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L’appuntamento del venerdì
47 numero
14 XI
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04 Beni culturali Il Belpaese è in vendita 10 Il melograno La pianta del cuore 12 Copyleft Verso il profitto (condiviso)
L’essere umano è la nostra patria|41 Corriere del Ticino
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laRegioneTicino
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Giornale del Popolo • Tessiner Zeitung
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CHF. 2.90
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con Teleradio dal 16 al 22 novembre
«Soluzioni su misura per la pensione. Parola mia.» Hans-Rudolf Eugster
I nostri 66 agenti generali tengono in modo particolare all’indipendenza e alla tranquillità economica del cliente. Validamente supportati dai loro team di esperti, essi elaborano soluzioni previdenziali personalizzate, in base alle esigenze, ai sogni e ai desideri di ogni cliente. Senza perdere di vista l’obiettivo di lungo periodo: la sicurezza durante la pensione. Allianz Suisse. Soluzioni dalla A alla Z.
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numero 47 14 novembre 2008
Agorà Beni culturali. Il Belpaese è in vendita Animalia Il colibrì. Un racconto inedito
Impressum Tiratura controllata 90’606 copie
Chiusura redazionale Venerdì 7 novembre
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
DI
DI
PIERO SCANZANI
Arti Tom Verlaine. Cascate di suoni televisivi Salute Il melograno. La pianta del cuore
DI
DI
DI
FEDERICA BAJ
DI
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GIANCARLO FORNASIER
FABIO MARTINI
Media Copyleft. Verso il profitto (condiviso) Vitae Luigi Ferrari
FABIO MARTINI
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MARIELLA DAL FARRA
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Direttore editoriale
Reportage L’essere umano è la nostra patria
Capo progetto, art director, photo editor
Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Peter Keller
Adriano Heitmann
Redattore responsabile
DI
SAMANTHA DRESTI
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Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Concetto editoriale IMMAGINA Sagl, Stabio
Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12
Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch
Stampa
(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Ritratto di Uyanga | Mongolia Fotografia di Reza Khatir
Libero pensiero
Gentile redazione, Vorrei congratularmi e ringraziarvi per il nuovo Ticinosette. È migliorato in tutto. Graficamente ha fatto un balzo in avanti da leopardo. Inoltre, gli articoli sono diventati molto interessanti. Nella vecchia versione tendevo a leggere solo i programmi televisivi, mentre trovo che questa nuova veste editoriale sia proprio intrigante. Devo ammettere che sono rimasta agghiacciata dalla lettera che avete pubblicato sul n. 45 nella rubrica Libero Pensiero e mi complimento per la pacata e puntuale risposta che avete dato. Purtroppo ho osservato frequentemente che le persone di destra non accettano il dialogo, lo scambio di opinioni, il confronto democratico. Ultima prova i fischi che ha ricevuto McCain quando ha annunciato ai suoi sostenitori che aveva telefonato a Obama per congratularsi. È stato sommerso da “booo” e fischi. Continuate cosi, ci rallegrate la vita. Forse siamo solo una minoranza ma siamo tutelati, poffarbacco, dalla convenzione di Ginevra sui diritti dell’uomo. Cordiali saluti. Lettera firmata
Gentile lettrice, siamo sempre stati abbastanza restii a pubblicare in questo spazio le lettere di approvazione che sono giunte alla redazione nel corso di questi mesi. Anzi, in passato (soprattutto nei primi numeri) abbiamo dato, a parere di molti, un eccessivo spazio alle critiche che venivano
da lettori giustamente affezionati alla precedente veste editoriale ma che apparivano spaventati e disorientati dalla novità. Una reazione comprensibile anche se è indispensabile tener conto del fatto che nell’evoluzione di una testata i cambiamenti rappresentano spesso una necessità sia per ragioni di tipo editoriale sia di raccolta pubblicitaria. Detto questo, non c’è dubbio che la sua comunicazione ci ha fatto particolarmente piacere. In questi mesi Ticinosette è certamente maturato raggiungendo un profilo che ci appare soddisfacente e rispondente agli obiettivi fissati in previsione del cambiamento. Ma non basta. La responsabilità verso i lettori ci obbliga quotidianamente a sviluppare nuove idee e concetti, a migliorare i livello delle collaborazioni, a mantenere alta l’attenzione e l’indipendenza di giudizio e di analisi rispetto ai temi e alle problematiche in esame. Per quanto riguarda la sua opinione sulle persone “di destra”, beh… le generalizzazioni sono sempre piuttosto rischiose. Certamente la posizione del “o la pensi come me o sei di fatto inattendibile”, che è stata la caratteristica dominante nella comunicazione dell’ormai quasi tramontata amministrazione Bush, ha fatto i suoi proseliti anche dalle nostre parti. Ciò non toglie che, come l’atteggiamento di McCain ha dimostrato, siano moltissime le persone “di destra” capaci di accettare il confronto dialettico in modo civile e democratico. Cordialmente. La redazione
Il Belpaese è in vendita
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Agorà
Il patrimonio culturale italiano è all’asta mentre i governi riducono i finanziamenti per la sua tutela. Una strategia perdente frutto di una politica arida e dissennata che sta suscitando le proteste e le preoccupazioni degli addetti ai lavori un po’ in tutto il mondo Il commercio “creativo”
Qualche dato
Isole, spiagge, antichi conventi, palazzi rinascimentali, caserme, fortilizi e chi più ne ha più ne metta. Qualcuno è interessato? La scelta è davvero ampia, basta decidersi e, naturalmente, avere a disposizione il denaro sufficiente. Ma non scoraggiatevi… il demanio dello stato italiano offre delle vere e proprie chicche a prezzi stracciati: per la villa dell’imperatore Tiberio a Capri, per esempio, si parte da 90.000 euro. Se riuscite a strappare un mutuo vi assicurerete vacanze davvero “imperiali”. Con qualche soldo in più, se qualcosa vi è ancora rimasto in tasca, potrete comprarvi il cinquecentesco palazzo Cassoli a Reggio Emilia o il convento di Santa Maria degli Angeli a Firenze, sempre che qualcuno non l’abbia già fatto. Nulla è escluso, neanche il Colosseo e il Pantheon, e questo grazie alla perspicacia dei recenti governanti e alla legge varata nel 2002 da Giulio Tremonti, il principe della “finanza creativa”, allora in veste di ministro dell’economia e delle finanze, ruolo che ricopre anche nel presente esecutivo. Alla base, un’idea furbetta: attraverso la creazione di due società, la Patrimonio spa e la Infrastrutture spa, si estrometteva dal meccanismo delle competenze il ministero dei beni culturali a favore del ministero dell’economia. L’iniziativa politica provocò, fra l’altro, l’invio di un appello accorato al presidente del Consiglio da parte di una cinquantina di direttori dei maggiori musei del mondo: non musei qualsiasi ma, fra i tanti, la National Gallery di Washington, il Louvre, la Tate Gallery di Londra. Il mondo dell’arte prendeva posizione, dimostrandosi impensierito dalle conseguenze che un provvedimento del genere avrebbe innescato nella conservazione del patrimonio storico-artistico italiano.
