№ 10 del 7 marzo 2014 · con Teleradio dal 9 al 15 mar.
IALE C E P S
TÀ I L I MOB
TRAFFICO
Code, ingorghi e parcheggi: la viabilità del cantone alla paralisi. Siamo a una svolta?
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presenta
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21.02.14 10:41
Ticinosette n. 10 del 7 marzo 2014
Impressum Tiratura controllata 66’475 copie Chiusura redazionale Venerdì 28 febbraio Editore Teleradio 7 SA Muzzano Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55 Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs Stampa (carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona Pubblicità Publicitas Publimag AG Daniel Siegenthaler Muertschenstrasse 39 Postfach 8010 Zürich tel. 044 250 36 65 tel. 079 635 72 22 fax 044 250 31 32 daniel.siegenthaler@publicitas.com dati per la stampa a: service@publimag.ch www.publimag.ch Annunci locali Publicitas Lugano tel. 091 910 35 65 fax 091 910 35 49 lugano@publicitas.ch Publicitas Bellinzona tel. 091 821 42 00 fax 091 821 42 01 bellinzona@publicitas.ch Publicitas Chiasso tel. 091 695 11 00 fax 091 695 11 04 chiasso@publicitas.ch Publicitas Locarno tel. 091 759 67 00 fax 091 759 67 06 locarno@publicitas.ch In copertina Velocità: visione laterale Fotografia ©Simone Mengani
4 Società Fracking. Un metodo discusso di Fabio Martini............................................ 7 Kronos Vette. Voli di fantasia di alessandro tabacchi............................................... 10 Mundus Donne e volante. Indietro tutta! di duccio canestrini ............................... 11 Vitae Filippo Tommaso Marinetti di eugenio Klueser ............................................... 12 Reportage Pionieri del volante a cura di g. Fornasier; Foto dell’archivio di stato .... 37 Luoghi Officina. Motori al caldo di Marco Jeitziner; Foto di Flavia leuenberger ........... 42 Tendenze Car of the Year 2014. Elektro shock a cura della redazione..................... 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Mobilità. Il cantone a una svolta?
di
Marco Jeitziner ......................................
Teletrasporto Nell’Enterprise praticamente siamo cresciuti e i componenti del suo equipaggio, a partire dal capitano James T. Kirk, dal signor Spock e dal dottor McCoy, sono entrati a buon titolo nell’immaginario collettivo di intere generazioni. Una saga storica, iniziata da un insuccesso, che ebbe però il merito di riproporre e attualizzare sullo schermo le profonde trasformazioni che negli anni sessanta attraversavano la società americana. In un mondo dilaniato dalla guerra fredda, l’equipaggio dell’Enterprise offriva un modello di umanità del tutto originale, in grado di superare pregiudizi ideologici e razziali (il primo bacio interrazziale nella storia del cinema e della televisione avviene proprio nell’episodio del 22 novembre del 1968 di Star Trek). Ma non è tutto. L’aspetto che colpiva più di ogni altro la fantasia di noi ragazzi e bambini di allora era proprio il teletrasporto, un fantastico sistema di trasferimento istantaneo della materia, usato generalmente per inviare e spostare i membri dell’equipaggio, così come le loro attrezzature, dall’apposita sala dall’astronave ai pianeti oggetto delle loro esplorazioni. Questione di un attimo e si poteva arrivare
dovunque si desiderasse anche se talvolta con qualche spiacevole sorpresa, visto che spesso i nostri eroi ignoravano la natura e soprattutto il carattere degli abitanti dei pianeti oggetto del loro intresse. Tutto sommato, credo che oggi il teletrasporto rappresenti una delle fantasie ricorrenti non solo dei ticinesi ma anche delle decine di migliaia di lavoratori frontalieri che quotidianamente con le loro automobili intasano nelle ore di punta il sistema viario cantonale. Un fattore di stress e di disagio per tutti, che ha certamente pesato sul risultato del recente referendum il cui esito minaccia di innescare un imprevedibile corto circuito fra opinione pubblica, amministratori, politici e imprenditori. Per non entrare nel merito dei rapporti fra Confederazione e Unione Europea. Un tema che sarà oggetto di inchieste e approfondimenti anche da parte di Ticinosette perché purtroppo, e senza nulla togliere alle “bellezze” e alle novità futuristiche in mostra al Salone dell’automobile di Ginevra, le nostre case sono al momento prive dell’agognata e risolutiva tecnologia. Buona lettura, Fabio Martini
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Il cantone a una svolta? Mobilità. La nuova strategia del Dipartimento del territorio per far fronte alla situazione del traffico nel cantone punta molto sull’eliminazione dei parcheggi per i frontalieri. Funzionerà? Molti lo sperano. Ma il problema è prettamente culturale: sono i ticinesi i primi che dovrebbero cambiare abitudini… di Marco Jeitziner
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ervirà rispolverare leggi e regolamenti di diversi anni fa per migliorare la disastrosa viabilità nel Mendrisiotto (e non solo)? Claudio Zali, neo direttore del Dipartimento del territorio (DT), ci crede eccome. Lo abbiamo interpellato su numerosi punti legati alla mobilità del cantone: la sfida, afferma lo stesso Zali, è culturale prima che finanziaria e riguarda, crediamo, sia i ticinesi sia i frontalieri italiani, con cui condividiamo, purtroppo o per fortuna, la stessa “cultura dell’automobile”. Agorà 4
Mancanza di visione Migliaia di posteggi tra Ligornetto e Rancate, nella zona Campagna Adorna, tra Genestrerio e Mendrisio ecc. L’atteggiamento dei comuni – per attirare aziende – è stato “ambivalente”, ha dichiarato lo stesso Zali1. Dal 2006 esiste un regolamento cantonale sui parcheggi ma, finora, è servito “poco o nulla” ha sbottato il deputato dei Verdi, Francesco Maggi. Ora spetterà ai comuni e al DT stabilire quali posteggi sono a norma e quali no, ma la tesi – a cui nessuno negli ultimi venti anni aveva mai pensato – è logica: a meno posteggi equivalgono meno auto (a meno che non si parcheggi abusivamente altrove) e quindi un maggiore utilizzo di altri mezzi o modalità di trasporto. “È da circa 2-3 anni che l’evoluzione del traffico veicolare nelle ore di punta ha raggiunto nel Mendrisiotto e nel Luganese dei picchi insostenibili” ci dice Zali. “Vi era l’aspettativa di riuscire a migliorare la situazione grazie a potenziamenti della rete stradale”, per esempio, la galleria Vedeggio-Cassarate, ma non è andata così. “Operando su concetti già noti (mobilità aziendale, park&ride, car pooling ecc.), la novità è solo quella della proposta di una strategia coordinata di questi elementi, applicata nel contesto della contemporanea riduzione del numero dei posteggi aziendali riservati ai dipendenti dei grandi datori di lavoro”. E su quanto fatto (o non fatto) dai comuni e dal cantone finora? “Il riferimento alla precedente attitudine «permissiva» dei comuni in tema di posteggi non vuole essere una critica. Si è comprensibilmente cercato di favorire le aziende, in assenza di una visione complessiva della situazione, che nemmeno si poteva pretendere dai singoli comuni”. Vero, ma la paralisi viaria era invece da tempo e facilmente prevedibile dalla politica…
Il “caso parcheggi” L’Associazione traffico e ambiente (ATA), di solito molto critica, approva. Nel caso di Ginevra “tra il 75 e il 100% dei ginevrini utilizza l’auto quando dispone di un posteggio – gratuito o a pagamento – sul luogo di lavoro”. Zali andrebbe dunque a colpire nel punto giusto, anche perché, dice l’ATA del canton Vaud, “limitare i parcheggi selvaggi” non solo riduce il traffico e gli incidenti, ma libera importanti superfici per altri scopi e/o attività, c’è meno “stress da parcheggio” e rumore, migliorano le relazioni di quartiere, l’immagine delle aziende ecc2. Stesso discorso si potrebbe fare coi comuni che impiegano i residenti, coi parcheggi in superficie o sotterranei degli oltre 300 uffici sfitti sul territorio di Lugano3. In Belgio, la città di Bruxelles intende eliminare tra 20 e 25mila parcheggi di uffici in città in quindici anni, mantenendone una certa quantità aperta al pubblico4. Per i timori dell’economia (delocalizzazione delle aziende ecc.) la politica condotta dalla città di Zurigo potrebbe fare ancora scuola: la “cultura della mobilità” si è diffusa grazie alla priorità data all’offerta di trasporto pubblico, ai tempi di attesa “azzerati”, alla coesistenza dei vari mezzi, alle regolazioni semaforiche, all’accesso “intelligente” nelle ore di punta, alla limitazione dei parcheggi in base alla copertura del mezzo pubblico ecc. I dubbi della scienza Il mondo scientifico è però scettico. Giuseppe Pini, direttore dell’Osservatorio universitario della mobilità di Ginevra, afferma5: le misure “fisiche” come la “soppressione dei posteggi” spesso sono “inadeguate” perché “non influenzano (...) il grande aumento della mobilità” nella società in generale. Il fenomeno verrebbe spesso affrontato attraverso due sole lenti, la “struttura di un luogo” e “l’offerta di trasporto”. Ma la reale domanda di trasporto è composta da un’ampia varietà di fattori oggettivi e soggettivi (personali, contingenti, pianificatori ecc.). Andrebbe considerato, per esempio, il fatto che scegliere l’auto per andare al lavoro non dipende tanto dal reddito o dal grado d’istruzione, quindi nemmeno dal settore economico. Quindi, dice Pini, “questo ci permette di pensare che la disponibilità a pagare di più per una migliore mobilità, che significa rispettare i vincoli di tempo e di como-
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Immagine tratta da rsi.ch
dità, non rappresenta un’utopia”. La puntualità (ottima) e la comodità (sempre più critica) svizzere permettono a Pini di affermare che “la mobilità in Svizzera è troppo a buon mercato” e non a caso tutti i servizi di bus non si autofinanziano coi soli biglietti ma sono sovvenzionati. Insomma, dice Pini, “il prezzo non è la variabile decisiva, altrimenti nessuno userebbe l’auto che costa molto di più!”6.
