Ticino7

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№ 31 del 31 luglio 2015 · con Teleradio dal 2 all’8 agosto

quelli che ridono

Per le statistiche siamo il popolo più felice al mondo. Ma è davvero così? e in che modo si può misurare la felicità?

Corriere del Ticino · laRegioneTicino · Tessiner Zeitung · chf 3.–


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Per i sapori della mia patria. Il mostbröckli di Markus Wetter viene lasciato essiccare all’aria fresca appenzellese a ben 900 metri d’altezza. Grazie alla sapiente arte di lavorare i migliori pezzi di carne nasce un inconfondibile prodotto Pro Montagna. Per ogni acquisto viene versato un contributo al Padrinato Coop per le regioni di montagna, in questo modo le nostre montagne continueranno a vivere. E noi potremo gustare anche in futuro prodotti di montagna autentici. www.coop.ch/promontagna

Per le nostre montagne. Per i nostri contadini.

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Ticinosette allegato settimanale N° 31 del 31.07.2015

Impressum 67’470 copie

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Marco Jeitziner ................................................

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redazione .........................................

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nicola deMarchi ...............................................

8

di

Società Blick. Obiettivo copertina

di

Cucina Marinare. All’acqua di sale

a cura della

Media Twin Peaks. Vittime seriali Tiratura controllata

Marco Jeitziner ...................................

Agorà Svizzera. La felicità è rossocrociata?

Vitae Jeffery Meylan

di

di

roberto roveda ..................................................................

Chiusura redazionale Venerdì 24 luglio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

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Fabio Martini; Foto di carlo alberto rusca ........

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Patrizia Mezzanzanica ed elvin Montesino .................................

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Svaghi ....................................................................................................................

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Reportage La fabbrica dei suoni Astrofood Leone

di

di

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Il popolo che ride Illustrazione ©Bruno Machado

Pippo Pollina in concerto Sabato 22 agosto all’Hallenstadion di Zurigo si terrà l’esibizione di chiusura de “L’appartenenza Tour” del poliedrico cantautore e chitarrista Pippo Pollina. Più che un concerto quello che andrà in scena sarà un evento della durata di quattro ore (!) con molti ospiti e musicisti. Dopo una tournée che lo ha portato in giro per il mondo (con, nel solo 2015, un’impressionate numero di concerti in Germania e in Italia) Pippo Pollina chiude dunque in bellezza a Zurigo con tutto il meglio del suo repertorio fatto di ballate, folk-rock e cantautorato “di protesta”, passando dalla tradizione della musica siciliana, sua terra di origine. In compagnia del Palermo Acoustic Quintet e dell’orchestra da camera Ensemble Musica Viva Svizzera diretta da Willy Honegger, lo spettacolo sarà una grande festa di suoni e colori... senza dimenticare i tanti ospiti che saliranno con lui sul grande palco dell’Hallenstadion: da Franco Battiato, Eugenio Finardi e Giorgio Conte a Büne Huber, Etta Scollo, Gigi Moto, Linard Bardill, Madlaina Pollina, Martin Kälberer, Stefan Stoppok e Werner Schmidbauer. Autore di 19 album e con oltre 4000 concerti alle spalle, Pollina è certamente uno tra i migliori e più interessanti cantautori in lingua italiana, e le numerose collaborazioni che hanno arricchito la sua carriera artistica ne sono la prova più convincente.

Vinci i biglietti! In occasione di questo importante evento, Ticinosette, in collaborazione con la FBM Communications AG di Zurigo, mette in palio 4 biglietti (per un valore totale di oltre CHF 200.–) per assistere allo spettacolo di Pippo Pollina. Per vincere le entrate all’evento basta inviare un messaggio di posta elettronica all’indirizzo ticino7@cdt.ch (oggetto: “Pippo Pollina”), indicando il vostro nome e cognome, indirizzo postale completo e un numero di telefono (fisso o cellulare) per contattarvi. Messaggi inviati ma privi o incompleti dei dati personali non verranno presi in considerazione. I primi due lettori che invieranno la mail riceveranno 2 biglietti omaggio, che saranno da ritirare direttamente alla cassa dell’Hallenstadion la sera del concerto (apertura delle casse ore 19, inizio del concerto alle ore 20). Il biglietti-premio non includono la trasferta a Zurigo. Per ulteriori informazioni sulla biografia di Pollina e sulle ultime notizie del suo tour rimandiamo ai portali pippopollina.com e musical.ch. Ricordiamo che i biglietti del concerto di Zurigo sono naturalmente in prevendita sin d’ora attraverso il servizio Ticketcorner, telefono 0900 800 800 (CHF 1.19/min.) oppure ticketcorner.ch. Buona lettura, la Redazione


La felicità è rossocrociata? Svizzera. Secondo il “World Happiness Report 2015” il nostro paese risulta essere il più gaudio di tutti, quello in cui i cittadini vivono una condizione di maggiore felicità e benessere. Ma è realmente così? E come si può misurare la felicità? di Marco Jeitziner

L

Agorà 4

o sapevate che siamo invidiati da tutto il mondo? No, non per il nostro cioccolato o per Roger Federer, ma perché siamo il popolo più gaio sulla Terra! A sostenerlo è il recente “World Happiness Report 2015” (WHR), il “rapporto mondiale sulla felicità” realizzato da tre studiosi di fama quali John F. Helliwell, Richard Layard e Jeffrey D. Sachs1. Saremmo dunque i più beati, gaudi e allegri di tutti? Non so voi, ma personalmente ciò mi sorprende. Cosa vuol dire? E come si misura questa contentezza? Com’è possibile che la Svizzera, paese certo virtuoso per tanti aspetti, sia il più lieto di tutti nonostante ne presenti altri molto più discutibili, come il suo profondo liberalismo, la sua cultura basata sul lavoro e sul risparmio, la divisione linguistica e culturale, la proverbiale riservatezza e diffidenza, il suo crescente populismo, la grande disparità della ricchezza, la difficile integrazione degli stranieri, il forte tasso di suicidi, un consumo di alcol superiore a belgi e olandesi2, un crescente utilizzo di farmaci antidepressivi3? Cosa afferma lo studio Il WHR sostiene che rispetto al 2013 “si registra un cambiamento del ranking, con la Svizzera ora al primo posto, seguita a ruota da Islanda, Danimarca e Norvegia. Tutti e quattro questi paesi hanno ottenuto un punteggio medio compreso tra 7,5 e 7,6, senza differenze statisticamente significative”. Il punteggio è il risultato di una media tra sei variabili: “Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite, anni di aspettativa di vita in buona salute, supporto sociale, fiducia, percezione individuale riguardo la libertà di poter compiere scelte di vita e generosità. I tre fattori più importanti sono le differenze riguardanti il supporto sociale, i redditi e l’aspettativa di vita in buona salute”. In questi tempi di crisi e di austerità diffusa, il WHR giustamente chiarisce che “la differenza tra le esperienze nazionali sembra essere ascrivibile a una combinazione tra una diversa esposizione alla crisi economica e a differenze nella qualità di governance, fiducia e supporto sociale (sono i tre fattori del capitale sociale, ndr.). I paesi con capitale sociale di qualità sufficientemente elevata sembrerebbero capaci di sostenere o addirittura migliorare il benessere soggettivo a fronte di disastri naturali o impatti economici, in quanto gli shock costituiscono un’opportunità per scoprire, utilizzare e costruire sui rapporti comunitari. In altri casi, la crisi economica ha provocato cali di felicità maggiori di quanto si potrebbe spiegare con diminuzioni del reddito e aumenti del tasso di disoccupazione”.

