Ticino7

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№ 5 del 29 gennaio 2016 · con Teleradio dal 31 gen. al 6 feb.

le luci di Roma

al museo Vincenzo Vela di ligornetto un,esposizione celebra l,immortale bellezza della città eterna

Corriere del Ticino · laRegione · Tessiner Zeitung · chf 3.–


Le marche Migros creano lavoro in Svizzera.

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Mira Scacchi, collaboratrice laboratorio di ricerca e sviluppo, Mibelle Group

www.noiямБrmiamo-noigarantiamo.ch


Ticinosette allegato settimanale N° 5 del 29.1.2016

Impressum

Arti Giuseppe Prezzolini. Il cedro di Lugano

63’212 copie

Chiusura redazionale Venerdì 22 gennaio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

4

RobeRto FestoRazzi .............................

6

Società Teatro. La malinconia del mondo

Nicoletta baRazzoNi..............................

8

MaRco alloNi .................................

9

di di

Levante Censura e cultura. Pensare in Egitto Tiratura controllata

RobeRto Roveda ...................

Agorà Energie e innovazione. Per il risparmio sociale

Vitae Stefano Passerotti

di

di

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steFaNia bRiccola ...........................................................

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alessaNdRo tabacchi .....

35

MaRco JeitziNeR; Foto di Flavia leueNbeRgeR ......

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Svaghi ....................................................................................................................

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Reportage Museo Vincenzo Vela. Sotto il cielo di Roma Luoghi Ufficio. Limbo burocratico?

di

di

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 29 88 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Robert Macpherson (attr.) Piazza San Pietro con il Palazzo Vaticano, 1871-1872 ©Coll. Marco Antonetto, Lugano

L’uomo e altri animali Da mesi siamo confrontati a notizie e immagini che non lasciano dubbi sulla drammaticità e la profonda disperazione che la migrazione porta con sé. Centinaia di migliaia di siriani, libici e cittadini di altri paesi colpiti da gravissime crisi sociali e politiche che via mare o passando attraverso i confini a sud e a est del nostro continente cercano di raggiungere il nord Europa. Alcuni paesi, come la Slovenia e l’Ungheria, hanno scelto di “controllare” l’epocale flusso di adulti e bambini (e qualche esponente dell’ISIS, a quanto pare) rafforzando i loro confini territoriali, costruendo, spesso in tutta fretta, muri, recinzioni e posando filo spinato. L’uomo, “padrone incontrastato” della terra sulla quale vive, è certo l’animale più evoluto, anche se troppo spesso non valuta pienamente le conseguenze della sue azioni. A scapito di altri uomini (guerre e massacri), dell’ambiente (inquinamento) e di altri esseri viventi. Un articolo apparso lo scorso dicembre sulla rivista in lingua inglese New Scientist – “Fences put up to stop refugees in Europe are killing animals” di Andy Coghlan e Mic´o Tatalovic´; una traduzione in italiano è apparsa sul settimanale Internazionale del 15 gennaio scorso con il titolo “Animali senza passaporto” –, metteva in evidenza come la posa improvvisa di queste barriere stia creando qualche problema e mietendo vittime nella fauna locale. In particolare caprioli e cervi nobili, meno a orsi, lupi e linci che comunque rischiano di

ferirsi gravemente durante le loro naturali migrazioni tra i paesi balcanici. Animali selvatici e sovente presenti in piccole comunità, ma preziose in funzione della biodiversità della regione. Come sappiamo anche in Ticino – dove l’argomento ritorna regolarmente d’attualità quando i grandi predatori si fanno vivi – questi mammiferi sono solo in parte stanziali e tendono a muoversi stagionalmente sul territorio. Vuoi per cacciare e procurarsi il cibo, ma anche per riprodursi e cercare altre aree quando le temperature si fanno più rigide. Grecia, Macedonia, Bulgaria, Ungheria, Slovenia e Croazia costituiscono un’area molto vasta, ma negli ultimi mesi resa frammentata e in parte divisa fisicamente dall’uomo con interventi che disorientano molti animali. Zoologi e studiosi della regione si stanno già muovendo nei confronti della Commissione europea, anche perché alcuni di questi interventi violano specifiche direttive che impongono “corridoi aperti per lo spostamento transfrontaliero degli animali”. La popolazione locale nel frattempo ha aperto dei varchi per aiutare la fauna a spostarsi. I migranti, invece, i varchi li trovano da sé o se li creano. Un’operazione che, come sottolineano gli autori alla fine del loro contributo, è assai più complicata per gli animali: “Le persone possono superare il filo spinato tagliandolo o scavalcandolo con degli assi di legno, gli animali no”. Buona lettura, Giancarlo Fornasier


Per il risparmio sociale Energie e innovazione. Social Power è un progetto della SUPSI volto a realizzare e testare un’originale applicazione per sistemi smartphone e tablet, che mira a sensibilizzare il consumatore al risparmio energetico. Il progetto prevede il coinvolgimento attivo dei cittadini in una sorta di “laboratorio vivente” per diffondere, in maniera partecipata e collettiva, un processo di innovazione sociale a favore del risparmio di energia elettrica nelle abitazioni di Roberto Roveda

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l nostro mondo ha un costante bisogno di idee, soluzioni, progetti capaci di rispondere rapidamente alle necessità della collettività. Siamo, infatti, in un’epoca di radicali cambiamenti in cui la globalizzazione, la digitalizzazione, il progresso tecnologico richiedono nuovi modi di lavorare, acquistare, consumare. Nuove competenze per essere concorrenziali e nuovi stili di vita che tengano conto dell’urgenza di ridurre i consumi e gli sprechi di risorse naturali. A queste urgenze si fa fatica a rispondere affidandosi ai sistemi classici, cioè demandando alle istituzioni, alla politica, alle regole del mercato e dell’economia. Il rischio è di trovarsi di fronte risposte lente oppure che non tengano conto delle reali necessità delle persone.

Cos’è l’innovazione sociale? Per questo negli ultimi anni si parla molto di innovazione sociale intendendo con questa espressione “le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa”1. Un approccio, quello dell’innovazione sociale, che vuole passare da un’iniziativa dall’“alto”, a scelte e progetti elaborati dal “basso”, cioè dai cittadini. In questa nuova prospettiva sono le persone a informarsi e organizzarsi per trovare nuove soluzioni. Sono sempre le persone ad agire, per esempio, creando gruppi d’acquisto solidale o attivandosi nel recupero e riciclo di cose usate e rifiuti o ancora, distribuendo direttamente i prodotti acquistati da coltivatori. Si tratta quindi di mettere assieme le proprie idee, il proprio tempo, il proprio lavoro potendo contare oggi sulle immense possibilità fornite dai network in rete, da internet e da tutte le moderne tecnologie di comunicazione. Innovazione sociale e sostenibilità: Social Power Uno dei campi in cui l’innovazione sociale sembra capace di offrire risposte rapide ed efficaci è quello della sostenibilità ambientale tanto che la SUPSI assieme alla ZHAW

(Zürcher Hochschule für Angewandte Wissenschaften) ha dato vita, proprio in questo ambito al progetto Social Power (socialpower.ch). Al progetto collaborano Roberta Castri ricercatrice SUPSI presso l’Istituto sostenibilità applicata all’ambiente costruito (ISAAC) e Vanessa De Luca ricercatrice SUPSI presso il Laboratorio cultura visiva (LCV). Con loro vogliamo parlare di innovazione sociale, sostenibilità e, soprattutto del Social Power. Prima di tutto dottoressa Castri, perché l’innovazione sociale è ideale per rispondere alle nuove esigenze in fatto di sostenibilità? Perché sostenibilità significa voler cambiare rotta rispetto all’attuale modello di gestione delle risorse, cambiare il nostro modello di sviluppo. Per passare dalle parole ai fatti ci vuole una trasformazione sociale, si deve agire sullo stile di vita e sui comportamenti quotidiani. Ci vogliono risposte nuove, creative, progetti in cui tutti i cittadini si sentano coinvolti e informati. La sostenibilità è diventata un tema caldo perché è legato al cambiamento climatico e al fatto che tendiamo a consumare sempre più risorse. Si tratta di fenomeni globali in cui le persone, però, faticano a sentirsi parte in causa e direttamente coinvolte. Pensano sempre che il cambiamento debba avvenire dall’esterno quando invece è nell’ambito domestico e quotidiano che il mutamento deve avvenire. E in questo senso l’innovazione sociale può essere molto efficace nel far comprendere che tutti devono promuovere soluzioni e buoni comportamenti. In tema di innovazione sociale è stato avviato il progetto Social Power. Di cosa si tratta? È un progetto volto a sensibilizzare le persone sul tema del risparmio dell’energia elettrica in casa. Nasce dalla considerazione che l’elettricità non è una cosa visibile, si fa quindi fatica ad aumentare la consapevolezza delle persone riguardo al suo consumo. Per migliorare i comportamenti bisogna quindi trovare il modo di renderlo “evidente”. Noi lo facciamo attraverso una particolare “gara” tra quartieri in cui i cittadini concorreranno tra loro per arrivare a un risparmio di energia elettrica collettivo. Saranno coinvolte 180 economie domestiche di cui 90 nei


comuni di Massagno e Capriasca e 90 a Winterthur nel canton Zurigo. Il progetto durerà due anni e la gara di quartiere verrà lanciata a gennaio 2016 e durerà tre mesi. In questi tre mesi ci sarà questa sfida energetica e noi monitoreremo se questa modalità basata sul confronto sociale interviene sulle abitudini delle persone. I cittadini dovranno quindi agire individualmente sui loro consumi e collaborare tra loro per risparmiare più energia.

