Ticino7

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24 numero

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L’appuntamento del venerdì

05 VI

09

Boxe REPORTAGE

AGORÀ

Cia e prigioni SOCIETÀ

Fine del mondo SALUTE

Ortoterapia

Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Giornale del Popolo • Tessiner Zeitung

CHF. 2.90

con Teleradio dal 7 al 13 giugno


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Weight Watchers. Perché dimagrire insieme è più facile. Per le riunioni Weight Watchers chiama il numero 0848 188 188 o consulta il sito www.weightwatchers.ch I marchi commerciali Weight Watchers e POINTS ® sono concessi in licenza d’uso da WW Foods, LLC e Weight Watchers International, Inc.

Per i piccoli peccati di gola.

Weight Watchers. Per una vita in perfetta forma.


numero 24 5 giugno 2009

Impressum Tiratura controllata 90’606 copie

Chiusura redazionale Venerdì 29 maggio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Agorà Cia. Oltre Guantanamo: una vecchia storia

DI

FABIO MARTINI

..........................

Società Una voglia pazza di fine del mondo

DI

MARIELLA DAL FARRA

Salute Ortoterapia. Io mi curo con la natura

DI

ANTONELLA SICURELLO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Vitae Oscar Realini

DI

NICOLETTA BARAZZONI

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P. GALLI; FOTOGRAFIE DI R. KHATIR . . . . . . . . . . .

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GIANCARLO FORNASIER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

43

Reportage Boxe. Pugni che volano veloci

DI

Tendenze Auto e cinema. Two-lane Blacktop

Redattore responsabile

DI

Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Ricardo Silva Ramos, campione svizzero, 64 kg Fotografia di Reza Khatir

I pugni del nemico “La solitudine fa crescere la paura, Dragan, e ci inventiamo un nemico comune per credere di essere uniti e solidali. In realtà siamo solo capaci di un individualismo collettivo. Più ci sentiamo soli e più ci aggrappiamo a idee astratte e vaghe come identità, altra parola divenuta buona per nascondere tutte le avarizie, tutti gli egoismi. L’identità la pensiamo, ma poi non la pratichiamo. La impugniamo come un bastone contro gli altri, ma non la frequentiamo nemmeno con quelli come noi. Identità significa pensarsi uguali a qualcun altro. Ma facciamo di tutto per essere diversi gli uni dagli altri”. È in libreria da pochi giorni La macchia della razza, un libro/lettera aperta dell’antropologo Marco Aime a un bambino rom di nome Dragan. Una riflessione, uno sforzo che mira a far comprendere – a coloro che ancora non sanno farsene una ragione – il tanto e ingiustificato odio che pare essersi riversato su chi oggi cerca speranza e futuro volgendo lo sguardo ai paesi più ricchi d’Europa. Le parole che vi abbiamo proposto sono l’inizio dell’ultimo capitolo, un estratto che l’inserto tuttoLibri del quotidiano “La Stampa” aveva anticipato nella sua edizione del 23 maggio scorso. La solitudine, il nemico, l’individualismo, l’identità sono sostantivi che in modo sempre più pressante – e forse quasi inconsapevole – ci troviamo a leggere, sentire e pronunciare quotidianamente. Questi stessi quattro vocaboli sono il filo conduttore del numero che vi apprestate a sfogliare: il nemico, spesso presunto e da cercare assiduamente, quello che fa volentieri rima con paura e che ha giustificato la nascita di agenzie come la Cia e la pratica delle torture quale fonte della verità (vedasi l’articolo del collega Martini dedicato al caso Guantanamo). E come non riflettere sull’assoluta mancanza di vere identità e di speranza

verso un futuro migliore, le stesse che portano a ipotizzare noiose e quanto mai inflazionate fini del mondo (possibilmente da vivere tutte in diretta, come ci ricorda Mariella Dal Farra). Ma identità e solitudine sono le protagoniste anche di Two-lane Blacktop (la pellicola che abbiamo voluto segnalare nella rubrica Tendenze), senza alcun dubbio una storia esemplare e per nulla scontata – di quasi quarant’anni or sono... – che fa del viaggio una metafora della fuga e dove la sfida è una strada costruita sulla ricerca degli altri e la speranza in un futuro comune diverso. Sì, proprio quel bisogno di identità, eludendo finalmente la trappola del ruolo quale contenitore dell’umanità. Chi sono i veri nemici e i mali globali? A fugare qualsiasi dubbio e a ricordarci dove abita la perfidia umana ci pensano la testimonianza e le lacrime di Oscar Realini in ricordo dei desaparecidos argentini. Loro sono i protagonisti del nostro Vitae, l’ennesima dimostrazione – se ve ne fosse bisogno – che senza la speranza e la lotta per un mondo migliore la strada davanti a noi sarà sempre un vicolo cieco. “Coltiva il tuo orto” esortava Voltaire allo sprovveduto Candido, lo stesso consiglia Antonella Sicurello a tutti noi. Una terapia del corpo e dello spirito… perché fuori dal nostro orticello il mondo è “brutto e cattivo”. Come lo straniero/nemico, esatto. Chissà che l’esempio dei pugili (mirabilmente ritratti nelle parole di Paolo Galli e negli scatti di Reza Khatir), giovani che credono nelle loro possibilità e si battono (rispettando l’avversario...), non possa essere l’esempio più credibile di un’umanità che invece di chiudersi nell’angolo del ring abbia il coraggio di aprirsi e giocare, lottare, affinché “la macchia della razza scolori, per poi un giorno sparire per sempre” (M. Aime). Buona lettura, Giancarlo Fornasier


