№ 33 del 16 agosto 2014 · con Teleradio dal 17 al 23 ago.
VEDERE SE STESSI
Nato all’inizio del novecento, il test sviluppato da Hermann Rorschach si conferma uno strumento di indagine originale C T · RT · T Z · .–
Sa 16.8. 12 anni schiavo, I Do 17.8. La bicicletta verde – Wadjda, I Lu 18.8. Ma 19.8. Me 20.8. Gi 21.8. Ve 22.8. Sa 23.8. Do 24.8.
Il passato, I Yves Saint Laurent, I The Grand Budapest Hotel, I The Hunger Games – La ragazza di fuoco La grande bellezza, I La Palmira – Ul film, I Gigolo per caso, I
Lu 25.8. Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, I Ma 26.8. Grace Of Monaco, I Me 27.8. I sogni segreti di Walter Mitty, I Gi 28.8. Blue Jasmine, I Ve 29.8. Sotto una buona stella, I Sa 30.8. Supercondriaco, I Do 31.8. Belle et Sébastien, I Lu Ma Me Gi Ve Sa
1.9. 2.9. 3.9. 4.9. 5.9. 6.9.
American Hustle – L’apparenza inganna, I Philomena, I Smetto quando voglio, I Vado a scuola, I The Wolf Of Wall Street, I Sole a catinelle, I COOP NIGHT Do 7.9. I fratelli neri, I
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Ticinosette allegato settimanale N° 33 del 16.8.2014
Natascha Fioretti ............................
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daNiele BerNardi .....................................
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Agorà Giornalismo. La crisi aguzza l’ingegno Arti Aldo Braibanti. Il docile pachiderma
di
Società Test di Rorschach. Osservo e proietto
Impressum
Vitae Augusto
Chiusura redazionale
Reportage Bellinzona. Lo Zoccolino
Editore
Tendenze Grigliate. Il rito del fuoco
Redattore responsabile
Venerdì 8 agosto Teleradio 7 SA Muzzano
di
Letture Caccia allo stambecco con Wittgenstein
Tiratura controllata 66’475 copie
di
di
Mariella dal Farra .........................
8
eugeNio Klueser .........................
9
di
roBerto roveda............................................................................
10
Marco JeitziNer; Foto di davide Frizzo ..........
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Marisa gorza ............................................
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Svaghi ....................................................................................................................
42
di di
Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
Stampa
(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Fronte: macchia simmetrica (ispirata alle tavole di H. Rorschach) Retro: disegno del cervello (1870 ca.)
Vuoi mettere un caffè... “Starbucks è una grande catena internazionale di caffetterie che offre ai propri clienti caffè, dessert e prodotti di pasticceria. Negli Stati Uniti d’America è considerato come luogo di ritrovo per i giovani, soprattutto se studenti o abitanti nelle grosse metropoli”. È questo l’inizio del profilo con il quale il portale Wikipedia presenta la nota catena americana, oggi presente in quasi 60 paesi nel mondo. Nata a Seattle all’inizio del 1971, l’idea di portare l’atmosfera dei bar/ caffè europei negli USA venne nel 1983 a un amministratore delegato della stessa azienda dopo un soggiorno a Milano. Anche la Svizzera negli ultimi anni è stata invasa dalle caffetterie Starbucks, luoghi (o non luoghi) di incontro dove quello che bevi e mangi passa a volte in secondo piano, è l’atmosfera “urbana” e la connessione internet libera a fare la differenza. In più sono attività commerciali frequentate da clienti prevalentemente giovani, senza pretese di essere né lussuosi ma nemmeno sciatti. Certamente in linea con i tempi. A differenza di hamburger, patatine e affini in Ticino le caffetterie americane non sono ancora arrivate (le più vicine a noi sono a Lucerna): sarà una questione di tempo, sarà che 350mila persone sono pochine, sarà che il caffè rappresenta qualcosa di diverso per chi abita a sud delle Alpi (così legati alla cultura tutta italiana delle osterie, dei piccoli bar di paese e di quartiere). Non è un caso se all’inizio del 2014 in rete impazzava la notizia – vera, falsa, chissà... – che proprio la grande catena americana stava per aprire tra Aosta e Napoli numerosi punti vendita: tra molta eccitazione e altrettanti disgusti, come mai avrebbe potuto la culla dell’espresso accettare “l’affronto” americano, e proprio sulla bevanda nazionale?
In verità alcuni esempi di simil-Starbucks in Italia già ci sono (Arnold Coffee a Milano, Busters Coffee a Torino ecc.) proprio perché i modelli culturali dominanti non sono facili da rifiutare. Nel reportage fotografico presente in questo numero, Marco Jeitziner ci racconta la storia dello Zoccolino, storico ritrovo nel nucleo di Bellinzona, oggi chiuso e in fase di trasformazione (si dice in un “wine bar”). Come già successo in passato, per esempio, all’Indipendenza e al bar Cento a Lugano – per non parlare del futuro poco chiaro della cantina Canetti a Locarno –, la scomparsa di locali storici e “diversi” è un fenomeno che va di pari passo con la trasformazione del cantone, sempre meno “locale” e sempre più città diffusa. Ad alcuni dei ritrovi citati Ticinosette ha già dedicato dei servizi, raccontando storie di chiusure spesso legate alla trasformazione degli stabili che li ospitavano. Come per lo Zoccolino, il problema non è tanto il contenitore ma piuttosto il contenuto: con la sparizione dell’esercizio pubblico (senza pretese di modernità a tutti i costi) ecco che spariscono anche i clienti storici, i concerti “alla mano”, un linguaggio popolare fatto di parole grosse ma inoffensive. Sparisce il punto di riferimento, svanisce l’approdo sicuro dove tutti sanno chi sei e che cosa vuoi. “Uela Franco, com’è?! Il solito...?”. Il tizio appena entrato risponde con un leggero cenno, sorpreso nel vedere “il suo” tavolo occupato da un paio di studentesse. Sarà dura per lui entrare in uno Starbucks, mettersi fila e orientarsi tra Frappuccino, Espresso Frappuccino, Mocha Frappuccino, White Caffè Mocha, Iced Vanilla Latte, Iced Caffè Americano, Espresso con panna... Buona lettura, Giancarlo Fornasier