non solo rende visibili i consumi di energia elettrica in tempo reale, ma permette anche di dialogare e confrontarsi con gli altri e proporre dei suggerimenti e delle idee di miglioramento tra i giocatori che militano nella stessa squadra. Dottoressa De Luca, i partecipanti al gioco saranno liberi di agire oppure riceveranno delle regole di comportamento virtuoso? La dinamica dell’installazione dell’app racchiude in sé, in pratica, dei suggerimenti. Ci sono delle sfide, delle challenge, quindi la app fornirà dei suggerimenti su come svolgere le proprie attività in modo diverso. Quindi le persone vivranno normalmente ma proveranno ad agire in maniera diversa nei comportamenti energetici. Possono seguire i suggerimenti, ignorarli, essere creativi, informarsi e poi controllare direttamente i risultati delle varie azioni. Verranno anche proposte delle attività per utilizzare al meglio gli elettrodomestici poi però le persone saranno libere di agire come meglio ritengano. Come premio ci saranno anche buoni sconto sulla bolletta elettrica offerti dalle aziende elettriche AEM di Massagno/ Capriasca e StWW di Winterthur.

Dottoressa De Luca, come avviene concretamente questa sfida energetica? In questo ci aiuta la moderna tecnologia che oggi ci aiuta a monitorare un po’ tutto grazie agli smartphone e ai tablet. Abbiamo quindi sviluppato una app che “conteggia i consumi” e abbiamo inserito questo conteggio all’interno di un sistema di gioco. Insomma, il progetto è un esempio di gamification, cioè si utilizzano le dinamiche del gioco – livelli, punti, ricompense – come stimolo motivazionale per aiutarci a fare progressi nell’ambito del risparmio energetico. Grazie all’applicazione interattiva Social Power i partecipanti saranno chiamati a unire le proprie “forze”, facendo squadra con i loro vicini di casa, e a compiere azioni di risparmio Il volantino del progetto SUPSI (da socialpower.ch) energetico reali nelle loUn’ultima domanda ro abitazioni. Lo scopo è quello di aumentare la capacità d’a- per entrambe: che cosa vi aspettate alla fine del progetzione collettiva e favorire la diffusione virale di buone pratiche to? Ritenete che il sistema Social Power avrà poi delle in ambito energetico, pratiche che si spera verranno conservate ricadute pratiche? anche una volta concluso il gioco. CASTRI: Attualmente in Svizzera l’installazione del servizio di telelettura intelligente (smart meter) è ancora in fase di valutaCi sarà quindi una sorta di controllo in tempo reale zione. Probabilmente rappresenta il futuro e lo sviluppo di una dei consumi? applicazione come la nostra può essere utile per valorizzare al Il progetto è reso possibile grazie al servizio di telelettura in- meglio la capacità di lettura in tempo reale degli smart meter. telligente (smart meter) che permette di andare a individuare i Allo stesso tempo la nostra app può migliorare la relazione tra consumi di energia elettrica in maniera remota digitale. Questo l’utente e l’azienda elettrica: si chiede al primo di partecipare consentirà agli utenti di visualizzare in tempo reale i loro consu- attivamente al risparmio di energia elettrica attraverso un servimi di energia elettrica. Il fatto di ricevere un feedback in tempo zio che però viene fornito dall’azienda elettrica stessa, quindi si reale aiuterà le persone a capire quanto le loro azioni incidano instaura un dialogo tra i due soggetti e si garantisce un modello globalmente sul consumo di energia elettrica. di relazione basato sulla trasparenza. DE LUCA: Si ha quindi il vantaggio di un servizio più vicino al Dottoressa Castri, lei in precedenza ha affermato che le consumatore con l’aggiunta di diffondere comportamenti più persone dovranno agire individualmente e collaborare attenti sul fronte dei consumi. Si risparmia energia e anche detra loro per risparmiare energia. L’azione collettiva ha naro consumando meno. E si trasmette a chi ci sta intorno l’idea molto importanza nell’innovazione sociale e anche nel che le abitudini di consumo che ci portiamo dietro dagli anni progetto Social Power. Perché? cinquanta del novecento non funzionano più. Insomma, si tratta È importante perché il confronto sociale aiuta tantissimo a mo- di adottare comportamenti più responsabili verso l’ambiente tivare le persone, spingendole a cambiare i loro comportamenti. che ci circonda, cosa non certo semplice, però ci proviamo per Agire da soli è più difficile. Se i miei consumi vengono compa- avere delle ripercussioni positive soprattutto sul lungo termine. rati a quelli medi del mio quartiere scatta il meccanismo della norma sociale. Capisco che si può consumare meno e cercherò note di essere all’altezza del mio vicino virtuoso. Abbiamo integrato 1 Robin Murray, Julie Caulier Grice e Geoff Mulgan, Il libro bianco questo aspetto nel progetto Social Power. Quindi l’applicazione sull’innovazione sociale (csrpiemonte.it/csr/Open-Book.pdf).

Accendi la sfida!

Agorà 5


Il cedro di Lugano È una verità elementare che i veri uomini liberi si riconoscano dallo stile con cui vivono. Questo vale anche per Giuseppe Prezzolini che venne ad abitare a Lugano nel 1968 dove morì, centenario, quattordici anni dopo di Roberto Festorazzi

Giuseppe Prezzolini prese in affitto un piccolo apparta-

Arti 6

tativi; talmente precari, che, diciassette anni più tardi, ne fu sloggiato, per la dichiarata inagibilità degli spazi. mento, al numero 36 di via Motta a Lugano: cucinino, camera da letto e un vasto locale, usato come sala da I mobili, in quel rifugio newyorkese, erano disposti tra pranzo, soggiorno e studio, con ampie finestre da cui si loro talmente stretti, che l’inquilino doveva ricorrere poteva godere un panorama verso il monte Brè e il Capri- a tutte le accortezze per non urtarli con la testa o con no. Nello stanzone, Prezzolini visse gli ultimi scampoli gli stinchi. Come ebbe poi a raccontare l’interessato, si trattava probabilmente di una della sua esistenza da pensiosoffitta di sgombero, attravernato operoso: fino al traguardo sata com’era “dai tubi dell’acqua del secolo, infatti, seguitò a potabile e da riscaldamento con scrivere otto articoli al mese valvole e circonvoluzioni” che faper il quotidiano bolognese Il cevano pensare al ventre d’un Resto del Carlino, collaborazione piroscafo. che gli garantiva un’esistenza In quel solaio, Prezzolini, che decorosa, in linea con una soera già abituato a condurre bria regola di vita, pressocché una vita modesta e frugale, si monastica. allenò alle abitudini franceIl personaggio credo non nescane, quasi spartane, adottate cessiti di presentazioni. Indro anche in seguito, negli anni Montanelli lo ebbe a definire luganesi. Il Grande Vecchio, in“impresario di cervelli” e scofatti, sovrintendeva di persona pritore di talenti. In verità, di alle incombenze domestiche, Prezzolini si ricorda soprattutcucinando pietanze condite to la rivista da lui lanciata nel con l’olio della sua terra, e 1908: La Voce. Un’avventura coltivando gli antichi sapori. di straordinario fervore intelFinché poté, guidò una vetusta lettuale, e di rinnovamento, Fiat Seicento, con la quale comche valse, come poche altre piva anche viaggi di lunghe iniziative, a sprovincializzare il distanze. patrimonio culturale italiano, Aveva lasciato l’Italia senza ai tempi quasi ermeticamente rimpianti, infastidito dall’inchiuso alla contaminazione certezza del diritto che vi recon la vivace produzione letgnava. Ma al presidente della teraria anglosassone. “L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia Repubblica, Sandro Pertini, che Prezzolini, toscano verace – era sono i furbi, che non fanno nulla, spendono e se la godono” lo ricevette al Quirinale in nato a Perugia da genitori seneoccasione del suo centenario si –, visse a lungo in America. Pur apprezzando Mussolini, da lui ben conosciuto fin dai domandandogli se non fosse ormai giunta l’ora di tornare tempi vociani, aveva in uggia il regime fascista e i suoi a casa, Prezzolini rispose, arguto: “Ma io, in Italia, vengo metodi, e da inguaribile anarchico conservatore con una ogni settimana, a far provvista di verdure”. Era davvero così. vena scettica pensò bene di cambiare aria trasferendosi Giungeva a respirare l’aria del suo paese natale, entrando in Como da Pontechiasso. all’estero. Un toscano a New York A New York, alla fine del 1940, andò a stabilirsi in una soffitta, quella che gli americani chiamano pent-house. Era un minuscolo solaio, riconvertito a precari usi abi-

