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08 L’appuntamento del venerdì

L’AUTUNNO FOTOGRAFICO 39 Figli La sindrome del nido vuoto 04 Enrico Baj Un indomito controcorrente 08 Diete A tavola! La salute è servita 12

45 numero

Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Giornale del Popolo • Tessiner Zeitung

CHF. 2.90

con Teleradio dal 2 all’8 novembre


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22.8.2008

14:11 Uhr

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Il denaro fa la felicità (n. 15). Il denaro fa la felicità, se si sa di poter aiutare qualcuno. È per questo che Swisscanto ha lanciato insieme alla Croce Rossa Svizzera (CRS) lo Swisscanto Swiss Red Cross Charity Fund. In questo modo devolvete la metà dei vostri rendimenti per una buona causa. Allo stesso tempo profittate di un investimento in obbligazioni orientato alla sicurezza. Per informazioni dettagliate rivolgetevi al vostro consulente BancaStato o visitate i siti www.redcross.ch o www.swisscanto.ch/15. Le informazioni riportate in questa pubblicazione non sono da intendersi come offerta, ma hanno esclusivamente scopo informativo. Il prospetto di vendita, il prospetto di vendita semplificato e il rapporto annuale o semestrale sono disponibili gratuitamente presso le Banche Cantonali e la Swisscanto Gestione di fondi SA, Nordring 4, 3000 Berna 25 oppure su www.swisscanto.ch.

In collaborazione con


numero 45 31 ottobre 2008

Agorà Figli. La sindrome del nido vuoto

DI

NICOLETTA BARZONI

Animalia Il coccodrillo. Un racconto inedito

Impressum Tiratura controllata 90’606 copie

Chiusura redazionale venerdì 24 ottobre

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Arti Enrico Baj. Un indomito controcorrente Società Vacanze. La casa degli avi

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Fabio Martini

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MARISA GORZA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Tendenze Moda. Una disarmante femminilità

Coredattore

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ADRIANO HEITMANN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Capo progetto, art director, photo editor

Redattore responsabile

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FEDERICA BAJ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Mostre. L’autunno fotografico

Adriano Heitmann

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ALESSANDRO TABACCHI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

MARISA GORZA

Direttore editoriale Peter Keller

PIERO SCANZIANI

ROBERTO ROVEDA

Salute Diete. A tavola! La salute è servita Vitae Maristella Patuzzi

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Giancarlo Fornasier

Concetto editoriale IMMAGINA Sagl, Stabio

Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Attrezzi per la trebbiatura (1920) Fotografia di Paul Scheuermeier

Libero pensiero Egregia Redazione, Nel numero 39 di Ticinosette del 19.9.2008 ho visto con sbalordimento nella contro copertina una pubblicità a tutta pagina in favore del quindicinale satirico Il diavolo. L’ho trovata di pessimo gusto, cupa, riprovevole (…) Le mie riflessioni sfavorevoli sono queste: l’inserto a pagamento Ticinosette viene allegato ai vai giornali quotidiani e quindi entra in casa senza poterlo scegliere, senza contare che già di norma contiene, purtroppo, diversa pubblicità di veggenti, maghi e personaggi simili. Queste scelte degli editori ledono il pensiero e le convinzioni di cittadini che, invece, hanno scelto il proprio quotidiano in base a ben altri principi. Credo che in questa società si vedono fin troppo chiari i danni causati da atteggiamenti derivanti da ideologie che pescano nel torbido. Se il quindicinale satirico menzionato dovesse cessare di esistere, penso che l’unico danno derivante sarebbe un minor guadagno da parte di qualcuno. Spero veramente di veder pubblicato questo mio sfogo nel vostro settimanale. Cordiali saluti, N.B. (Lugano) Seguono le firme di altri 22 lettori. Gentile lettore, Come può constatare non ci siamo sottratti dal pubblicare quanto da lei sostenuto e ritengo che alcune considerazioni siano d’obbligo. La prima: Ticinosette – come la quasi totalità dei prodotti editoriali – vive degli inserzionisti pubblicitari che, letteralmente, permettono di scrivere e stampare quotidiani e periodici.

Il settimanale Il diavolo ha “pagato” per occupare quello spazio e la ricerca di una visibilità. La seconda: la libertà di stampa – fortunatamente – garantisce oggi in Svizzera la libera espressione (o quasi…); un indubbio vantaggio di pluralità che in altri paesi è venuta meno e che permette di accedere al pensiero anche di chi non la pensa “come noi”. Il diavolo esprime attraverso le sue pagine idee e riflessioni che – sino a prova contraria – hanno il diritto di esistere e sono “vive”, perché lette e dunque appartenenti alla collettività. Mi rendo conto che immagini e parole, a volte, possono colpire la sensibilità di alcuni e che la provocazione gratuita non è un segno di rispetto verso il prossimo. È però giusto ricordare, per esempio, che di recente lo stesso quindicinale è stato più volte citato dalla Neue Zürcher Zeitung a proposito di Mario Botta e dei suoi progetti. E se Il diavolo fosse mediaticamente più rilevante di quello che qualcuno pensa…? Sono spiacente sia stato negativamente colpito dall’immagine “sotto accusa” che, personalmente, non ritengo avesse alcuna nota di volgarità. Mi meraviglia solo che non si sia accorto che la stessa pubblicità faceva parte di una campagna “ad ampio respiro” che ha coinvolto anche, per esempio, la televisione. Non può, al contrario, che farmi piacere constatare che quanto pubblicato sulle nostre pagine l’abbia “colpita” maggiormente rispetto ad altri ben più importanti media… felici noi per la visibilità e, immagino, anche i nostri inserzionisti. Quelli che ci permettono di poter fare la spesa. Cordialmente, Giancarlo Fornasier


La sindrome del nido vuoto

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Agorà

La sindrome del nido vuoto rappresenta uno spazio fisico ed emotivo che coincide con il momento in cui i figli lasciano il nucleo familiare per imboccare altre strade. Alla ricerca del loro futuro

I

l distacco è momento legato ad aspetti contingenti nel rapporto tra genitori e figli, che può essere vissuto con dolore o più semplicemente fluire senza resistenze nel normale ciclo della vita familiare. Il tema dell’esperienza del distacco può rivelarsi un’occasione di trasformazione verso cambiamenti positivi, rimettendo in gioco l’attitudine dei genitori nei confronti dell’autostima e delle aspettative che sono state riservate al futuro. Una visione disgiunta da quella dei figli, che non dovrebbero diventare il bastone della vecchiaia di un genitore. Ne abbiamo parlato con Maria Silva Ceppi, mediatrice familiare e consulente familiare e matrimoniale al Centro Coppia e Famiglia di Mendrisio: un’esperta nel campo della separazione e dei divorzi. Il suo lavoro di specialista è principalmente rivolto all’ascolto dei ragazzi.

Signora Ceppi, ritiene che la separazione e la trasformazione siano le facce della stessa medaglia? La separazione in generale è vissuta come un momento di profonda crisi e considerata come evento negativo della vita. In termini psicologici è uno stato temporaneo di turbamento e disorganizzazione psichica che subentra come conseguenza di stress particolarmente acuti. La crisi dovuta a una situazione di distacco può diventare una straordinaria opportunità per mutare la nostra condizione esistenziale positivamente. L’evento della separazione rende più vulnerabili ma anche più disponibili e aperti al cambiamento. La partenza di un figlio, quale suo momento privilegiato di emancipazione può diventare per l’intera famiglia un’occasione preziosa per conoscersi meglio. Non dimentichiamo che nulla è più pericoloso dell’irrigidimento della realtà esistente e della logica che considera ogni cambiamento come una sconfitta. I mutamenti familiari richiedono un grande sforzo da parte di tutti, sforzo che comprende un mutamento interno e uno esterno a ognuno di noi. La mia esperienza

professionale mi porta spesso a confrontarmi con l’esperienza della separazione e mi ha permesso di capire come un evento, inizialmente difficile, può trasformarsi in un evento della vita in cui le molteplici emozioni possono anche far evolvere e armonizzare i rapporti che esistevano prima e che continuano perché, per quanto doloroso possa essere un distacco nulla dovrebbe togliere al concetto d’amore che lega i genitori ai figli. Stiamo parlando di alcuni aspetti di una realtà che include la perdita, il distacco e la separazione da un affetto, da una persona cara, da un ideale e da vecchi schemi mentali, che, nella maggior parte dei casi, è legata e accompagnata da sofferenza e tristezza, che possono anche portare alla malattia e a quello che, nei casi estremi, viene definito il lutto patologico, soprattutto quando si tratta della morte, e dunque della separazione definitiva da una persona. La nostra vita è attraversata da molti piccoli lutti che consumiamo in vita, fatta da allontanamenti che necessitano di essere ogni volta riconsiderati poiché, se non possiamo elaborare una perdita o una partenza, qualsiasi essa sia, attribuendole un significato e assumendoci il tempo per capire cosa sia realmente successo, annulliamo l’esperienza stessa, con tutto quello che di autentico avevamo vissuto in precedenza. Nel caso della sindrome del nido vuoto la partenza di un figlio ha anche aspetti positivi. La paura dell’abbandono può essere vissuta anche dai genitori? Dipende da come noi ci poniamo di fronte alla separazione e all’abbandono che – anche se inizialmente sono vissuti con profondo dolore – possono poi trasformarsi in capitoli unici del proprio romanzo familiare. È normale per un genitore sentirsi abbandonato da quello che si considera l’oggetto più amato perché da lui generato: vedere e “lasciare andare” un figlio perché le sue ali sono pronte a farlo volare da solo, genera un misto di orgoglio e