A parte l’ironia, la politica degli ultimi governi italiani in merito alla tutela del patrimonio culturale del paese suscita, come appena detto, enormi preoccupazioni e altrettanto vasti interrogativi. Nel corso dell’estate appena trascorsa è stato approvato dal governo Berlusconi il decreto 112 che, oltre a programmare le prossime finanziarie, indica i tagli – per complessivi un miliardo di euro – che dovranno essere applicati al settore dei beni culturali. Ora, forse non tutti sanno, che secondo stime piuttosto attendibili l’Italia, sul suo pur ristretto territorio, raccoglie dal 70 all’80% di tutto il patrimonio storico-artistico del mondo. Un bel primato che, con un minimo di buon senso e un po’ di investimenti, potrebbe tradursi in una notevole fonte di profitti. A volerlo, il Belpaese potrebbe trasformarsi in un enorme museo a cielo aperto, un luogo in grado di attrarre una crescente percentuale di visitatori da tutto il mondo. Ma se i politici italiani, di destra o sinistra che siano, proprio non arrivano a capirlo, la classe intellettuale, che dovrebbe assumere una funzione di critica e contrasto, appare intorpidita e scarsamente reattiva. Thomas Fitzel, nel suo recente articolo sulla “Neue Zürcher Zeitung”, in cui analizza sommariamente le iniziative economiche in questo ambito, ricorda come lo stato italiano investa nella conservazione e tutela del proprio patrimonio solo lo 0,28% del bilancio pubblico, una cifra irrisoria se comparata all’impressionante presenza di monumenti ed edifici di valore storico-artistico. Certamente, qualcuno obietterà, è meglio vendere piuttosto che abbandonare al degrado e da parte sua lo stato può obbligare l’acquirente a rispettare dei vincoli di tutela anche dopo la cessione. Ma la situazione non cambierebbe di molto. Si tenga poi conto, soprattutto nelle aree
Agorà
Privatizzare è la soluzione? Personalmente credo di no. Perché privatizzare un monumento, un edificio, un museo, un sito archeologico non è affatto impresa facile. I costi per la manutenzione e la gestione obbligherebbero ad applicare biglietti d’ingresso elevati e poco incoraggianti per il pubblico e anche la presenza di servizi aggiuntivi, come librerie e ristoranti, a quanto pare non migliora le cose. A dirla in breve, in Italia gli unici musei che riescono ad autofinanziarsi con i biglietti di ingresso sono il Colosseo e i Musei Vaticani che toccano quasi 4 milioni di visitatori l’anno. Tutti gli altri sono in deficit. Un problema è poi rappresentato dai flussi turistici: Venezia, Firenze e Roma, con tutto ciò che sono in grado di offrire sotto questo profilo, rappresentano tappe fisse, visitate tutto l’anno da milioni di persone. Diverso è il caso di Modena, Luni, Noto e innu-
merevoli altri luoghi, tutti di grande interesse ma marginalmente toccati dal movimento turistico. Una maggiore creatività sul piano delle proposte e della promozione regionale, accompagnata dal rafforzamento e dal miglioramento delle strutture di accoglienza, potrebbe contribuire moltissimo ad attenuare gli inevitabili scompensi nel flusso dei visitatori. Perché il vantaggio economico non è rappresentato dai biglietti staccati ma dall’indotto che siti e musei determinano, in termini di alberghi e punti di ristorazione ma anche di attività diverse come l’editoria, il restauro, l’artigianato, i trasporti ecc. Se tutti questi soggetti pagassero regolarmente le tasse – e sta in parte qui il problema – il ritorno allo stato diverrebbe evidente e così la possibilità di mantenere in vita ed efficienti i beni in oggetto. Al contrario, obbligare il privato a mantenere in buone condizioni un determinato sito è certamente esigibile ma riguardo al risultato i dubbi restano numerosi. Nella sua logica di pura ricerca del profitto e a meno che non sia un vero “mecenate” – razza purtroppo davvero rara nell’Italia contemporanea –, egli
tenderà a privilegiare le aree o i luoghi di maggiore attrattività, abbandonando al degrado il resto, senza poi contare sulla scarsa predisposizione all’approfondimento e al finanziamento di nuovi scavi, nel caso dei siti archeologici, e di attività di ricerca.
Principi e nuove idee
» di Fabio Martini; illustrazione di Mimmo Mendicino
del sud, delle possibili infiltrazioni, nei meccanismi di vendita e concessione, da parte di società non esattamente “limpide” se non addirittura controllate dalla criminalità.
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Il punto è che il patrimonio culturale appartiene all’intera nazione e a tutti i suoi abitanti (un principio peraltro sancito dalla stessa Costituzione italiana) e i vantaggi non devono essere misurati su basi finanziarie ed economiche ma in termini di arricchimento personale, intellettuale e spirituale. Senza poi contare che una visione meramente privatistica del “valore” culturale finirebbe per cozzare con il concetto stesso di “patrimonio dell’umanità” sostenuto e applicato dall’Unesco a beni e aree ambientali di interesse e rilievo universale. Se, infine, la creatività la si applicasse davvero, e non solo alla finanza, le idee non mancherebbero: perché, ad esempio, l’Italia non “affitta” e organizza musei in altri paesi meno ricchi dal punto di vista culturale?
Animalia
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Il colibrì (che aduna in sé la bellezza del fiore, della farfalla e della pietra preziosa) è così delicato e fragile che a ucciderlo basta un rumore improvviso, un semplice battito di mani. Nell’universo alato e gorgheggiante degli uccelli, il colibrì è nel contempo uno zaffiro, un rubino, uno smeraldo vivente; è un fiore che porta tutte le luci dell’arcobaleno; è una farfalla che invece del volo lento, brancolante e un poco ottuso di tutte le farfalle, ha uno slancio che lo fa roteare nel cielo in cerchi d’ebbrezza o che può fermarlo istantaneamente, immobile nell’aria come una libellula. Il colibrì è un essere gaudioso, che consuma se stesso nel ritmo d’una gioia febbrile. È minuscolo come un calabrone, né potrebbe essere più grande: infatti solo perché la sua materia è di pochi centigrammi, il colibrì riesce a farla vibrare con l’ardore di un’anima incandescente. Le sue ali battono l’aria così rapide, da provocare un ronzio. È una creatura innamorata e l’amore è la ragione stessa della sua esistenza, Vive esclusivamente tra i fiori, i quali sono l’espressione dell’amore vegetale. Vive in paesi caldi, dove tutto brucia, dove la terra è feconda e si trasforma in un giardino dalle corolle enormi, nelle quali il colibrì entra per intero, strofinandosi sugli stami, impolverandosi di pollini che reca, complice fecondatore, ai pistilli d’una prossima corolla, sbocciata ieri e spalancata nell’attesa. Amico di fiori tropicali, li sfida con la sua bellezza, vincendoli nei colori, perché unisce l’ebano all’indaco, l’oro al violetto nelle forme, nei ciuffetti che gli adornano il capo, nelle frange che gli illeggiadriscono la gola, nei manicotti incipriati che ne agghindano i piedi. Vince i fiori soprattutto perché, al loro confronto, egli ha conquistato il movimento e questa capacità dì moto non cessa d’esaltarlo. In preda a un’ebbrezza delirante, si precipita di corolla in corolla, di colore in colore, di profumo in profumo, scompare nei calici, ne esce, s’eleva nell’aria come un elicottero, brusco s’arresta, s’appoggia un istante su una foglia, che neanche piega sotto il suo peso infinitesimale. In tutta la sua vita, mai non tocca terra. Se la toccasse, vi resterebbe imprigionato e non riuscirebbe più a spiccare il volo. Per lui la stagione dell’amore dura la vita intera. Quando non
Il colibrì un racconto inedito di Piero Scanziani
proietta la sua lingua bifida nei calici floreali, egli accorre al richiamo della sua compagna che, immobile nell’aria, lo attende. Allora il colibrì impazzisce: vibra in uno splendore di piume, brilla di colori metallici, rotea intorno alla femmina come il satellite d’un sole, traccia nell’aria elissi, triangoli, volute, accresce l’ebbrezza in cui sempre vive, con una più alta ebbrezza di voli. Infine la femmina meravigliata è vinta, non regge a tanta effusione e allora i due uccelli, stretti l’uno all’altra, incrociati i becchi sottili e acuti, s’elevano con il battito invisibile delle loro ali, s’allontanano dal giardino per salire nell’azzurro, s’abbandonano ai venti, si perdono entro le nubi, in una stretta che, contrariamente alla natura di tutti gli altri uccelli, si prolunga nelle ore e nei giorni. Le coppie, in un continuo viaggio nuziale, abbandonano insieme i luoghi dove sono nate, errano verso nuovi paesi, nuovi fiori e solo li arresta temporaneamente la necessità del nido. È un nido a forma di coppa, soffice di bambagie vegetali. Lì la madre deposita due uova oblunghe d’un candore abbagliante, piccole certo, ma sproporzionatamente grosse per quella femminuccia che le cova. Nati i piccoli e imparato il volo, i genitori tornano innamorati come dianzi e riprendono il loro vagabondare. Ma un giorno il colibrì è colto da una debolezza improvvisa. La sua anima incandescente ha bruciato ormai i pochi centigrammi di materia. Le ali hanno perduto il battito tanto rapido da essere invisibile. Lo slancio che lo faceva roteare, è frenato da un languore che annuncia la morte. Le foreste in cui vive, nel Brasile e nell’Amazzonia, sono piene di nemici: uccelli predatori dal soffice volo notturno, serpi che strisciano sulla terra, scimmie squittenti e dalle lunghe code. Ormai il colibrì non regge più nell’aria dove sempre ha vissuto. Le ali gli cedono, s’approssima la terra, la scura terra umida e muffosa, donde egli non può risollevarsi, se per sciagura vi cade. Il colibrì tenta ancora di non precipitare, ma ormai tutto in lui è consunto. Piomba sulla terra, dove il fango imbratta i suoi colori d’arcobaleno. È finito vicino a uno stagno e palpita d’agonia.
» illustrazione di Valérie Losa
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Pur chocolat, pure emotion.