Alcune osservazioni Il nostro paese non ha subito i gravi contraccolpi dalla crisi come avvenuto altrove: possiamo darne atto alla governance politico-burocratica, alla (sempre meno) acquisita cultura economica del rifugio e del segreto. Quindi, secondo lo studio, avremmo rafforzato i rapporti di comunità tra cittadini. Sarà vero? Merito del cosiddetto “capitale sociale”? Lo studio pone, per esempio, l’Italia al 50esimo posto, tanto che il giornalista Luca Aterini osserva4: “Cosa cambia in così pochi chilometri, da Roma a Lugano? Secondo i parametri messi in fila dall’ONU, le maggiori differenze tra Italia e Svizzera non sembrano risiedere nel PIL procapite, nel supporto sociale o nella durata degli anni vissuti in salute. Piuttosto, la differenza la fanno la sensazione di avere o meno la libertà di compiere le proprie scelte di vita, la generosità percepita, la diffusione della corruzione”. Che questi ultimi tre aspetti possano aver spostato l’ago della bilancia della felicità di noi svizzeri è discutibile. Sulla carta godiamo di una totale libertà individuale, sostenuta da un elevato potere economico, ma in pratica davvero facciamo solo quello che ci piace, refrattari al rischio e all’incertezza come siamo? Quanti sfuggono alla rigidità della società svizzera? La generosità: percepirla non significa attuarla. La corruzione: non è che forse le nostre leggi non sono severe come altrove5? Il criterio della fiducia è da ascrivere alle “relazioni sociali positive” caratterizzate anche da “benevolenza e condivisione di identità sociali”. Se è possibile che siamo molto bonari e indulgenti, ma anche patriottici e fieri della nostra identità, i nostri rapporti con amici, parenti, vicini, sconosciuti ecc, sono così idilliaci? I tre indicatori principali Passiamo in rassegna i tre indicatori principali della felicità (“supporto sociale, i redditi e l’aspettativa di vita in buona salute”). Il primo, cioè l’aiuto di persone (parenti, amici) sulle quali possiamo contare in caso di necessità, ma anche di enti e comunità, è senza dubbio sviluppato e capillare. L’indice dei redditi ci porta tra i primi al mondo, ma si tratta di una media: terrà conto anche dei salari più bassi, illegali o di dumping sempre più diffusi? Non è in realtà la conseguenza del costo della vita più oneroso al mondo6, che sappiamo a volte costruito a tavolino tramite accordi cartellari, importazioni parallele negate, sovvenzioni interne ecc.? Che cosa avrebbero da dire in merito i cantoni coi salari più bassi, cioè Ticino, Giura e Vallese7? I nostri anziani infine


si denunciava12 il “crescente consumo di farmaci nella popolazione svizzera”, tra cui gli antidepressivi, soprattutto nei cantoni latini come il Ticino e da parte delle donne. Se ciò è dovuto alla forte presenza di anziani e di donne, allora come si concilia con la nostra salutare senilità?

Immagine tratta da montagnaestate.com

sarebbero i più arzilli del mondo? Una recente inchiesta federale8 afferma che la metà di loro gode di un importante supporto sociale (il che conferma il criterio già citato), ma due su dieci sono limitati nelle attività quotidiane (problemi di locomozione, vista, udito), il 3% non riesce a lavarsi o vestirsi da solo, la metà soffre di malattie croniche, psichiche o è vicino alla depressione. Tutti quei nonni nelle case anziani contribuirebbero alla nostra felicità? Non è che, se si muore di meno e si rimane più sani, più semplicemente lo dobbiamo ai progressi della medicina e dei farmaci di cui la Svizzera è notoriamente un grande laboratorio? Tra suicidi e farmaci Siamo un paese con un forte tasso di suicidi. Stando ai dati ufficiali9, questo poco invidiabile dato è migliorato rispetto all’ecatombe degli anni settanta, ma non più di tanto: il tasso è diminuito “sensibilmente” dagli anni ottanta e si è “stabilizzato” nel primo decennio del 2000, arrivando agli odierni 11 casi circa per ogni 100mila abitanti. Se ora rientriamo nella media europea10, allora perché siamo più felici di tutti? Lo studio WHR parla di questo problema solo in relazione all’età e al sesso nei vari paesi: possibile che non incida sul risultato finale? È sensato affermare che una società si possa definire sana e ottimista se la sua componente giovanile lo è altrettanto. Ma una crescente fetta di questa non sta affatto bene stando ai dati pubblicati da Pro Juventute e da Telefono amico11. “In media nel 2014 almeno due ragazze o ragazzi al giorno si sono rivolti al 147 con intenzioni di suicidio. Ben 56 volte è stato necessario attivare l’intervento per crisi tramite la polizia, l’ambulanza o il servizio psichiatrico” si legge. Sono in aumento i casi di “ansia, autolesionismo come tagliarsi o disturbi psichici”. Un altro dubbio sullo studio WHR riguarda il nostro crescente uso di psicofarmaci: già nel 2009

Pensare a sé, con gli altri È indubbia la scientificità del rapporto WHR, ma non può dirci molto di qualitativo. Riguardo alle problematiche giovanili abbiamo interpellato il responsabile di Pro Juventute Svizzera italiana, Ilario Lodi, che commenta: “Credo che al di là del concetto di felicità (misurabile o meno), abitiamo un paese dove si può vivere davvero bene. Tutto questo, però, per ciò che concerne i bambini e i giovani, si accompagna all’emergere di differenti bisogni educativi. Per esempio: il modo di percepire la realtà, di descriverla o di vivere le relazioni (con le persone o con le cose) si è evoluto. Detto altrimenti: i giovani vivono in modo diverso e danno un senso differente alla loro gioventù rispetto a quanto non fosse per coloro che oggi sono adulti, e che quindi hanno vissuto la loro giovinezza in un mondo profondamente diverso da quello nel quale stiamo vivendo oggi. Ciò comporta una sorta di «maggiore e diversa distanza» tra gli adulti e i giovani i quali si ritrovano, più di quanto si creda, soli davanti a importanti esperienze legate alla loro crescita”. E di questi studi che ne pensa Lodi? “Più che per i loro contenuti essi sono a mio avviso importanti in quanto aprono una discussione, consentono il confronto e animano il dibattito attorno a temi ritenuti – forse anche a ragione – difficilmente «misurabili»” osserva. “Esso mi suggerisce (se ancora ce ne fosse bisogno) che la felicità di un giovane non è quella di un adulto, diversa nella qualità, nell’intensità, nella forma. E allora mi chiedo: in quale misura consideriamo, noi adulti, tutti questi aspetti, queste differenze, queste singolarità? Non è facile azzardare una risposta... Certo è, però, che prima di accingervisi bisogna fare ordine in casa propria e ritornare a pensare, ognuno per sé e ognuno con gli altri, alcuni aspetti del proprio rapporto con la vita, orientata – si suppone – alla ricerca della felicità, appunto: per sé e per gli altri”. note 1 http://worldhappiness.report/ 2 Rapporto OMS Europa (2013). 3 “Il tasso di suicidi è in calo, ma resta allarmante” (swissinfo.ch, 10.9.2013). 4 www.greenreport.it (24.4.2015). 5 “La Svizzera dà rifugio a corrotti e corruttori”? (swissinfo.ch, 4.6.2015). 6 Ticinonews (19.1.2015). 7 ATS (5.12.2014). 8 Da “Indagine sulla salute in Svizzera” (UFS, 2012). 9 Ufficio federale di statistica (UFS). 10 Ibid. 2 11 Pro Juventute (29.4. 2015). 12 Comunicato stampa UFS (19.2.2009).