Agorà

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Se è vero che nasciamo per condivisione e ne moriamo privi, è pur vero che tessiamo trame affettive e simboliche che segnano la nostra vita. Condividiamo con la madre il cordone ombelicale che per la vita intera rimane un legame invisibile non sempre facile da recidere. L’altra separazione è quella dal seno materno alla quale dovrebbe fare seguito quella legata all’emancipazione dai genitori e dunque

dalla famiglia. A questo punto della nostra vita dovremmo seguire il corso naturale del tempo che passa, preparandoci a crescere verso un’altra separazione, la più grande, che è la separazione dalla vita terrena. Mantenere un atteggiamento equilibrato nel momento in cui ci si separa dai figli richiede uno statuto speciale che deve coincidere con l’autostima e con la capacità – di individui prima ancora che di genitori – di esistere indipendentemente dai figli, sia che abbiano ottenuto successo sia che abbiano effettuato delle scelte ritenute sbagliate. Tornando al tema del nido vuoto, e dunque concependo con la fantasia il volo di un uccello, i figli vengono a volte vissuti come Icaro. Riflettiamo molte delle nostre aspettative nella loro capacità di volare in alto, affinché essi raggiungano mete che gratifichino innanzitutto noi come genitori piuttosto che loro come individui, i quali invece dovrebbero investire forze per costruirsi un’identità propria. A volte cerchiamo di ridurli a un nostro progetto, a una personale proprietà, pretendendo

da loro riconoscenza eterna. Vivere l’esperienza del distacco fino in fondo serve soprattutto per capire che la dualità iniziale, che parte da un rapporto simbiotico madre-figlio, deve essere sostituita da una nuova ricerca interiore.

» di Nicoletta Barazzoni; illustrazione di Micha Dalcol

nostalgia del tempo che è stato e che comunque non tornerà mai più. Come madre mi sono confrontata con la partenza dei figli e ogni volta è stata una prima volta per intensità e dolore. Mi sono sentita invasa da ogni sorta di emozione che andava dal senso dell’abbandono, al vuoto, alla colpa di non essere stata abbastanza brava per farlo restare ancora un po’ per poi vedere a poco a poco questi sentimenti trasformarsi in conquista di uno stato diverso dove io e l’altro potevamo iniziare qualcosa di nuovo, non solo a livello personale. Tra di noi la stessa relazione è cambiata, più rispettosa della diversità e dell’intimità dell’altro ma altrettanto forte e intensa.

I genitori devono evitare di far sentire ai figli i sensi di colpa perché hanno abbandonato la casa? La partenza di un figlio come scelta per il raggiungimento di una propria autonomia è una tappa della vita che dovrebbe essere vissuta in modo creativo e, anche se il dolore dei genitori di fronte alla partenza di un figlio può far sentire il senso di colpa al figlio che parte e che si sente in un qualche modo la causa del loro stato emozionale, va visto come un sentimento che fa parte del momento di passaggio e trasformazione. Credo, in ogni modo che ogni cambiamento della storia familiare è accompagnato da molteplici emozioni e sentimenti contrastanti tra di loro, ma se vissuti con autenticità ed elaborati nel tempo possono essere solo occasione di crescita ed evoluzione positiva.


Tra le bestie, il coccodrillo sembra il prediletto della natu-

Animalia

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ra. Egli di tutti gli esseri viventi sulla terra è il più longevo. I termini della sua vita sono incalcolabili e v’è addirittura da pensare che ignori la morte naturale e se perisce, è soltanto per incidente, quasi per errore. Si conoscono coccodrilli vivi da quattrocento anni e non son vecchi. Il coccodrillo, infatti, ignora la vecchiaia. I suoi sessantotto denti si rinnovellano, perpetuamente, ogni qual volta uno ne cada in battaglia, giacché tale formidabile dentatura gli serve esclusivamente per sbranare la preda. Nasce piccolissimo e continua a crescere fin quando campa, spinto da un illimitato potere giovanile. Forse nel buio di qualche pantano remoto, sonnecchia un coccodrillo enorme, nato mille anni fa. La natura lo ha riparato con squame così formidabili da farne una bestia blindata: soltanto gli ultimi e più perfezionati fucili riescono a trapassarlo, ma non v’è forza animale che possa scalfirlo. Non sembra conoscere malattie e l’unico fastidio di cui soffre sono i brani di carne rimastigli fra i denti. Ma la natura sollecita ha indotto un uccelletto a mettersi costantemente sul naso del caimano, in modo che, quand’egli apre la bocca, l’esile volatile gli beccuzza i resti fra zanna e zanna: il sauro rimane con le mascelle spalancate e gli occhi chiusi, a godersi tanta piacevolezza. La ferocia nativa del coccodrillo non è venata da nessuna delicatezza e nemmeno dall’amore materno. Dopo l’accoppiamento, ogni femmina si limita a depositare le uova fra la sabbia della spiaggia, poi se ne va, senza pene né ansie: il sole s’occuperà della cova. Infatti la natura che si preoccupa del nascituro abbandonato, affinché possa presto rompere il guscio, gli crea sull’apice del muso un dente che gli serve solo per aprirsi il varco. Rotto in tal modo il guscio, il neonato immediatamente cammina, già sa dirigersi verso l’acqua e già è ferocissimo. Questa ferocia conserverà intatta, finché avrà vita. I lupi non mangiano gli altri lupi, ma i coccodrilli si divorano tranquillamente fra di loro e se non hanno ancora invaso

Il coccodrillo un racconto inedito di Piero Scanziani

il globo è perché i genitori con indifferenza si nutrono dei propri figli. Nonostante il cannibalismo, la caccia, le bonifiche, l’aumento dei coccodrilli nelle regioni calde è costante. La natura li ha talmente colmati di doni, da far temere abbiano a moltiplicarsi infinitamente, tanto da diventare un giorno padroni della terra. L’ipotesi non è avventata, giacché queste creature abitatrici di tutti i continenti, vivono tanto bene nell’aria come nell’acqua. Anzi, v’è un mistero nei loro polmoni, che appaiono normali eppure permettono al caimano di restare privo d’aria per un tempo illimitato. I pesci d’acqua dolce non possono vivere nel mare e viceversa. Invece il coccodrillo, se pur preferisce i fiumi e gli stagni, s’immerge benissimo anche in acque saline. La sua vita è sempre placida e stupida: mangia in continuazione qualsiasi essere vivente possa entrare nella sua enorme bocca, eppure sa restare privo di cibo per mesi e mesi senza soffrirne e senza che la sua prodigiosa vitalità ne diminuisca. Si nutre di qualsiasi altra bestia terrestre o acquatica, ma predilige le carogne. La sua esistenza trascorre indolente nel fango, fra i miasmi e le nebbie delle paludi. Ma non v’è microbo, batterio o virus che riesca ad attaccarlo. Vede di notte come di giorno. Vede a terra come nell’acqua. Il sole lo induce a sonnecchiare, a sbadigliare, a ridere coi sessantotto denti. Per l’uomo il coccodrillo è una delle bestie più ripugnanti, ma per la natura no: la natura ama i coccodrilli. Li ama fin dal Lias, epoca geologica lontanissima, epoca nella quale esistevano pochi animali, tutti scomparsi. Tuttavia il coccodrillo era già là, fin d’allora ridente nelle sue lunghe immobilità idiote, nei suoi rapidi moti feroci. Tutte le leggi sono state violate per favorire il coccodrillo, che è forse l’unico abitatore naturale di questa Terra, una Terra su cui l’uomo è caduto per errore, per uno sbaglio antico. Perciò qui non ci troviamo bene. Noi, esiliati in questa landa, ignoriamo la felicità del fango, la felicità del coccodrillo, l’unica felicità possibile sulla Terra. L’unica, ma non la nostra.

