di quello che produce direttamente con l’acquirente (un mulino, un commerciante di alimentari ecc.). Tali contratti di borsa a termine si chiamano future. Affinché il contadino e il compratore possano operare più agevolmente, intervengono degli intermediari, i cosiddetti hedger: questi ultimi fungono in qualche modo

da “garanti” tra i contraenti. L’hedger si assume le perdite (del contadino), nel caso in cui il prezzo tra la stipulazione del contratto e la data di esecuzione scenda notevolmente. Viceversa, nel caso in cui il prezzo salga sensibilmente, l’hedger ci guadagna. Inoltre, l’hedger riceve – per la propria attività e il relativo rischio – una commissione dal contadino e dal compratore delle materie prime. In tal modo, entrambi i contraenti acquisiscono sicurezza. Da non trascurare peraltro che l’hedger ha confidenza con il mercato e, quindi, il suo ruolo di “speculatore convenzionale“ ha effetti stabilizzanti. … e speculare Tutt’altra cosa, invece, la funzione degli speculatori finanziari veri e propri, tra i quali possono esserci operatori piuttosto spregiudicati di banche, assicurazioni, casse pensione, fondi d’investimento ed hedge fund (fondi speculativi). Il loro unico obiettivo è quello di realizzare profitto. Nel loro modus operandi e nell’adottare le loro decisioni, essi non sono guidati esclusivamente dal gioco della domanda e dell’offerta e/o dalle scorte alimentari disponibili sul mercato reale. La loro è mera attività speculativa e può comportare l’aumento di volatilità dei prezzi degli alimenti e la costituzione di relative bolle speculative analoghe, per esempio, a quelle verificatesi a livello borsistico negli ultimi anni. Giusto per capirci, comportamenti di questo tipo, secondo i dati della FAO, hanno portato all’aumento del 70% dei prezzi delle derrate agricole tra il 2005 e il 2007, prezzi che sono calati di circa il 65% nel giro di un anno per poi risalire alle vette del 2007 e ancora nel 2009. Oscillazioni spaventose che ci fanno capire come gli speculatori finanziari non svolgano alcuna funzione stabilizzatrice, ma anzi provochino una distorsione dei prezzi. Mancanza di regole Ma perché oggi si specula sui generi alimentari? Le ragioni sono da ricercare nella deregolamentazione dei mercati finanziari e nelle deboli performance delle altre categorie


Agorà 5

d’investimento (azioni, immobili ecc.). Fino ai primi anni novanta del secolo scorso vigevano inoltre restrizioni numeriche rispetto alle operazioni a termine di ciascun operatore: erano i cosiddetti limiti di posizione che facevano sì che un singolo investitore non potesse operare più di tanto in una stessa categoria di prodotti. Tale restrizione contribuiva a tenere lontano dal mercato alimentare attori che avevano interessi meramente speculativi. Poi, una quindicina di anni fa, i mercati finanziari hanno conosciuto un’ondata di liberalizzazioni e, conseguentemente, l’indebolimento dei limiti di posizione. A questo punto, le banche e altri operatori hanno avuto la facoltà di offrire direttamente ai clienti transazioni a termine, aggirando così le restrizioni di borsa. Soprattutto a partire dal 2003 molti speculatori sono entrati nel mercato delle materie prime. Il crollo del mercato immobiliare americano e la crisi finanziaria a livello mondiale hanno rafforzato ulteriormente tale tendenza. In seguito, visto che altre categorie d’investimento promettevano rendite insoddisfacenti, un numero crescente di speculatori ha cercato rifugio nel settore delle materie prime, non fermandosi neppure di fronte al mercato alimentare. Il risultato è che oggi solo il 3% delle transazioni

a termine sfocia nella fornitura effettiva di materie prime; il resto dei contratti viene sciolto anticipatamente e a fini di speculazione. Gli speculatori finanziari, inoltre, controllano di fatto il settore alimentare dato che la quota da loro detenuta nel mercato delle materie agrarie è passata dal 20% degli anni novanta al 70-80% attuale. Speculare sul cibo: quali conseguenze? Tale trend induce un processo di finanziarizzazione dei costi dei generi alimentari: i prezzi non vengono più stabiliti dalle esigenze dei consumatori e dei contadini, bensì da variabili del mercato e da ragioni proprie degli operatori finanziari. Le conseguenze di questa finanziarizzazione del cibo le chiediamo a Yvan Maillard Ardenti della onlus “Pane per tutti”1, che assieme a “Sacrificio Quaresimale”2 ha lanciato negli scorsi mesi una campagna contro la speculazione alimentare (stopp-spekulation.ch): Per prima cosa la speculazione alimentare destabilizza l’economia reale. A causa del crescente afflusso di speculatori sul mercato, vengono sottoscritti sempre più contratti che nulla hanno a che vedere con l’economia vera, concreta. Nel contempo però, tali contratti finiscono per influenzare i prezzi reali dei prodotti agrari. Infatti, i segnali scaturiti dal mercato a termine (...)


“Per capirci, il numero delle persone che soffrono la fame nei paesi in via di sviluppo nel 2007/2008, in concomitanza con il vertiginoso aumento dei prezzi dei cereali a cui si accennava prima, è passato da 850 milioni di persone a oltre un miliardo. La speculazione alimentare non è certo l’unica causa di questo incremento, ma sicuramente ha pesato” (Yuan Maillard Ardenti, “Pane per tutti”)

valgono quale orientamento per il commercio in generale; nella trattativa sui prezzi di fornitura, produttori e commercianti fanno riferimento proprio al prezzo del mercato di borsa. Un maggior prezzo futuro implica maggiore disponibilità a pagare prezzi più alti sul mercato reale. Tale forza condizionante del mercato a termine è cresciuta negli ultimi anni parallelamente al rafforzamento degli speculatori. In altri termini, la maggiore influenza acquisita dagli speculatori finanziari sui prezzi agrari evidenzia sempre più la stretta correlazione tra mercati delle materie prime e mercati finanziari.

