Ticino7

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L’appuntamento del venerdì

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numero

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Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Giornale del Popolo

Tessiner Zeitung

CHF. 2.90

con Teleradio dal 22 al 28 marzo


Per salvare l’ambiente, anche da casa tua.


numero 13 20 marzo 2009

Agorà Economia. A scuola da san Benedetto Arti Musica. Il santo nero e la peccatrice

DI

DI

SILVANO TOPPI

GIANCARLO LOCATELLI

Media Corriere dei Piccoli. Un anniversario a strisce

Impressum Tiratura controllata 90’606 copie

Chiusura redazionale Venerdì 13 marzo

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Racconto Just a perfect crime

DI IVO

SILVESTRO

Gastronomia Al contadino non far sapere… Vitae Ioana Butu

DI

GIANCARLO FORNASIER

Reportage La terza anima del violino

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DI

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VALENTINA GERIG

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DI

ROBERTO ROVEDA

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DI

G. RECLARI; FOTOGRAFIE DI R. KHATIR

Tendenze Wellness. Viaggiare nel benessere

DI

PATRIZIA MEZZANZANICA

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Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor

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Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Reza Khatir

Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Una fase della costruzione di un violino (Liuteria Lanini&Natolini) Fotografia di Reza Khatir

Libero pensiero

Cari lettori, la presenza nello scorso numero del testo di Kurt Sghei dal titolo “Artiglieria familiare” e nel presente del racconto di Ivo Silvestro “Just a perfect crime” coincidono fatalmente con la strage nel liceo di Winnenden, presso Stoccarda e l’analogo episodio di Samson in Alabama. Questi fatti drammatici, contrassegnati da un punto di vista psicologico da dinamiche e cause in parte differenti, rimandano da un lato al tema, molto dibattuto, della diffusione nella società civile delle armi da fuoco, e dall’altro al problema dell’alienazione e della violenza sociale nelle fasce giovanili. Cadere nei luoghi comuni o nei facili psicologismi è un rischio grosso quando ci si accinge a commentare situazioni come queste. Per esempio: benché nettamente contrario alla diffusione nella società civile delle armi di difesa personale e della concezione della “sicurezza fai da te”, ritengo che il nocciolo della questione risieda altrove. Certo, educare i propri figli all’uso del grilletto non mi sembra affatto una strategia educativa condivisibile, anche se questo non presuppone necessariamente che questi un giorno si trasformino in micidiali killer di compagni di classe. L’aspetto che credo debba essere evidenziato è piuttosto quello relativo alla pressione sociale e alle conseguenti frustrazioni a cui i giovani sono sottoposti: l’idea del successo a scuola e in ambito professionale, l’enfatizzazione sulle

prestazioni sessuali e la facilità di approccio, la capacità di essere all’altezza in ogni situazione sono messaggi che vengono incessantemente veicolati e sostenuti dai media. Sul fronte opposto, gli sbocchi e le reali possibilità offerte dalla società occidentale, in profonda crisi e mutamento, risultano del tutto non rispondenti a questi modelli. L’insuccesso è dietro l’angolo e sentirsi “sfigati” e incapaci sono sentimenti comuni negli adolescenti. Di fronte all’incapacità di sostenere il gap fra l’accesso a una soddisfazione immediata, a pronta disposizione e a cui sono stati avvezzi fin da piccoli, e l’asprezza di una realtà feroce che non concede – e non concederà – nulla se non a prezzi altissimi, essi tragicamente tracollano. Ecco allora che la strage di compagni con suicidio finale si configura come l’atto eroico, finale, l’epifania attraverso la quale si potrà finalmente essere riconosciuti e ricordati: “ecco chi ero, ecco cosa ero capace di fare”. L’errore sta forse a monte, dunque. E ritorniamo allora alle casette di legno sugli alberi, all’idea della decrescita e alla speranza che la crisi economica rappresenti un’occasione per una revisione profonda dei bisogni e del significato delle nostre vite di uomini e donne – e quindi di padri e di madri – in un mondo destinato a cambiare. Cordialmente, Fabio Martini


A scuola da san Benedetto

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ell’arco degli ultimi vent’anni si è assistito a un’esaltazione generalizzata del management, della governance e dei manager. Termini entrati nel linguaggio comune dei media, dei politici e finiti persino nel dialetto, quasi sempre con l’accento sbagliato. Di importazione anglosassone, nutriti dagli immancabili master e condecorati da un infinito rosario di misteriose espressioni inglesi, hanno costituito l’ossatura semantica dell’economia e della finanza. Chi rimaneva fuori dal “giro” o osava ancora dire, per esempio, “conduzione d’impresa”, “gestione” o “dirigenti”, era additato come reperto archeologico di un’economia scomparsa. Si sa come è andata a finire, non certo in gloria. Dapprima, due anni fa, ci fu un presentimento persino tra i manager del mondo convocati a Davos. Poi è arrivato il crollo, con management, governance e manager tra gli imputati. Hanno tenuto duro i bonus... ma solo in Svizzera. C’è ora chi persiste e nell’ondata etica che ha intenti riparatori va proponendo il “management attraverso i valori”. Nella nuova tombola i numeri che escono più frequentemente sono: responsabilità, fiducia, lealtà, integrità, rigore, rispetto, ascolto, professionalità, onestà, trasparenza, equità, solidarietà. E la richiesta di “altre regole” o del “diritto all’errore”, che è già un’ouverture melodrammatica.

A volte ritornano...

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Agorà

Il vento della crisi sta trascinando con sé anche l’enfasi e l’abusata terminologia che in questi ultimi anni ha contraddistinto i ruoli di comando nel mondo politico ed economico. Accade dunque che alla messa in discussione della figura del manager, ritenuta indispensabile alla società contemporanea, corrisponda il recupero e la rilettura di testi dimenticati ma pregni di consigli e di indicazioni tutt’altro che inattuali

Con il ritorno della primavera (quella stagionale) e l’incantevole espressione “per San Benedetto, la rondine è sul tetto” – rimasta nella memoria nonostante gli spostamenti dei calendari liturgici e la diserzione delle rondini, volate chi sa dove –, si è quasi indotti ad associare, con qualche rivalsa, i termini della nostra dannazione e i loro pretesi valori alla Regola benedettina risalente al VI secolo e tuttora in vigore. Scritta tra il 537 e il 547, essa aveva la funzione di organizzare la vita dei monaci che facevano parte di una comunità (cenobiti). La situazione, in quel periodo, era complessa e turbolenta, segnata da profondi cambiamenti, con le prime invasioni barbariche (gli Unni, gli Alani, i Visigoti, i Goti, i Vandali) che sovvertivano i valori del vecchio Impero romano e moltiplicavano gli incroci tra i popoli. Le culture subivano contraccolpi violenti, cresceva il caos sociale, intellettuale e morale. Quei mutamenti non avvenivano con


dispotismo sia l’arroganza. Primordiale è invece il rapporto umano, non formale o monetizzato o pregiudiziale ma conoscitivo della persona che si ha di fronte. E si è ancora più concreti: il dirigente “non sia turbolento e ansioso, né esagerato e ostinato, né invidioso e sospettoso, perché così non avrebbe mai pace…” (cap. 64, v. 16). Sarebbe quindi un danno per se stesso e per la comunità. Chiediamocelo sinceramente: non è il contrario di quanto negli ultimi vent’anni abbiamo venduto come cultura efficientista ed enfasi manageriale?