Agorà 5


Obiettivo copertina Il successo della rubrica del “Blick” dedicata alle aspiranti pin-up nostrane ha portato a un incremento dell’offerta in denaro per le partecipanti. E qualcuno se n’è accorto… di Marco Jeitziner

“Il vostro articolo mi ha incuriosita. Appena finito di leg-

Società 6

gerlo mi sono precipitata verso il computer con lo scopo di vedere le foto delle ragazze del Blick. Me le immaginavo poverette, sforzandosi per imitare la Jolie o, che ne so, Shakira! Con tanto di bocche socchiuse e sguardi persi nel nulla. Un mare di facciacce, insomma! Mi sono invece molto sorpresa nel vedere le foto sì molto osé (non mi aspettavo tanto), però di un’innocenza quasi infantile. Ma avete osservato le espressioni delle ragazze? Pensate ci sia in loro qualche minaccia alla riuscita del femminismo? Questo è puro narcisismo”. Così ha reagito una nostra lettrice a un articolo che scrissi più o meno tre anni fa. Argomento: le “ragazze della prima pagina” del Blick, il maggiore (nel senso di più letto...) quotidiano elvetico1. Torno a parlarne per due motivi: il giornale ha alzato la posta (500 franchi) destinata alle partecipanti e tra una Tamara di Oberbüren e una Larissa di Kollbrunn, hanno partecipato anche delle ragazze italiane, dal Veneto, dall’Emilia Romagna, addirittura dalla Puglia2! Non so voi, ma credo che, al di là di ogni moralismo, ci sia motivo di preoccuparsi, altro che innocenza infantile...

arrivano persino dall’Italia. Inoltre il Blick si trova in ogni edicola e in moltissimi esercizi pubblici del Ticino. Quindi quali sono le vere motivazioni? La seconda fu più pragmatica: le donne ticinesi sarebbero più timide e riservate, e per loro quegli scatti conterrebbero qualcosa di “osceno”.

Un’immagine di crisi Il fatto che ora compaiano anche donne italiane, e poiché non mi risulta che le ticinesi abbiano preso d’assalto lo scatto fotografico osé, dovrebbe interrogarci nei due sensi. Le parole della nostra lettrice confermano innanzitutto la tesi della collega del Blick, e cioè che le ticinesi giudicherebbero le foto troppo audaci, ardite. Che ne pensano le lettrici? Sembra quanto meno che di affinità culturali con l’Italia, sull’esibizione del corpo della donna attraverso i media, ve ne siano ben poche. Ma le pin-up italiane, risiedano esse nel loro paese o siano novelle abitanti in Svizzera, quanto sono figlie di una società, quella italica, tra le meno virtuose in Europa in fatto di dignità della donna e di rispetto del corpo femminile? Quanto sono magari precarie o disperate da sorbirsi parecchi chilometri di viaggio pur di spogliarsi e incassare un assegno di 500 franchi? Il senso del pudore Heute bin ich ein Star (da wordpress.com) E lo avrebbero mai fatto su un quotiLa “dignitosissima” rubrica voyeuristica ed esibizionista “Heute bin ich ein Star” coinvolge in diano nazionale italiano e perché? Quante tra loro non ci maggioranza donne svizzere tra i 20 e i 35 anni. Scelgono vedono nulla di male e per quali ragioni? Parallelamente, di farsi fotografare nude o in tenuta succinta, mai in modo se tra le donne svizzere non esiste uno ma diversi sensi del volgare, acconciate e truccate a mo’ di riviste di “gossip”. Il pudore rispetto alla nudità, allora in Ticino quanto è forte? premio? 500 franchi in contanti. Nel 2012 mi chiesi come Se coloro che non condividono – per principio – la mercificamai nessuna donna dalla Svizzera italiana si fosse prestata zione del corpo femminile a cui invece si prestano centinaia all’operazione. Mi sbagliavo, due l’avevano fatto, ma se di altre donne svizzere, ma tacciono e non denunciano, non consideriamo le migliaia di altre donne ticinesi, il risultato contribuiscono forse anche loro a perpetuare questo modelera molto esiguo. La trentenne di Lugano o la ventenne di lo dominante tra le nuove generazioni? Se la riservatezza, Lodrino è soltanto più timida o è più integra di una coeta- il provincialismo, la mentalità piuttosto maschilista della nea argoviese o vodese? Cercai di fornire qualche chiave di società ticinese possono essere, oltre alla vergogna, altre lettura chiedendo l’opinione della responsabile della rubrica ragioni del flop della rubrica tra le mie conterranee, in che e di una collega corrispondente del Blick in Ticino. La prima misura dovremmo andarne fieri? non mi convinse affatto: il quotidiano sarebbe poco letto in Ticino e la sessione fotografica comporta un lungo viaggio note fino a Zurigo, mi disse. In realtà, alcune protagoniste prove- 1 “La ragazza non sfonda” (Ticinosette n. 17/2012). nivano da ben più lontano (per esempio, da Ginevra) e oggi 2 Si veda il Blick online del 1.4.2015 e del 14.4.2015.


Cucina All’acqua di mare a cura della Redazione

Mangiare senza condimenti certo fa bene alla linea e alla salute, ma il palato potrebbe avere qualcosa da ridire. Una legge che vale sia per i cibi crudi (insalate e frutta) sia per quelli cotti, come verdure e carni, magari preparate alla griglia. Esistono svariate tecniche per rendere più gradevole il cibo cotto alla griglia: aromatizzarlo prima della cottura con una marinata, aggiungere condimenti prima o nel corso della cottura, oppure accompagnarlo con salse o altri composti che ne completino ed esaltino il sapore. Il termine marinatura si riferisce all’acqua di mare (forse il primo composto impiegato per realizzare la preparazione) e serve a insaporire e ammorbidire gli alimenti e, per marinare le carni da cuocere alla griglia, si utilizzano sempre almeno tre prodotti: a) un acido: per apportare sapore e ammorbidire la carne mediante una parziale denaturazione delle proteine. Il succo di limone è l’acido più forte ma si possono utilizzare anche diversi tipi di aceto, altri agrumi (succo di pompelmo o di arancia, per alcuni pesci) e lo yogurt naturale; b) un grasso: per ammorbidire e inumidire i tessuti, bilanciando la leggera perdita di liquidi dovuta all’azione dell’acido. Alle nostre latitudini si utilizza l’olio extravergine di oliva,

ma si può anche utilizzare l’olio di sesamo, assai saporito; c) uno o più aromi: per infondere sapori caratteristici alla preparazione. Le spezie contengono oli essenziali che si diffondono mediante la sostanza grassa. Tra le erbe aromatiche è preferibile utilizzare quelle dal sapore deciso (come timo, alloro, rosmarino e salvia), poiché la cottura alla griglia tende ad attenuare i sapori. Gli aromi dolci, come il miele o lo zucchero di canna, tendono invece a neutralizzare la dominante acida e a rendere il cibo più croccante e dorato. Ma come si procede? In una marinata classica per carni bianche, pesce e crostacei bisogna mescolare tutti gli ingredienti (2 cucchiai di succo di limone, 6 di olio d’oliva, pepe macinato, aglio, prezzemolo tritati, e poi a scelta timo o finocchio) e versare una piccola parte in un contenitore (vetro, porcellana o acciaio inox; evitare contenitori di altri metalli e la plastica). Poi adagiare nel contenitore l’alimento già pronto per la cottura e versare sopra altra marinata (1-2 cucchiai a porzione). Coprire il tutto con pellicola per alimenti e con un piatto, in modo da proteggere il cibo dall’aria e dalla luce, e lasciar marinare a temperatura ambiente. Buona griglia... e buon appetito!

