Ticino7

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№ 8 del 21 febbraio 2014 · con Teleradio dal 23 feb. al 1. mar.

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la “calligrafia paesaggistica”: ovvero, il nostro territorio attraverso lo sguardo di lorenzo Custer

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Ticinosette n. 8 del 21 febbraio 2014

Impressum Tiratura controllata 66’475 copie

Chiusura redazionale Venerdì 14 febbraio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

4 Arti Radiohead. I novellisti del rock di fAbio mArtini ................................................. 8 Media Ascona. Film Festival 3.0 di roberto rovedA ................................................. 12 Vitae Dimitri Loringett di mArco Jeitziner ............................................................... 14 Reportage Calligrafia paesaggistica A curA di G. fornAsier; diseGni di l. custer ....... 39 Società Dibattito. Scuola: quali obiettivi? di dAnielA tAzzioli .................................. 46 Concorso fotografico La foto del mese di GiAn-Piero PAmPuri............................. 47 Tendenze Orologi e moda. Il tic tac di re Giorgio di mArisA GorzA ........................ 48 Svaghi .................................................................................................................... 50 Agorà Sicurezza informatica. In difesa delle banche

di

AmAndA Pfändler ...................

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Il nucleo storico di Castelrotto | 2011 Disegno ©Lorenzo Custer

Lontani da tutto, ma non dall’Europa Chiasso non è il “posto più bello del mondo” e credo non lo sia mai stato (personalmente non conosco nessuno che ci sia venuto in vacanza), mi ha fatto però molto piacere leggere qualche riga dedicata al comune dove dormo (“Frontiere. La bella Chiasso”, Ticinosette n. 2/2014, ndr.), perché almeno so che, una volta, qui si viveva come in qualsiasi altro paese del Ticino (e non nella parte finale del “corpo” della Confederazione: cioè nel basso intestino). Chiasso è diventato un luogo da evitare, fatto di ripari fonici, UFO luminosi, stazioni di servizio “pronto rapina”, sempre citato nel notiziario traffico radio eccetera eccetera...? Le cronache dicono di sì, e le facce della gente che vive intorno a me lo confermano. Oggi Chiasso la devi amare (per non so quale ragione: io perché gli affitti sono al ribasso...), altrimenti che ci stai a fare? Ho vent’anni per gamba e “salgo” tutti i giorni a sgobbare verso la città del Borradori: per evitare di viaggiare a una velocità autostradale prossima ai 30 km/h per percorrere 25 km, io mi muovo in treno. Sono uno furbo, io, e in più non intaso le strade: lo credevo anch’io, ma nonostante la mia scelta ho notato che la situazione negli ultimi due anni non è molto migliorata sul fronte della “mobilità”. Il mattino in stazione (che raggiungo dopo buoni 15 minuti a passo spedito) il clima che si respira è da “assalto alla diligenza”: se il ministro Zali intende tagliare i posti auto nel Sottoceneri, meglio che si accordi prima con le FFS... non vorrei trovarmi a viaggiare sui tetti delle carrozze, abitudine indiana che ha qualche controindicazione in caso di brusche frenate e gallerie. Per fortuna il viaggio non dura molto, il che, a volte, non è nemmeno positivo visto che il treno è frequentato anche da un sacco di ragazze interessanti. La maggior parte di loro non sono indigene, vengono dalla “lontana” Comunità Europea e in Ticino

lavorano e studiano, credo io. A differenza di chi abita a Mendrisio, Lugano, Bellinzona, Locarno, noi di Chiasso l’Europa la vediamo tutti i giorni, oltre le colonne di TIR che dalla Romania attraversano il continente per portare chissà cosa a chissà chi e chissà dove: merce che va e che viene, “dichiara o non dichiara?”, “mi fa vedere un documento d’identità... dove sta andando?”. Ma la mia città è sempre stata questo, mi dicono i più vecchi: un posto di gente che si muove e dove qualche anno fa si compravano orologi, cioccolata, benzina, si portavano soldi, “si facevano cose”. Ma il mondo cambia e le città si ingrandiscono: rispetto alle iniziative intraprese dagli amici luganesi, a Chiasso abbiamo preferito investire sulla “qualità della vita e dell’aria”, e lasciare aggregazioni, affarismo e cementificazione agli altri. Ma qualcosa nella strategia non ha funzionato: una serie di sfortunati eventi e allineamenti astrali negativi ci hanno remato contro... e oggi “qualità” non fa rima con quasi nulla qui da noi, sulla frontiera. E pensare che siamo la vera porta verso il Mediterraneo, con tutti i vantaggi che questo ci aveva garantito in passato. E oggi? E domani? Al prossimo referendum, speriamo in bene. Un abbraccio da Chiasso, S. B.


In difesa delle banche Sicurezza. Con il diffondersi di internet anche la cybercriminalità ha avuto una costante crescita. Ecco perché banche e istituti di credito ricorrono sempre più spesso a consulenti esterni, esperti di sicurezza informatica, talvolta con un passato di hacker. Figure che, insieme alle varie società specializzate in sicurezza IT, fanno parte di una vera e propria rete anti-cybercrimine, che comprende – chiaramente – anche le forze dell’ordine: esperti delle polizie cantonali, nonché organi nazionali e internazionali di lotta alla criminalità su internet di Amanda Pfändler

“Il Agorà 4

miglior modo per capire se la tua casa è sicura, è chiedere a un ladro di provare ad accedervi”. È questo quello che fa Boris1 in vari istituti di credito ticinesi (e non). Il suo compito, su esplicito incarico delle banche, è quello provare a violare i loro sistemi informatici, identificandone le falle, ma anche offrire consulenza sulla cybercriminalità economica agli operatori IT security2 interni agli istituti, così come ad altre figure professionali, come i gestori o chi lavora nel back-office. Con l’obiettivo di impedire che qualcuno – che siano singoli hacker oppure organizzazioni specializzate nei crimini informatici – possa appropriarsi di fondi e/o dati sensibili dei clienti. Boris è un “hacker etico”, o come preferisce definirsi, uno specialista in sicurezza informatica: “Sono un esperto nel violare sistemi informatici, ma non lo faccio con uno scopo criminale. Non amo molto il termine «hacker etico» poiché in questo settore è difficile definire i confini etici. In genere comunque gli hacker etici si distinguono dai cybercriminali (i cosiddetti cracker) per il fatto che accedono ai dati previo consenso dei proprietari. Oppure sono mossi dalla volontà di creare e diffondere consapevolezza negli utenti della rete su cosa significhi navigare in internet e cosa questo comporti per la sicurezza personale; non vogliono denaro, non vogliono potere, non aspirano al controllo. Per i cybercriminali, invece, l’unico obiettivo è distruggere, danneggiare, rubare”.