La crisi aguzza l’ingegno Giornalismo. Gli azionisti del quotidiano francese “Libération” vogliono trasformare la sede del giornale in un centro culturale e in un incubatore di start up; l’inglese “Guardian” ha aperto il #guardiancoffee; il settimanale “die Zeit” invita i lettori a bere un caffè con i redattori del giornale; la “Neue Zürcher Zeitung” ha un suo shop a Zurigo dove vende i suoi prodotti, dai libri, agli accessori, ai vini. Il modo di fare giornalismo è cambiato, segue le strade più diverse a caccia di un comune denominatore: il lettore di Natascha Fioretti
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Agorà 4
e sa qualcosa Ezio Mauro, direttore del quotidiano italiano La Repubblica per il quale “il patrimonio del giornale è il giacimento dei suoi lettori”. Di ritorno da Repubblica delle Idee, una quattro giorni andata in scena a Napoli i primi di giugno con eventi e incontri che hanno visto sul palco le firme più importanti della testata in compagnia di ospiti eccellenti come Roberto Benigni, Zygmunt Bauman e Matteo Renzi, gli abbiamo rivolto qualche domanda per comprendere meglio le sfide del giornale che diventa sempre più un brand e un promotore di attività ed eventi. Repubblica delle Idee, nata a Bologna nel 2012, poi portata a Firenze e, infine, a Napoli è una manifestazione in costante crescita in termini di successo di pubblico che rappresenta un nuovo modo di fare cultura e informazione: la redazione lascia il luogo fisico dove si produce il giornale ed esce per incontrare il suo pubblico: “È il festival che raccoglie il meglio di un giornale e lo porta ogni volta in una città italiana diversa secondo quella che è la natura di Repubblica, un quotidiano nazionale passionale con dieci edizioni locali. Con questa e altre iniziative portiamo il giornalismo fin dove non pensavamo potesse arrivare qualche tempo fa. Naturalmente rimanendo coerenti con l’identità del giornale”. Si tratta di una proiezione culturale molto forte “un investimento che si traduce soprattutto in termini di reputazione di community consentendo ai lettori di incontrare le grandi firme del giornale e tutto il mondo culturale che intorno a esso si muove”. Il Festival, un’operazione di branding di cui la carta ne è il cuore, ha prodotto un incredibile spin off, una proliferazione di eventi collaterali come Repubblica Next, la Repubblica degli innovatori. Eventi che hanno una identità precisa e sono tra loro coerenti e, soprattutto, tutti con la R di Repubblica “come quella gigantesca che mettiamo nelle piazze quando facciamo il Festival di Repubblica”. Eventi live di giornalismo Negli Stati Uniti già da qualche anno testate come il Washington Post organizzano eventi di live journalism. Tim Condon direttore generale racconta come l’idea che sta
alla base ”è di raggiungere un’audience influente. Il contenuto di questi dibattiti è il nostro giornalismo”. Un’iniziativa che sta a cuore anche a Repubblica: “Abbiamo in mente di fare del vero e proprio live journalism, cioè delle performance nei teatri di firme di Repubblica che siano capaci di raccontare qualcosa che parte dalla loro esperienza lavorativa. Un’esperienza in cui diventa leggibile il nesso tra la persona che realizza questa performance e il suo lavoro, e siano capaci di farlo in forma teatrale, spettacolare o comunque con degli accorgimenti scenici. Mentre Repubblica delle idee è un’offerta gratuita, rivolta in particolare ai suoi lettori e, insieme ai suoi lettori, alla cittadinanza delle città dove andiamo ogni volta, gli eventi di live journalism saranno appuntamenti culturali a pagamento”. Perché fare tutto questo, investire così tante energie e risorse, quale è il ritorno del giornale? Intanto sono delle esperienze spettacolari perché noi stessi ci mettiamo a confronto con due realtà diverse: quella dei lettori e dei cittadini che immaginiamo sempre dall’altra parte del giornale che scriviamo e che vediamo in carne e ossa mentre intervengono, ti fanno le domande, ti aspettano per parlarti, ti fanno firmare la copia del giornale dicendoti che lo leggono dal ‘76 e dimostrando un legame fortissimo; e quella del mondo che gira intorno al giornale e che però non fa parte della vita di redazione, penso a Baumann, a Grossman cioè a persone che vengono e passano queste giornate con noi toccando con mano il mondo di Repubblica, persone che capiscono anche qual è l’universo del giornale. La stessa cosa vale per il lettore che incontra le sue firme di riferimento, quelle che segue, di cui si fida. È un po’ come se i giornalisti svolgessero il lavoro di redazione in pubblico… Sì, c’è tutta una parte del programma, che chiamiamo officina, dove esponenti che hanno responsabilità nei vari settori, inviati, corrispondenti, ma anche i grafici e i capi redattori centrali raccontano come avviene e come si svolge il loro mestiere.
Ezio Mauro, dal 1996 direttore del quotidiano la Repubblica
Avere un brand e promuoverlo significa puntare su un elemento distintivo rispetto a chi fa il tuo stesso mestiere, significa comunicare al tuo pubblico un’idea di te che per lui diventa un valore aggiunto in cui riconoscersi. Intanto fortunatamente i giornali sono tutti diversi tra di loro. Hanno dei canali di rapporto con i lettori, di rappresentanza e influenza reciproca che sono differenti. Certamente il tipo di community che ha Repubblica è particolare. Io ho lavorato anche in altri giornali e il rapporto di Repubblica con le sue community è qualcosa di fortissimo. Il direttore di El Pais dice: “C’è una visione del mondo che accomuna noi e i nostri lettori, c’è un certo sguardo”. Io uso una formula di Piero Gobetti: “C’è una certa idea dell’Italia, noi abbiamo in comune con i nostri lettori una certa idea dell’Italia, che è quella cosa che il lettore cerca giorno dopo giorno al di là della notizia”. Chi è il lettore? Il lettore vero è quello che al di là delle notizie diventate delle commodity, che puoi sentire al radiogiornale o su qualsiasi