osserva ancora Pini: “il giorno in cui i dipendenti (...) non potranno più avanzare sull’autostrada, raggiungere l’aeroporto o salire in un treno perché non c’è posto, le aziende avranno tutti i motivi per spostarsi”8. Proprio il Ticino sta vantando il record svizzero di nuove imprese insediate9, ma è anche uno dei cantoni più intasati... Se la legge fosse stata applicata sin dal 1995, ora ci troveremmo in queste condizioni?
Aziende: requiem per una legge L’economia e l’industria ticinesi vorrebbero una migliore regolazione del traffico ma poi non contribuirebbero a migliorarlo. Zali ha annunciato una svolta più coerente: “affermare che chi genera grandi correnti di traffico veicolare deve contribuire finanziariamente alla riparazione del pregiudizio che ne deriva, non rientra nella mia nozione di «ostacolo all’economia». E soprattutto non è un concetto nuovo, essendo previsto dalla legge cantonale sui trasporti pubblici sin dal 1995 (lo afferma l’articolo 35, ndr.). Si va ora nella direzione di una più puntuale applicazione di questa normativa”. L’esperto bernese di mobilità Franz Mühlethaler suggerisce di imitare quanto si fa già in Francia o in Italia: si attribuiscono dei parcheggi solo agli impiegati che condividono l’auto. Per Hanspeter Guggenbühl, esperto in energia, ogni azienda dovrebbe pagare una tassa per ogni frontaliere destinata a finanziare i lavori stradali: ciò ridurrebbe la migrazione dei pendolari e stimolerebbe il tele-lavoro, laddove possibile7. Se non si farà nulla, la stessa economia potrebbe soffrirne,
Mobilità aziendale: “migliore rispondenza” Il bilancio ticinese della mobilità aziendale (2007-2012) ci pare deludente. Solo un quinto delle quasi 550 aziende con oltre 50 dipendenti (dati 2008) è stato “coinvolto” dai piani di mobilità, soprattutto nel Luganese. Di queste, solo un terzo ha realizzato “almeno una misura” e la “più diffusa” è, semplicemente, l’abbonamento scontato “Arcobaleno” per gli impiegati10. Lo stesso Zali ha poi rivelato che ci sono “ditte che (...) non ne hanno «venduto» uno solo”. Insomma, così non funziona. È vero che a causa dei turni di lavoro “la mobilità aziendale (...) non può essere cucita addosso a tutte le società”, ha precisato il direttore dell’Associazione industrie ticinesi Stefano Modenini11, ma certe lungaggini “bibliche” non sembrano giustificabili. “Sarà promossa con le aziende una nuova politica improntata alla mobilità aziendale, se possibile da applicare in forma congiunta a più aziende vicine tra loro” ci dice Zali, anche “per l’acquisto di bus aziendali ecologici”. E precisa: “l’intenzione strategica è quella di ottenere una migliore rispondenza rispetto al passato, (...)
sia per le maggiori risorse che saranno destinate alla questione, ma anche per il motivo che vi sarà al contempo una stretta sui posteggi disponibili per il personale”. Come sosteneva12 già anni fa uno specialista internazionale del traffico, Philip Gasser, andrà a finire che “molte aziende reagiscono quando non possono più fare altrimenti”?
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Trasporti pubblici: “Recuperare terreno” I passeggeri dei treni TiLo dal 2004 al 2011 sono quasi raddoppiati, ma oggi solo un ticinese su dieci (12%) e solo due frontalieri su cento (2%) si recano al lavoro utilizzando i mezzi pubblici. Lo scarto rispetto al resto del paese è enorme e non si giustifica per un territorio così piccolo. Il Mendrisiotto è proprio la regione peggio servita, specie “nella zona industriale di San Martino, nell’area dei centri commerciali presso lo svincolo autostradale di Mendrisio”13. Investire nei mezzi pubblici però è pagante, appunto, quindi che pensa Zali per il futuro? “Si intende recuperare molto terreno nei confronti del traffico veicolare. Questo sarà reso possibile dall’apertura entro il prossimo decennio di nuove grandi opere che muteranno profondamente il volto del trasporto pubblico in Ticino. Penso qui alla galleria Alptransit del Monte Ceneri, che dimezzerà i tempi di percorrenza Lugano/Bellinzona e Lugano/ Locarno, come pure alla nuova rete del tram, che grazie al nuovo tunnel da realizzare in zona Crespera collegherà i comuni attualmente serviti dalla FLP al centro di Lugano in tempi molto più brevi degli attuali. A breve termine (fine 2014) sarà invece aperto il nuovo collegamento ferroviario Stabio/Mendrisio e sarà potenziato quello tra Chiasso e Mendrisio”. Condivisione dei veicoli Se il car-sharing (noleggio di vetture nei pressi di stazioni ferroviarie e fermate dei bus) in Ticino piace praticamente solo in estate ai turisti14, sulla condivisione dell’auto (carpooling) Zali nutre molte speranze. “È in effetti insoddisfacente il bassissimo tasso attuale di occupazione delle autovetture, pari a circa 10 vetture per 11 persone trasportate” osserva. “Sarebbe sufficiente, grazie a una maggiore condivisione dei veicoli, che il tasso di occupazione salisse a due persone per auto per dimezzare di fatto il traffico”. Il calcolo non fa una piega, ma dovrebbe riguardare anche i ticinesi perché questo modo di spostarsi “è molto più diffuso tra i frontalieri rispetto ai residenti in Ticino (6,7% contro 2,3%)” 15. L’iniziativa ticinese “liberalauto” non è certo nuova ma già al suo lancio è apparsa problematica: a fine 2012 erano solo “una ventina” le aree riservate dalle aziende16. Tuttora non è chiaro a tutti come usare il sito internet e nessuno sa quante auto sono condivise ogni giorno17. “Nuovamente, oltre a mantenere ed eventualmente migliorare le iniziative esistenti, si interverrà sulle aziende, chiedendo che alla riduzione dei posteggi faccia riscontro un aumento del numero di persone trasportate da ogni veicolo”, insiste Zali. Si vorrebbe anche “rendersi attivi presso i comuni italiani della fascia di frontiera, chiedendo loro di allestire appositi posteggi per la condivisione dei veicoli”. Accadrà come a Ginevra, dove l’anno scorso si è deciso (ma è stato lanciato un referendum) di co-finanziare ben cinque Park&Ride per i frontalieri in territorio francese? Nella Regione Lombardia c’è chi di recente ha proposto di utilizzare una parte dei
ristorni versati dal Ticino “per il trasporto pubblico dei frontalieri” e di “investire in una serie di pullman per trasportare i frontalieri dell’olgiatese”18. “Un difficile equilibrio” “Partendo dalla ridotta disponibilità di posteggi, è in definitiva un piccolo cambio di mentalità degli utenti, che al prezzo della rinuncia al concetto dell’uso in esclusiva della propria vettura, potrebbero ottenere un risparmio economico e tempi di percorrenza più brevi nel tragitto casa/lavoro” auspica infine Zali. Ma come far coesistere il diritto alla mobilità alle persone, quello alle aziende e al contempo tutelare la salute pubblica che risente dei primi diritti? “Questo difficile equilibrio è la sfida per i politici di oggi, chiamati però anche a rispondere alle priorità immediate dei cittadini e tutto nei limiti delle risorse economiche a disposizione. Realisticamente si deve riconoscere che, nonostante l’impegno, non è sempre possibile fare quadrare il cerchio”. Ma ci pare più fattibile allorquando “valori simili” di motorizzazione tra ticinesi e lombardi indicano una cultura condivisa19. Ci sembra pertanto fuori luogo pretendere solo dagli altri quello che potrebbero fare cittadini, lavoratori e aziende ticinesi, ovvero un cambiamento della mobilità dal basso, e non sempre imposto dall’autorità, come è accaduto (e sta succedendo) in altre città svizzere culturalmente diverse (Zurigo, San Gallo, Basilea città, Lucerna, Winterthur, Ginevra)20. Infine se, dicono tutti gli studi in materia, non è il lavoro che genera più spostamenti, bensì il tempo libero (visite ad amici/parenti, attività sportive, culturali, ecc.); e che, proprio perché beneficiano di più tempo libero sempre più anziani (soprattutto uomini) si metteranno al volante “a discapito dei trasporti pubblici”21, il Ticino quale “cantone più anziano della Svizzera”22 non potrà sottrarsi a questa sfida.