Banche sotto cyberattacco Quasi tutti conoscono le truffe online che hanno come obiettivo la clientela. Si tratta del cosiddetto phishing, termine inglese che deriverebbe dalla fusione delle parole fishing, cioè pescare e password. Mediante il phishing, i truffatori tentano di accedere in modo illegittimo ai dati confidenziali degli internauti, come per esempio quelli d’identificazione per connettersi ai siti d’aste (eBay, Ricardo ecc.) o all’e-banking e alla gestione del traffico dei paga-

menti. Per mezzo di link inviati via posta elettronica, che portano a siti internet finti, del tutto simili a quelli degli istituti di credito, ai destinatari viene richiesto di immettere, confermare o modificare le informazioni relative ai propri profili utente o ai propri conti. In questo modo i truffatori carpiscono alle vittime le informazioni necessarie per sottrarre loro dati e denaro. Si tratta di un fenomeno in costante crescita, come spiega anche il commissario capo Enea Filippini, che dirige il Gruppo criminalità informatica (GCI) della Polizia cantonale ticinese: “Benché non sia possibile fornire cifre esatte, negli ultimi mesi sono stati registrati diversi casi di crimini a carattere finanziario”. “Il pericolo”, sottolinea Boris “non riguarda unicamente il cliente, bensì anche le aziende, come per esempio le banche. Il cyberattacco può infatti essere indirizzato direttamente all’istituto di credito, sia tramite una violazione dei sistemi informatici, sia attraverso tutta una serie di escamotage che rendono difficile l’applicazione di tutti i protocolli di sicurezza interni. Insomma, in questo caso si sfrutta l’errore umano”. Può quindi capitare che – grazie a informazioni che questi cybercriminali riescono a reperire su un determinato cliente, che venga inviata all’istituto bancario un’email dall’account (clonato, però!) del titolare del conto, nella quale quest’ultimo chiede un trasferimento immediato e urgente di contanti. In un caso del genere – spiega Boris – il protocollo di sicurezza richiederebbe, per esempio, che il consulente, ricevuto l’ordine bancario, telefoni al cliente per chiederne conferma. Nell’email truffaldina, tuttavia, chi si spaccia per il cliente informa che per le prossime ore non sarà raggiungibile telefonicamente poiché in volo o in viaggio. Che fare, allora? Il consulente si trova davanti a una decisione difficile: dare la priorità alle esigenze di business, e quindi procedere con il bonifico, oppure rispettare totalmente il protocollo di sicurezza e non effettuare la transazione prima di aver contattato direttamente e (...)


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Agorà 6 Immagine tratta da opusfidelis.com

personalmente il cliente? Con il rischio che quest’ultimo, se l’ordine fosse stato effettivamente impartito da lui, possa non accettare di buon grado il ritardo della transazione. Un fenomeno poco noto Ecco perché le banche (ma non solo) si rivolgono a Boris e a figure professionali simili che il più delle volte operano per società di consulenza: “Chi è attivo nella sicurezza informatica è in costante contatto con tutti coloro che all’interno o all’esterno degli istituti di credito operano contro le truffe online: ci scambiamo informazioni, esperienze, eventuali soluzioni. Altrettanto importante è formare coloro che nelle banche utilizzano i vari strumenti informatici per il proprio lavoro, renderli coscienti dei pericoli, facendo capire loro quali sono i meccanismi che sottostanno a queste truffe”. Il pericolo è reale: le truffe finanziarie ai danni degli istituti di credito sono all’ordine del giorno. Basti pensare alla frode online che nel dicembre 2012 ha permesso ad alcuni cybercriminali – attraverso un trojan3 che registrava i codici di verifica inviati sui cellulari degli utenti bancari online – di rubare oltre 36 milioni di euro, depositati sui conti di 30 mila clienti di 30 banche in Germania, Italia, Spagna e Olanda. Oppure al caso di uno dei più illustri istituti di credito della piazza zurighese, la Banca privata Rothschild, che un paio di anni fa ha visto sparire – improvvisamente e misteriosamente – 2 milioni di dollari dal conto di un importante cliente. Direzione: Montenegro.

Si è parlato di errore umano, di un caso eccezionale. La banca – che inizialmente aveva fatto il possibile perché il fatto non diventasse di dominio pubblico – ha risarcito il cliente e sporto denuncia contro ignoti per falsificazione di documenti. I soldi: scomparsi. Di casi simili se ne sente parlare poco, poiché, indica Boris: “per una banca in genere è molto più conveniente incassare il colpo, coprire la perdita o ricomprare i dati rubati, piuttosto che diffondere la notizia, con il rischio di perdere credibilità, e soprattutto migliaia di clienti”. Poca consapevolezza “Il grosso problema, in tutto questo”, precisa lo specialista in sicurezza informatica “è che le persone, impiegati di banca compresi, non sono realmente consapevoli dei pericoli della rete. Esiste una sorta di falso sentimento di sicurezza. Dovuto a semplice ignoranza, o alla convinzione di essere protetti dai cyberattacchi solo per il fatto di avere dimestichezza con il PC e di aver istallato qualche antivirus. In realtà, la totale e completa sicurezza informatica non esiste. Saper usare un computer non significa saperlo usare in sicurezza. Occorre invece essere consapevoli di quello che si fa quando si naviga in internet: ormai la maggior parte di noi usa un PC, un tablet, uno smartphone e si connette, scambia dati. Dati personali, dati sensibili: ci si conosce su internet, si fanno acquisti su internet, si accede ai propri conti bancari su internet… Il problema è che sono moltissimi coloro che per comodità usano la stessa password per l’email,


il profilo Facebook, l’account bancario. Entrare in possesso di questa password significa quindi avere accesso all’intera vita online del proprietario”. Una volta ottenute queste informazioni, le organizzazioni cybercriminali le usano per attuare truffe ai danni degli istituti di credito, per far sparire soldi dai conti dei clienti, reperire dati sensibili su quest’ultimi ecc. Talvolta con successo. Soprattutto se all’interno delle banche vi sono lacune nella sicurezza informatica o se i dipendenti non sono, appunto, pienamente consapevoli dei pericoli. Il consiglio di Boris è quindi quello di non abbassare mai la guardia, di ricordarsi che chiunque può essere obiettivo di una cybertruffa, e di fare attenzione a come si utilizza internet: “Meglio separare la vita privata da quella professionale, utilizzare password diverse e sicure, come per esempio una frase, piuttosto che il nome del proprio gatto e modificarle spesso”. Anche perché se la falla è interna alla banca, quest’ultima probabilmente, per quanto possibile, risarcirà il cliente. Se invece la responsabilità è del cliente, i soldi – e i dati personali – saranno perduti per sempre. Difficilissimo individuare i responsabili Quanto queste cybertruffe siano diffuse e quanto pesino sugli istituti bancari – sia a livello di perdite, sia per quanto riguarda i costi legati ai sistemi di protezione – è molto difficile da definire. E questo non solo perché le banche evitano di parlarne, ma anche per il “terreno” stesso sul quale avvengono: “Le difficoltà nel combattere il cybercrimine, e non solo per quanto riguarda le banche, ma nel contesto generale, sono legate alla globalità e virtualità di internet. Da qualsiasi parte del mondo è possibile operare in modo da creare danni patrimoniali ovunque. Ne consegue quindi che è estremamente difficoltoso risalire agli autori, identificarli e perseguirli”, precisa il commissario capo Enea Filippini. Le informazioni sono quindi pochissime: “Sappiamo che parte dei fondi sottratti illegalmente vengono convogliati nella zona di Hong Kong”, afferma Boris “o che varie organizzazioni criminali attive su internet si trovano nell’Europa orientale o in Russia. Così come era chiara la provenienza della famosa «truffa nigeriana». È inoltre noto che vi sono alcuni gruppi specializzati nelle truffe con carte di credito, altri che si specializzano nel tentativo di ottenere i dati di accesso ai conti bancari per rubare denaro o eseguire transazioni illegali”. Poche informazioni, considerata la dimensione del fenomeno. Certo è che – secondo dati raccolti dall’Interpol – sull’insieme dei casi di cybercriminalità, quelli a sfondo economicofinanziario negli ultimi anni hanno registrato l’aumento più marcato. Purtroppo, spiega Boris “è quasi impossibile riuscire a recuperare quanto è stato rubato, poiché le informazioni e i soldi sottratti spariscono immediatamente dal conto o dall’email di destinazione e finiscono chissà dove. Bisognerebbe essere rapidissimi, lavorando a livello globale, poiché nella rete i confini geografici non esistono. Ma questo, per tutta una serie di ragioni pratiche, è molto difficile”. Sempre l’Interpol evidenzia che se inizialmente la criminalità informatica era affare di individui isolati o di piccoli gruppi, ora organizzazioni criminali tradizionali e professionisti passati all’illegalità (cracker) lavorano insieme allo scopo di condividere risorse e competenze: “Le

