Ticino7

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A La gola: vizio oppure virtù? A Cantautori. Ricordando Fabrizio S Darwin. Nuove scoperte dall’uomo evoluto

L’appuntamento del venerdì

27 XII 08

Il triangolo dell’oro R

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numero 1 27 dicembre 2008

Agorà La gola: vizio oppure virtù?

DI

Arti Cantautori. Ricordando Fabrizio

Impressum

NICOLETTA BARAZZONI DI

FABIANA TESTORI

Luoghi Il Resegone tra storia e letteratura

DI

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ALESSANDRO TABACCHI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tiratura controllata

Scienza Charles Darwin. Nuove scoperte dall’uomo evoluto

Chiusura redazionale

Kalendae L’ultimo dell’anno

Editore

Vitae Renato Guerra

DI

MARCO FERRARI

........

90’606 copie

Giovedì 18 dicembre Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Capo progetto, art director, photo editor

Adriano Heitmann

Redattore responsabile

DI

DI

SAMANTHA DRESTI

Reportage Il triangolo dell’oro Animalia La pulce

DI

FRANCESCA RIGOTTI

DI

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FEDERICA BAJ, FOTOGRAFIE DI ADRIANO HEITMANN. . . . . . . . . .

PIERO SCANZIANI

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Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Concetto editoriale IMMAGINA Sagl, Stabio

Libero pensiero

Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Colata di oro fuso Fotografia di Adriano Heitmann

Gentili lettori, pubblichiamo quanto inviatoci da una lettrice che interviene sul tema della relazione fra i sessi. Data l’ampiezza del testo, che comunque abbiamo dovuto sintetizzare, ci riserviamo di rispondere puntualmente sul prossimo numero. Cogliamo l’occasione per rivolgere a tutti voi un ringraziamento e un sincero augurio di un sereno anno nuovo. La redazione Stimati redattori, mi preme intervenire sulle relazioni fra i due sessi, tema che spesso ha occupato lo spazio riservato ai lettori. Ritengo, innanzitutto che l’umanità sia composta di una parte maschile e di una femminile che sono complementari. In questo senso il due non è la somma di uno + uno, ma la scissione dell’uno… Il maschile rappresenta la vitalità, l’attivismo, la determinazione, l’aggressività, la combattività, la forza; il femminile, la sensibilità, l’emozione, l’intuizione, la ricettività, la sensibilità, la fantasia, la bellezza, la passività, la dolcezza. L’armonia e l’equilibrio dei due sessi sembra stabilita in principio ma, purtroppo, l’evoluzione storica ha voluto altrimenti trasformando la donna nella nemica da combattere. Penso a Eva, a cui, da una prospettiva maschile, si attribuisce il primo gesto di rivolta (e su questo ci sarebbe da riflettere). Oggi la donna sta riprendendo in mano il posto che le spetta, sta recuperando coscienza del proprio valore, del proprio potere, del proprio ruolo. Questo dato di fatto rende gli uomini più insicuri, disorientati, deboli, di fronte alla sempre più marcata ostentazione di sicurezza, di forza e

di determinazione da parte delle donne. I maschi sentono sfuggire di mano il loro primato e non sanno bene come affrontare questo cambiamento se non con l’arma che è loro più congeniale, vale a dire l’aggressività, l’abuso e il sopruso nei confronti delle donne. L’aumento dell’aggressività nella società a tutti i livelli, la tendenza a reagire aggressivamente, l’uso della forza, della prevaricazione rappresentano a mio parere il canto del cigno di questo ciclo patriarcale. Purtroppo, il predominio maschile obbliga la donna a maschilizzarsi, pervertendo la propria femminilità e dunque dimenticando di essere donna. Aggredire, combattere, imporsi, pretendere presuppone avere una forza e delle prerogative che non fanno parte del pianeta femminile. La donna che vuole fare carriera deve dimenticare di essere tale, deve accantonare la sua femminilità, la sua intelligenza emotiva sostituendole con l’aggressività, la determinazione e la forza, tipici del patriarcato. L’osservazione della società non può non evidenziare che si sta assistendo a un’inversione di tendenza, un periodo di transizione, in un certo senso rivoluzionario: lo sfacelo della famiglia, l’aumento esponenziale dei divorzi (che io ritengo una conquista della donna!), non rappresentano forse il recupero del matriarcato di quello spazio di libertà totale cui la donna ha dovuto rinunciare sotto la pressione dei condizionamenti patriarcali? Gli interventi dei lettori confermano una volta di più che il tema è difficile da interpretare perché, come per ogni cosa, c’è sempre un tempo ideale per far sì che questa “cosa” inizi a essere elaborata nell’inconscio collettivo. C.P., Lumino


La gola: vizio oppure virtù?

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Agorà

Peccato o malattia, vizio oppure volano economico? A pochi giorni dal “cenone” alcune riflessioni sulla gola, vizio capitale a cui Francesca Rigotti ha dedicato il suo ultimo saggio tra sociologia e filosofia

L

a lettura del recente libro di Francesca Rigotti dal titolo Gola. La passione dell’ingordigia (Il Mulino, 2008), ha stimolato alcune riflessioni sul modo con cui i mutamenti sociali avvengono non solo attraverso le tanto celebrate nuove tecnologie, ma anche sulla base di alcune attribuzioni semantiche. Queste ultime, nella fattispecie, riguardano i vizi umani legati nel nostro caso alla gola, ai piaceri della tavola, alla necessità del nutrimento e all’arte culinaria e gastronomica. Il principio che sta alla base del libro – che si sviluppa a partire dalle idee espresse nel volume La filosofia in cucina (Il Mulino, 2004), scritto alcuni anni fa dalla stessa autrice –, si fonda sulla prossimità tra il cibo e la parola che scaturisce proprio dal luogo che le concerne entrambe, la bocca, deputata all’ingestione del cibo e al contempo apparato di emissione vocale. Dalle stanze del mondo antico alla “macdonaldizzazione” dalle gesta dei golosi ingordi per vocazione alla gastronomia e agli orrendi banchetti della mitologia, il libro approfondisce il tema della gola fino alla diffusione attuale dell’obesità globale – o globesity – per trarne spunti di ricerca scientifici che permettono di analizzare la situazione odierna, in cui l’ossessione del cibo è assurta a questione sociale. Ritornando al pensiero greco, in particolare a Platone, passando per l’Olimpo, la studiosa di metafore, linguaggio e parole, si immerge insieme a Dante nell’Inferno e nel Purgatorio. La metodica utilizzata nel suo lavoro ci narra della triste sorte di chi ingurgita a dismisura nonché di chi si abbandona a pantagruelici pasti affogando nel cibo la sua disperazione, ma suggerisce anche una lettura riguardo alle potenzialità della gola in quanto luogo de-

stinato a svolgere numerose funzioni vitali. A prescindere dal connubio della doppia oralità, ovvero della pertinenza riservata alla bocca di cibo e parola, Francesca Rigotti individua la possibilità di una più stretta corrispondenza tra piacere e autodistruttività, golosità e raffinatezza.

Da peccato a malattia La prima parte del libro riguarda la trasformazione del vizio, in passato considerato come peccato e oggi tramutato in patologia e malattia. Tale passaggio, chiaramente messo in luce dalla Rigotti, concerne sia il vizio della gola sia quello dell’accidia, una volta trattata come


non offenderlo. Ecco allora che le colpe vengano attribuite non più al soggetto ma al sistema sociale. Tutto questo è da interpretare come una perdita o come una conquista? Se pensiamo al modo con cui la società è stata regolata proprio attivando il senso di colpa – che nella religione cristiana è stato l’elemento fondamentale legato al concetto di peccato – possiamo sostenere che la conversione contemporanea da senso di colpa a irresponsabilità rappresenti un’evoluzione piuttosto che un incatenamento a vecchie forme di pensiero? Il senso di colpa cristiano si sostituiva a quello che era stato invece, nella dimensione dell’antichità pagana, il senso di vergogna quindi l’essere responsabile, non tanto nei confronti di Dio, ma del prossimo: perdere la faccia di fronte agli altri è ancora una dimensione importante per alcune culture mediterranee, come per esempio quelle dell’onore dove l’elemento vergogna conta ancora moltissimo. Il cristianesimo dunque ha spostato l’accento sulla colpa, ma decristianizzandoci e secolarizzandoci stiamo abolendo anche tale concetto, facendo venir meno le responsabilità che determinano l’errore. In quanto al piacere procurato dalla gola, non dimentichiamo che secondo Platone il piacere corrisponde al riempimento di un vuoto. Hai un vuoto nello stomaco e mangi, hai un vuoto nell’anima e cerchi gli amici e/o i fidanzati, hai un vuoto esistenziale e cerchi Dio o effetti artificiali e artificiosi che procurino e riempiano il vuoto. Ma il problema, vecchio e nuovo, non sta tanto nel riempire il vuoto il problema è quando il limite viene superato, quando si eccede, si deborda, si esagera.