note 1 LaRegioneTicino, 11.2.2014. 2 Per i dettagli: “Le plan de mobilité - Repensons la mobilité pendulaire et professionnelle”, Ate (Vaud), 2008. 3 Corriere del Ticino, 11.2.2014. 4 La Libre Belgique, 29.11.2012. 5 “For a better understanding of the demand for mobility (…)”, A. Martinelli e altri, Swiss Transport Research Conference (Ascona, 2001). 6 Tribune de Génève, 12.7.2011. 7 Le Matin, 14.10.2013. 8 24heures, 5.10.2008. 9 cdt.ch, 3.1.2014. 10 “Mobilità aziendale” - Bilancio 2007-2012, DT, marzo 2013. 11 Il Caffè, 16.9.2012. 12 Rivista “Entreprise Romande”, n. 7, 15.9.2006. 13 “Piano regionale dei trasporti del Mendrisiotto e Basso Ceresio”, DT, 1.11.2013. 14 LaRegioneTicino, 4.2.2013. 15 “Sempre più aziende e comuni impegnati per una mobilità sostenibile”, Dati, n. 1, 2011. 16 Ibid. 10. 17 Ticinonline, 24.11.2009. 18 Ticinonline, 20.2.2014. 19 “Mobilità nel Ticino”, DT, aprile 2004. 20 Vedi le iniziative “UmverkehR” e “actif-trafiC”. 21 “L’impatto del mutamento demografico sulla mobilità”, Ufficio federale dello sviluppo territoriale, 2008. 22 “L’invecchiamento della popolazione in Ticino”, Osservatorio dello sviluppo territoriale, 2007.
Un metodo discusso L’estrazione di idrocarburi con la tecnica del fracking ha provocato un’alzata di scudi da parte degli ambientalisti. Una metodologia complessa e costosa che al di là delle implicazioni strettamente legate all’impatto sulla natura sta modificando i rapporti di forza all’interno del mercato globale di Fabio Martini
La moderna scienza petrolifera oltre ai giacimenti con-
venzionali, composti essenzialmente da una roccia di copertura impermeabile, una roccia serbatoio porosa e permeabile e una geometria favorevole a contrastare la spinta di galleggiamento degli idrocarburi, ha individuato in natura diversi altri tipi di giacimenti di idrocarburi liquidi e gassosi. Innanzitutto i cosiddetti tight oil e tight gas, in cui la roccia serbatoio ha permeabilità molto basse; le tar sands o sabbie bituminose, che vengono sfruttate con miniere a cielo aperto o con tecniche di immissione di energia nel sottosuolo; il coal seam gas o coal bed methane, che sfrutta la naturale presenza di metano all’interno dei livelli di carbone; le oil shale, anche queste sfruttate con tecniche simili a quelle delle miniere. E infine lo shale oil e lo shale gas. Riguardo a quest’ultima metodologia, va detto che le rocce che danno origine a gas e petrolio, comunemente dette “rocce madri”, talvolta contengono ancora rilevanti quantità di idrocarburi non espulsi, che fino a pochi anni fa non era possibile sfruttare commercialmente. A partire dal dopoguerra è stata elaborata la tecnica della fratturazione idraulica (fracking), utilizzata per “stimolare” pozzi poco produttivi e aumentare quindi la produzione di idrocarburi. Negli anni ottanta e novanta George P. Mitchell sperimentò lungamente il metodo sulla formazione Barnett shale, in Texas, nel tentativo di avviare una produzione commerciale. Cos’è il fracking? Il metodo, perfezionato da Mitchell, in seguito raffinato e adattato alla miriade di differenti situazioni che si presentano in natura, consiste nel pompare all’interno di un pozzo una notevole quantità di acqua ad alta pressione, con l’aggiunta di sabbia e additivi chimici. Lo scopo è di vincere la resistenza meccanica della roccia, propagando una frattura che si allontana dal pozzo (fino a un
massimo di un circa 500 metri ma solitamente entro i 200 metri) e permettendo alla sabbia di infiltrarsi nella frattura stessa. Una volta raggiunta la profondità finale, il pozzo viene rivestito con un tubo d’acciaio cementato alla parete del foro, che lo isola dalla roccia circostante. Il tubo viene quindi perforato, assieme al cemento e alla roccia nelle immediate vicinanze del pozzo, tramite piccole cariche esplosive appositamente sagomate, che mettono quindi in comunicazione il pozzo con la roccia. Questo processo viene ripetuto su piccoli intervalli posizionati a distanze variabili l’uno dall’altro fino a coprire tutta l’area di interesse minerario. Partendo quindi dalla parte più profonda del pozzo, ciascun intervallo perforato viene isolato dal resto del pozzo con speciali strumenti. Quindi la miscela di acqua, sabbia e additivi viene pompata all’interno della formazione attraverso i fori praticati nel rivestimento, fino a quando la crescente pressione arriva a superare la resistenza meccanica della roccia determinando un sistema di fratture (il fracking, appunto) che si propaga di solito nella direzione di minore resistenza. All’interruzione del pompaggio la pressione cala, una parte della miscela pompata risale verso la superficie (flowback), ma una parte della sabbia rimane intrappolata all’interno delle fratture appena formate, mantenendole aperte. Il processo viene ripetuto per ciascun intervallo perforato, e infine il pozzo viene aperto alla produzione per verificare la portata di idrocarburi raggiungibile.
Società 7
Un metodo discusso Da qualche anno si è creato un vasto movimento internazionale No Frack che si oppone all’applicazione del metodo del fracking, ritenuto responsabile di diversi problemi ambientali. Il primo riguarda l’elevato consumo di acqua che può incidere negativamente sulle riserve idriche di una determinata area. Vi è poi la questione (...)
dello smaltimento dell’acqua recuperata dai pozzi, che contiene numerosi additivi chimici utilizzati per controllarne le proprietà. Un’altra forte obiezione è che la tecnica del fracking, destabilizzando la struttura del sottosuolo favorirebbe fenomeni di sismicità. Infine, al di là delle possibili ricadute a livello ambientale, non sono in pochi a ritenere questo metodo poco interessante sul piano economico. Ne abbiamo parlato con Paolo Martini, senior geologist e consulente petrolifero con oltre vent’anni di esperienza del settore, che opera a Londra per alcune compagnie internazionali impegnate nella ricerca e produzione di idrocarburi liquidi e gassosi.