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monotone della stessa frase musicale, variandone solo il timbro e, sopra ogni cosa, il canto “staccato”, onirico, alieno e alienante, quasi asettico di Verlaine, assecondato da intrecci a volte dicotomici delle chitarre, frastagliate e lamentose: un continuo disturbo compensato da momenti di estasi pura, che si traducono in vere cascate di suoni. Signore e signori ecco a voi i Television: un notturno crepitare intermittente, un mosaico di straordinarie frasi di chitarra su basi blues, arpeggi, feedback, tremoli e glissati, a volte macchiati da suggestioni orientali. È rottura assoluta con tutto, cristalli di suoni che pulsano di una vitalità inattesa, ispida, infarcita di simbologia. Tutto questo si ritroverà sul primo assoluto capolavoro del gruppo, Marquee moon (pubblicato nel 1977): un album “esistenziale”, segnato dagli 11 minuti del brano omonimo, una lenta caduta controllata negli abissi della mente, costruito su mille fratture, le
Internet
www.thewonder.co.uk Tra i siti dedicati a Verlaine e ai Television è certamente il più completo e aggiornato. The wonder è il titolo di un album del chitarrista newyorkese uscito nel 1990.
conterranei Sonic Youth reinventarono un decennio più tardi nel doppio Daydream nation (1988). I Television si riproposero l’anno seguente con il secondo e ultimo Adventure (1978), più rilassato se si esclude “Foxhole”, un inquieto volontario tributo ai padri storici del punk tutto, gli Stooges di Iggy Pop. Dopo lo scioglimento del gruppo, Verlaine continua la sua “missione”, a volte accompagnato dai suoi vecchi compagni. Il suo primo disco solista (Tom Verlaine, 1979), mostra che i Television erano il suo braccio, gli esecutori di una mente che partorirà tredici anni più tardi Warm and cool (1992), un magistrale compendio di brevi atmosferiche vignette senza parole. È il definitivo picco del genio armonico di Verlaine, fatto di estasi elettriche setacciate da un’improvvisazione controllata che struttura concerti per tremolo e vibrato (“Lore”, “Saucer crash”), serenate da film noir (“Those harbor lights”, “Depot”), quadri atmosferici spettrali con punte impressioniste (“The deep dark clouds”). L’album sarà ristampato nel 2005 con l’aggiunta di ben 8 bonus tracks, segnate da una La cantate e poetessa americana Patti se possibile maggiore Smith sosteneva che “il suono della chitarra malinconia, la stessa ben riassunta dai fari di Tom Verlaine fa pensare all’urlo di mille che illuminano una uccelli”. Provate a immaginare tutto ciò… strada buia presenti in copertina. Ma sarà una luce che non accompagnerà a lungo il chitarre che emettono versi buon Verlaine: l’anno seguente con Some animali o imitano i riflessi other things e Around (2006) si proporrà di una Luna che si specchia definitivamente come l’anti-John Fahey e sull’acqua. Tom Verlaine e il i primaverili concerti italiani di quest’anno suo lancinante e isterico modo lo confermeranno. Ma mai raggiungendo, di suonare colpirà come solo purtroppo per noi, l’estasi di quei minimi Hendrix seppe fare almeno infiniti affreschi di sedici anni or sono. un decennio prima. E che i
» di Giancarlo Fornasier
Arti
Thomas Miller, classe 1949, Tom Verlaine – un chiaro tributo al poeta simbolista francese Paul – è una delle figure meno note ma che più hanno colpito i nascenti chitarristi dell’ultimo trentennio. Vero erede del suono nevrotico di Lou Reed, nei Television prima e come solista poi, Verlaine avvicinò la sei corde elettrica alla viola malata di John Cale, sdoganandola dalla prevedibilità nel quale il rock’n’roll l’aveva “imprigionata” e dandole nuova vita sotto l’influsso del free jazz di John Coltrane. Era il 1975. Nasceva la new wave americana. Verlaine intraprese un percorso quasi metafisico, oltre tutte le mode. Ne sono un esempio l’ampio uso di assoli, tecnicamente rifiutati dai teppisti iconoclasti della nascente scuola punk americana (leggasi Ramones). A posteriori potremmo affermare che i Television saltarono direttamente dal contemporaneo al suono del vecchio underground psichedelico, acido e tenebroso. Il riferimento alla mistica dei concittadini Velvet Underground e alla visionarietà di Grateful Dead e Red Crayola non sono casuali. I ragazzi non erano “vecchi”, erano semplicemente “oltre”: esattamente tra la tradizione di Bob Dylan e le simbologie liriche di Jim Morrison. Accompagnamenti dissonanti, assoli spesso sgradevoli ma mai sgraziati, ricerche entusiasmanti di ripetizioni
Marquee moon Debutto del gruppo di Tom Verlaine registrato nel 1975. Ristampato nel 2003, aggiungedo agli originali 8 brani altre 5 tracce (tra cui il loro primo singolo “Little Johnny Jewel”).
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All’anagrafe
Cascate di suoni televisivi
Notturni fari solitari illuminano la copertina di Warm and cool (1992)
Dischi
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22.8.2008
14:10 Uhr
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Il denaro fa la felicità (n. 38). Il denaro fa la felicità, specialmente se si moltiplica in maniera indipendente. La previdenza per la vecchiaia si basa su un orizzonte di investimento di lungo periodo che apre le porte a interessanti possibilità di investimento con rendimenti potenzialmente elevati. Se per la vostra previdenza personale nel quadro del 3º pilastro cercate investimenti sostenibili, patrimoni misti con quota azionaria ridotta o elevata affidatevi agli eccellenti fondi LPP 3 di Swisscanto. Il consulente presso BancaStato sarà lieto di consigliarvi e di aiutarvi a pianificare la vostra previdenza. Ripetutamente premiata anche nel 2008.
Internet
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rappresentavano il “cibo dei defunti”. Fu del resto Kore, figlia di Demetra, a essere condannata agli inferi da Zeus per averne mangiati alcuni. Oggi il melograno, a lungo considerato in occidente poco più che una pianta ornamentale, sta godendo di grande popolarità. La ragione è da ricondurre alle marcate proprietà antitumorali, antiossidanti e preventive delle malattie cardiovascolari come hanno evidenziato importanti studi clinici, condotti soprattutto in Israele. I ricercatori Michael Aviram, del Medical Center Rambam di Haifa e Ephraim Lansky del Technion Israel Institute of Technology hanno posto in evidenza come, ad esempio, il succo di melograno agisca da inibitore nella formazione della placca aterosclerotica riducendo i valori presssori e mantenendo elevate le percentuali di ossido nitrico nell’organismo, una sostanza di grande importanza per la salute e il corretto mantenimento dei vasi sanguigni. L’indice composito di potenza antiossidante risulta infatti del 20% superiore rispetto a qualsiasi altra bevanda (vino rosso e tè verde inclusi). Il consumo quotidiano e regolare di succo di melograno concentrato o di melograno sotto forma di estratto secCitato nella Bibbia, simbolo di prosperità e co rappresenta quindi fecondità, oggetto di interesse per gli artisti, un ottimo ausilio per il melograno presenta proprietà medicamen- tutti coloro che hanno tose di grande interesse, con una particolare la necessità di tenere vocazione per il nostro cuore sotto controllo lo stato del proprio cuore e del viene, è duplice: agli antichi circolo arterioso. Senza poi entrare nel meriegizi, che la utilizzavano nelle to delle proprietà antitumorali che appaiono cerimonie funebri – semi di significative, soprattutto nella prevenzione melograno sono stati rinvedei tumori al seno, ai polmoni e alla prostata nuti nella tomba di Ramses in virtù della straordinaria quantità di flavoIV –, seguono i greci per i noidi e vitamine contenuti negli scintillanti quali i granelli della balausta chicchi di questo tesoro dell’inverno.
» di Fabio Martini; fotografia di Adriano Heitmann
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dipinto nel 1596. Perché il valore metaforico di questo frutto, simbolo di fertilità e ricchezza, si connette proprio al suo interno in cui i granelli, separati, appaiono affratellati in un unico organismo, come soggetti molteplici ma saldamente coesi. Simbolo massonico, dunque, ma non solo. Nella tradizione ebraica, ad esempio, il melograno e il suo frutto (denominato rimonim) simboleggiano la fratellanza e l’abbondanza, tant’è che i puntali del Tempio di Gerusalemme venivano modellati proprio sulla forma del melograno. Numerosi sono inoltre i luoghi della Bibbia in cui l’albero e il suo frutto vengono nominati come simbolo di prosperità e speranza (Samuele 14:2; Cantico dei Cantici 8:2; Gioele 1:12; Aggeo 2:19). Ma il contenuto simbolico, come spesso av-
Il melograno. La pianta del cuore
e pazienza per poter essere gustato. I suoi semi – la sua intima ricchezza – ci appaiono gelosamente serrati all’interno di una buccia spessa e coriacea che per essere vinta necessita di un attento lavoro di lama. Balausta è il nome Salute della bacca globosa di questa pianta (Punica granatum), di origine orientale e conosciuta dagli antichi per le sue importanti proprietà salutari e medicamentose. Internamente suddivisa in otto logge asimmetriche separate da veli membranosi, essa nasconde i granelli stretti gli uni agli altri come piccole colonie di rubini vegetali dai riflessi vitrei e dalla polpa succosa e agrodolce. Una meraviglia a vedersi come ben sapevano gli artisti che, a partire dal Quattrocento, la utilizzarono nelle decorazioni e come elemento ricorrente di quello che diverrà il genere figurativo della “natura morta”. A partire da Piero della Francesca, che la riprende ripetutamente nei tessuti raffigurati nelle sue opere, fino a Caravaggio che la escluse dall’archetipo di tutte le nature morte – la celebre Canestra esposta alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano –, ma la inserì, aperta e con i grani bene in vista, nella cesta di frutta presente nel celebre e coevo Bacco degli Uffizi,
Kenneth Cooper Il potere curativo degli antiossidanti Red edizioni,1997 Un libro indispensabile per chi intende tenere sotto controllo colesterolo e ipertensione con programmi di salute per combattere i radicali liberi.