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Quali sono le conseguenze per i paesi poveri? In estrema sintesi, le conseguenze, soprattutto per chi vive nei paesi poveri del mondo, è che i generi alimentari possono costare sempre di più; oppure un contadino può vedere improvvisamente crollare i valori di mercato di quello che produce e che garantisce a lui e alla sua famiglia di che vivere. I paesi del sud del mondo, inoltre, risentono molto direttamente delle oscillazioni di prezzo degli alimenti a livello globale. Molti di questi paesi, infatti, sono ben lontani dalla autosufficienza alimentare e dipendono enormemente dall’importazione di numerosi prodotti. Per esempio, se la Repubblica Democratica del Congo o la Sierra Leone acquistano riso sul mercato mondiale, dovranno pagare il prezzo stabilito dalla borsa di Chicago, il più grande mercato alimentare del mondo. In caso di rincaro dovuto a speculazione ne subiranno immediatamente le conseguenze. In generale, a causa della speculazione alimentare, i costi dei generi alimentari di base – quali, mais, frumento e olio – oscillano fortemente e talvolta crescono in modo vertiginoso tanto che molte persone che vivono nei paesi del sud non sono più in grado di pagarli. Per capirci, il numero delle persone che soffrono la fame nei paesi in via di sviluppo nel 2007/2008, in concomitanza con il vertiginoso aumento dei prezzi dei cereali a cui si accennava prima, è passato da 850 milioni di persone a oltre un miliardo. La speculazione alimentare non è certo l’unica causa di questo incremento, ma sicuramente ha pesato. Proprio nei paesi più poveri – dove le famiglie spendono tra il 50 e il 90% del loro reddito per il cibo – l’aumento dei prezzi degli alimenti di base costituisce una questione esistenziale. Essendo costretti a spendere tutto il denaro per mangiare, non resta nulla per il resto. Ma l’aumento dei prezzi non favorisce gli agricoltori, che sono la maggioranza della popolazione in questi paesi?

Spesso i piccoli contadini locali non traggono beneficio dal rincaro dei prezzi. Uno studio fatto in Kenya evidenzia che a giovarsi dell’aumento dei prezzi spesso sono commercianti e grandi agricoltori, in grado di avvalersi della loro forza di mercato. Anche in Thailandia, nel 2007, è stato riscontrato che – pur crescendo fortemente i prezzi degli alimentari alla borsa thailandese e sul mercato mondiale – i contadini locali hanno realizzato addirittura prezzi inferiori. Inoltre, i prezzi per beni necessari all’agricoltura – quali, sementi, concime e combustibile – evolvono parallelamente ai prezzi degli alimenti. In altri termini, aumentando i prezzi mondiali per gli alimenti, crescono anche i costi di produzione per i piccoli contadini, senza però che questi possano avvalersi di prezzi di vendita maggiori per i loro prodotti. Cosa si può fare a livello internazionale per arginare il fenomeno? Organizzazioni per lo sviluppo e per il sostegno dei paesi poveri chiedono una stringente regolamentazione delle transazioni a termine sulle materie prime alimentari. In particolare: leggi più severe, restrizioni commerciali più incisive per speculatori e maggiore trasparenza grazie a rapporti pubblici sulle attività di investimento. Le transazioni dovrebbero aver luogo possibilmente nelle borse e le speculazioni delle multinazionali agroalimentari dovrebbero essere sottoposte a controllo. Un aspetto cruciale è costituito dalla distinzione fra transazioni a termine per la copertura dei prezzi rispetto a quelle aventi mero scopo speculativo. In via generale, è sempre possibile accertare se una specifica transazione a termine sia effettivamente collegata a rischi concreti del mercato reale, come per esempio garantire a un commerciante di frumento la reale disponibilità di determinati quantitativi di frumento. Il fatto che contratti di borsa a termine possano essere stati gestiti a lungo – e senza problemi – con quote solo marginali di speculazione, rende evidente che la forte partecipazione di speculatori finanziari non è proprio necessaria ai fini di un’attività ben strutturata. Quindi perché non farne a meno e puntare su investimenti più virtuosi?

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Lo sciamano del jazz Miles Davis ha sempre detestato Cecil Taylor, accusandolo di aver pervertito il jazz e di averlo portato in un vicolo cieco alla cui fine vi era solo rumore e caos di Alessandro Tabacchi

Arti 8

John Coltrane ci fece un gran disco assieme, ma non vol- estetica musicale: aspra, dissonante, cerebrale, ma anche le ripetere l’esperienza. Oggi, all’alba dei suoi 85 anni, è infinitamente progressiva e stimolante. Il pianoforte sotto stabilmente nei libri di storia della musica, e il suo nome le sue dita prodigiose si piegava a diventare uno strumento campeggia a caratteri cubitali sotto le voci “free jazz” o a percussione fragoroso o un’orchestra di timbri sovrapposti “improvvisazione radicale”. Il grande pubblico non lo e fugaci. Era una vera macchina da accordi, un po’ come ha mai amato, e in effetti per i cocktail è sinceramente McCoy Tyner, ma questi accordi non seguivano più l’armomeglio la fusion. nia tradizionale, non erano neppure espressioni verticali La sfida culturale di Cecil Taylor fu lanciata negli anni dei di polifonie modali, erano piuttosto variazioni di colore ghetti infiammati dal ruggito delle Pantere Nere, mentre che gravitavano intorno a un centro d’attrazione timbrico. la coscienza degli afroamericani era Col tempo la sua musica divenne ricca lacerata, fra il fondamentalismo cool di di vere e proprie fasce sonore, versione Malcolm X e la civilissima fermezza di voodoo della matematica freddezza di Martin Luther King. Taylor fu il primo Iannis Xenakis. ad avere l’ambizione di unire le più avLa sua improbabile rivoluzione tribale vincenti, ma al gran pubblico indigeste, postweberniana piacque assai alle orecistanze dell’avanguardia musicale claschie più raffinate e insoddisfatte emerse sica (leggi scuola di Darmstadt), ovvero dalle rovine dell’Europa post-sessantotatonalismo, serialismo, puntinismo, tina: inevitabilmente Cecil Taylor si avcon l’energia tribale della tradizione vicinò alla cultura dell’improvvisazione nera, incanalando il tutto nel magma radicale, che stava muovendo i suoi pribollente di quella nuova scuola jazz mi passi in quegli anni fervidi, e ancora che, in mancanza di meglio, venne fortunatamente non si era trasformata chiamata inizialmente new thing, poi, in accademia dell’inusuale. con maggior successo, free jazz. Cecil Taylor faceva concerti epici, suoEppure non suonava l’iconico e urtinava senza tregua e senza risparmiarsi, cante sax tenore come Archie Shepp, si spendeva in mille collaborazioni (riAlbert Ayler e Pharoah Sanders, gli cordo solo un disco, dal titolo sincero apostoli della nuova liberazione mu- Cecil Taylor durante un’esibizione al Festi- ma immodesto, Historic concerts, del sicale afroamericana, ma si sedeva al val di Moers, nel 2008 (pl.wikipedia.org) 1979 con Max Roach, che fortunataben più borghese e apparentemente mente è stato ristampato di recente). A rassicurante pianoforte. Aveva ricevuto una solidissima Berlino nella seconda metà degli anni ottanta, in una luneducazione musicale classica, e in questo somigliava a Duke ghissima serie di concerti, cui seguirono numerose pubbliEllington, non certo a Ornette Coleman. Scriveva poesie, cazioni su disco (fra tutte gli splendidi e magmatici Olu Iwa recitava e danzava. Era un nero arrabbiato come milioni e For Olim), Cecil Taylor consolidò la sua fama, se non nel di altri lo erano di diritto negli anni sessanta, col broncio cuore di un vasto pubblico, almeno in quello di una fetta serioso tipico dei rivoluzionari, ma era omosessuale, e in di ascoltatori inorriditi dalla plastificazione (della musica, questo offriva pochi argomenti a quella vulgata wasp molto dell’arte, dello spirito…) dominante negli eighties. in voga all’epoca (e forse ancora oggi) che a intermittenza vedeva nei neri ora degli schiavi ora degli stalloni. Verso il futuro Artista di nicchia? Forse no. Piuttosto un artista universale Fasce sonore in anticipo sui tempi, della cui arte il mondo prenderà Con Unit Structures del ‘66 Cecil Taylor emerse come un piena coscienza solo fra cinquanta, cento anni. Sempre che musicista fuori dal comune in un periodo ricco di arte tutto quello per cui Cecil Taylor ha combattuto, la libertà fuori dal comune. E ancor oggi, pur col passo rallentato espressiva, la lotta contro il pregiudizio, la supremazia della dei grandi vecchi mai domi, non ha smesso di agitare le creazione artistica sul mercato, il rifiuto di un’arte conacque di un mondo sempre più prevedibile e incartapeco- solatoria, il coraggio della sperimentazione, l’educazione rito come quello del jazz. all’ascolto complesso e al valore del dubbio, abbia ancora A trentacinque anni aveva definito compiutamente la sua dei sostenitori nel futuro. Ce lo auguriamo di cuore.