Società 8
Dottor Martini, qual è la differenza tra un pozzo petrolifero convenzionale e uno per shale gas o shale oil? Le tecniche di perforazione sono sostanzialmente le stesse. La differenza risiede nel comportamento produttivo dei due tipi di pozzo. Solitamente un pozzo perforato in una trappola petrolifera convenzionale ha un periodo iniziale a portata relativamente alta che può durare anche diversi anni a seconda della pressione di giacimento e delle caratteristiche della roccia serbatoio, del fluido prodotto e di quelle meccaniche del pozzo. Inizia quindi un lungo declino della portata, solitamente valutabile in circa il 10-15% all’anno, che può durare anche vari decenni. La portata iniziale di un pozzo può variare da poche decine di barili di petrolio al giorno (USA e Canada, per esempio) a oltre 80mila barili al giorno (Libia, Iraq) nei casi più favorevoli. I pozzi per shale oil al contrario hanno una portata iniziale normalmente inferiore ai 2500 barili al giorno e un periodo iniziale molto breve (anche solo di uno o due mesi) seguito da un declino molto rapido con una “coda” produttiva che può prolungarsi anche per diversi anni. Per raggiungere una produzione simile a un giacimento convenzionale quindi bisogna perforare un numero molto elevato di pozzi in un periodo di tempo relativamente breve. Lo stesso vale per i pozzi per shale gas. Qual è l’impatto sul territorio dello sfruttamento intensivo di shale gas o shale oil come, per esempio, è avvenuto in tempi recenti negli USA? La grande quantità di pozzi necessari a rendere economico lo sfruttamento dello shale gas e la scarsa penetrazione delle fratture artificiali ha portato gli operatori a eseguire perforazioni a distanza ridotta l’una dall’altra (anche meno di 200 metri). Per capire meglio basta usare Google Maps e andare alle coordinate 27°35’ Nord - 99°02’ Ovest, nel sud del Texas, nel bel mezzo del bacino detto Eagleford, una delle zone con la maggiore produzione di gas e petrolio da shale degli USA. Ciascun rettangolo chiaro è la piazzola da cui è stato perforato un pozzo, e il paesaggio ne è punteggiato a perdita d’occhio. Si tratta di aree rurali con scarsa densità abitativa, dove i permessi di perforazione vengono ottenuti in tempi record (poche settimane). Inoltre negli USA i diritti minerari sono del proprietario terriero, che in cambio del permesso a utilizzare la propria terra ottiene una parte consistente dei proventi derivanti dalla vendita del prodotto. I proprietari quindi non solo vedono con favore l’esplorazione sulle proprie terre, ma cercano di offrirle solo alle compagnie di maggior successo, che verosimilmente riusciranno a produrre a più alte portate e più
a lungo. Recentemente gli operatori si sono resi conto che la perforazione di più pozzi dalla stessa postazione ha non solo un impatto molto inferiore sul territorio, ma presenta anche notevoli vantaggi economici e logistici. Anche più di venti pozzi possono essere perforati in diverse direzioni e a diverse profondità dalla stessa piazzola. C’è una forte opposizione alla tecnica del fracking, ritenuta pericolosa per le falde acquifere, per il potenziale legame alla sismicità indotta, per le fughe di metano, l’inquinamento e l’enorme consumo di acqua… Il forte consumo di acqua è un dato di fatto: ogni pozzo dove viene eseguito il fracking su diversi intervalli (multi-stage frack) può richiedere fino a 30 o 40mila metri cubi d’acqua (una piscina olimpionica ne contiene circa 2500). In aree dove diversi impianti di perforazione riescono a completare un pozzo nel giro di due settimane si può anche arrivare a un multistage frack al giorno. Ovviamente l’approvvigionamento idrico è un problema e in alcune aree gli abitanti lamentano il completo prosciugamento dei loro pozzi per acqua, che non è certo un problema di poco conto. Le compagnie petrolifere devono quindi “contendersi” questa preziosa risorsa al minor costo possibile, e questo crea contrasti e opposizione. Esiste anche il problema dello smaltimento dell’acqua “restituita” dai pozzi, contenente piccole percentuali di additivi chimici che la rendono non adatta all’utilizzo umano. Di recente gli operatori hanno cominciato a trattare quest’acqua e a riutilizzarla per diverse operazioni, riducendo il consumo totale. Si stima che nel 2011 il consumo totale di acqua per questa attività negli USA sia stato di circa 511 milioni di metri cubi, pari allo 0,3% del consumo totale. Gli additivi usati per queste operazioni per la maggior parte sono utilizzati molto comunemente in prodotti di largo consumo come cosmetici, detersivi, deodoranti, alimenti ecc, e le loro concentrazioni sono comunque basse, tanto che è possibile riutilizzare la stessa acqua per numerose operazioni consecutive con trattamenti minimi. E la sismicità indotta? Molte delle attività di produzione di energia provocano sismicità indotta di varia intensità. La fratturazione idraulica provoca attività sismica di bassa energia, detta microsismicità, che solitamente ha magnitudo (M) <2 e non viene percepita dagli umani (l’intensità minima degli eventi sismici avvertiti va da M 2 a 3). Finora sono stati registrati pochi casi di sismicità causata da fracking di intensità maggiore di 2, uno dei quali si è verificato nel Regno Unito, vicino a Blackpool. Il caso di Blackpool è stato causato da una cattiva valutazione tecnica dei dati raccolti dalla perforazione del pozzo, e la possibilità di eventi sismici legati al fracking in grado di avere conseguenze negative per l’uomo è incredibilmente bassa, direi quasi nulla. Per quanto riguarda i giacimenti convenzionali c’è da dire che gli eventi di M>4 registrati negli USA sono solo 5, con migliaia di campi petroliferi sfruttati. La possibilità quindi che eventi di tale natura si verifichino è comunque molto ridotta. Il monitoraggio sismico e appropriate misure di mitigazione possono impedire il verificarsi di eventi dannosi. Spesso gli oppositori del fracking lamentano infiltrazioni di metano in atmosfera, nelle falde acquifere e inquinamento di varia natura…
Lei si sta riferendo al film Gasland (youtube.com/ watch?v=bH5-bOWyXa4). L’industria petrolifera è stata accusata di aver provocato infiltrazioni di metano dai pozzi orizzontali verso l’alto fino alla falda acquifera. In realtà, quando si esegue una fratturazione idraulica in profondità, con interventi che si estendono solo di 200-300 metri dal pozzo, la possibilità che il metano possa raggiungere la superficie attraverso le rocce sovrastanti è pressoché nulla. In realtà, il globo terrestre è cosparso da emissioni naturali di idrocarburi, dette oil and gas seeps, come nel caso del film menzionato, e le infiltrazioni di metano sono di un bel po’ antecedenti alle operazioni di fratturazione idraulica. Una infiltrazione lungo il pozzo può avvenire invece a causa di una cattiva cementazione del tubo di rivestimento alla parete del foro. Visto il ritmo con cui i pozzi vengono perforati negli USA (quasi 45mila nel 2012) e l’atteggiamento da far west che talvolta gli operatori assumono, tagliando i costi all’osso e minimizzando la manutenzione, una tale eventualità è destinata a verificarsi, ma non è tanto legata direttamente al fracking in sé quanto alle condizioni del pozzo in cui tale attività viene eseguita. Non di rado si sente dire che lo shale gas non è altro che una delle innumerevoli “bolle” che stanno per scoppiare per poi lasciare un grosso buco, data la sua scarsa economicità. C’è del vero? La necessità di perforare molti pozzi già dalle fasi iniziali richiede ingenti capitali (a rischio, dato che la sicurezza di una buona produzione può essere verificata solo perforando)
e la produzione inferiore rispetto ai giacimenti convenzionali significa che il momento in cui i capitali investiti vengono recuperati grazie alle vendite (breakeven) arriva molto tempo dopo. Il dato di fatto è che però al 2012 circa il 25% della produzione di gas in USA viene da pozzi per shale gas. La produzione di gas, in declino dagli anni ottanta, ha cominciato a crescere a metà dello scorso decennio, contribuendo a causare un crollo del prezzo nel continente nordamericano: il prezzo del gas, che dal 1980 al 2000 è rimasto quasi sempre tra 1,5 e 2,5 dollari per migliaia di piedi cubi ($/Kcuft), ha subito un forte aumento dall’inizio del secolo fino a raggiungere punte di quasi 11 $/Kcuft poco prima della crisi del 2008, per poi crollare nuovamente a circa 2.5 $/Kcuft nel 2012. Ciò ha posto una pressione economica fortissima sui produttori, che negli ultimi cinque anni hanno visto ulteriormente assottigliarsi i profitti. Molti di loro hanno quindi abbandonato lo shale gas per cercare shale oil, in zone quindi dove la maturità termica delle rocce madri è tale che gli idrocarburi sprigionati sono liquidi, molto più redditizi perché di trasporto più semplice e di costo alto, legato più che altro a fattori internazionali (OPEC) piuttosto che locali come nel caso del gas. Inoltre, il forte aumento della produzione, che ha rovesciato un trend in declino per gli USA, ha portato molti analisti a prevedere che gli Stati Uniti nel giro di pochi anni potrebbero superare l’Arabia Saudita e la Russia in termini di barili di petrolio equivalenti (BOE) prodotti. Alcuni progetti per la liquefazione e l’esportazione del gas, tramite apposite navi, sono già in corso, con lo scopo di fornire GPL ai paesi asiatici e all’Europa.