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Il melograno richiede tempo
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Copyleft. Verso il profitto (condiviso)
sistema capitalistico viene classicamente identificata con il possesso esclusivo dei mezzi di produzione – gli Media edifici, le macchine e le altre attrezzature utilizzate per produrre beni e servizi – da parte di un gruppo ristretto di soggetti, allora dobbiamo prendere atto di come, da circa trent’anni a questa parte, a prescindere da Marx ed Engels, si stia diffondendo nella nostra società un approccio alternativo. Partiamo da un dato: in internet – o comunque nella parte più innovativa e vitale della rete – la circolazione dei saperi è libera, e questo in virtù delle regole costitutive del sistema stesso, altrimenti conosciute come “protocolli di rete”. I protocolli definiscono infatti la procedura attraverso la quale le informazioni vengono immesse in rete, e si tratta di una modalità che, per sua stessa natura, non consente di imporre sbarramenti o “protezioni”: l’esempio classico è quello del brano musicale in formato Mp3, consistente in una sequenza di numeri che, come tali,
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Se la prima caratteristica del
lavatrice, ci venisse consegnato, insieme al prodotto, anche un manuale che spiega come è stato costruito, mettendoci in condizioni di fabbricarne uno uguale, se non addirittura migliore. Il sistema operativo Linux iconograficamente associato all’immagine del pinguino, è l’esempio forse più noto. Linux è un software libero, inventato dal programmatore e hacker finlandese Linus Torvalds, che nel tempo si è costituito come valida alternativa ai sistemi commerciali a licenza chiusa (Microsoft Windows, MAC OS X, Unix, etc.). A differenza di questi ultimi, infatti, Linux non sono replicabili (o “scaricaè protetto da copyright ma soltanto da una bili”) da chiunque. licenza copyleft GNU GPL (General Public Tuttavia, l’aspetto più inteLicense), un concetto elaborato negli anni ressante è che tanto i “beni” Ottanta da Richard Stallman – programmaquanto i “mezzi di produtore del MIT e fondatore del Progetto GNU zione” che circolano in rete e del movimento del software libero – con la non sono soltanto riprodufinalità di individuare un modello alternaticibili, ma anche modificabivo di gestione dei diritti d’autore. Le licenze li, nel senso che chiunque copyleft permettono a programmatori vopuò cambiarli a seconda dellontari di contribuire allo sviluppo del prole proprie esigenze, per poi gramma, con il vantaggio di incrementare restituirli alla comunità con la qualità del lavoro svolto, la cui creazione caratteristiche magari più viene condivisa e verificata da ciascuno dei funzionali. Pensiamo per suoi fruitori. esempio a Wikipedia, l’enNe deriva che, su un piano strettamente ciclopedia on-line che viene economico, i software copyleft rappresentacontinuamente aggiornata e no un fattore fortemente competitivo con arricchita dai propri fruitori. quanto prodotto invece dalle grandi azienEbbene, lo stesso vale per il de monopoliste, che si basano sui vantaggi economici rappresentati dalle leggi sui breIn un momento in cui la logica del profitto vetti, sui trademark e i mostra in maniera drammatica i propri copyright. limiti, viene da chiedersi se la crisi non Nato in ambito speabbia innescato da tempo un cambiamento dei cificamente inforprocessi produttivi, fino a oggi, considerati matico, il copyleft ha trovato in questi anni come gli unici possibili applicazioni sempre più vaste. Particolarsoftware che forma l’archimente innovativo, nel campo dell’editoria, tettura della rete, e che è è l’utilizzo che ne fa il collettivo di scritinteramente “open-source” tori italiani Wu Ming (ex Luther Blisset) (accessibile, di dominio pubi cui romanzi, editi in Italia da Einaudi, blico). A titolo esemplificatipossono essere scaricati dal loro sito. La vo, facendo un’analogia con logica sottostante è che “più un’opera cirun elettrodomestico, è come cola e più vende”, perché magari il lettore se, all’atto di acquistare una che ha scaricato il libro e lo ha apprezzato
Coleman, guida del celebre collettivo M-base. Per concludere, in un momento in cui la logica del profitto, soprattutto a livello finanziario, mostra in maniera drammatica i propri limiti, viene da chiedersi se la crisi – concetto che implica sempre un potenziale evolutivo – non abbia innescato da tempo un cambiamento destinato e rivoluzionare quei processi produttivi che, fino a oggi, consideravamo come gli unici possibili.
Internet
» di Mariella Dal Farra; ill. di Micha Dalcol
ne vorrà regalare una copia a qualcuno che conosce, e a quel punto si recherà in libreria per acquistarla. Considerato che il romanzo Q, scaricabile gratis ormai da tre anni, è arrivato alla dodicesima edizione, superando le duecentomila copie vendute, sembra proprio che il ragionamento funzioni. Ma il fenomeno non si restringe solo alla produzione letteraria e a quella di software: in tempi non sospetti, ha riguardato l’ambito della musica. Un modello per tutti, il chitarrista californiano Henry Kaiser che ha impostato la propria produzione musicale al di fuori di ogni limite di copyright, modalità che recentemente è stata seguita da altri illustri colleghi, fra cui il sassofonista americano Steve
La “c” rovesciata è il simbolo del copyleft. Per approfondimenti sul tema, si segnala “Software Libero Pensiero Libero. Saggi scelti di Richard Stallman” vol. 1 e 2, scaricabili in formato Acrobat da http://it.wikipedia.org/wiki/ Richard_Stallman.
www.wumingfoundation.com Per scaricare (e, in un secondo momento, eventualmente, regalare) i romanzi di Wu Ming, con particolare riferimento a Q e 54.
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– Quando sei arrivato? – Ieri – disse Edoardo. Aveva pensato a lei tutta la sera in un gorgo di ricordi. – Perché non mi hai cercata? Ero così stanca di non vederti. È un po’ che aspettarti è diventata una sofferenza. – Forse devo ripartire di nuovo – disse Edoardo. Vide i suoi occhi indurirsi. – Dammi tempo ancora una volta. Poi mi fermerò.
Uscito nel 1994, Attesa sul mare è il terzo romanzo pubblicato da Francesco Biamonti (1928–2001) e la conclusione di una trilogia marittima iniziata con L’Angelo di Avrigue (1983) e seguita nel 1991 dal pluripremiato Vento largo. Tre, come le entità che circoscrivono questo scritto: mare, terra e silenzio.
Abbiamo letto per voi Edoardo, il protagonista, è un marinaio che s’imbarca per un ultimo “sporco viaggio” verso le coste dell’ex Iugoslavia con un carico di armi. Lascia così per l’ennesima volta la donna che lo ha sempre aspettato (Clara), preferendo la compagnia di un equipaggio composito e sconosciuto. Saranno l’attesa sul mare e i silenzi di persone dagli idiomi diversi a segnare la parte centrale del narrato, a bordo di una nave che non riceve più istruzioni dagli armatori, apparentemente abbandonata a se stessa. Diventa necessario decidere e riattivare la coscienza spenta sin dalla partenza. Il protagonista ormeggia e scende a terra a conclude personalmente la vendita del carico, una discesa
metafora del “male” che si fa percorso illuminante sugli orrori della guerra. Edoardo ritroverà alla fine il mare, l’unico luogo di “bene” capace di riappacificarlo con se stesso. Biamonti, nato nell’entroterra della provincia di Imperia, era un uomo solitario e discreto. Una solitudine caratteristica sia di questo come di altri suoi romanzi, segnati da un’angoscia latente, un’indefinibile paura. Amante della pittura – fu amico del pittore brinazolo Ennio Morlotti – porterà il suo amore per la natura nei suoi scritti. Lineari come l’orizzonte, profondamente coscienti come i declivi roccosi delle coste liguri. Tormentati dal vento dei pensieri ma leniti dai silenzi del mare.
Francesco Biamonti Attesa sul mare Einaudi, 1994
» di Giancarlo Fornasier
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Per spuntini, delizie e stuzzichini.