Una “Regola” da rivalutare

Dare valore al tempo e alle persone

La Regola di san Benedetto conta 73 capitoli. Alcuni di essi sono dei brevi trattati di direzione aziendale, ricchi di verità semplici, concrete, che possiamo facilmente adattare alla nostra epoca. Un monastero è infatti un’azienda, che ha una produzione propria, alle volte anche un commercio, dove il lavoro è chiaramente ripartito – ognuno sa ciò che deve fare – e dove i compiti di interesse comunitario sono svolti a turno. L’asse portante è l’abate (dal siriaco abba, padre), paragonabile per molti aspetti al dirigente, al consigliere di stato, al sindaco. Eletto, “pensi sempre al carico che si è addossato e a chi dovrà rendere conto del suo governo e sia consapevole che il suo dovere è di servire e non di asservire” (cap. 64, v. 7). Non ci si regge quindi su schemi e formule incontrovertibili, importate dall’esterno. Contano dapprima il senso morale del proprio ruolo e la consapevolezza di avere una responsablità che è innanzitutto sociale. Una volta in funzione l’abate “deve sapere che sono maggiori le esigenze poste a colui al quale è stato affidato di più. Bisogna che prenda chiaramente coscienza di quanto sia difficile e delicato il compito che si è assunto… e di porsi al servizio dei vari temperamenti. Perciò si conformi e si adatti a tutti, secondo la rispettiva indole e intelligenza…” (cap. 2, v. 30). Estranei alla buona direzione devono dunque essere sia il

Ogni volta che si deve trattare affari importanti “l’abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l’affare in oggetto. Poi, dopo aver ascoltato il parere di tutti, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno. Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che si rivela la soluzione migliore” (cap. 3, v. 1 e ss.). Ogni parola di questo capoverso, che non riceverà il consenso unanime dei consigli di amministrazione o dei consigli municipali, merita di essere attentamente meditata. Si potrebbe tradurre dicendo che ogni dirigente o magistrato deve tener conto di ciò che si pensa, matura e si agita nella comunità, deve avere i propri tempi di riflessione, senza mitizzare né il cortoterminismo, né il decisionismo o l‘efficientismo, né il pragmatismo come unici metodi idonei all’ottenimento della miglior decisione o della maggior redditività o popolarità. Che sono poi i vizi generati dal management e dai manager. Ecco dunque che più di millecinquecento anni fa, in tempi per molti versi assai simili ai nostri, sono state pensate e scritte regole semplici che risuonano ancora nella loro perfetta giustezza. Forse sono queste le rondini che san Benedetto dovrebbe riportarci sotto i tetti, un po’ lacerati, della politica e dell’economia.

» di Silvano Toppi; illustrazione di Micha Dalcol

la rapidità della situazione contemporanea ma sembrano una lontana prefigurazione di ciò che sta capitando con l’attuale mondializzazione. Sarà anche per questi motivi che la Regola di san Benedetto, che stabilisce dei modi di funzionamento per garantire a una comunità la sussistenza materiale e lo sviluppo spirituale, distilla ancora delle concezioni sorprendentemente attuali. Tanto da essere al centro di convegni di studio per la formazione dei nuovi dirigenti. Così, lasciati i bolsi master, si torna alla saggezza dell’evo antico.


Il santo nero e la peccatrice

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Arti

zione per orchestra jazz prevede sempre un alternarsi di parti scritte e parti improvvisate in equilibrio fra loro, anche dal punto di vista quantitativo. In questo particolare caso però scrittura e improvvisazione convivono simultaneamente: il solista di turno non è quasi mai lasciato solo e mai per più di brevi periodi. Il lavoro orchestrale che sostiene, precede o segue i soli improvvisati rende la partitura veramente “sinfonica”. Senza però dimenticare che è musica scritta non solo per essere ascoltata: “Scrissi la musica per il ballo e per l’ascolto”. Del resto i titoli dei vari brani non danno adito a dubbi: le parole danza o danzatori appaiono in tutti i titoli delle sei parti che compongono l’opera. Per cogliere i motivi che hanno ispirato questo lavoro è anche interessante leggere le note di copertina che Mingus chiese al suo psicologo, il dottor Edmund Pollock: “Quando Mr Mingus mi chiese di scrivere una presentazione della musica che aveva composto per questo disco, rimasi stupito e glielo dissi. Gli dissi che mi sentivo sufficientemente Mingus fingers. Fotografia di Tom Marcello, 1976 competente come psicologo ma che il mio interesse per la musica era mediocre e senza Questo è certamente il lavoro udibili sarebbero rimasti semalcuna base tecnica. Mr. Mingus rise e disse di Charles Mingus più ispirato pre tre suoni distinti, mentre che non gli importava, se avessi ascoltato la all’opera di Duke Ellington. due in prima fila e “un’ommusica avrei capito. Questa è la particolarità La formazione comprende bra” che li accompagna avrebdi questo uomo: ti colpisce con l’inaspettato undici musicisti e, anche se bero dato l’illusione di essere e il nuovo… Dopotutto perché non chiedere non raggiunge il numero di quattro o cinque: less is more a uno psicologo di interpretare i pensieri di componenti dell’orchestra di sembra essere il suo principio un compositore? Gli psicologi interpretano Ellington, l’uso che ne vie- guida. comportamenti e/o idee comunicate con ne fatto ne è profondamente Abbiamo detto che Mingus si parole e atteggiamenti – perché non applidebitore. In un commento ispira a Ellington ma gli esiti care questa capacità alla musica?… Per me all’incisione, Mingus dichia- differiscono non poco sopratquesta particolare composizione contiene ra chiaramente l’intento di tutto per due motivi: le caratsia un messaggio personale di Mingus sia utilizzare il gruppo in mo- teristiche della composizione uno sociale... Cerca di dire alla gente che è do da creare l’illusione in e il rapporto molto particoin grande pena e angoscia poiché ama. Non chi ascolta di un organico di lare fra parti scritte e quelle può accettare di essere solo… vuole amare ed maggiori proporzioni. L’effet- improvvisate. La scrittura di essere amato. La sua musica è una richiesta to è ottenuto attraverso una Mingus è scura, scrutante, di accettazione, rispetto, amore, comprenscrittura ricca e polifonica sione, amicizia, libertà e la particolare disposizione Un’opera straordinaria, fra le più pregnanti – una supplica all’uodei musicisti di fronte ai mi- del compositore di Nogales: l’urlo di dispera- mo bianco di essere crofoni. I tre sassofonisti, per zione rivolto all’uomo bianco si trasforma in consapevole. Sembra esempio, vennero posizionati dichiarare che… tutto un richiamo all’amore universale e alle aspi- il genere umano deve secondo uno schema a V, con l’alto e il baritono più vicini razioni di libertà del popolo afroamericano unirsi nella rivoluzioalla presa del suono e il tenore ne contro qualsiasi sopiù arretrato. Mingus cerca di introspettiva e cinematogracietà che limita la libertà e i diritti umani. sfruttare in questo modo la fica, decisamente polifonica Nella prima traccia si ascolta un solo del sax diversa presenza dei suoni per e poliritmica. Inoltre la caalto – una voce che chiama gli altri e dice rendere udibili gli armonici ratteristica “nuova” è data «sono solo, per favore, per favore unitevi a che risultano dall’impasto dalla compresenza pressoché me». Il profondo cordoglio e le lacrime di delle tre voci. La sua idea era costante di materiale scritto solitudine suonano e risuonano come un che tre sassofoni ugualmente e improvvisato. La composieco negli altri strumenti nel tentativo di


tecniche di strumentazione per esprimere il senso (quello che vuole dire). Mi disse che con l’uso della chitarra spagnola intendeva richiamare il periodo dell’Inquisizione spagnola e le atmosfere di oppressiva povertà e morte di El Greco. Pollock conclude dicendo che Mingus “è ancora in un processo di cambiamento e di sviluppo personale… Dobbiamo continuamente aspettarci nuove sorprese da lui”. The Black Saint and the Sinner Lady venne registrato il 20 Gennaio del 1963. Ming us ha continuato a lavorare e incidere fino al 1978. Bisogna senz’altro dire che altre sorprese non sono davvero mancate.

Cd

Charles Mingus The Black Saint and the Sinner Lady Impulse, 1963 Oggi reperibile in cd, il disco rappresenta uno dei momenti più intensi della vicenda artistica del musicista afroamericano. Con solisti straordinari.

Joni Mitchell Mingus Asylum, 1979 Il disco segna il passaggio della cantautrice americana alla fusion. Una chicca anche per gli amanti del compianto Jaco Pastorius – già bassista dei Weather Report – l’album è stato a lungo poco compreso dal mondo sia pop sia jazz, un tentativo della Mitchell di esplorare Mingus ed elevare il pop a un livello più sofisticato.