Oltre Guantanamo: una vecchia storia

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I

l “problema” Guantanamo rappresenta – e a buona ragione – una delle preoccupazioni principali del presidente Obama. Il tema ha occupato l’agenda presidenziale fin dall’inizio del suo mandato che ha fra i suoi principali obiettivi proprio quello di ricostruire un’immagine più civile e positiva degli Stati Uniti nel mondo. È del resto degli ultimi giorni la pubblicazione delle fotografie delle torture compiute sui prigionieri nonché il susseguirsi delle dichiarazioni del presidente americano – con conseguenti reazioni a distanza del leader dei repubblicani, l’ex vicepresidente Dick Cheney, sostenitore a oltranza della linea dura voluta da Bush – riguardo le sorti dei terroristi presenti nel “lager” collocato nella base statunitense di Cuba, una grande macchia nella storia dei “civilissimi” Stati Uniti. Non vogliamo però entrare qui nel merito delle riflessioni e delle analisi, spesso acute, espresse sulla stampa nazionale e internazionale, relative all’atteggiamento più flessibile di Obama, che se da un lato sta tentando di recuperare terreno sul piano dei diritti civili, dall’altro si vede costretto a mantenere un atteggiamento “forte” visto l’accresciuto coinvolgimento della sua amministrazione nella lotta al fondamentalismo islamico in Afghanistan e soprattutto in Pakistan.

Soluzioni “speciali”

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Agorà

Lo “scandalo” di Guantanamo, i voli e le prigioni clandestine della Cia, di cui si è con grande impegno occupato Dick Marty, rappresentano uno dei grossi nei con cui si sta confrontando proprio in queste settimane l’amministrazione americana guidata dal neo presidente Barack Obama. Ma questi metodi hanno in realtà una storia e una “tradizione” ben più radicata e consolidata, che affonda le sue radici ai primordi della Guerra fredda

In realtà, come ben sappiamo, Guantanamo ha rappresentato solo la punta dell’iceberg di un vasto sistema di centri di contenzione e tortura gestiti dalla Cia, variamente distribuiti sul pianeta. Il velo su questo “sistema” si alza il 2 novembre

del 2005, con un articolo del “Washington Post” basato su dati forniti dall’Osservatorio dei Diritti Umani (Human Rights Watch), in cui si denunciava l’esistenza di una serie di prigioni segrete della Cia situate in alcuni stati dell’Europa centrale e orientale. Non venivano fatti “nomi” anche se l’Osservatorio parlava apertamente di Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Georgia e Armenia. Le smentite da parte dei governi interessati non tardavano ad arrivare e la vicenda iniziava ad assumere dimensioni internazionali grazie anche all’instancabile e tenace impegno di Dick Marty, consigliere agli Stati e chairperson del Legal Affairs and Human Rights. Nei suoi due rapporti del 7 giugno 2006 e del’8 giugno 2007, Marty metteva in luce “la ragnatela dei voli degli aerei Cia in Europa (…) e l’esistenza dei centri di detenzione segreti in Polonia e Romania oltre al programma speciale contro i terroristi di alto valore”. Un impegno analogo, teso a far chiarezza su queste gravi violazioni del diritto, veniva condotto presso il Parlamento europeo a Strasburgo, dove a larga maggioranza si approvava la relazione della commissione d’inchiesta presentata dall’eurodeputato italiano Claudio Fava, che raccoglieva tutte le prove delle operazioni illegali condotte dagli agenti americani in Europa nell’ambito della lotta al terrorismo. Un’argomento certo inquietante se si pensa alle scoperte di Amnesty International che ancora nel 2005 rivelava come i sei aeroplani usati dalla Cia per le consegne di prigionieri avessero effettuato circa 800 voli da e per l’Europa, inclusi 50 atterraggi all’aeroporto irlandese di Shannon. O al fatto che,


Un’idea brillante Il termine tecnico utilizzato per definire le operazioni di prelevamento, trasferimento e contenzione dei terroristi è “extraordinary renditions”, espressione in cui l’aggettivo straordinario intende suggerire una condizione di assoluta eccezionalità tale da avvallare la totale elusione dei diritti e delle garanzie necessarie dovute ai prigionieri. Certo c’è stato l’11 settembre, la guerra ad Al Qaeda e all’Iraq di Saddam… ma la storia è in realtà molto, molto più vecchia e molto, molto meno eccezionale di quanto non si pensi. Dobbiamo risalire ai primi anni della Cia, e precisamente al 1948, quando Richard Helms – che dell’agenzia di intelligence americana diverrà il direttore negli anni caldi della guerra in Vietnam – dirigeva la stazione di Berlino. Fu in quel contesto che venne elaborato il progetto di una rete di prigioni clandestine in cui rinchiudere i sospettati di doppio gioco e gli agenti stranieri catturati per estorcere

loro, attraverso metodi di confessione brutali, informazioni e nomi di agenti infiltrati.

Tutto concesso… Le prime prigioni segrete furono create in Germania, in Giappone e nella Zona del Canale di Panama, dove in basi militari statunitensi erano stati creati complessi carcerari concepiti per questo tipo di attività. Le prigioni divennero operative intorno al 1950 e i primi “ospiti” furono due esuli russi trasferiti dalla Germania oltre a quattro agenti nordcoreani sospettati di fare il doppio gioco (il conflitto con la Corea era da poco iniziato). Tom Polgar, ex agente Cia della base di Berlino in una recente intervista (2005) rilasciata a Tim Weiner, corrispondente del “New York Times” ed esperto di faccende di intelligence (Cia, Rizzoli 2008) dichiarava che nella Zona “tutto era permesso, proprio come a Guantanamo”. Del resto lo stesso Helms insegnava ai suoi sottoposti di non fidarsi mai di un agente straniero “a meno di possederne l’anima e il corpo”. Il programma di interrogatori, definito Artichoke (carciofo), oltre a tecniche di tortura più “tradizionali” prevedeva un ampio e sistema-