competenze tecnico, informatiche e telematiche che servono per mettere a segno certi colpi sono davvero molto alte. È fuor di dubbio che in certi casi vi siano delle vere e proprie organizzazioni specializzate nella criminalità informatica con elevato grado di competenza”, indica il capo del GCI della Polizia cantonale ticinese. Si tratta di organizzazioni strutturate, con sedi in vari paesi, talvolta anche attive anche in altri settori della criminalità, come il commercio di armi, di droga, la tratta di esseri umani ecc. Potenziare le difese Per quanto riguarda le frodi finanziarie su internet, la soluzione più efficace – al momento – sembra essere quella di innalzare il livello delle difese. Dei singoli, delle banche, delle amministrazioni pubbliche e così via. “A livello svizzero gli standard di sicurezza informatica richiesti agli istituti di credito che desiderano offrire per esempio dei servizi di e-banking sono molto severi”. Oltre agli agenti delle varie polizie cantonali, specializzati nella lotta alla cybercriminalità, esiste inoltre un organismo che si occupa esplicitamente della lotta al cybercrimine e cioè il Servizio nazionale di coordinazione per la lotta contro la criminalità su internet (SCOCI): “Si tratta di un centro di competenza estremamente utile nella lotta alla criminalità su internet”, spiega Boris. “L’esempio svizzero andrebbe seguito anche da quei paesi che ancora non hanno unità simili”. E anche in questo caso l’unione fa la forza: “Come per tutte le altre tipologie di reato, esiste una stretta collaborazione tra i corpi di Polizia sia a livello inter-cantonale, sia internazionale. La collaborazione e lo scambio d’informazioni con lo SCOCI sono costanti e proficue”, aggiunge Filippini. È chiaro tuttavia, precisa il capo del Gruppo criminalità informatica, che “le possibilità a livello preventivo sono piuttosto limitate. Quando vi è la necessità, in particolare a fronte di nuove tipologie di reato oppure all’acuirsi di un determinato fenomeno, vengono redatti comunicati stampa dove vengono ribaditi i concetti base di una specifica prevenzione. A livello nazionale inoltre, grazie all’Ufficio di prevenzione della criminalità – organo della Conferenza cantonale delle direttrici e dei direttori della giustizia e della polizia – vengono pubblicati e poi distribuiti dalle polizie cantonali, degli opuscoli di prevenzione” Ma mettere i bastoni fra le ruote alle organizzazioni criminali attive su internet, così come fa per esempio Boris, non è cosa scontata: “Non mi sento propriamente in pericolo, ma sono consapevole del rischio di eventuali ritorsioni. Ho già ricevuto telefonate intimidatorie e so che il giorno che pesterò i piedi alle persone sbagliate… Ecco perché in genere non utilizzo mai il mio nome, ma piuttosto un alter ego”.

note 1 Nome noto alla Redazione. 2 Information Tecnology security, ovvero i responsabili della sicurezza informatica 3 Il trojan – o cavallo di Troia – è un tipo malware (un software creato con il solo scopo di causare danni). Deve il suo nome al fatto di essere nascosto all’interno di un programma apparentemente utile; è dunque l’utente stesso che installando ed eseguendo un certo software, inconsapevolmente, installa ed esegue anche il codice trojan nascosto.

Agorà 7


I novellieri del rock Considerata la band più intellettuale della scena rock, i Radiohead esprimono al meglio, in ambito musicale, i molteplici paradossi della contemporaneità di Fabio Martini

Arti 8

Non sento di poterli annoverare fra i gruppi meritori di far mente ambient; “Optimistic”, uno dei migliori momenti parte della personale top ten della storia del rock (benché dell’album, una canzone elettrica intensa e dai toni dramdubiti di poter compilare una classifica del genere). Nono- matici; “In Limbo” quasi lo sviluppo del brano precedente stante ciò, la musica dei Radiohead affascina e alla fine ho che sfocia in un delirio crepuscolare e ipnotico così come ascoltato con attenzione tutti i loro dischi. la successiva “Idoteque” che attraverso reminiscenze hip Nella loro storia, ormai quasi trentennale – la fondazione hop e techno ci porta a “Morning Bell”, canterburiana nel risale al 1985 con il nome di On A Friday, divenuto poi suo procedere e nell’arrangiamento basato su piano elettriRadiohead nel 1992, al momento del contratto con la co, basso e batteria; “Motion Picture Soundtrack”, ultima EMI –, hanno prodotto una serie canzone dell’album introdotta da di canzoni (canzoni, si badi, non un ecclesiale harmonium e che, con album) pregevoli e alcune fra queste, un escamotage che solo i più curiosi penso per esempio a “Everything riescono a cogliere, termina con in Its Right Place” (Kid A, 2000) o a un lungo silenzio dal quale, dopo “Pyramid song” (Amnesiac, 2001), esattamente un minuto, emerge un contrassegnate da un’originalità e ultimo misterioso e anonimo brano un’intensità quasi sconosciute al (la voce di Wikipedia relativa all’almondo del rock contemporaneo. E bum non dà alcuna notizia riguardo della genialità di Thom Yorke e comquesta traccia segreta). pagni si è spesso parlato: un gruppo Fatto sta che una volta terminato formatosi sui banchi di scuola (la l’ascolto viene da chiedersi: esiste Abingdon School di Oxford, un un’idea, un concetto, una formula istituto privato maschile), secondo alchemica capace di connettere e un processo filogenetico comune riunire insieme materiali così diversi a molti gruppi della storia del rock a parte la sostanza un po’ fredda e britannico, a partire dai seminali riflettente del CD? Illustrazione tratta dal booklet di Kid A (2000) Beatles. Racconti non romanzi Senza coesione Forse no. E probabilmente risiede proprio in questo il seNati come band di indie rock e sotto la forte influenza della greto del successo di un gruppo amato da molti e detestato musica dei R.E.M., i Radiohead producono un paio di album da altrettanti: nella loro capacità di riflettere la realtà di un abbastanza anonimi (Pablo Honey, 1993; The Bends, 1995) mondo talmente sfaccettato e articolato da risultare sfugprima di avviarsi con Ok Computer nel 1997 sulla strada di gente a ogni categorizzazione, a ogni tentativo di forma. una sperimentazione via via sempre più accentuata che li E se andiamo a leggere quanto di loro si scrive, ma sopratcondurrà, lungo un percorso tortuoso e animato da una tutto ad ascoltare le loro canzoni, affiora evidente quel sorta di costante schizofrenia, a quelli che forse sono i loro complesso di influenze che hanno segnato la formazione due migliori album, i sopracitati Kid A e Amnesiac. di questi cinque ormai non più giovani musicisti inglesi: La presenza di canzoni pregevoli si accompagna però alla si va dai soliti Beatles, Rolling Stone e Neil Young all’indie caratteristica principale nella produzione del gruppo di rock degli anni ottanta (Pixies, Joy Division, R.E.M., The Oxford: l’assoluta mancanza di coesione. Kid A è in tal Smiths, Sonic Youth, Nirvana), dalla psichedelica e al senso paradigmatico: alle prime due canzoni (“Everything progressive degli anni settanta (Pink Floyd, King Crimson, in Its Right Place”, “Kid A”), ballate ipnotiche giocate su Can, Soft Machine) al jazz di Davis, Mingus e Coltrane, un uso raffinato dell’elettronica e sulla vocalità un po’ mo- dalla musica contemporanea di Penderecki e Messiaen nocorde di Yorke, seguono: “The National Anthem”, una all’elettronica, all’hip hop, allo sperimentalismo. Insomcavalcata che sfocia in un’orgia di suoni secondo le tipiche ma, l’intero scibile musicale o quasi. Figli di un tempo in atmosfere del free jazz inglese degli anni settanta/ottanta; cui tutto è contemporaneo e sempre e immediatamente “How to Disappear Completely” una canzone un po’ noiosa disponibile, Yorke e compagni resteranno nella storia del condotta dalla voce e dalla chitarra acustica ma capace di rock come autori di brevi racconti, talvolta fulminanti, ma evocare le ballate pinkfloydiane di Atom Hearth Mother e privi, forse proprio per un’ineludibile tara generazionale, Animals; “Treefingers” brano elettronico in chiave decisa- del passo lungo e del respiro dei grandi romanzieri.