Letture di Roberto Roveda

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Curare le persone e la società di Franco Cavalli Edizioni Casagrande, 2013

Personaggio spesso sotto i riflettori e frequentemente scomodo per la decisione e la coerenza con cui porta avanti le sue idee, Franco Cavalli non è solo un oncologo di fama internazionale, ma da almeno tre decenni uno dei protagonisti della società civile e della vita politica ticinese. Di lui si conoscono non solo le prese posizioni a volte nette e irriducibili, capaci di dividere l’opinione pubblica, ma anche l’impegno sociale e le battaglie affinché un’assistenza medica di buon livello venga assicurata a tutti, anche a chi vive nei paesi più poveri del mondo. Allo stesso modo sono conosciuti i successi ottenuti durante la lunga carriera di scienziato impegnato nella lotta contro il cancro. La conversazione con la giornalista Giulia Fretta raccolta nel volume Curare le persone e la società ci consente, però, di andare al di là del personaggio pubblico e di entrare in contatto in maniera ravvicinata con l’uomo, ripercorrendone le scelte professionali e di vita. Emerge così, in questa ampia “confessione”, un Franco Cavalli al contempo idealista e pragmatico, legato visceralmente ai suoi ideali giovanili di uguaglianza ma senza illusioni ideologiche; perennemente diviso tra passione politica e ricerca scientifica, sempre pronto a buttarsi nella mischia e all’azione concreta, anche sfidando l’impopolarità. Un combattente, molto stimato come mostrano anche i tanti riconoscimenti internazionali citati nel libro, ma anche difficile da gestire e da irreggimentare e per questo poco amato dall’establishment, sia medico-ospedaliero, sia politico. A fare da filo conduttore al libro, come suggerisce già il titolo, l’attenzione di Cavalli per la società che lo circonda che comincia, per l’attuale Direttore Scientifico dell’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana (IOSI), col considerare sempre il paziente che si incontra nella corsia di un ospedale prima di tutto una persona. Non un malato da studiare e provare a guarire, ma un essere umano di cui prendersi cura a 360 gradi. Si manifesta così l’umanesimo di fondo che guida da sempre l’azione di Cavalli, il suo intendere anche la medicina come qualcosa di più ampio che una semplice disciplina scientifica: piuttosto un modo per “curare” la società e quindi fare politica. Un’attività, quella politica, che nel libro viene richiamata nel suo significato più alto, cioè di opera che mira a “prendersi cura” della polis, dello stato e della comunità che lo costituisce. Per l’oncologo locarnese, infatti, valgono le parole scritte più di un secolo fa dal medico e antropologo tedesco Rudolf Virchow: “La medicina è una scienza sociale e la politica non è altro che medicina su larga scala”.

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La rivincita dei cartoni I film d’animazione sono stati sin dalla loro origine relegati a intrattenimento per i più piccoli. Oggi grazie a tecniche realizzative avanzate e ad attori noti che danno le voci ai personaggi sono apprezzati da un pubblico sempre più ampio e senza limiti di età di Mariella Dal Farra

C’erano una volta gli Aristogatti e tutta la poetica fantasmagoria dei film d’animazione della Disney: Biancaneve e Cenerentola, La carica dei 101, Bambi e Il libro della giungla. Sul fronte orientale, a partire dal 1979 – anno di uscita del suo primo lungometraggio, Lupin III: Il castello di Cagliostro – Miyazaki ci introdusse a un universo immaginativo qualitativamente diverso da quello a cui i nostri occhi erano abituati. Sempre dall’oriente, nel 1988 giunse Akira di Katsuhiro Otomo che, oltre a essere un capolavoro assoluto nell’ambito dei film d’animazione, nonché riconosciuto capostipite dell’estetica cyberpunk, fu anche uno dei primi a utilizzare la grafica computerizzata. Poi arrivò la Pixar, e niente fu più come prima. Media 10