I polli di Bell

Un tantino più svizzeri

I polli svizzeri di Bell sono davvero fortunati. Vivono in fattorie svizzere secondo principi di allevamento particolarmente attenti alle esigenze degli animali (SSRA), con uno spazio dove respirare aria fresca. Le cure, l’amore dei nostri allevatori e il miglior mangime misto svizzero selezionato e ricco di vitamine perché fatto di mais e grano garantiscono ogni giorno il benessere dei polli. bell.ch

» di Giancarlo Locatelli

Mingus di esprimere i suoi sentimenti sulla separazione... La sofferenza è terribile da ascoltare. Nella seconda traccia la musica comincia con un tema tenero. È un duetto, una canzone di danza nella quale vengono espresse molte emozioni legate alle relazioni – calore, tenerezza, passione. La musica poi cambia in un mood che vorrei definire di irrequieta agitazione e angoscia come se ci fosse un tremendo conflitto fra amore e odio. Questo è realizzato dalle lancinanti urla del trombone e dalle risposte dei sassofoni… La traccia tre inizia con il tema più allegro. Qui lo stesso Mingus suona un classico reverie al pianoforte accompagnato dal flauto e dai piatti. È dolce e delicato e ha una leggerezza che raramente si trova nella sua musica. Ma ancora una volta la musica scivola verso un tono disperato e una angoscia sinistra. Il tema suggerito dal titolo è che la pace e la felicità delle persone libere contrasta con il dolore e le lacrime del popolo nero. Mingus usa molte forme e


Un anniversario a strisce

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Media

vecchie lirette e la tiratura raggiunse presto le 80.000 copie. Supplemento del Corriere della Sera, veniva realizzato nella storica sede di Via Solferino, a Milano. Gran parte del merito lo si deve a Paola Lombroso: figlia del celebre criminologo Cesare, era una scrittrice e pedagoga, e presentò all’allora direttore del Corriere Luigi Albertini l’idea di un periodico per l’infanzia. Più che fumetti erano illustrazioni in sequenza. Il formato italiano, infatti, era più piccolo rispetto ai fumetti statunitensi, perciò non c’era spazio per la nuvoletta (o baloon) nel disegno. Si preferì la didascalia in rima, quasi si volesse guidare i bimbi a una lettura che li accompagnasse con una voce narrante ai piedi delle vignette. La trovata fu un successo. Le rime baciate diventarono famose come le filastrocche. In molti ricorderanno l’incipit “Qui comincia l’avventura del Signor Bonaventura”, uno dei personaggi più familiari ai lettori del Corrierino, inventato dal garbo del disegnatore Sergio Tofano. Quasi un eroe per caso a cui capitano mille imprevisti che alla fine si risolvono in un proficuo e fortunato happy end. Le figure che hanno riempito le pagine del Corriere dei Piccoli e la fantasia dei Stefi delle caverne, personaggio creato da Grazia Nidasio (striscia pubblicata nel bambini sono davvero tanti: i primi Sor Corriere dei Piccoli, n. 14, 4 aprile 1982, Milano, Archivio Storico del Corriere Pampurio, Bibì e Bibò, passando per la della Sera © by Grazia Nidasio) Stefy, il Sergente Kirk, Violante, Topo A nni Duemila. Le edicole pubblicazione innovativa Gigio, fino ad arrivare al signor Rossi, la straripano di pubblicazioni e in grado di segnare un Pimpa e molti altri. Ognuno con il pregio per bimbi e adolescenti, punto di svolta e di innovadi accompagnare da vicino il vissuto dei ragazze e ragazzi. Fumetti, zione nell’editoria popolare. bambini prima, durante e dopo le due giornalini, l’immancabile È il 1908: in casa “i grandi” guerre, rispetto alle romanzesche vicende Topolino, le magiche fatine hanno il proprio giornale da dei personaggi statunitensi. Nel corso degli Winx. Ma alcuni decenni leggere, mentre i più piccini anni Settanta, il Corrierino diventa anche or sono non era affatto così. devono accontentarsi dei lo spazio in cui agiscono alcuni fra i più Le mie ricerche in famiglia libri illustrati e delle fiabe straordinari illustratori italiani: si pensi, raccontano di bimbi che della tradizione. Ma volete per esempio, a Sergio Toppi e a Hugo Pratt. aspettano con trepidazione Ma anche autori come in una piccola valle svizzera Il Corriere dei Piccoli compie un secolo: una Mino Milani e Gianni l’arrivo del parrucchiere dal pubblicazione dedicata ai più piccoli che ha Rodari. confine italiano, il lunedì, Il Corriere dei Piccoli ha impresso una svolta alla letteratura per l’in- compiuto virtualmenche taglierà loro i capelli. Ma, soprattutto, porterà il fanzia e ha formato l’immaginario di intere te il secolo, visto che gioco preferito da sfoglia- generazioni di giovani italofoni la sua straordinaria re e con il quale passare avventura editoriale si qualche ora di fantasia: mettere il fascino di avere è ahimé conclusa nel 1995, anno in cui ne il Corriere dei Piccoli. Ma tra le mani un giornale tutto è stata interrotta la pubblicazione. Milano facciamo ancora un passo per sé? I bambini sembrano gli dedica in queste settimane una mostra indietro: esattamente cento non aspettare altro e il nella suggestiva cornice della Rotonda anni fa (e qualche mese...), Corriere dei Piccoli, fin dal della Besana, con tutto il repertorio e le quando il Corrierino nasce primo numero, fa il botto. tavole originali fornite dalla fondazione presentandosi come una Costava 10 centesimi di del Corriere della Sera che ha anche orga-


S. Brancato (a cura) Il secolo del fumetto Edizioni Tunuè, 2008 In occasione del centenario del fumetto italiano, questa raccolta di saggi scirtti da studiosi, critici e appassionati, approfondisce e rilancia il dibattito sui comics nella vicina Penisola.

Internet

www.fondazionecorriere.it C’è ancora tempo fino al 17 maggio per fare un tuffo nel passato e rivivere i personaggi, le tavole e le storie ospitate sul mitico Corriere dei Piccoli. A Milano, nella splendida cornice della Rotonda della Besana.

Mostre ticinesi

Tintin a Bellinzona E a proposito di fumetti... Sino al 28 marzo si celebra internazionalmente la Settimana della lingua francese e della francofonia. Nel mondo sono almeno 200 milioni i cultori la lingua di Molière: in Svizzera, in occasione della 14esima edizione di questa importante manifestazione culturale, si svolgono una cinquantina di eventi di cui ben 15 nel nostro cantone. Tra questi, segnaliamo presso la Biblioteca cantonale di Bellinzona una mostra dedicata a Tintin, nell’anno del suo 80esimo compleanno. Visitabile sino al 3 aprile (lun., 9–21; mar.–ven., 9–19; sab. 9–13), l’esposizione vuole essere un’introduzione alla conoscenza sia di Tintin – tradotto in una cinquantina di lingue e tra i più noti personaggi dei fumetti – sia del suo creatore, il belga Hergé. Info: www.amopa-ticino.ch oppure www.sbt.ti.ch/bcb

» di Valentina Gerig

Libri

Webspecials

nizzato incontri collaterali per riflettere sull’evoluzione del mondo dei ragazzi. Per fortuna il fumetto conserva ancora oggi un fascino tutto suo. Sebbene anche l’universo dei “piccoli” sia stato investito dalle logiche multimediali, industriali e imprenditoriali, i disegni su carta hanno conservato quelle caratteristiche artigianali che lo hanno reso unico alla sua nascita, anche se considerato per decenni letteratura di serie B. Ma ancora oggi sono necessari disegnatori, soggettisti, storie avvincenti personaggio riusciti. Il fumetto vende meno? Certo, ci sono internet, dvd, giochi interattivi di qualsiasi tipo e tutto il resto che ben conosciamo... Eppure, il fumetto mantiene un suo spazio che oggi pare pare riuscire a conservare. Smettendo di essere il sostituto o l’evoluzione di “qualcos’altro”, ma un semplice e incantevole disegno su carta che fa sognare e volare la nostra l’immaginazione.

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Racconto

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Just a perfect crime

ha inizio con un banale messaggio pubblicitario: l’immagine stilizzata di una persona angosciata di fronte a un computer, senza alcuna didascalia o logo riconoscibile. Qualche settimana più tardi l’immagine viene completata con un indirizzo web. Poche ore dopo tutti i mezzi di informazione iniziano a parlarne, lancianodo la notizia con titoli abbastanza divertiti e ironici: “Programmatore crea 100 ostaggi virtuali. Chiesto un riscatto (in soldi veri)”. In realtà l’autore, o meglio il criminale, si è limitato a supervisionare il lavoro di alcuni ingegneri e, tenendoli all’oscuro di tutto, ha fatto loro credere di stare creando un programma per simulare lo stress psicologico. Il programma crea una prigione virtuale nella quale dei prigionieri – virtuali anch’essi – vengono torturati. Collegandosi al sito internet è possibile vedere gli ostaggi, ascoltare le loro urla, parlare con loro. Un’esperienza, questa, particolarmente penosa. Ogni pagina del sito recita il seguente avviso: “Nulla di tutto ciò esiste nella realtà esterna. Nessun essere umano è stato sottoposto a torture o a trattamenti umilianti. Tutto ciò che vedrete su questo sito è solo il prodotto di una simulazione”. Un avviso, ovviamente, che non diminuisce l’angoscia nel vedere delle persone, per quanto virtuali, soffrire. Il criminale è disposto a modificare il programma, ponendo fine alle torture. Ovviamente, tutto questo dietro lauto compenso. E tutt’altro che modesto: libererà gli ostaggi solo se diventerà l’uomo più ricco del mondo. Ogni giorno vengono calcolate le sostanze dell’uomo più ricco del mondo e maggiorate del venti per cento: questa è la cifra che il criminale chiede all’umanità per la libertà dei prigionieri. Astutamente, il genio del crimine prevede una serie di traguardi intermedi, in modo che l’obiettivo non risulti impossibile: al raggiungimento di un centesimo della cifra, un prigioniero a caso viene liberato, salvo gli ultimi dieci che otterranno la libertà tutti insieme. Ma le autorità hanno bloccato quasi subito il sito, sequestrando i computer sui quali operava il software di simulazione.