altro mezzo mentre ti fai la barba, vuole l’organizzazione, l’insieme delle notizie, l’interpretazione dei fatti, l’approfondimento, il commento di valore. Il futuro dei giornali è scritto nel caffè L’idea del Guardian – quotidiano europeo che più di ogni altro fonda il suo futuro sul rapporto diretto con i lettori – di aprire un caffè a Londra, vicino alla sua sede, in una delle zone più trendy della città, non è subito stata compresa. Chi visita il #guardiancoffee ci trova il caffè di una torrefazione locale, iPad su ogni tavolo da usare gratuitamente, spesso anche Joanna Geary, social media editor del Guardian, felice di interagire. Un’iniziativa per incontrare e fidelizzare il proprio pubblico anche con eventi e conferenze live che il Guardian organizza ogni anno, iniziative che Alan Rusbridger spiega così “stiamo pensando a un programma di membership in cui si paga per avere accesso agli
eventi che organizziamo. Ci stiamo spostando dal mettere le parole sulla carta a essere dei convogliatori di conversazioni e di idee”. Un’idea che stuzzica anche Ezio Mauro: “A me piacerebbe moltissimo che i giornali fossero i luoghi accessibili del centro della città, che avessero la loro identità legata al contesto e che fossero dei luoghi aperti dove naturalmente ci sono degli ambienti in cui si lavora, si possono stampare le prime pagine del giornale, ristampare le pagine storiche, organizzare degli incontri, dei twitter caffè volanti con le firme dei giornali, con i corrispondenti… trovo che sarebbe un bellissimo elemento”. Ezio Mauro è direttore di Repubblica dal 1996: da allora è cambiato il modo di fare giornalismo e sono cambiati i giornali, ma come è cambiato il ruolo di direttore? Le cose si trasformano insieme e quasi non te ne accorgi, come quando hai i figli sotto gli occhi e non ti rendi conto che crescono. Il direttore sta dentro il processo del giornale, non sta di lato e guarda da fuori, sta molto dentro, con le mani e coi piedi, con la testa, anche col cuore e quindi è parte di questo processo di cambiamento. Devi pensare a come cambia il tuo mestiere, due occhi non ti bastano più, la tua sensibilità si deve allargare moltissimo, poi naturalmente ricorri a delle competenze specifiche di persone, e anche a un governo articolato, però devi ragionare su multipiattaforma anche tu, devi sapere che certe cose devono andare subito sul sito, devi pensare all’edizione di Repubblica sera, l’edizione che esce in un’edicola elettronica, quella dell’iPad, l’unico giornale della sera in Italia resuscitato dai mezzi tecnologici… Ti rendi conto che il territorio su cui ti muovi è diventato vastissimo ed è tutto molto eccitante e coinvolgente, è come se non ci fossero limiti. In realtà ci sono, per esempio, il limite del buon senso, il limite della coerenza con il mestiere e con l’identità del giornale. In realtà, quando dico non ci sono limiti, mi riferisco in particolare alla combinazione tra i nuovi motori tecnologici e la potenza informativa di un giornale. E al patrimonio del giornale che è il giacimento dei lettori. Insomma, la crisi aguzza l’ingegno e l’informazione, per fortuna, non si ferma.
Agorà 5
Il docile pachiderma Con la discrezione che lo caratterizzava, Aldo Braibanti ci ha lasciati. Attorno al suo nome circolano ancora i fantasmi delle ingiustizie subite. È tempo di tornare a conoscere l’opera di colui che per Carmelo Bene fu un “profeta in anticipo di trent’anni” di Daniele Bernardi
Arti 6
Elaborazione di un’immagine dello scrittore tratta da liberta.it
A ncora oggi, dopo la sua recente e silenziosa scomparsa, Aldo Braibanti (1922–2014) è vittima di quella che lui stesso chiamò una “violenza perpetrata da un residuo bacchettonismo clericale e fascista”. La stessa che, nel 1968, lo condannò con l’accusa di “plagio” a nove anni di carcere. La sua persona e la sua opera sono tutt’ora sottoposte, per inerzia, al riverbero inquisitorio dell’onda d’urto abbattutasi ferocemente contro l’inaccettabile diversità che egli rappresentava. Come alcuni ben presto intuirono, si trattò, evidente-
mente, di un processo politico. Braibanti, agli occhi dei giudici, non era soltanto un omosessuale che, abusando della propria statura intellettuale, aveva subdolamente sedotto e corrotto dei giovani (per altro maggiorenni): egli era un ex partigiano e, soprattutto, un comunista… cioè un mostro per il tempo. Ma chi sei...? Se insisto nel dire questo è perché la figura di Braibanti, oggigiorno, è pressoché sconosciuta o strettamente rele-
gata nel ghetto degli scempi della giustizia italiana, quindi forzatamente rimossa dal mondo della cultura e ridotta al silenzio. Infatti, se un lettore curioso volesse conoscere l’opera variegata di questo anomalo scrittore – dico anomalo perché la sua produzione artistica è davvero un caso a sé, nel panorama della letteratura italofona del novecento – si troverebbe in difficoltà. Fortunatamente, il poeta nel 2003 curò e pubblicò un’ampia antologia di testi, intitolata Frammento Frammenti, con la bella casa editrice Empiria. Si tratta di un documento importante, purtroppo non ancora valorizzato quanto meriterebbe. Probabilmente è stata questa la peggiore angheria a cui questo “uomo «mite» nel senso più puro del termine” (come lo definì Pier Paolo Pasolini, quando si mobilitò in sua difesa) fu sottoposto: non essere più riconosciuto in quanto artista e intellettuale, ma unicamente come “il tale del plagio”. Per questo, volutamente, non mi dilungherò sulla vergognosa vicenda giudiziaria che lo vide coinvolto (a chi, giustamente, ne volesse sapere di più, consiglio semplicemente di consultare internet). Cercherò invece di scrivere qualcosa, per quanto mi sia possibile, sulla sua produzione poetica. Lo farò a partire da un componimento in particolare, ossia la lunga poesia “Lettera a cornix” (datata “Roma, 13 settembre 2001”) da cui proviene l’estratto che vi apprestate a leggere... Una vecchia cornacchia grigia cornix la vecchia totoa si è persa per sempre nella stanza opaca il piccolo tico sente ancora più freddo e si rifugia sotto la mia giacca tagliano l’aria densa gli ultimi icneumoni della stagione gechi e iuli giuocano a nascondino ai piedi dell’olivo bonsai acari rossi scivolano sui vetri delle messor invernali le sedie e i tavoli sono ancora pregni dell’odore di slappa già squarta il mattino freddo il richiamo pungente dei gabbiani mia madre e mio padre cavalcano il docile pachiderma della memoria mio fratello e i miei compagni uccisi da uomini morti occhieggiano dalle pareti con vellutata discrezione rimbombano tamburi di guerra lungo la curva di un boomerang suicida e tutto questo cornix tutto questo avviene qui adesso in una città dell’uomo (da “Lettera a cornix”)