Distruggere e apparire

to al concetto classico di responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri. E di Dio, se si è credenti.

Mangia che la mamma ha fatto gli gnocchi Il problema, nella sua interezza, sembra dunque delegato al medico, allo psicologo, alla società intera, ai quali si chiede la guarigione. Il coinvolgimento di se stessi in questo scenario viene meno. Le ragioni di questo cambiamento sono per lo più attribuite al processo di secolarizzazione della società moderna che ha portato alla perdita della centralità del divino e anche dell’obbedienza, del rispetto verso Dio e del desiderio di

Il peccato è interpretabile attraverso l’eccesso di cibo, di superbia, di invidia che richiama la dimensione del non limite. Riempio il mio vuoto ma lo faccio in maniera tale da soffocare me stesso e mi faccio del male, mi distruggo ma mi metto anche in evidenza, esasperando le mie dimensioni fisiche per assumere un ruolo nel mondo e per definire la mia statura esteriore. Lo stesso principio lo si può applicare all’ansia da dimagrimento che sfocia nell’anoressia. Gli psicologi sostengono che bulimia, obesità, anoressia e altri disturbi dell’alimentazione sono di fatto comportamenti egocentrici tesi ad attirare l’attenzione degli altri. Per alcuni corrispondono al grido d’amore di questa società disamorata.

Abbuffarsi o mangiare? Questo mutamento viene codificato in un trattato dei primi dell’Ottocento composto dal noto politico e gastronomo Jean Anthelme Brillat-Savarin il quale tesseva un elogio del gourmet e dunque del buongustaio, differenziandolo dal mangione goloso, il classico ghiottone. Per il primo la gola rappresentava il motore dell’economia e della civiltà. E dunque l’arte di mangiar bene e di cucinar bene diventano addirittura una virtù e non un vizio. Questa corrente di pensiero giunge fino ai giorni nostri: una commissione di gastronomi e buongustai francesi – e riguardo a queste informazioni il libro della Rigotti ci documenta con rigore – rivolse a papa Paolo Giovanni II la supplica di trasformare la denominazione francese del vizio della gola affinché venisse meno la componente negativa. Mangiare bene, conoscere il valore del cibo, usare gli ingredienti giusti, saper valorizzare la caratteristica delle pietanze, diffondere la cultura del cibo, rappresentano un merito oltre che un vantaggio per l’economia.

Nel silenzio della gola Gola e parola in alcune dottrine non devono incontrarsi mai perché la bocca è un luogo ambivalente del corpo: consente due cose contemporaneamente. Prendiamo per esempio il silenzio dei monasteri, imposto nei refettori durante i pasti. Esso è concepito affinché cibo e parola non si incontrino. Ma il silenzio nei refettorio dei conventi, in cui si riuniscono in meditativa preghiera i monaci, potrebbe essere un mezzo per impedire la comunicazione, lo scambio di sensazioni e di opinioni? Di fatto il pranzo comune era uno dei pochi momenti nei quali i confratelli avrebbero potuto scambiarsi qualche parola, ma il silenzio interviene a censurare anche questa possibilità. Il cibo appartiene ai monaci che stanno mangiando in quel momento, mentre la parola è quella del monaco che dall’alto del pulpito legge dei brani sacri. La parola nel monastero è pronunciata da una bocca che non sta mangiando perché le due cose insieme, parlare e mangiare, non si possono fare né si devono incontrare. Nel vizio della gola, trattato dalla problematica cristiana, è centrale proprio l’argomento per il quale il troppo cibo provoca un peccato di parola, causando la fuoriuscita di bestemmie, di spergiuri, di parolacce come se il cibo in entrata determinasse i caratteri della parola in uscita.

Agorà

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» di Nicoletta Barazzoni; illustrazione di Danila Cannizzaro

pigrizia e indifferenza e oggi assimilata agli stati depressivi. Così come per la superbia che nelle sue varie forme può essere ricondotta alla sociopatia, un disturbo del comportamento riconducibile alla paranoia e alla megalomania. Il passaggio dal peccato – nel quale l’uomo è responsabile di una colpa nei confronti di Dio – a malattia, sembra quindi aver annullato il concetto di colpa con la conseguente elusione dell’idea di una responsabilità personale. Non si è più quindi responsabili del fatto di essere lussuriosi o golosi o quant’altro, perché la lussuria e la gola sono divenuti comportamenti associati a disturbi sessuali o a impulsi irrefrenabili: un modo di pensare che suggerisce una resa rispet-


Ricordando Fabrizio

Dischi

Faber. Amico fragile… Doppio Cd edito dalla BMG nel 2003 del concerto celebrativo svoltosi a Genova il 12 marzo 2000, con la partecipazione dei più famosi nomi della musica italiana.

familiare di diventare un giorno un brillante avvocato. E invece percorse la strada della musica e dell’arte, fra genio e sregolatezza. Lui stesso affermava: “È vero che i miei personaggi mi sono simpatici, inoltre mi piace nelle canzoni salvare tutto ciò che gli Fabrizio De André; e a destra una serie di scatti datati 1966. Tutte le fotografie sono tratte dal volume Una goccia di splendore (op. cit.) altri condannano incondizionatamente per questioni di conformismo e di falsa morale. La citazione che pronunciò memoria, fa emergere chiaraCredo molto nell’amicizia e nell’amore, ma Vasco Rossi prima di esordi- mente la straordinaria particoin niente altro”. re con Amico Fragile durante larità del cantautore genovese. In quarant’anni di attività, Fabrizio De Anl’incredibile concerto che si Non è mai semplice espridré ha prodotto “solo” tredici album, che tenne a Genova il 12 marzo mersi a proposito di una persono tutti da considerare delle pietre miliari 2000, faceva più o meno così: sonalità tanto conosciuta e della canzone italiana, poiché in continua “1975, stavo ancora con la celebrata come la sua. Forse evoluzione, con sonorità di respiro internaPuny, la mia prima moglie tutto è già stato detto, scritto zionale e ricchi soprattutto di vera e propria e una sera che eravamo a e divulgato. E a molti non poesia. Quando la strepitosa voce di Mina Portobello di Gallura dove sarà certo sfuggito che fra interpretò La canzone di Marinella arrivò la avevamo una casa, fummo pochi giorni – l’11 gennaio consacrazione. Da quel momento il successo invitati in uno di questi ghet- – ricorrerà il decimo annidi Fabrizio De André esplose, alimentato ti per ricchi della costa nord. versario della morte, un’otcontinuamente da un crescendo creativo Come al solito mi chiesero tima occasione per scoprire e di collaborazioni, fra le quali quelle con di prendere la chitarra e di o riscoprire un maestro della Francesco De Gregori, Massimo Bubola, Fercantare, ma io risposi «per- musica “leggera” italiana. Un nanda Pivano, Ivano Fossati, Mauro Pagani ché invece non parliamo?». personaggio, che in realtà, e Teresa De Sio. Ancora oggi, a un decennio Era il periodo che Paolo VI non è stato solo un grande dalla sua scomparsa, l’attualità dei suoi testi aveva tirato fuori la faccenda cantautore ma un vero artiè indiscutibile. Non si contano poi le tesi di degli esorcismi. Aveva detto sta, un poeta, un ispiratore e laurea che analizzano le sue canzoni e i nuche il diavolo esiste sul serio. un rivoluzionario, capace nei merosi eventi organizzati e in preparazione Insomma, a me questa cosa suoi testi di descrivere luciin sua memoria. Tra questi, nel novembre era rimasta un po’ sul gozzo, damente la gente e la società scorso Mauro Pagani – musicista e composicosì ho detto «perché non tore che ha fatto parte parliamo di quello che sta Poeta e ispirato cantore dei perdenti e degli della Premiata Forneria succedendo in Italia?». Macesclusi, De André ha marcato a fuoco la Marconi – ha dedicato ché, avevano deciso che doun concerto al ricordo storia della canzone italiana. Un ricordo ac- di Fabrizio all’Istituto vevo suonare, allora mi sono rotto, ho preso una sbronza corato a dieci anni dalla sua scomparsa Italiano di Cultura di colossale, ho insultato tutti e New York, il frutto di sono tornato a casa. Qui, mi del suo tempo, all’interno un’idea del Consolato Italiano e della collasono chiuso nella rimessa e della quale si schierò sempre borazione con l’Istituto di Cultura e la Fonin una notte da ubriaco ho a fianco degli emarginati, dei dazione De André. Sembra quasi paradossale scritto Amico Fragile”. colpevoli, dei vinti. che un cantautore che fuggiva il pubblico E poi seguì l’esecuzione della Una scelta non scontata per e lo showbusiness, che amava gli ultimi e canzone. Questo era Fabrizio un ragazzo nato nell’alta borgiocava sempre a fare il bastiancontrario, si De André. Il semplice estratto, ghesia industriale genovese, ritrovi oggi suo malgrado al centro di tanta ripreso dal concerto in sua su cui gravava l’aspettativa (e giustificata) attenzione.