tico utilizzo di sostanze stupefacenti come Lsd, eroina e anfetamine come documenta un rapporto consegnato alle eminenze grigie dell’agenzia Allen Dulles e Frank Wisner. Le prime sperimentazioni erano state compiute su sette ignari prigionieri di un penitenziario del Kentucky a cui fu somministrata Lsd per settantadue giorni di seguito: come ben suggerisce Weiner “quegli uomini furono pedine sacrificabili nella guerra per sconfiggere l’Unione Sovietica”. Quando qualcosa a riguardo cominciò a trapelare, gli alti funzionari dell’agenzia (Helms incluso) cercarono di distruggere ogni documentazione a riguardo per evitare che “la cosa” divenisse di pubblico dominio. Nonostante ciò, dalle prove raccolte dalla Commissione del Senato istituita per indagare su questi fatti si evidenzia che il programma di interrogatori e contenzione Artichoke e la sua prosecuzione, denominata Ultra, furono al centro di riunioni per molti anni – a partire dal 1951 – e coinvolsero sia l’Ufficio sicurezza che l’Ufficio servizi medici dell’agenzia (Rapporto della Commissione senatoriale ristretta sull’intelligence, appendice I, 3 agosto 1977). Ancora una volta, niente di nuovo sotto il sole…

» di Fabio Martini; illustrazione di Micha Dalcol

come ricorda lo stesso Fava, “il volo che trasportava Maher Arar, il canadese sequestrato a New York e portato in Siria, atterrò a Roma”. In altre parole, tutti coinvolti, nessuno escluso.


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Da Meggido (la città dell’Armageddon, in Israele) a Gerusalemme, dal Vaticano a Salt Lake City, passando per Londra – dove intervista Propa-Gandhi, un rapper musulmano – e Amsterdam (dove invece incontra un ministro della First Universal Church of Cantheism, centrata sul culto della marjuana) Maher ci presenta una carrellata di personaggi la cui involontaria comicità è resa dirompente dalla consapevolezza del fatto che si tratta di situazioni reali. Così, apprendiamo dell’esistenza di un gruppo di ebrei “anti-sionisti” che, nel dicembre del 2006, sono andati a stringere la mano ad Ahmadinejad, concordando con lui sul fatto che lo Stato di Israele non dovrebbe esistere, perché i suoi abitanti non sono abbastanza devoti, mentre alcuni loro correligionari dell’ “Institute for Science and Halacha”*, che in Israele ci vivono, passano il tempo a progettare ingegnosi marchingegni “Sabbath-free” per evitare di

Il nuovo film di Larry Charles, regista di “Borat”, tratta di religione e di fondamentalismo, temi da sempre connessi al timore (o all’attesa) della fine del mondo infrangere i dettami dell’Antico Testamento. Il susseguirsi delle interviste, montate con ritmo serrato e inframmezzate da collage di immagini stile video-clip, acquista sfumature inquietanti quando l’indagine si sposta a Petersburg, Kentucky. Qui, per un costo di circa ventisette milioni di dollari, è stato realizzato un parco a tema preistorico basato sugli assunti della teoria creazionista, dove i primi esseri umani combattono con dinosauri

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sul registro del paradosso, a Maher è sufficiente estrapolare singoli elementi dal loro contesto per ottenere l’effetto comico – “Parli con una persona apparentemente ragionevole e, quando gli chiedi cosa abbia fatto domenica, lui ti risponde che è andato a Messa a bere il sangue del suo Dio vissuto duemila anni fa...” – anche se la maggior parte delle volte lascia che siano i suoi intervistati a fare il lavoro, e bisogna dire che ha gioco facile...

Una voglia pazza di fine del mondo

Società

“C’è solo una cosa che odio più delle profezie – recita Bill Maher nelle prime battute della commedia/documentario Religiolus (2008) – e sono le profezie auto-avverantesi”. Il nuovo film di Larry Charles, regista di Borat, mette subito in chiaro di cosa si parlerà nei successivi centouno minuti: di religione e di un’eventualità che da sempre (ma soprattutto ora vista la deriva fondamentalista) sembra esservi interconnessa: quella della fine del mondo. Religiolus (dalla condensazione dei termini religious e ridiculous), film campione d’incassi negli Stati Uniti durante la scorsa stagione, è costruito attraverso una serie d’interviste che l’attore comico Bill Maher realizza personalmente allo scopo di mettere in evidenza gli aspetti più palesemente irrazionali (e potenzialmente pericolosi) del pensiero religioso presso gli esponenti di diverse confessioni, a partire dalle tre grandi religioni monoteiste. Giocato interamente


Film

Religiolus di Bill Maher e Larry Charles 2009 Film-documentario satirico che si pone come obiettivo quello di mettere in luce gli aspetti assurdi e irrazionali dei principali movimenti religiosi. A metà strada tra Borat e un prodotto in stile Micheal Moore.

Libri

Antonio Scurati Il bambino che sognava la fine del mondo Bompiani, 2009 Con un romanzo costruito sulla testimonianza diretta dell’autore-personaggio, Antonio Scurati in Il bambino che sognava la fine del mondo dà vita a una feroce critica del mondo dei media, ma anche al racconto, commosso e partecipe, di una società regredita ai territori dell’infanzia.