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Film Festival 3.0

L’Ascona Film Festival, giunto alla terza edizione (27 febbraio – 1. marzo 2014), ha ricevuto oltre 1500 candidature da 95 paesi e presenterà anche un mediometraggio candidato all’Oscar 2014. Un piccolo fenomeno questa manifestazione, capace di portare in Ticino film grazie alle piattaforme di socializzazione presenti nella rete di Roberto Roveda

Intraprendenza, tanta fantasia e un pizzico di sana incoscienza. Il tutto con l’aggiunta delle risorse e delle infinite reti di contatti del web. Sono questi gli ingredienti di partenza dell’Ascona Film Festival (asconafilmfestival.ch) rassegna internazionale dedicata ai cortometraggi nata da un’idea di Andrea Biasca-Caroni (oggi presidente della rassegna), già creatore una decina di anni fa del Festival degli artisti di strada. Al fondatore oggi si affianca la creatività e la competenza cinematografica di Julian Martin, direttore artistico del Festival e reduce dalla New York University (NYU) dove ha ottenuto un Bachelor in fine Arts in Drama (recitazione) e un Bachelor in fine Arts in Film&TV (regia e sceneggiatura). Media 12

I social network portano il cinema in Ticino A dare il via a tutto è stata, poco più di tre anni fa, la decisione di aprire una pagina Facebook e provare grazie al web e alla rete dei social network a organizzare un evento legato al cinema. All’inizio tutto si è tramutato in ore e ore di navigazione in internet, alla ricerca dei giusti rifermenti, delle piattaforme frequentate dalla gente del cinema e da chi voleva far conoscere le proprie pellicole. Giornate intere a sfogliare pagine digitali alla ricerca del carburante giusto per far partire la macchina festivaliera. Poi, come spesso accade sul web, è nato il passaparola

virtuale, grazie a Facebook, a Twitter, a Vimeo il Festival è entrato in contatto con le piattaforme ufficiali del mondo della distribuzione cinematografica sui social network. Piattaforme come Short Film Central, che ha milioni di contati tra i professionisti del cinema, oppure Festhome, che invia candidature in automatico a tutti i film festival. Il mondo dei social network ha messo le ali alla rassegna asconese e le candidature quest’anno hanno superato il migliaio. Tra queste sono emersi i 29 film per la selezione finale, scelti, come ci racconta Julian Martin: “perché hanno personaggi ben definiti e pluridimensionali, che si sviluppano durante il percorso della loro storia. In più, l’estetica dei film sottolinea e risalta questo sviluppo in modo coerente senza distogliere l’attenzione dal racconto dell’autore. I contenuti hanno una rilevanza attuale e permettono sia di perdersi negli universi creati dai vari registi, sia di poter riflettere sulla condizione umana e della nostra società, immedesimandosi nei problemi, nei conflitti e nei dilemmi presentati”. Segnale della popolarità nel mondo dei social network del Festival di Ascona è anche la qualità delle pellicole in corsa, tra cui spiccano Aquel No Era Yo dello spagnolo Esteban Crespo, nominato agli Oscar 2014 nella categoria cortometraggio non animato, e Drunk History Christmas Special di Jeremy Konner, con le star Ryan Gosling, Eva Mendes e Jim Carrey. Quest’anno vi è pure una generosa selezione di cortome-

Carlos Leal e Melanie Winiger in una scena di Who Killed Johnny (USA, 2013)


traggi svizzeri, come Vigia di Marcel Barelli, vincitore del Pardino d’argento nel concorso nazionale dei cortometraggi al Festival di Locarno nel 2013, Tauchä di Dominik Locher in concorso al Festival del Premio Max Ophüls (la rassegna più prestigiosa per il giovane cinema tedesco) e Hylas und die Nymphen dell’attrice Lisa Brühlmann. A questi si aggiunge la proiezione di una clip molto importante per l’impatto sociale dell’argomento che affronta. Si tratta di Just a minute before, realizzata dalla Pro Juventute sul tema del suicidio adolescenziale. Una pellicola che indaga e prova a comprendere cosa accade nella testa di un giovane un attimo prima (come recita il titolo del film) di compiere un gesto estremo e irreversibile. Una rassegna innovativa Un panorama nutrito per un Festival giovane, ancora in erba ma con grandi prospettive, soprattutto perché come poche altre rassegne pare voler stare al passo con i tempi. È così signor Andrea Biasca-Caroni? In effetti il nostro è un festival 3.0 perché privilegia la comunicazione dei social network. Siamo partiti con tante idee ma con zero mezzi, abbiamo perciò usato al meglio le tecnologie a nostra disposizione. Non avevamo soldi quindi ci siamo messi a navigare, era la nostra unica possibilità. Ci siamo così rivolti alla grande platea del web e questa ci ha suggerito le scelte da fare, le opportunità da cogliere. Per esempio, in origine ci eravamo indirizzati verso la video art, ma poi ci siamo accorti, grazie alla risposta del social network, che il mondo della cinematografia era più reattivo sul fronte della fiction, della pellicola di finzione. Per questo abbiamo scartato anche la documentaristica, che risultava “indigesta” al pubblico, e abbiamo dato vita alla rassegna grazie ai materiali che ci arrivavano attraverso i social network. Il vostro festival presenta le pellicole in modo tradizionale oppure anche le proiezioni sono gestite dalla galassia web? Nelle prime due edizioni abbiamo avuto circa un migliaio di spettatori ogni anno e il festival è improntato sulla proiezione pubblica durante le tre serate che si svolgono nella sala eventi dell’albergo Ascona sul Monte Verità. Ci sono party e incontri come in ogni rassegna cinematografica tradizionale. Però nella serata finale, quella in cui vengono assegnati i premi, faremo