» di Fabiana Testori

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G. Harari (a cura di) Una goccia di splendore Rizzoli, 2007 Le 330 pagine ci accompagnano, tra appunti, interviste e fotografie in parte inediti, nella storia più intima del cantautore genovese.

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Arti

Libri


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C o m o d i t Ă e c o n ve n i e n z a


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e le Grigne. Due nomi che da soli hanno fatto un gran pezzo della storia alpinistica italiana del Novecento: basti ricordare quel formidabile drappello di rocciatori chiamati “I ragni di Lecco”, di cui l’oggi quasi centenario Riccardo Cassin è stato la punta di diamante. Per molti abitanti dell’industriosa pianura, il Resegone è veramente il biglietto d’ingresso al regno alpino: chi da Milano si dirige verso Le Alpi, solitamente passa per Lecco, poiché ancor oggi la via principale per chi vuole raggiungere Bormio, Livigno o Saint Moritz transita per la direttrice Monza-Lecco-Colico. Una strada a un tempo amata e odiata: prima dell’apertura delle gallerie (ovvero della nuova superstrada Lecco-Colico), i valtellinesi pendolari del boom economico (proprio quelli che spesso ogni sera, ma soprattutto il venerdì si

Internet

www.scoprilecco.it Un sito di informazioni storiche, turistiche ed escursionistiche. Una essenziale fonte di informazioni per coloro che intendono esplorare la montagna lecchese.

dosi a Lecco, lo spettacolo che il Resegone offre di sé è a dir poco stupefacente: una sequenza di punte ardite come i denti di una sega (appunto...), separate da canaloni impervi, con le striature della roccia a fasciare la montagna in un sistema di cenge sottili, appena colorate da radi sprazzi di verde. Il Resegone non è particolarmente alto (1875 metri la punta maggiore), ma offre paesaggi grandiosi e vertiginose pareti calcaree esteticamente superbe: non a caso i contadini del lecchese lo chiamavano la serrada, proprio per la sua caratteristica di racchiudere maestosamente la vista a levante. Consiglio, a chi non si faccia scoraggiare da alcuni passaggi impegnativi e soprattutto non soffra di vertigini, la salita del cosiddetto “canalone di Bobbio”, il più marcato degli aspri valloncelli che tagliano la montagna. Durante la salita, ci si troverà costantemente al cospetto di quel superbo paesaggio verticale che caratterizza gli ambienti dolomitici, e che riempie l’animo di quel misto di ammirazione, rispetto e paura Là, dove suggestioni letterarie e meraviglie che gli alpinisti ben conaturali si incontrano. Un percorso fra bo- noscono. Il panorama schi, cenge e panorami mozzafiato, sulla dalle cime del Resegone, se non si incappa montagna che Manzoni e Carducci hanno nelle frequenti nebbie reso celebre nelle loro opere. Con qualche (tipiche della stagione estiva), è fenomenale: imprecisione un vero pulpito sulle sorbivano le code infinite di Orobie e sulle Alpi Centrali. Fiat 600, Maggiolini e Alfa Fra tante suggestioni, un solo cruccio: da Romeo Giulietta spider sulla Lecco nessuno ha mai potuto, né mai potrà, Lungolago) la chiamavano viadire di aver visto come il sole ridea calanle Zara, dal nome della via di do dietro il Resegone, con buona pace del Milano da cui prende inizio. Carducci. Peccato, sarebbe veramente uno Oggi come allora, avvicinanspettacolo grandioso.

» di Alessandro Tabacchi

Luoghi

Resegone è come dire Lecco e Alessandro Manzoni. Quell’addio monti sorgenti dall’acque attribuito dall’autore de I promessi sposi alla popolana Lucia Mondella, con tanto afflato poetico quanta scarsa aderenza alla realtà (è decisamente da escludere che in filanda si parlasse in prosa poetica), ha segnato la storia non solo di una città, per l’appunto Lecco – il piccolo borgo che si appresta a divenire città, oggi cresciuto a dismisura, inverando la profezia manzoniana –, ma anche della montagna che, splendida e arcigna, ne chiude i confini a oriente. Lecco è posta in un contesto ambientale eccezionale, forse uno dei più belli dell’Europa intera: distesa all’estremità meridionale di quel ramo del lago di Como (ohibò, mi ricorda qualcosa...) che da lei prende il nome, la città è rinserrata da un superbo anfiteatro di cime calcaree, dalle pareti strapiombanti, il cui colore grigio biancastro emerge dai verdeggianti boschi sottostanti come un monito della natura nei confronti dell’escursionista o dell’alpinista che ne vogliano saggiare le asprezze. Il Pizzo d’Erna e il monte Coltignone, le due montagne che si vedono incombere sopra le ultime case di Lecco a est e a nord, sono in realtà le propaggini dei due sistemi montuosi che caratterizzano il Lario sudorientale, ovvero il Resegone

A. Benini et al. Montagne lecchesi Cattaneo editore, 2002 Un omaggio alle montagne del lecchese. Le vette, i ghiacci, i torrenti, le grotte, la flora, la fauna e la storia di uomini al lavoro e di alpinisti mossi dalla passione.

»

Dire

Il Resegone tra storia e letteratura

Il Monte Resegone (immagine tratta dal sito www.montagna.org)

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ZS/W52/08 i

*Apéro Mix Hug, prodotto surgelato, 225 g, 7.60


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identificati con lettere diverse da A a E –, che offrono degli importanti squarci sulla sua ricerca e i suoi studi. Proprio la revisione di alcuni di questi taccuini ha permesso di capire come il viaggio sul Beagle sia stato, oltre che importante per raccogliere una vera montagna di dati e campioni, fondamentale anche per spazzare via vere e proprie concrezioni geologiche di pensiero; come l’ammirazione per un libro intitolato Natural Theology (1802) in cui l’autore William Paley mostrava come per ogni struttura naturale – estremamente complessa – fosse necessario un creatore, così come a ogni orologio corrisponde un orologiaio. Immerso nella lussureggiante natura sudamericana, così come nell’arido paesaggio delle Galapagos, Darwin si dimostrò un osservatore eccezionale e vide in ogni specie animale e vegetale le prove che qualcosa non andava nell’ipotesi dell’orologiaio che si curava di singole specie. Per esempio, il fatto che due nandù – uccelli incapaci di volare del genere Rhea, simili a piccoli struzzi – abitassero regioni contigue della pampa argentina, pur essendo molto simili l’uno all’altro. Perché il Creatore deve aver generato due specie quasi identiche, quando poteva metterne sulla Terra una sola? E perché, nelle