Purtroppo il sequestro si è però rivelato infondato: il criminale, per la Legge, non stava commettendo alcun crimine. I prigionieri in realtà non esistono: sono solo il risultato di alcune istruzioni di un complesso programma e farsi pagare per scrivere un software è un’operazione perfettamente legale. Da questo punto di vista non vi è alcuna differenza tra le torture e i morti che si susseguono in molti videogiochi, film o romanzi, tutti perfettamente legali. Anche l’accusa di divulgazione di immagini oscene è finita nel nulla: le torture più cruente sono state in parte censurate, e il risultato non appare più violento o raccapricciante di molti blockbuster. Come il criminale ha previsto, si è scatenato un avvincente – per quanto spesso vacuo – dibattito filosofico: i prigionieri sono vivi? Esistono realmente? Le loro sofferenze sono reali? Gli psicologi che hanno parlato con i carcerati ammettono di non essere stati in grado di distinguere le creature virtuali dalle persone vere. Uno degli specialisti interpellati ha provato a suggerire a uno dei prigionieri che, in realtà, non esisteva ma era solo il risultato di una simulazione informatica. La reazione disperata dell’uomo ha fatto quasi triplicare le donazioni che sono cresciute in maniera esponenziale. Oltre ai privati, anche numerose aziende hanno iniziato a versare del denaro. Alcune catene di ristorazione hanno addirittura annunciato l’intenzione di versare una quota fissa per ogni consumazione e presto sono stati presentati disegni di legge per detrarre dalle tasse questi versamenti, formalmente non assimilabili alla beneficenza. I nuovi sviluppi hanno esacerbato lo scontro tra chi sostiene che i prigionieri, e ormai anche i loro familiari, esistono realmente – anche se non nel nostro stesso mondo – e chi invece non concede alcuna realtà alla sofferenza dei prigionieri. Fin dall’inizio del dibattito, le chiese cristiane, quella cattolica in particolare, hanno sostenuto la non esistenza dei prigionieri: queste creature non possiedono autonomia ontologica, non hanno un’anima immortale in grado di garantire loro un’esistenza in senso umano e neppure animale. Nel frattem-

Il crimine perfetto: pensavo fosse solo una questione di fortuna, ma mi sono dovuto ricredere. In realtà esiste, eccome. E non consiste affatto nel non lasciare la minima traccia del proprio delittuoso operato, ma piuttosto nel non commettere alcun crimine. O almeno, nulla di perseguibile...


Post scriptum Scrivo questo breve resoconto a futura memoria. Perché i miei concittadini abbiano coscienza del motivo per il quale noi esistiamo, perché il Programmatore ci ha creato: solo e soltanto per poter ricattare i propri simili, nessun’altra. Mio padre è stato il quarantaduesimo prigioniero liberato. Mia madre, conosciuta durante la terapia di gruppo, la trentanovesima. Non mi spaventa sapere di esistere fra quelli che, in un altro piano di realtà, sono semplici circuiti elettrici. In un certo senso, l’ho sempre saputo. Trovo però insopportabile il motivo per cui siamo stati creati, un motivo che ho scoperto chiacchierando con alcuni forestieri. Una ragione che tutti noi dovremmo conoscere. Per maledire il nome del Programmatore.

Libri

M. Leone Piccini e G. Vaciago Computer Crimes. Casi pratici e metodologie investigative dei reati informatici Moretti&Vitali, 2008 L’aumento indiscriminato di reati commessi in rete è sotto gli occhi di tutti: frodi on line, furti d’identità, accessi abusivi a caselle di posta elettronica... E così, troppo spesso la truffa da virtuale si fa drammaticamente reale. Come le sue conseguenze.

» di Ivo Silvestro; illustrazione di Mimmo Mendicino

po il criminale ha mostrato al mondo un altro tassello del suo disegno: il prigioniero liberato presenta seri problemi a riprendere la vita di prima. Il periodo trascorso nella prigione lascia delle terribili conseguenze psicologiche e le difficoltà ad adattarsi sono state osservate e possono essere testimoniate da tutti. Questo ulteriore tocco di realismo ha determinato, oltre a un incremento delle donazioni, l’uscita dalla neutralità della società civile. Se in un primo momento le due posizioni, favorevole e contraria all’esistenza dei prigionieri, convivevano più o meno pacificamente, ora ai contrari non viene concesso alcuno spazio di replica: l’emotività ha fugato ogni accenno di razionalità e chi negava la reale sofferenza di quelle creature viene additato come un mostro, un complice delle atrocità. È stata la fine di oltre duemila anni di cristianesimo. Nuove chiese, che alcuni studiosi hanno definito post-cristiane, hanno preso il sopravvento proponendo un un pout-pourrie di spiritualità orientale e occidentale, con il Vangelo a fianco delle Upanishad. La transizione non è stata pacifica: per quanto sia eccessivo parlare di guerre di religione, diversi i sacerdoti sono stati assassinati durante le rivolte e alti prelati sono stati dichiarati “persona non gradita” in molti paesi. Nel breve volgere di un paio d’anni tutti i cento prigionieri sono stati liberati. E il criminale è divenuto l’uomo più ricco del mondo.


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Massimo Montanari Il cibo come cultura Laterza, 2008 Un saggio sul valore culturale del cibo, per far comprendere come esso abbia contribuito a inventare e trasformare il mondo. Il cibo, quindi, come espressione dell’identità e dell’inventiva umana e come strumento per esprimerle.

stiana, nobili compresi, si diffuse l’idea del mangiare “di magro”, durante, per esempio, i venerdì di Quaresima prima della Pasqua. Quel “di magro”, e oggi può far sorridere, era spesso a base di formaggio! Quatto quatto, ecco il secondo membro dell’accoppiata giungere sulle mense dei ricchi e una spiegazione sulla nascita del nostro connubio “frutto-caseario” ce la offre Massimo Montanari, grande storico dell’alimentazione, nel suo saggio Il formaggio con le pere: “L’accostamento fu probabilmente sperimentato in modo fortuito, grazie, ritengo, all’occasionale convivenza dei due protagonisti nel medesimo spazio conviviale: entrambi infatti furono collocati di preferenza nella fase finale del pasto, per motivi legati sia a questioni di gusto, sia alle ragioni della scienza dietetica, che nel Medioevo orientava le scelte alimentari e gastronomiche in base ai principi della medicina galenica”. Galeno era stato il più grande medico dell’antica Roma e aveva sancito come abbinare gli alimenti e l’ordine in cui servire i piatti. Per primi i cibi che aprono lo stomaco, così da accogliere meglio il resto del pasto, e per ultimi quelli che hanno delle virtù “sigillatorie”, così da chiudere Un’accoppiata classica, celebrata in tutto il lo stomaco e facilitare mondo in centinaia di ricette e anche in molti la digestione. Era questo il caso del formagproverbi. Un accostamento, però, per nulla gio. Ma anche le pere scontato che nasconde una storia antica, andavano servite alla tutta da raccontare fine, perché si credeva avessero la proprietà di sciogliere il cibo e quindi aiutare a loro volta nobile e abituati solitamente a la digestione. L’abbinamento era fatto. Pere e mangiar bene. Sostituirono la formaggi giungevano insieme sulla tavola a carne con pesce, uova e anche fine convivio e qui il gradimento del palato formaggi, magari più raffinati dei commensali fece il resto rendendo il dei soliti, perché prodotti nei matrimonio una tale raffinatezza da essere loro monasteri. Allo stesso riservata ai nobili e da divenire proverbiale. tempo, in tutta la società crigerarchica e di ruoli tra contadini e signori richiamata nel proverbio citato all’inizio. Per secoli infatti il formaggio è stato il cibo dei poveri e dei contadini, dei rustici e dei bifolchi. Un alimento rozzo e pesante, inadatto ai palati raffinati. Tutto il contrario della frutta fresca, e in particolare della pera, impossibile da conservare a lungo per far fronte alle carestie e quindi fatalmente destinata alle mense delle classi agiate, che si potevano permettere il gusto e il piacere dell’effimero. Formaggio e pere si collocavano, perciò, agli antipodi della piramide sociale. Senonché nel Medioevo molto diffuse erano le comunità di monaci, i quali avevano bandito, per voto di povertà, la carne dalle loro mense. I monaci dell’epoca, però, erano tutti, o quasi, di origine