Società

7

» di Mariella Dal Farra

animatronici e hanno caratteristiche somatiche identiche a quelle attuali. L’inquietudine vira impercettibilmente verso la paura quando il nostro eroe approda a Salt Lake City, e la troupe viene costretta ad allontanarsi dalla piazza in cui si erge il goticissimo Tempio Mormone. Di fatto, i mormoni sono gli unici con cui Maher non riesce a parlare, fatta eccezione per due ragazzi fuoriusciti – nel vero senso della parola, poiché sembra che l’abbandono della fede implichi presso queste comunità l’espulsione dalla sfera familiare, affettiva e sociale – dai quali apprendiamo che, secondo il loro testo sacro (The Doctrine of Covenants, scritto dal fondatore Joseph Smith) la pelle scura è una maledizione di Dio, ma se i neri si sforzano di redimersi, allora è possibile che diventino un po’ più bianchi. Maher riserva gli affondi più decisi alla parte finale della pellicola, quando i suoi interlocutori, messi alle strette dall’irresisitibile parlantina del comico, ammettono in maniera più o meno esplicita di attendersi, in qualche caso con trepidazione, che la fine del mondo si realizzi in tempi brevi, possibilmente all’interno del proprio arco di vita. Ed è in quel momento, dopo avere riso scompostamente per un’ora e mezza, che la serietà della situazione si rivela allo spettatore senza mezzi termini. Citando le ultime battute di Maher, “Il vero problema è che abbiamo sviluppato le armi di distruzione di massa prima di scoprire il modo di curare quel particolare disturbo neurologico che ci porta a desiderare la distruzione di massa”. Maher conclude con un ammonimento: “Grow up or die” (cresci e muori). E sui titoli di coda rimaniamo a chiederci se non sia ormai troppo tardi per crescere. Note * Il termine Halacha si riferisce al complesso delle norme codificate della legge ebraica derivato dalle regole del Talmud A lato: una xilografia di Albrecht Durer (1471–1528) per l’Apocalisse (Antico Testamento) di Giovanni di Patmos


Internet

www.htsa.ch L’associazione Horticultural Therapy Swiss Association di Lugano organizza anche corsi di formazione nell’ambito dell’ortoterapia: dal 14 al 16 settembre (corso base) e dal 19 al 21 ottobre (corso avanzato).

Per il momento mancano i fondi per portare a termine i lavori necessari, ma speriamo di riuscire al più presto a iniziare l’attività”. Che lo stare nella natura sia un toccasana per la salute è comunque fuor di dubbio. Spesso è sufficiente fare una passeggiata nel bosco, potare le piante o raccogliere le verdure dell’orto per rilassarsi e ritrovare il sorriso. “L’uomo ha bisogno del verde”, sottolinea Zollinger-Lorini. “L’ortoterapia non è utile solo ai malati o ai diversamente abili. Il giardinaggio e la coltivazione dell’orto possono avvicinare alla natura anche i bambini, che spesso non sanno neppure dove e come cresce una patata o un ciclamino”. Per creare un angolo di verde non servono grandi spazi. “Sul balcone, per esempio, si può seminare un bulbo in un vaso, seguire la crescita del fiore e poi prendersene cura”. Se si vuole soddisfare oltre alla vista il palato, si possono coltivare gli aromi, come il basilico, la menta o il rosmarino, oppure i pomodori o l’insalata. Un modo per risparmiare sulla spesa e per riscoprire il piacere del cibo biologico. Così deve Fare giardinaggio e coltivare l’orto sono un aver pensato anche il toccasana per la salute. Se ne sono accorti gli sindaco di Londra, Boamericani, che da anni praticano l’ortotera- ris Johnson, prima di proporre ai suoi cittapia anche nelle strutture ospedaliere. Anche dini, previo incentivo in Ticino si stanno muovendo i primi passi economico, di trasformare balconi e terrazze salinghe, medici, architetti e in giardini pensili in vista delle Olimpiadi docenti”. Il passo successivo del 2012. Due gli obiettivi da raggiungere: sarà quello di ripristinare lo rendere più colorata la metropoli sul Tamigi spazio verde del centro More produrre prodotti locali per diminuire i chino, sede dell’Hts. “È una costi di trasporto e quindi l’inquinamento. terrazza sul lago di Lugano, A pensarci bene, riappropriarsi del verde può ideale per attuare l’ortoterapia. avere svariati lati positivi...

» di Antonella Sicurello

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e non terapeutico, visti gli elevati costi per realizzare e mantenere un giardino o un orto”. Oltre Gottardo, invece, è già una realtà. “Alla clinica Reha di Bad Zurzach i malati cronici e con problemi neurologici sono curati con la Gartentherapie”, afferma. “Questa terapia rientra in un progetto pilota a livello svizzero, che permetterà di capirne e certificarne i benefici dal punto di vista medico”. L’obiettivo dell’associazione ticinese è invece quello di informare sull’aspetto terapeutico del prendersi cura del verde. “Il primo corso si è tenuto a marzo, il prossimo è previsto in autunno ed è aperto a tutti: personale sociosanitario, giardinieri, ca-

Io mi curo con la natura

come avrebbe commentato Hermann Hesse l’ultima trovata da poco arrivata sul mercato: un robot-giardiniere in grado di potare le piante e prendersi cura dell’orSalute to. Lui, che a Montagnola aveva riscoperto la bellezza della natura e sosteneva che occuparsi del giardino e della terra “può conferire all’anima una liberazione e una quiete simili a quelle della meditazione”, avrebbe sicuramente storto il naso di fronte a questa nuova diavoleria robotica. Sebbene zappare, seminare e potare siano attività non certo leggere, delegarle a una macchina pare proprio esagerato. Soprattutto ora che con l’ortoterapia si stanno riscoprendo i benefici psicofisici dello stare in mezzo alla natura, tra fiori multicolori, piante sempreverdi e ortaggi di ogni genere. Questa terapia alternativa, che da anni negli Stati Uniti è utilizzata persino negli ospedali, si sta lentamente diffondendo anche in Ticino. “È stata introdotta in alcune case di cura”, sostiene Milena Zollinger-Lorini, di professione fiorista e presidente dell’Horticultural Therapy Swiss Association (Hts) di Lugano. “Lo hanno fatto però solo a livello ricreativo

Cristina Borghi Il giardino che cura Giunti, 2007 Osservare la natura, vivere nel verde, occuparsene attivamente, diventa fonte di guarigione: risvegliando il medico che è in noi, il verde ci aiuta a recuperare e a mantenere la salute.