una diretta sui social network. Per esempio Bambuser permette di realizzare una diretta col telefonino, connesso via wireless: si riprende il filmato dall’iPhone e lo si “sbatte” direttamente in diretta sui social network ed è una cosa estremamente pratica, perché gratuita… Grazie a questi mezzi tecnologici sta anche nascendo un nuovo modo di fare cinematografia? Oggi, grazie ai programmi di video-montaggio e a telecamere con risoluzione altissima a costi accessibili, chi ha talento può fare cose impressionanti senza spendere troppi soldi. In internet esistono dei festival cinematografici che si sono specializzati su opere realizzate col telefonino e ci sono fior di registi che hanno fatto cinema con questo mezzo, quindi le potenzialità sono enormi. Piccoli festival crescono? Se si parla di un Festival ad Ascona è impossibile non pensare alla vicina Locarno e al suo festival, anche se la vostra offerta è molto diversa e vi muovete anche in un periodo diverso dell’anno. Vi considerate complementari al festival locarnese? Non scherziamo, siamo lontanissimi da una realtà come quella del Festival di Locarno, assolutamente slegati. Noi cerchiamo semplicemente di esistere, anche se le difficoltà non mancano. Per quanto riguarda il periodo scelto per la rassegna, dal mio punto di vista ho fatto semplicemente un calcolo: sono un albergatore e quindi in quale periodo, se non in inverno, il mio albergo è libero di ospitare gratuitamente registi e attori che presentano le loro pellicole al Festival? Quindi il Festival è anche un modo per rivitalizzare Ascona attraendo turisti in un periodo “morto” dell’anno? Lo speriamo molto. Ad Ascona normalmente in febbraio gli alberghi sono tutti chiusi tranne il mio e l’Hotel Piazza. Il proprietario, Sergio Cotti, mi ha aiutato dieci anni fa a creare il Festival degli artisti di strada e anche questa volta mi ha sostenuto. Vediamo se poi Ascona saprà rispondere alla nostra iniziativa e saremo in grado di portarla in luoghi più grandi, nei cinema, per esempio. Magari istituzionalizzandola, se ce ne sarà l’occasione, con l’aiuto pubblico. Per ora, però, siamo ancora ai primi passi, resistiamo facendo molta attenzione alle spese e in questo modo facciamo vivere il nostro Festival.

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S

ono nato a Vevey nell’aprile del 1969, quindi per l’allunaggio posso dire che “io c’ero”! (ride, ndr.). I miei genitori lavoravano entrambi alla Nestlè, per cui ho passato i primi mesi dopo lo svezzamento alla pouponnière (asilo nido, ndr.) dell’azienda. Probabilmente hanno testato anche su di me il latte in polvere! Potevo crescere nella Svizzera francese, se non che nel 1970 arriva la possibilità di trasferirsi negli Stati Uniti. Mio padre decide di accettare la sfida per un’azienda svizzera a Minneapolis, nel Minnesota. La mia lingua di base è, infatti, l’inglese. Tutta l’infanzia l’ho passata negli Stati Uniti e, pur conscio di essere europeo, non sapevo indicare sulla cartina il mio paese d’origine. Sapevo però dov’era l’Iran! Era il periodo della crisi dello scià, che tutti noi in quarta elementare sapevamo riconoscere… Nel 1979 torniamo in Europa, dove ero stato una volta per visitare i parenti, inclusa la Grecia, da cui proviene mia madre (questo spiega il mio nome, che è d’origine greca e non russa, ci tengo a dirlo). A dieci anni arriva questa notizia e per me è stato un trauma: la mia vita ormai era l’America, gli amici, il quartiere, la scuola, e dove andiamo? In Italia, che per me era soltanto la torre pendente di Pisa e le gondole di Venezia. Andiamo a Milano, dove mio padre cercava degli sbocchi con l’azienda. L’altro motivo per spostarci era la scuola: il sistema americano è sostanzialmente buono ma, specie nella fascia del liceo, l’europeo è molto più preparato dell’americano. Non parlavo una parola di italiano e dopo un anno di scuola privata inglese, comincio a frequentare la scuola pubblica media italiana. Quei tre anni a Milano sono stati difficili: con la lingua facevo molta fatica, non conoscevo la cultura e mi sentivo ancora americano. Ero abituato a uscire di casa, col prato dove potevo giocare, invece a Milano c’erano solo auto posteggiate sui marciapiedi e cacche di cane ogni tre metri! (ride, ndr.). Andavo a fare la spesa da solo, con la chiave al collo e diecimila lire in tasca, poi ho scoperto che eravamo in coda agli anni di piombo! (ride, ndr.) Nel 1982 finalmente la decisione di tornare in Svizzera.

La scelta cade su Chiasso, anche perché mio padre lavorava ancora a Milano. Tornavo “a casa”, anche se non era come Vevey, San Gallo (dove abitavano i nonni), oppure i Grigioni (sono romancio, da parte di mio padre). Il Ticino, infatti, non lo sentivo proprio. Sì, c’era l’italiano, la lingua che mi accumunava, ma ben presto scopro che il dialetto è ancora molto diffuso! Però si stava bene, abitavo in una zona popolare, dove c’erano o svizzeri o italiani che lavoravano in ferrovia o per le dogane. Un bel mix! C’era anche qualche cileno (era il periodo di questi rifugiati). Ma mi sentivo comunque sempre un po’ straniero, avevo ancora un accento americano e poi... il mio nome! Quando dicevo “mi chiamo Dimitri!” mi rispondevano “ah ah, come il clown di Verscio!”. E io pensavo: che ignoranza! Dimitri è un nome comunissimo, sia in Grecia sia in tutta la Russia. Ero forse visto come un pagliaccio? Ma cos’è questa storia? Ironia della sorte, “il Dimitri” lo avevo visto a Minneapolis, col circo Knie, alcuni anni prima. Ero in una classe di ragazzi della periferia, di Novazzano e di Seseglio, e non mi trovavo bene perché erano un po’ “limitati”, non conoscevano il mondo. In Italia, se vieni dagli Stati Uniti sei una specie di “eroe”, un “dio”, ma in Svizzera, a Chiasso, mi davano del “terrone”! A me? Perché venivo da Milano? Una cosa che non dimenticherò mai! Quindi ho subìto una specie di “razzismo in casa”, e pensare che Chiasso è una cittadina di confine, di prima accoglienza. Questo mi ha sempre spinto a cercare di fare altre cose, come suonare musica (sono batterista). Poi Chiasso l’ho abbandonata per motivi di lavoro. Non ci tornerei più perché oggi, secondo me, come il Ticino più in generale, è peggiorata e ha perso parecchio. Come vedo il Ticino del futuro? Se va avanti così, lo vedo molto male, perché si sta impoverendo a livello culturale e sociale. Qui a Lugano, dove vivo dal ’94, conoscevo quasi tutti ma non vedo più svizzeri: dove sono? Se vado in centro mi dico: chi è questa gente? Dov’è l’indigeno?

DIMITRI LoRINGETT

Vitae 14

Cresciuto tra gli Stati Uniti e l’Italia, tornato in Svizzera, vive uno rapporto curioso con Chiasso e la sua gente. Oggi è un cittadino del mondo preoccupato per la società e la cultura di questo cantone...

testimonianza raccolta da Marco Jeitziner fotografia ©Flavia Leuenberger


spazi e linee calligrafia paesaggistica a cura di Giancarlo Fornasier; illustrazioni ŠLorenzo Custer

Castelrotto, visto dalle cascine di Barico | 2006


sopra: Neggio e i suoi vigneti | 2006 sotto: l’abitato di Novaggio | 1970


sopra: Bedigliora e la Bedeglia | 1970 sotto: la chiesa di Astano | 1970

(...)