Il rivoluzionario “Toy Story” Nata come laboratorio per lo sviluppo di tecniche di computer grafica, utilizzate da agenzie governative e in ambito medicale, la Pixar (nella pagina di destra la loro inconfondibile lampada-icona, ndr.) trovò la propria vera vocazione sotto l’egida di Steve Jobs, che ne divenne principale azionista nel 1986. Cinque anni dopo, la società firmò un contratto di ventisei milioni di dollari con la Disney per la produzione di tre film d’animazione il primo dei quali, Toy Story, vide la luce nel 1995. Primo lungometraggio prodotto interamente al computer, Toy Story riscosse un successo enorme, con introiti superiori ai 361 milioni di dollari e un riconoscimento internazionale tanto a livello di critica che di pubblico. A lato del suo riscontro, il film segnò l’abbandono definitivo delle tecniche di produzione artigianale del cartone animato a favore dell’animazione computerizzata, che “è essenzialmente l’erede digitale delle tecniche di stop motion usate nell’animazione tradizionale con modellini tridimensionali”. Lo stop motion, in realtà, è tuttora usato, per esempio da Tim Burton, che nelle sue incantevoli fantasie neo-gotiche si avvale di pupazzetti “veri” mossi manualmente fotogramma per fotogramma. Nell’animazione computerizzata, invece, gli oggetti vengono “modellati” al computer, partendo da uno “scheletro” virtuale che viene corredato dal viso, dagli abiti, dai capelli e da tutti gli attributi che caratterizzano il personaggio. “La posizione di ciascun segmento del modello è definita dalle variabili d’animazione, o avars. […] Il personaggio di Woody in Toy Story, per esempio, usa settecento avars, cento delle quali solo per il viso”1. I modelli tridimensionali sono “plasmati”

dall’animatore in un certo numero di posizioni-chiave, mentre “le differenze nell’aspetto fra le posizioni è calcolato automaticamente dal computer in un processo noto come morphing, che consente la resa dell’effetto di animazione”2. Il risultato sensibile è quello di un movimento straordinariamente realistico e, al contempo, potentemente immaginativo: una specie di “realismo magico” del cartone animato. Nel mondo dell’animazione, infatti – come l’indimenticabile “meta-cartone” Chi ha incastrato Roger Rabbit? (1988) insegna – i personaggi, così come gli oggetti in generale, sono svincolati dalle normali leggi fisiche, ampliando i confini del possibile oltre i limiti ge-

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neralmente consentiti. E forse è proprio per questo che i film d’animazione sono così “consoni” all’infanzia: se gli adulti amano confrontarsi, anche solo virtualmente, con i propri limiti, e ricercano quindi personaggi verosimili, i bambini questi limiti li trascendono, avventurandosi con gioia nel mondo dell’(im)possibile. L’animazione entra nell’Olimpo Tutto questo, almeno, fino a un po’ di tempo fa; ma il salto di qualità compiuto dai film d’animazione a partire dalla seconda metà degli anni novanta, non solo sotto il profilo tecnologico ma anche concettuale (sceneggiature, dialoghi, registri, ecc.), ha avuto fra le sue conseguenze anche quella di cooptare una parte significativa del pubblico adulto, rendendo il genere sempre più trasversale in rapporto alla variabile “età”. Così, nel 2001, l’”Accademia degli Oscar” (Academy of Motion Picture Arts and Sciences) istituisce la categoria “Miglior film d’animazione”. Contemporaneamente, molti attori di primo piano iniziano a lavorare in questo settore, prestando la propria voce a personaggi animati, quali Eddie Murphy e Cameron Diaz (Shreck, 2001), John Goodman (Monsters and Co., 2001), Willem Dafoe (Alla

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ricerca di Nemo, 2003), Johnny Depp e Helena Bonham Carter (La sposa cadavere, 2005, e tutti i film d’animazione di Tim Burton), Sigourney Weaver (WALL•E, 2008), Nicolas Cage (I Croods, 2013). Siamo dunque di fronte a un vero e proprio Rinascimento del film d’animazione, che annovera fra le proprie fila anche produzioni splendidamente autoriali – queste però per lo più rivolte a un pubblico adulto – quali Persepolis (2007, candidato all’Oscar) e Valzer con Bashir (2008, Golden Globe 2009 come migliore film straniero). Qualche controindicazione? Nessuna, per quanto ci riguarda, tranne quelle che normalmente si accompagnano al successo: rappresentando ormai una parte consistente del mercato cinematografico, i budget dei film d’animazione sono lievitati a cifre enormi, riducendo proporzionalmente i margini di rischio. “Il cartoon in CGI, che all’epoca di Toy Story veniva guardato con interesse anche perché realizzato con un finanziamento inferiore a quello del Re Leone, ora viaggia sui 135-185 milioni. Case come la Pixar e la DreamWorks Animation, per citare i due maggiori contendenti nel ramo, tradiscono un crescente nervosismo per i margini sempre più stretti in cui fare manovra: la seconda poche settimane ha sfondato il guardrail col flop di Turbo”3. Fa eccezione la Illumination Entertainment diretta da Chris Meledandri, che con mezzi relativamente ridotti ha prodotto due dei cartoni più... “accattivanti” degli ultimi anni: parliamo di Cattivissimo Me I (costato 70 milioni, ne ha guadagnati 543) e II (76 milioni contro – per ora! – oltre 870). Il “segreto” sembra risiedere nel coraggio di puntare su soggetti originali, magari anticonvenzionali che, a prescindere dai mezzi tecnici utilizzati, riescano a toccare l’immaginazione e l’emotività del pubblico. L’utilizzo di “manodopera” europea – nello specifico, lo studio Mac Guff di Parigi – sembra a sua volta contribuire positivamente al bilancio, “almeno finché i grafici europei non cercheranno di adeguare il proprio trattamento a quello dei colleghi d’oltreoceano”4…

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invito alla visione Su base perfettamente arbitraria, si segnalano in particolare i film di Tim Burton (Nightmare before Christmas, 1993; La sposa cadavere, 2005; Frankenweenie, 2012), quelli di Miyazaki (Il mio vicino Totoro, 1988; La città incantata, 2001; Il castello errante di Howl, 2004), i già citati Persepolis (2007) e Valzer con Bashir (2008), nonché l’imperdibile Despicable Me (Cattivissimo Me, 2010) con relativo sequel (Cattivissimo Me 2, 2013) e spin-off (Minions, uscita prevista nel 2015).

note 1 en.wikipedia.org/wiki/Computer_animation 2 Ibidem. 3 Domenico Misciagna, “L’Illumination e il budget accorto di Cattivissimo Me 2”, 10/10/2013: comingsoon.it/News/?source= cinema&Key=27026 4 Ibidem.