La spesa a Como Nel capoluogo lariano, “Prezz”, com’era chiamato dai veri amici, aveva un ammiratore devoto in Gianni De Simoni, direttore del giornale La Provincia. La testata gli era cara,


Terme ungheresi SPA, acronimo della locuzione latina “salus

per aqua”, ovvero salute per mezzo dell’acqua. Oggi questo tipo di strutture si sono diffuse a macchia d’olio, anche in Ticino. Vi sono però paesi dove la loro cultura è quasi millenaria di Keri Gonzato

Salute 6

I bagni termali di Széchenyi (da thousandwonders.net)

Ippocrate, almeno in occidente considerato il padre della scienza medica, sosteneva che “è la natura la cura”. Fedele a questo principio, da secoli, l’uomo trova sollievo immergendosi nelle acque che sgorgano dalla terra. In Ungheria, per esempio, la natura è stata assai generosa, offrendo più di 1300 sorgenti registrate e oltre 300 tipologie di acque termali. I popoli celtici battezzarono il primo insediamento Ak-ink, ovvero abbondante acqua: divenne poi Aquincum, con i romani che crearono i primi bagni termali, seguiti, diversi secoli dopo, dagli ottomani. La parentesi austroungarica fece poi rivivere le terme con ulteriore fasto. Immergendosi in queste acque calde e ricche di minerali, oltre a rilassarsi, si possono prevenire e curare molti disturbi. Ritrovarsi a Budapest In visita in Ungheria, ne ho approfittato e immergendomi nei bagni della sua spettacolare capitale, Budapest. Una

visita di piacere e un viaggio nella storia. Già nel XII secolo i cavalieri di San Giovanni e gli Ordini di Rodi e di Malta fecero costruire le terme di Lukacs per curare i malati. Nel XVI e XVII secolo, sotto gli ottomani, andarono in disuso per poi essere trasformate nel 1884 nell’odierno complesso con otto piscine e un’ospedale. L’acqua, dai 21 agli 49 °C, è ricca di calcio, magnesio e un idrocarburo mentre quelle più calde contengono anche fluoruro, cloruro e zolfo. La struttura è molto frequentata per i benefici che offre nei casi di infiammazioni croniche della spina dorsale, di artriti, postumi post traumatici e malattie reumatiche. Nel giardino si trova la sala dell’acqua minerale costruita nel 1937. Si dice che berla faccia miracoli… Avvicinandosi all’edificio che ospita uno dei bagni più affascinanti della città si rimane impressionati. The Gellért Thermal Bath and Hotel è un’imponente palazzo in stile art nouveau nominato monumento storico nazionale.


Una bella creatura L’amore di Prezzolini per Lugano è bene espresso da un episodio poco conosciuto, raccontato da Mario Agliati, una figura che non necessita di presentazioni, per il lettore ticinese. Il 20 giugno 1976, l’ultranovantenne intellettuale inviò una lettera al suo padrone di casa, il dottor Achille Bianchi, per patrocinare una causa che gli stava a cuore: la salute del cedro del Libano che incorniciava il panorama godibile dalle sue finestre. Scriveva Prezzolini: “Quel cedro sta morendo; vedo i rami che vanno sempre più impoverendosi di aguglie e tutto l’edificio lascia passare la luce del sole come una capanna abbandonata dai padroni”. Di lì l’accorato appello a occuparsi del caso: “Sicché, se lei crede e se la sente, faccia qualche cosa per il mio amico cedro; son certo che ha almeno la mia età, e forse di più, e non vorrei che morisse prima di me per incuria, mentre tante e care persone si prendono cura della mia vita che non ha mai prodotto una bella creatura come quella per cui io scrivo questa lettera”. Il dottor Bianchi segnalò il problema al sindaco della città, Ferruccio Pelli, il quale si attivò per avviare gli interventi che valsero a salvare l’albero. Già il 15 luglio seguente, Prezzolini poteva così rivolgersi, nuovamente, per lettera, al suo padrone di casa: “Molto apprezzai la prontezza con la quale ella provvide al cedro Deodara (cioè Dono di Dio) che la Provvidenza pose davanti ai miei occhi. A nome anche dei molti amici e colleghi che vengono a visitarmi a Lugano, e a nome di mia moglie, anch’essa appassionata del vecchio dominatore del paesaggio, la ringrazio”. Anche questo era l’uomo.

Un credito di CHF 10’000.– a un tasso annuo effettivo tra il 7.9 % e il 13.9 % (fascia di oscillazione dei tassi) rimborsabile in 12 rate mensili comporta un costo complessivo compreso tra CHF 417.80 e CHF 723.20. Il tasso d’interesse dipende dalla solvibilità del cliente. Avviso secondo la legge: la concessione di crediti è vietata se conduce a un indebitamento eccessivo (art. 3 LCSI). CREDIT-now è un marchio di prodotto di BANK-now SA, Horgen.

perché vi aveva collaborato a partire dal 1922, invitando a scrivervi anche Piero Gobetti. De Simoni gli teneva i conti, ricevendo e gestendo i proventi delle sue pubblicazioni: emolumenti che gli editori italiani mandavano, ma in lire. E il toscanaccio veniva a spenderli, quei soldi, nel capoluogo lariano, frequentando il colorito mercato che, nei giorni pari della settimana, ancora affolla i viali attorno alle mure medioevali. Il 27 gennaio 1982, giorno in cui Prezzolini raggiunse il traguardo del secolo, De Simoni andò a Lugano portandogli in dono un panettone, e ricevendone, in cambio, un abbraccio. Si era infatti ricordato della volta in cui il longevo amico gli aveva detto: “La gente, per le feste, per gli onomastici, per i compleanni, ti manda un sacco di cose inutili. Mai nessuno ti regala un bel panettone, di quelli profumati”. A Lugano, Prezzolini frequentava la Biblioteca e lo si poteva talvolta incontrare, seduto sulle panchine di via Motta. Buon camminatore, finché il vigore fisico lo sostenne, scendeva a passo svelto dal suo appartamento in collina, fino a piazza della Riforma e al lago. La sua firma apparve, sporadicamente, sul Corriere del Ticino, nei primi anni settanta. Ma la collaborazione s’interruppe a causa di una querelle con il direttore del quotidiano, Guido Locarnini, generata da un poco lusinghiero giudizio del filosofo Benedetto Croce su Prezzolini stesso, pubblicato postumo dalla figlia di questi, Elena. Più assiduo, fu invece il rapporto con la Gazzetta Ticinese, per la quale scrisse a partire dal 1978.

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Posso prorogare di un mese il pagamento della rata in scadenza? Sì, con la nostra opzione di proroga delle rate. Una soluzione si trova sempre


Sorto nel 1918, fu il primo hotel di lusso della città e la sua fama fece il giro dell’Europa. Nel 1945, durante l’assedio di Budapest alla fine della Seconda guerra mondiale, la struttura subì ingenti danni ed è stata riattata e ricostruita negli anni a seguire. Un salto nella storia Nonostante, in tempi più recenti sia stato modernizzato, quando si varcano le sue porte girevoli, in legno e vetro antico, si compie un salto a piedi pari nel passato… Respiro i grandi tempi andati alzando lo sguardo verso le arcate, decorate da splendidi lucernari in vetro colorato puramente art déco. Andando verso i banconi in legno scuro per confermare la prenotazione del mio massaggio, mi sento proiettata nei fastosi anni trenta. Le piscine sono sormontate da volte mosaicate e i muri sono ricoperti da piastrelle di maiolica colorate. Il bagno termale accoglie ben 13 fonti fra i 27 e i 48 °C, ricche di sodio e calcio leniscono infiammazioni articolari, malattie dell’apparato respiratorio e problemi di circolazione periferica del sangue. Sento parlare inglese, francese, cinese e spagnolo e osservo un’anziano ungherese che trova sollievo sedendosi direttamente sotto una fontana di acqua termale. Scopro poi la sauna… Tre stanzini consecutivi separati da pesanti portoni, in un crescendo di temperatura: mi fermo nella seconda, in piedi visti i pochi posti a sedere, sfidando la mia claustrofobia! In tutto questo c’é un vago senso di decadenza che affascina. Il massaggio, ricevuto da una

massaggiatrice ungherese di poche parole in un piccolo spoglio stanzino ricoperto da piastrelle, chiude il cerchio di questa prima immersione socio-culturale. Dalle viscere della Terra Seguendo la sponda del Danubio verso nord si raggiunge il bagno termale Rudas per un’altro tuffo spazio-temporale… Nel cuore del complesso, creato nel 1566 dal pascià ottomano Mustafa Sokol, si trova una spettacolare piscina ottagonale sormontata da un’immensa cupola. Il contrasto tra aree antiche e moderne è fortissimo e può piacere o meno. Vale la pena fare un salto sul tetto per immergersi con vista sul Danubio e la città di Budapest in tutto il suo splendore! Anche i più intimi bagni termali Kiràly, ideati dal pascià Arslan, furono completati da Sokol per poi essere rivisitati in epoca austro-ungarica. L’architettura, ottomana e imperiale, lascia senza fiato. Quando abbiamo chiesto un consiglio al concierge dell’albergo su dove andare, non ha avuto dubbi nel consigliarci il bagno termale Széchenyi: situato nel parco pubblico di Városliget, con una superficie di piscine di 2.712 m2, è tra i maggiori complessi balneari d’Europa e ha ampie piscine all’aperto. Fin dal 1881, funzionava come bagno della fonte artesiana che, scavata a una profondità di 1250 metri, fa sgorgare acqua alla considervole temperatura di 76 °C! per informazioni it.gotohungary.com

