Ticino7

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L’appuntamento del venerdì

48 numero

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Giuditta apologia di una spia

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Adolescenti. Un selvaggio profumo di Narcisi Mein Kampf. La lettura preventiva Disgrazia. La montagna incantata

Corriere del Ticino • laRegioneTicino • Giornale del Popolo • Tessiner Zeitung • CHF. 2.90 • con Teleradio dal 23 al 29 novembre


E per il bel lavoretto di Luca.

Per i lavoretti di Luca.


numero 48 21 novembre 2008

Agorà Adolescenti. Un selvaggio profumo di Narcisi

DI

NICOLETTA BARAZZONI

Arti Eduardo De Filippo. Un “novellino” alla Comédie Française

Impressum

Media Vampiri: istruzioni per l’uso

Tiratura controllata

Società Mein Kampf. La lettura preventiva

DI

ROBERTO ROVEDA

Chiusura redazionale

Salute Propoli. Una difesa contro l’inverno

DI

SABINA CAMPI

Editore

Luoghi Disgrazia. La montagna incantata

90’606 copie

Venerdì 14 novembre Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Vitae Gianni Clerici

DI

DI

DI

PAOLA TRIPOLI

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MARIELLA DAL FARRA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

STEFANIA BRICCOLA

DI

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ALESSANDRO TABACCHI

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Reportage Giuditta: apologia di una spia

DI

FABIO MARTINI

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Capo progetto, art director, photo editor

Tendenze Bambini. Cuochi con gioia

Redattore responsabile

Animalia Le formiche. Un racconto inedito

Coredattore

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Concetto editoriale

Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Adriano Heitmann Fabio Martini

Giancarlo Fornasier

DI

FEDERICA BAJ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . DI

4 8 10 12 14 16 18 43 50 52 56 59

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PIERO SCANZIANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

IMMAGINA Sagl, Stabio

Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Sandro Botticelli Il ritorno di Giuditta a Betulia Fotografia di Adriano Heitmann

Libero pensiero Gentili lettori, pubblichiamo lo scritto pervenutoci da un lettore a proposito dell’articolo “Le nozze possono attendere” pubblicato nella rubrica Agorà del numero 44 di Ticinosette. L’argomento trattato e le posizioni espresse dall’avvocato Daniele Joerg hanno suscitato reazioni e prese di posizione assai disparate da parte di numerosi padri e mariti. Sarebbe a questo punto auspicabile avere anche delle opinioni femminili in modo da arricchire il dibattito in corso. La redazione Egregia Redazione, ho letto con sentimenti misti i contributi pubblicati sul vostro elegante e interessante settimanale, per il quale vi formulo calorosi complimenti. Ho vissuto per anni la dolorosa e logorante esperienza di un matrimonio iniziato molto bene e finito molto male: più o meno come quello descritto nel contributo di un lettore sul numero 46 nella rubrica Libero pensiero (…) Mi permetto quindi di proporvi un mio modesto contributo che, con l’ausilio di qualche eufemismo, credo illustri bene l’esperienza che l’ha originato. Matrimonio, divorzio e affini ovvero Dall’Eden all’inferno e ritorno In origine l’uomo è come un pecorone che si lascia facilmente ammaliare da qualche bella pecorella, mite, gentile, morbida, meritevole di coccole, di attenzioni e di quant’altro. Tutto come già fu agli albori del Creato, nel beato giardino dell’Eden. È il giochetto perenne che Madre Natura ha esco-

gitato per assicurare la continuità della specie. Solitamente il pecorone ignora le penose esperienze altrui e non osa credere che tra le gentili pecorelle del gregge ce ne possano essere alcune che, col passare del tempo, con l’evoluzione della specie e con l’emancipazione sociale, sapranno trasformarsi in astute e feroci tigri dagli artigli micidiali. Fatalmente il pecorone se ne accorge quando è troppo tardi… e allora son dolori. Se poi dall’infelice unione scaturisce una prole, quest’ultima avrà in sé una buona dose del DNA tigresco dell’ex pecorella, la quale avrà oltretutto buon gioco nel modellare i cuccioli secondo i propri canoni poco etici e molto feroci; e allora la vita diventa una Via Crucis. Il povero pecorone dovrà allora constatare come in nessun altro ambito, eccetto le situazioni di separazione e divorzio, la Legge e la Giustizia smentiscano clamorosamente se stesse e il sacrosanto principio secondo il quale “la Legge è uguale per tutti”. Provare per credere, candidati pecoroni!... e che la vostra pecorella abbia a essere e rimanere tale dal primo all’ultimo giorno del vostro viaggio. Se così non fosse, cari pecoroni martoriati, siate comunque buoni, onesti e generosi, specialmente con gli incolpevoli tigrotti, confidando che dopo il tormentato percorso nell’inferno terrestre potrete, forse, ritornare in un gradevole Eden, nell’Aldilà (…a meno che a gestirlo non siano arrivati per primi il pretore e gli avvocati, che già vi hanno “fregato” nell’Aldiqua, poiché allora sareste veramente giunti fra le fiamme perpetue dell’inferno, forever!). R.Z. uno dei tanti (Tegna)