Media 11


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SOLO LATTE

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“CIANURO”

AMERICANO

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CORRETTO

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“SCHÜMLI”

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IN TAZZA GRANDE (con cuore)

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S

ono nata a Bienne, ma ero troppo piccola per ricordare qualco­ sa. Se penso alla mia in­ fanzia, la prima cosa che mi viene in mente è il mio appartamento di fronte al­ le scuole di Agno, grande e luminoso: un luogo dove sono stata benissimo. Agno mi piaceva molto, per via degli aerei. Mi passavano sopra la testa e io sognavo: l’amore per i viaggi mi ac­ compagna sin da bambina. Poi ci siamo trasferiti a Bre: non che non mi piacesse il paese, immerso nel verde, ma avevo perso tutti gli amici. È stato un piccolo trauma, anche perché per la quarta e la quinta biso­ gnava spostarsi a Lugano e adattarsi di nuovo. Avrei voluto iscrivermi al Liceo classico, ma i miei mi con­ vinsero a scegliere le com­ merciali di Bellinzona. Per l’università, invece, ho scelto l’Italia: mio nonno era italiano e sentivo la necessità di tornare alle mie origini. A Pavia, per evitare di essere presa in giro per l’accento, mi sono dovuta adattare all’italiano degli italiani, ho dovuto sciacquare i panni in Arno. La mia carriera giornalistica è iniziata al Giornale del Popolo nel novembre del 1992. Ricordo con affetto due persone: Moreno Bernasconi e Bruno Costantini. Mi hanno dato molta fiducia e mi hanno fatto capire che avevo le capacità per fare questo lavoro. Solo che io ero un po’ inquieta in quel periodo, quindi ho mollato tutto e sono stata per qual­ che tempo negli Stati Uniti. Rientrata, ho trovato lavoro a Ticino Management. Per un periodo, mi spedirono a fare dei lavori di impaginazione in uno studio grafico a Milano: lì conobbi Enrico Deaglio e mi spostai al Diario. Fu una grande occasione: per un anno rimasi in panchina, occupandomi soprattutto di correggere le bozze. Poi, il salto di qualità: un contratto da giornalista praticante. Deaglio è stato un mae­ stro, mi ha insegnato che cos’è il giornalismo di impegno politico e cosa significhi realizzare un vero reportage. È un’impostazione di base che non ho più perso. Non avevo intenzione di passare alla TV, è stato un caso: in realtà volevo avvicinarmi a Roma, perché il mio ragazzo viveva lì. Così, quando un mio compagno mi propose di partecipare a un casting per una trasmissione di cinema, dopo lunghe insistenze mi presentai. E mi assunsero. Partii con l’avventura televisiva, che mi portò, a trent’anni (do­

po un altro provino) alla trasmissione “Sciuscià” di Michele Santoro. Lui è uno che ti dà carta bianca, ti butta nell’acqua fredda… e io, nonostante il carattere un po’ ansioso, sono una che nuota. Purtroppo la trasmissione chiuse i bat­ tenti l’anno dopo, quindi mi inventai un altro per­ corso: approdai al “Gam­ bero rosso”. Un’esperienza completamente diversa, ma è stato divertente co­ noscere il mondo dell’alta gastronomia. Quando meno me l’aspet­ tavo, dopo una nuova esperienza con Santoro, questa volta ad “Anno Ze­ ro”, LA7 mi ha proposto la conduzione di “Atlan­ tide”. E poi, ancora, un programma con Romano Prodi. E infine “In onda”, con Filippo Facci: mi dis­ sero che la diretta sarebbe stata una droga. E in ef­ fetti, dopo aver superato la rigidità iniziale, già a partire dalla terza puntata ero a mio agio e non avrei fatto null’altro. Ora la vi­ ta è di nuovo cambiata: ho dovuto lasciare la mia casa, a Roma e lavoro a “Caterpillar AM”: la radio è una nuova avventura, anche il pubblico, rispetto a quello televisivo, è differente. Unico neo: mi devo svegliare alle quattro del mattino. Quando penso alla mia carriera, mi accorgo che è il frutto di tante casualità: non avevo un obiettivo preciso, se non quello di lavorare nell’ambito del giornalismo. Non sono una di quelle che hanno iniziato nella carta stampata con lo scopo di passare in TV, per intenderci. Non nego di aver faticato, anche tanto: spesso mi sono occupata di settori per i quali possedevo conoscenze solo sommarie e ho dovuto recuperare, studiare molto. Anche l’aspetto relazionale è stato duro: negli anni ho trovato persone che mi hanno voluto bene, altre che mi hanno ostacolata. Non a tutti gli uomini piacciono le don­ ne intelligenti, che dicono di no se non sono d’accordo su un contenuto, non a tutte le donne piace fare squadra. Col tempo mi sono rinforzata, ma alcune cose, proprio a causa della mia sensibilità, mi fanno stare male. Ma vado avanti: amo troppo questo lavoro per smettere.

NATASChA LUSENTI

Vitae 14

Ha iniziato la sua carriera giornalistica al “Giornale del Popolo”. Poi l’approdo ai media della vicina Italia, accanto a Enrico Deaglio, Romano Prodi, Michele Santoro, Filippo Facci…

testimonianza raccolta da Laura Di Corcia fotografia ©Gianluca Mosti


Sala controllo, pianeta terra chiama:

Aiuto! a cura di Reza Khatir; fotografie studenti SUPSI-CV3

Sono lieto di presentare, come già avvenuto in passato, i lavori prodotti dai miei studenti del terzo anno del Corso di laurea in Comunicazione visiva del Dipartimento ambiente costruzione e design (DACD) della SUPSI di Lugano-Trevano. Quest’anno ho chiesto loro un notevole impegno, che nel corso del semestre li ha portati a realizzare ben dodici progetti, più altri due per l’esame. Personalmente ritengo abbiano lavorato intensamente e con ottimi risultati. A prescindere dai temi tecnici come fotografia in studio e still life, hanno spaziato tra argomenti molto diversificati, per esempio “Ombra”, “Figura nel vuoto”, “Eleganza”, “Brezza” ecc. I temi che ho affidato loro per l’esame finale erano i seguenti: “Il viaggio: viaggiamo insieme, ognuno da solo” e quello principale del Dittico, “Sala controllo, il pianeta terra chiama: Aiuto!” del quale sono qui pubblicati alcuni lavori da me selezionati. Molti di questi temi erano talmente vasti e aperti all’interpretazione da risultare davvero impegnativi. Devo ammettere che per

me è importante incoraggiare gli studenti a usare la fantasia e la creatività e cerco sempre di dare loro argomenti non scontati e quest’anno ancora una volta hanno dimostrato di avere, oltre al talento, una grande maturità nelle loro scelte nonché un’ottima capacità tecnica ed estetica nella realizzazione delle fotografie. È importante sottolineare che questi studenti non stanno frequentando una scuola di fotografia, ma un corso universitario più ampio di comunicazione visiva, del quale la fotografia è solo uno degli elementi. Questo valorizza ancora di più a mio avviso il loro lavoro e l’impegno che è stato dedicato al mio corso. Auguro a tutti una buona visione di queste immagini e auguro ai miei studenti di perseguire la loro strada con determinazione. nelle immagini: Michele Larghi (tema: Pianeta terra chiama: aiuto!) a sinistra: Animale: il primo uomo (con il cervello) a destra: Umano: l’ultimo animale (senza cuore)


Il gruppo degli studenti; fotografie ŠReza Khatir e studenti CV3

Lorenzo Gada (Figura nel vuoto)


Dimitri Rosi (Ombre)


Giada Frigerio (Pianeta terra chiama: aiuto!)