Nuove scoperte dall’uomo evoluto

Scienza

di sapere tutto della vita Charles Darwin (12 febbraio 1809 – 19 aprile 1882), dalla gioventù un po’ scapestrata e indecisa (“Sarai la disgrazia della nostra famiglia e di te stesso” diceva il padre) al lungo e avventuroso viaggio attorno al mondo a bordo del Beagle (1832–36), un brigantino della marina inglese salpato con il compito di cartografare le coste del Sud America, fino all’incontro con un piccolo e arido arcipelago dell’Oceano Pacifico, le Galapagos. E furono proprio le isole che Hermann Melville aveva definito encantadas a indurlo a mettere in dubbio la realtà di quello che il grande filosofo inglese John Herschel considerava “il mistero dei misteri”, cioè l’origine delle specie. Molti studiosi si chiesero il perché del lunghissimo intervallo che separò il ritorno in Inghilterra (1836) dall’uscita del libro (1859) avvenuta esattamente 150 anni fa. Forse era dovuto a insicurezza, pigrizia o paura di scontentare la moglie, devota cristiana e quindi contraria a ogni interpretazione non canonica della Bibbia. Oppure, con ogni probabilità come affermano in molti, considerava la sua teoria non ancora pronta. Ecco, uno dei segreti di Darwin sta proprio nel momento in cui la sua mente analitica e la sua curiosità quasi bambinesca lo spinsero a formulare l’ipotesi della selezione naturale, la teoria più importante che la biologia deve allo scienziato inglese. Prima di affrontare la detective story sono però necessari alcuni chiarimenti. Oltre a capolavori della letteratura scientifica come l’Origine delle specie e l’Origine dell’uomo, Darwin ci ha lasciato anche migliaia di pagine di lettere, note, appunti e taccuini –

Libri

T. Pievani (a cura di) Charles Darwin. Taccuini 1836–1844 Laterza, 2008 Il volume riproduce la traduzione integrale dei tre taccuini (Rosso, B ed E), tratti da Charles Darwin’s Notebooks. Dell’edizione inglese sono proposte anche le note e il ricco apparato critico. Richard Keynes Fossili, fringuelli e fuegini B. Boringhieri, 2006 Il libro unisce il resoconto del viaggio di Darwin sul Beagle e una valutazione del lavoro svolto durante la spedizione. Una nuova affascinante lettura su un’esplorazione tra le più importanti mai compiute.

Falkland – a est delle coste argentine, ma a sovranità inglese – abitano due volpi simili, ma non identiche? Invece di singole creazioni, non sarebbe meglio supporre la discendenza di queste due o tre specie da un antenato comune, e la successiva diversificazione? Per questo, nel Taccuino B, scritto tra il luglio del 1837 e il marzo del ’38, Darwin traccia un minuscolo disegnino, uno schema ad albero in cui a specie “antiche” seguono specie “nuove” da queste derivate. Una vera rivoluzione nella storia della biologia, che qualcuno ha paragonato alla nota formula einsteiniana E=mc2. Anche se un suo predecessore francese, Jean-Baptiste de Lamarck, aveva già parlato di trasformazioni di specie, nessuno, infatti, aveva mai presupposto che due forme simili avessero un antenato comune e che la creazione puntuale (e quindi il Creatore) non fossero necessari. Nel Taccuino B si trovano però anche altre affermazioni Charles Darwin non finisce di stupire. estremamente importanti e modernissime. Come il fatto Anche a duecento anni dalla nascita, il che anche l’uomo, come tutto grande naturalista inglese ha ancora il resto dei viventi, sia avvolto molti segreti da svelare da questo vortice del tutto naturale di “dolore, malattia, Galapagos, su isole praticamorte e sofferenza e fame”. O che non esistomente identiche, vivono due no esseri inferiori o superiori, né che l’uomo specie diverse di uccelli mimi? sia il pinnacolo della complessità sul nostro Perché ogni singola isola delle pianeta, con la frase “Chi, al cospetto della Galapagos ha la sua tartaruTerra, coperta di splendide savane e foreste, ga? E per quale motivo su oserebbe dire che l’intelletto è l’unico scopo due isole dell’arcipelago delle di questo mondo?”.

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Credavamo


Scienza

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Taccuino E, deriva il concetto di “lotta per l’esistenza” e quindi la sua intuizione più grande: la selezione naturale. Concetti troppo rivoluzionari per essere presentati alla società del tempo senza suscitare un vero e proprio scandalo… o grande sconcerto nella moglie. E che quindi Darwin si terrà per sé fino al 1858, quando una lettera del naturalista gallese Alfred Wallace gli fece capire che anche altri erano arrivati alle stesse conclusioni, e che sarebbe stato meglio uscire allo scoperto e svelare quindi il suo segreto. Cosa che prontamente

avvenne l’anno successivo con la sua grande opera Origine delle specie. Tutti i pensieri sparsi, le intuizioni, gli appunti presenti nei tre Taccuini sono diventati Charles Darwin. Taccuini con una prefazione di Niles Eldredge (americano, classe 1943, tra i massimi evoluzionisti contemporanei) e tre note introduttive del filosofo della scienza Telmo Pievani. Questi contributi chiariscono anche la collocazione di questi libretti nella grande galassia delle opere darwiniane. Dalla cui lettura i filosofi della scienza e della biologia si aspettano ancora molto.

Marco Ferrari » diillustrazione di Micha Dalcol »

Dopo aver capito che le specie non sono immutabili e derivano da antenati comuni, a Darwin mancava però il meccanismo di quella che egli definiva “discendenza con modificazioni”, cioè l’evoluzione. L’ultimo tassello del mosaico gli arrivò dalla lettura, nel 1838, del Saggio sui principi della popolazione del sociologo Thomas Malthus, da cui comprese che le risorse presenti in natura non possono mantenere popolazioni animali o vegetali che crescono a dismisura; qualcuno deve cedere. Da questa intuizione, cui farà cenno nel


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L’ultimo dell’anno Ultimo: come il peggior studente, l’oggetto che nessuno ha voluto o la situazione più disperata. Tra tempo e spazio, una riflessione sulle speranze riposte nell’ultimo… giorno

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in virtù dell’aumento di una cifra. Ma è proprio quello scarto infinitesimale a determinare il cambiamento di sostanza (la trasformazione del 2008 in 2009) che appare così straordinario da dover essere festeggiato e celebrato. Con manifestazioni di giubilo quali urla e grida, rumore di tappi di champagne che volano per l’aria, il fragore e le luci di fuochi d’artificio sempre più appariscenti ed elaborati e costosi, quali gli auguri che esprimiamo ad alta voce abbracciando e baciando coloro che ci stanno vicino anche se sono perfetti sconosciuti. Come avviene, per esempio, a Trafalgar Square, dove turisti (tanti) e londinesi (pochi) si abbracciano mezzi ubriachi, magari dopo aver fatto il bagno (gli inglesi) nella fontana, sotto gli occhi esterrefatti dell’ammiraglio Nelson dalla cima della sua colonna. Nella magica notte di San Silvestro ecco che l’ultimo diventa il primo e l’evento va festeggiato, anche perché si tratta di una promozione simbolica e sappiamo quanto i simboli siano importanti. Gli ultimi, infatti, coloro che stanno sempre in fondo alla fila, rappresentano spesso gli svantaggiati o, in ogni caso, coloro che ricoprono uno stato negativamente connotato: l’ultimo della classe è quello che ha i voti peggiori, l’ultimo ad arrivare è di sicuro negligente, l’ultima ruota del carro è quella che conta di meno, l’ultimo dei Mohicani è il rappresentante di un’etnìa in via d’estinzione. Ecco che la dislocazione dei corpi nello spazio/tempo esprime situazioni gerarchiche nelle quali i primi godono di privilegi che gli ultimi non hanno (a parte la rivoluzione spaziale introdotta dalla parabola evangelica dei vignaioli in Matteo 20,16). L’ultimo (giorno) dell’anno l’anno vecchio se ne va: “è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va“, come cantava saggiamente Lucio Dalla. Anche se ogni volta ci auguriamo che l’anno nuovo sia meglio del precedente, non è che l’anno vecchio si porti via tutti i guai e tutti i pensieri, come fa la Befana/Epifania con tutte le feste. Però possiamo sperarlo, giacché la speranza è l’ultima a morire.