Il nome “cornix” riprende la designazione latina della cornacchia grigia (Corvus cornix), un uccello appartenente alla famiglia dei corvidi che presenta delle caratteristiche assolutamente affascinanti. In primo luogo l’intelligenza: questi pennuti dimostrano di conoscere gli effetti della forza di gravità – per rompere la scorza dei frutti col guscio, o l’esoscheletro di alcuni piccoli crostacei, hanno imparato a lasciarli cadere in volo – e di saper giocare con i propri simili (cosa unica nel mondo dei volatili). Altro aspetto interessante è il tipo di capacità di adattamento. Le cornacchie sono tra gli animali che meglio sanno adeguarsi alla dilagante urbanizzazione, ciononostante esse non rinunciano alla loro selvatichezza. Il rapporto che intrattengono con l’essere umano è ambiguo: da una parte vi possono essere alcuni casi di avvicinamento e addomesticamento, dall’altra invece, nei confronti del mondo uma-
no, esse mantengono una sorta di costante diffidenza. L’opera di Aldo Braibanti è permeata dalla presenza della natura (egli era un appassionato mirmecologo); basta leggere il frammento del testo sopracitato per trovarvi ben otto specie di animali (senza contare “la vecchia totoa” e “il piccolo tico”). “Cornix” una cornacchia che, probabilmente, il poeta aveva adottato, è l’alter ego a cui l’io poetico costantemente si rivolge facendosi trascinare, attraverso il dialogare delle “lingue segrete” di un rapporto tra uomo e bestia, nella visione del “panorama scheletrico del mondo”, per usare un’espressione di Dino Campana. In questa sorta di lucida trasfigurazione, il poeta afferma le ragioni di una poesia-mestiere che “è solo precipitato essenziale del discorso” e che scolpisce con i versi “con umiltà quello che ribolle nella memoria”. Lontano dai poteri, vicino a se stesso Quando si rivolge all’uccello, lo scrittore parla a sé di sé e della propria condizione di escluso. Egli vive nel suo rifugio domestico come in una torre che è l’ultimo baluardo della sensibilità e della vita minuta, minacciata dallo sterile tecnologizzarsi del pianeta (infatti, le bestiole elencate sono minuscole e fragili: “gechi e iuli”, “acari rossi” ecc.). Qui, tra l’ “olivo bonsai” e “le sedie e i tavoli”, hanno sede la memoria e la debolezza (quella debolezza che in realtà è scelta, forza e sapere). Allo stesso modo della cornacchia, egli è calato nella modernità, vi sopravvive e vi si adatta, ma con essa non fraternizza, la contempla dall’alto, ferito, mentre plana dove solo il prezzo della solitudine può fare arrivare. Ecco allora apparire, tra le pareti di quell’avamposto, i frammenti che riflettono il ricordo di un’avventura umana cominciata “in una famiglia illuminata e ferma nel rifiuto di ogni situazione autoritaria” (“mia madre e mio padre cavalcano il docile pachiderma della memoria”) e che proseguì, successivamente, con l’adesione alla Resistenza, al movimento di Giustizia e Libertà e al Partito Comunista: non scordiamo che sotto il fascismo Braibanti venne catturato e torturato (“i miei compagni uccisi da uomini morti / occhieggiano dalle pareti con vellutata discrezione”). Fino a giungere a un presente che vede il poeta, “avviato per uno stretto sentiero in salita alla ricerca della rivendicazione della (…) privacy violata”, recluso in quella che fu per molto tempo la sua tana romana, dove visse e da cui scorse il “boomerang suicida” della contemporaneità affettare l’aria come una mannaia. A mio avviso la scrittura di Aldo Braibanti, assieme a quella di Antonio Porta, Amelia Rosselli e Luigi Di Ruscio (e si tratta di autori tutti più giovani di lui), è una singolare commistione di lirismo simbolico e immediatezza che presenta delle caratteristiche prosodiche insolite, all’interno della schiera dei poeti della sua generazione. Egli, con la sua “solitudine autodidattica” e rigettando “ogni scuola e ogni tendenza letteraria”, si pose l’obbiettivo di non trescare con i poteri dominanti e di “rispettare la genuinità e la serietà” delle proprie intuizioni. Queste lo condussero lungo piste poco battute, su cui camminò per una vita, curandosi con attenzione di non calpestare le piccole creature che abitano là, dove nessuno getta lo sguardo.
Arti 7
Osservo e proietto
Dieci tavole, ognuna con una macchia d’inchiostro simmetrica: a chi le osserva si chiede di esprimere tutto ciò a cui il disegno rimanda. È il test sviluppato da Hermann Rorschach di Mariella Dal Farra
Società 8