Così la verdura piace anche agli amanti della carne. Il nuovo Griller con spinaci e mozzarella.

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Vittime seriali

Serie cult degli anni novanta, “Twin Peaks” non solo conserva a oltre due decenni dalla sua uscita tutto il suo fascino ma miete ancora vittime…

di Nicola deMarchi

Bastavano

“pochi stocchi d’erba spada”, a un poeta come Montale, per far rivivere l’infanzia trascorsa nella riviera ligure. Due semplici note di un Fender Rhodes e la vista di un cartello di benvenuto immerso in un grigiore nebbioso, sarebbero sufficienti a un ex-adolescente degli anni novanta, per rievocare un telefilm e con lui tutta un’epoca di turbamenti. Sto parlando della sigla iniziale di Twin Peaks, serie TV culto diretta da David Lynch e Mark Frost, andata in onda sui teleschermi di mezzo mondo per due sole stagioni tra il 1990 e il ’91. Sto pensando chiaramente a quel pugno di note firmate Angelo Badalamenti, la cui atmosfera ancora ci proietta in quel torbido mondo di colpe e sospetti, di doppiezza vestita a normalità, con quella domanda-tormentone ad assillarci: “Chi ha (poi) ucciso Laura Palmer?”.

Media 8

Nessuna pace Già, poiché a più di vent’anni di distanza, sotto la patina di normalità della piccola comunità di Twin Peaks, immaginario paesino montano situato tra Canada e Stati Uniti dove si ambienta l’azione, sembrano continuare ad agire quelle pulsioni ben meno pacifiche che già portarono l’indagine dell’agente FBI Dale Cooper, alle soglie di un mondo soprannaturale e in contatto con inquietanti personaggi: una divinatrice con un ceppo sempre in mano, un boscaiolo esperto di scacchi, nani e figure malvagie. Il tutto in quell’improbabile mix di soap opera travestita in indagine morale che sfociò dapprima nel poliziesco e poi nelle atmosfere grottesche e surreali dell’horror. Un ingarbugliarsi della trama e dello stile che all’epoca finì per convincere i produttori (canale ABC), a limitare l’esperienza a due sole stagioni. A conferma però del fatto che Twin Peaks sembra oggi tutto tranne che una comunità acquietata dalla soluzione, parziale, dei suoi misteri (il padre stesso avrebbe ucciso sua figlia Laura Palmer per soddisfare BOB, un imprecisato essere demoniaco), a ventiquattro anni di distanza, il canale Showtime sostiene di voler riprendere la saga e le indagini là dov’erano state interrotte a partire dal 2016. Vale a dire più o meno quando Pete Martell, il tranquillo taglialegna in pensione che nella prima puntata aveva ritrovato il corpo di Laura Palmer (“She’s dead: wrapped in plastic!” furono le altre mitiche parole allora pronunciate), apre, in compagnia dello sceriffo Truman, la cassetta di sicurezza di Thomas Eckard (protagonista di uno degli intrighi secondari), per trovarvi… una bomba appena innescata! “Si saprà forse nella prossima puntata”, ci eravamo detti allora, temendo però, più che i tagli della ABC, le barocche capacità di Lynch e Frost di evitare le soluzioni più semplici.

Un personaggio, un destino In tal senso non è forse un caso che a ventiquattro e passa anni di distanza, si decida di dare un seguito al caso Palmer. Infatti, parecchie cose sono cambiate da allora e scommetto che neanche a livello di produzione sarà facile riprendere il filo del discorso là dov’era stato interrotto. Tanto più che i volti di Twin Peaks hanno da allora avuto destini tanto diversi che non sarà un gioco da ragazzi rimetterli insieme. Cosi se alcuni interpreti si sono logicamente fatti strada nel mondo della TV (vedi Sheryl Lee, il volto di Laura Palmer), e altri, più anziani, hanno continuato la loro strada mai interrotta (Ray Wise, quel Leland Palmer, padre e assassino di Laura, i cui occhi di ghiaccio continuano a inquietare serie e film vari), non pochi sono tornati a quello che facevano prima della serie, estranei tanto agli aspetti positivi della notorietà quanto a quelli negativi (typecasting). Altri sono infine più semplicemente già finiti a guardare le carote dal basso. Come il diabolico BOB (Frank Silva all’anagrafe), in verità semplice costumista quando Lynch, durante un cambio di scena, intravvide il suo volto in uno specchio e decise di farlo comparire nella serie nelle vesti di una sorta di demone che rende visita alla coscienza divisa di Laura e Leland Palmer. Tra i personaggi cui bisognerà poi certamente (e difficilmente) fare a meno, vi è quello di Pete Martel. Già perché se per caso vi chiedete che fine ha fatto Jack Nance, il volto del pacifico taglialegna che ritrova Laura Palmer, e precedentemente già del mitico Eraserhead (primo film di Lynch), preparatevi a una storia non meno conturbante e violenta da quelle immaginate per la serie in oggetto. Una storia dove il typecasting (sindrome da attaccamento eccessivo a un personaggio e al suo mondo), se c’è, sembra agire in modo più che drammatico. Un matrimonio tormentato Era il 1977 quando Jack Nance, già figura atipica della scena teatrale californiana conosce un giovane David Lynch. I due si piacciono e Jack diventa, da lì a poco, il protagonista allucinato di Eraserhead. A dire la verità ci vollero prima cinque lunghi anni di lavoro per portare a termine il film, e a ogni giorno di riprese, cinque ore di trucco per fare della zazzera di Jack quel ciuffo ultra-rockabilli che gli valse all’epoca l’epiteto di “Elvis of alienation”. Fu più o meno a quest’epoca che Jack si separò dalla prima moglie Catherine E. Coulson (guarda caso futura “donna dal ceppo” di Twin Peaks). In compenso solo qualche anno e qualche cura di disintossicazione da alcool più tardi, più precisamente durante le riprese della serie, Jack conosce e si innamora di