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Chissà

Libri


» recente ma di grande attualità, il libro di Anders Stephanson prende in esame il fenomeno del nazionalismo americano alla luce di quanto è successo nel Medio Oriente. L’autore analizza, e descrive, su un asse temporale e su due periodi storici precisi “l’evidente paradosso di un particolare (e particolarmente vigoroso) nazionalismo che si attribuisce un ruolo non solamente profetico, ma anche universale”. Stephanson introduce la definizione di “destino manifesto” spiegando che fu coniata nel 1845 da John O’Sullivan, editorialista politico molto influente per incoraggiare lo spirito espansionistico del suo paese nel momento in cui avveniva l’annessione del Texas e dell’Oregon agli Stati Uniti

con il conseguente sterminio e genocidio degli indiani. Nel suo prologo l’autore non esita a precisare che il concetto di destino manifesto non è stato la causa della decisione di scendere in guerra contro il Messico o la legittimazione dell’attacco all’Iraq. A prescindere da questa puntualizzazione iniziale, che solleva altre ipotesi sul ruolo intrinseco del compito divino che gli Stati Uniti si sono dati, Stephanson ci spiega le ragioni e le esternazioni del presidente Clinton che ha sempre condiviso l’idea della missione intesa come la “caratteristica di versioni liberali di un nazionalismo benigno”. L’autore ripercorre anche alcune posizioni del presidente Bush che nei suoi discorsi, preceduti da confessioni senza in-

termediari, ha spesso invocato Dio, assumendo la guida morale del suo paese. Stephanson sostiene le sue tesi, avvalendosi di un’osservazione storica che mette in contrapposizione le lotte per il bene e per il male, con gli Stati Uniti da una parte e il resto del mondo dall’altra con cui si spiega il fatidico: o con noi o contro di noi. Il diritto di ingerenza che gli Usa si sono assunti appare infatti intrinsecamente connesso al concetto di redenzione e di salvezza radicato nella mentalità americana. La visione statunitense sembra dunque riconducibile a una realtà identitaria fondata su principi e valori incontestabili, che si è autoriprodotta nei secoli, a partire dalle prime conquiste e dall’espansionismo per arrivare

Anders Stephanson Destino manifesto. L’espansionismo americano e l’Impero del Bene Feltrinelli, 2004

» di Nicoletta Barazzoni

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ai giorni nostri, perpetuando nei secoli un’idea di eccezionalismo messianico.

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» testimonianza raccolta da Nicoletta Barazzoni; fotografia di Igor Ponti

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dove venivano effettuate le torture. Se ti trovavano con un volantino della sinistra, non era importante essere militante, ti arrestavano, requisivano la tua agenda e risalivano ai nomi dei conoscenti, innescando una catena di sequestri. In quelle circostanze non ero di certo coraggioso. La popolazione argentina non ha reagito, in parte per incredulità a un simile terrorismo di Stato, e in parte per terrore di finire in un campo di detenzione. L’epoca dell’orrore è stata ripercorsa dai grandi della cinematografia argentina: Marco Bechis con Garage Olimpo e Hijos. O con Héctor Dopo aver visto l’elezione di diciannove Olivera in La noche de los lápipresidenti, tra colpi di stato e destituzioni ces. Attraverso le loro opere il mondo intero ha capito e malgrado l’orrore di quegli anni, ha sa- che cosa è successo in quegli puto mantenere il sorriso. Nonostante la anni. Sono storie di migliaia tragica esperienza della dittatura militare di desaparecidos, di ragazzi non ha mai smesso di credere nel futuro requisiti per avere chiesto l’abbonamento scolastico del trasporto pubblico. Potessi Ma ci sono altre forme di ditpuntare, non la pistola, ma il dito contro tatura più sottili. Non ho mai qualcuno lo farei, come tanti sudamericani, militato per una questione di contro gli Stati Uniti. O contro l’Operativo sicurezza e per non rischiare Condor promosso dalla Cia, che era stato la vita dato che avevo moglie attuato per lottare contro i comunisti. Non e due bambini. volendo un’altra Cuba in Sudamerica, ameNel clima di sospetto, di inricani e dittatori, hanno riunito le forze per certezza e delazione, mi alindebolire il paese mentre la giunta militare zavo il mattino, come nelle si arricchiva alle spalle del popolo. In tutta situazioni estreme, ponenla mia storia in terra argentina credo di domi come unico obiettivo avere avuto un vantaggio legato al fatto che quello di sopravvivere… giormia mamma era scrittrice. Questo mi ha no dopo giorno, cercando di dato forza: penso alla scrittrice e poetessa non perdere la speranza, e ticinese argentina Alfonsina Storni. Spesso lasciando scorrere la vita. mi ripeto: nunca mas (mai più, ndr.). Tutto Ho fatto il servizio militare questo non deve più succedere. La memoria obbligatorio ne La Escuela deve servire affinché le stesse atrocità non de Mecánica de la Armada, la abbiano a ripetersi. scuola dei sottoufficiali della Cosa dimenticare dell’Argentina? – l’emomarina argentina. All’epoca zione si scioglie in lacrime; riprende, redell’Alleanza anticomunista spirando profondamente per contenere argentina – la famosa tripla la sofferenza ancora molto vivida, ndr. A, che era il gruppo parami–... dico che no, non dimenticherei nulla. litare dell’estrema destra –, Tutta quella gente… Non saprei cosa potete ci veniva insegnato a canimparare voi da chi, come me, ha vissuto cellare qualsiasi segno che questo dolore. Anche adesso in epoca di avesse a che fare con il rosso. crisi globale sono ottimista. Mi aspetto che Ci addestravano dicendo: se la gente non viva solo il presente ma guardi vedete qualche cosa che si anche al passato anche gli argentini tendomuove, non chiedete nulla: no a rimuovere quello che hanno vissuto. sparate, e dopo chiedete. La Ma il futuro non dovrà assomigliare mai Escuela de Mecánica de la al passato, che dovrà servire al mondo per Armada era uno dei tanti riconoscere il presente. Tornerò in Argencampi di concentramento tina para no volver…