» di Francesca Rigotti; illustrazione di Valérie Losa

Kalendae

Che cosa facciamo noi, comuni mortali, quando vogliamo parlare del tempo (non di quello meteorologico) e di eventi che nel tempo si svolgono? Ricorriamo a termini spaziali, giacché parole “proprie” per parlare del tempo non ne abbiamo. Diciamo quindi che il tempo passa, cammina, corre e vola – cioè si sposta nello spazio a diverse velocità –; diciamo delle tre dimensioni del tempo che il passato è lontano, il futuro si avvicina e il presente è qui, servendoci quindi di espressioni sempre legate allo spazio. Parliamo di lunghezza o brevità di un periodo, di rapidità e velocità del tempo e dei suoi intervalli, di profondità e abissi del passato, di altezze del futuro, del punto del presente, di linee, rette e semirette del tempo. Insomma, se vogliamo parlare del tempo, pare proprio che non possiamo che prendere a prestito espressioni spaziali: perché parlare del tempo sembra esibire la stessa problematica esigenza che il parlare di Dio presenta a ogni teologia, ovvero il bisogno di parlare di qualcosa di cui non si può parlare. Il tempo come tale non può essere definito: esso è ineffabile. La stessa osservazione vale nel caso della posizione dei giorni nel calendario: un certo giorno viene prima di un altro, un altro viene dopo. C’è un primo giorno dell’anno e un ultimo giorno dell’anno come il primo e l’ultimo di una fila di soldatini; meglio ancora, come il primo e l’ultimo di un amplissimo cerchio di bambini che si tengono per mano per il girotondo e girano girano, come le perle di una collana, come i grani del rosario... I giorni dell’anno si sgranano uno dopo l’altro e quando arriva l’ultimo, tac, si ricomincia da capo dando un nuovo nome al cerchio, che ora si chiama 2009 e non più 2008. Lì vicinissimi, ma non attaccati, l’ultimo e il primo, l’ultimo del 2008 e il primo del 2009. In mezzo, un periodo particolare che però sembra non avere nulla di strano: tutti i minuti e i secondi dell’anno che sta per finire sono uguali ai precedenti. Eppure l’ultimissimo di questi è seguito, magicamente, da qualcosa di inconsueto: la prima frazione di secondo dell’anno nuovo, al quale vien dato un nome diverso


BRICO A4 Ticino7.indd 1

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» testimonianza raccolta da Samantha Dresti; fotografia di Adriano Heitmann

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che il libro autobiografico, è appena uscito, l’ho preso l’altro giorno in libreria. Sulla scrivania, invece, trova i giornali del giorno, i miei preferiti sono “laRegione”, il “Corriere della sera”, la “Neue Zürcher Zeitung”, uno dei migliori al mondo secondo me, e le varie riviste, “Der Spiegel”, “The Economist”. Da questa parte può vedere un ritratto del Dimitri: gran clown, gran personalità; lui abita qui vicino e ogni tanto viene a prendere il treno. Qui c’è il poster del festival del film di Locarno, che visito ogni anno per un film o due e un ritratto di Raimondo Rezzonico, di cui ero molto amico. Un uomo molto L’immutata dedizione al proprio lavoro bravo, un vero padre padrone, dopo più di quarant’anni di servizio. La come pochi. Lo conoscevo bene, dagli anni del ginnasio e ricerca della sicurezza e l’amore per la tramite il mio povero fratello, libertà. La ferrovia e Marilyn Monroe: che faceva il giornalista e che purtroppo è morto quando due grandi passioni… aveva solo trentasette anni; per rumore, qualità dell’aria, lavorava per Raimondo Rezzonico quando affitti… si sta bene qua. Sono c’era ancora l’“Eco di Locarno”, lui stesso sempre andato a Locarno già mi diceva che era un gran padrone. [Suona da ragazzo, mentre a Lugail telefono] Scusi, c’è una telefonata di serno ci vado di raro… è tanto vizio… hallo, ha chiamato qua? no l’è mo mia cambiata Locarno con tutti pasato da Verdasio… Ecco, qui invece, c’è un i palazzi che sono sorti, io ritratto del generale Guisan, a capo dell’eserla vedo con gli occhi di un cito durante la seconda guerra mondiale, sessantatreenne – mi rendo un uomo che non si può dimenticare. Chi conto – ma mi sembra fosse critica a posteriori dovrebbe rifletterci su: è più bello allora… il carnevastato un grande personaggio. Già durante le, il mercato del giovedì, la i primi giorni di servizio ho appeso quel Piazza Grande… un tempo, ritratto, me l’ha portato un amico di Zurigo. tra l’altro, il tram passava Io ho fatto con piacere il militare, ero nelle dalla piazza e anche i treni, truppe meccanizzate leggere alla scuola quando il lago debordava, reclute di Aarau, poi sono stato esonerato passavano da Piazza Castello, per motivi di servizio in ferrovia. Ho fatto entravano in Piazza Grande, i quattro mesi e basta, neanche un corso di percorrevano la via Ramogna ripetizione. Lì invece conservo e colleziono e arrivavano alla funicolare. i vecchi orari ufficiali dei treni… li metto nel Sta guardando i ritratti di Macasellario, che una volta si utilizzava molto rilyn Monroe alla parete? Eh con circolari, bollettini, documenti eccetera, si, il mio ufficio dopo tanti mentre ora sono cambiate tante cose anche anni di servizio raccoglie molqui in ufficio e, quindi, adesso che il caselti oggetti, ritagli di giornale, lario non si usa più, lo utilizzo per metterci libri, ricordi personali accula mia collezione di vecchi orari. [Squillo del mulati negli anni e di cui mi telefono] hallo, u vegn senza blocco, a vo föra circondo volentieri… per me a guardal… si ecco verso l’Italia, bon… l’è nai Marilyn è il mito della donna ades, tre e ses l’è al 63… sopra la scrivania ho tutt’ora valido, che perdura e appeso il benemerito per i quarant’anni di che mi ispira. Lei è un mito, servizio ricevuto nel 2006 dal nostro sindapoi nella vita reale c’è mia cato, la Federazione svizzera ferrovieri. Il 25 moglie naturalmente, la mia novembre del 2023, invece, si festeggeranno compagna di vita. Quando i cent’anni della Locarno-Domodossola. Ci vedo le foto di Marilyn sui sarà sicuramente una bella festa, mi piacegiornali, le ritaglio… ho anrebbe esserci ancora per vederla!

Renato Guerra

Vitae

n una bellissima giornata di ottobre del 1964 sono entrato alla Fart, Ferrovie Autolinee Regionali Ticinesi, e son venuto qui a Camedo a imparare il mestiere. Da allora non sono più andato via ed esercito la professione di capostazione da più di quarant’anni. La mia idea da ragazzo, in realtà, era quella di fare il macchinista… nell’annuncio delle Ferrovie Federali c’era una frase che mi affascinava molto, descriveva questa figura professionale così: “… quell’uomo in testa al treno”. Il treno è stato fin da sempre una passione per me, io poi lo adopero il più spesso possibile, mentre uso poco l’auto. Mi piacciono molto anche la letteratura e la fotografia riguardanti la ferrovia, ma – forse può sembrare strano – non sono attirato dal ferromodellismo. La mia formazione di base è avvenuta al ginnasio di Locarno e dopo i quattro anni di studio sono sempre rimasto intenzionato a entrare nel mondo della strada ferrata. A vent’anni sono diventato capostazione e allora era forse più impegnativo di oggi, perché non c’era l’elettronica, era tutto manuale e l’impianto semaforico era già in funzione… c’erano gli scambi a mano da girare, da pulire, c’erano molte manovre da fare alle sette, alle otto, alle dieci, alle dodici e trenta, alle quindici. È cambiata tanto la ferrovia in tutti questi anni, il sistema, i regolamenti, tutto si è evoluto molto, è progredito; consiglierei questo mestiere a un giovane: si tratta di un posto sicuro. Cosa mi piace di più di questo lavoro? Sono molto indipendente, questa è la prima cosa… faccio il mio mestiere come si deve e con passione. Nella vita per me è molto importante ves liber, sottosta a tutti i doveri che se ga, però ves liberi. Dove mi piacerebbe vivere se dovessi cambiare? Non ho mai avuto l’idea di andar via. In ogni caso, in valle. Io dico che le città sono diventate invivibili