Un selvaggio profumo di Narcisi

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gni qualvolta parliamo di adolescenza dovremmo innanzitutto ricordarci della nostra. Perché capire questo passaggio evolutivo, che è tra i più fecondi della vita, richiede uno sforzo congiunto con il nostro sé, la nostra famiglia d’origine, la condizione filiale e il mondo. Gli adulti spesso si distanziano dai giovani, pur sapendo che la ribellione o la resistenza passiva fanno parte del conflitto generazionale, in cui rapporti di forza si misurano all’interno della cultura d’appartenenza. Prendiamo spunto dall’impegno educativo e dal buon senso di Gustavo Pietropolli Charmet – che dirige l’istituto d’analisi dei codici affettivi Minotauro di Milano – il quale ha di recente pubblicato Fragile e spavaldo, ri-

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Agorà

tratto dell’adolescente di oggi (2008). Il suo sguardo di psichiatra, con formazione psicoanalitica, non cede all’indulgenza ma valorizza la creatività e l’espressione artistica dell’adolescente. Dott. Pietropolli Charmet l’adolescenza non è un’invenzione culturale. La cultura può tuttavia presidiare questo momento di crescita evolutiva? La mente dell’adolescente è strettamente in contatto con l’ecosistema in cui cresce, e dunque assorbe molto le influenze dell’ambiente circostante, sia quelle familiari che extra familiari. Durante l’adolescenza le influenze maggiori provengono dai modelli del gruppo, dall’universo pubblicitario, dalla sottocultura dei mass me-


Di fronte al presunto aumento della violenza negli adolescenti, appare indispensabile indebolire le ostilità generazionali. Solo la curiosità e la manifestazione d’interesse da parte degli adulti possono permettere di creare un’alternativa al gruppo. Unica entità capace di gratificarli e realizzare le loro speranze

dia e poi, negli ultimi anni, da tutto ciò che in termini di accesso all’informazione giunge dalla rete. Quindi le influenze dall’esterno verso l’interno sono molto forti, come è molto marcato ed evidente il tentativo di rendersi visibile, di modellare e di trasformare il mondo. Farsi vedere, farsi notare e diventare famoso nel quartiere, nel gruppo o nella scuola è la risposta a un substrato sociale che lo mette nella condizione di esibirsi e di sentirsi narciso. Narciso è narciso perché il contesto lo consente e lo alimenta. Da un certo punto di vista il livello del conflitto tra gli adolescenti e gli adulti si è molto abbassato, nel senso che nella famiglia si registrano maggiori contrattualità e capacità di negoziazione e l’adolescente contesta meno il padre e appare meno “sovversivo”. L’opposizione, che un tempo si esprimeva nel controllo della sessualità, si è spostata al controllo della socialità. La famiglia ha motivi abbastanza fondati per ritenere che il gruppo rappresenti una superpotenza nei confronti della mente individuale e che possa essere rischioso abbandonare i figli a un’eccessiva dipendenza del gruppo. Ai nuovi adolescenti non interessa più sovvertire l’ordine del potere, in quanto il loro rapporto con l’autorità è cambiato. Il potere non lo devono raggiungere perché lo hanno già. Sono cresciuti con la legge del consenso, che ha privilegiato l’autostima piuttosto che la sottomissione al ricatto, al castigo o alla minaccia. Il “cucciolo d’oro” da assecondare e cullare si pone in antitesi all’educazione coercitiva e repressiva. Per poter uscire dal suo giardino protetto, in cui coltiva il suo Narciso interiore, deve poter spostare le sue preoccupazioni verso altri destini e altre terre di conquista.

Si avverte tuttavia, in questo processo di democratizzazione e di libertà educativa, oltre a una contraddizione anche una denigrazione nei confronti degli adolescenti… A mio avviso questo dipende dal fatto che le novità con le quali i ragazzi interpretano la loro adolescenza non sono facilmente comprensibili dai docenti, dai genitori e dagli adulti in generale. Sono novità importanti legate ai cambiamenti sociali, e quindi credo che la situazione educativa potrebbe migliorare se ci fosse un maggior interesse verso la curiosità piuttosto che crescenti sospetto e diffidenza. Gli adulti dovrebbero decidersi ad accogliere l’irriverenza dei giovani come se fosse una richiesta di aiuto, smettendola di pretendere di sapere tutto, senza nemmeno chiedere e ascoltare, ampliando e integrando piuttosto l’area delle esperienze reciproche.