sopra l’abitato di Vergeletto | 2009


R

iprodurre lo spazio che ci circonda è oggi un gioco assai noioso: si sfiora uno schermo e tutto è catturato, per sempre. Nell’era dell’immagine digitale, macchine e software permettono una riproposizione fedele di ciò che vediamo. Ma immortalare colori e forme non è (in verità) così semplice: lo è tecnicamente, meno se vogliamo leggere e comprendere quello che prima di “scattare” abbiamo osservato. Lo sa bene chi fa disegno e pittura dal vero, lo sanno bene gli iperrealisti dediti alla riproduzione “fotografica” su tela di ciò che li circonda. E lo sa bene anche l’architetto Lorenzo Custer, che da oltre quarant’anni conduce una sua personalissima ricerca sul paesaggio e le profonde interazioni tra l’intervento umano e la naturale geomorfologia dei profili. “Calligrafie paesaggistiche” le ha battezzate lui, definizione che riconduce inevitabilmente a una dimensione personale, la grafia nella scrittura, esercizio in via di estinzione nell’insegnamento scolastico nonostante le qualità indubbiamente educative. Ma quelle che Lorenzo Custer crea sono soprattutto affascinanti esempi di sintesi visive, quadri reali filtrati da una visione intima, pacata, riflessiva, essenziale; incontri tra ciò che vediamo (l’esterno) e ciò che siamo. Sopra e sotto la linea: il punto di vista Architetto Custer, come nasce questa sua forma di ricerca sul paesaggio e, se esistono, vi sono altri architetti/ artisti ai quali si è ispirato? No, non ci sono altri artisti, non che io sappia... La mia ricerca è nata come lavoro di diploma al Politecnico di Zurigo: avevo scelto il tema dell’urbanistica tradizionale sud alpina e il suo possibile sviluppo in tempi moderni. Allora ero affascinato dalla perfetta sintesi tra lo spazio costruito e lo spazio coltivato, e tra lo spazio dell’uomo e gli orizzonti della natura. Il dialogo tra campanili, paesi costruiti e paesaggio naturale per me era una visione del paradiso: campanili che s’intrecciano con gli orizzonti creando un perfetto equilibrio. Cercavo di dare espressione a questa sensazione con le linee della mia penna di china. Nel miglior caso con una linea sola… I suoi primi disegni sono degli anni settanta, da quando, dopo gli studi, si è stabilito in Ticino: cosa c’è in questo cantone che, ieri come oggi, la ispira...? In Ticino sono arrivato da Londra, dove all’università si studiava Architettura senza architetti (Bernard Rudofsky, 1964; ndr.), un libro che presenta costruzioni in tutto il mondo che non derivano dall’intervento di architetti. Tutti eravamo alla ricerca di una nuova “architettura senza architetti”, di un’architettura non-monumentale ma complementare ai tessuti sociali e naturali. Era il mondo di Léon Krier, Peter Cook e Roberto Venturi. Ho trovato in Ticino quello che cercavo. E con i disegni ho messo in luce questa sinfonia tra campanili, paesaggio e paese. (...)


sopra: la chiesa di Castelrotto | 2006. Pagina di destra, sopra: Il Ghiridone | 2006; sotto: Piz Beverin | 2013

Tecnicamente, ci spiega brevemente come procede alla realizzazione delle sue “calligrafie paesaggistiche”? Il processo avviene con la continua sovrapposizione di schizzi su carta velina, prima a matita poi con sempre meno tratti con la penna stilografica o il pennino Rotring. La riduzione avviene fino a quando le linee sono totalmente “essenziali” e quasi astratte. La neutralità della linea fa sì che non esista differenza tra originale e copia; l’originalità casomai è data dalla carta usata per la stampa e dalla cornice. Quest’ultima può aver una specifica e voluta importanza semantica. Dai profili dei paesi del Malcantone dei suoi primi lavori, alle più recenti ricerche sulle isole e le geomorfologie montane. Che cosa l’affascina oggi maggiormente, il paesaggio trasformato dall’uomo o la natura al suo stato più crudo ed essenziale? Mi affascina vedere la dualità in tutto ciò che ci circonda. Le forme, i volumi e le superfici esprimono una dualità che può essere “natura e costruzioni dell’uomo”, “natura selvaggia e natura coltivata” o, semplicemente, “elementi naturali contrastanti”. Recentemente ho scoperto la filosofia giapponese Wabisabi (una sorta di “bellezza nell’imperfezione”, ndr.), una filosofia estetica che propone lo stesso approccio: tutto la nostra architettura tradizionale segue il principio del Wabi-sabi. Le sensazioni trasmesse dai suoi disegni riconducono a stati di tranquillità, e a una sorta di calma “sospesa”. Purtroppo, lo sappiamo, anche i paesi più discosti delle

nostre valli sono però sempre meno sinonimo di pace... Quella sorta di “calma sospesa” l’ho scoperta nelle costruzioni del passato, prima nei villaggi del Malcantone, dopo anche in tutti i paesaggi e valli sudalpini e infine anche nelle città storiche. Ho scoperto che è soprattutto la presenza di uno spazio pubblico di alta qualità, il vuoto tra le case, che ispira questa armonia. Ed è la gestione del vuoto, nel disegno e nello spazio che ci circonda e non il monumento magnifico che crea l’armonia della “calma sospesa”... Purtroppo il Ticino è una regione che paesaggisticamente negli ultimi decenni si è profondamente trasformata (e in molti ritengono lo abbia fatto in peggio). Strade, cemento e caos pianificatorio hanno sostituito costruzioni in pietra e terreni coltivati: lei crede che questo cantone conservi ancora un’identità? O tutto è stato sacrificato nel nome dello sviluppo economico? Il Ticino non è stato sacrificato nel nome dello sviluppo economico. È stato sacrificato per l’idea della “modernità”. L’economia ha poi reso possibile e realizzabile il sogno… che oggi non è più un sogno, ma troppo spesso un incubo. Purtroppo, mi sembra che si continui a volere aggiustare il territorio al pensiero “moderno”; nel “moderno” la città e i suoi spazi pubblici sono dominati dalla paura, non hanno un volto e “l’anonimità” può far degenerare i rapporti sociali… con le conseguenze che conosciamo. A me invece sembra che sia meglio imparare dalle strutture tradizionale, apprendere dagli spazi pubblici di altri tempi e in quel modo ricreare l’identità, trovare un futuro.


Calligrafia paesaggistica Landschaftskalligraphie di Lorenzo Custer Il Bisonte, 2012 Catalogo edito dalla Galleria d’arte “Il Bisonte” (Firenze; 24 pagine) apparso in concomitanza con le mostre del 2012 di Firenze e Zurigo (Gallerie Frankengasse). Il volume è reperibile contattando l’autore: custer@odc.ch

Lorenzo Custer Classe 1945, cresce a Zurigo dove segue gli studi in architettura al Politecnico, in seguito operando in seno all’Architectural Association (Londra). Dal 1971 vive in Ticino. Tra il 1979 e il 1984 lavora con la Building Workshop di Renzo Piano (Genova). Per vent’anni segue la ricostruzione di due villaggi alpini nelle Centovalli, Bordei e Terra Vecchia. Negli ultimi due decenni sempre di più si occupa di progetti di riqualifica dello spazio pubblico (Piazza Grande a Giubiasco; nucleo di Manno). Vive con la famiglia a Beride. Per informazioni: odc.ch