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I


Il triangolo dell’oro fotografie di Adriano Heitmann, testo di Federica Baj

Nel Mendrisiotto, tre fonderie affinano quasi la metĂ della produzione mondiale di oro, destinato a rimpinguare le casse degli investitori di tutto il pianeta. La storia di un materiale prezioso, di un metodo di lavorazione affascinante, di una realtĂ industriale che resiste agli attacchi sferrati dalla crisi economica globale in corso




sopra: produzione di lingotti fusi all’interno della fonderia pagine 40–41: anodi per l’affinaggio elettrolitico del minerale pagina 39: cercatori d'oro della miniera di Sierra Pelada in Amazzonia, Brasile


B

alerna è coperta da una sottile coltre di neve che attutisce ogni rumore. La neve fiocca e, inesorabilmente, paralizza le attività di uomini e macchine. Ma nel “antro del dio Vulcano”, uomini e macchine non si fermano mai: risuona un eterno martellante tam tam di ingranaggi, valvole e pistoni. Qui non si forgiano lance e spade per eroi pronti alla guerra. Qui si impiegano macchinari di alta tecnologia, acidi e preparati chimici per affinare l’oro e trasformarlo in leghe di diversi titoli che verranno poi usate nei settori della gioielleria, dell’orologeria, per farne monete e medaglie. La Valcambi di Balerna, fondata nel 1961, è una delle tre fonderie che in Ticino si occupano della lavorazione industriale di metalli preziosi: principalmente oro, argento, platino e palladio. Le altre, la Pamp e la Argor, sono la più antica (1951) e la più giovane (1977) delle raffinerie sorte nella zona e hanno rispettivamente sede a Castel San Pietro e a Mendrisio. Tre realtà industriali – in cui lavorano circa cinquecento persone – che hanno trasformato, nell’arco di venti anni, questa parte del Canton Ticino in una sorta di “triangolo dell’oro”. Emilio Camponovo, uno dei fondatori e attuale vice presidente del consiglio di amministrazione della Valcambi – un affabile signore che ha “navigato” nell’oro per quasi mezzo secolo e che di questo materiale conosce “vita, morte e miracoli” – ci spiega che il motivo principale di una tale concentrazione di raffinerie di metalli preziosi nel Mendrisiotto è da ricercarsi al di là del confine. Nella vicina Italia che per tanti anni – almeno fino al 2000, quando è stata soppiantata da India e Turchia, dove il costo della manodopera è nettamente inferiore – ha rappresentato uno dei più grandi trasformatori di oro in prodotti da oreficeria, soprattutto nelle zone di Vicenza, Valenza Po e Arezzo. A tal riguardo, i dati parlano chiaro: in Italia, sono state utilizzate nel 1998 ben 535 tonnellate di oro, un valore più che dimezzato nel 2007 (207,9). In Ticino, attualmente, si raffinano più di 1000 tonnellate di oro all’anno, pari al 40% della produzione mineraria mondiale. Da una statistica della Banca nazionale svizzera si evince che nel 2007 la nostra nazione ne ha utilizzate 97 tonnellate, di cui la maggior parte impiegate nel settore dell’orologeria. Nel mondo, la produzione mineraria annua di oro è oggi di 2475 tonnellate, di cui 280 sono le tonnellate di minerale estratto annualmente dalle miniere della Cina, a cui spetta il primato di maggior produttore mondiale. Per l’oreficeria ne vengono impiegate 2407. Ma a questo settore affluiscono qualche altro centinaio di tonnellate di oro, quello che, in gergo, viene chiamato scrap, ovvero l’usato poi rifuso: vecchi gioielli fuori moda, anelli di fidanzamenti rotti, medaglie e monete, oggetti un tempo preziosi che finiscono la loro vita in quei negozietti che, ai bordi delle strade, “strillano” dai loro cartelli “Compro e vendo oro usato”. Se poi andiamo all’oro raffinato effettivamente circolante, solo il 70% rientra nella produzione dell’oreficeria, mentre il restante 30% viene

Reportage

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Reportage

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sopra: preparazione delle staffe per la colata a sinistra: lingotti ormai pronti alla fine del ciclo produttivo

impiegato per metà nell’industria (elettronica o dentaria) e per metà accumulato come bene di rifugio. Se, infatti, fino a pochi anni fa, nella gestione di un patrimonio, i manager dell’alta finanza consigliavano di investire in oro solo l’1% di un capitale, oggi l’orientamento si aggira su una percentuale di circa il 10%. Con l’avvento della crisi le richieste di oro, divenuto all’improvviso un rassicurante “bene rifugio”, sono infatti cresciute a dismisura: “Il 29 settembre scorso, il giorno del fallimento della Lehman Brothers – ci spiega Michael Mesaric, direttore generale della Valcambi – tutti i nostri ordini sono stati cancellati. Solo tre giorni dopo le banche svizzere, su impulso dei loro clienti, ci hanno subissato di chiamate per fare ordinazioni su ordinazioni”. All’aumento della domanda di tesaurizzazione di oro – in termini fisici e non più “su carta” – corrisponderà una diminuzione della richiesta del prodotto di lusso. Va detto però che l’investimento nel prezioso metallo, anche in piccole quantità, potrebbe rappresentare, oggi, una delle possibilità per proteggersi dalla minaccia dell’inflazione. “In ogni caso – scherza con una battuta il signor Camponovo – con tre miliardi e mezzo di donne al mondo difficilmente il

settore della gioielleria andrà in crisi e di conseguenza anche quello dell’oro”. Prima di concludere la conversazione, il direttore pone una domanda: “Se aveste un milione di franchi in che cosa li investireste oggi?”. Tre gli interlocutori, tre le risposte: in azioni “deboli”, il primo; in oro per un buon 30%, il secondo; in terra e boschi, il terzo. Lascio gli uffici amministrativi della Valcambi con poche certezze e molti dubbi. Il mondo dell’oro è complesso e indecifrabile, a tratti astratto. Mi dirigo alla fabbrica vera e propria dove si plasma, finalmente, la materia. Nella fucina incandescente Lasciato il paradiso, l’empireo in cui si pensa, si discute, si riflette di metalli preziosi, mi dirigo nell’inferno del fuoco, dei bagliori accecanti, dei lapilli che schizzano via come scintille. Qui il rumore è continuo, il contrasto con il “fuori” silenzioso e innevato si fa ancora più evidente, agli occhi e alle orecchie. Gli uomini al lavoro sembrano mimi, le loro voci annullate dal brontolio incessante delle macchine. In questo girone della Valcambi incontro operai, chimici ed esperti che trasformano