Dina Parini (Figura nel vuoto)


Carlo Rusca (Pianeta terra chiama: aiuto!)

Luca Menghini (Ombre)


Mara Mazzolini (Figura nel vuoto)

Carlo Rusca (Brezza)

Michele Larghi (Eleganza)


Michele Larghi (Luoghi comuni)


La bellezza del piombo di Daniele Fontana

Racconto 46

Avanza scuro in volto. Due bottoni della camicia slacciati. Segno di una noncuranza affettata ed esibita. Proprio le detesta queste occasioni mondane. Momenti conviviali per la forma ma nella sostanza del tutto indifferenti. Va cercando luce, quando tutto intorno gli pare buio. Finisce, come barca alla deriva, nella sala da pranzo ancora vuota. Li trova così, schierati in formazione “classica”. Nessuna concessione al moderno. In file di quattro, con un angolo di 45 gradi verso sinistra muovendo dalla punta del coltello. Temprati nel piombo, lucenti di splendore, algidi di purezza. Sono l’esercito dei bicchieri. Disposti sulla stretta tavola in attesa della battaglia serale, sovrastano, dall’alto di steli lavorati come lame, la folla sottomessa delle posate sul drappo di lino bianco. Plebe prostrata, strumenti di fatica, attrezzi d’ordinaria manovalanza, invidiosi del celeste destino riservato ai ricettacoli del nettare degli dei. In questo scintillante specchiarsi dei calici sta scritta l’ascesa quasi mistica verso la purezza. Dal medievale vetro di foresta, ottenuto con impasto di cenere di felce e di faggio e perciò facile allo sgretolamento, al Graal di un nuovo, durissimo e limpido cristallo al piombo, forgiato per la prima volta nella georgiana, settecentesca Inghilterra. Quando ormai, sulla laguna e nel mondo, stava tramontando l’elaborata grazia della produzione veneziana. L’uomo rimane incantato. Il suo viso si distende. Gli occhi si ravvivano, accesi dalla luce che quella composizione pare diffondere, scomponendo la pioggia lucente che cade dal soffitto. Un pensiero nemmeno affiorato, un gesto improvvisato eppure studiato. L’uomo si accovaccia, la faccia al filo del tavolo. Lo sguardo che si fa strada nel caleidoscopio di cristalli. Eccolo, in prima fila, il panciuto Tulipano, guardia fidata dei bianchi strutturati, corposi, maturi, dal profumo intenso. Stasera se la vedrà con un Sauvignon Sanct Valentin di S. Michele Appiano. Con i suoi sentori di erba e la sua aria di peperone verde. Aria forte, come quella che spira dalle Buche di ghiaccio. Lassù, sui pendii del Mendola, profonde fessure incise dai movimenti dell’era glaciale si sono trasformate in potenti refrigeratori. L’aria che vi entra, calda, scivola verso il basso raffreddandosi e torna libera a temperature che oscillano tra gli zero e i nove gradi. Uno sbalzo termico che permette a oltre 600 piante alpine di crescere in una zona che altrimenti per loro sarebbe ostile. Un dono antico, un servizio umile, per la bellezza della vita. Come quei filari di vite.


Da quei monti, da quei vetri, lo sguardo rimbalza in un gioco di magiche rifrazioni. A ridosso del Tulipano, quasi a contatto, troneggia il Grand Ballon. Ancor più panciuto e dall’ampia apertura, fauce spalancata in cerca del massimo di ossigenazione, alchimia che esalta la percezione olfattiva. Arma irrinunciabile per affrontare rossi corposi e molto maturi. L’incontroscontro annunciato è di quelli possenti. Un Amarone della Valpolicella, “Linea Storica”. Terra di dolci colline, di marmo rosso e di pregevolezze architettoniche e paesaggistiche, quella valle dalle molte cantine o della pulcella inginocchiata (vai tu a fidarti degli etimi popolari) offre questo nettare di potenza e fragranza dopo averne cullato le uve al sole delle marogne. La pazienza è virtù forte prima ancora che dei forti. Superato il corpo a corpo di questa prima linea, la disposizione tattica mette sul terreno un bicchiere a stelo, dall’abito classico, destinato all’acqua. La salmeria di questo agguerrito esercito. Ristoro, respiro, rifugio tra flussi etilici e calorici. Chi ha scelto i contendenti stavolta ha fatto gesto di ricercata stravaganza. L’acqua non porterà con sé i preziosi minerali delle nostre catene montane. Proviene invece da sorgenti lontane. Da trecento anni sgorga nel Ramlösa Brunnspark. Zona di Helsingborg, nel meridione della Svezia (c’è sempre un sud, anche nel nord del nord). Affacciata sul canale di mare che la divide dalla Danimarca, che è lì, a due passi, mai più così vicina. Specchio nello specchio in cui lo sguardo si perde inseguendo se stesso e i doppi dei suoi doppi, l’acqua ci chiede sincerità. Soltanto. Da questo abisso di trasparenza lo sguardo affronta l’ultimo rimbalzo. Fin su, alle ultime retrovie, dove stanno le truppe scelte preparate al lavoro di finissage. Eleganti, eteree, le Flûtes lunghe da champagne attendono, fintamente distratte, la loro chiamata in scena. Cui, forse, si degneranno di rispondere. Per loro, l’apoteosi del godimento estatico si compirà nella liquida delizia di un Fût de Chêne di Aÿ. Il nettare di un gran cru rivestito di aromi barricati, dispensati dalle querce della foresta di Argonne. Risarcimento mai sufficiente per il tributo pagato cent’anni fa nella carneficina della Mosa. Quell’argilla e quei terreni calcarei, in cui affondano le radici i vitigni di Pinot Meunier, hanno aspirato e respirato migliaia di vite bruciate dalla follia umana. Oggi, come in un rosario infinito, ce le rendono nel perlage di uno degli champagne più complessi che sia dato di trovare. Ogni bollicina un volto. Una storia. Una memoria. Dopo quest’ultimo rimbalzo lo sguardo, appena superato il capo della tavola, si dissolve nelle spire di colori indefiniti e impastati tra loro. Un fondale che occulta e tiene lontana la mondanità degli invitati. Al di là, ombre e voci confuse si intrecciano sovrapponendosi. Indistinte, sfocate, sfumate. Lontane. Inutili. L’umanità dissolta di un quadro di Turner.