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Altri racconti dal paradiso? Vi siete persi la mostra alla Fondazione Beyeler terminata lo scorso giugno? Sino al 21 febbraio il MUDEC di Milano ospita un’esposizione dedicata sempre a Paul Gauguin e alla sua profonda insoddisfazione per la nostra civiltà

di Alessandro Tabacchi

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Visitare una mostra dedicata a Paul

Arti 8

Gauguin rimane un sano esercizio di tensione intellettuale e rilettura dei propri preconcetti. Anche la bella esposizione in corso al MUDEC in via Tortona, in collaborazione con la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, nonostante il sottotitolo consolatorio (“Racconti dal Paradiso”), non fa eccezione. Nell’opera dell’inquieto pittore francese, trapiantatosi quarantatreenne a Thaiti, possiamo scorgere uno dei primi grandi esempi – assieme all’opera poetica di Rimbaud e alla speculazione filosofica di Nietzsche – di quel male oscuro della civiltà occidentale che alla fine dell’ottocento stava prendendo forma, per poi esplodere drammaticamente nel secolo successivo (perdurando, o forse sarebbe da dire imperando, ancora oggi): il senso di perdita delle radici, lo sradicamento esistenziale da un ordine percepito come naturale, ma ormai irraggiungibile. Nomadismo culturale L’opera di Paul Gauguin è in fondo il grandioso lascito di una tragedia culturale ed esistenziale che oggi possiamo avvertire in tutta la sua forza: l’incapacità di evocare in sé la purezza di un senso della vita primigenio, dato ormai come perduto, eppure sempre anelato, sempre ricercato, in una febbrile ansia di verginità intellettuale

nella forma di una ricerca continua ma sempre delusa. Sublimato da una fantasia sovrana e dalle idiosincrasie di una personalità dominatrice, irrequieta e autodistruttiva, il percorso artistico e umano di Gauguin parte dall’impressionismo (gli esiti altissimi della prima fase di Gauguin sono troppo spesso dimenticati) per arrivare a un primitivismo spurio, in cui, oltre alla vicinanza col simbolismo o con un generico spirito preespressionista, possiamo intravedere una sorprendente anticipazione della transavanguardia: il senso di nomadismo intellettuale privo di riferimenti culturali (e cultuali) saldi, l’ancorarsi alla tradizione del fare pittorico come unica moralità ed eticità possibili per un’arte deprivata della dimensione sacrale. Una figurazione colorata ma profondamente infelice e instabile sono tutti tratti che possiamo ritrovare nelle opere tahitiane di Gauguin, ottant’anni prima che Chia, Paladino o Clemente si facessero ben pagati cantori dello straniamento. Gauguin non è certo il cultore del buon selvaggio che scopre la serenità in un paradiso tropicale abitato da ieratiche fanciulle seminude: piuttosto, è un intellettuale deluso e ramingo, che non ha trovato il suo posto in un mondo animato da logiche di profitto che non gli appartengono, che alla fine

Senza costi aggiuntivi. <wm>10CAsNsjY0MDQx0TW2NDIxMgYAY6_AtQ8AAAA=</wm>

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della sua discesa agli inferi si ritrova a leggere – con gli occhi inevitabilmente plasmati dalla sua visione occidentale invincibile – la realtà, intimamente estranea ma affascinante, di un mondo lontano alla vigilia della sua scomparsa. Non è un caso che l’universo figurativo di Gauguin sia già perfettamente compiuto in Francia, alla fine degli anni ottanta, ben prima della sua partenza per la lontana Papeete nel 1891. Per alcuni aspetti la mentalità febbrile e onnivora di Gauguin è molto più “coloniale” di quella, mistica e semplice, del suo ex amico Van Gogh, che a un autoesilio tropicale oppone una coraggiosa permanenza nell’orrore, cercando nella sua follia il pigmento della creazione, restando al proprio posto sul fronte di un mondo in rovina, fino al gesto supremo di autobliterazione del suicidio. Anche Nietzsche, con la sua disperata ricerca di un’aurora di nuova sapienza nelle altitudini dell’Engadina e il conseguente crollo psicologico della sua anima stanca di fronte all’Abisso, ci appare più sincero del tentativo sincretistico di Gauguin, frutto più di una fuga che di una volontà di assimilazione. Arancione velenoso Curiosamente le tensioni dell’arte di Gauguin trovano un corrispettivo ideale nel folle progetto del Kurtz di Cuore di tenebra: il protagonista del capolavoro di Conrad, pubblicato per la prima volta nel 1899, è un uomo giunto all’estremo lembo della civiltà, incapace di rimanere stretto nei confini di un mondo occidentale in decomposizione, padre e forgiatore di un inferno tropicale in cui la sua febbre di autenticità possa trovare spazio e forza.


La malinconia del mondo In uno spettacolo teatrale Lucia Calamaro ha messo in scena i rapporti tra le persone in un contesto in cui a trionfare è la depressione di Nicoletta Barazzoni

Se è vero che l’attore con la sua espressione corporea, ver-

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desiderio della morte, si va delineando uno scenario bale, gestuale, silenziosa è la forza pregnante di cui vive il interiore che sembra incomprensibile ma che allo stesso teatro, e se è vero che lo spazio teatrale e scenico è il con- tempo è gravido di profonde ispirazioni. In molte scene tenitore all’interno del quale si genera lo spettacolo allora lo spettacolo porta alla luce un pathos a volte difficile da è altresì vero che L’origine del mondo, ritratto di un interno decifrare poiché disorientante. di Lucia Calamaro, andato in scena al LAC come apertura del Festival internazionale del teatro (FIT), ha corrisposto Nel cratere interiore appieno a queste prerogative con una drammaturgia che ha “L’origine del mondo” a noi, chissà perché, ha richiamato anche il peccato originale. lasciato il segno. Ed è proprio Daria è confinata nella sua lo spazio ad averci trasmesso depressione con dei monolole distanze tra paziente e anaghi sommessi, sovrapposti tra lista, tra madre e figlia, e tra una scena e una controscena, figlia-madre e madre-nonin sedute psicanalitiche in na. Tre donne si intercalano: cui la normalità non appare madre-figlia (Daria Florian); quasi mai, se non a sprazzi, figlia-nipote-analista (Federimentre la comprensione semca Santoro); e nonna-madre bra una via impossibile anche (Daniela Piperno) che con le per l’analista. La figura del loro distanze emotive sono terapeuta è insensata nei suoi segnate da incomunicabili ragionamenti, privi d’empastati d’animo. Certe cose detia nei confronti di Daria che vi averle vissute per poterle brancola nel buio. Nessuna trasferire sul palcoscenico, distrazione viene concessa per intuire lo strazio di un’aUna scena de’ L’origine del mondo, ritratto di un interno allo spettatore. Infatti i tre nima senza vita che proprio la depressione frantuma in mille piccoli pezzi, per dare episodi (Donna malinconica al frigorifero; Certe domeniallo spettatore la dimensione dell’apatia che soffoca Daria che in pigiama; Il silenzio dell’analista) sono caratterizzati nella sua depressione ma al contempo fa di lei un essere da una scrittura impegnativa e coerente ma allo stesso speciale, un essere acuto con le sue digressioni che sono “disconnessa” come a voler ricalcare l’incapacità d’ascolto. Oggi si parla di atarassia dei sentimenti a causa dell’esistentali proprio perché sofferte. za a cui siamo costretti. Dallo spettacolo emerge un ritratto convulso e ironico ma non per sminuire la depressione Conoscenza e sofferenza Erodoto infatti osservava che le sofferenze, le sventure, bensì per toglierle quel peso cupo che la contraddistincostituiscono insegnamenti e conducono alla conoscen- gue. Mantenendo desta l’attenzione, mondi volutamente za: ta pathemata mathemata. Conoscenza è sofferenza, disarticolati acutizzano le dinamiche tra le tre protagonisofferenza è conoscenza. Proprio come esorta la Bibbia: ste, ognuna con una coscienza definita dalla mancanza chi aumenta il suo grado di conoscenza, accresce anche d’amore. Non ci sono infatti scambi epidermici, carezze la propria sofferenza. Ma attraverso l’impietosa presenza o gesti d’affetto. Entrambe costruiscono tra loro steccati del dolore e della depressione si sviluppano nevrosi, fobie, emozionali, con sullo sfondo gli elettrodomestici e l’atmanie di persecuzione, ragionamenti ossessivi ma anche mosfera pseudo familiare che simboleggiano la condizione salvifici ed estremamente lucidi nella loro tragicità. Un quotidiana. Quale arte se non il teatro riesce a ricomporre frigorifero troneggia sul palco per sottolineare la fase le lacerazioni della vita, così come il senso di solitudine che compulsiva del depresso che si butta sul cibo per riempire ne L’Origine del mondo è palpabile a ogni battuta. Le attrici il suo vuoto. La depressione tende a costruire pensieri se- condividono lo stesso spazio ma non condividono lo stesso gregati, interrompendo il contatto con l’esterno, isolando mondo interiore. Le emozioni sono afone, precipitate in dagli affetti e dalle persone che gravitano attorno ad essa un cratere. Ma lo spettacolo non porta in scena le ragioni ma è il segnale di un interno in movimento che esce allo della depressione di Daria. Probabilmente perché cercare scoperto, liberando una mente fertile. Sul palcoscenico, una spiegazione razionale a questa condizione non fa altro mentre Daria trasmette allo spettatore la sensazione del che uccidere la creatività.