Per raccontare la storia del musicista e compositore ebreo Wladyslaw Szpilman, rinchiuso assieme alla sua famiglia e ad altri migliaia di ebrei nel ghetto di Varsavia all’indomani dell’occupazione nazista della Polonia, Roman Polansky sceglie di lasciare sullo sfondo la “grande storia” (la guerra che devasta l’Europa, la soluzione di finale voluta da Hitler) soffermandosi maggiormente sugli aspetti quotidiani e personali della violenza nazista. Così protagonisti del film diventano la fame e l’abbrutimento fisico e morale che accompagnano i giorni nel ghetto, l’umiliazione e la paura costante a cui tutti i prigionieri sono sottoposti, completamente
Abbiamo visto per voi in balia di altri esseri umani che il delirio di massa, unito all’ebbrezza della momentanea impunibilità, fa ritenere onnipotenti. Il vero e proprio calvario della vita del ghetto ha come destino finale la deportazione nei lager e la morte, ma Szpilman, magistralmente interpretato da Adrien Brody (premio Oscar 2003), ha la fortuna di fuggire dal ghetto, nascondendosi nella città ormai ridotta in macerie e sul punto di essere abbandonata dai tedeschi di fronte all’avanzata dell’esercito sovietico. Un ufficiale tedesco lo scopre, ma decide di lasciarlo libero. A questo incontro di esseri umani nel pieno della tragedia della guerra, il regista
dedica alcuni dei momenti più belli dell’intero film, restituendoci la sensazione che nel naufragio gli uomini sono veramente tutti uguali: l’ebreo polacco perseguitato e il soldato, tra le rovine di Varsavia, con l’Armata Rossa alle porte della capitale polacca. Ma il destino può cambiare direzione in maniera veramente imprevedibile: l’ufficiale tedesco, infatti, finirà i suoi giorni morendo in un campo di prigionia sovietico nel 1952 mentre Szpilman, più fortunato di milioni di altri ebrei, sopravviverà al delirio di quegli anni, morendo nella sua Varsavia nel 2000 a 88 anni, dopo una lunga e fortunata carriera di concertista e compositore.
Il pianista
» di Roberto Roveda
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Regia: Roman Polansky Con: Adrien Brody, Thomas Kretschmann, Frank Finlay, Emilia Fox Produzione: Studio Canal (Francia/Germania/Polonia/Gran Bretagna, 2002) DVD: Universal Pictures
Per spuntini, delizie e stuzzichini.
» testimonianza raccolta da Federica Baj; fotografia di Adriano Heitmann
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iscritto ad agraria. Il passaggio da una facoltà all’altra è avvenuto subito dopo la morte di mio padre, colpito da una leucemia mieloide fulminante: l’avvenimento più doloroso della mia vita. Quando sono diventato capo della Consulenza agricola del cantone ho messo in atto una serie di progetti di sviluppo agricolo alternativo. Sono stati anni difficili perché bisognava agire con la mente aperta in un contesto fortemente individualista. Ma è stato anche un periodo di grandi successi: come quello della riorganizzazione del piano di sviluppo agricolo di Olivone, poi divenuto uno dei “pezzi forti” dell’agricoltura ticinese. Ingegnere agronomo di Lugano, una vita Dal 1977 al 1980, ho vissuto spesa per la tutela dell’ambiente e per un’esperienza straordinaria la promozione, in Ticino e nel mondo, di su incarico del Dipartimento un rapporto più armonioso tra uomo e affari esteri: il progetto affidatomi prevedeva di esportare natura il modello dei caseifici rurali tendo in sesto una parte della delle nostre Alpi fra le comunità degli Indios nostra casa. Il capocantiere nelle Ande. La scuola casearia che siamo girava con una macchina, da riusciti ad aprire fra El Cuzco e Puno è stata lui ideata, che accumulava poi bruciata durante le tensioni fra i governi idrogeno. Forse, il fatto che militaristi e il movimento rivoluzionario io sia diventato un sostenitore Sendero Luminoso. Ricordo di aver ricevuto dell’idrogeno non è casuale! una lettera di minaccia che mi intimava di In quegli anni si è creato tra andarmene con i miei formaggini e con i me e la natura un legame miei libri “da comunista” sotto il braccio. Al indissolubile. Dopo aver conritorno in Svizzera ho avviato il progetto di cluso gli studi secondari nelle sviluppo della Regione Valle di Muggio poi, scuole pubbliche, mi sono nel 1985, ho fondato il Centro Ecologico iscritto alla facoltà di mediciUomo Natura ad Acquacalda Lucomagno – na per seguire le orme di mio di cui stiamo cercando successori motivati a padre, ginecologo, fondatore continuare la nostra opera – che si occupa della clinica Sant’Anna e della della promozione di un rapporto armonioso Maternità cantonale. Dopo fra l’uomo e la natura, e fra gli uomini stessi. i primi tre anni: un blocco. Non bisogna credere nei governi che fanno Non mi sentivo proprio “meuna politica ambientale senza attuare una dico”. Volevo piuttosto curare politica di pace. Per salvare il pianeta bisogna le piante ma non l’umanità. darsi una mossa. Il degrado che lo sta distrugLa “molla” che mi ha dato gendo corre molto più veloce della presa di motivazione e coraggio per coscienza degli uomini. Un’altra esperienza abbandonare medicina e per che mi ha segnato profondamente l’ho iscrivermi ad agraria è scattata vissuta nel 2003, quando la Confederazione durante la conferenza di un mi ha affidato l’incarico di coordinare per grande professore dell’univerla Svizzera italiana l’Anno internazionale sità di Losanna, collega di mio dell’acqua, un prezioso bene comune, mapadre. Quell’incontro aveva teriale e spirituale. come titolo – me lo ricordo Ne ho fatte di cose nella vita… Forse c’è un bene – “Poco pane nel 2000”. tratto della mia personalità che mi accomuna Insomma, avevo intuito che a Hermann Hesse: il tentativo disperato di forse ci sarebbe stato più bisoandare sempre nel profondo “giusto” e poi gno di curare il “malato cibo” ritrovarsi sempre nel profondo “sbagliato”. che non il “malato uomo”. Lui è stato irrequieto per tutta la vita. Io sarò Nel 1961 mi sono dunque un uomo inquieto fino al letto di morte.
Luigi Ferrari
Vitae
o sono l’uomo che viaggia sempre su strade in salita. Anche adesso che ho settant’anni, se mi volto indietro, riconosco che la mia vita è stata un continuo alternarsi di tonfi incredibili e sublimi ascensioni. Forse, proprio il perpetuo moto altalenante della mia esistenza mi ha permesso, il più delle volte, di realizzare con entusiasmo le mie idee. L’interesse nei confronti della natura l’ho maturato fin da bambino. Vivevo con i miei genitori, entrambi originari della Val di Blenio, in una casa padronale con un enorme giardino nel quartiere Loreto di Lugano. Lì abito ancora adesso, in quella che allora era la dependance dei giardinieri. Il mio “giardino dell’Eden” ha fatto da sfondo al percorso di educazione primaria che ho svolto, dai sei ai dodici anni, sotto la guida di un precettore. In quegli anni ho imparato tanto dal mio maestro di studi quanto dal nostro giardiniere: Emilio, un uomo secco secco di Muzzano, grande perfezionista. Con lui trascorrevo il tempo libero, curando le piante, i fiori e le verdure dell’orto. Avevamo una serra riscaldata dal sole dove, quando entravo nelle sere fredde di febbraio, mi si spalancava un mondo: sentivo sulla pelle il tepore naturale, vedevo le file ordinate delle piantine di pomodoro e alle narici mi giungeva il loro odore: il profumo della mia infanzia. Emilio è stato poi licenziato da mia madre Bice per aver usato degli antiparassitari chimici su alcune piante malate. Mia madre era una donna dal carattere impossibile ma di grande intelligenza e intuizione. Ricordo che quando le proposero di isolare i muri della nostra casa con la lana di vetro lei rifiutò. Non credo conoscesse la composizione chimica della lana di vetro ma solo toccandola disse: “Questa è roba che entra nel sangue”. Trascorrevo molto tempo anche con i muratori che stavano rimet-
»
I
L’essere umano è la nostra patria Conoscersi, inter-agire, scoprire i percorsi di vita che ci hanno riuniti in uno stesso luogo geografico nonostante le provenienze diverse. Comprendere, almeno in parte, i differenti modi di pensare, di reagire, di sentire, di comunicare, per poterci relazionare in maniera migliore, evitando fraintendimenti e inutili pregiudizi. Nella convivenza, infatti, vogliamo sopportare sterilmente l’altro o potenziare le opportunità di tutte le parti in gioco? In alcuni contesti si usa il termine inglese cross-fertilization per indicare lo scambio tra culture o tra diversi modi di pensare affinché tutti i soggetti in gioco ne traggano arricchimento, giovamento dall’interazione. Questo sarebbe il passaggio ideale da una situazione di multiculturalità, dove gli immigrati sono accolti con le loro caratteristiche ma considerati degli stranieri, a una situazione di interculturalità, in cui le differenze non sono più solo comprese e accettate ma percepite come un’occasione di arricchimento. Senza poi dimenticare che interagire con qualità e rispetto dell’altro è anche, più semplicemente, una questione di amore umano. Abbiamo incontrato il fotografo Reza Khatir e visionato i suoi ritratti fotografici realizzati per un progetto culturale sull’integrazione sociale, in relazione ai fenomeni di immigrazione ed emigrazione, che sarà presentato nella primavera dell’anno prossimo. Si tratta di temi cari al nostro paese, oggi luogo di molteplici flussi migratori e, in precedenza, fino alla fine del XIX secolo, a sua volta terra di emigranti che si trasferivano alla ricerca di luoghi più prosperi. Nel pubblicare questi ritratti di donne e uomini, che per ragioni diverse si trovano a vivere nel nostro Cantone ‒ a parte Munir che risiede a Milano ‒ e che provengono da luoghi molto diversi tra loro – Ezz viene dalla terra del Nilo, Erica da Santo Domingo –, ci addentriamo un po’ nelle loro storie, nei loro percorsi esistenziali. Reza Khatir ha scelto come sfondo dei suoi ritratti il fiume, non solo per sottolineare la preziosità dell’acqua, materia prima “nazionale” per antonomasia, ma anche per la valenza del fiume come elemento divisorio, confine e frontiera, tracciato che separa geograficamente… a sottolineare che dall’altra parte le differenze stanno solo nella forma e nello stile, nulla più. Come mai si trova in Ticino? Cosa le manca di più della sua terra? Quando si trova all’estero, invece, qual è l’aspetto del Ticino/della Svizzera di cui maggiormente sente la mancanza? Cosa rappresenta per lei l’acqua? A Ibrahim, Ezz, Huria, Hanny, Munir, Erica e Uyanga abbiamo posto le medesime domande affinché il paragone tra i diversi ritratti di vita risulti ancora più evidente. Ma anche perché sia palese come “al di là del fiume… trovammo solo altri come noi”, con percorsi, idiomi, culture diverse, ma sempre e comunque esseri umani.