Oscar Realini

Vitae

ono nato a Buenos Aires nel 1950. La mia famiglia d’origine si è trasferita in Argentina nel 1904. Mio nonno, ticinese, partì da Ligornetto insieme a molti altri emigranti nella speranza di un futuro migliore. Ho vissuto direttamente gli anni della dittatura che ha piegato con la forza la popolazione argentina, sottomettendola fisicamente e intellettualmente. Un’esperienza iniziata sin da bambino in un’epoca in cui il senso di insicurezza, di precarietà e di paura erano all’ordine del giorno. Vivevo questi stati d’animo, difficili da spiegare a parole, con il desiderio di andare contro questa situazione. Ma opporsi al regime significava rischiare la vita e soprattutto esporre le persone che si conoscevano, soprattutto i familiari e gli amici. In quegli anni di altissima tensione ero iscritto all’università. Studiavo architettura in un atelier frequentato da architetti socialisti. Molti miei compagni di studi sono stati perseguitati solo perché volevano portare avanti l’idea di un’architettura più sociale, perché si frequentavano persone che il regime riteneva sospette o perché semplicemente si esprimeva non tanto un’opinione ma anche solo un gusto per qualche cosa. Questi compagni, assieme a tanti altri impegnati nella lotta contro la dittatura, sono tristemente conosciuti come i desaparecidos. Stiamo parlando di trentamila persone scomparse che venivano rapite senza motivo. Era questa la politica dei militari per destabilizzare e diffondere il terrore. Non so se è possibile capire cosa sia successo realmente. Gli argentini da tutto questo si proteggevano come potevano. Si dubitava di tutto e di tutti. Le immagini delle persone che venivano gettate in mare dagli aerei, narcotizzate ma ancora vive, non sono barzellette: sono realtà. Solo Silvio Berlusconi ne ride...

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BoxeClubAscona

PUGNI CHE VOLANO VELOCI

Le affascinanti storie dei pugili ticinesi e di chi li allena con devota passione. Vicende che narrano di bambini, ragazzi, uomini e donne, dei loro ganci e dei loro montanti, dei loro passi rapidi. Nessuna traccia della disperazione e del fatalismo di Rocky Graziano… questi sono pugili dagli occhi gentili e le loro strade sono pulite. E poi all’angolo c’è Federico, quello dei consigli, quello che assorbe tutto. Colpi e rabbia di Paolo Galli; fotografie di Reza Khatir


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edico questo libro ai pugili arrivati e a quelli mancati. A tutti gli atleti che nello sport credono di aver trovato la via di scampo. Agli uomini che nella vita cercano se stessi, per tutta la vita. A coloro che credono di aver trovato la loro «strada», ma che per il solito imprevisto la perdono”. Tiberio Mitri, peso medio italiano anni Cinquanta. Un libro, una dedica, la rassegnazione di un pugile destinato a soccombere sotto i colpi della vita. La stessa rassegnazione di tanti altri pugili noti, ritrovata in tanti altri racconti. Da Rocky Graziano in giù. Paul Newman interpretò Rocky nel 1956. “You know, I’ve been lucky. Somebody up there likes me”. E la devota moglie Norma: “Somebody down here too”. La propria vita affidata a qualcuno lassù, una sorta di disperato fatalismo, nascosto nei guantoni e sotto occhi pesti, nasi gonfi e sangue che sgorga. Il mito della boxe è questo. La boxe è la fatica, così lontana dall’alone “fighetto” del calcio o dalle pantomimiche scazzottate dell’hockey. Ci hanno appena spiegato: “Sapete perché nelle risse dell’hockey i pugni alla fine non fanno male? Perché non si ha il controllo dei piedi”. Arriva tutto da lì, da piedi che si muovono veloci sulla terra ferma, non sul ghiaccio. La terra come elemento fondamentale della boxe. Un mito appunto che si perde nella sua concretezza terrena. Boxe, fiato che viene a mancare, il limite dell’estremo su cui danzare. Piedi che ballano, pugni che volano


veloci. Il guantone ben stretto addosso alla mano. La palestra vive di salti e sudore, ganci e montanti, diretti e sventole. C’è l’allenatore, il cuore, il motore. Un allenamento dura due ore, e tutti i colpi li prende lui: Federico ne ha assorbiti tanti che ricordarseli tutti è ormai impossibile. Lui sta lì al centro del ring, con due cuscinetti imbottiti per difendere i palmi delle mani, due bersagli in movimento. Forza, a chi tocca? Si comincia da dove si ha paura di finire, dai fulmini di Andrija, il peso massimo, l’amico che vorresti avere sempre al tuo fianco, il nemico più temibile. Una, due, tre, quattro riprese di movimenti e consigli soffusi. Strategia che affini istinto e rabbia. Andrija, colosso dagli occhi gentili. Federico sorveglia, non perde nulla, è concentrato. Si cambia, è il momento di Ricardo, del campione svizzero dei dilettanti. Tra le corde è un vero e proprio ballerino, felpa con cappuccio tirato su, ma poi si accorge che fa caldo e lascia che i riccioli facciano capolino. Pochi minuti, pausa, via la felpa. Altri attimi, pausa, via anche la seconda maglietta. In palestra il look non ha scopo, non ci potrebbe essere sicurezza più effimera. Da Andrija a Ricardo, passando per Marzio e Marko, aspettando la star, Ruby, una stella che brilla sul serio, il leader gentile. La boxe in Ticino non è solo Ruby Belge, ma a Ruby deve tanto. Gambe che saltano corde, pugni che colpiscono aria e sacchi, flessioni e addominali, corse, tutto gira veloce nella palestra di Ruby. E poi tra i campioni presenti e passati – molti dei quali assistono Federico

in alto a sinistra Lia Breda ripresa in due fasi dell'allenamento. La boxe è uno sport anche per “femminucce”... foto grande il riscaldamento prima di indossare i guantoni nelle altre foto piccole alcuni momenti di confronto sul ring prima di reportage (p.35) Andrjia Petric, campione svizzero 2007 in copertina Ricardo Silva Ramos medaglia d'oro dell'ultimo torneo di Londra 2009