» illustrazione di Valérie Losa

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poco più di venticinque anni, nell’effervescente clima della Milano del Dopoguerra. Il capoluogo lombardo ancora sventrato dalle ferite belliche, nel 1950 era una vera fucina di idee, stimolata dalla presenza di Lucio Fontana – che rivive in queste settimane presso il Museo d'Arte di Mendrisio – e del suo movimento spazialista, di cui fecero parte artisti come Gianni Dova e Roberto Crippa, le cui “spirali” sarebbero presto divenute una delle icone della nuova pittura informale. In un’Italia ancora povera ma pronta a fare il grande balzo verso il boom economico, le creazioni dello spazialismo sembravano provenire dallo spazio profondo, il dono incomprensibile di una civiltà aliena: ai più facevano ribrezzo, ma in fondo, in fondo affascinavano. Baj si legò a

Internet

www.fondazionemarconi.org La Fondazione Marconi di Milano promuove e diffonde attività e opere intellettuali e artistiche contemporanee. Oltre a Baj, raccoglie produzioni di Lucio Fontana, Man Ray, Mario Schifano e molti altri.

vivente: non astratta speculazione, ma reale emanazione del fare creativo. Un misto fra l’Art brut di Dubuffet, l’energia cromatica e materica del gruppo Co.Br.A. (Appel, Jorn, Corneille, tutti, tra l’altro, amici del nostro) e le visioni cosmiche di Lucio Fontana e, alla lontana, Juan Miró. Si era a due passi dall’arte informale, tuttavia Baj non volle mai rinunciare alla figurazione. Se lo fece, fu solo incidentalmente. Non solo, per Baj l’arte doveva avere un fondamentale ruolo di analisi sociale e denunciare quei processi di massificazione, di cui già avvertiva la pericolosità. Da questa esigenza nacquero, sul limitare degli anni Sessanta, i Generali, collage matericogrotteschi di gusto dadaista, che irridevano ai falsi miti dell’autoritarismo, invitando a diffidare delle verità preconcette costruite dai media. Sempre indomito e provocatore, negli anni Ottanta, Baj seppe reagire alla plastificazione della cultura ritornando al retaggio classicista di De Chirico e Savinio, stupendo tutti con i suoi manichini finemente malinconici e demodè, e già nel 1994 seppe vedere dietro la patina vincente di “re” Silvio (Berlusconi, chiaramente) con Sempre slegato da mode, gusti diffusi e pas- i Berluskaiser, per poi seggeri, Enrico Baj (1924–2003) è stato un ritornare all’analisi delle origini mitiche della punto di riferimento per l’arte europea dagli civiltà nei suoi Totem. anni Cinquanta del secolo scorso Sempre indipendente, scomodo e prolifico, un gruppo che proponeva Enrico Baj si è spento nel 2003 a Vergiate, un’arte che autodefinivano vicino a Varese, privandoci tutti di un amico “atomica”. Assieme a Sergio scontroso, scomparso senza lasciare lo scettro Dangelo e allo stesso Dova, il ad alcun successore. Rimangono i suoi scritti, giovane leone dell’arte nuclele illustrazioni e i dipinti, la sua eredità messa are proponeva un’espressione a disposizione di tutti nei musei e, in particoartistica che fosse pura materia lare alla Fondazione Marconi di Milano.

» di Alessandro Tabacchi

Arti

artisti possiedono un dono particolare: essere degli outsider, incuranti delle mode e fedeli solo alla propria visione, ma allo stesso tempo capaci di esercitare un influsso preponderante sulla cultura contemporanea. Artisti di questo calibro riescono a preservare la purezza della propria ispirazione da fattori esterni, quali la ricerca dell’approvazione critica e il favore del pubblico. Creano sempre qualcosa di originale senza “vendersi” mai… anche a costo di gravi rinunce: visibilità, fama, denari e – apparente – prestigio. Spiriti rari, il sale dell’arte, titani solitari come Jackson Pollock, Francis Bacon e Alberto Giacometti. A questa schiera di eletti vorrei aggiungere un artista lombardo che, a partire dal 1950, per oltre cinquant’anni è stato capace di essere sempre un punto di riferimento per tutta l’arte contemporanea europea e non solo, pur rimanendo sostanzialmente un isolato, capace di fare scelte personalissime e difficili, e rifiutando sempre qualsivoglia concessione al gusto corrente della maggioranza. Nato nel 1924 a Milano, Enrico Baj studiò per diventare avvocato, ma precocemente il demone della creatività seppe fargli trovare la giusta strada. Accadde a

Enrico Baj e Paul Virilio Discorso sull’orrore dell’arte Elèuthera, 2007 Il pittore e l’urbanista Paul Virilio si interrogano reciprocamente sullo statuto e la percezione dell’arte e dei luoghi che la ospitano e la espongono.

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Alcuni

Un indomito controcorrente

Femme au cornet de glace avec son ami di Enrico Baj (1975; particolare). Immagine tratta dal sito www.fiera.ge.it

Libri


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Disegnare la vita Ulrich Schärer

Design

9 Pensato

inizialmente per gli uffici, il mobile componibile USM – sigla che rinvia al nome e al domicilio dell’azienda che l’ha creato, la Ulrich Schärer di Münsingen – oggi è diventato un classico del design svizzero, tanto che lo si trova sempre più spesso anche nelle abitazioni private. La sua storia comincia nel 1963, quando il giovane Paul Schärer – dopo gli studi in ingegneria al Politecnico di Zurigo, dove oltre a una formazione tecnica sviluppò anche il senso per l’estetica (sui libri di Mies van der Rohe) – convinse la famiglia a far costruire all’architetto Fritz Haller un nuovo stabilimento per la loro azienda. Haller era allora un promettente architetto di Soletta che si era fatto notare nei concorsi di architettura e che aveva già costruito alcuni edifici scolastici. Disegnò per la famiglia Schärer uno stabilimento molto funzionale che fu

ben accolto, tanto che il progetto fu pubblicato sulla rivista “Bauen+Wohnen”. A fianco costruì un padiglione per gli uffici dell’azienda, per i quali Haller e Schärer svilupparono, dapprima solo per uso proprio, il sistema modulare che venne poi prodotto per la vendita a partire dal 1969. Il sistema si basa su tre elementi principali: la sfera di ottone cromato, il tubo di collegamento in acciaio cromato e le placche di rivestimento disponibili oggi in undici colori e tre materiali (lamiera in acciaio termolaccato, metallo perforato e vetro). Gli elementi modulari allestiti con mobili USM Haller non

sono cambiati nel corso degli anni e si possono organizzare individualmente e ampliare con nuovi elementi anche dopo decenni. Caratteristiche proprie solo dei “veri” classici, quelli senza tempo.


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turistico fatto di villette e appartamenti per chi aveva qualche soldo da spendere per una casa-vacanza. Ora… gli uomini possono anche decidere di bonificare e di costruire: ma chi le avverte le zanzare che devono sloggiare? Chi lo dice all’umidità e all’afa che devono diminuire? La zona era stata paludosa per millenni e come microclima rimase un misto di stagno e laguna per anni. D’estate si moriva di caldo, d’inverno il freddo umido penetrava nelle ossa che era un piacere, anche perché nelle case non esisteva impianto di riscaldamento. A cosa sarebbe servito: Porto Santa Margherita viveva solo d’estate, i negozi e tutte le attività chiudevano da ottobre a maggio e passarci in pieno autunno significava ritrovarsi in un villaggio fantasma del far west… Il secondo problema era di carattere più “antropologico” e si può riassumere nella

Dan Kieran Cinquanta vacanze orrende Einaudi 2008 Quando la vacanza si trasforma in un’avventura tragicomica tra rotture del nucleo familiare, cibi immangiabili e malattie esotiche, crociere sconvolte da uragani e scottature solari terrificanti.

come un bel cimiterino inglese, di quelli con l’erbetta e tutto il resto in ordine? La risposta è di tipo logistico e si può riassumere in tre parole: “mancanza di collegamenti”. La stazione ferroviaria più vicina era a più di un’ora di autobus o di macchina. L’unica statale sembrava una carovaniera tracciata attraverso la campagna veneta. Per chiarirci, in Veneto quando, giocando a bocce, si tirava una palla completamente sballata e lontana dal boccino si usava dire che era “buttata a Caorle”. Arrivarci, negli anni Settanta, con la macchina piena come un uovo e portapacchi sul tetto che stentava a passare sotto i cavalcavia tanto era carico, aveva un che di epopea. Partenza, a sud fino a Milano, poi l’Autostrada A4, Torino-Trieste, detta Serenissima… chiamare così uno dei tratti stradali più trafficati e pericolosi d’Italia è come soprannominare Bin Laden “il simpaticone”… Dopo l’autostrada toccava alla famosa “carovaniera” con cui si giungeva a Caorle. Finito? Neanche per idea: Porto Santa Margherita si trovava al di là del fiume Livenza e non esisteva Riposo, relax, serenità: sono tutti sinonimi ancora un ponte che unisse le due localidi vacanza fino a che non si mettono di tà. In realtà c’era sulmezzo le agenzie viaggio, i tour operator, la carta, ma era stato gli amici… e magari i parenti completato prima il villaggio turistico che domanda: come mai Jesolo, la strada. Quindi bisognava ricorrere a uno Lignano Sabbiadoro, Grado si “scassato” traghetto che faceva la spola da erano sviluppate a livello tuuna riva all’altra del fiume, caricando cinristico già da decenni, mentre que auto alla volta. Così, arrivati alla casa, Caorle, in quei primi anni si era già a metà della vacanza e pronti a Settanta, era pieno di vita ripartire per tornare a casa!