Arti 9

Nafea faa ipoipo, olio su tela, 1892, Fondazione Beyeler, Riehen

Si può fare? <wm>10CAsNsjY0MDQx0TW2NDIxMgUAVgqjXA8AAAA=</wm>

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Come Kurtz, anche Gauguin è il prodotto di una civiltà ridotta a principi meccanicistici ed economici, in cui l’artista – intendendo con questo termine l’uomo di genio, colui che eleva il suo spirito sopra le mediocrità routinarie di un’esistenza predeterminata – sostanzialmente non ha più scopo,

posizione, senso. I dipinti tahitiani di Gauguin rappresentano la risposta a una civiltà ostile, rinnegata con mezzi intellettuali che tutto devono a questo stesso retaggio odiato, il cui stesso linguaggio diviene una camicia di forza da cui il creatore non riesce a liberarsi. Dietro lo splendore della loro veste pittorica, non c’è nulla di consolatorio in queste opere: osservandole nella penombra della mostra, rischieremo di scoprirci ingabbiati in quei gialli acidi, verdi umidi e arancioni velenosi. E di non saper trovare l’uscita. Perché alle domande supreme che assillavano Gauguin, finora, nessuno ha dato risposta.

Sì, con la nostra opzione di pro­ roga delle rate. <wm>10CAsNsjY0MDQx0TW2NDIxMgcAemutsg8AAAA=</wm>

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Pensare in Egitto

Impotente di fronte al dissenso che l’intellighenzia laica egiziana esprime attraverso il web, il nuovo faraone El Sisi sopprime centri culturali e case editrici di Marco Alloni

In Egitto un centinaio di centri culturali e case editrici

la chiusura dei loro centri di aggregazione: case editrici e sono stati chiusi dal governo. Ragione ufficiale: sarebbe- stampa libera in testa. È perciò su questo piano e a questo ro sprovvisti dei regolari permessi e delle autorizzazioni livello, in questi scampoli di aggregazionismo, che si conrichieste. Ragione verosimile: si teme che al loro interno centra l’azione di controllo e prevenzione del governo. E covino i germi di una nuova sollevazione. E che questa su questo piano la battaglia si compie appunto a colpi di possa assumere a pretesto la ricorrenza del quinto anno sanzioni amministrative che con le reali ragioni politiche dallo scoppio della rivoluzione del 25 gennaio 2011 per che le sottendono non hanno nulla a che fare. tornare a riempire le straLa paura del pensante de. È ragionevole un simiTale esercizio di sorvele timore? E perché una glianza sull’intellighenzia nuova insurrezione veegiziana la dice però lundrebbe ancora una volta ga – malgrado lo scontro gli intellettuali in prima sia perfettamente impari – linea? sul timore che la classe diLe due domande vanno di rigente e i vecchi residuati concerto. Gli unici che in dell’antico regime di Muquesti cinque anni hanno barak, progressivamente tenuta alta la bandiera riammessi nei quadri deldella rivoluzionarietà – la politica nazionale, nuse non altro nelle forme trono nei confronti delle di una critica al regime, menti pensanti del paese. sistematicamente represE questo dovrebbe indurci sa dallo stesso – sono gli a un ragionamento: se, intellettuali. E fra costocome nel caso della rivoro vanno annoverati non Immagine tratta da babel.cospe.org luzione iraniana del 1979, soltanto gli scrittori e gli artisti ma quella moltitudine di blogger che restano l’unica furono gli intellettuali a intercettare il malcontento delle seria avanguardia in grado di proporre una lettura critica classi più disagiate del paese – ma soprattutto a intuire dietro lo sbrilluccichio del progresso raggiunto dallo scià della governance di El Sisi. lo stato di intollerabile miseria in cui versava gran parte della popolazione – nel 2016 potrebbero essere ancora loro La via del web Quali spazi sono infatti disponibili oggi in Egitto per un a dare il via a una nuova sollevazione popolare. discorso alternativo a quello che la presidenza è ormai Si impone allora una domanda sulla condizione di tali inriuscito a imporre ai media di stato e persino a quelli tellettuali. Non solo per quanto riguarda la loro condizione privati? Esistono forse margini per organizzazioni parti- all’interno del paese, ma soprattutto per quel che concerne tiche o sindacali, o politiche in senso largo, in grado di i loro rapporti con l’occidente e in genere gli altri stati prospettare una qualsiasi forma di alternativa al piano del mondo. Qualcuno li ascolta, li sostiene, li appoggia? di uniformizzazione e omologazione politica e culturale Oppure lo status quo di sicurezza e stabilità assicurato da promosso dal regime militare dell’ex feldmaresciallo? No, El Sisi basta alle potenze straniere per sospendere ogni ulil solo spazio disponibile per le avanguardie resistenti è teriore valutazione su quanto sta – o non sta – realmente quello offerto dalle piattaforme telematiche e da Facebook: accadendo in Egitto? il resto è ormai sotto il più capillare controllo dello stato. Il grande timore è che il mondo potrebbe, ancora una volSe una chiusura dei siti internet più coraggiosi o dello stes- ta, rimanere sbalordito dall’esplosione di un paese come so Facebook rappresenterebbe un autogol clamoroso agli l’Egitto. E che, ancora una volta, dovrebbe imputare tale occhi dell’opinione pubblica internazionale – richiamando stupore alla propria disattenzione. Perché se si ascoltano censure alla libica o all’iraniana che mal si conciliano soltanto le bombe e gli attentanti, e non gli intellettuali, con l’immagine di liberalità e democraticità che El Sisi non si ascolta il cuore pulsante di un paese. E da lì, solo sta cercando di promuovere all’estero – l’unica forma di da lì, può scaturire il futuro. Lo sa bene El Sisi e lo sanno difesa dall’azione critica degli intellettuali rimane dunque bene le sue maestranze.

Levante 9


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Vitae 10

a anni vivo a Lugano con mia moglie e miei figli. Mi definisco “giardiniere coraggioso”, come mio padre e mio nonno e forse più di loro. L’eroismo o la buona pratica sta nel conoscere e rispettare la natura, ma soprattutto nell’evitare di abusare delle sue risorse. Mi ostino a progettare e realizzare giardini senza impianto di irrigazione, fertilizzanti e pesticidi. Il risparmio dell’acqua è una tradizione che voglio divulgare perché nel mondo botanico c’è un fabbisogno limitato di questo bene prezioso. Conoscere la natura significa evitare un mantenimento costoso del giardino, dare importanza ad aspetti che non sono dettagli come le potenzialità della rugiada, la sarchiatura del terreno, la potatura mirata. Oggi tutto è moda e capita di seguire le tendenze del momento anche nel verde o, peggio, di soddisfare i capricci del committente e così si rischia di stravolgere la natura. Penso alla richiesta di piante non autoctone destinate a crescere in un terreno e in un clima diverso da quello d’origine e alle potature selvagge che sono un grande business. Un tempo nessuno avrebbe pensato di realizzare un giardino nel mese di giugno invece che in autunno, in modo che le piante messe a dimora sopportino meglio il primo caldo… Sono divorato dall’ansia di fare più che di raccontare. Non ho avuto una formazione accademica e rielaboro gli stimoli della vita botanica che significano crescita, decadimento, modificazione continua, elementi in perenne divenire come acqua, luce, e suono. Creo i miei giardini basandomi su concetti essenziali come la mente della natura, la goccia di rugiada. Coltivare la terra significa coltivare la conoscenza. Se la natura si atrofizza anche la civiltà ristagna. S’inizia da piccoli a rispettare il verde. Mio padre e mio nonno mi portavano nei giardini che curavano e mentre giocavo vedevo il loro lavoro. Voglio trasmettere la mia sintonia con la natura che è un regalo del destino. Mi piace andare nelle scuole, incontrare bambini e disabili e fare passeggiate nei boschi. Un giardino rispecchia la sensibilità e le esigenze di chi lo vive. Nelle aree verdi per disabili e

persone anziane non può mancare il movimento dell’acqua che regala una sensazione di benessere. Vivo in armonia con la natura che mi nutre. Nel mio orto a Lugano coltivo fiori edibili che finiscono in ricette collaudate da generazioni. A casa nostra si può mangiare la frittata con i fiori di acacia, l’insalata con le viole pansè e bere la tisana fatta con la vite giovane. Con il verde ho un rapporto intimista. Mi sveglio qualche minuto dopo le cinque e quando le temperature lo permettono esco a camminare in giardino a piedi nudi. Poco tempo fa ho fatto colazione con i miei figli e ammirato la luna piena che, alle spalle di Cademario, scendeva lentamente. Il mio giardino a Lugano è un laboratorio in continuo divenire. Ho messo a dimora alcune piante per vedere se possono vivere nel microclima ticinese. Amo portare alla luce alcune specie arboree dimenticate, per esempio, sono un estimatore delle erbacee perenni come la Lippia nodiflora che non è ancora sufficientemente conosciuta per le sue proprietà di custodire il tappeto verde. Il Ticino è una terra ricchissima di natura e chi ci abita è molto educato, ma potrebbe avere e dare di più. Si sottovaluta questo immenso patrimonio naturale e lo si dà per scontato. Progetto giardini in tutto il mondo. Inizio sempre dal calpestare a piedi scalzi i luoghi in cui li realizzerò. Ho camminato di buon mattino in Africa, America e in Estremo Oriente alla ricerca del genius loci. Alla Gardening World Cup in Giappone, nel 2014, ho raccontato in una installazione verde le tre stagioni della vita. Al di fuori del perimetro concesso ho appeso un uccellino d’oro regalatomi da mio figlio Michelangelo. Ho rischiato la squalifica. Un giudice illuminato ha capito subito che era l’aldilà. Poi ho ricevuto la medaglia d’argento. Non sono venuto al mondo per caso. Penso di avere qualcosa da raccontare.