» di Roberto Roveda

Gastronomia

il tipo di latticino oppure se il frutto è crudo o cotto, ma siamo di fronte quasi a un luogo comune a livello culinario con tanto di proverbio a far da corollario: “Al contadino non far sapere quant’è buono il formaggio con le pere”. Come a dire che le cose migliori toccano ai soliti privilegiati. Ma prima di arrivare al proverbio e a un matrimonio duraturo, pere e formaggio ne hanno dovuta fare di strada. Il primo documento che testimonia un loro incontro è un detto in francese antico del XIII secolo: “Oncques Deus ne fist tel mariage / Comme de poire et de fromage”, cioè “Dio non ha mai fatto un matrimonio tanto riuscito come quello tra la pera e il formaggio”. Certo si torna indietro di circa otto secoli, ma non sono poi così tanti se pensiamo che il formaggio è l’alimento prediletto di Polifemo, così come ci racconta Omero nell’Odissea, e le pere sono un frutto tipico delle campagne europee sin dalla notte dei tempi. Nonostante ciò solo nel Medioevo le loro nozze vengono “consumate”. Le ragioni di questa prolungata lontananza hanno poco a che fare con la gastronomia e molto invece con la cultura e la struttura delle società del passato, con la separazione

Massimo Montanari Il formaggio con le pere Laterza, 2008 La storia dell’incontro tra il formaggio, il cibo rozzo degli incolti, con le pere, simbolo di gusti raffinati e altolocati, di piaceri non necessari. Un matrimonio antico e duraturo, ma per nulla scontato.

»

Formaggio con le pere? Varia

Al contadino non far sapere…

Immagine tratta da www.popartmachine.com

Libri


MP_ti7

11.2.2009

15:49

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amare è mettere la nostra felicità nella felicità di un

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» testimonianza raccolta da Giancarlo Fornasier; fotografia di Igor Ponti

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dibile quantità di materiale inedito che abbiamo scoperto solo dopo che ci ha lasciato. Anche per questa ragione con un gruppo di amici abbiamo deciso di costituire “Origini Associazione culturale Marco Fratantonio” (www.origini.ch, ndr.), un’associazione dedicata a lui e alla sua opera con la quale promoviamo eventi che in passato hanno coinvolto artisti del calibro di Rossana Casale, Nelson Veras e molti altri che avevano collaborato con lui. La malattia, contro la quale lui ha cercato di combattere sino all’ultimo, lo ha purtroppo fermato… Marco aveva una grande voglia di vivere, Che cosa ci fa una burattinaia franco- era una persona molto moromena in Ticino, una vita trascorsa fra desta, timida, umile... Ci ha lasciato un testamento muteatro, musica, carovane circensi... e la sicale veramente incredibile. magia del piccolo schermo? La musica è una passione che vivo anch’io, intensamente. con il Ticino è sempre rimasto Tra i miei progetti futuri, per esempio, vorrei vivo, tanto che nel 2003 inifinalmente portare sul palco uno spettacolo ziai una collaborazione con il teatrale-musicale ispirato a Maria Tanase, Teatro Paravento di Locarno, un’artista vissuta negli anni Quaranta, una per poi trovare casa nel piccosorta di Edith Piaf romena… È stata una lo schermo. È in quel periodo grande ricercatrice del folclore popolare della di nomadismo tra Ticino e mia terra, un paese oggi messo spesso sotto Svizzera tedesca che conobbi, una cattiva luce per alcuni cruenti fatti di attraverso il contrabbasista cronaca. In fondo, vi sia una profonda ignoDargo Raimondi, Marco (il ranza rispetto alla Romania, in particolare fisarmonicista Marco Fratanquando si parla di rom e nomadi. Sapete, tonio, scomparso nel 2007, nella mia terra la Svizzera è vista come una ndr.), già strumentista di nazione dove il livello di vita è molto alto e Giorgio Conte. Ci trovammo questo credo spaventi molto i romeni. Che si così a lavorare nello stesso sentono molto più vicini all’Italia, un paese spettacolo, una collaborazioforse più accessibile, meno ostico socialmenne prima artistica divenuta te e culturalmente. Tra l’altro pochi sanno in seguito anche sentimenche in Romania vi è una buona formazione tale. Marco era a sua volta scolastica, soprattutto in ambito scientifico. È molto attratto dall’ambiente una nazione con un passato storico glorioso, circense ma, in particolare, che ha conosciuto la ricchezza e, purtroppo, amava la musica e aveva la i regimi totalitari… Credo andrebbe visitata, capacità di passare dal tango almeno una volta. Io ne rimango comunque alla canzone popolare ticinese molto legata: lì ho imparato a fare la buratticon estrema versatilità. Aveva naia, un’arte che molti ancora confondono una tecnica sorprendente e con i marionettisti. In verità i burattini sono un amore per la fisarmonica dei pupazzi che vengono mossi dall’interno, nato sin da piccolo. Benché attraverso le dita della mano. Le marionette, abbia inciso poco del suo mainvece, sono rese vive da fili (porge le mani teriale – l’unico Cd, Origini, è in davanti e muove le dita, ndr.)… devi del 2004, ndr. – era un profestrovare il giusto equilibrio. È come suonare sionista completo: si è esibito due strumenti diversi, tecniche e linguaggi in tutta Europa e in Nordamesono differenti. Molti poi credono che gli rica, collaborando con un nuspettacoli con i burattini siano destinati a un mero di artisti internazionali pubblico giovane… invece sono gli adulti che veramente sorprendente. Una devono sforzarsi di tornare a essere, quando rete di relazioni e un’increè possibile, un po’ bambini…

Ioana Butu

Vitae

avoro come marionettista-animatrice presso la Radiotelevisione svizzera a Comano, dove mi occupo di due programmi dedicati ai ragazzi. Animo diversi personaggi e mi ritengo con orgoglio la migliore amica del cane Peo… La mia è una professione particolare e poco conosciuta in Ticino, vuoi perché non ci sono molte compagnie e le persone formate sono pochissime. Sono di origine romena. Ho lasciato il mio paese nel 1994 dove, dopo aver terminato gli studi superiori in chimica industriale, ho lavorato come marionettista nella mia città natale, Sibiu, in Transilvania (sorride… il riferimento al conte Dracula è sin troppo scontato, tanto che tacitamente evitiamo di parlarne, ndr.). Alcuni anni più tardi, in seguito a uno scambio culturale di poche settimane avuto con il Teatro Dimitri, mi sono innamorata della Scuola Teatro di Verscio: una volta tornata in Romania e dopo alcuni ripensamenti, decisi di iscrivermi. Sono così ripartita da sola verso il Ticino, lasciando la mia famiglia. La scuola, terminata nel 1998, è stata un’ottima base per le scelte fatte negli anni a seguire: con loro ho girato l’Europa per quasi un anno, per poi trasferirmi a Parigi, alla ricerca di un lavoro. Ma come spesso avviene le opportunità mi riportarono in… Svizzera. Ho fatto così una vita da pendolare per un paio d’anni, anche perché nella capitale francese avevo, nel frattempo, trovato una bellissima casa e un compagno. In Svizzera ho potuto lavorare con l’artista Dodo Hug in uno spettacolo musicale-teatrale che mi ha molto arricchito e, in seguito, ho lavorato in un piccolo circo-teatro che aveva sede a Sirnach (TG, ndr.). Per un lungo periodo ho vissuto in una roulotte, senza fissa dimora, in perenne viaggio… Una vita nomade di cui oggi, a volte, sento la mancanza. Ma nel tempo il mio contatto

»