Vi sono luoghi considerati “leggendari” fra chi si occupa fonti di ispirazione specifiche del test di Rorschach sono di psicologia, nei quali questa disciplina ha gradualmente altre. In primo luogo familiari, considerato che il padre assunto la forma che oggi le conosciamo. Fra questi vi è dell’autore era un insegnante di disegno, e che lui stesso la Salpêtrière di Parigi dove, all’inizio del secolo scorso, J. si dilettava in quest’arte. Al contempo, l’idea di “fantastiCharcot e i suoi collaboratori effettuavano esperimenti sul care” sulle figure suggerite da una macchia d’inchiostro su disturbo psicologico allora maggiorun foglio bianco vantava una lunga mente diffuso: la “Grande Isteria”. tradizione in Europa3. Altrettanto “mitico” è l’indirizzo di Non solo macchie... Berggasse n. 19, a Vienna, dove S. Il merito di Rorschach fu quello di Freud mise a punto il metodo psicoriconoscere l’importanza delle “deanalitico; ma forse ancora di più lo terminanti” percettive: cosa aveva è il Burghölzli, clinica psichiatrica “usato” la persona per attribuire sidell’università di Zurigo (attualmente, gnificato a un’ambigua macchia d’inClinica di psichiatria e psicoterapia), chiostro? Si era basata sulla forma, situata sulle omonime colline a sudsul colore, sull’impressione di un est della città e considerata per molto movimento? Aveva considerato la tempo “la capitale svizzera della psimacchia nel suo insieme o l’aveva chiatria”. parcellizzata a favore di dettagli più Il Burghölzli conobbe il suo periodo piccoli? E quanto piccoli erano questi di massimo splendore (1898–1927) dettagli? Si era soffermata sui vuoti sotto la direzione di Eugen Bleuler, rappresentati dalle parti bianche? lo psichiatra che coniò il termine Ritratto del 1910 ca. (kurier.at) Aveva manifestato una latenza più “schizofrenia”. Negli anni successivi lunga nel rispondere, alla comparsa alla pubblicazione del suo saggio1, che introduceva una nuova prospettiva nello studio delle del colore rosso? E ancora, quante risposte era stata in grado psicosi, il Burghölzli divenne un importante centro di ric- di produrre? In quanto tempo? erca, capace di attrarre molte fra quelle che successivamente Il margine di interpretazione relativo ai contenuti (“farfalla”, si sarebbero rivelate personalità di spicco nell’evoluzione “gnomo”, “organo sessuale femminile” ecc.) è troppo ampio della psicologia. Fra queste, C. G. Jung, K. Abraham, L. per fornire indicazioni realmente utili ai fini diagnostici; lo Binswanger e Hermann Rorschach, inventore del test stile percettivo, al contrario, tende a rimanere costante nel proiettivo più famoso del mondo: il test delle macchie tempo, ed è in grado di restituire informazioni attendibili su come la persona “organizzi” il proprio mondo sensibid’inchiostro. Nato a Zurigo l’otto novembre 1884, Rorschach era un le, poiché il modo in cui percepiamo le cose è isomorfo a medico specializzato in psichiatria che, a eccezione di una come le pensiamo e sentiamo. L’intuizione di Rorschach breve permanenza in Russia, lavorò sempre in Svizzera. nell’elevare delle semplici macchie d’inchiostro a “mezzo di Nel 1915 divenne assistente del direttore presso l’ospedale contrasto” capace di evidenziare lo stile percettivo, e quindi psichiatrico di Herisau, in Appenzello, dove rimase fino psicologico, dell’individuo rimane lucida e originale a 130 al 1922, quando morì a soli trentotto anni per una peri- anni dalla nascita del suo autore. tonite non correttamente diagnosticata. In quel periodo, Rorschach mise a punto il reattivo che porta il suo nome, note 1 e che riflette la nuova concezione di psiche che si andava 2 E. Bleuler, Dementia praecox oder die Gruppe der Schizophrenien, 1911. Presso il Burghölzli, fra il 1906 e 1909, G. Jung pubblicò diversi affermando: quella di un’entità intrinsecamente coerente, studi sul “test delle associazioni verbali”, considerato il precurgovernata da una logica interna suscettibile di essere stusore di questa tipologia di test. diata e compresa, anche a fronte di manifestazioni appa- 3 Nel 1857, Justinus Kerner, medico, poeta e occultista, aveva pubblicato Kleksographien: una raccolta di macchie d’inchiostro rentemente paradossali. simmetriche, ciascuna corredata da un componimento letteSe il nuovo paradigma legittimava sul piano epistemologico rario. Il libro ebbe molto successo nei paesi di lingua tedesca, il ricorso alle tecniche proiettive, ovvero a quella molteplicimentre una versione statunitense dello stesso “gioco” comparve tà di metodi in cui il soggetto è chiamato a reagire a stimoli, a opera di R. M. Stuart e A. B. Paine in un libro intitolato Gobolinks, or Shadow-Pictures for Young and Old (1896). verbali o visivi, “proiettandovi” la propria personalità2, le
Letture Il re dei monti di Eugenio Klueser
Lo stambecco è il re delle montagne. Incarna l’anima primigenia e profonda dei picchi rocciosi, delle vallate più scoscese e remote. Cacciarlo è una sfida capace di mettere a dura prova anche i cacciatori più abili e testardi. Una sfida fatta di inseguimenti, interminabili e pazienti attese, frustrazioni (perché lo stambecco è tanto astuto e resistente da sembrare quasi invincibile). Cacciarlo ha quindi il sapore di un antico rito a cui è difficile sfuggire se si vive nella grigionese Surselva, si ama la vita a contatto con la natura e si è legati alla montagna. A raccontarcelo è lo scrittore romancio Leo Tuor in questo libro che si presenta sia come saggio di antropologia culturale sia come racconto autobiografico. Al centro della narrazione vi è una lunga ed estenuante battuta di caccia sulle Alpi grigionesi Grigioni. Giorno dopo giorno il protagonista si muove lungo sentieri, scende e sale pendii, confrontandosi con un’animale che pare svanire come un fantasma.
Allo stesso tempo il cacciatore-protagonista si ritrova a doversi districare tra i mille regolamenti cantonali che caratterizzano la moderna attività venatoria, una rete burocratica che ne inficia il senso. Soprattutto, durante le lunghe ore di attesa e di solitudine, il cacciatore-protagonista riflette, osserva la montagna attorno a lui, i mutamenti imposti dalla modernità e la perdita di contatto dell’uomo con la natura. Si ritrova a fare della filosofia e l’andare a caccia si trasforma in qualcosa di non scontato, in qualcosa che ha a che fare con la conoscenza di sé e, soprattutto, del mondo. Cacciare diventa così un’esperienza intima, il cui valore va ben al di là del risultato che si ottiene, ma è legato al nostro sapere, al nostro apprendere. Scrive Tuor: “Se vuoi imparare a conoscere una valle nei dettagli, una montagna con i suoi pendii, le sue pareti scoscese, i suoi ghiaioni, con i suoi nasi e grugni rocciosi, i suoi avvallamenti, le sue conche e i suoi ripari, vai a caccia di stambecchi in alta quota...”.