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Voli di fantasia
C’è uno strano sentimento che mi prende sempre poco prima di arrivare a toccare una cima, foss’anche un misero cucuzzoletto erboso, in montagna: sei quasi arrivato, la stanchezza si fa sentire, vedi il tuo punto di arrivo… di Alessandro Tabacchi
Kronos 10
Due minuti e ci sei! Eppure la mente in quel momento ci condizionano, ci trasportano per dato meccanico indotchiede sempre di fermarsi, e guardarsi intorno. Percepire to e non per volontà propria. lo spettacolo che ti circonda, prima di essere corrotto Ci si appropria di immagini familiari per cercare di espridalla gioia di essere arrivato “in cima”. Sono questi i mo- mere l’inesprimibile: a pochi passi dalla cima, ad attanamenti in cui lo sguardo fugge più lontano e la fantasia gliarmi è stata sempre questa consapevolezza che l’unico vola più alta. volo concessoci dalla natura sia quello della fantasia, a E così, a pochi metri dalla vetta, vorresti volare. Spiccare il noi esseri terreni irrimediabilmente carenti rispetto agli volo sopra tutte quelle rocce e contemplare dall’alto quel uccelli, loro sì capaci di aprire le ali e spiccare il volo senza mondo aspro che per ore bisogno di ausili meccaha ferito i tuoi piedi, fanici e secoli di scienza cendoti sdrucciolare sulla applicata. Poco conta che ganda, e ti ha chiesto di mi trovassi in Mesolciappoggiare le mani su na, alla Diavolezza o sul massi spigolosi e aspri per Monte delle Forbici: ogni tirarti su e proseguire il volta questo turbine di tuo cammino. In quei pensieri mi ha accompamomenti provi invidia gnato prima di arrivare in per gli uccelli, e vorrevetta. Eppure, ovunque sti essere un pioniere del fossi, ci avrebbe pensato volo, abbarbicato magari in pochi minuti la grasopra un glorioso biplano vità inesorabile che lega rumoroso o chiuso in un gli scarponi alla roccia a Marco Pagot alias Porco Rosso a bordo del suo idrovolante nel film bianco aliante sibilante riportarmi sulla terra, o d’animazione giapponese del 1992 scritto e diretto da Hayao Miyazaki fra le nubi. meglio, in cima. Il sogno di volare Per un momento smetti di essere un rude escursionista affannato e t’immagini come un novello Lindbergh in sella al suo Spirit of Saint Louis alla conquista dello spazio aereo, abbandonata per un istate la dimensione verticale delle pareti rocciose a favore di orizzonti lontani e sfumati. Spesso in quei momenti di pace e breve riposo, con le gambe dolenti ma lo spirito solleticato, mi son ritrovato a pensare alle macchine volanti dei film d’animazione di Hayao Miyazaki, all’aliante di Nausicaa della Valle del vento, a Howl e al suo castello semovente capace di nascondersi fra le nebbie incantate delle Alpi, all’idrovolante di Porco Rosso, simbolo assieme di libertà e di dignità, alla città volante di Laputa e ai suoi misteri di antiche sapienze perdute… Lo so, è curioso pensare alle opere poetiche e visionarie di un maestro dell’animazione giapponese standosene seduti a contemplare le Alpi! Ma forse neanche troppo, se si pensa a come Miyazaki abbia saputo cogliere meglio di ogni altro la poesia del volo, quel senso profondo intriso di nostalgia che proviamo levando lo sguardo al cielo, sapendo che il dono del volare ci è negato e possiamo ambire agli spazi sconfinati solo utilizzando tecnologie che ci imbrigliano,
Tra terra e cielo Perché forse il segreto dell’andar per monti è proprio questo: non opporsi alla gravità, ma assecondarla e venerarla, celebrando attraverso la salita il suo trionfo. Forse si sale sulle montagne non per spiccare il volo verso chissà quali cieli, ma per aderire meglio alla terra, per raggiungere i limiti della sua fisicità e comprenderla meglio arrivandone sulle sommità. Arrampicare, o semplicemente camminare, sulla pelle delle montagne è omaggiare la gravità, sentirsi legati a questa terra cui apparteniamo: un senso di presenza al mondo nella sua immanenza, un esserci, più forte di qualsiasi velleità di volo, o desiderio di fuga possibile. Si sale in montagna per addentrarci sempre più all’interno di noi stessi. E una volta giunti in vetta, delle velleità di volo non si sente più il bisogno, o la nostalgia. Perché intanto si è raggiunta la sede ideale della nostra natura profonda, del nostro essere più remoto e celato. Un’essenza le cui radici sono saldamente impigliate nella crosta terrestre, nobilitata da quella forza sovrana, la fantasia, che necessita delle velleità, e dei sogni irraggiungibili, per potersi evolvere, e creare, e contemplare il bello.
Indietro tutta!
Le donne odiano fare marcia indietro. Falso! La fanno esattamente come tutti gli autisti, e il genere non c’entra proprio niente… di Duccio Canestrini
Iniziamo
le nostre considerazioni sull’interazione “donne-retromarcia” togliendo di mezzo una categoria che è praticamente in via di estinzione, per la quale la manovra in effetti era a dir poco problematica: sto parlando di quelle anziane signore con pettinatura laccata a forma di palla, cappottino attillato, collo di pelliccia e artrosi cervicale, che non si sognano neppure di voltarsi a guardare la strada attraverso il lunotto posteriore. Mentre per fare marcia indietro, voi m’insegnate, sarebbe invece giusto e necessario ruotare la testa di 180 gradi. Certo, guidare in retromarcia guardando nello specchietto retrovisore è molto meno faticoso, ma richiede una coordinazione che non tutte le signore in questione possono garantire. Sicché sono danni, a volte grossi danni. È anche vero che la maggior parte delle donne al volante preferisce parcheggiare l’auto in uno spazio ampio, ma lontano, piuttosto che fare manovra in retromarcia per entrare in un posteggio angusto. Detto questo, non si capisce perché una giovane donna dovrebbe essere fisiologicamente inabile alla retromarcia: tonicità muscolare ok, coordinamento psicomotorio ok, vista nella norma, campo visivo sgombro, e vai. Ma… c’è un ma.
Bulli e pupe La questione è che la marcia indietro agli uomini piace di più. È una manovra sportiva, un’esibizione di maestria, una performance un po’ bulla, soprattutto quand’è eseguita velocemente, con ostentata disinvoltura: il braccio destro dietro il sedile del passeggero, il volante manovrato con il palmo della mano sinistra, con compiacimento e soddisfazione. Visto che roba, baby? Questo perché per gli uomini la macchina è un simbolo della propria prestanza, e spesso una protesi dei propri mezzi. Per la donna invece l’automo-
bile è un mezzo di trasporto, e stop. Allan Pease e Barbara Pease, autori del libro intitolato Perché le donne non sanno leggere le cartine e gli uomini non si fermano mai (Rizzoli, 2009), riportano i dati di una ricerca commissionata da una scuola guida inglese sull’abilità di maschi e femmine alle prese con parcheggi in retromarcia. Ebbene, il 71% degli uomini riesce a posteggiare al primo colpo, mentre soltanto il 23% delle donne riesce a farlo correttamente al primo tentativo. Ma attenzione, i dati variano a seconda dei luoghi e delle culture. A Singapore, per esempio, solo il 68% degli uomini s’infila pennellato tra due auto, mentre la percentuale delle donne scende al 12%. C’è di più. Test effettuati da diverse scuole guida dimostrano che le donne ottengono risultati migliori nelle manovre in retromarcia rispetto agli uomini, ma soltanto durante i corsi di preparazione all’esame. Le statistiche indicano che nelle situazioni di vita reale le loro performance diminuiscono drasticamente. Questo perché le donne sembrano apprendere i nuovi compiti più in fretta degli uomini, ripetendoli con maggior facilità, ma a patto che le condizioni rimangano le stesse. Nel traffico cittadino ogni situazione presenta dati diversi da valutare e la percezione spaziale maschile, più orientata all’esplorazione, è più adatta a gestirli. Metafore e psicologie Retromarcia. Regressione. Quanti significati si possono scovare in queste espressioni. Nei forum femminili, per esempio, dove il sesso fa da padrone, la retromarcia è la metafora del buon vecchio coitus interruptus. Se fossi uno psicologo mi lancerei sulle predisposizioni maschili e femminili rispetto ai ripensamenti e alle retromarce nella vita. Ma per vostra fortuna non lo sono. Perciò l’augurio, terra terra, asfalto asfalto, è semplicemente di non andare a sbattere.