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Un violino senz’anima non è un violino, è soltanto un pezzo di legno. Il fatto è che questo strumento imprevedibile e misterioso non si accontenta di un’anima sola ma ne esige ben tre: una è quel piccolo cilindro di legno nascosto all'interno della cassa armonica, indispensabile per la formazione del suono. L’altra seconda nasce dalla sensibilità del musicista, che ne forgia il carattere suonandolo. Ma il primo soffio di vita, la personalità segreta, li riceve dalle mani e dalla passione del suo creatore, il liutaio…

testo di Giorgia Reclari; fotografie di Reza Khatir


V

sotto: il giovane liutaio di Muralto Valentino Natolini e il suo assistente Giampiero Farina nelle altre immagini: un violino nelle varie fasi di costruzione. La tavola è scolpita nel legno d’acero mentre fondo e fasce laterali sono in abete. La verniciatura è il processo più lungo e richiede alcuni mesi

ia San Gottardo a Muralto, un pomeriggio di febbraio. Le automobili rotolano rimbombando fra le case strette mentre il vento e il sole, pungenti, ignorano la segnaletica e si precipitano contromano colpendo con stizza i passanti. Arrivo al numero 12, una casa antica, un porticato, una strana penombra ambrata al di là della porta a vetri. Entro. Il respiro si arresta e con esso il tempo. Legno ovunque, come entrare nel cuore segreto di un albero antico. Poi, lentamente, l’uniformità apparente si rivela composta da infinite tonalità cromatiche di legni diversi, giochi di luci e ombre fra forme curve e sinuose, riccioli, spirali. Emergono violini, violoncelli, contrabbassi, liuti, mandolini fra teche, scaffali, mensole. Altri sono appoggiati a terra sul parquet piacevolmente scricchiolante. È l’atelier di liuteria Lanini&Natolini, dove subito mi accoglie Giampiero Farina, assistente di Valentino Natolini, che arriva poco dopo. Insieme mi introducono ai segreti di un mestiere affascinante e senza tempo. Storia di una farmacia, di un liutaio e di una passione tramandata Fino agli anni Sessanta in questi spazi prendeva posto una farmacia. Poi, nel 1984, Giorgio Lanini – storico liutaio ticinese – acquisisce i locale per aprire un laboratorio di liuteria,


mantenendo l’originale arredamento, lo stesso che ancora oggi valorizza incredibilmente gli strumenti esposti. Dopo un diploma a Cremona e varie esperienze a Zurigo, Lanini si stabilisce a Muralto, specializzandosi nel restauro e nella costruzione di strumenti ad arco e di mandolini. Nel 2001 assume un assistente, Valentino Natolini, fresco di un diploma alla prestigiosa Scuola Internazionale di Liuteria a Cremona e che, fin da bambino, si aggirava affascinato nel laboratorio svolgendo piccoli lavori. Valentino impara dal suo maestro l’attenzione per i dettagli e l’amore per i lavori curati. Purtroppo, nel 2005 il maestro scompare prematuramente e Natolini si trova improvvisamente solo a dover gestire laboratorio e negozio. “All’inizio ero spaesato. Sono dovuto andare di là, dietro il bancone, al fronte, e gestire i rapporti con i clienti, ascoltarli, comprendere le loro esigenze e riuscire ad accontentarli”. Ma ben presto la clientela aumenta, le soddisfazioni pure – in questo mestiere il marketing si basa molto sul passaparola: scontenti un cliente e ne perdi dieci… – e due mani non bastano più. Giampiero Farina, un amico ed ex compagno di studi a Cremona, raggiunge e affianca Valentino in qualità di assistente. Un sodalizio che ancora resiste. La fabbrica dei pezzi unici È nel giusto dosaggio di tecnica e intuito, nelle rigide norme proporzionali, nella creatività che si compie la trasformazione in grado di rendere uno strumento ad arco qualcosa di unico. Ma anche il caso gioca un ruolo di primo piano. “Noi non sappiamo mai del tutto come suonerà un violino finché non montiamo le corde” spiega Giampiero mentre Valentino è impegnato a servire alcuni clienti. Dal negozio provengono abbozzi di melodie, qualcuno sta provando un violoncello. “I violini non li inventiamo, abbiamo dei modelli a cui ispirarci, come gli Stradivari o i Guarneri del Gesù. Attenzione, non eseguiamo copie, riproduciamo solo alcune caratteristiche, ma poi ogni creazione è unica e ha una propria voce, una propria vita” precisa Giampiero. È un processo creativo d’eccellenza, in cui gli standard qualitativi sono altissimi, l’abilità dell’artigiano è fondamentale e nei gesti tramandati da secoli si cela il segreto dell’iterazione e dell’unicità. Il violino è uno strumento perfetto, i margini di miglioramento sono praticamente esauriti, nella sua essenzialità è esigentissimo e sensibile a ogni dettaglio. Sono necessari sei mesi, tra costruzione e verniciatura, per completare uno strumento, e tre tipi di legno: l’abete, il legno più leggero e con un alto coefficiente di propagazione sonora; l’ebano, il nero legno tra i più resistenti al mondo e l’acero, il più raro e prezioso, molto ricercato quando crea un effetto di marezzatura, lo stupendo tigrato cangiante tipico degli strumenti ad arco. La tradizione sfida il futuro Valentino e Giampiero sono i più giovani liutai ticinesi. “Purtroppo – sorride Valentino –, è l’unica professione dove avere i capelli bianchi aiuta. Dà un’impressione di maggiore esperienza”. Inoltre uno strumento nuovo raggiunge la maturità solo dopo circa sessant’anni. “È la maledizione del liutaio

sopra: la bottega di liuteria Lanini&Natolini si è specializzata anche nella manutenzione dei contrabbassi. Giorgio Lanini aveva brevettato il travel bass, ingegnoso contrabbasso smontabile adatto alle trasferte nella pagina seguente: violini in attesa di restauro nel laboratorio





sopra e a sinistra: l’arredamento del negozio, ereditato da una farmacia chiusa negli anni Sessanta, fa da sfondo ideale ai preziosi strumenti esposti, tra cui molti sono creazioni di Lanini e di Natolini

– aggiunge Giampiero –: in pratica acquisisci la notorietà solo una volta salito al cielo… A meno che non campi novant’anni come Stradivari…”. Ma loro, la fiducia della clientela l’hanno conquistata comunque. Molti studenti, professionisti e appassionati ticinesi e da tutta Europa si rivolgono alla bottega di Muralto per noleggi, restauri e riparazioni. Inoltre, vendono una decina di strumenti nuovi all’anno. Poi ci sono i commercianti americani e giapponesi, che girano l’Europa a caccia di prodotti di liuteria. Negli ultimi tempi, però, la crisi si è fatta sentire e le vendite hanno subito una flessione. Inoltre, la concorrenza della produzione industriale – sempre più di provenienza cinese – ha raggiunto livelli qualitativi tali da eguagliare in alcuni casi la liuteria. Se non conviene ormai quasi più costruire artigianalmente chitarre, prodotte in fabbrica a un prezzo minore con standard qualitativi molto elevati, resistono invece gli strumenti ad arco. “Quelli realizzati a mano sono nettamente superiori. Noi liutai tradizionali dominiamo ancora il mercato. La scelta del professionista si orienta verso il violino di liuteria mentre quello cinese rimane comunque un’ottima opzione per il principiante o lo studente” spiega Valentino, che poi mi racconta, con gli occhi che brillano: “Ora

ci stiamo specializzando nella costruzione di mandolini; erano la passione anche di Giorgio Lanini e sempre più sono oggetto di un crescente interesse, soprattutto in Giappone. Inoltre c’è poca concorrenza tra i produttori e, al contrario degli archi, perdono qualità con gli anni. La richiesta di nuovi strumenti è quindi in continuo aumento”. È un’affascinante sfida per il futuro, che non nasce dal nuovo ma dalla tradizione, dove l’evoluzione si basa sulla fedeltà alla perfezione raggiunta attraverso i secoli. Lascio i liutai quando ormai è buio e camminando nell’oscurità ovattata risento le parole emozionate di Giampiero: “Il momento più bello è quando abbiamo un pezzo di legno e decidiamo cosa farne. Il legno va capito. Solo così si crea qualcosa di veramente speciale”. E Valentino: “Mi affeziono a ogni strumento, perché sono mie creazioni, dall’inizio alla fine. Il musicista dà loro una soggettività, li fa crescere, ma intanto sono io che li ho fatti nascere, ho dato loro vita. Tutti unici, come dei figli”. È l’emozione di un mestiere in cui si ritrova tutta la magia delle favole dell’infanzia… come quella che narra di un pezzo di legno diventato bambino ■