Caccia allo stambecco con Wittgenstein di Leo Tuor Edizioni Casagrande, 2014
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io padre si chiamava Ottavio ed era diventato ricco facendo l’uomo d’affari. Aveva anche ottenuto cariche pubbliche, ma non faceva parte dell’aristocrazia romana. Fortunatamente mia madre, Azia, era parente sia di Giulio Cesare sia di Pompeo e questo mi ha permesso di frequentare fin da giovane l’élite della società di Roma. Da ragazzo ero spesso malaticcio e certo non eccellevo nelle prove fisiche, però sapevo già allora che per primeggiare non è sufficiente la forza. Ci vuole volontà, astuzia, ingegno e diplomazia. Bisogna conoscere gli uomini e saper sfruttare le loro virtù e, soprattutto, i loro limiti e debolezze a proprio vantaggio. Per questo Cesare, mio prozio, mi apprezzava, per questa mia precoce conoscenza della vita e degli uomini. E per questo mi adottò e mi designò come suo erede al posto di tanti suoi generali pluridecorati. Quando fu assassinato avevo solo 18 anni e molti pensavano avrei fatto una brutta fine nello scontro tra senato di Roma e Marco Antonio, il primo luogotenente di Cesare. Invece, seppi farmeli alleati entrambi e li usai a mio vantaggio in modo che si scannassero tra loro e il potere venisse quasi naturalmente a depositarsi nelle mie mani. I senatori erano troppo impegnati a vantare le antiche glorie per comprendermi fino in fondo. Antonio era un grande soldato, ma non capiva nulla delle sottigliezze della politica. Si era fatto pure abbindolare da Cleopatra e per lei era diventato uno zimbello. A me, invece, la regina d’Egitto mi ha lasciato indifferente e l’avrei volentieri portata a Roma in catene se non si fosse uccisa. Alla fine mi sono trovato, dopo anni di guerre e di ammazzamenti, padrone di Roma. L’esercito era dalla mia parte, il senato mi osannava per rispetto e per paura delle mie legioni. Ero ricchissimo grazie all’eredità lasciatami da Cesare, anche se i miei avversari raccontavano che dovevo il mio denaro alle confische ai danni dei miei nemici politici. In quel momento potevo pretendere tutto e ottenere tutto, ma la tragica fine di Giulio Cesare mi aveva insegnato che per comandare a Roma bisognava indossare la maschera dell’umiltà e della convenienza. Non potevo chiamarmi re, anche se lo ero nei fatti, e neppure imperatore. Scelsi il ruolo
di principe, cioè il primo tra pari, anche se pari a me non vi era nessuno. Non certo a caso gli altri presero a nominarmi Augusto, che significa appunto “grande”, “autorevole”. Iniziai in quei giorni la più grande recita della mia vita, quella del signore che finge di essere servitore. Giocai d’azzardo, lo sapevo, perché bastava poco per svelare il mio inganno, però sono sempre stato un grande baro e nessun mi ha mai chiesto di mostrare le carte, forse per stanchezza dopo tante guerre oppure per indolenza perché tanti prosperavano standomi accanto, come funghi attorno a un tronco d’albero. Anzi, più potere ottenevo, più me ne offrivano e mi chiamavano “divino” già da vivo. Finiti i titoli, diedero il mio nome a città come Aosta, mi dedicarono anche un mese, agosto, e da me nacque pure la festa del Ferragosto che altro non è che le “ferie di Augusto”. Piccole cose, che però mi sono rimaste appiccicate per l’eternità più di altre, nonostante meriti di essere ricordato per ben altre imprese. Sono o non sono stato l’uomo che col ferro e col fuoco ha riportato la pace e ha ridato stabilità alla Repubblica romana, seppur ridotta a un involucro vuoto rispetto al passato? E poi avevo trovato una città di mattoni, l’ho restituita ai miei concittadini in marmo, abbellita di edifici mai visti a Roma. Ho protetto artisti e letterati come Virgilio, Orazio, Livio, Ovidio e Properzio, anche quando non hanno scritto le cose che volevo io. Io desideravo si parlasse di tradizione, delle glorie di Roma, dei bei tempi andati e quelli giù a scrivere di passioni, amori, struggimenti. Perfino Virgilio nell’Eneide si è perso a parlare di innamoramenti invece di vagheggiare eroi. Le passioni, invece, vanno sedate, placate, perché offuscano la mente e creano disordini, problemi. E in quei tempi Roma aveva solo bisogno di quella pace e di quella tranquillità sulle quali ho vegliato per più di trent’anni da guardiano benevolo, aiutato dalle mie trenta legioni. Per questo, sul letto di morte, da attore consumato, ho invocato un ultimo applauso.
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Si considera un grande attore che ha saputo interpretare come nessun altro il ruolo di principe che il destino gli ha riservato. Gli rimane però il rammarico di un nome legato spesso al Ferragosto, nonostante abbia compiuto ben altre imprese
profilo storico elaborato da Roberto Roveda nell’immagine: la statua togata di Augusto rinvenuta nel 1910 in via Labicana a Roma (Museo Nazionale Romano)
Osteria Zoccolino C’era un’isola di gente e poesia...
di Marco Jeitziner; fotografie ©Davide Frizzo
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al ciottolato rosa m’avvicino al cinque di piazza Governo, poco lontano dalla “Foca” del Remo Rossi, dove per la gente della piazza di questa sonnolenta cittadina il giovedì sera non è più un giorno qualunque. L’osteria Zoccolino è l’ultimo baluardo di una cultura popolare che, anche qui, s’appresta a cambiare per sempre. La memoria forse c’inganna ma non la storia di questa casa a tre piani, banale forse da fuori, con le sue persiane verde scuro, il balconcino riparo per i fumatori nei giorni di pioggia, appiccicato a una facciata grigia ma tutelata. E al suo interno... Laboratorio del tempo “L’immobile era del papà della moglie di Rossi e qua c’era un laboratorio dove si costruivano le zoccole”, mi racconta Alfonso Zirpoli, fotografo, personaggio verace e fantasioso come pochi in città. Lui che (storico) oste s’è fatto, ti direbbe
“coraggio e siedi là in quel posto vuoto; io sono un oste è ben vero, ma sono anche un tuo amico”1. La conferma di quegli zoccoletti di betulla che, col boccalino, furono simboli di mediterraneità pei nordici, mi giunge dalle foto ingiallite del Bonzanigo di Bellinzona e dalle cronache del “Sigis” Gaggetta: zoccoletti che “attendono ora nella vetrina dello «Zoccolino» di seguire la loro sorte umile e provvida a un tempo”2. Ottant’anni dopo di lui eccomi a scriverne: ah, i casi della vita! “Nell’immediato dopoguerra col laboratorio c’era già una mescita di vino e di birra. Ma la volontà di Rossi era che questa sua casa di Bellinzona venisse vissuta da una persona creativa e io, essendo stato l’ultimo suo fotografo, trent’anni fa ho avuto la possibilità di usufruirne”, racconta Zirpoli. Aperitivi in musica “Gli uomini della musica che non mancano mai in queste osterie (...)” scriveva Mario Puccini nel suo omaggio, e qui
“è facile veder cominciare, ma quanto a finire, ce ne vuole”. Oste, vicinato e polizia lo san bene. Musicanti d’ogni sorta, il canto a squarciagola dell’Orelli, la fisarmonica del Bianchi, il rock dialettale del Del Don, il sax della Julie, e ora il blues del Battiston che ci scalda il ventre. Nessuno più del Bibo, storico cliente, ne sa qualcosa: “Con l’Osserita (un’ex gerente, ndr.) ho ideato gli «apéro in blues» per dare continuità a Piazza Blues. Per non creare concorrenza con altre proposte, abbiamo deciso di iniziare la musica dal vivo alle 19: una novità assoluta in città ed è stato subito un successo!” mi spiega. E s’andò oltre: “Proposi ad Alfonso di organizzare delle mostre fotografiche in tema blues. Lui pensò di portare i musicisti nel suo studio sopra il bar dopo i concerti”. Ritratti di volti leggendari nella capitale che fu del blues, ma che ancora campeggiano sui muri dell’osteria, che ti fan capire che, qui dentro, la sola cultura nostrana sta stretta.