Racconto 47


Tendenze p. 48 – 49 | di Nicoletta Barazzoni

FUSION SÌ, MA CINO/ Dall’VIII secolo dopo Cristo la Cina, il Giappone e altri paesi del sud-est asiatico, formarono il triangolo d’oro dei traffici marittimi internazionali, dando vita al famoso country trade, con cui le prime società internazionali, costituite dai commercianti europei, iniziarono a investire capitali in oriente. Insomma, il crogiuolo di fusioni, a tutti i livelli, a cui oggi assistiamo risale nei secoli, ed è l’inarrestabile conseguenza di una complessa evoluzione socioeconomica. Anche la cucina fusion, entrata a far parte delle nostre preferenze olfattive e gustative, è richiesta in molti angoli del mondo tanto da essersi assicurata il prestigio del mangiar bene e sano. A parte il discorso della millenaria cultura di questi popoli1, la pervasività con cui esprimono a noi europei la loro filosofia di vita, affascina molti occidentali, i quali oltre ad apprezzarne le prelibatezze culinarie imparano la lingua, ispirandosi ai loro costumi (le arti marziali) e alla loro religione, che è in prevalenza buddista. UN CINESE IMPRENDITORE NELLA RISTORAZIONE Eric Lin ha 27 anni, sposato con tre figli, è un cinese residente in Italia con la sua famiglia. Il nome Eric lo ha scelto per facilitare il contatto con le persone. È arrivato in Italia nel 2002 con i suoi genitori dal sud della Cina; ha aperto un’attività imprenditoriale a Montano Lucino, in zona Como, avviando da alcuni mesi, con la licenza di gerente, un ristorante dalla capienza imponente in cui proporre piatti della cucina cinese, giapponese (e anche italiana per permettere alle famiglie con figli che non amano questo genere di proposte culinarie di trovare alcuni piatti italiani come la pizza e il tiramisù). Eric ha imparato la professione del ristoratore facendo dapprima il barista, lavorando in un ristorante giapponese a Milano. Ma perché parlare di questo ristorante in particolare (per inciso, si chiama Wok 668) sapendo della presenza diffusa di attività di ristorazione cinese e giapponese un po’ dovunque? Innanzitutto perché nella cintura lombarda, comasca, nel varesotto ma soprattutto nella Svizzera italiana, non esistono ristoranti con una capienza così importante, con 450 posti a sedere, sala climatizzata, e un ambiente curato sia nell’architettura d’interni sia nella pulizia dei servizi. Ciò che sorprende è soprattutto la proposta qualità/prezzo. Il pasto di mezzogiorno infatti è fissato a 10 euro, con un self-service molto nutrito. Si può mangiare fino a quando si desidera, servendosi ripetutamente dal buffet, gustando un’ottima cucina cinese e giapponese internazionale con carne e pesce alla griglia cotti al momento, ravioli al vapore serviti e cucinati nei loro tipici cestini di bambù e molto altro. L’unica proibizione è quella di lasciare le pietanze nel piatto… chi lo fa paga il supplemento. LA FAMIGLIA È IL MOTORE TRAINANTE La conduzione del ristorante è interamente a carattere familiare. La famiglia è mobilitata nei vari settori a iniziare dalla cucina, dal servizio ai tavoli, comprendendo la parte economico/finanziaria e la gestione vera e propria del ristorante. Tutti concorrono attivamente: lo zio, il cugino, il cognato, unendo le forze con uno spirito che fonda la sua forza proprio sul grado di parentela. Un aspetto vincente che in un certo senso ci insegna parecchio su come fare impresa. Forse la formula del successo non sta tanto nella loro indefessa capacità di lavorare a ritmi serrati ma risiede nella famiglia, il vero nucleo centrale per raggiungere gli stessi interessi in un progetto di vita.

Signor Lin innanzitutto chi sono i vostri fornitori? I nostri fornitori sono in prevalenza italiani, e dunque facciamo ricorso al mercato locale. I fornitori di verdura, pesce e carne e olio sono tutti del posto. Per quanto riguarda invece alcuni prodotti cinesi li acquistiamo da venditori cinesi, come per esempio gli spaghetti cinesi. È tutta merce controllata.

Cosa differenzia questa proposta da altre proposte simili alla vostra? Abbiamo realizzato questo ristorante pensando anche di abbattere la crisi e la difficoltà delle famiglie che non possono permettersi di andare fuori a cena e a pranzo. Per questo motivo diamo la possibilità di assaggiare lo sushi e molti altri piatti cinesi o giapponesi. Poche persone oggi possono permettersi di andare al ristorante e spendere 70 euro per due persone.

note 1 Un esempio della grandiosità del lascito dell’antichità e della modernità della Cina, si erge nella mostra allestita da UBS al Bernisches Historisches Museum dal titolo: Quin. L’imperatore eterno e i suoi guerrieri di terracotta.


/GIAPPONESE Per avviare un’attività di ristorazione di queste dimensioni siete partiti con un buon capitale iniziale? I miei genitori in Cina avevano già un business e dunque avevano una certa disponibilità economica molto ben collaudata che ci ha permesso di fare dei calcoli finanziari per l’investimento. Nel mio paese ogni famiglia conta una grande percentuale di membri che si trasferiscono all’estero proprio con la mentalità di uscire dal paese per intraprendere e investire in altre attività. Certo, la nostra situazione finanziaria iniziale ci ha aiutati molto.

Perché avete scelto l’Italia che non ha un iter burocratico che facilita l’imprenditoria? La scelta l’hanno fatta i mei genitori. So per certo che non si può arrivare in una zona e dunque in un paese e rimpiangere quel che hai lasciato. Quello che oggi abbiamo scelto di fare è di vivere bene nel paese che ci ospita, rispettando le regole, facendo degli sforzi per integrarci; innanzitutto imparando la lingua e soprattutto lavorando onestamente.

Cosa rimane della vera cucina cinese tradizionale in confronto a questa che è internazionale? Sicuramente la cucina cinese e giapponese che proponiamo noi presenta molte differenze con la cucina originale e questo è innegabile. Ma questo succede in tutta Europa. Tuttavia, per quanto ci riguarda, la nostra cucina cinese propone uno dei piatti più rinomati come, per esempio, l’anatra alla pechinese, che richiede una preparazione molto accurata. Abbiamo anche in programma la cucina cinese nel wok, cotta direttamente davanti alla clientela.