con commovente passione –, trovano spazio persino quelli di un distante futuro, due undicenni, seri seri, con la faccia da piccoli duri e pugni che saprebbero già far male vero. Il leggendario Boxe Club Ascona è tutto ciò e racconta storie che catturano, di ragazzi che la loro strada l’avevano trovata anche senza la boxe, ma che grazie ad essa la difendono con più fiducia, consci di poter abbattere anche eventuali imprevisti. In questa palestra riaffiorano le parole del povero Tiberio Mitri, ma l’impegno e la serietà che vi si respirano, mascherati da aria pesante, fanno capire come la boxe, da queste parti, non sia una via di scampo, ma solo tanta passione ■ 50 ANNI DI STORIA Il 2007 è stato l'anno dei festeggiamenti del Boxe Club Ascona. Mezzo secolo di storia, culminato con il titolo mondiale tra i professionisti ottenuto da Roberto Belge. Nel 2008 gli iscritti alla palestra erano 80 tra ragazzi e ragazze in una fascia di età che va dagli 11 ai 60 anni. Il sodalizio del presidente Michele Barra accoglie non solo pugili, ma anche persone che hanno il piacere di allenarsi in compagnia.

in questa pagina Federico Beresini, primo allenatore, in due momenti con i suoi giovani campioni foto grande a destra Dino Tokic, 11 anni, promessa della boxe giovanile



Laurie Bird 1953–†1979

Warren Oat Oates 1928–†1982

Dennis nnis Wilson 1944–†1983

James Taylor ylor 1948

% LA TRAMA % Il Pilota e il Meccanico girovagano per le strade del sud-ovest degli Stati Uniti con la loro Chevrolet, alla ricerca di auto contro cui gareggiare in competizioni clandestine. Nel loro peregrinare incontrano la Ragazza (che avrà una relazione con ognuno dei tre protagonisti). Ma tutto il film ruota attorno all’incontro con GTO – dal nome del modello della sua Pontiac gialla, a destra – e alla sfida su chi per primo raggiungerà Washington D.C.


Two-lane Blacktop UNA STORIA DI SILENZI, AUTO E CORSE

ovvero GTO, il Meccanico, la Ragazza e il Pilota

I due piloti si scrutano, un sordo ronzio proveniente dai carburatori di una Chevrolet del ‘55 pesantemente modificata lascia la scena a un crescente silenzio. Attorno campi e stalle. Cinguettio di uccellini. Rumore di un finestrino che si chiude. Silenzio. Segnale di partenza: l’auto accellera sobbalzando; dall’interno del veicolo la nuca del Pilota e davanti a sé l’asfalto... Poi le immagini rallentano, progressivamente, lente, sempre più lente, tanto che c’è un solo fotogramma, fermo, quando la pellicola inizia ad annerire. Brucia. Anni ‘70. Tennesse, USA. Con questa scena termina uno tra i migliori road movie di sempre. Diretto nel 1971 da Monte Hellman, il film narra le vicende di The Driver (il cantautore James Taylor), The Mechanic (il batterista dei Beach Boys Dennis Wilson), GTO (Warren Oates) e The Girl (una giovanissima Laurie Bird). Sottovalutato all’uscita, il film cela messaggi profondi, legati in particolare al disincanto di una generazione apparentemente disinteressata alle rivoluzioni culturali dei ‘60. O forse solo delusa. I personaggi non hanno nomi, solo ruoli; non hanno passato o si rifiutano di raccontarlo (The Driver), e quando lo manifestano sono fantasie di volta in volta adattate alle circostanze (GTO: «Ho perso tutto nella mia vita: il mio lavoro, la mia famiglia, tutto. Ero un produttore televisivo...». (The Driver): «Non mi interessa!». «Come non ti interessa?». «Non è un mio problema». Il loro futuro è un traguardo che pare però sempre più allontanarsi anche se tutti i protagonisti sono alla ricerca di qualcosa di nuovo, sempre (The Girl). La pellicola è arida di dialoghi, arida di colonna sonora, arida di personalità emergenti, arida addirittura di trama e di velocità, paradossale per un film che vive sulle gare clandestine. Tutto è dannatamente duro, spigoloso, e Hellman è maniacale nella ricerca di particolari apparentemente insignificanti piuttosto che di un concetto generale forte. Il regista in questo è inarrivabile, riuscendo dove Easy Rider (1969) aveva mancato: raccontare il vuoto di una generazione utilizzando il nulla † DI GIANCARLO FORNASIER

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Emilie, giovane orfana fran-

cese di nobili origini fugge in Germania a causa della Rivoluzione; la accompagna Joséphine, la sua fedele domestica, piena di buon cuore e buon senso ma anche di iniziative sentimentali. A loro si unisce in seguito Madame de Vaucourt, dinamica e navigata nobildonna le cui ricchezze hanno origini oscure e illecite, ma che sarà loro confidente e amica di una generosità senza scrupoli. Tre donne, tre protagoniste. Più una: l’autrice, Isabelle de Charrière (1740-1805), una nobile di origine olandese, anticonformista, brillante e colta, svizzera d’adozione dopo aver rifiutato vari nobili pretendenti sposando

infine il precettore di casa, il vodese Charles Emmanuel de Charrière. Ritiratasi dopo il matrimonio nella campagna presso Neuchâtel, scrive pamphlet su temi sociali e filosofici, sollevando reazioni scandalizzate e provocando l’intervento della censura. Acuta e ironica osservatrice della realtà, pubblica alcuni romanzi, tra cui Tre donne, edito nel 1794. È un mondo tutto femminile di grande modernità quello descritto, dove le protagoniste si mettono in gioco con i propri sentimenti, la propria fragilità ma anche molta intraprendenza e saggezza. Gli uomini – il tedeschissimo e un po’ legnoso Theobald, futuro marito di Emilie, e suo padre, l’accomodante e

non troppo sveglio Barone di Altenorf – restano sullo sfondo. E le tre protagoniste agiscono e si impongono con le proprie scelte, infrangendo qualche stucchevole regola morale in nome dell’amicizia e della generosità di cuore. E per la verità di convenzioni ne infrange anche Madame de Charrière, che mette in bocca ai suoi personaggi le idee dei philosophes, senza pedanteria, ma con uno stile leggero e divertito, che scivola piacevole senza soffermarsi a lungo su nulla. Fino al malizioso finale, in cui due neonati – uno nobile e uno no – sono confusi nella culla, indistinguibili. Chi è nobile e chi no? Al lettore l’invito alla lettura... e l’ardua sentenza.