» di Roberto Roveda

Società

no alle porte, i giornali danno i numeri – nel senso di sondaggi – su quante persone hanno avuto la vacanza rovinata da agenzie viaggio, tour operator, gestori di alberghi e affini. Oppure si sono lasciate coinvolgere da cari amici in improbabili discese in canoa sul Rio delle Amazzoni dopo un anno passato a fare come attività fisica più stressante il tragitto per andare alla macchinetta del caffè. Poi ci sono i parenti, genetici e acquisiti… addirittura gli avi come nel mio caso. Nel 1969 mio nonno paterno decise di acquistare un appartamento nel condominio “Riviera” a Porto Santa Margherita, frazione di Caorle. La ragione? Semplice: era nativo dell’entroterra di Treviso e aveva così l’opportunità di andare al mare non lontano dai suoi parenti, passandoli così a trovare. Come si dice due piccioni con una fava… Caorle, per chi non lo conoscesse, è un antico paese marinaro della laguna veneta, quasi al confine con il Friuli Venezia Giulia, mentre l’intero Porto Santa Margherita venne costruito nel quadro della trasformazione in zona turistica e di balneazione di un’area di litorale caorlotto, fino a quel momento abbandonata a se stessa. I canali e la laguna vennero bonificati e interrati e sorse un centro

AA.VV. Arrivano le vacanze LAB, 2008 Siamo pronti per una vacanza indimenticabile: hotel di lusso, stanza con vista sul mare, spiaggia con ombrellone in prima fila. O almeno questo è quello che dice la brochure dell’agenzia viaggi…

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Terminata l’estate e l’inver-

La casa degli avi

Il sogno degli anni Settanta: raggiungere l’agoniato bagnasciuga…

Libri


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Abbiamo letto per voi definizione dei personaggi. Grande ammiratore del creatore di Maigret, Glauser gode, rispetto a Simenon, di un sostanziale vantaggio: è esente da quella compulsività che spinse lo scrittore belga a una vera propria superproduzione di romanzi, molti dei quali, proprio per tale ragione, soffrono di una indubbia piattezza. Glauser scrisse meno, molto meno, ma questo gli consentì di focalizzare al meglio il proprio percorso di scrittore e giallista. Protagonista dei tre romanzi è dunque il sergente Studer, un uomo comune, corpulento e un po’ goffo, felicemente sposato e con una figlia ormai grande. Nelle sue indagini, che si svolgono fra la piccola borghesia della provincia svizzera degli anni Trenta, il protagonista non appare interessato alla rivelazione del mistero – che poi rappresenta l’elemento consolatorio di ogni storia poliziesca – ma piuttosto a sondare le ragioni sociali, psicologiche e personali che

Semplicemente in rotta

hanno condotto al delitto. Come in Simenon è il “perché” piuttosto che il “chi” a guidare l’autore, la cui meticolosa scrittura sorprende per i frequenti scarti, l’ironia e la ricchezza di sfumature. Nel suo incessante indagare, Studer è mosso da una pietas che travalica ogni giudizio morale e si estende al colpevole come alla vittima. Un aspetto da sottolineare è l’attenzione alla condotta linguistica dei personaggi, ognuno dei quali si esprime in modo singolare, rispecchiando la complessità idiomatica del contesto. In appendice al volume, l’editore ha inserito una lettera di Stefan Brockhoff, giallista svizzero dell’epoca, apparsa sulla “Zürcher Illustrierte” e la risposta di Glauser, mai pubblicata. Là dove il primo suggerisce, con aridità penosamente burocratica, di contenere il racconto giallo all’interno di un preciso decalogo di regole, quasi fosse un meccanismo a orologeria, Glauser replica con lucidi-

Friedrich Glauser Il sergente Studer indaga. Tre romanzi polizieschi Sellerio, 2008

tà e consapevolezza, sostenendo le ragioni artistiche e letterarie del romanzo e dimostrando di aver fatta propria la lezione del grande Simenon: “Non è il caso poliziesco in sé, con la scoperta dell’assassino e la soluzione, a costituire il tema principale, ma le persone e soprattutto l’atmosfera in cui si muovono”.

» di Fabio Martini

Il volume, di formato maggiore rispetto alle tradizionali collane Sellerio, raccoglie tre fra i più noti romanzi dello scrittore svizzero (Il sergente Studer, Krock & Co e Il grafico della febbre), nato nel 1896 e scomparso nel 1938. La vita breve e difficile, segnata da problemi psichiatrici e dalla dipendenza dalla morfina, ha contribuito a fare di Friedrich Glauser un maudit, una figura di culto, spesso accostata per lucidità e forza introspettiva a personalità come William Burroughs e Charles Bukowski. Ma al di là di ogni lettura romantica del personaggio, Glauser – e non ci vuole molto a scoprirlo – appartiene, al pari di Simenon e Chandler, a quella sparuta compagine di scrittori che hanno saputo trasfigurare la scrittura di genere, il giallo in questo caso, fino a renderla grande letteratura, sia sotto il profilo stilistico formale sia per la straordinaria capacità di scavo psicologico e di

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La

pelle luminosa, sorriso contagioso, una folta onda di capelli tizianeschi e, soprattutto, una sottile silhouette, scattante e senza un grammo fuori posto. Fa perfino un po’ rabbia. Non stiamo descrivendo una mannequin famosa, ma la dottoressa Simona Nichetti, medico che opera nell’ambito dell’estetica e della nutrizione. E mentre, con disappunto, valuto i miei costanti 2/3 chili (a volte 5) di troppo, non posso che porle alcune domande… Dottoressa, il suo aspetto è il risultato di quanto le sue terapie si prefiggono? Per la verità sono cresciuta in una famiglia di persone sportive e fin da piccola mi è stato insegnato un life style salutistico. Gli studi di medicina mi hanno portata poi a coniugare il senso del vivere in modo sano con buoni risultati estetici, ma soprattutto con un equilibrio psicofisico.

A tavola! La salute è servita

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»

Salute

Gli alimenti sono i farmaci più potenti, scevri, nelle dosi giuste, da effetti collaterali. Un’attenta ed equilibrata alimentazione, non solo ci mantiene sani, ma rappresenta pure la roccaforte della nostra bellezza. La lucidità e il vigore dei capelli, la durezza delle unghie, la luminosità della cute e la tonicità dei muscoli, dettati dal nostro DNA, vengono conservati tali da una alimentazione completa e naturale. Però quando si parla di nutrizione si pensa sempre a una dieta dimagrante... È vero. Spesso si confonde l’alimentazione corretta con la parola “dieta”. Del resto è soprattutto attraverso il cibo che noi possiamo realizzare una vera e propria “ristrutturazione corporea”, il cui più importante effetto collaterale è quello del raggiungimento del benessere che, guardacaso, corrisponde a bellessere. Dietetica e nutrizione: quali sono le novità? Sicuramente la Dieta Proteica (studiata da Blackburn - Università di Harvard) e la Dieta Ormonale (divulgata da Thierry Herthoge). Entrambe si basano sul concetto di Functional Food. In parole povere? Cibo funzionale, ossia cibo svolgente una funzione plastica, rimodellante e altro all’interno Qual è il primo passo per ed all’esterno dell’organismo. ottenere un qualsiasi miglioPotrebbe, per cominciare, illustrarci il ramento? primo di questi regimi? Sicuramente la nutrizione corretLa dieta proteica, in senso stretto, è una very low ta e integrata è capace di fornire calories diet basata sui seguenti principi: al nostro organismo tutti i maa) basso apporto calorico giornaliero (circa 800 teriali necessari per riparare, o kcal/die) assicurate dall’assunzione di proteine prevenire, sia i danni alla cute ad elevato valore biologico, alle quali bisogna sia alla linea e, in particolare, per aggiungere lo sviluppo di 1.000 kcal endogene; preservare la salute. b) ridotta dose di zuccheri (50-60 gr/die); Come riassumerebbe la sua c) limitata e qualitativamente mirata assunzione filosofia a tal proposito? di grassi (omega3/omega6). Tutto ciò deter“Fa che il cibo sia la tua medicimina nell’organismo importanti cambiamenti na e che la medicina sia il tuo metabolici responsabili della regolarizzazione cibo” recita l’antica arte medica di parametri salutari come colesterolo e glicecinese, di contro la saggezza mia, nonché, cosa gradita ai più, della riduzione della massa grassa. Inoltre gli amminoacidi Gli alimenti possono essere farmaci potenti (singole basi delle proteie privi di effetti collaterali, se assunti con ne) sono i costituenti di misura. Perché un’alimentazione attenta collagene, fibre elastiche ed equilibrata ci mantiene sani… e belli e reticolari, elementi fondamentali per la tonicità popolare risponde “una mela al e compattezza dei tessuti, compresa la pelle. giorno leva il medico di torno”. Come si stabilisce il corretto apporto Da ciò appare chiaro come, fin di amminoacidi? dagli albori, il binomio saluteIl quantitativo, studiato per ogni singolo caso, cibo sia apparso inscindibile. viene stabilito in base ad un preciso esame