l’oro, da blocchi grezzi come vengono estratti dalle miniere, in lingotti perfetti. Pagliuzze infinitesimali ovunque, sul pavimento, sotto le suole delle scarpe, impigliate fra i capelli. Ci penserà poi il metal detector, all’uscita, a individuare anche solo un granello di polvere dorata. La sicurezza alla Valcambi non lascia scampo. All’entrata una cortese signorina mi chiede il documento di identità, mi fa firmare dei fogli e mi dice di lasciare tutto ciò che possiedo – cappotto e borsa – in un guardaroba. A me viene invece consegnata una tessera elettronica personale che, dal momento in cui metti piede nella fabbrica, diventa il tuo secondo cuore. Batte in ogni istante. Qualcuno, là fuori, sa dove sei e dove stai andando. Simone, un operaio che lavora qui da pochi mesi mi racconta: “All’inizio mi sembrava di essere in prigione per tutti i controlli a cui ero sottoposto, poi col tempo ci ho fatto l’abitudine”. In effetti entrare è più semplice che uscire. È tutto un labirinto di corridoi che si intersecano l’uno con l’altro, di porte e ascensori. Manca solo il cartello “Lasciate ogni speranza voi che entrate…”. L’atmosfera è futurista. Questo posto sarebbe piaciuto moltissimo a Filippo Tommaso Marinetti. Si avvertono “l’energia, il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, la bellezza della velocità” nelle macchine, negli uomini che le azionano e che devono stare al loro passo, che ne devono seguire il ritmo. Il primo passaggio per ricavare l’oro fino dal metallo grezzo (chiamato dorè), è l’affinaggio elettrolitico: il metallo immerso nell’acido si raccoglie, sotto forma di cristalli, intorno al catodo formando le cosiddette “spugne”. In seguito si procede alla fusione dell’oro che avviene a 1064,80 °C. Il momento della fusione dei cristalli d’oro è solenne. Due operai, a turno, immergono nel forno – che ha il profilo di un totem ancestrale – il materiale dorato. La colata, un filo sottile incandescente, entra in un crogiolo bucato. Da lì nell’acqua fredda e, infine, in una betoniera che asciuga le pepite ottenute e pronte per essere trasformate in lingotti di oro puro (999,9 millesimi). La macchina che plasma i lingotti ha tutti i tratti di un serpente tropicale di color rosso fuoco. A volte, se la guardi bene, assume sembianze umane. Sembra che viva. Pare quasi che il suo respiro si faccia, via via, affanno cadenzato e ritmico. Instancabile, si contorce su se stessa, come una giovane acrobata cinese. Ti guarda per una frazione di secondo e riprende il suo compito. È una di quelle macchine che, per dirla alla Glauser, “lavorano, lavorano e non si stancano mai…”. Preleva le pepite e le inserisce in un forno reggendo nella sua mano a forma di gancio un crogiolo di grafite. Non perde nemmeno un istante. Ogni attimo è prezioso. Quando il metallo è liquido al punto giusto, lo rovescia negli stampi dei lingotti non prima di aver “brindato” con il calice di lava dorata incandescente. Durante la fusione, preleva i lingotti freddi e li posiziona su un tapis roulant. Poco più in là, ad attenderli, c’è una mano – questa volta in carne e ossa – di un operatore che li predispone per essere confezionati. Il loro

sopra: ritagli di strisce d’oro da tranciature (produzione lingotti coniati) a sinistra: operatore di fonderia

Reportage

47 Lingotti pronti all’interno del deposito

peso parte da cento grammi e arriva a dodici chili e mezzo (quest’ultima è definita barra standard). Su ognuno deve essere impresso il marchio di fabbrica, il titolo, il segno del punzone dell’assaggiatore, l’indicazione del peso e la numerazione progressiva. Ho sotto gli occhi una barra da un chilo, vale su per giù, 31.400 franchi. Mi chiedo che cosa provino gli operai che lavorano alla Valcambi. A guardarli bene sembra che maneggino lingotti d’oro come se fossero di cioccolata. Avete presente quei cioccolatini a forma di piccoli lingotti o di monete incartati nella stagnola dorata che si appendono all’albero di Natale? Enrico, uno dei centocinquanta che prestano servizio alla Valcambi, me lo conferma: “Si è consci di maneggiare oro ma alla fine, quando si lavora qui da trentacinque anni come me, oro o cioccolata non fa tanta differenza”. All’uscita, mentre mi sottopongo all'analisi del metal detector, ripenso al totem che fonde il prezioso metallo. Mi richiama alla mente l'oracolo di Delfi dalla cui bocca usciva una sottile lingua di fuoco e qualche responso, a volte chiaro a volte enigmatico. Proprio come ogni oracolo che si rispetti...

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Animalia

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La pulce ha il suo posto (sovente importante) nel mondo degli uomini. Se “animale domestico” significa una bestia casalinga e familiare, quale più prossima della pulce? Vi sarebbe addirittura da esaminare se non esista un’effettiva parentela, non potendosi negare che abbiamo lo stesso sangue. La marchesa di Pompadour accusava le proprie ancelle di trasmettere le loro pulci ai suoi cani preferiti, ma sbagliava, la pulce si distingue in oltre cinquecento specie, da quella umana (che ha nome Pulex irritans), a quella del cane (che si chiama invece Ctenocephalides canis), a quella dell’acqua, a quella della neve, a quella del deserto. Invero questo animaletto, sulle orme e sull’esempio dell’uomo, prolifica da per tutto. Gli studiosi che si occupano della Pulex irritans vengono chiamati “sifonapteristi”, parola orribile, ma scienza interessante. In Inghilterra al museo di Fring (Hertfordshire), esiste il “Centro Mondiale della pulce”: vi si ammira la maggiore collezione esistente di pulci morte, raccolte dal barone Carlo Rothschild, appartenente alla celebre famiglia di banchieri. Per quanto riguarda invece la maggiore collezione di pulci vive, opiniamo la possegga il cane d’un lattaio romano. Gli sifonapteristi ci dicono che la pulce non depone mai le uova su di noi: cerca invece per la sua prole le fessure del legno e del muro, i tappeti, comunque i luoghi dove regni il buio. Deposte le uova, la pulce, con antiveggente tenerezza materna, lascia a ognuna una gocciolina di sangue. Dono indispensabile quando, quattro giorni dopo, una larvetta cieca e tremante esce dall’uovo, rottone il guscio col beccuzzo che reca sul capo. Dono indispensabile, perché con quella sola gocciolina, la larva dovrà campare molti giorni, da un minimo di nove a un massimo di duecentodue, secondo il variare delle condizioni ambientali. Trascorso qualche tempo, la larva sente nascere in sé un misterioso impulso di trasformazione che la induce a estrarre da se medesima un bozzolo, a inserirvisi e a mutarsi in crisalide. Resta in questo sonno sette giorni al minimo, duecentotrentanove al massimo, poi d’un colpo si sveglia: sono finite l’infanzia larvale e l’adolescenza assonnata, comincia la vita nuova. È così che, in alcune case di campagna

La pulce un racconto inedito di Piero Scanziani

disabitate, le pulci restano tranquille nei loro bozzoli per mesi e mesi, ma appena la famiglia vi torna, eccola dopo poche ore assalita da schiere di bestie, sbozzate allora e ansiose di sangue. In questo suo ardire vorace, la pulce è umana. La pulce è morigerata e metodica. Non vive che di sangue e mangia un’unica volta al giorno, ma è capace di digiunare per centoventicinque giorni, superando così qualsiasi nostro primato. Si dice che la pulce “morda”, ma non è vero. Aspira, come noi quando beviamo un’aranciata con la cannuccia. Possiede infatti una bocca che, perforata delicatamente la pelle, si dispone a tubo. Una sua speciale saliva le permette di suggere placidamente il sangue, senza che si coaguli nel suo vasto stomaco. Così riconfortata, comincia i salti, in cui può raggiungere 44 centimetri d’altezza e 32 centimetri e mezzo di lunghezza. Da notarsi che la pulce salta all’indietro e, per quanto abbia sei gambe, ricade esclusivamente sulle due posteriori. Questo animaletto si addestra come il cane e meglio del gatto. Nelle fiere si vedono talora gli “ammaestratori di pulci” presentare le loro bestiole che tirano piccole carrozze, sparano cannoncini, gareggiano nella corsa. Certo è un essere straordinario. Possiede almeno quattro sensi: una vista ottima, un odorato eccellente, un gusto fine, un tatto probabilmente superiore al nostro. Inoltre è capace d’ira, è capace di riflessione, è capace di logica, tanto che, adattando il suo comportamento alle nuove circostanze, da animale saltatore che è, s’acconcia a camminare sulla terra, tralasciando i balzi. La pulce conosce l’amore, conosce la maternità, si sacrifica per i figli, ha un’esistenza avventurosa e perfino aspirazioni imperiali, tanto da vivere in colonie sulle bestie di altri continenti. Chi oserà più negare che la pulce ci è prossima? V’è da chiedersi quale concetto la Pulex irritans abbia dell’uomo. Forse il medesimo che di noi ha la Terra. Forse la Terra paziente ci chiama Homo irritans e un giorno, quando non ne potrà più, le sue mai vedute immense dita si decideranno a grattarsi dei nostri millenari pruriti, cacciando così definitivamente l’irritante genere umano dalla sua placida pelle rugosa.