Media 9

Il volto di Jack Nance sulla locandina del classico Eraserhead di David Lynch

Kelly Jean Van Dyke, attrice porno nota sotto lo pseudonimo di Nancee Kelly, nonché rispettivamente figlia e nipote degli illustri fratelli della TV, Jerry e Dick van Dyke (per intenderci, Bert, lo spazzacamino di Mary Poppins). Cosi, poco dopo, durante le riprese di Twin Peaks, l’atipico attore e la nipote “scomunicata”, si sposano. Malgrado tutto, il matrimonio non sembra però minimamente rasserenare le pulsioni di Kelly, che paiono sempre divise tra voglia di redenzione e tentazione del male (gira tra l’altro tre film per adulti in pochi mesi). Manco a dirlo, il morale di Jack ne risente e pochi mesi dopo, quando si trova in Oregon per girare il film Meatballs 4, decide di chiamarla per porre termine al loro matrimonio. Durante la tormentata telefonata però, distrutta dalla decisione di Jack, Kelly minaccia di uccidersi se lui avesse appeso il telefono. Ma ecco che, evento imprevedibile, sull’Oregon scoppia un violento temporale. Ancora pochi minuti e un fulmine fa saltare le linee telefoniche della zona. Passeranno poi altri 45 interminabili minuti prima che Jack riesca a contattare uno sceriffo di South Pasadena dove i due vivevano. Quando lo sceriffo allarmato giunge a casa Nance, è troppo tardi: Nancee Kelly Van Dyke si era già impiccata. A tristezza e cordoglio sinceri, seguiranno allora anche dichiarazioni di dubbio gusto (“Mia figlia si drogava fin dall’età di 13 anni”

dichiarerà il padre Jerry, già cabarettista di night club), e altri dettagli scabrosi sulla vita della donna che non possono non far pensare a quella di una Laura Palmer in carne e ossa, agitata tra voglia di redimersi e un irresistibile richiamo al male. A tal proposito, Jack, sarà manco a dirlo, più riservato. Tragico finale Passeranno cosi quattro anni e qualche ruolo, e un bel giorno, anche Jack viene ritrovato morto nella sua casa di Pasadena. Secondo l’autopsia, per probabile emorragia cranica. Ipotesi corroborata dal fatto che due colleghi con cui lavorava a una sceneggiatura l’avevano visto contuso al volto. Inoltre lo stesso Jack si era lamentato per il mal di testa causato, a sua detta, da una breve e meritata rissa con due avventori fuori da un locale. Malgrado le intense ricerche che seguirono per chiarire il caso però, nessun avventore violento fu mai ritrovato o ripreso dalle telecamere di sorveglianza. Forse anche Jack e Kelly erano stati ossessionati dagli stessi demoni di Laura Palmer? Questo probabilmente nemmeno un agente come Dale Cooper lo potrebbe mai scoprire. A meno che la risposta a questo mistero non la si trovi, come le altre, ben nascosta nelle innumerevoli e misteriose pieghe degli episodi passati o, se mai la si vedrà, di una futura serie TV.


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Vitae 10

ono nato a Ginevra ma mi sono trasferito presto in Ticino, a Lugano, dove sono cresciuto e ho fatto le scuole dell’obbligo. Il mio sogno da ragazzo era quello di fare disegno industriale per diventare designer di automobili e per questo motivo mi sono iscritto al Politecnico di Milano. Purtroppo c’era il numero chiuso, così ho deciso di provare con architettura che mi ha subito conquistato. Ci sono rimasto un anno e mezzo ma non c’era l’atmosfera giusta per me, poca creatività e pochi stimoli e non ci si dedicava abbastanza alla progettazione. Allora ho deciso di trasferirmi all’Accademia di architettura di Mendrisio, dove mi sono trovato meglio, il clima e gli stimoli erano tutta un’altra cosa e nel 2006 mi sono laureato. Arrivato a questo punto, però non avevo le idee ben chiare su cosa combinare. Certo, l’obiettivo era lavorare ma sentivo anche l’esigenza di andare via, di fare esperienze diverse. Allora ho deciso di trascorrere sei mesi in Arizona, ad Arcosanti, lavorando a un progetto urbano ideato dall’architetto italiano Paolo Soleri e che si sta realizzando da un cinquantennio in pieno deserto. L’idea è quella di costruire città sotto forma di grandi edifici ad alta densità abitativa in cui vivono centinaia di persone con criteri di architettura sostenibile. È una piccola realtà autonoma, un grande cantiere dove si svolgono lavori agricoli, di costruzione, manutenzione. Mi davano vitto e alloggio in cambio di lavoro e naturalmente, come architetto, mi sono occupato delle costruzioni... nel senso letterale che “tiravo su” muri. Mi piaceva fare il muratore, avevo voglia di lavoro fisico, di mettere in gioco il corpo e non la mente. Non avevo voglia di rinchiudermi in un ufficio. In quel periodo però non si stava costruendo molto e quindi un po’ mi annoiavo. Fortunatamente ho cominciato a lavorare nell’officina del fabbro della città: da sempre ero affascinato dall’idea di lavorare i metalli, di saldarli e allora ho passato quattro mesi imparando il mestiere. Lavorare il ferro mi ha conquistato sempre di più e ho avuto la fortuna di potermi mettere alla prova, una volta tornato a casa. Mi hanno infatti chiesto di realizzare una scala in metallo con un design ricercato. Mi affascinava il fatto di poter essere

allo stesso tempo architetto e artigiano, occuparmi della fase progettuale, dei dettagli e delle idee e anche del lato esecutivo. Così sono diventato “archifabbro”, un’attività che alterno a quella di architetto puro. In tutte e due i miei mestieri ho ritrovato la possibilità di gestire e coordinare più persone su un unico progetto e questo lavoro a più mani e più teste mi piace. Amo, infatti, lavorare in team, far parte di un gruppo di lavoro come quando ho realizzato, in collaborazione con un’amica, un tavolo di metallo con piano in ceramica che pesava 250 chili! Oppure un’altra esperienza di gruppo che mi entusiasma è fare l’assistente durante un workshop di architettura che si tiene ogni anno in agosto a Scudellate in Valle di Muggio. Un’idea folle nata da un gruppo di amici per cui ogni anno più di venti studenti del California Polytechnic Institute viaggiano per un mese in Europa e per un altro mese sviluppano un progetto. Progettare/lavorare con loro è una delle cose che più mi piace in assoluto. Nella vita e anche nel lavoro, ho seguito sempre il mio cuore, le emozioni e i sentimenti, anche sbagliando a volte. Non navigo nell’oro ma ho la possibilità di realizzare progetti che mi rendono felice e di conoscere persone indimenticabili. Per esempio, recentemente ho realizzato un lavoro entusiasmante, su un disegno di un amico architetto che doveva creare un crocefisso per una tomba. È stata una esperienza di grande interazione, ci ho messo una cura e una pazienza esorbitanti facendo qualcosa come 500 buchi col trapano a colonna! Ho trascorso l’ultima Pasqua a lavorare nel mio spazio presso l’officina di fabbro di Dionigi Plebani, a Stabio, persona straordinaria che mi ha accolto quando sono tornato dagli Stati Uniti. Un artigiano vecchio stampo che mi ospita e che mi dà anche una mano nel lavoro quando necessario. Insomma si lavora tra noi, siamo un piccolo team, così a Pasqua io ero lì a lavorare mentre Dionigi ha preparato il pranzo e abbiamo festeggiato tra amici. Lavorare e vivere così è quello che amo.