di Samantha Dresti progetto fotografico di Reza Khatir
In copertina:
M
Uyanga|Mongolia
i manca la mia cultura, con la quale sono nata e cresciuta, ma in Ticino, dove studio e lavoro, mi trovo bene perché amo la sua bellezza e soprattutto la luce, la luminosità di questo luogo. Quando attraverso il Gottardo per andare a Nord, ad esempio, ho l’impressione che tutto diventi più scuro e triste. A Ulan Bator, la capitale della Mongolia dove vivevo, vi è la fortuna che l’acqua sia buona come qui; lì scorre un bel fiume e passeggiavo spesso lungo le sue sponde.
Le frontiere esistono, tracce e linee invisibili che racchiudono gli uomini creando l’idea di un mondo compartimentato, diviso. Ma il nostro è oggi un pianeta di genti in movimento, sospinte da impulsi e necessità urgenti, oltre le terre e gli affetti d’origine, spesso confinati nel ricordo e minacciati da nuove realtà. Al termine di questo viaggio, che porta uomini e donne dal loro paese di origine alle nostre terre, sorgono riflessioni intime e spontanee. A riprova del fatto che, pur nella diversità dell’apparenza, condividiamo esattamente la medesima sostanza
Ezz|Egitto
H
o iniziato a frequentare il Ticino dodici anni fa, venendoci qualche volta all’anno. Quando poi mi sono sposato, ho ottenuto la residenza pur continuando a lavorare in Egitto, e vivendo un po’ qui e un po’ là. Nel 2001 mi sono trasferito definitivamente e se c’è qualcosa che mi manca del mio paese è l’attività lavorativa che svolgevo: la mia professione è infatti quella di egittologo e organizzavo le visite guidate a monumenti, musei e templi archeologici. Dopo aver conseguito la prima laurea in letteratura classica ho conseguito quella in archeologia e storia e poi la licenza di egittologia. Il mio lavoro mi assicurava una certa stabilità ma era la vita familiare che risentiva dei continui spostamenti, così mia moglie e io, dopo aver a lungo riflettuto su dove stabilirci (se qui o in Egitto), abbiamo optato per il Ticino. Qui ho potuto rifarmi una vita professionale anche se in tutt’altro ambito, quello del commercio. Vengo da una famiglia di commercianti e il cambiamento non è stato troppo arduo. Nonostante io ami il mio lavoro, a volte mi manca l’attività di egitto-
logo che mi ha sempre appassionato moltissimo: stare in mezzo ai visitatori a parlare della storia, dei monumenti, dell’antichità del mio paese mi ha sempre affascinato. Vivo il Ticino come una seconda patria e non solo per la cittadinanza acquisita. In Egitto sono nato e cresciuto, il Ticino, invece, l’ho scelto come patria. Sento miei tutti e due questi luoghi e mi mancano quando sono altrove: mi sento a casa sulle sponde del Nilo come su quelle del Lago Maggiore. Cos’è l’acqua per me… le rispondo con una frase che Erodoto ha pronunciato nel 400 a. C.: “L’Egitto è un dono del Nilo”. Gli egiziani sono un popolo di natura contadina e per primi hanno seminato il grano e conosciuto il valore dell’acqua. Ottanta milioni di abitanti vivono sulle sponde del Nilo, ciò significa che su circa il 5% della superficie del territorio egiziano si concentra tutta la popolazione, mentre il restante territorio è dominato dal deserto. L’acqua è come una corona sulla testa degli abitanti dei paesi dove ce n’è molta: una corona che a volte viene vista solo da chi proviene dal deserto!
Huria|Eritrea
M
i trovo in Ticino perché qui lavorava mio marito, quando poi lui è venuto a mancare sono rimasta, anche perché le mie figlie andavano a scuola e sono da sempre ben integrate. Mi trovo bene, ho fin da subito ricevuto il mio permesso e ho potuto lavorare; non mi è mai successo di avere problemi per la mia provenienza o perché porto il foulard sul capo. Certo, però, che nonostante mi sia da sempre trovata bene, dell’Eritrea, la mia terra, mi manca tutto... tutto. Da quando sono giunta in Ticino non sono quasi mai andata all’estero, solo un paio di volte. Non lo so… penso che di questa
terra mi mancherebbero tante cose… il cibo, i prodotti che si trovano facendo la spesa, le comodità. Mi sono proprio abituata alla vita qui, insomma. Che cos’è l’acqua… l’acqua è tutto, senza di essa non si può fare niente… in Africa, poi, è come oro… pensi che lì, dopo aver lavato i panni, l’acqua del risciacquo non si butta, ma la si riutilizza più volte. In Africa l’acqua si beve con l’aggiunta di particolari prodotti per eliminare i germi in essa contenuti… qui, invece, basta il semplice gesto di aprire il rubinetto e trovi immediatamente acqua pulita e limpida!
Erica|Santo Domingo
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ono arrivata in Ticino a diciassette anni, perché ho seguito la mia famiglia che si era trasferita qui. Certo… mi mancano i parenti che vivono a Santo Domingo e il calore della gente, la loro umanità, anche se, quando mi reco all’estero, del Ticino mi manca tutto! La Svizzera mi piace molto: la tranquillità della gente, la discrezione e l’educazione delle persone ma anche l’ambiente, l’atmosfera che si respira da queste parti. Mi trovo bene… ho seguito dei corsi di italiano e dopo il mio apprendistato ho iniziato a lavorare all’ospedale. Per quanto riguarda l’acqua, io provengo da
una regione di Santo Domingo dove è potabile ed è accessibile senza sforzi e dove il mare e i laghi sono meravigliosi così come le spiagge, le palme e l’acqua, che è azzurra e trasparente. È però vero che in alcune zone del mio paese non si trova facilmente acqua potabile. Si parla con frequenza di ambiente, ecologia, riduzione degli sprechi, anche per quanto riguarda l’acqua e quindi, pur non avendone mai sofferto la carenza, sono cosciente della fortuna che qui ce ne sia a disposizione molta e dell’importanza dell’impegno di tutti nella riduzione degli sprechi.
Ibrahim|Palestina
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ono nato a Ramle vicino a Tel Aviv, in Palestina, proprio nel 1948 (anno dello scoppio della guerra arabo-palestinese). In seguito ho vissuto in Giordania come profugo e lì ho potuto frequentare le scuole. Il mio sogno era quello di studiare: volevo diventare medico e aiutare la gente, ma lì non c’era la possibilità di esaudire questo desiderio e così ho preso la valigia e me ne sono andato. In un primo momento mi sono recato in Turchia, dove ho imparato la lingua di questo paese, poi mi sono trasferito a studiare a Perugia e in seguito ho proseguito gli studi a Zurigo … comunque tutta la vita è stata una scuola per me. Da tutte le esperienze vissute ho tratto qualche insegnamento per trovare dentro di me la forza necessaria e per proseguire nel mio cammino. Le mie radici si trovano in Palestina, poi è come se mi fossi sradicato e tra-
piantato in un’altra terra. Un albero trapiantato non cresce esattamente come nel terreno originario. Non so dire cosa mi manca. Io sto benissimo qui, ma ogni volta che vedo documentari o reportage televisivi sul mio paese… mi prende la nostalgia. Quando però mi trovo all’estero mi manca tutto della Svizzera, qui mi sento a casa. Pensi che la settimana scorsa ero in Canada, un luogo bellissimo, ma avevo una gran voglia di tornare dove abito, dove ho il mio lavoro, i miei pazienti. Non potrei vivere altrove. L’acqua è vita, sono legatissimo a questo elemento, se mi manca, mi manca la vita. Abito vicino al fiume e a volte passeggio sul lungolago per rilassarmi, per meditare. Non esiste anno che io non vada al mare. Il mio rapporto con questo elemento è molto forte.