Tendenze

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Fra i molti privilegi di una giornalista che si occupa di bellezza, scrivere un articolo sui centri benessere è decisamente il più divertente. Come potrebbe, infatti, riferire ai suoi lettori i miracolosi effetti di un trattamento senza averlo provato? Mi sono comunque “sacrificata” testando ben tre Spa lombarde, tutte facilmente raggiungibili dal Ticino. Ecco il mio resoconto, confidando che possa aiutare quei fortunati che ne faranno esperienza. A coloro che non ne avranno l’opportunità, l’augurio invece di poterla vivere presto, e con la speranza che la mia dettagliata cronaca riesca a farli sognare. Almeno un po’ …

A

ffacciata su un parco naturale a pochi chilometri da Milano, la Monticello Spa & Fit (www.monticellospa.it) è così distante dallo stress cittadino da sembrare irreale. Qui tutto ruota intorno all’acqua. Acqua che cura, consola, rigenera e rilassa. Cascate cervicali, idromassaggi, vasche riscaldate e combinazioni di vapori. Nella zona Calore e Tepore anche solo sdraiarsi sul lettino è già una coccola. Nello spazio riservato ai trattamenti tutto è bianco e immacolato, e io mi sdraio su un letto di marmo riscaldato sorprendentemente comodo. “Armonia”, il rituale rilassante corpo che ho scelto, inizia con una manipolazione mani/ piedi e un peeling delicato. Si prosegue con l’applicazione di olio caldo. La stanza si riempie di un piacevole profumo di vaniglia misto a camomilla e io vengo immersa in una vasca riscaldata. Mentre galleggio, libera e leggera come una

Viaggiare nel benessere di Patrizia Mezzanzanica

nuvola, l’estetista mi applica sul viso un gel agli estratti di piante. Quando esco mi aspetta il massaggio manuale con olio caldo al limone ed echinacea. L’estetista inizia il suo lavoro e non c’è un solo centimetro del mio corpo che non le sia grato. Tanto che più tardi, mentre assaporo la mia tisana, penso che sarei pronta a ricominciare tutto da capo. Marmi, decori, luci soffuse e una raffinata atmosfera zen accoglie gli ospiti nella Spa di Villa D’Este (www.villadeste. it), noto ed esclusivo albergo sul lago di Como. Fra le varie e allettanti proposte scelgo di provare Vitalfa, il nuovo trattamento viso anti-aging. In cabina l’estetista analizzata con una lente la mia pelle e inizia con l’applicazione di una prima crema. Serve a preparare l’epidermide alla cura, mi spiega, e prosegue con una soluzione sgrassante. Poi è la volta dell’acido glicolico che elimina il primo


Un corridoio nell’area Massaggi e Bellezza (Monticello Spa & Fit)

La zona Hammam (Monticello Spa & Fit)

strato di cellule morte. Sei minuti di piacevole pizzicorio. Si continua con un complesso vitaminico e un impacco idratante. Il massaggio è minuzioso e non risparmia neppure una cellula del mio viso proseguendo sul collo, le spalle e il decolté. Durante l’applicazione della maschera rigenerante non resisto e mi addormento. Mi sveglio solo perché l’estetista mi posa gentilmente una mano sul braccio. Mi guardo allo specchio. La mia pelle è più chiara, più distesa, più compatta. Mi alzo, ringrazio e tornando verso casa, in auto, continuo a sbirciarmi nello specchietto. È bello sentirsi carine. L’Espace Vitalité Henri Chenot de L’Albereta (www. albereta.it) è il luogo del benessere assoluto. E non solo per l’incantevole location, ma per i salutari effetti della biontologia. Messa a punto proprio da Chenot, questa disciplina

Un interno nell’Espace Vitalité Henri Chenot (L’Albereta)

si basa sui tre principi fondamentali di detossinazione, stimolazione e rigenerazione, e sull’equilibrio tra mente e corpo. Agisce sui segni dell’invecchiamento e dello stress ma soprattutto sul sovrappeso e l’intossicazione organica, cause di numerosi disturbi anche gravi. I programmi di cura vanno dai tre ai sette giorni, ma c’è anche la possibilità della Day Spa. La mia scelta cade sul massaggio energetico tendino-muscolare che si rivela subito essere un’esperienza diversa dalle precedenti. La manipolazione è più vigorosa e insiste su alcuni punti, lavorando sui meridiani. Nel frattempo piccole campane di vetro applicate sulla pelle aspirano in superficie liquidi e tossine che vengono rimossi con il massaggio. Non mi rilasso, tanto meno mi appisolo, ma al termine ho la sensazione, forte e reale, di essere più energica, più sana. E decisamente più pulita e leggera! ■


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L’avarizia Debolezza privata o forma di egoismo sociale? L’avarizia si offre ormai al nostro tempo come comportamento orientato più alla bulimia di potere che al mero desiderio di accumulo di denaro, che di essa è solo docile e indispensabile strumento

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godendo non semplicemente del loro possesso ma anche e soprattutto delle possibilità e del potere che essi forniscono? Ci avviciniamo sempre di più alla dimensione politica e pubblica dell’avarizia, quella che più ci interessa in quanto recante offesa agli altri, il cui risvolto principale consiste non nel riempire il salvadanaio per non spaccarlo mai, disposizione tutto sommato abbastanza innocua, bensì nell’esercitare ingiustizia. Prendiamo – oltre ai casi contemporanei dei funzionari di banca beneficati da bonus del valore di fantastiliardi, come direbbe il nostro Paperone – un esempio dalla letteratura ottocentesca: le ingiustizie, i furti e le rapine di risorse commesse dai predatori bianchi nei confronti degli africani, raccontate in Cuore di tenebra di Joseph Conrad, che finirono per portare al collasso un intero continente. E poi prendiamo, procedendo a ritroso, un esempio dalla letteratura antica: l’episodio di Polidoro narrato nell’Eneide. Si assiste colà all’ingiustizia di Polimestore, re di Tracia, che uccide, per impadronirsi delle sue ricchezze, Polidoro, l’ultimo dei figli di Priamo che il vecchio padre aveva affidato al sovrano di un paese lontano per salvarlo dalla rovina di Troia. È lì che Virgilio commenta il comportamento dell’assassino con la celebre auri sacra fames, maledetta fame d’oro, dannata avidità di ricchezza! Sull’onda di questi e simili esempi aveva senso allora l’accostamento che facevano gli antichi tra il vizio dell’avarizia e quello della gola – vedi alle prossime puntate –, attribuendo a entrambi i caratteri dell’ingordigia: qui infatti il peccato non consiste nel divorare molto cibo o tante ricchezze, bensì nell’appropriarsi anche della parte che spetta agli altri. Si tratta quasi di un nuovo peccato, non innocuo questa volta, che vede unite insieme avidità, ingordigia e ingiustizia, e per il quale i bulimici che lo commettono non provano più neppure, come poteva succedere al ricco-avaro-goloso di una volta, un po’ di senso di colpa, ché anzi esibiscono in pubblico, senza alcun turbamento, la propria condizione di esseri ripieni nel ventre e nella borsa.

» di Francesca Rigotti; illustrazione di Micha Dalcol

Peccati

Ma esistono veramente gli avari? Sappiamo che ci sono i parsimoniosi, coloro cioè che risparmiano dove possibile e non scialacquano il denaro, spendendone poco e mettendone via il più possibile per i tempi grami. Parsimoniosa, per esempio, è la formica della favola di Esopo, contrapposta alla spensierata cicala. Certo, la formica, da Esopo a La Fontaine, non è un personaggio attraente, così rigida, moralista e legata ai beni materiali; molto più simpatica la cicala, che frinisce allegramente tutta l’estate, regalando a ognuno il suo più bel canto. Ora però, pur se la formica accumulatrice di grano non è certo un personaggio amabile, potremmo per questo dire che pecca di avarizia? Non direi. Continuando nella disamina, conosciamo i ricchi, quelle persone per le quali entrare nel regno dei cieli riveste una probabilità inferiore a quella che un cammello passi per la cruna dell’ago (povero cammello, costretto a contorcersi in quel modo da un traduttore che non sapeva che il termine greco kámelos andava reso, nel contesto della parabola riportata in Matteo 19, 24, non con l’improbabile significato di “cammello” ma con quello, ben più plausibile, di “fune, gómena”!). Ma – imprecisioni di traduzione a parte – chi è ricco è anche avaro? Non necessariamente. Insomma, tra le categorie di persone che si rapportano al denaro accumulandolo, troviamo i risparmiatori e i ricchi. Ma gli avari, continuo a chiedermi, quelli che godono del possedere denaro senza spenderlo o del fare il bagno nelle monete come Paperon de’ Paperoni nel suo deposito, sono esistiti, esistono, e in maniera così numericamente consistente da poter riempire un’intera schiera di peccatori? Esistono gli avari in quanto persone che godono di sapere che il loro materasso nasconde fasci di banconote che non spenderanno mai perché preferiscono vivere in miseria? Mah. Non è che allora il vizio dell’avarizia consiste piuttosto nell’avidità di possedere grandi ricchezze e di impadronirsi di beni mobili e immobili, terreni e palazzi, automobili e gioielli, azioni e capitali, nonché risorse naturali, oro nero e oro blu (la preziosissima acqua)


Il mese di marzo prosegue alla grande per i nati nella prima decade. Notizie in arrivo portate dall’ingresso di Mercurio nel segno dell’Ariete. Fortuna e successi professionali per i nati nella seconda decade. Ottimo momento per concedersi una vacanza con la persona amata.