JEFFEry MEyLAN

Architetto e fabbro, ama il lavoro di équipe, la condivisione di idee e compiti, e si sente felice quando può unire alla progettazione il lavoro manuale

testimonianza raccolta da Roberto Roveda fotografia ©Flavia Leuenberger


Rampone & Cazzani

La fabbRiCa dei suoni

di Fabio Martini; fotografie ©Carlo Alberto Rusca

A poca distanza dal Ticino, in un piccolo paese sulla sommità di un colle in posizione panoramica sopra il lago d’Orta, opera un’azienda artigianale a conduzione familiare che, rilanciando un marchio storico della produzione di sassofoni, ha saputo affermarsi a livello internazionale con strumenti professionali di alta gamma. Una storia di eccellenza imprenditoriale e una sfida all’omologazione che il mondo sempre più globalizzato sta imponendo anche alla produzione degli strumenti musicali


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uella del sassofono è una vicenda complessa e affascinante che ha inizio il 22 giugno del 1846, quando il belga Adolphe Sax, musicista, costruttore di strumenti e geniale inventore, ne deposita formale brevetto. A partire da quel momento, grazie alla ricchezza, alla versatilità della voce e ai diversi tagli capaci di coprire l’intera estensione cromatica, il sassofono si afferma nei più disparati generi musicali: dal repertorio bandistico alla musica classica, dal jazz – ambito in cui sarà destinato a primeggiare –, al rhythm&blues e al soul, dal nostrano liscio allo ska e via dicendo. Una storia, quella del sassofono, che si avvia a doppiare la boa dei due secoli ma che appare ancora in netta evoluzione. I primi esemplari costruiti in Italia furono realizzati dalla ditta Rampone a Quarna Sotto, paese d’origine dei fondatori. L’azienda divenne successivamente Rampone & Cazzani con sede legale a Milano per ragioni di maggiore visibilità e opportunità commerciale, anche se la gran parte della produzione rimase nel piccolo borgo montano sopra il lago d’Orta. Un’azienda che per oltre un secolo, almeno fino alla metà degli anni cinquanta, produrrà strumenti di elevata qualità, spesso collaborando con prestigiosi marchi, per esempio l’americana Conn, e ottenendo una considerevole notorietà internazionale. Con l’acquisizione della proprietà nel 1957 da parte di Fernando Saltamerenda, la strategia produttiva muta radicalmente: abbandonati gli obiettivi legati alla qualità del prodotto ci si concentra soprattutto sui numeri e sulle quantità e dallo stabilimento della Rampone ogni mese escono migliaia e migliaia di sassofoni, flauti e clarinetti destinati a coprire le richieste provenienti da ogni angolo del mondo. Una scelta imprenditorialmente felice ma poco fortunata sotto il profilo della resa qualitativa degli strumenti. Con la fine degli anni ottanta e le prime produzioni provenienti dall’Estremo oriente e dal Sudamerica, la strategia di Saltamerenda comincia a vacillare. È allora che uno degli artigiani di punta dell’azienda, nonché al tempo sindaco di Quarna Sotto, Roberto Zolla, decide che la storia della Rampone & Cazzani non poteva e non doveva finire: c’era una tradizione di oltre un secolo da tutelare, il lavoro qualificato di molte persone, e soprattutto, c’era di mezzo la musica. Decide quindi, impegnando i suoi beni, di acquisire l’azienda con in mente un progetto preciso: restituire alla Rampone & Cazzani il suo prestigio, costruendo strumenti di alta gamma completamente realizzati a mano, esattamente come si faceva nel periodo d’oro della storia del sassofono. Desiderosi di saperne di più, ci siamo quindi avventurati lungo i tornanti che conducono a Quarna Sotto per incontrare Roberto Zolla e suo figlio Claudio, responsabile commerciale della società e sassofonista. Una scelta di passione e ricerca La Rampone & Cazzani si trova in posizione dominante, in cima al paese. Roberto e Claudio mi accolgono con simpatia e fra aneddoti, riflessioni e considerazioni tecniche sulle complessità costruttive dei sassofoni le ore passano piacevolmente. Chiedo a Roberto come sia giunto a prendere la decisione di acquisire l’azienda: “Lavoravo da moltissimi anni per la Rampone & Cazzani e fra l’altro da parte di mia

madre c’era un legame di parentela con i Rampone. A parte la grande passione per il mio lavoro e per questi strumenti e, a quanto pare, anche una certa vocazione imprenditoriale, a quel tempo, in quanto sindaco del paese, ero seriamente preoccupato per le sorti dell’azienda e ho cominciato a darmi da fare per capire se era possibile trovare un qualche possibile acquirente, una soluzione, una persona che avesse le capacità di portare avanti questa attività restituendo al marchio i fasti di un tempo. Si trattava di salvaguardare da un lato la storia della Rampone & Cazzani e dall’altro la tradizione produttiva e culturale del paese. Grazie anche ai consigli del dottor Alberto Alessi e al sostegno della sua omonima società leader nel design e nel casalingo firmato con la quale un tempo la Rampone collaborava


sopra: lavorazione del fusto di un sassofono soprano; in apertura: Roberto Zolla con un sassofono tenore della serie R1 Jazz “Two Voices”

per le incisioni e le argentature, ho deciso di iniziare su basi totalmente nuove: in sostanza, creare sassofoni interamente artigianali con caratteristiche timbriche e meccaniche uniche. Certo, c’era da fare i conti con un trentennio in cui la produzione Rampone & Cazzani si era concentrata di più sulla quantità che sulla qualità, ma avevamo le idee e le competenze per creare qualcosa di nuovo ispirandoci al contempo agli strumenti realizzati nel periodo d’oro della Rampone. Si trattava, in altre parole, di coniugare innovazione e tradizione muovendosi in totale controtendenza rispetto a quello che stava e sta ancora accadendo nella produzione dei sassofoni, prevalentemente basata a partire dagli anni settanta, anche per i marchi più prestigiosi, su procedimenti tecnici e industriali in grande scala.

Gli inizi sono stati duri, abbiamo incontrato difficoltà enormi ma i risultati pian piano sono arrivati”. Ma come era possibile, gli chiedo, far fronte alla grande avanzata orientale, che di fatto aveva invaso il mercato? La risposta di Roberto è netta: “Differenziandoci. Oggi esistono tutte le tecnologie per realizzare rapidamente i corpi dei sassofoni, e la produzione orientale offre un esempio lampante in tal senso, per esempio, grazie all’uso degli stampi aerodinamici. Ma sotto il profilo musicale è controproducente. Utilizzando quel tipo di sistema l’ottone viene scelto non in base alle sue qualità armoniche e timbriche ma alla sua capacità di reagire in modo uniforme alla gonfiatura. Il problema è che poi il musicista la differenza inevitabilmente l’avverte”.