Un luogo di cultura Nella terrazza interna i più affezionati, come Gualtiero, pittore e scultore cittadino, che qui conobbi parlando di isole delle Grecia, ricordano: “Sessant’anni fa venivamo qui in bicicletta da Carasso, perché c’era il «footbalino», il juke-box e... la cameriera! Qui c’è stato un bellissimo periodo di musica e di gastronomia, soprattutto con la signora Bice Columberg, una maestra nel campo! Alfonso è fatto un po’ a suo modo, però ha saputo catalizzare questo ambiente”. Calderone d’aromi del qui mediterraneo di Mario e dell’altrove agro-dolce, speziato e piccante di altri; di folli ricette di uno scienziato tedesco, di country d’America, di vernici d’ogni tipo, di eventi poetico-letterari moderati dal “Baco” e finiti anche male, quando “c’era stata una discussione tra due spettatori e ho perso la calma, cominciando a insultarli ed è successo un casino! Ma è stato abbastanza divertente” ricorda. Marcello, stessa ora stesso vinello, con malinconia (...)
Davide Frizzo
Davide Frizzo si è diplomato come grafico presso lo CSIA di Lugano nel 2001. Dopo un triennio di studio a Firenze ritorna in Svizzera. Con i suoi lavori ha partecipato a mostre e collabora a una serie di progetti visivi. Attualmente sta svolgendo il ciclo di studi presso la SUPSI di Trevano in Comunicazione visiva.
mi dice che “negli anni novanta Giovanni Spadolini qui ha voluto provare il «caffè svizzero»! Poi ci fu la cena con Marco Borradori e il figlio di Che Guevara: spiegargli cosa fosse la Lega dei ticinesi mi è costato un po’ di fatica!”. Lasciarsi alle spalle Da un annetto, dopo l’Alfonso, l’oste è il giovane Giona, credo l’ultimo. Restiamo umili, gli aneddoti si perdono nel filo della memoria che non ci appartiene. Crocevia di personaggi e personalità, di mestieri e culture, di vino nostrano e birra cubana, di eremiti venuti d’Israele in bicicletta, di poeti e cuochi d’Ungheria come Janos, di attori italiani come il Boni e l’Alberti. Qui “non ci sono solo quelli che se la tirano un po’...” dice Elena, cliente da vent’anni. Poi si vedrà. Ogni grande avventura finisce. C’era la profes-
sionalità di Pinto e c’è il sorriso di Anna la cubana, c’erano i sabati musicali di “quel che resta d’ascoltare”, ci sono gli “anfratti bui delle osterie dormienti” della Merini, la cantina dei vuoti e dei salumi. C’è il crocifisso rosso d’artista e il bar di lucette come a Natale, i volti dell’Africa dello Zirpoli e le sfuriate come temporali estivi. È esistito un perimetro di poesia, coi suoi “cani festosi, che nessuno sa di chi sono”, coi suoi “bambini nudi con in mano un fiasco impagliato” scrisse il Saba. Oh, son certo, se il Rossi fosse ancora in vita, sarebbe fiero di tutto questo! note 1 Da “Osterie popolari a Riga”, di Mario Puccini, Illustrazione ticinese (n. 27/1940). 2 Da “Industrie nostre: la calzatura tipica della gente ticinese - gli zoccoli”, Illustrazione ticinese (n. 13/1935).
IL RITO DEL FUOCO
L’arte della grigliata è rinata… dalla sue ceneri Tendenze p. 40 – 41 | di Marisa Gorza
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omplice di scampagnate, weekend all’aperto e rituali collettivi a casa propria, il barbecue è un aggeggio indispensabile per chi ama gustare cibi cotti alla brace, circondati da amici e da una sana atmosfera conviviale. E visto il tempo pazzerello dello scorso luglio (con poche serate asciutte…) a molti certo sarà rimasta la voglia di dedicarsi finalmente a “tempo pieno” a questo immancabile rito d’estate. La sua storia è antica, anzi... atavica. La parola barbecue (o BBQ ), oggi parte del linguaggio corrente, ci induce a pensare che questo tipo d’arte culinaria, veloce e suggestiva, arrivi dall’altro lato dell’Atlantico. Tuttavia, scavando nel passato, veniamo a conoscenza che ne esistono due versioni storiche ed etimologiche. La prima racconta che i conquistadores spagnoli si imbatterono nei Caraibi in una tribù locale chiamata taino che utilizzava una particolare tecnica per cuocere carne e altro. Gli indios disponevano il cibo crudo su un graticcio di legno sospeso al di sopra di un braciere e ciò, oltre a permettere una cottura omogenea, offriva il vantaggio di tenere gli alimenti a distanza dal suolo e dagli animali. Inoltre, il fumo che fuoriusciva allontanava gli insetti e partecipava alla conservazione dei ghiotti bocconi. I taino chiamavano la loro griglia barbacoa. Gli spagnoli di ritorno in Europa importarono la trovata e la cottura al barbacoa si diffuse in tutto il Vecchio Continente con un dicitura similare nelle diverse lingue. Questa versione è però contestata dai francesi che ne propongono un’altra
altrettanto esotica. Pare che alcuni esploratori d’oltralpe, all’epoca della conquista del Nuovo Mondo, avessero degustato una capra intera cucinata su una griglia simile a quella dei taino, cotta “de la barbe à la cue”, il che avrebbe coniato la parola barbecue... Primitivi, ma non troppo E assai probabile che l’origine del barbecue risalga alle prime modalità di cottura degli uomini delle caverne, i quali di alternative non ne avevano poi molte. Ma certo il mito moderno della cottura alla brace risale ancora una volta all’America. Quella che dopo gli anni cinquanta viveva una forte crescita economica e culturale. Nonché di espansione e diffusione (complice il cinema) di idee, pensieri, manie e miti: tra cui quello del barbecue che oggi sta ripartendo per una vera e propria escalation. Fino a qualche lustro fa era una tendenza condivisa solo da poche fasce sociali un po’ elitarie, poi è diventata una moda capace di conquistare nutrite folle di seguaci. Con i suoi riti e i suoi sacerdoti, come si trattasse di un vero e proprio culto, lo troviamo nei giardini e negli orti, su terrazzi, balconi e veroni, in città, in campagna e in riva al mare... Non ha nemmeno una stagione preferita, dal momento che alla griglia si cuoce in tutti i mesi dell’anno, sia pure con maggior frequenza nel periodo estivo. E piace molto anche agli svizzeri, da sempre compagnoni e amanti dei sapori genuini: salsicce nostrane, spiedini, hamburger (non è casuale che in Italia si chiamino “bistecche svizzere”), buon vino e chiacchiere.