Anche peccando bisogna operare delle scelte, decisamente no per quel tipo di torta. Per il resto ha proprio citato un cibo considerato divino da alcuni popoli antichi, e tutt’oggi apprezzato per il suo contenuto in ferro e le sue qualità antiossidanti e favorenti il buon umore. Purché consumato in modiche quantità e possibilmente fondente. Cioccolato svizzero? Sì, meglio. Devo confessare che anch’io cedo talvolta a questa tentazione. Beh, allora anche la nostra dottoressa ha qualche umana debolezza…

Biografia

Simona Nichetti Laureatasi nel 1999 presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano con una tesi in Chirurgia plastica, consegue il titolo di Esperto con una frequenza quadriennale presso la Scuola di Medicina estetica postuniversitaria (Agorà). Nel 2000 si avvicina alla Dieta proteica, tenendo anche corsi di formazione in tutta Italia. Nel 2005 consegue un Master in Nutrizione e frequenta numerosi corsi di perfezionamento. Attualmente frequenta presso l’Università di Genova il Master di II livello in Chirurgia e Medicina estetica.

» di Marisa Gorza; ill. di Simona Meisser

clinico, corredato da un mineralogramma, per la valutazione della tipologia metabolica. Ciò rientra nel completo progetto di rieducazione alimentare, stilato da un medico competente. E riguardo la dieta degli... ormoni, ha veramente a che fare con queste sostanze? Gli ormoni vengono prodotti dalle ghiandole endocrine deputate, tuttavia la dieta ormonale permette di ripristinare e mantenerne i livelli ottimali per la salute e l’efficienza fisica, grazie all’azione “farmacologica” dei nutrienti. Si basa essenzialmente sullo schema cardine della dieta proteica, aumentando tuttavia l’apporto calorico giornaliero e mettendo al centro frutta e verdura. Vere e proprie miniere di sali minerali e vitamine, preziosi per la salute e l’aspetto. Seguendo tali regimi, è possibile qualche piccola “indulgenza” come una fetta di torta Sacher o un morso di cioccolato?

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» testimonianza raccolta da Federica Baj; fotografia di Adriano Heitmann

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gistero in violino al conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. Poi è iniziato il mio periodo “americano”. Nel 2006, all’Indiana University, ho ottenuto il diploma di perfezionamento in violino con il massimo dei voti sotto la guida di Mark Kaplan e, sempre con lui, ho da poco terminato il Master. Sono riuscita a portarlo a termine in un anno anziché in due. Un po’ per sfida e un po’ per necessità. Volevo tornare al più presto a casa perché mia mamma, proprio nello stesso anno, ha avuto dei problemi di salute. Anche se a volte mi sono sentita in colpa per non essere accanto a lei, ho penOggi ventunenne, l’enfant prodige della sato che sarebbe stato meglio che io continuassi i miei stumusica ticinese incanta il pubblico di tutto di e la rendessi orgogliosa di il mondo con la sua forte presenza sceni- me. Ho avuto la forza di reca e un’incredibile maturità musicale agire e l’ho trasmessa anche a lei. Ora sta bene. un podio, davanti a mille o Di momenti di sconforto ne ho avuti tanti, anche a una sola persona, mi ma proprio in quei frangenti avevo ancora carica di energia. Attraverso più bisogno della musica. L’anno scorso, per il suono cerco di infondere la esempio, sono stata colpita da una tendinite forza positiva della musica. perché suonavo il violino anche quattorIdentifico la musica in una dici ore al giorno. Mi sono demoralizzata di saggia guaritrice che ha il perché ero convinta che l’unica cosa che potere di curare. Spesso mi è sapessi fare nella vita era suonare il violino. capitato di andare nelle case Poi, dovendo diminuire le ore di prova con di riposo a suonare per gli lo strumento, ho iniziato ad approfondire anziani. Dopo le prime nola composizione, le armonie e a studiare te, leggevo sui loro volti un attentamente le biografie degli autori. Ho sorriso o un bagliore negli imparato insomma a pensare alla musica. È occhi che prima non avestata un’esperienza fondamentale per la mia vano. Anche solo per pochi formazione, che mi ha fatto crescere come minuti, la musica ti può remusicista e come persona. Adesso, quando galare un pianto di gioia o di salgo sul podio, sono più rilassata. Suonare speranza o ti può far tornare davanti al pubblico è “puro piacere”. In Amein mente un ricordo felice. rica ho vissuto esperienze indimenticabili. Non è meraviglioso? Certo, Ricordo quel giorno – la mia prima esibizione saper trasmettere le emozioa New York – quando mi hanno messo nelle ni attraverso uno strumento mani uno “Stradivari”. Suonava da solo! musicale non è semplice. Io Sul palco uso molto la fantasia. Immagino ho imparato a farlo studianpaesaggi reali e mondi inesistenti o invento do. Tanto. Anche dieci ore storie d’amore, cercando sempre di comual giorno. A sette anni ho nicare queste mie sensazioni agli altri. La iniziato a organizzare le mie musica infatti, non è solo legata all’udito. giornate in modo tale da dare Coinvolge tutti i sensi. Quando ero in Ameil giusto spazio a ogni imperica, per esempio, mi mancava la cioccolata gno: il violino, la scuola, ma svizzera, di cui sono ghiotta. Allora cercavo anche i giochi con gli amici di riprodurne il profumo attraverso le note e lo sport. Verso i dieci ho del mio violino. Funzionava a meraviglia! partecipato ai primi concorsi Il mio sogno per il futuro? Fra una decina e ai primi concerti ed esibid’anni mi dedicherò anche all’insegnamenzioni da solista. A diciassetto. Ma per ora spero di poter fare la concerte ho conseguito la Maturità tista a tempo pieno. Io e il mio violino, sul svizzera e il Diploma di mapalco, a regalare emozioni…

Maristella Patuzzi

Vitae

o amo la sfida. È un elemento fondamentale della mia vita. Proprio per questo, all’età di sette anni, ho deciso che sarei diventata una violinista. Dovendo scegliere fra danza, pianoforte, calcio e violino, non ho avuto dubbi. Ho scelto quest’ultimo. La complessità e la difficoltà dello strumento – oltre al suono e alla bellezza della sua forma – mi hanno, fin da bambina, affascinato moltissimo. Poi, crescendo, ho capito che ogni cosa, anche quella apparentemente più semplice, diventa difficile se la si vuole fare bene. Sono nata ventuno anni fa a Lugano, in una famiglia di musicisti: mio papà Mario, mia mamma Marianna e i miei due fratelli sono tutti pianisti. Da piccola, quando mi alzavo la mattina, invece di pensare a che cosa giocare o a quale vestitino indossare, dovevo scegliere con quale pianista iniziare la giornata di studi. Anch’io ho mosso i miei primi passi nel mondo della musica suonando il pianoforte. A quattro anni ho iniziato a suonare il violino. In tutto il mio percorso musicale è stato fondamentale il sostegno dei miei genitori. Poco prima di compiere il mio quinto anno di età, mio padre mi ha chiesto che cosa desideravo come regalo di compleanno. Io gli ho risposto “suonare in pubblico con te”. Era il 14 febbraio del 1992, il giorno della mia prima esibizione, nella nostra sala da concerti. In quell’occasione credo di aver intuito, per la prima volta, che cosa significasse per me suonare. La musica non è solo un virtuosismo “da circo”. È un messaggio. La buona esecuzione di un brano non dipende solo dal “prendere la nota perfetta”. Trasmettere attraverso la perfezione del suono un’emozione è il fine ultimo a cui ogni musicista dovrebbe aspirare. Il rapporto col pubblico, il feeling che si crea fra chi suona e chi ascolta è unico e irripetibile. Salire su

»

I


L’AUTUNNO FOTOGRAFICO di Adriano Heitmann

sopra: László Moholy-Nagy, Konstruktion (1922). ©L. Moholy-Nagy Foundation

Tante mostre e tante fotografie in queste settimane in Ticino. Ma la presenza marginale dei fotografi di casa nell’Autunno fotografico è più che il frutto del caso. Un breve viaggio e alcune considerazioni sul passato e i progetti mancati di un patrimonio che dal ricco territorio non si è (quasi) mai sollevato


Reportage

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sopra: Theo Frey, Visita alla fabbrica di munizioni a Zurigo-Oerlikon (1941). ©Schweizerisches Bundesarchiv pagina a fianco: Theo Frey, Metodo di archiviazione della scelta di immagini; Fabbrica di tabacco a Brissago. ©Fotostiftung Schweiz, Winterthur

T

ra le centinaia di iniziative culturali in cartellone in questo tiepido autunno, proposte da operatori pubblici e privati, fa bella mostra di sé la fotografia. Con una dose minore di campanilismo, sarebbe stato opportuno creare una vera e propria stagione della fotografia cantonale, operando attraverso il coordinamento delle diverse proposte, sui modelli di Parigi (Mois de la photo) o di Arles (Rencontres). Ma tant’è… e nel frattempo per i tifosi della pellicola diventa paradossalmente quasi difficile valutare dove recarsi per un fine settimana dedicato alla cultura. Pensate: solo Chiasso e la sua Bi6 propone quattordici diversi eventi… Bisogna precisare che all’occhio attento non sarà sfuggito un doppio filo conduttore che lega – immaginiamo involontariamente – alcune delle mostre che in queste pagine sono presentate.