» di Giorgia Reclari

Isabelle de Charrière Tre donne Armando Dadò Editore, 2008

Abbiamo letto per voi

» illustrazione di Adriano Crivelli

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Astri gemelli

cancro

Dal 7 giugno Marte e Venere marceranno insieme nella vostra seconda casa solare. Possibile incremento delle spese voluttuarie e per vestiti. Notizie in arrivo per i nati nella terza decade.

Salto in avanti della vostra passionalità grazie alla congiunzione tra Marte e Venere nella vostra prima decade. Incontri e situazioni sentimentali importanti si stanno delineando sui vostri orizzonti.

Probabilmente in questo periodo, a causa anche della spinta del ribelle Urano, vi sentirete maggiormente attratti dalle relazioni sentimentali caratterizzate da clandestinità e/o mistero.

I grandi progetti della vostra vita, durante questa fase di giugno, potranno trovare un valido supporto, oltre che nel vostro partner, anche nelle amicizie consolidate di vecchia data. Possibile calo emotivo.

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Dal 7 giugno in poi, la vostra vita affettiva sarà scossa da un passionale tandem tra Marte e Venere nel segno del Toro. I nati nella prima decade potranno diventare vittime di improvvise gelosie.

Recupero della forma fisica durante un viaggio. Incontri sentimentali e nuove situazioni caratterizzate da immediatezza. Crescita improvvisa degli stati passionali per i nati della prima decade.

Aumento dell’erotismo favorito dall’ingresso di Marte e Venere nella vostra ottava casa solare. Possibile arrivo di un inaspettato guadagno per i nati della terza decade caldeggiato dal transito di Mercurio.

Conflittualità in aumento per l’ingresso di Marte, Venere e Mercurio nella vostra settima casa solare. La maggior parte degli effetti di questo passaggio tenderanno a ripercuotersi sulla vostra vita di coppia.

sagittario Cercate di osservare una dieta alimentare più equilibrata, libera da eccessi se volete mantenervi sani e in forma. Altrimenti possibili disturbi intestinali. Calo della voce per i nati di novembre.

capricorno orno Grazie a uno stellium del tutto particolare, caratterizzato dai transiti di Marte, Venere e Mercurio nel segno del Toro la vostra vita sentimentale potrebbe prendere una svolta improvvisa...

acquario I transiti planetari tenderanno ad amplificare le tensioni familiari. Alti e bassi con genitori e fratelli. Evoluzione karmica per i nati in gennaio favorita dal passaggio del nodo nord. Exploit mediatico.

pesci Possibile nascita di nuove relazioni sentimentali e di improvvise passioni all’interno di rapporti fino adesso sorti solamente in funzione delle affinità intellettuali. Condivisione di interessi con il partner.

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Orizzontali 1. Molto dolorosi, tragici • 10. Intacca la vite • 11. Volo acrobatico • 12. È una vicemamma • 14. Antica città mesopotamica •15. Sta per “vino” • 16. Né vostra, né loro • 18. Il nome della Pizzi • 19. Un figlio di Noé • 20. Profondo, intimo • 21. Arnesi dei tessitori • 23. Fucili di precisione • 26. Sauditi • 27. La Mireille del cinema • 29. Placare la sete • 30. Si ripetono in pepe • 31. Tiro centrale • 32. Inquieti, frastornati • 33. Tradisce la patria • 35. Svezia e Thailandia • 36. Cuor di cane • 37. Turchia • 38. Abitavano Cuzco • 40. La belva che ride • 42. Risuona nell’arena • 43. Ha la cruna • 44. Raganelle arboree • 45. Sopra • 46. Avverbio di luogo • 47. Uncini da pesca • 48. Il Ben di Wyler • 49. Le Lipari • 50. Vale a dire.

fenditure • 24. Una conifera • 25. Cabina centrale • 28. La nota Pavone • 30. Giovanni, poeta • 34. Qualità, dote • 39. Dubitativa • 41. Nord-Ovest • 44. Pari in fiamme • 45. Né mio né tuo • 47. Assicurazione Invalidità • 48. Cuor di schivo.

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Verticali 1. Noto successo di Fabio Concato • 2. Far riprendere i sensi • 3. Rammaricarsi, affliggersi • 4. Stazione spaziale sovietica • 5. Carezza affettata • 6. Soprannaturale • 7. Dittongo in giada • 8. Orda di rematori • 9. La uccide Ercole • 13. Negazione • 17. Germoglio • 21. Il Ticino sulle targhe • 22. Rotture,

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» a cura di Elisabetta

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 26

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Errata Corrige Per un problema tecnico sul n. 22 non è apparso il nome di Mimmo Mendicino (autore dell'illustrazione della rubrica Agorà), mentre sul numero 23 il cruciverba (pagina dei Giochi) conteneva degli errori. Ci scusiamo con i lettori.


Honda inventa Insight, la prima ibrida per tutti. Tutti vogliono il bene del pianeta. Ecco perché Honda ha creato Insight, la prima ibrida accessibile a tutti. Insight Hybrid emette solo 101 g/km di CO2 e consuma 4,4 litri di benzina per 100 km. E il suo sistema ECO Assist vi aiuta ad adottare uno stile di guida ecologico.

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www.honda.ch


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