STEfANO PASSErOTTI

È nato a Firenze, nel Poggio Imperiale. Ma è in Ticino che ha trovato l’amore e una ricchezza botanica che fa respirare la mente. E lo stimola a progettare nuovi giardini in tutto il mondo

testimonianza raccolta da Stefania Briccola fotografia ©Reza Khatir


Museo vincenzo vela

Sotto il cielo di Roma di Alessandro Tabacchi; fotografie per gentile concessione Museo Vincenzo Vela, Ligornetto e Collezione Marco Antonetto, Lugano


E

ra da tempo che volevo ritornare al Museo Vincenzo Vela: l’occasione mi è stata offerta dalla mostra Con la luce di Roma, ricchissima esposizione di fotografie storiche aventi come soggetto l’Urbe, databili fra il 1840 e il 1870. Le foto appartengono in gran parte alla collezione di Marco Antonetto. Una mostra in strettissimo dialogo col museo di Ligornetto che ha riservato molte sorprese. Entrare nel giardino di Villa Vela significa già accostarsi al mondo ideale del grande scultore: la villa, terminata nel 1865, nacque col duplice scopo di abitazione dell’artista e pantheon-museo della sua opera. La volontà di renderla un locus amoenus, la cui bellezza stessa fosse parte dell’arte che doveva celebrare e custodire, è evidente fin dal momento in cui si pone piede sulla passerella sospesa sopra il laghetto che accoglie i

visitatori: nel mezzo di un giardino curatissimo, la casa appare come un miraggio di neoclassica lucentezza sulla cima di un poggio. Accedere al Museo è quasi un primo passo di un cammino verso un ideale di laica purificazione interiore nel nome della cultura: la Villa fu concepita infatti come uno spazio di bellezza aperto al dialogo col territorio circostante, e non arroccato in una superba volontà d’isolamento. Inevitabile è stato per me contrapporre questa sensazione di libertà e accoglienza data da Villa Vela rispetto al senso di sottomissione psicologica che ho provato entrando al Vittoriale dannunziano sul Lago di Garda: due visioni contrapposte dell’arte e del ruolo dell’artista, due tensioni culturali opposte e divergenti, che hanno segnato la nostra storia recente.


Icona romantica La mostra trova accoglienza nelle ampie stanze della Villa dedicate alle esposizioni temporanee, al piano superiore. È stato difficile resistere alla tentazione di perdersi subito nell’ordinatissima selva di opere di Vincenzo Vela, attratto dal grande spazio ottagonale che al piano inferiore costituisce il sancta sanctorum del museo e della collezione. Ho preferito visitare prima la mostra e poi la collezione permanente: alla fine ho avuto la sensazione di un forte senso unitario, e penso che questo senso di continuità e dialogo fosse nei desiderata dei curatori. Le foto dell’Urbe sono state una rivelazione. Nonostante la sua posizione periferica rispetto ai fermenti culturali dell’epoca, negli anni che precedettero l’unificazione italiana, dal 1845 al 1870, Roma fu uno dei centri principali a livello

europeo della nascente arte fotografica. Icona romantica per eccellenza, la città era una delle mete imprescindibili dei grand tour in Italia: inevitabilmente un luogo così ricco di suggestioni attirò molti fra gli artisti, scienziati o spiriti curiosi, che in quegli anni stavano avvicinandosi alle nascenti tecniche fotografiche e sul campo le perfezionavano (il dagherrotipo, il calotipo, i negativi di vetro all’albumina e al collodio sono tutte tecniche presenti in mostra). E non è un caso che i grandi maestri di questa stagione pionieristica, quasi eroica, della fotografia romana (gli italiani Caneva, Lecchi, Dovizielli, Altobelli, De Bonis sopra tutti, e poi i francesi Constant, Flachéron, Richebourg, lo scozzese Macpherson) fossero tutti specialisti della fotografia di paesaggio e d’architettura: le loro vedute rappresentano il cuore dell’esposizione.

in apertura Michele Mang (attr.) Navata del Colosseo con pittore 1860-1870 ©Collezione Marco Antonetto, Lugano

a sinistra Robert Macpherson Veduta del Tevere con Castel Sant’Angelo, 1859-1860 ©Collezione Marco Antonetto, Lugano

nelle pagine seguenti Giacomo Caneva Panorama da Villa Pamphilj. Veduta con figure, 1850-1852 ca. (dalla raccolta del pittore Bernardino Montañés) ©Collezione Marco Antonetto, Lugano Enrico Verzaschi Veduta della Via Appia fine anni ’60-ante 1873 ©Museo Vincenzo Vela, Ligornetto / Sergio Andreoli Giacomo Caneva (attr.) Villa Pamphilj. Pini e fontana, 1853-1855 ca.; stampa 1860-61 (dalla raccolta del pittore Jean-Jacques Henner) ©Collezione Marco Antonetto, Lugano Autore non identificato [Pompeo Molins?] Colosseo. Veduta con l’Arco di Costantino, 1870 ca. ©Collezione Marco Antonetto, Lugano

(...)


Quasi un monito Uno dei pregi maggiori della mostra è di trasformare lo spettatore nel protagonista di un moderno tour ottocentesco, grazie all’intelligente scelta di dedicare ogni sala a un soggetto particolare (il Tevere, il Colosseo, i Fori, la campagna romana...) che permette al visitatore di “vedere” Roma attraverso gli occhi dei fotografi di allora con un percorso logico: in modo sorprendente, l’effetto è tutt’altro che oleografico. In alcune sale la percezione architettonica dell’Urbe ottocentesca è esaltata anche dai toni ingialliti delle carte fotografiche, capaci di dare consistenza plastica ai particolari architettonici scolpiti dalle ombre e dai neri virati dal tempo in marroni e violetti scurissimi. Non solo suggestioni romantiche offrono queste preziose foto: molti spettatori accorti avvertiranno in esse un dram-


la mostra Con la luce di Roma. Fotografie dal 1840 al 1870 nella Collezione Marco Antonetto Museo Vincenzo Vela 6853 Ligornetto. Sino al 10 aprile 2016. museo-vela.ch il catalogo Con la luce di Roma Con testi in italiano/ inglese di Marco Antonetto, Silvia Berselli, Maria Francesca Bonetti, Gianna A. Mina, Andrea Sciolari. 256 pagine, 200 ill. Ufficio federale della cultura, Berna 2015 il cinema al museo Vedute dall’alto Domenica 31 gennaio alle ore 16:30 verrà presentata una selezione di filmati della Cineteca Comunale di Bologna, dedicati alle vedute cinematografiche italiane tra ’800 e ’900. Seguirà il film Per l’amore di Jenny (1915; regia di Nino Oxilia). A cura di Mariann LewinskySträuli e Andrea Meneghelli, con musiche composte ed eseguite dal vivo da Daniele Furlati (pianoforte). In collaborazione con Associazione Musica nel Mendrisiotto e Cineclub del Mendrisiotto.