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M
i chiamano la “caffeina d’Europa” perché trasmetto energia con le mie parole. In effetti ho sempre parteggiato per l’azione, la velocità, la modernità inarrestabile. Non temo affatto il progresso che ha sempre e comunque ragione, anche quando ha torto, perché è movimento, vita, lotta, speranza. I miei grandi nemici sono i Soloni della tradizione, i difensori della staticità a oltranza, come certi letterati o accademici e peggiori di tutti i preti, perché il prete di natura odia il provvisorio, il momentaneo, la velocità, lo slancio, la passione. Non per nulla i miei primi scontri sono stati già al collegio che era gestito da gesuiti. Mi volevano espellere perché davo scandalo leggendo Zola e questa è stata la mia fortuna perché i miei genitori mi hanno mandato a studiare a Parigi. Quella era la città per me, l’emblema del moderno in quella fine ottocento, la vera “Ville Lumière”. Vi sono rimasto alcuni anni e poi sono tornato in Italia per studiare legge, ma ho buttato subito la toga alle ortiche. Basta con codici ammuffiti e regole sorpassate. Io volevo il nuovo, essere come l’elettricità per una città: potenza e illuminazione. Volevo sperimentare, usare le parole in libertà, diventare famoso come Gabriele D’Annunzio che prima ho ammirato e poi compreso per quel che era: un cretino con lampi di imbecillità. Mi sono buttato completamente nella letteratura e nella poesia. Nello stesso tempo mi permettevo di vivere da uomo del XX secolo, sfrecciando con qualche “bolide” per le strade. Una di queste corse forsennate e adrenaliniche ha cambiato la mia vita. Nel 1908, infatti, con la mia Isotta Fraschini sono finito in un fossato vicino a Milano. Mi sono salvato per miracolo, ma lì ho assaporato fino in fondo il gusto della sfida senza limiti, anche con la morte, l’unico modo per cambiare se stessi e il mondo. Ora non ero più solo moderno, ero anche futurista, un pioniere del nuovo. Ero pronto a cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà, a esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno. Avevo compreso che la magnificenza del mondo si era arricchita nei tempi moderni
di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Per me, lo dico chiaramente, un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo, un’automobile ruggente è più bella di qualunque statua classica e di qualunque poema antico. Ancora di più l’ho capito la prima volta che ho volato. In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, io ho sentito l’inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino! Questo ha naturalmente una testa previdente, un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un momento e fermarsi quasi subito sbuffando! Ecco che cosa mi disse l’elica turbinante, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti fumaioli di Milano! Certo molti si scandalizzano per queste mie affermazioni e ancora di più mi rimproverano di aver detto che la guerra è la sola igiene del mondo. Però mi si deve concedere la coerenza di aver parlato, di aver glorificato la lotta violenta senza fare l’imboscato. Nella prima guerra mondiale mi sono guadagnato due medaglie al valor militare e ho fatto anche la follia di partecipare alla campagna di Russia nel 1941 quando avevo già più di sessant’anni! Mi si rimprovera anche di aver sostenuto Mussolini, e certo all’inizio mi piaceva quel suo modo di fare barricadiero fino a che, preso il potere, ha fatto come tutti: si è alleato col re, col papa e si è fermato. Come dico sempre, ogni idea politica è un organismo vivo. I partiti sono quasi sempre destinati a diventare dei grandi cadaveri e in Italia questo è più vero che altrove. Alla fine non sono stato forse un grande poeta e un grande letterato, però non mi è mai mancata la voglia di vivere e di scompigliare. Un po’ di gente come me ci vorrebbe nella Penisola addormentata, per liberare il paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquari. Già, per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri!
FILIPPO T. MARINETTI
Vitae 12
Padre del Futurismo, esaltatore del movimento, della velocità e della modernità più travolgente. Per lui la stasi equivale alla morte e un bolide lanciato a folle velocità è più bello persino dei bronzi di Riace!
note biografiche raccolte da Eugenio Klueser fotografia tratta da lavocedelvolturno.com
Pionieri del volante (quando guidare era ancora un piacere)
a cura di Giancarlo Fornasier; fotografie ŠArchivio di Stato, Bellinzona
1934. Largo Zorzi e Piazza Grande a Locarno Foto di Valentino Monotti; ©Archivio di Stato, Bellinzona Nel 1930 in Ticino erano immatricolate 1753 automobili, 653 camion (compresi i trattori e i veicoli speciali) e 1942 motociclette. Cifre sotto la media svizzera che testimoniano di un cantone che economicamente e socialmente doveva ancora svilipparsi (fonte: AA.VV., Aspetti e problemi del Ticino, a cura di Guido Locarnini, Touring Club Svizzero, Istituto grafico Gianni Casagrande, 1964). 1951. Dogana di Chiasso, controlli in entrata verso l’Italia Foto di Christian Schiefer; ©Archivio di Stato, Bellinzona Nel 1951 in tutta la Svizzera vi erano in totale 319.346 veicoli a motore, di cui 168.307 erano auto. Questo corrispondeva a circa un’automobile ogni 28 abitanti. Dieci anni dopo (1961) il totale dei veicoli aveva quasi toccato il milione, con una media di un veicolo ogni 10 abitanti della Confederazione (fonte: G. Locarnini, 1964; op. cit.).
in apertura 1936. Strada di Gandria, veduta del Ceresio in direzione di Lugano Foto di Christian Schiefer; ©Archivio di Stato, Bellinzona Il 15 giugno del 1974, quarant’anni fa, si inaugurava lo svincolo autostradale di Lugano Nord, oggi tra i punti più critici del sistema viario cantonale. Dieci anni più tardi (15 settembre 1984) veniva aperta la galleria autostradale del Monte Ceneri, dove oggi transitano circa 47mila veicoli al giorno (traffico giornaliero medio, TGM, dati 2012). Le cifre e le note storiche sono consultabili nel sito del Dipartimento dei trasporti, Sezione della mobilità (ti.ch/conteggi). in questa pagina 1940. Melano-Capolago: la nuova strada cantonale nella circonvallazione di Melano Foto di Christian Schiefer; ©Archivio di Stato, Bellinzona Il 15 luglio del 1970 Lugano aveva finalmente il suo primo svincolo autostradale, quello di Lugano Sud. Nel 1975 sulla A2 all’altezza di Grancia circolavano 23.991 veicoli al giorno, nel 2012 erano 67.897. 1963. Ristorante sul lungolago di Ascona Foto di Friedrich Maurer; ©Archivio di Stato, Bellinzona Il nuovo ponte sul fiume Maggia che conduce ad Ascona è stato aperto al traffico il 31 marzo del 1980; l’altro importante manufatto del locarnese, la galleria Mappo-Morettina, il 13 giugno del 1996. Senza data. Veduta verso nord sulla strada cantonale a Piotta (valle Leventina) Foto di Christian Schiefer; ©Archivio di Stato, Bellinzona Nel 1965 sul Passo del Gottardo transitavano 903.693 veicoli a motore all’anno, mentre 451.187 erano quelli trasbordati su rotaia. Il 5 settembre 1980 è stata inaugura la galleria autostradale: nel 2012 sotto il traforo stradale sono transitati 6.244.370 veicoli.
(...)
1925-1933. La stazione ferroviaria di Chiasso Autore non identificato; ©Archivio di Stato, Bellinzona “Un altro problema che si pone nei riguardi del nostro turismo è quello dell’autostrada. I termini di questo problema stanno nel sapere quali potranno essere le conseguenze della costruzione dell’autostrada (…) Rinunciare all’autostrada nel momento in cui si verifica appieno la corsa alle autostrade, nel momento in cui gli altri paesi lavorano intensamente a creare queste arterie anche attraverso le Alpi, ci sembra voler preparare le premesse della definitiva decadenza del nostro movimento turistico. Fra dieci anni o anche prima, gli altri avranno le autostrade e se non saremo in grado di disporne pure noi, accadrà semplicemente una cosa: che il turista cambierà strada e non attraverserà più il nostro Cantone. Perderemo in tal modo quella grande corrente di traffico che dà al paese rapporto cospicuo che abbiamo visto e chi ne farà le spese saranno soprattutto i nostri centri turistici e le zone a turismo di scorrimento. L’autostrada, invece, garantirà non solo il mantenimento, ma l’ulteriore sviluppo delle correnti turistiche” (da G. Locarnini, 1964, op. cit.).