Come è stato accolto in Italia? Si ritiene integrato? Sono molto fortunato perché sono undici anni che vivo in Italia e non ho mai incontrato gente strana, o addirittura persone razziste. Certo, qualche volta mi è successo di confrontarmi con situazioni difficili ma non ho mai né reagito né provocato. Mantenendo sempre la convinzione che un episodio non può rappresentare la mentalità di una nazione. L’Italia è un paese molto aperto. Non rubo, non faccio rapine, rispetto usi e costumi del luogo in cui vivo e lavoro. Quando lavoro cerco di guadagnarmi quello che faccio con impegno e molti sacrifici. Ho moltissimi amici italiani che mi vogliono bene con i quali ho degli ottimi rapporti. Mi sento integrato perché faccio quello che fanno i miei amici nel limite di quello che è lecito. Nemmeno a livello di autorità ho mai incontrato delle resistenze. L’unico vero problema che ho, vivendo in Italia, è una forte allergia ai pollini.

Chiederà il passaporto italiano? Certo mi piacerebbe molto. Direi proprio di sì. Dopo dieci anni di residenza in Italia posso fare richiesta della cittadinanza. Il problema non è la domanda ma le lungaggini burocratiche e i tempi d’attesa.


La domanda della settimana

Avete già avuto o sperimentato delle premonizioni rispetto a fatti/eventi che sono in seguito accaduti?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 20 febbraio. I risultati appariranno sul numero 9 di Ticinosette.

Al quesito “Vista la crisi che ha colpito le casse della città di Lugano, è giunta l’ora che anche in Piazza Riforma si paghi la tassa sul sacco dei rifiuti?” avete risposto:

SI

91%

NO

9%

Svaghi 50

Astri ariete Tra il 16 e il 22 possibili cambiamenti professionali. Molto irascibili tra il 18 e il 20 a causa dell’opposizione lunare. Forte calo energetico.

toro Dal 16 transito lunare di passaggio nella quinta casa solare (il settore astrologico dell’Eros). Momento felice per la vita sentimentale.

gemelli Passioni irrefrenabili. Inaspettate opportunità professionali per i nati nella prima decade. Particolari le giornate comprese tra il 18 e il 20.

cancro Occorre prender velocemente la palla al balzo. Tesi i nati nella terza decade stimolati da Marte. Tensioni e gelosie familiari tra il 18 e il 20.

leone La libertà e l’indipendenza del partner continua a urtar il vostro amor proprio. Buoni affari per i nati nella prima decade. Determinazione.

vergine Periodo felice per la vita sentimentale. Gli astri vi offrono più di una occasione per brillare nella professione. Maggior riposo tra il 16 e il 17.

bilancia Controllate la rabbia, ma colpite chi merita di essere colpito. Scaricatevi attraverso uno sport. Tensioni tra il 18 e il 20.

scorpione Momento propizio per apportare dei cambiamenti alla vostra vita. Fate si che il vostro ambiente rifletta la vostra essenza interiore.

sagittario Si apre una nuova fase ricca di impegni. Amplificazione delle capacità creative. Incontri karmici. Aprite la porta al futuro che avanza.

capricorno Avvertite sempre di più la necessità di liberarvi da ogni costrizione. Rottura improvvisa dai fattori limitanti. Critiche le giornate tra il 18 e il 20.

acquario Mercurio e a Luna favorevoli tra il 18 e il 20: potrete godere di una certa popolarità. Opportunità di concludere una trattativa professionale.

pesci Periodo ricco di incontri, stimoli e opportunità. Evitate politiche attendiste. Date una direzione precisa alla vostra vita. Tensioni tra il 16 e il 18.


Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 9

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 20 febbraio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 18 febb. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. Fonti battesimali • 10. Dentina • 11. Romania e Oregon • 12. Re, maestà • 13. Regge l’orecchino • 14. Lo sport di Federer • 16. Alto graduato (abbr.) • 17. Arrabbiate • 18. Contenitori per fiori • 19. Cantori epici • 20. Biscia • 21. Uno detto a Londra • 23. In coppia con lui • 24. Cuba e Svezia • 26. Campicelli coltivati • 28. Articolo spagnolo • 30. Lubrificano • 32. Vi sono anche quelle preziose • 34. Le passa in bianco l’insonne • 36. Quasi unico • 37. La sigla del Telegiornale • 38. Aspri, acidi • 40. Pena nel cuore • 41. Il pasto del soldato • 44. Privi di fede • 45. Lo teme l’oratore • 48. C’è anche quella della fortuna • 50. Golfo arabo • 52. Tiro centrale • 53. Puttini • 55. Dittongo in boato • 56. Il nome di Vecchioni. Verticali 1. Sostiene sempre l’opposto • 2. Pilota militare • 3. Il cavallo di Zorro • 4. Regione italiana • 5. Due romani • 6. I confini di Sonvico • 7. Distribuire, fornire • 8. Installò il Terrore • 9. Sarcasmi • 15. Dittongo in pietra • 18. Vascelli • 22. Arnesi del contadino • 25. Distorsione • 27. Il Ticino sulle targhe • 29. Segno zodiacale • 31. Istituto Tecnico • 33. Mezza tara • 35. Mettere a tacer • 39. Rosso detto a Zurigo • 42. Piccolo difetto • 43. È opposto allo zenit • 46. Lo sono le perle del collezionista • 47. Parte di dollaro • 49. Lo cela l’esca • 51. Pari in antico • 54. Fiume russo.

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La soluzione del Concorso apparso il 31 gennaio è: LOMBRICO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Carlo Panizza piazza Grande 13 6826 Riva San Vitale

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Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: tre Ape card Arcobaleno Ape card è lo strumento ideale per caricare e pagare i biglietti Arcobaleno risparmiando, grazie al plusvalore di ricarica. Maggiori informazioni su www.arcobaleno.ch/apecard

Arcobaleno mette in palio una Ape card da CHF 50.– a tre fortunati lettori che comunicheranno correttamente la soluzione del Concorso.

Svaghi 51


Jonathan Schädeli, giovane contadino bio di Uettligen.

Per i prossimi 20 anni. Da oltre 20 anni Naturaplan è sinonimo di gusto autentico e naturale, perché ogni prodotto Naturaplan è un capolavoro di Madre Natura. In quanto pionieri del bio siamo orgogliosi di continuare ad offrirvi anche in futuro il più ampio assortimento di prodotti biologici di tutta la Svizzera. E siamo pronti ad affrontare i prossimi 20 anni, lavorando fianco a fianco con la nuova generazione di agricoltori bio. Per amore della natura. www.naturaplan.ch


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