Munir|Eritrea
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i manca il profumo dell’Eritrea… cioè mi manca tutto, la mia terra, i parenti, il mio paese. Io credo nel destino… prima è arrivato mio padre a Milano e poi, quando è scoppiata la guerra tra l’Eritrea e l’Etiopia, mio fr atello minore e io l’abbiamo raggiunto. È stato un periodo drammatico, avevo quattordici anni e con la mia famiglia ho attraversato il Sudan a piedi e i nostri fratelli, che combattevano contro gli etiopi per liberare il nostro Paese, ci hanno aiutato ad attraversare il deserto… un viaggio duro, faticoso, drammatico. Io vivo a Milano, dove risiedo da trentatre anni, e quando vado all’estero mi manca il calore della gente, gli italiani sono un popolo incredibile. Sono arrivato qui da ragazzo e ho quindi passato la seconda parte della mia giovinezza in questa città. Ho assimilato due modi di vedere
la vita: trovo sia molto importante vedere le cose da più prospettive. Lo dico sempre ai miei amici italiani, di andare fuori a vedere come è la vita altrove. Con l’associazione “Milano Mondo” abbiamo organizzato il “Mundialito”, un torneo di calcio composto di squadre formate da stranieri residenti qui, al fine di divertirsi insieme e favorire l’integrazione. A proposito dell’acqua… beh è importante… ciò nonostante intorno a noi c’è molto consumismo. A volte sembra che qualcuno non si renda conto di questo immenso valore: qui si spreca acqua e cibo continuamente. Io prevengo dal luogo dove nasce il Nilo e ci si affaccia sul Mar Rosso… vi sono distese di acqua immensa eppure poca acqua disponibile per dissetarsi; conosco bene il valore dell’acqua.
Hanny|Santo Domingo
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o passato la mia infanzia a Santo Domingo, luogo dove la gente è molto calorosa e ci si aiuta facilmente l’un l’altro. Penso soprattutto alla solidarietà tra donne, in caso di bisogno coi bambini, ad esempio. Quando ho conosciuto mio marito sono comunque stata felice di trasferirmi altrove. È vero che a Santo Domingo ti senti un po’ più libero, la gente è affettuosa e hai la sensazione di poter fare e dire senza che nessuno ti critichi per ogni piccolezza. I rapporti umani sono molto stretti e calorosi, ma del Ticino, quando sono via, mi manca la tranquillità, la pulizia, la sicurezza. Il fatto di sentirsi sicuri delle prestazioni mediche in caso di bisogno – e questo mi sta molto a cuore da quando sono nati i miei bambini – e il poter passeggiare per
le strade con una certa tranquillità mi fa amare questo luogo. Adesso come adesso non vorrei vivere altrove! Sono lieta di aver posato per un ritratto fotografico che avesse dell’acqua sullo sfondo, perché da ragazza ho sempre sofferto molto del fatto che questa non fosse disponibile per rinfrescarsi dalla grande calura: bisognava percorrere chilometri per procurarsela e il trasporto era faticoso. Mi ricordo, poi, mia madre che la sera ne bolliva grandi pentole per disporne il giorno seguente. Tutto questo mi ha fatto diventare parsimoniosa: non faccio mai gocciolare o scorrere l’acqua del rubinetto inutilmente… l’acqua è vitale e l’abbondanza che ne abbiamo qui rappresenta una vera ricchezza.
Reza|Iran
N
el 1968 ho lasciato il mio paese d’origine, avevo sedici anni. Mi ricordo come fosse ieri che all’aeroporto i miei familiari erano in lacrime ma io non vedevo l’ora di partire verso la “swinging London”, Carnaby street, i Beatles ecc. Non mi sono mai pentito di questa scelta, anche se ha comportato momenti di sconforto e tristezza. Credo che nella vita non abbiamo nessuna destinazione, dobbiamo solo camminare con la consapevolezza del viaggio. Leggendo i pensieri di tutte le persone che mi hanno concesso il loro tempo per questa serie di ritratti, in qualche modo mi riconosco in ognuna delle loro storie. Penso che in ciascuno di noi alberghi un viaggiatore che brama l’ignoto, a volte basta un libro per raggiungerlo. Cosa posso dire dell’acqua che gli altri intervistati con belle parole non abbiano già detto? Ricordo che da piccolo nella stagione calda dormivo sul bordo della piscina aspettando l’alba per tuffarmi nell’acqua e rimanerci fino al tramonto. Forse nella vita passata ero un delfino ed è in questo modo che io amo l’acqua.
Reza Khatir è nato a Teheran nel 1951 in una famiglia di letterati. Fotografo dal 1978. Ha vissuto a Londra e Parigi. Dal 1977 risiede a Locarno (www.khatir.com)
La Frontiera Al di là del fiume cercammo loro ma trovammo solo altri come noi Gialli, neri, rossi e bianchi trovammo solo uomini come noi dentro di noi Al di là del fiume non eravamo né Animali né Dei ma solo uomini Reza Khatir, 2008
Ingeborg Bachmann con la sua scrittura, la sua prosa e la sua poesia ha esorcizzato le paure, i tormenti, le ossessioni, il dolore e lo sgomento che per una vita l’hanno dilaniata, sospesa com’era tra il delirio della scrittura e il suo rigetto verso la Germania nazista, dentro la quale si sono consumati morte e devastazione, i temi che caratterizzano la sua opera. Nata in Austria nel 1926, attraverso la sua opera la scrittrice ci aiuta a “resistere” ma in particolare a comprendere le atrocità dell’esistenza, senza tralasciare di descrivere l’ebbrezza del vivere, senza smettere di esprimere l’ambivalenza di un’anima che la teneva in bilico tra orrore e incanto. La Bachmann mantiene infatti vivida e carnosa, durante tutta la sua vicenda letteraria, la tensione e la pulsione, al limite dell’autodistruttività e della malinconia. Sono questi i sentimenti che dominano molte delle sue opere e che descrivono la tragicità di una vita riflessa nel desiderio di fuggire e di isolarsi dalla violenza degli istinti. Tutto questo incedere lo si ritrova in Lettere da un’amicizia, il volume che raccoglie gli scambi epistolari tra Ingeborg Bachman e Hans Werner Henze, che si frequentarono
Abbiamo letto per voi per vent’anni a partire dal loro primo incontro, avvenuto nell’autunno del 1952. Un lasso di tempo che ci consegna documenti trascritti dal curatore Hans Höller, il quale ha impostato l’impalcatura del libro, adottando criteri che consentono la riproduzione integrale delle lettere, sia in termini di trascrizione di passaggi in lingua originale sia di contenuto. L’intercalare del vissuto dei due intellettuali segna il connubio e l’incontro fra la poesia e il mondo dei suoni, parole e musica che si fondono per dare vita a opere come il radiodramma Die Zikaden, il libretto per balletto-pantomina Der Idiot e i libretti per le opere Der Prinz von Homburg e Der junge Lord, che non sono tuttavia stati i capolavori più noti del compositore tedesco. Affacciandoci a questi due mondi di inquietudine (i loro rapporti e incontri con grandi intellettuali sono arricchiti in molte pagine dalle note alle lettere, risultato di una ricerca cronologica dettagliata), si scopre la creatività intrinseca ma anche le profonde differenze tra i due interlocutori. Il carteggio si avvale di innumerevoli rimandi a episodi di varia natura, a margine o infissi nella profondità della loro amicizia che altro non
fu che un amore mancato. Una velata predisposizione all’insistenza solleva inizialmente il dubbio che Hans Werner Henze abbia avuto mire opportunistiche nei confronti dell’amica, per la sua indubbia capacità stilistica e la sua immensa vitalità esistenziale. Si avverte infatti l’esagerata propensione di lui a scriverle lettere dopo lettere, in particolare quando si chiede “con chi se non con lei potrei scrivere la mia opera?”. Il dubbio tuttavia viene presto fugato quando si materializza il nucleo vero del loro amore, che scorre sul filo di un legame straordinario, tra mille preoccupazioni e contraddizioni fino al disperato ma lirico viaggio intellettuale, che sfociò in una preziosa attività artistica, musicata sul pentagramma. Le lettere documentano spaccati di storie racchiuse in altre storie, testi nei testi dunque, che relativizzano e alleggeriscono il quotidiano, all’apparenza irrilevante, come quando lui dimentica il compleanno di lei che a sua volta ha trascurato lui. Non ci sono note stridenti tra loro. Tutto si svela attraverso un’intesa che non ha bisogno di essere confermata perché entrambi vivono un duetto esistenziale vero, senza gli orpelli della
Ingeborg Bachmann Hans Werner Henze Lettere da un’amicizia EDT edizioni, 2008
banalità, e senza mai scadere nell’irriverenza dei sentimenti o nella pretesa di possedere le affinità dell’altro. Il carteggio è carico di episodi politicamente dolorosi che si consumano nel contesto di una Germania ancora in macerie. L’eccentricità dei due personaggi è dettata forse più dall’ambiente artistico in cui sono immersi che da aspetti puramente caratteriali. Il loro inno al sole, malgrado le tensioni ideologiche del momento, trova appagamento in quest’opera che si rivela essere la sinfonia più autentica e irripetibile della loro vita trascorsa insieme.