A fine mese, Mercurio, entrando nel segno dell’Ariete, si troverà in opposizione con il vostro sole. Il transito contribuirà a creare una serie di equivoci o disguidi sia nelle vostre comunicazioni che nelle vostre relazioni interpersonali. State attenti a quello che dite.

toro

scorpione

I nati nella terza decade potranno contare, fino a fine mese, su di un ottimo stato mentale, anche se dovranno stare attenti a non incorrere in facili entusiasmi; con Nettuno in quadratura, le illusioni sono sempre in agguato.

Marzo si chiude positivamente grazie ai buoni influssi planetari. Improvvise opportunità lavorative per i nati nella terza decade. Favorite le scelte più originali. Figli inaspettati per i nati della prima decade. Possibile realizzazione di vecchi progetti.

gemelli

sagittario

Marzo continua magnificamente grazie agli ottimi aspetti di Giove, Nettuno e Venere. Grosse realizzazioni professionali per i nati nella seconda decade. Colpi di fulmine e attrazioni immediate favorite dal transito di Venere. Improvvise gelosie.

Grazie a una grandiosa Venere i nati della prima decade potranno continuare a godere delle gioie dell’amore. Approfittate dell’ultimo weekend del mese per partire in compagnia del partner. Cambiamenti professionali in vista.

capricorno

Marte, Mercurio, Luna e Urano, a fine mese, saranno di transito nella vostra nona casa solare. Novità e cambiamenti improvvisi riconducibili a rapporti con un paese estero. Ottima forma intellettuale per i nati della terza decade caldeggiati dal transito di Mercurio. Intuizioni geniali.

Mercurio fino al 26 tenderà a favorire le relazioni d’affari dei nati nella terza decade. Grazie alla concomitante congiunzione con Urano e Luna potranno crearsi delle occasioni professionali, del tutto inaspettate, particolarmente appetibili. Inquietudini affettive per i nati in dicembre.

leone

acquario

Il lungo passaggio di Venere nell’amico segno dell’Ariete in questa fase di fine mese favorisce la nascita di avventure sentimentali per i nati della prima decade. Grazie all’ingresso di Mercurio si potranno fare numerosi incontri, o partire per un viaggio in compagnia del partner.

Nodo Lunare e Venere particolarmente magnanimi con i nati di gennaio. Novità professionali per gli Acquari della seconda decade indotte dal passaggio di Giove. Novità a fine mese favorite dall’ingresso di Mercurio nella vostra terza casa solare.

vergine

pesci

Tra il 24 e il 26 Marzo il vostro segno sarà baciato dalla Luna Nuova. Sfruttate questo passaggio per raccogliere il messaggio di Urano e rivoluzionare la vostra vita con qualcosa di veramente innovativo. Consigliata la pratica di una attività sportiva per i nati della prima decade.

A fine mese il transito di Marte continuerà ad accendere gli animi dei nati in febbraio. Presi da un improvviso vigore vi darete un sacco da fare per imprimere una svolta alla vostra vita. Occasioni e intuizioni geniali per i nati nella terza decade favorite dalle congiunzioni astrali.

Elemento: Fuoco - cardinale Pianeta governante: Marte Relazioni con il corpo: testa, cervello Metallo: ferro Parole chiave: dinamicità, individualismo, concretezza

Primo segno dello Zodiaco, l’Ariete presenta caratteristiche legate alla sua funzione di “iniziatore” e guida del ciclo celeste. Del resto è l’animale ariete a guidare il gregge e in tale veste, come vedremo nel testo della prossima settimana, dedicato agli aspetti simbolici di questo affascinante segno, esso esprime capacità di forza e fermezza non indifferenti. Queste qualità sono spesso accompagnate da una notevole prontezza intellettuale e ideativa che non di rado si scontra con le imposizioni normative e le regole sociali. Sempre in movimento, quasi condannato all’azione, il soggetto Ariete viene ricondotto da Carl Gustav Jung al tipo estrovertito, costantemente sospinto dalla necessità di fare al punto da privilegiare l’azione stessa alla definizione dell’obiettivo. Tale impulsività, unita anche a una certa spregiudicatezza e a buone dosi di coraggio, tende talvolta ad attenuarsi con la maturità e l’avanzare degli anni anche se l’inclinazione a ricadere in errori già commessi non è del tutto infrequente. Non privi di pragmatismo mentale e capaci di organizzarsi in modo efficiente e orientato, si applicano al lavoro come agli studi con volontà e ambizione, raggiungendo spesso risultati considerevoli e riconoscimenti sul piano sociale. Per quanto concerne la sessualità e le relazioni, sono sempre alla ricerca di situazioni passionali e gioiose ma, benché amanti dell’avventura e animati da una potente carica impulsiva, sono anche capaci di riconoscere l’equlibrio fra ragione e sentimento.

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cancro

Il Sole transita nel segno dell’Ariete dal 21 marzo al 20 aprile

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» a cura di Elisabetta

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“… ma il poeta divin, citareggiando, del bellicoso Marte…”

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Âť illustrazione di Adriano Crivelli


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A quale romanzo appartiene il seguente finale? La soluzione nel n. 15. Al vincitore andrà in premio Outsider di Friedrich Glauser, Edizioni Casagrande, 2008. Fatevi aiutare dal particolare del volto dell’autore e inviate la soluzione entro giovedì 26 marzo a ticino7@ cdt.ch oppure su cartolina postale a Ticinosette, Via Industria, 6933 Muzzano.

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1. Ha un melodioso cinguettio • 10. È vicino a Bironico • 11. Classe velica • 12. Uncino da pesca - 13. Ornati • 15. Negazione • 16. Arrabbiata • 17. Non cotto • 19. Associazione Nazionale • 20. Pronome personale • 21. La fune di Tarzan • 23. La sopporta il mulo • 24. Idonea • 25. Un condimento • 26. Norvegia e Cuba • 28. Vaso panciuto • 30. Combatterono i Curiazi • 32. Bel paesino malcantonese • 34. Nome russo d’uomo • 35. Dittongo in guasto • 36. Seggio regale • 37. Venature del marmo • 39. Crollo finanziario • 41. Pari in esatto • 42. Ritrosi, appartati • 44. Ossigeno e Iodio • 45. Ingresso • 46. Privi di fede • 47. Istituto Tecnico • 48. Il monogramma di Mozart • 49. Il nome della Bruni.

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1. Il vero nome del condottiero che ispirò Manzoni • 2. Attanaglia la coscienza • 3. Il nome di un Garrani • 4. Nord-Est • 5. Fu porto di Aquileia • 6. Letti di fiumi riarsi • 7. È simile alla cetra • 8. È come il vento per Modugno • 9. Il nome della Fallaci • 14. Mammiferi aplacentati • 16. Confinanti, limitrofi • 18. Annusare • 21. Parte del perimetro • 22. Antico Testamento • 27. La Mecca del cinema italiano • 29. Pezzi di strada • 31. Dentina • 33. Il nome di un Lionello • 38. I confini di Roveredo • 40. Cava centrale • 43. Lo usa il gommista • 45. Pari in lastre • 46. Le iniziali della Magnani • 47. Articolo determinativo.

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Schema realizzato dalla Società Editrice Corriere del Ticino

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“Riattaccai e tornai alla città ingemmata pensando che forse, prima di lasciare le guglie, sarei tornato a telefonare ancora una volta. Ma il mattino dopo avevo più o meno ritrovato il mio equilibrio e caricai le valigie sull’auto e inizia il lungo viaggio per il Guatemala e lo Yucatàn”.

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Le soluzioni verranno pubblicate sul numero 15.

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