Bellinzona La prima piacevole sorpresa stagionale viene dalla mostra di Villa dei Cedri a Bellinzona. Sorprende la qualità e l’accostamento di due grandi maestri: l’americano Walker Evans e il nostro Theo Frey. Si tratta di fotografia documentaristica degli anni Trenta. Due sono gli aspetti che accomunano gli autori: Evans documenta l’America povera di quegli anni, Frey si concentra sulla Svizzera povera della stessa epoca. Entrambi con l’intento di documentare oggettivamente la realtà. Entrambi operando grazie al sostegno istituzionale dei loro paesi. Theo Frey percorse in lungo e in largo il nostro paese in bicicletta e in treno. Nel nostro cantone si recò presso la Fabbrica di tabacco a Brissago (pagina a fianco), Carona e Comano. Le fotografie ticinesi e i “contatti” d’archivio originali esposti a Villa dei Cedri sono i veri gioielli della mostra. Notevole pure, malgrado la grande quantità



Reportage

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sopra: Paul Scheuermeier, Dò tusanèll e tusa cul gèrlu (Ligornetto, 18 giugno 1920). ©Archivio AIS Università di Berna a fianco: Paul Scheuermeier, Era cüna co r'arsciùn (Corticiasca, 8 aprile 1926). ©Archivio AIS Università di Berna

di opere esposte e l’esiguo spazio, lo sforzo di Anna Lisa Galizia. La piccola pubblicazione del museo – Tradurre la realtà – ci propone diverse riflessioni sulla fotografia di quegli anni, mettendo in luce i vari punti che accomunano i due autori, così distanti geograficamente ma così simili nell’anima. Entrambi miravano a sparire dietro la macchina fotografica… un atteggiamento che aveva la pretesa di accostarsi alla realtà senza emozioni. Ligornetto Con lo stesso spirito lavorò pure in Ticino lo zurighese Paul Scheuermeier. Nel 1920 il ricercatore è a Ligornetto e tra il 1926 e il 1927 in altri 11 villaggi ticinesi. Il Museo Vela propone una splendida mostra curata dal Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona. L’opera del linguista Scheuermeier aveva per scopo di documentare le forme dialettali più arcaiche al Sud delle Alpi.

Grazie alla fotografia, la sua ricerca andò via via assumendo però i contorni di una nuova disciplina, l’ergologia. La sua attenzione era rivolta al mondo rurale, agli attrezzi e ai paesaggi. Pessima invece fu la sua relazione con gli “indigeni”. Donne, uomini e bambini sono sempre vestiti a festa e messi in posa con una marcata artificiosità. Ciò nonostante, le sue immagini – e le sue minuziosissime annotazioni – sono di riguardevole valore storico ed evocativo. Risulta alquanto difficile trovarsi oggi tra le vie di Ligornetto e non rabbrividire rimirando le sue rappresentazioni, immagini di un tempo cancellato per sempre. Pergole, bacchi da seta, buoi, campagne adorne… Un inventario di vita quotidiana ticinese che a tratti si erge a grande fotografia, avvicinandosi stilisticamente e concettualmente a quel Evans americano che avrebbe fatto storia, dieci anni più tardi. E allora il catalogo Parole in immagine diventa assolutamente imperdibile.


Un ambiente fotografico afflitto Credo che nel percorrere queste quattro mostre si evidenzi come il nostro territorio sia sempre stato in grado di offrire spunti di valore assoluto. Ma spingendo il nostro sguardo a ritroso sino al 1945, non si possono non ignorare i grandi vuoti prodotti dall’assenza di tracce autoctone. Qualche fotografo sparso qua e là (Pedroli, Vicari, Schiffer), ma nessun progetto consistente. Pubblicazioni come libri e riviste di qualità praticamente inesistenti se non dai primi anni Ottanta. Certo, il recupero dell’Archivio Donetta oggi Corzoneso è un’apprezzata eccezione, ma è nata da un’intuizione e dall’interesse di privati cittadini… il che è tutto dire. Se ci guardiamo alle spalle, brillano sopra ogni cosa le occasioni mancate e le grandi perdite. In primis manca all’appello

Reportage

Lugano Risaliamo a nord. Oggetto della nostra attenzione la collezione privata del ticinese d’adozione Marco Antonetto esposta al Museo d’Arte di Lugano. Photo20esimo. Maestri della fotografia del XX secolo è un campionario di immagini che percorrono un secolo di storia. Un’operazione ardua per curatori e pubblico. Vi è “di tutto un po’…”, con il rischio di non soddisfare nessuno. È bello, in ogni caso, vedere inclusa nella rassegna lunga cent’anni la fotografa ticinese d’adozione Flor Garduño. Peccato che le stampe esposte a Lugano non siano quelle meravigliose al platino/ palladio che abbiamo potuto ammirare nel 2003 al Museo Comunale di Ascona e alla Galleria Sozzani di Milano. Di particolare interesse le immagini raggruppate nella sezione “Astrazione”.

della Collezione Helmuth Gernsheim, pioniere e storico della fotografia, anche lui ticinese d’adozione. La sua collezione è “partita” per Austin (Texas) nel lontano 1963 per un’evidente mancanza di interesse da parte di chi operava al tempo in questo cantone, non conscio che con quella collezione partiva anche la prima fotografia della storia datata 1839. E per le stesse ragioni, le nostre autorità hanno rifiutano la donazione da parte dello stesso Gernsheim della sua biblioteca: pensate, migliaia di libri sulla fotografia contemporanea, tutti autografati. Li volete forse vedere? Andate a Mannheim, Deutschland… Altre pillole amare: “smembramento” nelle aste di Londra e New York la collezione del compianto Fernando Garzoni, uomo di cultura e mecenate che tutti noi ricordiamo con affetto e gratitudine. E poi la collezione di fotografia ex Banca del Gottardo – voluta anch’essa da Garzoni – oggi non è più fruibile al pubblico… speriamo non rimanga sino alla fine dei tempi negli scantinati della nuova BSI. Manca all’appello anche il Museo Cantonale. Nell’architettura dei promotori culturali, lo stesso museo avrebbe dovuto fungere da motore del “reparto fotografia”. In verità ci sono state alcune mostre, alcuni cataloghi, anche interessanti. In un ambito culturalmente così importante lasciare il campo in mano al volontariato, ai collezionisti privati – in via d’estinzione – e agli squattrinati artisti della macchina fotografica non è più concepibile. Sono progetti troppo importanti per il territorio. Qualche riflessione Che cosa hanno in comune le proposte passate in rassegna? Un committente forte e impegnato. Le mostre di Bellinzona e Ligornetto si sono prodotte grazie al finanziamento di enti

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Reportage

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sopra: Walker Evans, Ufficio postale, Sprott (Alabama, 1936). ©Library of Congress, Washington e Martson Hill Editions a fianco: Walker Evans, Cucina di casa colonica, Contea di Hale (Alabama, 1936). ©Library of Congress, Washington e Martson Hill Editions

statali. Marco Antonietto a Lugano ha messo del suo, per passione. Ecco cosa manca oggi: progettualità ad ampio raggio, finanziamento da parte degli enti pubblici sul modello della FSA (Evans), dell’AIS (Scheuermeier) o dell’Esposizione nazionale del 1939 (Frey). Chiasso con la sua politica culturale e segnatamente con Biennale dell’immagine, ha dato forti segni di vivacità ma riesce solo raramente a oltrepassare con la programmazione il Ponte di Melide, in barba ai moderni mezzi di comunicazione planetari. Per fortuna che “oltre ramina” vi è l’Europa che sa cogliere le proposte provenienti dalla Svizzera. Strutture quali lo Spazio Officina o il Cinema Teatro non potrebbero forse sollevare invidie da parte di qualsiasi città d’oltre Gottardo? Nel nostro paese – patria del mattone e del cemento – non sono le strutture a mancare. Latitano piuttosto gli utenti e i finanziamenti.