Anni venti. Auto sulla strada di Calprino, sullo sfondo gli agglomerati di Paradiso, Lugano e il golfo Foto di Christian Schiefer; ©Archivio di Stato, Bellinzona Nel 1955 nasceva la prima autostrada senza incroci della Svizzera (tra Lucerna Sud ed Ennethorw). Il 21 giugno del 1960 il Parlamento vara la Legge federale sulle strade nazionali: è la nascita delle autostrade svizzere (fonte: “La storia delle autostrade svizzere”, in wir-arbeiten-fuer-sie.ch). Il primo tratto autostradale costruito in Ticino collegava Mendrisio a Chiasso (7,9 km). I lavori preparatori, iniziati nel 1962 inclusero anche la correzione del fiume Breggia che venne deviato dal suo percorso naturale nel territorio del comune di Chiasso. L’anno dopo iniziarono i lavori veri e propri che si conclusero solo nel 1966 (fonte: “La costruzione della Mendrisio-Chiasso”, Il Regionale, TSI, 20.12.1966, in ideesuisse.ch).
1936-1941. Veduta di Piazza Indipendenza a Bellinzona Foto di Max Büchi; ©Archivio di Stato, Bellinzona Il tratto autostradale tra Gorduno e Camorino (autostrada A2 tra Bellinzona Nord e Sud) è stato aperto al traffico nel giugno del 1971. Il tratto tra Camorino e Robasacco (la salita del Monte Ceneri, per intenderci) nell’aprile del 1981. Nel 2012 sulla circonvallazione di Bellinzona transitavano in media 44.867 veicoli al giorno (erano 29.059 nel 1990).
Officina. Motori al caldo di Marco Jeitziner; fotografie ©Flavia Leuenberger
Luoghi 42
L’officina meccanica o autofficina (in Ticino “garage” è più comune), per la maggior parte di noi che di motori non capisce nulla, e che le mani di grasso preferisce non sporcarsele, rimane un luogo alquanto misterioso. Quanti ci hanno portato la vettura per un qualsiasi (e indecifrabile) bisogno, non hanno la più pallida idea di cosa sia poi accaduto all’interno di quelle mura sporche di grasso e illuminate a neon? Ci porti l’auto, la saluti, l’affidi a mani capaci e sapienti e poi la vai a riprendere in perfetto stato, punto e a capo. È come entrare in una bottega, un atelier, un laboratorio culinario o artistico, e magari fare due chiacchiere col meccanico di turno, personaggi sempre coloriti nella loro immancabile sudicia tuta, di poche parole ma autorevoli e che, del grasso di motore sotto le unghie, si vantano eccome. Chi scrive fa parte di quelli a cui è capitato, già da bambino, di varcare la soglia di questi “ospedali” meccanici. E ti si apriva un mondo… Tra viterie e bullonerie Erano gli anni ottanta e nella periferia della capitale c’era (c’è ancora) una grande autorimessa con annesse parecchie autofficine meccaniche. Lui, il meccanico in tuta nocciola, ovviamente conosceva tutti ed era di casa. Mentre passava dall’officina all’ufficio e viceversa, scambiando qualche battuta coi colleghi, io mettevo piede su quei pavimenti lucidi e laccati dai quali era difficile distinguere le macchie di olio o chissà quale lubrificante o solvente. Subito venivi assalito da quell’odore pungente, così tipico, misto di olio, di benzina e di vernici, di nafta del compressore o delle gomme, che non disdegnavo affatto. Avanzavo, fino a quei banchi da lavoro di metallo grigio, vuoi perfettamente in
ordine, vuoi totalmente in disordine, ma un disordine ben preciso, ricolmi di oggetti spesso misteriosi. Cos’era quella strana “mazza” bullonata? E quel simil-cacciavite oblungo? Mah! Alle pareti c’erano calendari di tutti i tipi, motori e pin-up, pannelli e scaffali ricolmi di infiniti strumenti del mestiere: attrezzi, utensili, bullonerie, viterie di ogni sorta, stravaganti minuterie, alcune familiari, altre che parevano chiavi per… astronavi spaziali. Così si curiosava tra quei massicci banchi, mettendo mano alla possente morsa agganciata al pianale, sbirciando tra i vari prodotti di manutenzione, di oliatura e di ingrassatura. E non mancava mai lo speciale sapone granuloso per lavarsi le mani dall’unto, un portento! Passarono gli anni, diventammo conducenti, ma restammo, noi che avevamo a malapena imparato a guardare nella pancia del motorino, gli ignoranti di sempre in fatto di tecnica automobilistica, vieppiù sofisticata e computerizzata. Palcoscenici e personaggi Le autofficine si assomigliano un po’ tutte? Può darsi che le pareti interne siano tutte grigie e un po’ tristi, può darsi che ci sia sempre una radiolina accesa e che qualche meccanico canti le sue canzoni preferite. E che la notte alcune non siano mai sole, perché c’è un vecchio cane che fa la guardia. Certo è che in inverno sono molto più affollate perché pioggia, nebbia, neve sono nemiche di chi guida, ma molto “amiche” dei meccanici. Se penso poi ai meccanici più curiosi, un po’ dismessi, col grasso in faccia, mi torna alla mente quello di un garage di periferia: sembrava un cantante rock! Una volta poste le mie domande, molto banali per lui, si lisciava i capelli e la barba con le sue dita nere e unte. Avete presente il tizio, apparentemente innocuo, nella scena dell’autofficina del geniale film U Turn”(Inversione di marcia) del 1997, capace di far impazzire il protagonista Sean Penn? Ma l’autofficina, dicevo, non è più soltanto quello, oggi è anche sala da concerti, palcoscenico per spettacoli teatrali o di cabaret… Ciò che conta tuttavia è che rimanga un luogo di seria analisi e periodica manutenzione perché, quando si è alla guida, mica si scherza. A nessuno dovrebbe succedere quanto capitato al tizio che all’inizio di febbraio di quest’anno, nei Grigioni, s’è visto andare a fuoco la vettura: alla polizia ha detto di averla portata settimane prima in officina per un “odore di bruciato”, ma i meccanici non avevano ravvisato nulla di strano...
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ELEKTRO SHOCK Tra le sette automobili prescelte per la nomina a Car of the Year 2014 figuravano quest’anno ben due modelli ecologici, la piccola BMW i3 e la limousine americana Tesla Model S. Nel momento in cui Ticinosette va in stampa, la vincitrice non è ancora stata eletta, evento tenutosi lunedì 3 marzo all’interno del Palexpo, il giorno prima dell’apertura alla stampa del Salone Internazionale dell’Auto 2014.
I modelli prescelti (a BMW e Tesla si aggiungono Citroën C4 Picasso, Mazda 3, Mercedes-Benz Classe S, Peugeot 308 e Skoda Octavia) erano le “reduci” di una selezione di 30 auto, tutte vendute in almeno 5000 unità annue e commercializzate in cinque diversi paesi europei. La vincitrice viene sancita da un numero di giudici, per ogni paese, proporzionale alla grandezza del mercato automobilistico
Tendenze p. 44 – 45 | a cura della Redazione
TECNOLOGIA, NATURALMENTE Gli interni sono da vera auto di lusso, basta vedere l’enorme touchscreen da 17 pollici. Grazie a esso tutti i contenuti multimediali sono a portata di mano: dal momento in cui si apre la portiera, lo schermo ad alta risoluzione si accende e ritorna all’ultima funzione utilizzata.
TUTTO IN UNA MANO Gli americani certo non hanno lasciato nulla al caso: quello che vedete è il telecomando della Model S, che nella forma riprende le fattezze dell’auto. A cosa serve...? Be’, per esempio, con la chiave in tasca l’auto si accende appena ti accomodi sul sedile del guidatore.
UNA VOLTA ERANO “MANIGLIE” La Model S è stata progettata per ridurre la resistenza aerodinamica. Le maniglie delle portiere non fanno eccezione. Quando non sono in uso, si ritraggono nella carrozzeria facilitando il flusso d’aria. Quando il guidatore si avvicina all’auto con la chiave, le maniglie scorrono verso l’esterno e si sbloccano con un semplice tocco...