GRIGLIARE SENZA PENSIERI Qualora vorreste aggiungervi agli adepti di questo rito pieno di calore e allegria, non mancano le proposte per gli acquisti di una attrezzatura ad hoc. Esiste in commercio una nutrita gamma di prodotti adeguati a ogni spazio ed esigenza. Abbiamo scelto tre esemplari, tutti della Weber, una delle aziende leader di grill, corredati di una grande varietà di accessori e utensili.
UN TOCCO DI DESIGN Cominciamo con il Master Touch, barbecue a carbone che con la sua griglia focolare in acciaio cromato, i ganci portautensili integrati, le impugnature in nylon rinforzato con fibre di vetro, fa parte dell’eccellenza dei grill usabili all’aria aperta. Innovativi e funzionali sono il termometro integrato e il sistema di pulizia One-Touch con portacenere rimovibile, mentre l’accattivante forma arrotondata del coperchio in acciaio smaltato e gli sfavillanti colori, tra i quali un elegante Noir, aggiungono un piacevole tocco di design.
LEGGERO, LEGGERO Estremamente facile da usare e molto leggero il barbecue elettrico Q14000 è poco ingombrante e quindi particolarmente adatto da approntare su un balcone o un piccolo giardino. Tra le sue caratteristiche più salienti c’è il braciere e il coperchio in ghisa di alluminio, una ampia maniglia termoisolante, due griglie di cottura in ghisa di acciaio, la vaschetta per la raccolta dei grassi e il telaio in nylon rinforzato con fibra di vetro. Il colore scelto è un Dark Grey che si armonizza con ogni tipo di arredamento.
SPIRITO NUOVO È arrivato l’acciaio nella gamma tutta nuova dei barbecue a gas della Weber tanto per disegnare la forma inedita del tipo Spirit Premium S320, dotato di tre bruciatori frontali in inox. Piuttosto ampie, le due griglie di cottura hanno una superficie complessiva di 44x59 cm circa ed è molto pratico pure il piano di lavoro corredato di ganci laterali e mobile porta bombola. Ci sono inoltre cinque barre flavourized per insaporire le pietanze con i succhi di cottura e garantire così un cucina del tutto sana. Né mancano le quattro ruote per gli spostamenti, di cui due auto bloccanti.
La domanda della settimana
Avete già utilizzato un portale internet di incontri per la ricerca di un/una partner?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 21 agosto. I risultati appariranno sul numero 35 di Ticinosette.
Al quesito “Avete mai pensato seriamente di scomparire, abbandonando tutto e tutti, e senza lasciare traccia?” avete risposto:
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Astri ariete Fortuna per i nati tra la prima e la seconda decade. Appianamento delle difficoltà nei rapporti, nuove amicizie potenti e desiderio di pace e serenità.
toro Spese per la casa soprattutto per i nati nella seconda decade favorite dai transiti di Giove e Venere. Ingerenze familiari e possibili discussioni.
gemelli Rivoluzione sentimentale favorita dall’ottima configurazione astrale. Promozioni e avanzamenti professionali. In compagnia tra il 18 e il 20 agosto.
cancro Cavalcate l’onda del cambiamento. Favorite le nuovi esperienze. Seguite il vostro istinto e non le vostre paure. Incoraggiate le relazioni esterne.
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vergine Vita sociale vivace e mente lucida e reattiva agli stimoli esterni. Grazie alla Luna nuova del 17 agosto novità provenienti da una località estera.
bilancia Allegri ma svogliati per quanto riguarda le questioni professionali. Incremento delle relazioni sociali. L’importante è che crediate in voi stessi.
scorpione Venere e Giove vi mandano un po’ fuori controllo spinti dall’ansia. Canalizzatevi verso un obiettivo senza disperdervi. Sereni tra il 20 e il 22.
sagittario Incontro con il destino per i nati nella prima decade. Possibile concepimento durante un viaggio. Favorite le attività con i paese esteri. Novità.
capricorno Grazie alla Luna del 17 la vita sentimentale si rigenera. Sfruttate Marte per portare a termine un progetto. Costruttivi i nati nella seconda decade.
acquario L’arrivo di Venere esalta gli aspetti edonistici della personalità. Mantenete una alimentazione più sana. Incontri e colpi di fulmine tra il 18 e il 20.
pesci Tra il 17 e il 19 agosto Mercurio in opposizione. Rischio che all’interno di una consolidata relazione possano sorgere ambiguità e fraintendimenti.
Gioca e vinci con Ticinosette 1
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 35
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 21 agosto e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 19 agosto a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Orizzontali 1. Fa dolere la schiena • 10. Segno zodiacale • 11. Cometa senza coda • 12. Riconoscenti (f) • 13. Non ne fa il sedentario • 14. I confini di Rovio • 15. È vicino a Cadempino • 17. Bruciate • 19. Uno detto a Londra • 21. Neppure • 23. Dittongo in giada • 24. Personaggio di Shakespeare • 25. L’indimenticato Calindri del teatro • 27. Consonanti in suola • 28. Dispari in bracco • 29. Venuta al mondo • 31. Il Paradiso perduto • 33. Grosso volume • 34. L’arte del bel canto • 36. Uncini da pesca • 38. Il più lungo fiume francese • 39. Lago asiatico • 40. Sconsolata, delusa • 42. Le doppie in pazze • 44. Ama Radames • 45. Tira al centro! • 46. Dente d’elefante • 48. Le gettano i pescatori • 50. Motivetto • 51. Riga. Verticali 1. Il recente film di successo interpretato da Toni Servillo • 2. Obbrobrio • 3. Il nome della Farrow • 4. Vi nasce Gesù • 5. Priva di fede • 6. Ginevra sulle targhe • 7. Immagini sacre del Pope • 8. Conosciute • 9. Sta per “sangue” 13. Tedioso, ripetitivo • 16. Pittore francese • 18. Moina affettata, svenevolezza • 20. Si prende a calci • 22. L’impugnatura della spada • 26. Osso del braccio • 27. Infiammazione della mucosa della cavità boccale • 30. Privi di zucchero • 32. Atarassia • 33. Mezza tara • 35. Porcellino d’india • 37. Nome di donna • 39. Reggono il ceppo • 41. In mezzo al nido • 43. Imperava in Russia • 47. Il Nichel del chimico • 49. Pena nel cuore.
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Soluzioni n. 31 La soluzione del Concorso apparso il 2 agosto è:
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GELATAIO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Rita Vonarburg via Monte 6875 Mont
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Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
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№ 33 del 16 agosto 2014 ¡ con Teleradio dal 17 al 23 ago.