Scuola: quali obiettivi? Riportiamo con piacere la risposta della professoressa Daniela Tazzioli a commento dell’articolo “Una scuola da discutere” pubblicato sul n. 5/2014 di “Ticinosette” in cui, oltre a una sua intervista, erano presenti interventi di Giorgio Comi e Maria Scanziani. Un’occasione per proseguire il dibattito sulla scuola, la formazione e lo sviluppo di un pensiero critico nei giovani

di Daniela Tazzioli

Società 46

Come dichiaravo nell’articolo in oggetto, la mia esperienza è limitata al sistema scolastico della Svizzera tedesca e non esprimevo alcun giudizio su quello che accade nelle altre regioni linguistiche. Tuttavia, la mia esperienza nella scuola “svizzera” non si limita semplicemente a “quattro istituti scolastici svizzero-tedeschi”, dal momento che, oltre che cittadina italiana, sono anche cittadina grigionese e, per motivi familiari, ho avuto modo di conoscere in più occasioni da vicino altre realtà scolastiche della Svizzera tedesca. Non è corretto attribuirmi giudizi sommari sulla totalità delle realtà scolastiche svizzere, anche perché credo di conoscere abbastanza bene la complessità culturale di questo paese e mi capita spesso, in Italia, di lottare contro certe generalizzazioni relative alla Svizzera e agli svizzeri. Vorrei poi sottolineare che non è vero che anche in Italia avviene la “famigerata” selezione. In Italia gli alunni, dopo la terza media, sono liberi di scegliere di iscriversi a qualunque istituto scolastico superiore. Gli insegnanti si limitano a un consiglio orientativo, che non è formulato con superficialità ma tiene conto delle attitudini, dei talenti, delle aspirazioni del singolo alunno e non unicamente del risultato della somma dei suoi voti in alcune materie principali. Questo modello non è certamente perfetto, ma è, a mio parere, più equilibrato di quello svizzero e meno discriminatorio. Mi si obietta che in Svizzera esistono però le cosiddette “passerelle” fra un ordine di scuola e l’altro, ma sarei curiosa di conoscere quanti effettivamente riescono, con questo sistema, a cambiare agevolmente percorso di studi perché, per quel che riguarda la mia esperienza nella Svizzera tedesca, si tratta di un’opportunità che solo pochi privilegiati socialmente ed economicamente sono in grado di cogliere. Leggere la realtà Vorrei poi precisare che il mio libro non è un saggio di pedagogia, didattica o sociologia. Io sono un’insegnante e una scrittrice e la mia vocazione è di agevolare la trasmissione dei saperi e raccontare storie e sollevare qualche dubbio etico se mi pare che il contesto su cui mi esprimo lo solleciti. Il mio libro (La scuola diversa, Infinito edizioni, 2013)

è da intendersi soprattutto come un monito all’Italia, alla società e, in particolare, alla politica italiana che in questi ultimi anni, secondo una logica ragionieristica di mero risparmio, ha fatto di tutto per distruggere il patrimonio umano e culturale della scuola pubblica in nome di modelli scolastici ed educativi superficialmente importati dall’estero e quantomeno discutibili. Non volevo affatto demolire il sistema scolastico della Svizzera, di cui, fra l’altro, ho riconosciuto esplicitamente l’eccellenza della formazione professionale in contrapposizione all’Italia che registra invece un abissale scarto in questo settore, ma porre domande etiche su un sistema che presenta, a mio parere, grossi limiti proprio per la carenza di cultura umanistica. E per cultura umanistica non intendo certo quella confinata nei due licei “umanistici” del Ticino. Per me cultura umanistica significa trasmettere agli studenti strumenti critici per interpretare la propria realtà e quella che li circonda e, su questo, ho trovato carente la scuola della Svizzera tedesca. C’è quindi sì una domanda implicita nel libro, che può forse essere estesa ai lettori e concittadini della Svizzera italiana e che il giornale ha colto: una scuola che si preoccupa principalmente di formare professionisti di settore, giovani attrezzati linguisticamente a muoversi in un “contesto socio-economico caratterizzato da forte mobilità” e non cittadini dotati di strumenti critici per interpretare la realtà, assolve davvero al suo compito educativo in senso etico e civile? Ma personalmente, per soddisfare la curiosità che nutro per un sistema scolastico di una regione che non conosco affatto, ne porrei un’altra: realtà come il Ticino e il Grigioni italiano fondano il loro patto sociale su leggi, istituzioni e usanze elvetiche, ma interpretano e veicolano la loro visione del mondo (Weltanschauung) attraverso la lingua di Dante e questo non è un dettaglio insignificante che ci dice che essere minoranza linguistica non implica affatto il concetto di “minorità culturale”. Come si traduce questa specificità nella vostra scuola? Sarei molto curiosa di sapere qual è la sintesi che si è attuata, in questa regione linguistica, fra le due culture di appartenenza e come essa si riflette sulla scuola.


Concorso. La foto del mese

Pubblichiamo la prima immagine selezionata tra quelle giunte in Redazione nell’ambito del concorso fotografico lanciato da “Ticinosette” ai lettori. Il prossimo appuntamento è tra quattro settimane...

Fotomodella che ritrae se stessa con telecomando (categoria “se stessi”) di Gian-Piero Pampuri, Giubiasco

Tutti possono partecipare al concorso fotografico anche se, per ovvie ragioni sono, esclusi categoricamente i professionisti della fotografia (ma non gli apprendisti fotografi e altre persone in formazione). Nel corso dell’anno i partecipanti potranno inviare una sola foto per ogni sezione, anche in tempi diversi. Abbiamo definito sei grandi temi nei quali potete sbizzarrirvi: “se stessi”, “in movimento”, “la famiglia”, “il lavoro”,

“gli oggetti” e “l’invisibile”. Ricordiamo che in ogni invio deve essere specificata la sezione a cui si intende concorrere, oltre al proprio nome e cognome, l’indirizzo e un recapito telefonico. Come già indicato, le immagini – che saranno accettate solo se inoltrate in alta risoluzione (300/320 ppi) in modo da consentirne la pubblicazione – dovranno essere inviate al seguente indirizzo di posta elettronica: phototicinosette@gmail.com.

Mensilmente pubblicheremo un’immagine selezionata (come il bel ritratto qui sopra) tra quelle giunte nell’arco delle quattro settimane, e ritenuta la più interessante dal comitato di Redazione. Tra un mese verrà dunque pubblicata la seconda immagine selezionata e alla fine del 2014 le migliori saranno raccolte in un reportage. Il vincitore finale, selezionato sempre dalla Redazione, riceverà un premio in contanti di ben 400 franchi.


G

iorgio Armani è sempre stato il fautore di un’eleganza priva di esibizionismo e di pose compiaciute e che, proprio per questo, risulta naturale e rilassata. A suo modo rigorosa sì, ma con nonchalance. Cura dei dettagli e disciplina del vestire in primis, purché il comfort non venga mai meno. Come non ricordare Richard Gere vestito Armani in American Gigolo? Era il 1980, il film conquistò il pubblico internazionale anche per quello charme maschile disincantato, sottolineato dalle giacche impeccabili, tuttavia destrutturate e a caduta morbida, il classico doppiopetto che perdeva l’aspetto di una armatura, i pantaloni da portare senza la piega... Via via successi planetari quali la giacca maschile che diventava un irrinunciabile perno su cui far girare il guardaroba femminile, non solo da donna manager, ma anche da femme sottilmente sexy. Poi i piccoli pezzi intercambiabili che mixati moltiplicavano le potenzialità dei vestiti nell’armadio. I favolosi abiti da “mille e una notte” destinati alle Scheherazade del red carpet. Gli smoking da uomo così sobri e calibrati, ma costruiti in modo da rendere super bello qualsiasi maschietto... Tanto per citare qualcuna delle sue trovate più felici.