In questi ultimi quindici anni la Rampone & Cazzani ha prodotto strumenti, come per esempio il sassofono R1 Jazz, che hanno riscosso un grande successo e che sono il frutto di una costante ricerca e sperimentazione in termini di materiali e tecniche costruttive. Un grosso impegno e anche un rischio… “Sicuramente” mi risponde Claudio. “È stato indispensabile confrontarci continuamente con musicisti professionisti, approfondendo gli aspetti legati alla fisica acustica del tubo sonoro che nel caso del sassofono ha una sezione conica. Solo così è stato possibile elaborare strumenti con un profilo unico e distintivo. Per esempio, Jan Garbarek e Carlo Micheli utilizzano da tempo i nostri sassofoni e come loro molti altri solisti e improvvisatori di fama internazionale che sono per noi fonte costante di idee e suggerimenti. L’azienda è poi diventata un punto di riferimento per professionisti e appassionati: organizziamo clinics e workshop con i migliori solisti di jazz al mondo, musicisti che non necessariamente suonano i nostri strumenti ma che sono aperti e disponibili a provarli e a discuterne. È davvero una bella situazione”. Strumenti unici Due delle caratteristiche specifiche dei sassofoni Rampone & Cazzani sono da un lato il diametro ampio del canneggio e dall’altro la possibilità di creare modelli realizzati con lastre di metalli diversi, dal classico ottone all’argento, dal rame sopra: un artigiano al banco di lavoro; in basso: fusti di sassofono prima e dopo la fase di estrusione dei fori


Particolare della meccanica di un sassofono Rampone & Cazzani

all’alpaca e al bronzo, metalli che vengono scelti non in base alla facilità di lavorazione ma alle loro qualità in termini di risposta sonora. “Riguardo al canneggio” mi spiega Roberto, “non abbiamo fatto altro che ispirarci a quello che faceva negli anni trenta e quaranta la Rampone. Ho sempre sentito dire dai musicisti che dal canneggio dei vecchi Rampone si riusciva a ottenere una maggiore espressività, un suono più scuro e profondo, una maggiore gamma di colori. Abbiamo cercato di sviluppare quella tradizione, migliorandola il più possibile, sia sul piano meccanico sia dei materiali e dell’acustica. Il canneggio largo permette una palette di armonici molto più ampia soprattutto nella zona medio-grave dello strumento. Ma l’idea è stata quella di raccogliere e migliorare una tradizione già esistente, già viva. Anche il fatto di compiere moltissima ricerca, adottando materiali diversi, dall’ottone, al rame, all’argento, è una nostra specificità… ci sono studiosi che affermano che il materiale nella fisica acustica del sassofono è irrilevante. Ma già per un sassofonista di medio livello il passaggio da uno strumento in rame a uno in argento è fortemente percepibile. Il nostro modello di punta, il «Two Voices», per esempio, è un sassofono davvero speciale con una voce complessa e interessante, proprio perché realizzato utilizzando due diversi metalli, uno per il corpo e uno per la campana”. Un approccio artigianale Alle spalle di tutto quanto oggi la Rampone & Cazzani rappresenta c’è ovviamente uno staff eccezionale di persone, che comprende sia una decina di operatori impiegati direttamente nell’azienda sia altrettanti collaboratori esterni che lavorano nei loro laboratori. “Uno dei nostri investimenti più considerevoli” mi spiega Claudio, “è certamente quello di formare nuovo personale, di trovare persone disposte non solo a imparare

il mestiere – e ci vogliono anni – ma anche a appassionarsi a questo tipo di lavoro e a farlo bene. Paradossalmente, da questo punto di vista, la crisi economica ci ha aiutato. Fino a sei, sette anni fa i ragazzi arrivavano qui, stavano un anno o due e poi, magari, dopo aver investito sulla loro formazione, preferivano andare a lavorare in una grande azienda dove spesso finiscono a gestire una macchina. Per noi è talvolta più interessante identificare una persona di mezza età che ha magari già esperienza in campo metallurgico e le idee chiare in testa”. “Dalla nostra” continua Roberto, “c’è che ci stiamo muovendo in un mercato che è prevalentemente saturo di strumenti di produzione industriale. Restiamo di fatto un’azienda a conduzione familiare che coinvolge me, mia moglie e i due figli, un fatto abbastanza comune in Italia. Ma al di là di questo nucleo c’è un forte senso di appartenenza e la continua volontà di migliorare da parte di tutti”. Riprendo la strada di casa scendendo verso Omegna e il lago d’Orta. Ho conosciuto due persone speciali, intelligenti, preparate ed estremamente modeste (Claudio, pur orgoglioso del proprio lavoro e degli strumenti che presenta nelle fiere di tutto il mondo, non nega mai la qualità dei prodotti realizzati dai maggiori concorrenti) ma al contempo coraggiose e intraprendenti. Imprenditori, certo, ma soprattutto creatori, artisti…

Carlo Alberto Rusca Nato a Torino, classe 1989, vive a Locarno. Si diploma in regia e produzione al Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive di Lugano (CISA) nel 2013. Decide di continuare gli studi all’Università Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI), dove si laurea nel 2014. La sua produzione, audiovisiva e fotografica, è una ricerca sui concetti di identità e di realtà. carloalbertorusca.com.


Astrofood - Gemelli

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Astrofood

Leone

p. 40 – 41 di Patrizia Mezzanzanica ed Elvin Montesino

Vitale, sincero, generoso ed egocentrico il Leone a tavola è come nella vita: ha gusti regali, ama lo sfarzo e non bada a spese. Pensate ai cibi più costosi e sofisticati e state pur certi che saranno i suoi preferiti

ragosta, foie gras, tartufo (tassativamente bianco di Alba), caviale (meglio se Almas Beluga), zafferano (quello rosso iraniano) e oro... oro commestibile su ogni portata, dal riso al dolce, sono solo alcune delle passioni del Leone. Se deve scegliere la cucina giapponese, che non rientra affatto fra le sue preferite, l’opzione cadrà sul pesce palla, letale se mal cucinato ma decisamente il più ambito dagli appassionati, o sulla bistecca di manzo Wagyu, la carne più famosa del mondo per la sua qualità e per il suo elevato prezzo di mercato. In quanto segno di fuoco predilige il salato al dolce e ama i cibi ricchi, ben cotti, saporiti e le porzioni abbondanti. Le sue cene sono veri e propri banchetti i cui avanzi, opportunamente conservati in frigorifero, potrebbero bastare a sfamare una famiglia per un’intera settimana. Così come gradisce i cibi ricchi e prelibati, il Leone diffida di quelli poveri. Non è un cultore della polenta, del riso e della pasta integrale, dei fagioli e delle patate (a meno che non siano le Bonnotte dell’isola di Noirmoutier), o di qualsiasi ingrediente caro alla cucina contadina. Detesta le scatolette e diffida di tutti i surgelati ma le sue resistenze vanno ben oltre la mera questione del gusto. Il cibo, con tutto ciò che simboleggia e tutto ciò che ne consegue è, infatti, per questo segno accentratore e megalomane, soprattutto l’esibizione di uno status symbol. Pur mangiando con gusto, difficilmente il Leone eccede, a meno che non sia in compagnia. Allora, un po’ per esibizionismo e un po’ perché la sua natura goliardica e passionale lo porta a consumare parecchie energie, esagera, mangia e beve più di tutti e, se si trova in un ristorante, luogo che ama frequentare assiduamente, insiste per pagare il conto. Come cuoco non è sopraffino ma è un ottimo padrone di casa. Le sue apparecchiate sono a dir poco sontuose e i suoi menù così vari e ricercati da garantire a ogni invitato più possibilità di scelta. Fra cristalli, filigrane, porcellane d’epoca , broccati e chi più ne ha più ne metta, ognuno potrà scegliere il suo piatto preferito. E chi non ama il salmone norvegese si consolerà con i porcini trifolati. Come invitato è generoso e magnanimo. Poco importa come mangia o cosa mangia, si accerterà comunque che il cuoco riceva una buona dose di complimenti. E anche se non sono proprio sempre sinceri ma dettati, invece, dalla vanità di sapersi un ospite migliore, non per questo saranno meno graditi a chi li riceve. Tendenzialmente onnivoro, il Leone nutre una vera passione per la carne che ama accompagnare a vini corposi e d’annata. In realtà non è un grande intenditore ma gli piace l’idea di abbinare un vino diverso a ogni portata. Dotato di un fisico generalmente robusto e salubre, regge bene l’alcol che amministra comunque con saggezza, così come le pietanze ben condite. Insomma, mettetelo a capotavola, dategli un pubblico da intrattenere e del buon cibo da gustare e ne avrete fatto una persona felice.