matico dialogo col presente di Roma, città la cui unicità è stata deturpata da una crescita incontrollata e da un diffuso malcostume urbanistico. Molto emozionante è stato vedere un piccolo bronzo dello Spartaco nella sala dedicata alle foto del Colosseo: Vela soggiornò a Roma nel periodo fecondo della creazione del suo capolavoro giovanile (1847), esaltazione di quegli ideali di libertà e ribellione al dominio straniero che sempre animarono l’arte del Fidia di Ligornetto, e che allora si tradusse in impegno politico concreto. Lo sguardo di Vela La mostra ci presenta Roma come la vide Vela negli anni del suo soggiorno. E con garbo, fra le numerose fotografie sono ospitate alcune opere dello scultore in stretto dialogo con i soggetti rappresentati: la presenza del ritratto marmoreo di Pio IX, che si dice fu portato nel 1848 dagli insorti milanesi sulle barricate, assume il ruolo di catalizzatore ideale dell’esposizione, alla luce della delusione epocale che l’operato di questo pontefice rappresentò per le menti più liberali del Risorgimento italiano e del ripiegamento di molti intellettuali, come lo stesso Vela, su posizioni fortemente anticlericali vicine al socialismo umanitario. Il dialogo fra la mostra e il museo ospitante esalta al meglio la funzione che il Museo Vela vuole esercitare secondo il testamento di Spartaco Vela, figlio di Vincenzo e lui stesso valente pittore, stilato nel 1895 alla vigilia della sua prematura scomparsa. Facendo proprie le volontà del padre, Spartaco volle che la splendida villa-museo fosse “aperta al pubblico, e tutta la casa si deve utilizzare o come Museo o come scuole pel bene pubblico” e legò il lascito alla Confederazione Svizzera (il museo è infatti ancor oggi federale). Fa piacere constatare come questo intento sia stato perseguito nel tempo e come oggi il Museo Vincenzo Vela proponga una vasta gamma di attività animate dallo spirito originario, con un ricco programma di eventi, collaterali ma non secondari, rispetto alle esposizioni maggiori (letture, performance, concerti, attività sociali) che vanno ad arricchire la triplice funzione di motore intellettuale, stimolo al dialogo interculturale e centro di aggregazione sociale di questa istituzione. Una visita al Museo può divenire occasione per riflettere con altri occhi (rubo il bel titolo di una serie di eventi in corso) sulla nostra eredità culturale.


Ufficio. Limbo burocratico? di Marco Jeitziner; fotografie ©Flavia Leuenberger

Luoghi 40

Per molti di noi al solo udire la parola “ufficio” viene male. O quantomeno sale l’ansia ogni domenica sera, scatta l’orticaria ogni mattina quando suona la sveglia. Se soltanto consideriamo quanti di noi vi trascorrono giornate, settimane, mesi e anni della propria vita – ma anche solo pochi minuti per sbrigare delle faccende burocratiche – allora questo luogo è decisamente più di un semplice spazio. E ormai c’è poco da invidiare carrozzieri, artigiani o coltivatori, perché l’ufficio a mo’ di sgabuzzino è presente ovunque. Anche in fattoria. A chi piace, a chi no “A me piace l’idea di andare in ufficio, perché vedo i colleghi, il capo è simpatico, esco di casa ecc.” direbbe qualcuno. Dipende dai colleghi, dal capo, da quali cittadini spuntano allo sportello, dall’aria che tira a casa, diciamo noi. Non è un caso che, si legge in un giornale medico, l’ufficio può essere fonte di “diverse patologie”, e non ci riferiamo soltanto alle gambe gonfie. Se già passiamo un terzo della nostra vita dormendo, chissà allora in ufficio? Ma il letto ci pare più utile, o no? Vien proprio da chiedersi: a cosa serve, veramente, l’ufficio di questa o quell’altra azienda? È proprio indispensabile? A volte chi progetta questi spazi architetturali è un autentico disgraziato, per non dire un disumano di fantozziana memoria. A Bellinzona, per esempio, il nuovo stabile amministrativo s’è detto che offrisse più oscurità e polvere che non il contrario. Lo stesso mi dicono alcuni docenti rispetto a certe sedi scolastiche: se già da fuori sembrano dei bunker antiaerei, da dentro ricordano i sotterranei di un ospedale. Da qui a sviluppare, col tempo, una certa avversione verso l’ufficio, il passo ci pare breve.

Scrivania, scaffali, bucatrice Ebbi il mio primo incontro ravvicinato del tipo terziario con l’ufficio esazioni, dove feci un breve (molto breve, a dire il vero) periodo di pratica. Si inserivano dati, si stampava e si imbustava e poco altro. Mi bastarono pochi mesi per capire a quale “tortura”, con tutto il rispetto, mi stessi prestando. Eppure magari oggi alcuni di quei dipendenti vi festeggiano il ventesimo o trentesimo anno di servizio, a mo’ di americanata li si loda nel giornale aziendale. Si rischia di diventare un tutt’uno: col mobilio buttano via anche noi. Certo è che molti uffici di oggi sono molto meno “gabbie” di quanto non lo fossero in passato, ma vedere e accendere il computer ogni mattina non è un po’ spalancare una finestrella per l’inferno? Spulciare tutto il giorno la posta elettronica non ci ricorda che, forse, certi messaggi importanti sono altri? Consultare la propria agenda non significa ammettere che il tempo non è gestito da noi? Ma forse per qualcuno classificare i classificatori, graffettare e bucare carta è come fare un po’ l’artigiano... Meglio da casa? C’è una relazione tra la qualità degli spazi dell’ufficio, la felicità di chi vi lavora e la produttività. Ora, restando nel campo di molti servizi, dimentichiamo troppo spesso una vera alternativa, resa oggi possibile dalla tecnologia: il lavoro da casa. In quale altro spazio abbiamo la qualità della propria casa? Dove siamo più felici se non fra le mura domestiche? Sull’efficienza, è vero, si può discutere, ma in termini di passione per il proprio lavoro, tant’è che nessuno, proprio nessuno, è produttivo ogni giorno al cento per cento in ufficio. Quanti soldi risparmierebbero le aziende in logistica, spese di riscaldamento, di illuminazione ecc.? Quanto si ridurrebbe il traffico e il suo impatto ambientale? Quanta maggiore responsabilizzazione individuale sarebbe possibile? Paura della solitudine, direbbe qualcuno, che però dimentica quanto si può essere soli in certi grandi uffici, tanto che (è la scena di un film) muore un collega ma nessuno si ricorda chi fosse. E poi, come detto, che il tempo in ufficio sia perfettamente organizzato, dunque iperproduttivo nelle canoniche otto ore, ci pare più un mito fordista che altro, a meno che ufficio e fabbrica non siano la stessa cosa. In realtà, abbiamo bisogno anche di perdere tempo, di distrarci, di momenti vuoti, in poche parole, di improduttività. E poi volete mettere, evitare il collega che puzza, il capo ufficio logorroico o la segretaria pettegola?


Carnet de voyage Tendenze p. 40 – 41 | di Keri Gonzato

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crigni colmi di inestimabili tesori. Sogni da sfogliare, aeroplani di carta, leggeri velieri. Sono il luogo a cui il viaggiatore assegna le sue memorie più fragranti, giorno dopo giorno, passo dopo passo. Alla fine di una lunga giornata, si siede alla luce tenue di una lampadina, e affida le sue sensazioni a una nuova pagina. Le emozioni, in movimento, vengono fermate sulla carta e impreziosite da schizzi, frammenti di giornale, fotografie, frasi in lingue straniere, sapori, indirizzi, mappe, aneddoti e pura poesia. Tre anni fa, assieme al mio compagno, ho fatto un viaggio di sette mesi in centro e sud America. Nelle pause, tra un viaggio in bus e una traversata in nave, le pagine del mio carnet sono state il luogo dove ritrovarmi. Un punto fisso, una casa a cui fare ritorno qualora ne sentissi il bisogno, a cui confidare le sensazioni intense che stavo vivendo. Oggi, quando rileggo quelle righe mi si riapre nel cuore quell’esperienza potente, selvaggia, faticosa, piena di vita, di presenza e bellezza. Ogni volta è come aprire un frutto succoso, dalle mille sfumature e dal sapore complesso, e lasciarsene inebriare. Questo è il regalo che offrono i diari di viaggio, singolari pezzi di letteratura e arte, testimonianze di vita realmente vissuta.

Oltre il tempo e lo spazio Dai tempi dei tempi viaggiatori, avventurieri e navigatori hanno tenuto diari in cui marvare le tappe del proprio viaggio ed è proprio grazie a questi documenti che gli storici hanno potuto ricostruire numerosi avvenimenti del passato. “I legami del viaggio e della memoria sono tanto antichi quanto la letteratura e la storia”, scrivono Sarga Mousse e Sylvain Venayre, autori di Le voyage et la mémoire au XIXe siècle, “nel XIX secolo, il riconoscimento della dimensione letteraria del racconto di viaggio, la volontà di accumulare un sapere positivo sul mondo, i lavori sulle malattie della

Bruce Chatwin

memoria, la definizione dei popoli lontani come sopravvissuti di un passato molto antico, invitano i viaggiatori a considerare in modo nuovo le implicazioni del ricordo. La scrittura occupa un posto importante nell stessa esperienza di viaggio degli studiosi, dei pellegrini, degli artisti, degli scrittori e dei turisti”. Chateaubriand, Darwin, Flaubert, Fromentin, Hugo, Humboldt, Lamartine, Nerval, su carta, hanno impresso memorie preziose dei loro cammini di scoperta. Dai racconti degli aristocratici francesi, nell’Italia di fine XVIII secolo, fino alle memorie espresse dal dottor Adrien Proust e dal figlio Marcel, un secolo dopo, la storia dei viaggi ha lasciato tracce indelebili. Lo Spray del capitano Slocum

Compagni di viaggio Nel suo giro del mondo, effettuato tra il 1895 e il 1898, il velista Joshua Slocum trovava nelle pagine del suo giornale di bordo un amico capace di scacciare la solitudine estrema del viaggiare in solitaria. Queste memorie continuano a vivere e a far veleggiare chi le legge grazie al libro Solo, intorno al mondo. Nell’introduzione, scritta per l’ultima pubbli3cazione del diario, lo scrittore Björn Larsson ha affermato… “Ho letto un gran numero di racconti di viaggi per mare, ma pochi mi hanno comunicato il piacere della lettura e la gioia di vivere di questo” (2014). Trent’anni dopo Slocum, Vito Dumas ha condiviso con il pubblico in Verso la croce del sud la sua attraversata atlantica, quattro mesi per mare dalla Francia all’Argentina. Nello stesso periodo Marin-Marie, nominato nel 1935 pittore ufficiale della marina, partecipando a numerosi spedizioni per mare, riempie numerosi taccuini di bellissimi schizzi e acquerelli. Appassionante è anche il racconto di Thor Heyerdahl sulla spedizione del Kon-tiki, avvenuta a metà del secolo scorso quando attraversò il Pacifico assieme a cinque compagni.