Nei cassetti riposano ancora innumerevoli progetti: uno per tutti, quello proposto da Guido Giudici (Cons Arc, Chiasso) che all’inizio dei passati anni Novanta prevedeva un’approfondita indagine sul territorio. Occasione persa o possibilità di “ripescaggio”? Sempre con uno sguardo verso il passato, possiamo affermare che i tentativi di innescare la marcia non sono mancati: vi ricordate di quell’interessante mostra del 1997 – San Gottardo – dedicata a Fernando Garzoni? Purtroppo fu solo un lampo a ciel sereno, nella Sonnenstube. E il catalogo ancora oggi disponibile ne dà testimonianza. Risulta sin troppo facile oggi affermare che la fotografia è di moda. Facile appendere alle pareti di musei e spazi espositivi mostre fotografiche pre-confezionate: pochi chiodi, qualche franco e lo spettacolo è assicurato. Come sappiamo, la cultura


Reportage

45 INFORMAZIONI Museo d’Arte Moderna Lugano Photo20esimo Maestri della fotografia del XX secolo 5 ottobre 2008 – 11 gennaio 2009 www.mdam.ch Catalogo della mostra: Photo20esimo. Maestri della fotografia del XX secolo A cura di Marco Antonetto e Bruno Corà

di una società non si fa nei musei, se mai nei musei la si consuma. E la presenza marginale dei fotografi ticinesi all’Autunno fotografico non è forse significativa? Speriamo per loro non sia già giunto il gelido inverno… un destino che – non dobbiamo dimenticarlo – è certamente anche di loro responsabilità: individualismo radicale, campanilismi, parrocchie e soprattutto Schadenfreude (il piacere nel fare del male ad altri) infestano il campo. Forse dalla cacofonia e dal “macinato” di immagini sbucherà un fiore: ma a primavera, chissà…

foto di copertina: Paul Scheuermeier, Attrezzi per la trebbiatura (Ligornetto, 22 giugno 1920). ©Archivio AIS Università di Berna

Museo Villa dei Cedri Bellinzona Tradurre la realtà Fotografie di Walker Evans e Theo Frey 21 settembre – 23 novembre 2008 www.villacedri.ch Catalogo della mostra: Theo Frey, Fotografien A cura di Peter Pfrunder Museo Vela Ligornetto Parole in immagine Un omaggio a Paul Scheuermeier (1888–1973) linguista ed etnografo 21 settembre – 23 novembre 2008 www.museo-vela.ch Catalogo della mostra: Parole in immagine A cura di Mario Frasa, Linda Grassi e Franco Lurà


À T I L I N I M M SIGNORI UOMINI! FIN EGUARDIA Una disarmante

CON I PRIMI GERMOGLI DI PRIMAVERA, LE STRADE E LE PIAZZE DI OGNI CITTÀ E PAESE SARANNO INVASE DA UNA PERICOLOSA, QUANTO DISARMANTE, FEMMINILITÀ di Marisa Gorza

La femminilità, quella per bene (non perbenista!), nel creare i guardaroba della bella stagione 2009 ha affascinato pressocché tutte le Grandi Firme delle recenti sfilate milanesi. Quella femminilità oscillante tra prudèrie e sensualità sussurrata che ha il suo vessillo nel rassicurante, ritrovato bon ton. Salvo qualche “piccola” incoerenza. Garbate e naturali appaiono da Giorgio Armani le donne con le gonne, cioè soffi che sfiorano il ginocchio con gli orli fluidi. E la giacca, eterno pezzo forte di Re Giorgio? La ritroviamo doppiata in organza e chiffon, lunga e sinuosa a fasciare il fianco in un movimento asimmetrico e sfuggente. Vestite di gentilezza pure quando indossano gli abitini di seta scattante tagliata a foglie e quelli lunghi da sera che ondeggiano per le sottogonne illuminate da sfumature siderali. Tinte neutre, accostate al grigio, lucente di paillettes per la frizzante creatura dell’Emporio, ma soprattutto il bianco e il blu a righe di un fresco genere crociera che non dimentica shorts e pantaloni. Forme essenziali di matrice classica e materiali sorprendenti. In poche parole lo stile di Prada che stupisce con i tubini e i tailleur realizzati con tessuti contenenti un filo di metallo da plasmare addosso. C’è un che di primitivo nei disegni rupestri e i bijoux di conchiglie, smentito dai tacchi iperbolici dei sandali, per cui una modella precipita e plana in passerella a pelle di leone. Incidenti di caccia. Dedite al safari o guerrigliere chic? Tutti due, altro che signore gentili: sulla pedana di Gucci, trasformata in jungla, ragazze impavide avanzano in pantaloni kombat, sahariana, anfibi (alti una spanna) e sfoggiano uno zaino (in preziosissimo pitone), simile a quello che cingeva Oriana Fallaci quando seguiva l’offensiva del Thet. E non poteva essere che Lorenzo Riva a rilanciare lo stile “lady like”che, tra un serpeggiante tailleur che sottolinea sornione fianchi e vitino, un tubino nero profilato di bianco e uno spolverino a macro pois, non disdegna petali di rosa qua e là, magari a comporre la manica balloon di un giacchino con basca ondulata, perfettamente couture. Con Rocco Barocco si veleggia verso la Cuba di un tempo. Tanto per rievocare le immense spiagge dove esibire kaftani lunghi e corti, ricamati con fili di rafia o dipinti con voli di farfalle, cappelli enormi

e zoccoli dal tacco scultura. Alla sera è d’obbligo lo smoking con tutto il fascino di un capo maschile portato al femminile. Un classico. A dissacrare il déjà vu ci pensa Francesco Martini, che per la maison Enrico Coveri ridisegna in chiave pop-art, tailleur e tubini da atelier, ne stempera il rigore nel colore vitaminico e nell’umorismo rockabilly di sottanine a ruota e di hot pants che si divertono a giocare all’ensemble con la giacchetta ultra slim. Nastri intrecciati e gale suggellano una donna davvero con i fiocchi. Si può creare il nuovo partendo da uno studio d’archivio? “Si deve” rispondono Tommaso Aquilano e Roberto Rimondi, il tandem creativo che ha riportato in passerella le geometrie di Gianfranco Ferrè. Così i volumi derivati dal quadrato, dal cerchio, dal rettangolo, eredità dell’architetto, danno vita a sottane movimentate da triangoli di pieghe, alla camicia bianca, emblema della maison, attualizzata sui pantaloni con tasche a tubo, all’abito da cocktail a tutto tondo. Passato e futuro, ragione e sentimento. Arriva la seduzione dell’anima, quella che colpisce nel profondo. Ne è convinta Kristina Ti, allergica all’“usa e getta”, per cui opta per il comportamento composto di una volta e i vecchi capi del cuore, già nell’armadio, portati in modo contemporaneo. Quindi impariamo ad accostare la gonna lunga e dritta con le camiciole della nonna o della zia timorata, i leggings di pelle stretch dei tempi di Grease con il gilè da manager degli Ottanta ecc… Provocazione anticosumistica? “La passerella deve suggerire, non solo vendere”. La voglia di ritrovare candore e innocenza intriga Roberto Cavalli che inizia il defilè con vestine da collegiale in mussola candida solcata da balze in valencienne, per proseguire con abiti lungi e verginali, però di un malizioso “vedo non vedo” e, pare, senza nulla sotto. Linee vagamente lingerie dell’ Ottocento dalle quali occhieggia il faux cul fatto da un drappeggio di stoffe ondeggianti sul retro(ò). Tra i buoni sentimenti c’è anche il pacifismo di Frankie Morello, così gli abiti composti da cartucciere e tasche militari, con scritte inneggianti al sesso e all’amore, incitano a non sganciare granate, ma sex bombs. Ma non l’avevamo già detto che si tratta di una femminilità pericolosa?


À!

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Il Sole transita nel segno dello Scorpione dal 23 ottobre al 22 novembre Elemento: Acqua - fisso Pianeta governante: Marte e Plutone Relazioni con il corpo: organi genitali Metallo: ferro Parole chiave: segretezza, riservatezza, profondità, trasformazione

» a cura di Elisabetta

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ariete

bilancia

Venere e Plutone transitano nella vostra nona casa solare. Grazie a questa configurazione i nati della terza decade potranno vivere una intensa storia d’amore con una persona incontrata durante un viaggio, o legata al mondo dell’editoria o dell’avvocatura.

Piacevole transito di Venere per i nati nella terza decade. Grazie a questa configurazione potrebbe nascere una storia d’amore in occasione di un evento culturale o semplicemente durante una visita in libreria. La Luna del 5 e 6 novembre è portatrice di serenità.

toro

scorpione

L’opposizione di Marte coinvolge i nati nella terza decade. Mal di gola o malattie da raffreddamento in constante agguato. Possibili gelosie e competitività con il partner a causa del passaggio marziano nella vostra settima casa solare.

Mercurio, pianeta dell’intelletto, fa il suo ingresso: potrete giovarvi di una mente più chiara e sarete perfettamente consci dei vostri obiettivi. Evitate di esprimervi troppo liberamente in pubblico, in particolare tra il 5 e il 7 del mese.

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Il passaggio di Venere in Sagittario inizia a interessare i nati nella terza decade. Il transito apre una fase in cui vi sentirete più portati per l’amore. Evitate però l’ eccessiva indulgenza nei confronti di voi stessi e incrementate l’autodisciplina.