» illustrazione di Valérie Losa

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Momenti favorevoli e situazioni amorose piacevoli per i nati nella terza decade (anche se dovranno tenere la lingua un po’ più a freno). Calo fisico per i nati tra il 21 e il 24 marzo: non sprecate le vostre energie per trattenere le emozioni.

Le ultime ore dell’anno saranno segnate da atmosfere magiche e sensuali. Grazie al trigono con Luna e Venere, San Silvestro si presenta come un momento fantastico per abbandonarsi tra le braccia del proprio partner.

toro

scorpione

Incontri con personaggi del tutto fuori dall’ordinario. Divertitevi ma evitate di farvi delle illusioni. Le persone vanno apprezzate per quello che effettivamente sono. Momento decisivo per le nate nei primi giorni del segno.

Fine d’anno allegro e divertente per i nati in ottobre, trasgressivo per i nati della terza decade. Grazie al cambio di Luna di Mezzanotte il 2009 inizia con il piede giusto. Numerosi incontri per i nati della terza decade favoriti dal transito di Mercurio.

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Grazie a un’ottima congiuntura astrale potrete mettere le ali ai vostri desideri. Incontri originali favoriti da un’ottima Venere in Acquario. Cambiamenti per i nati tra l’11 e il 12 giugno. Situazioni stressanti per i nati nella prima decade.

San Silvestro frizzante e allegro per i nati nella terza decade favoriti dai transiti favorevoli di Luna, Venere e Nettuno. Momenti di grossa empatia spirituale in compagnia della persona amata. Piccole discordie familiari per i nati in novembre.

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Calo energetico per i nati nella prima decade, ormai costretti a fare i conti con Marte e Plutone in opposizione. Cercate di affrontare le opportune trasformazioni di coppia senza per questo cedere inconsciamente su tutti i fronti.

Grazie alla irripetibile congiunzione tra Marte e Plutone avrete l’opportunità di vivere un incontro importante. Compatibilmente con le vostre posizioni astrali, potrebbe essere il partner della vostra vita. Pubbliche relazioni da delirio.

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Fino alla mezzanotte di San Silvestro il vostro partner dovrà stare veramente attento a non urtare la vostra suscettibilità e così anche il vostro desiderio di sentirvi al centro dell’attenzione. Non fatevi trascinare dalle impressioni superficiali.

A mezzanotte la Luna lascerà l’Acquario per entrare nei Pesci. Questo transito e così questa coincidenza avranno importanti ripercussioni su tutto l’andamento del 2009 caratterizzato dalla congiunzione di Giove con Nettuno.

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San Silvestro caratterizzato da forti sbalzi umorali. Fino a mezzanotte tutto sembrerà filar liscio. Poi, con il cambio di Luna nel segno dei Pesci, potrebbero sorgere alcune incomprensioni, soprattutto con il partner. Godetevela senza concedervi troppo a Bacco!

Le ultime ore del 2008 le passerete in compagnia di una magica Luna in Acquario. Grazie a questo transito avrete l’opportunità di riflettere sulle novità e sui cambiamenti che hanno caratterizzato l’anno. Concludete la notte in compagnia delle persone a voi più care.

Elemento: Terra - cardinale Pianeta governante: Saturno Relazioni con il corpo: apparato scheletrico Metallo: piombo Parole chiave: introversione, perseveranza, disciplina interiore

L’intera iconografia concernente il Capricorno ha proprio nel caprone il suo simbolo centrale. Animale tragico destinato al sacrificio (il termine capro espiatorio riprende il senso e la funzione della bestia, che dava anche il nome ad alcuni canti intonati durante i riti dionisiaci), esso identifica in sé sia la vittima sia la divinità, e nel riscatto dell’offerta trova la sua celebrazione e grandezza. Essere ascetico, dal comportamento nervoso e timido, la capra viene associata nelle diverse culture all’archetipo della Grande Madre, all’Energia primigenia. Carl Gustav Jung, nella sua celebre opera Simboli della trasformazione, la associa all’immagine del Sole proprio per la sua tendenza a salire verso le cime più alte. In epoca ellenistica l’immagine del caprone si connetteva a numerosi miti, fra cui emerge in particolare quello legato alla capra Amaltea, nutrice di Giove, che veniva allattato attraverso il celebre corno, la cornucopia. Prima dello scontro con i Titani l’oracolo suggerì al signore degli dei di uccidere l’animale e indossarne la pelle – l’egida – a guisa di armatura per garantirsi l’invulnerabilità. Amaltea simboleggia dunque la duplice attitudine alla dedizione e al sacrificio. Ma la vicenda che simbolicamente meglio rappresenta l’immagine e il senso del Capricorno risiede proprio nel riferimento alla figura del Cristo, agnello di Dio giunto in Terra a espiare i peccati degli uomini. L’esperienza di solitudine di Gesù, la sua passione, il sacrificio sulla croce e la resurrezione, sintetizzano l’aspirazione al trascendente e alla spiritualità caratteristica dei nati nel segno.

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Il Sole transita nel segno del Capricorno dal 23 dicembre al 22 gennaio

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“… quel del vecchio Saturno, antico regno…”

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Âť illustrazione di Adriano Crivelli


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In quale numero di Ticinosette è apparsa l’immagine di cui forniamo qui il particolare? Al vincitore andrà in premio Memorie di una contadina di Lev Tolstoj e T.A. Kuzminskaja, Edizioni Casagrande, 2008.

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Schema realizzato dalla Società Editrice Corriere del Ticino

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Le soluzioni verranno pubblicate sul numero 3.

1. La fiaba con il lupo e la nonna • 2. L’arte del bel canto • 3. Gigaro • 4. Una non fa primavera • 5. La sorella di Semele • 6. Connessioni • 7. Satellite di Nettuno • 8. Il nostro bel cantone • 9. Dio nordico • 13. Mezza tara • 17. Un insetto poco previdente • 18. Ricerche di mercato • 21. Metallo radioattivo • 23. Escursionisti Esteri • 24. Piace al fannullone • 26. Si detrae dal lordo • 28. Retribuzione • 31. Pari in borgo • 34. Non sottomettersi • 36. Epoca • 38. Adorate • 39. Incursione aerea • 41. Il niente del croupier • 43. Il nome di Graziani • 46. Il pupo dell’Iris.

Verticali

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1. Uno strumento di... Renzo Arbore • 10. Un trampoliere • 11. Indonesia e Germania • 12. Li azzardano gli scommettitori • 14. Cuor di tapino • 15. Stoffa lucente • 16. Ammazzati • 19. La Yoko di Lennon • 20. Uccide Abele • 21. Il primo dispari • 22. Ciò che resta della sigaretta • 25. La somma degli anni • 27. Divinità femminile • 28. I confini di Schwyz • 29. Scava gallerie sotterranee • 30. Conosciuti • 32. Prep. semplice • 33. Bigia • 35. Dittongo in boato • 36. Bagna la Grecia • 37. Pubbliche Relazioni • 38. Motivetto • 39. Colpevoli (f) • 40. Impronta • 42. In coppia con Ric • 44. Stima senza pari • 45. Ematomi • 47. Si spegne bevendo • 48. Osso del braccio • 49. Uno a Londra • 50. Alto graduato • 51. La fine di Belfagor.

Epigoni A quale romanzo appartiene il seguente finale? La soluzione nel n. 2. Al vincitore andrà in premio “Santa Maria del Bigorio” di Fra R. Quadri e P.G. Pozzi, fotografie di Ely Riva, Fontana Edizioni, 2008. Fatevi aiutare dal particolare del volto dell’autore e inviate la soluzione entro mercoledì 31 dicembre a ticino7@cdt.ch oppure su cartolina postale a Ticinosette, Via Industria, 6933 Muzzano.

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“Ei dorme. Sebben strana fosse con lui la sorte, vivea. L’angel suo sparve, ed egli venne a morte. Così, semplicemente, la vita sua finì, come la notte scende, quando tramonta il dì”.

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La soluzione a Epigoni è: Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler (Mondadori, 2007). Il vincitore è C.M., Lugano.

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Distributed by John Lay Electronics AG, 6014 Littau

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