Il tIc tac dI re GIorGIo L’estetica aLL’itaLiana e La precisione eLvetica. L’inconfondibiLe stiLe di GiorGio armani e iL know how svizzero. Un connUbio fortUnato daL risULtato eLeGante e armonioso Tendenze p. 48 – 49 | di Marisa Gorza


Il fattore “tempo”

Ma torniamo a quell’alleanza tra i due mondi di eccellenza che intreccia il made in Italy con il paese dell’orologeria per antonomasia, dove il perfezionismo armaniano incontra l’esattezza dei “signori del tempo”. Il re dello stile ha infatti svelato in anteprima, nell’ambito delle sfilate per l’inverno 2014 di Milano Moda Uomo dello scorso gennaio, il suo nuovo progetto haute de gamme, cioè la prima collezione di orologi Emporio Armani Swiss Made. Una serie di segnatempo che debutterà ufficialmente il prossimo 27 marzo al Baselworld, il Salone mondiale dell’orologeria e della gioielleria, prestigioso appuntamento annuale patrocinio della Fiera di Basilea. Nel corso dell’evento ad hoc, presso il Teatro Armani progettato da Tadao Ando, oltre alla presentazione di ben 51 preziosi modelli, un gruppo di esperti artigiani ha eseguito dal vivo alcune lavorazioni e passaggi chiave. Un lungo tavolo affollato di tecnici e orologiai, pronti a dare con passione e pazienza, tutte le spiegazioni sul processo manifatturiero, sulla produzione di casse, lancette, movimenti al quarzo o automatici. Sapiente assemblaggio e calma certosina per dar vita a esemplari unici, sia maschili sia femminili, realizzati con i migliori materiali. Strumenti affidabili, pezzi d’arte dalle linee elegantemente discrete ed essenziali.

Il valore dI uno stIle

Difatti sono le rassicuranti forme degli orologi anni trenta e quaranta che hanno ispirato Giorgio Armani, debitamente rivisitate in chiave contemporanea. “Da sempre credo nel mix di innovazione e tradizione” ha dichiarato, “ho rielaborato il design nitido e senza tempo dell’epoca, unendolo alla migliore tecnologia svizzera, espressione imbattibile di esattezza”. Molto accattivante ogni modello. In particolare attraggono l’occhio le versioni con il bracciale metallico snodabile. Una diligente composizione di oltre seicento elementi, tenuti insieme da micro raccordi, in modo da ottenere, indossandoli, la percezione di un tocco setoso intorno al polso. Non si sbaglia allora quando si dice che è il dettaglio a fare la differenza! Scompare dal quadrante il noto simbolo dell’aquilotto con le ali spiegate, tipico delle precedenti collezioni di orologi che rimangono come esemplari sportivi, magari pratici accessori di stagione. Diversamente gli Emporio Armani Swiss Made si direbbero progettati per durare a lungo, per non passare mai di moda. Per di più proiettati verso le fasce più alte ed esclusive. Cioè la haute couture degli strumenti cronometrici. Il tempo è una grande ricchezza, misurarlo con stile non può che aggiungervi valore.


La domanda della settimana

Alla luce del voto espresso il 9 febbraio, secondo voi il Consiglio federale comprende i timori e le preoccupazioni espresse dalla maggioranza della popolazione elvetica?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 27 febbraio. I risultati appariranno sul numero 10 di Ticinosette.

Al quesito “Ospitare le Olimpiadi invernali potrebbe rappresentare un’occasione per rilanciare il settore turistico svizzero?” avete risposto:

SI

50%

NO

50%

Svaghi 50

Astri ariete Opportunità professionali grazie a Urano. Da tempo ha avuto inizio un ciclo importante della vostra vita. Cambiamenti in vista.

toro Tra il 25 e il 26 Luna ok. Empatia con il partner. Charme in crescita per i nati nella seconda decade: momento buono per affrontare Saturno.

gemelli Tra il 23 e il 24 la Luna potrebbe provocare problemi di scarsa empatia con il partner. Visibilità in una situazione pubblica tra il 27 e il 28.

cancro Luna storta tra il 25 e il 26. Correte il rischio di esser assaliti da mille paure. Non fatevi manipolare da nessuno. Autoindulgenza alimentare.

leone Momenti di seduzione, soprattutto se in trasferta. Il 24 potreste incontrare, durante un evento social, lo straniero/a dei vostri sogni.

vergine Grazie ai transiti nella quinta casa solare vi sentite molto creativi. Fascino ed eros in un magnifico tandem. Colpi di fulmine. Bene il 25 e il 26.

bilancia Grazie alla Luna in Sagittario tra il 23 e il 24 potrete vivere ogni quotidianità con relativa effervescenza. Tagli netti per i nati nella terza decade.

scorpione Grazie ai transiti nella vostra terza casa solare avete trovato un partner con cui condividere la vostra natura. Avanzamenti professionali.

sagittario Date spazio alla vostra creatività. Sentitevi leggeri e sperimentate le gioie dell’effimero. Speculazioni finanziare e investimenti.

capricorno Fase di ribellione. Con Giove in opposizione si accentua la tendenza a non esser contenti di quello che si ha. Cautela il 25 e il 26.

acquario Novità affettive. Grazie a Marte state per dare campo a nuove progettualità. Positive le giornate comprese tra il 23 e il 24.

pesci Pianeti favorevoli: avrete la possibilità di fare le cose in grande. Eros alle stelle. Puntate dritto verso la realizzazione dei vostri sogni.


Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 10

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 27 febbraio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 25 febb. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Orizzontali 1. Coinvolgenti, stuzzicanti • 9. Le stuzzicano i profumi • 10. Il vil metallo • 11. Zia a Madrid • 12. La stoffa del kilt • 14. Fatte, realizzate • 16. Dittongo in Coira • 17. Le iniziali di Montanelli • 18. Consonanti in Teseo • 19. Scelti, selezionati • 22. Pari in parco • 23. Lubrificano • 24. Castigato • 26. Il Nichel del chimico • 27. Collaudato • 28. Fa sbadigliare • 30. Pari in pianeta • 32. Cary, indimenticato attore • 33. Riga centrale • 34. Che gli appartengono • 36. Emirato arabo (Y=I) • 38. Destino, fato • 40. Nel centro di Lima • 41. Cingono il capo degli eroi • 44. Olio inglese • 45. Il niente del croupier • 47. Nessuna Notizia • 48. Un bicchiere per la birra - 50. Il maestro della relatività. Verticali 1. Collegamento tra più canali • 2. Genere pittorico • 3. Tunnel, gallerie • 4. Marina nel cuore • 5. Riconoscenze • 6. Appunto • 7. Patto, accordo sottoscritto • 8. Ha scritto “La cantatrice calva” • 12. Le iniziali di Tasso • 13. Lo è il cervo • 15. Uno detto a Zurigo • 20. Il nome di Vittorini • 21. Si contrappone a iper • 25. Nel centro città • 27. La perla del collezionista • 29. Nome russo d’uomo • 31. È vicino a Bioggio • 33. Dittongo in pietra - 35. Con i topi in un libro di Steinbeck • 37. L’ama Robin Hood • 39. Lo pseudonimo della Evans • 42. Vasi panciuti • 43. Cielo senza limiti • 46. Piccolo difetto • 48. Belgio e Svezia • 49. Mezza cena.

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La soluzione del Concorso apparso il 7 febbraio è: SERENITÀ Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Giuliana Bernasconi 6835 Morbio Superiore Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: tre Ape card Arcobaleno Ape card è lo strumento ideale per caricare e pagare i biglietti Arcobaleno risparmiando, grazie al plusvalore di ricarica. Maggiori informazioni su www.arcobaleno.ch/apecard

Arcobaleno mette in palio una Ape card da CHF 50.– a tre fortunati lettori che comunicheranno correttamente la soluzione del Concorso.

Svaghi 51


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