In questo periodo i nati tra la seconda e la terza decade saranno soggetti a un transito molto intenso tra Venere, Plutone e Urano che potrebbe produrre effetti sorprendenti. Cercherete emozioni e stimoli fuori e dentro le relazioni amorose. Possibili flirt.

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I nati della terza decade potranno iniziare nuove attività o dedicarsi maggiormente a una disciplina sportiva. L’entusiasmo e l’energia con cui affronterete qualsiasi situazione susciteranno negli altri sentimenti di simpatia. Vivrete la competizione nei suoi aspetti più giocosi.

Ottimo periodo per i lavori intellettuali e la programmazione di un piano d’azione per il futuro. Fate emergere la vostra positività: riuscirete sempre a fare un’ottima impressione sui vostri collaboratori. Fase eccellente per i negoziati e le transazioni commerciali.

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Con Venere di transito nella vostra quinta casa solare, il mese di novembre si apre con un periodo di allegria e divertimento soprattutto per i nati della terza decade. Fertile sviluppo di ogni attività creativa. Sarete apprezzati per quello che effettivamente siete.

Marte di traverso, Venere favorevole. Anche se il calo energetico per i nati della terza decade continua, potete contare sull’aiuto delle persone che vi vogliono realmente bene. Momenti di forte passionalità favoriti dall’attuale configurazione astrale.

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Meccanismi di autoindulgenza potranno essere sostenuti dal transito di Venere nella vostra quarta casa solare. Scarsa autodisciplina all’interno delle mura domestiche. Incontri e possibili avventure erotiche per i nati nella terza decade.

La vita amorosa dei nati in marzo sarà caratterizzata da notevole imprevedibilità. Urano e Venere, pur di farvi fuggire dalla routine, vi spingeranno a evitare i legami fissi e a cercare solo quei rapporti che vi permettono la massima libertà d’azione.

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Complessa e articolata, la personalità dei nati in Scorpione risente del duplice influsso planetario di Marte e Plutone. Questo aspetto determina uno stato di continua lievitazione interiore, un sommovimento profondo che investe ogni aspetto della loro esistenza. Travagliati dalla dialettica fra istintività da un lato e aspirazione al sublime dall’altro, fra erotismo, aggressività e la ricerca di una propria dimensione spirituale e interiore, gli Scorpioni finiscono per estremizzare le proprie idee ed emozioni, giungendo a compiere scelte drastiche e irreversibili, le cui conseguenze negative emergono spesso nel lungo periodo. Questo continuo oscillare fra aspirazioni individuali e valori collettivi, questa marcata ambivalenza, possono essere fonte di nevrosi in quanto nella tipologia media dello Scorpione, il soggetto talvolta tende a incagliarsi in questo meccanismo. Ma l’apporto marziano, contrassegnato da un’inclinazione al soddisfacimento dei desideri e delle passioni, trova però un robusto argine nell’attitudine alla ricerca interiore. Un’importante via di uscita che, se si ha la capacità di abbandonarsi alla corrente intuitiva, allentando la troppo rigida relazione con il piano della ragione e dell’intelletto e con la pulsione autodistruttiva, può portare a grandi esiti personali. Gli esempi, davvero non mancano: da Wolfgang Goethe a Martin Lutero, da Pablo Picasso a Fedor Dostoevskij, figure vulcaniche che hanno avuto la capacità di segnare la storia e la loro epoca, ma anche personaggi capaci di profonde metamorfosi alle quali sono giunti attraverso il riconoscimento delle proprie energie costitutive, finalmente incanalate verso esiti superiori.

“…nascendo sì da questa stella forte”

Scorpione


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Abbiamo visto per voi

La Cina dell’ascesa economica è da qualche anno al centro di molti dibattiti e, in una recente mostra presso il Victoria & Albert Museum di Londra, lo è anche per il suo design contemporaneo. In uno spazio espositivo dedicato al film In the Mood for Love del regista cinese Wong Kar-Wai, infatti, un’installazione video riproduceva a ripetizione la scena – resa ancor più memorabile dall’effetto del “rallentato” – nella quale la protagonista Su Li-Zhen (Maggie Cheung) sale le scale indossando uno dei suoi splendidi cheongsam. La

pellicola è ambientata nella Hong Kong dei primi anni Sessanta e il ritratto che ne fa Kar-Wai è impregnato di nostalgia per la città “che fu”, aspetto accentuato in particolare dall’indugiare della telecamera su oggetti evocativi di quegli anni. Un approccio cinematografico che lo lega a tutta una corrente di artisti contemporanei cinesi (ne sono un esempio le foto di Wing Shya). In the Mood for Love può essere definito un melodramma sentimentale, ma ripulito da inutili orpelli, reso scarno ed essenziale. La splendida colonna sonora predomina sui pochi dialoghi, le emozioni traspaiono da sguardi e movimenti, e la bellezza delle immagini è sapientemente orchestrata da un regista che – non sfuggirà allo spettatore –

è anche designer. Nel film egli entra nelle “pieghe” di una relazione d’amore non consumata, una passione trattenuta, suscitando emozioni attraverso l’allusione e il “non detto”. Un aspetto di intimità sul quale il narrato del film si incentra: l’incontro tra un uomo e una donna vicini di casa, i quali scoprono che i rispettivi coniugi sono amanti. Nella nuova solitudine delle loro esistenze i due trovano rifugio dal dolore di questa scoperta nella loro amicizia, che li porta a interrogarsi insieme sui fatti accaduti. Incontro dopo incontro, la loro relazione si trasformerà in un amore sublime, che vivranno in modo sofferto e frenato dalla volontà di non comportarsi come i rispettivi coniugi, “di non essere come loro”.

In the Mood for Love Regia di Wong Kar-Wai Con: Con Tony Leung, Maggie Cheung, Rebecca Pan, Lai Chen, Gong Li Scenografia: William Chang Suk-Ping Musiche: Michael Galasso (Hong Kong, 2000)

I polli di Bell

Un tantino più svizzeri

I polli svizzeri di Bell sono davvero fortunati. Vivono in fattorie svizzere secondo principi di allevamento particolarmente attenti alle esigenze degli animali (SSRA), con uno spazio dove respirare aria fresca. Le cure, l’amore dei nostri allevatori e il miglior mangime misto svizzero selezionato e ricco di vitamine perché fatto di mais e grano garantiscono ogni giorno il benessere dei polli. bell.ch

» di Samantha Dresti

Quando ripensa a quegli anni lontani è come se li guardasse attraverso un vetro impolverato, il passato è qualcosa che può vedere ma non toccare e tutto ciò che vede è sfocato, indistinto.


Âť illustrazione di Adriano Crivelli


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1. Genuinità, naturalità • 10. Osso del braccio • 11. La capitale dello Yemen • 12. I numi del focolare • 13. Somara • 14. Calzature autunnali • 16. Cons. in Teseo • 17. Son simili ai calamari • 18. Capo etiope • 19. Profondo, intimo • 20. Ascesa • 21. I limiti della zona • 22. Un liquore • 23. È Ben a Londra • 25. L’Enrico che sposò Anna Bolena • 26. Tralasciate • 29. Baronetto inglese • 30. Istruiti • 31. Associazione Sportiva • 32. Paladini • 33. Motivetto • 35. Le difese del crotalo • 37. Le iniz. di Carboni • 39. Sua Altezza • 40. Priva di fede • 43. Le iniz. di Tofano • 44. Gola centrale • 45. È vicino a Taverne • 48. Il reato di Ario • 49. Imperava in Russia.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 47.

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Indovina... dove siamo?

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1. Il giorno più lungo dell’anno • 2. Livido • 3. Gli si tributa onore • 4. Sprovvista, sfornita • 5. I confini di Locarno • 6. Coincidenze • 7. I giorni fatali a Cesare • 8. Prove, esperimenti • 9. Il filosofo di Clazomene • 13. Vola senza motore • 15. Trepidanti • 18. Sconti • 24. Macchinari da cantiere • 27. Saraceno • 28. Gabbia per polli • 31. Segno zodiacale • 33. Uno stato glaciale • 34. Precede “chi va là?” • 36. Le iniziali di Morandi • 38. Abbassar • 41. Ritorno al centro • 42. Arte latina • 46. Due romani • 47. Lussemburgo e Zambia.

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A quale romanzo appartiene il seguente finale? La soluzione nel n. 47 Al vincitore andrà in premio “La ciotola del pellegrino (Morandi)” di Philippe Jaccottet, Edizioni Casagrande, 2008. Fatevi aiutare dal particolare del volto dell’autore e inviate la soluzione entro giovedì 6 novembre a ticino7@cdt.ch oppure su cartolina postale a Ticinosette, Via Industria, 6933 Muzzano. “E fu per loro quasi una conferma dei nuovi sogni e dei buoni propositi vedere come, al termine del tragitto, la figlia si alzasse per prima, stirando le sue giovani membra”.

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