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Amo i testi brevi e ispirati. Quando poi sono combinati a immagini particolari mi rapiscono, tanto che ho dedicato la mia tesi universitaria a “The Humument”, strabiliante quanto stravagante opera in cui arte e letteratura, parola e immagine si fondono e confondono. Questa ragione, amplificata dalla passione per il viaggio, fa si che io sia attirata, come una falena lo è dalla luce, dai "carnet de voyage"... Taccuini letterari E poi venne Bruce Chatwin che, muovendosi tra Australia, Patagonia e The Songlines, riportava sul suo taccuino le emozioni vissute. Chatwin non poteva immaginare che questa sua consuetudine, molti anni dopo, avrebbe dato vita a un oggetto di culto! Oggi, siamo in tanti a possedere un taccuino Moleskine, ma pochi sanno che il marchio nasce a Milano nel 1997 traendo ispirazione proprio dallo scrittore inglese. La stessa parola “Moleskine” viene da Le vie dei canti (1986) dove l’autore racconta di un certo cartolaio parigino, in Rue de l’Ancien Comédie, dove era solito acquistare i taccuini, che a un certo punto gli comunica la morte del titolare dell’azienda produttrice e quindi l’interruzione dell’attività. Da qui nasce l’impresa, tanto poetica quando commerciale, di riportare in

vita una leggenda e vengono prodotti i primi 5000 Moleskine. Per Chatwin, erano una risorsa preziosa dove scriveva, allegava fotografie e fissava i pensieri che al rientro sarebbero diventati libri. Nel 1993 ha deciso di condividerli, assemblando passaggi significativi nel volume Fotografie e Carnets de Voyage. Le sue annotazioni erudite, profonde e umane, sono accompagnate da fotografie raffinate e belle, tanto nei colori che nella composizione visiva. Chi ne sfoglia le pagine, viaggia, scoprendo luoghi inesplorati e popoli sconosciuti. L’assoluto della vita Oggi, sono tanti ad amare questa forma particolare d’arte on the road. Tra loro c’è anche Louis Vuitton che ha creato la collana Carnet de Voyage. Con la brama di scoprire luoghi ina-

spettati e città che non dormono mai, il marchio ha invitato un gruppo di artisti emergenti e più affermati a dare la propria interpretazione personale di un paese attraverso un taccuino da viaggio. Il progetto ha dato vita a sette volumetti, ognuno di 168 pagine con dalle 100 alle 120 illustrazioni originali, che offrono una visione contemporanea del viaggio. L’ultimo arrivato racchiude le immagini di Blaise Drummord, artista irlandese che parla di un’artico delicato e misterioso. Prima di lui, altri sei artisti avevano descritto Venezia, New York, Edimburgo, Parigi, Londra, l‘Isola di Pasqua e il Vietnam muovendosi tra acquarello, illustrazioni, collage e tecniche manga. “Attraverso la porta dello stupore si sperimenta l’assoluto della vita”, ha detto recentemente Stefano Faravelli a una trasmissione radiofonica dedicata a questo tema, “nei carnet sogno e conoscenza del reale si mescolano”. Raffinato coltivatore di questa tradizione, Stefano Faravelli, oltre a creare preziosi taccuini, offre regolarmente stage e workshop ed è visiting professor all’università della Svizzera italiana e della Scuola Holden di Torino. I suoi viaggi, tra Cina, Mali, India ed Egitto, tradotti in storie scritte e dipinte sono delizie eleganti da gustare lentamente. L’autore mantiene un forte legame con la Biennale du Carnet de Voyage che si tiene a Clermont-Ferrand. Una manifestazione artistica e letteraria interamente dedicata al tema dei racconti di viaggio e dei carnet (rendezvouscarnetdevoyage.com).

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La domanda della settimana

Vi capita sovente di lasciare luci ed elettrodomestici accesi o in “stand by” anche se non vegono utilizzati?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 4 febbraio. I risultati appariranno sul numero 7 di Ticinosette.

Al quesito “Vi è già successo di aver riscontrato difficoltà a trovare un subentrante una volta deciso di lasciare un appartamento che avevate preso in affitto?” avete risposto:

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Astri ariete Turbamenti per la vita sentimentale. Sovraccarico di energie inespresse con esplosioni di gelosia. Opportunità professionali per i nati in aprile.

toro Attenti a non diventare incandescenti in quanto stimolati dall’opposizione con Marte. Gelosie con il partner. Incontri con stranieri. Prudenza!

gemelli Non è il momento giusto per farsi prendere dalle malinconie. In questo periodo dovete imparare a volervi bene. Riposo tra il 3 e il 5 febbraio.

cancro Con le vostre parole correte il rischio di scatenare reazioni a catena all’interno del rapporto di coppia. Prima di dire qualunque cosa contate fino a 100.

leone Calo energetico. I progetti vanno avanti, protetti dagli astri, ma se non volete stressarvi dovete impare ad affrontare una cosa per volta.

vergine Il Cielo vi fa belli. Venere amica. Aumento degli appetiti sessuali e del fascino erotico. Maggiore attenzione tra il 3 e la mattinata del 4 febbraio.

bilancia Attenti a quello che dite. Fraintendimenti nella gestione dei rapporti sentimentali. Insolito aumento degli appetiti sessuali. Ipersensibili.

scorpione Se avete il coraggio cavalcate l’onda e avrete l’opportunità di fare strike. Colpi di fulmine. Vittoria o facile risoluzione di una vertenza legale. Riposo.

sagittario Grazie a una magnifica Luna avrete l’opportunità di realizzare qualcosa di bello. Geniali i nati nella seconda decade aiutati dal trigono con Urano.

capricorno Venere è con voi. Rivoluzione copernicana per la vita sentimentale. Colpi di fulmine e/o rotture improvvise. Vvaci i nati nella seconda decade.

acquario Creatività e progetti a lungo termine sono i vostri compagni di viaggio. Marte rende irascibili i nati nella seconda decade. Fate una cosa alla volta.

pesci Revisione dei vostri progetti. Possibili errori di valutazione. Impegnative le giornate comprese tra il 3 e il 5 febbraio. Imprevisti sul lavoro.


Gioca e vinci con Ticinosette 1

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 7

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate il numero 0901 59 15 80 (CHF 0.90) entro giovedì 4 febbraio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 2 feb. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. L’autore di “Gente qualunque” • 10. Il tesoro dello Stato • 11. Uno a Zurigo • 12. Antonio, liutaio • 14. A volte è vietata • 15. Superfici • 16. Ente Turistico • 17. È famoso quello du Thriomphe • 18. Passeggiata • 20. Profumano • 22. Lo sono gli eventi rosa o azzurri • 24. Il pronome dell’egoista • 25. Un’incognita • 28. Un combustibile • 30. L’antico Eridano • 31. Uno a Londra • 32. Nel centro di Como • 33. Tinta • 35. Lago losannese • 37. Roghi • 39. Il mitico aviatore • 40. Golfo arabo • 42. Tribunale da ricorso • 43. Giganti mitologici • 44. Adipe • 46. È composto da dodici mesi • 47. Sala di proiezione • 50. Fiume francese • 51. Un ottimo vino rosso • 52. Il dittongo del poeta. Verticali 1. Imponente opera per voci e orchestra di Janacék • 2. Campicello coltivato • 3. Il generale di Giustiniano • 4. Quelli di pace pongono fine alla guerra • 5. Ama Radames • 6. Il pronome che ci riguarda • 7. Il figlio di Atamante e di Ino • 8. Circolavano in Italia • 9. Puntura • 13. Dilatazioni venose • 17. Le iniziali della Frank • 19. Due romani • 21. Quartiere cittadino • 23. Un grosso mammifero • 26. Privi di compagnia • 27. Il nome della Berté • 29. Un letto sospeso • 34. Pesce prelibato • 36. Parte navale • 38. Fa la forza • 41. Il nome di Morricone • 45. Fra due fattori • 48. Italia e Malta • 49. Cuor di cane.

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Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!

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La soluzione del Concorso apparso il 15 gennaio è: TRUCCARE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Fiorenzo Albisetti 6830 Chiasso

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â„– 5 del 29 gennaio 2016 ¡ con Teleradio dal 31 gen. al 6 feb.


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