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Recensioni
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» di Nicoletta Barazzoni
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Disegnare la vita Carl Schmid
Design
50 Progettato nel 1929 dall’ingegner Carl Schmid di Ginevra e suc-
cessivamente sviluppato e commercializzato dalla Caran d’Ache, il Fixpencil è in breve tempo divenuto un successo mondiale. Si tratta infatti del primo porta mine a pinze dotato di un sistema in grado di adottare mine di diametro differente. Di sezione esagonale, segno distintivo della produzione Caran d’Ache, e con il fusto fabbricato in bakelite e in metallo, il Fixpencil è dotato di un affilamine incorporato nel pulsante. Solido, pratico e funzionale, è stato venduto in milioni di esemplari anche nelle versioni argentata e dorata con il marchio Ecridor. I continui miglioramenti tecnici e di design – lo si può del resto considerare come uno dei migliori esempi della creatività elvetica - ne hanno fatto un oggetto di uso comune che ha saputo mantenere costante nel tempo la sua attrattività. Al Fixpencil la Posta ha dedicato nel 2005 un francobollo disegnato dai grafici lucernesi Susanne Perron e Wolfgang Moehrle che si inserisce in una serie filatelica dedicata appunto al design nazionale.
Il Sole transita nel segno dello Scorpione dal 23 ottobre al 22 novembre Elemento: Acqua - fisso Pianeta governante: Marte e Plutone Relazioni con il corpo: organi genitali Metallo: ferro Parole chiave: segretezza, riservatezza, profondità, trasformazione
» a cura di Elisabetta
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Momento professionale molto attivo, per i nati nella prima decade, favorito dal transito di Marte e Mercurio. Diversamente, i nati nella seconda e terza decade continueranno a non sentirsi particolarmente apprezzati per il proprio effettivo valore.
Approfittate dell’ingresso di Marte e Mercurio nella vostra terza casa solare per partecipare a un incontro culturale. I nati nella terza decade, ancor soggetti al transito di Giove, dovranno cercare di essere meno irritabili: la vostra scontentezza non è del tutto giustificata.
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Grazie a Giove, Urano e Venere riuscirete ad accrescere il vostro fascino personale. Se poi tra il 27 e il 29 sarete in grado di sfruttare anche le prerogative di un magico transito lunare potrete vivere intensamente un’improvvisa passione.
Tra il 24 e il 26 novembre la Luna attraverserà il vostro segno. Circondatevi delle persone a voi più care, evitando di affrontare situazioni troppo stressanti. Possibili acquisti di vestiario per i nati nella terza decade ma senza scialacquare.
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Imparate a prestare maggiore cautela e tranquillità quando discutete con il vostro partner, evitando assolutamente di giungere a sterili battibecchi. E così, anche in mezzo al traffico, mostratevi più tolleranti e meno irascibili verso gli altri.
Ultimi giorni del transito di Plutone. Approfittate del passaggio conclusivo per dare un svolta alla vostra vita e tornare a essere protagonisti. Grazie a questi influssi potrete raggiungere l’apice del vostro successo e ricevere non poche gratificazioni.
cancro
capricorno
L’opposizione di Venere e Giove tende a favorire le relazioni extraconiugali… anche del vostro partner. D’altro canto, per chi non fosse ancora seriamente impegnato, potrebbe comportare l’ufficializzazione di un rapporto sentimentale.
Periodo caratterizzato da un aumento della vitalità e della gioia di vivere. Non è da escludere che riusciate a incontrare il vostro vero amore. Se siete già in coppia, questo transito può essere indice di una situazione di successo per il vostro partner.
leone
acquario
Grazie alla duplice azione di Mercurio e Marte si prospetta un fine mese particolarmente felice e adatto ad aprire un negoziato, gestire una trattativa commerciale o un incontro di affari. Sarete facilmente compresi e rispettati da chi vi sta vicino.
Grazie agli aspetti positivi di Marte e Mercurio si prospetta un periodo felice per le comunicazioni e gli spostamenti in genere. Attraverso il linguaggio riuscirete ad affermare le vostre opinioni senza incontrare particolari resistenze.
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Settimana positiva per i nati nella seconda decade, interessati dal transito di Venere e Giove, con Saturno e Urano. Possibile svolta alla vostra vita sentimentale orientata verso una persona più creativa, in grado di cogliere tutte le sfumature del vostro animo.
Difficoltà nelle comunicazioni per i nati in febbraio a causa dei transiti disarmonici di Mercurio e Marte. Badate a quello che dite, perché da un disguido potrebbe sorgere una feroce discussione. Possibili contravvenzioni per violazioni al codice della strada.
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Fin dall’antichità, i pianeti sono stati associati ai miti la cui formazione va intesa come espressione metaforica e paradigma delle psicolgie e dei comportamenti umani. Ecco allora lo zodiaco trasformarsi in una sorta di lunga e complessa stringa simbolica le cui infinite intersezioni e accostamenti giungono a significare l’intero sviluppo dell’essere – dalla nascita alla morte – sia come soggetto singolo, sia come parte di un corpo collettivo e sociale. Alla base, nelle prime elaborazioni cosmogoniche, la contrapposizione fra i due elementi basilari, e cioè il cielo e la Terra, dualità primordiale in grado di narrare la contrapposizione fra il maschile e il femminile e che ritroviamo nella simbologia dei primi due segni dello zodiaco, l’Ariete e il Toro. Non a caso, in sanscrito si utilizza la medesima parola (ge) per indicare la terra e l’animale toro, soggetto di numerose mitologie, dal culto vedico di Mitra alla tradizione ellenistica del Minotauro. Il percorso di ispessimento, di sovraccario simbolico dello zodiaco, si snoda però lungo i millenni della storia umana, intrecciandosi non solo alle tradizioni mesopotamiche, egiziane ed ellenistiche, ma anche a elementi del cristianesimo (la figura della Vergine Maria si connette ai miti di Iside, Demetra e Artemide) in un continuo gioco di rimandi, richiami e affinità: dai miti della Madre Terra, legati alla fertilità e alla nutrizione, a quelli derivati dall’immagine del fuoco, momento iniziale di un processo creativo inarrestabile che trova nel Big Bang la sua dimostrazione fisica e scientifica e nei miti di Marte e del Sole la componente simbolica e mitologica.
“…nascendo sì da questa stella forte”
Scorpione
La nuova macchina per il caffè Delizio Compact Automatic con dispositivo d’arresto automatico è ora in vendita anche con la speciale tecnologia Energy Save System. Questo innovativo dispositivo elettronico consente un consumo energetico minimo: in modalità stand by l’energia consumata è di meno di 0,3 W e le dispersioni di calore risultano invece notevolmente ridotte. La macchina colpisce inoltre anche per la sua praticità e funzionalità. Disponibile nei colori Black (solo fino ad esaurimento dello stock), Rusty Red e Mirror Chrome.
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Il modo più elegante per risparmiare energia.
Âť illustrazione di Adriano Crivelli
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L’avevate visto?
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In quale numero di Ticinosette è apparsa l’immagine di cui forniamo qui il particolare? Al vincitore andrà in premio “Giacumbert Nau. Libro e appunti dalla sua vita vissuta” di Leo Tuor, Edizioni Casagrande, 2008.
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Soluzioni n. 45
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Il vincitore è: M.G., Pfäffikon.
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Indovina… dove siamo?
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Le soluzioni verranno pubblicate sul numero 49.
La soluzione a Epigoni è: La Metamorfosi di Franz Kafka (Einaudi).
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“Casa unifamiliare, Breganzona”.
29. Sciancato • 32. Jacques, regista francese • 34. Agnese a Madrid • 35. Nome d’uomo • 36. La fine della Turandot • 37. Profondo, intimo • 39. Nel centro di Berna • 40. Venire al mondo • 43. Comitato Esecutivo • 44. Ha 12 mesi • 45. È celebre per le sue Fughe • 47. Il Ticino sulle targhe • 48. Né mio, né tuo • 50. Olio inglese
• 52. È Ben a Londra • 53. C’è quel del vero. 1. Rinfresca i locali d’estate • 2. Colorante rosso vivo • 3. Epidermico • 4. Il mitico aviatore • 5. I confini di Gordevio • 6. Lo è la furia distruttrice • 7. Essere simili ad un altro • 8. Cieco da un occhio • 12. Malata per il poeta • 14.
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1. Arcigno, immusonito • 9. Ha la voce fioca • 10. Comitato Svizzero • 11. Ispida • 12. La dea greca dell’aurora • 13. Di sapore agro • 16. Vi corrono i cani • 17. Uno detto a Londra • 18. Chicco d’uva • 20. La sposa di Anfione • 23. Consonante in elogio • 24. La prima nota • 25. Giumenta • 28. Coincidenze •
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Nodo centrale • 15. Mezza Londra • 19. Acclamazione • 21. Belgio e Cuba • 22. Il mitico re di Egina • 26. Virginia • 27. Ventri prominenti • 30. Alni • 31. Fobia, malattia nervosa • 33. Avaro • 35. Epidemia • 38. Mezzo mese • 41. Società Nuoto • 42. Dittongo in beato • 46. Prep. semplice • 49. Pari in lungo • 51. Cons. in laurea.
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