Ticinosette per il Ticino

Qualche ricetta Ostriche allo champagne

Ingredienti per quattro persone 20 ostriche; 2 scalogni; 200 gr di burro salato; 1 dl di Champagne; farina di mais; pepe nero Aprire le ostriche e conservare l’acqua in una tazza filtrandola attraverso un colino a maglia fine. Tritare gli scalogni e soffriggerli con 30 gr di burro e un pizzico di pepe nero. Aggiungere una presa di farina di mais e versarvi l’acqua precedentemente filtrata insieme allo Champagne. Cuocere fino a che il liquido non sarà evaporato per circa la metà, quindi aggiungere il burro un po’ alla volta montando il composto con una frusta finché non assume l’aspetto di una crema. Scaldare leggermente le ostriche in forno e versare su ciascuna un cucchiaio di salsa.

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Spaghetti al caviale

Ingredienti per quattro persone 400 gr di tagliatelle; 100 gr di caviale; 100 gr di cipolla; 5 cl di vodka; 1 dl di panna fresca; 2 noci di burro; qualche foglia di basilico; sale e pepe Soffriggere la cipolla con il burro, fiammeggiare con la vodka, aggiungere la panna e fare evaporare il composto a fuoco lento, aggiustando sale e pepe. Cuocere le tagliatelle, scolarle e saltarle nel sugo, quindi amalgamare con il caviale. Guarnire con il basilico e servire.

Melone ripieno con gelato

1 melone; 150 gr di gelato alla crema; 2 etti di fragoline di bosco; mezzo bicchiere di Porto; 4 cucchiai di zucchero

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Tagliare il melone a metà in senso orizzontale, eliminare i semi e i filamenti, quindi prelevare la polpa interna con un cucchiaio. Frullare la polpa, aggiungere il Porto e le fragole, versare il composto nel melone e cospargerlo di zucchero. Mettere in ghiaccio per qualche ora, ricoprire con il gelato e servire.

Stupirà anche voi...


La domanda della settimana

Nella scelta di un partner, tenete conto anche degli aspetti legati alla sua condizione economica e allo status sociale di provenienza?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 6 agosto. I risultati appariranno sul numero 33 di Ticinosette.

Al quesito “Il fatto di avere degli animali domestici vi ha imposto o vi impone delle limitazioni nella scelta delle vacanze?” avete risposto:

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Astri ariete Novità nella vita pubblica e privata. Risoluzione di una situazione complessa. Sfruttate al massimo le vostre dote comunicative. Eros in forte crescita.

toro Cercate di mantenervi saldi senza cadere in un esasperato egocentrismo. Dispute all’interno della vita matrimoniale. Ricaricatevi su di una spiaggia.

gemelli Avanzamenti professionali per gli addetti al marketing, alle relazioni commerciali o impegnati in attività artistiche o intellettuali. Bene tra il 4 e il 5.

cancro State per rivoluzionare i vostri equilibri professionali. Agite più in sincronia con voi stessi. Eventi inaspettati e nuove relazioni tra il 4 e il 5 agosto.

leone Momento importante per la risoluzione di una antica vertenza. Date spazio alle vostre capacità di negoziazione. Vincenti tra il 4 e il 5 agosto.

vergine Consolidamento di una situazione professionale, magari dando spazio a un vecchio progetto. Se volete raggiungere dei risultati agite con discrezione.

bilancia Nuova era della vita sentimentale. Opportunità per chi riesce a sviluppare iniziative all’interno di un’equipe. Irascibili i nati nella terza decade.

scorpione Aumento dell’eros e degli appetiti sessuali per i nati nella terza decade. Fortunate le giornate comprese tra il 2 e il 3 agosto. Controllate il vostro ego.

sagittario Puntate sulla vostra creatività e sul vostro spirito di avventura. Fortuna proveniente da paesi esteri. Colpi di fulmine. Proposta di matrimonio.

capricorno Approfittate del periodo estivo per godervi il meritato riposo. Momento ancora difficile per i nati nella terza decade. Bene tra il 6 e il 7 agosto.

acquario Momento vivace per i nati nella terza decade sollecitati da Mercurio, Saturno e Giove. Attenti a quello che dite e a non essere imprudenti. Traslochi.

pesci Tra il 2 e il 3 agosto la congiunzione tra la Luna e Nettuno favorirà una forte crescita del vostro intuito. Profezie e sogni. Seducenti in riva al mare.


Gioca e vinci con Ticinosette 1

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 33

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate il numero 0901 59 15 80 (CHF 0.90) entro giovedì 6 agosto e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 4 agosto a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Verticali 1. Noto film del 1994 di J. Nelson con Whoopi Goldberg • 2. Parte navale • 3. Lo stato con l’Avana • 4. Titubare • 5. Ebbe Apollo da Zeus • 6. Clara nel cuore • 7. Iniettare • 8. L’alieno di Spielberg • 9. Crimini • 13. Tuoni, rimbombi •16. Epoche • 18. Quello di mare è l’oloturia • 20. Cacciatore di frodo • 21. Andata in poesia • 23. Accertata, appurata • 25. Si scendono e si salgono • 28. I confini di Osogna • 31. Inadeguate • 33. Il principe della risata • 34. Insicuro • 38. Tirchi • 41. Prive di malanni • 43. Rosso a Zurigo.

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Orizzontali 1. Gabbia, voliera • 10. Stomachevole • 11. Giacchetta nera • 12. Le prime dell’alfabeto • 14. Orifizio • 15. Classe sociale • 17. Si contrappone a off • 18. Cancelleria vescovile • 19. Il nome di Muccino • 22. Una linea • 23. Assicurazione Invalidità • 24. Nome di donna • 26. La città francese degli arazzi • 27. Si dice consegnando • 29. Dittongo in pietra • 30. La nota degli sposi • 32. Calmo, tranquillo • 34. Ionio e Azoto • 35. Pari in meglio • 36. Lo stato con Rotterdam • 37. Il nome di Pozzetto • 39. Dispari in cialda • 40. Il nome di un Garrani • 41. Stoffa pregiata • 42. Superficie • 44. Fu ucciso nel bagno • 45. Non manca nel minestrone • 46. Nuovo Testamento • 47. Privi di fede • 48. Segno zodiacale.

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Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!

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E 34

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La soluzione del Concorso apparso il 17 luglio è: FRANTOIO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Stefano Butti 6805 Mezzovico Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

Svaghi 43


№ 31 del 31 luglio 2015 · con Teleradio dal 2 all’8 agosto


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