TESLA MODEL S QUESTA BERLINA CALIFORNIA VIENE COMMERCIALIZZATA IN TRE VERSIONI: DA 60 KWH, DA 85 KWH E LA “PERFORMANCE”, CHE VANTA UNA POTENZA MASSIMA DI OLTRE 400 CV, 600 NM DI COPPIA, UNA VELOCITÀ MASSIMA DI CIRCA 220 KM/H E UN’ACCELERAZIONE DA 0 A 100 KM/H IN 4.8 SECONDI. LA VERSIONE MENO POTENTE ARRIVA AI 100 KM/H IN 6.2 SECONDI E HA UNA VELOCITÀ MASSIMA DI 190 KM/H. NELLA VERSIONE DA 85 KWH, LA TESLA RAGGIUNGE UNA VELOCITÀ DI 201 KM/H E ACCELERA IN 5.6 SECONDI, PER UN’AUTONOMIA DICHIARATA SUPERIORE A 480 KM. UN VERO BOLIDE DI 2100 KG DI ACCIAIO AD ALTA RESISTENZA E ALLUMINIO!
di provenienza, nonché all’importanza della nazione stessa in termini di industria automobilistica e vendite. Quest’anno, ed è la prima volta, erano in corsa due modelli elettrici – che presentiamo in queste pagine – e vi era anche il gradito ritorna in finale di un’ammiraglia, la Mercedes Classe S (la prima generazione apparsa nel 1974 aveva vinto il concorso), vettura dalla grande carica tecnologica. Tra le selezionate, gli addetti ai lavori sono rimasti colpiti dall’assenza della Hyundai i10, certamente tra i modelli più ambiziosi e promettenti che hanno raggiunto l’Europa nel corso del 2013. Nel 2011 aveva vinto la Nissan Leaf, nel
2013 la “solita” VW Golf. Negli ultimi tre anni, per due volte hanno trionfato auto ibride o elettriche, mentre dal 2009 hanno vinto quattro volte auto tedesche (considerando la Chevrolet Volt omologa della Opel Ampera, trionfatrice nel 2012). Dei sette costruttori in lizza quest’anno, la maggior parte non ha mai vinto un’edizione di Car of the Year: si tratta di BMW (giunti secondi quattro volte), Mazda (secondo posto ottenuto tre volte), Skoda e Tesla (mai a podio), mentre per le francesi vanno ricordate le tre affermazioni a testa di Citroën (con GS nel ’71, CX nel ’75 e XM nel ’90) e di Peugeot (con 504 nel ’69, 405 nell’88 e 307 nel 2002).
BMW I3 È LA PRIMA ELETTRICA DELLA CASA DI MONACO A GIUNGERE SUL MERCATO: MISURA 400 CM IN LUNGHEZZA, 178 CM IN LARGHEZZA, 158 CM IN ALTEZZA E HA UN PASSO DI 257 CM. È SPINTA DA UN MOTORE ELETTRICO IN GRADO DI SVILUPPARE UNA POTENZA PARI A 170 CAVALLI E UNA COPPIA DI 250 NM. COME NELLA TRADIZIONE BMW, LA TRAZIONE È SULLE RUOTE POSTERIORI DA 19 POLLICI. L’ELETTROMOTORE GARANTISCE UNA PERCORRENZA MASSIMA VICINA AI 160 KM PER I NORMALI SPOSTAMENTI, CHE PUÒ ARRIVARE ANCHE AI 300 KM SE IL CLIENTE SCEGLIE DI MONTARE IL “RANGE EXTENDER”.
IL TEMPO DI UN CAFFÈ… Questa innovativa BMW nasce su una struttura mista in lega di alluminio e fibra di carbonio. La batteria del suo motore elettrico posto al posteriore si ricarica in tre ore con una presa di corrente a 220 Volt, mentre con il sistema “Fast Charging” si può ricaricare l’auto dell’80% in soli 20 minuti (il pieno completo in mezz’ora).
DESIGN E PRESTAZIONI Il suo motore elettrico è stato progettato pensando all’impiego nel traffico cittadino. La coppia è immediatamente disponibile (caratteristica dei motori elettrici): questo conferisce alla i3 agilità in ogni situazione e garantisce ottime accelerazioni: 0 a 60 km/h in meno di 4 secondi, i 100 km/h in soli 7,2 secondi (7,9 secondi nella variante con “Range Extender”).
SEMPRE CONNESSI La i3 sfrutta le soluzioni “BMW ConnectedDrive” realizzate appositamente per le vetture elettriche ed è munita di una scheda SIM integrata a bordo del veicolo. Il sistema “i Navigation”, collegato in rete, è un vero assistente all’autonomia che vi indica anche le colonne di ricarica, portandovi a destinazione seguendo il percorso più efficiente. Grazie ai servizi “TeleServices” il vostro punto vendita è informato dell’eventuale necessità di assistenza.
La domanda della settimana
Se i trasporti pubblici fossero gratuiti e capillari, in tutta la Svizzera, rinuncereste definitivamente al possesso di un autoveicolo privato?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 13 marzo. I risultati appariranno sul numero 12 di Ticinosette.
Al quesito “Alla luce del voto espresso il 9 febbraio, secondo voi il Consiglio federale comprende i timori e le preoccupazioni espresse dalla maggioranza della popolazione elvetica?” avete risposto:
SI
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NO
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Svaghi 46
Astri ariete Farete di tutto per portare avanti una vostra idea. Grazie a un ottimo Mercurio potrete raggiungere gli obiettivi. Cautela il 10 e l’11 marzo.
toro Momento ideale per affrontare impegni e responsabilità. Riconoscimenti in ordine al proprio valore. Cautela sui social network.
gemelli Tra il 9 e il 15 marzo momento favorevole per la risoluzione di una vertenza. Spirito di iniziativa per i nati nella terza decade. Amori inaspettati.
cancro Eventi inattesi. Tra il 10 e l’11 la Luna attraversando il vostro segno provocherà una impennata dell’emotività. Irascibili i nati nella terza decade.
leone Tra il 12 e il 14 la Luna attraverserà il vostro segno provocando ricordi e nostalgie. Atteggiamenti più superficiali per i nati a inizio segno.
vergine Una maggiore creatività sul lavoro facilita i rapporti con i collaboratori. Interesse per l’alimentazione naturale. Incontri tra il 10 e l’11 marzo.
bilancia È in corso un periodo complesso. Se saprete rischiare potrete vincere senza alcuna riserva. Momento favorevole per la prima decade.
scorpione Grazie a Giove potrete affrontare ogni sfida con energia e determinazione. Attenti a non parlare troppo. Bene tra il 10 e il 12.
sagittario Grazie a Urano si sta per aprire un percorso ricco di sbocchi professionali. Se volete vincere imparate a seguire le vostre inclinazioni.
capricorno A partire dal 10 la vostra vita prende una improvvisa accelerata. Essenziale è sapere dove andare. Sbalzi umorali provocati dalla Luna.
acquario Si apre un periodo ricco di opportunità. Favorite le relazioni sociali e le nuove forme di comunicazione. Mercurio e Marte favorevoli.
pesci Storie sentimentali con partner stranieri per i nati nella prima decade. Favorite le ristrutturazioni immobiliari per i nati nella terza decade.
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Verticali 1. I bagliori notturni visibili sugli alberi delle navi • 2. Erba irritante • 3. Diverbio • 4. Graffi, abrasioni • 5. Il noto Tse Tung • 6. Vocali in scelti • 7. Nel cuore delle Langhe • 8. È un esperto nel togliere il vello • 9. Si intende di vini • 13. Raganella arborea • 16. Pedina coronata • 17. Faticosi, sfiancanti • 20. La seconda nota • 22. Relazione clinica • 26. Reali, concreti • 27. Protestati, confutati • 29. Lindore • 32. Procedura • 35. Un nome di Chiusano • 39. Settentrione • 42. Indica un limite • 43. Altare pagano • 44. Portogallo, Spagna e Norvegia • 46. Risonanza • 48. Pari in forca • 49. Est-Ovest.
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Orizzontali 1. Pazzamente • 10. Cantone svizzero • 11. Ho Chi Minh • 12. Cura la vista • 14. I confini di Sonvico • 15. Si empie di stelle • 16. Squadra madrilena • 18. Hockey Club • 19. Fermo di polizia • 21. Giara centrale • 23. Dittongo in pietra • 24. Il nocciolo della cotogna • 25. La prima donna • 27. Grossa candela • 28. Sepsi, suppurazione • 30. Antidoti • 31. Mezzo nudo • 33. Ampio ingresso • 34. È simile al frac • 36. Son pari nell’indotto • 37. Nulla • 38. Seggi regali • 40. Stella del cinema • 41. Escursionisti Esteri • 42. È “ novo” quello di Dante • 43. Lo era Celeno • 45. Dittongo in poeta • 47. Soluzione fissante • 50. Starnazza • 51. Tedioso.
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 12
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 13 marzo e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 11 marzo a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
La soluzione del Concorso apparso il 21 febbraio è: DISASTRO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta sono stati sorteggiati: Olga Piatti, 6600 Locarno Annamaria Ghidotti, 6777 Quinto Marco Bechtold, 6612 Ascona Ai vincitori facciamo i nostri complimenti!
Svaghi 47
I nostri prodotti, chi li produce?
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Ciò che ci sta più a cuore lo facciamo noi stessi: per questo circa 10’000 dei nostri articoli sono di nostra produzione. ––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Maggiori informazioni su: www.noifirmiamo-noigarantiamo.ch