Agorà Agor Ag orà or à

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Se questa reciprocità non avviene i giovani si esprimono nell’isolamento. Oppure si affidano al mito e al culto della violenza simbolica, fisica e verbale, chiudendosi nell’ermetismo di codici incomprensibili. In risposta a queste difficoltà comunicative, vengono creati centri psicopedagogici per la gestione e la pace dei conflitti; si organizzano nuove forme di comunicazione con i cosiddetti colloqui maieutici: strumenti nuovi nell’ambito delle relazioni di aiuto che intercettano le capacità di leggere il conflitto o il problema, cogliendone il significato sia interpersonale sia relazionale, con l’intento di facilitare la ricerca di esiti adeguati alle risorse personali. Perché nei suoi studi lei si focalizza sulla creatività del Narciso? Mi sembra che una delle caratteristiche importanti di questa generazione sia l’impegno che si investe per comunicare ed esprimersi: suonare uno

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Il mondo degli adulti impedisce all’adolescente di ricorrere alle sue forme creative? Se si pensa che ci sono scuole che non sono molto interessate a favorire l’originalità è possibile rispondere affermativamente. Da questo punto di vista viene mantenuto un atteggiamento istituzionale piuttosto autoritario, cercando di mettere dentro piuttosto che tirar fuori, più che scoprire la vocazione e l’attitudine artistica. Si tende a inculcare valori, informazioni, regole, apprendimento, competenze e capacità. Non sussiste tanto l’interesse a investire e a valorizzare le potenzialità estetiche ed espressive. Penso per esempio alla musica o al teatro, che rimangono fuori dalle attività scolastiche curriculari, almeno in Italia. È la famiglia che si incarica di affinare queste espressività artistiche mentre la scuola tende a non considerarne gli aspetti socializzanti e liberatori. Le reazioni trasgressive degli adolescenti denotano, pur nella loro distruttività, gli aspetti sani dell’adolescenza. A volte, però, si ha l’impressione che i giovani si siano adagiati nell’acquiescenza, perché non hanno più conquiste sociali da raggiungere. È anche vero che l’immagine dell’adolescente viene proiettata con ridondanze negative dai canali mas-

smediatici, che sono gli stessi che si servono della notizia del bullismo per rispondere alle logiche dell’audience, che di riflesso amplifica l’idea di violenza. All’adolescente si rimprovera di essere uno sfaticato e un privilegiato che può rivelarsi pericoloso nel gruppo. Ma chi è il nuovo adolescente? È per molti aspetti un animale simbolico. Gli adolescenti di oggi, però, non vogliono più uccidere simbolicamente il padre e la sua legge. Da qui si evince che il complesso d’Edipo, dopo il nuovo rapporto padre-figlio, ha lasciato il posto all’immagine del Narciso. È un soggetto che emerge da un’infanzia in cui gli si è fatto credere di essere molto prezioso, unico, importante, dotato di caratteristiche peculiari. Questo fa sì che il problema dell’adolescente attuale sia quello di aspettarsi molto in termini di successo, risultati e visibilità e, conseguentemente, di sentirsi inadeguato nel realizzare questi obiettivi. Il giovane di oggi ha vergogna perché non riesce a raggiungere quello che gli si domanda rispetto a quello che effettivamente riesce a “essere” e a “fare”. Il sentimento della vergogna, unito alla noia, è molto più diffuso e doloroso di quanto lo sia stato in passato: questa mi sembra una caratteristica importante da considerare. Credo sia giusto chiamarli narcisi piuttosto che pensare che abbiano una problematica edipica e di conflitto con il padre, o che siano l’espressione di problemi sessuali. La sessualità è una preoccupazione ma non c’è più il senso di colpa. Sulle potenzialità dell’adolescente, che contrastano con la convinzione che siano dei superficiali o degli asociali, si stanno aprendo nuove dinamiche. Si cerca di indebolire le ostilità poiché demonizzarli o criminalizzarli parlando solo delle loro gesta violente non porta a molte soluzioni costruttive.

» di Nicoletta Barazzoni; illustrazione di Simona Meisser

Agorà

strumento musicale, scrivere sui muri, manipolare il corpo infilandosi piercing e tatuaggi, evidenzia una tendenza creativa ed espressiva che, a un certo punto finisce, come se questa fase fosse strettamente legata all’adolescenza. Il piercing o la colorazione dei capelli lo completano, portando sulla superficie del corpo un frammento della sua identità interiore. È dunque importante esprimersi creativamente in quanto è indispensabile potersi costruire un sé futuribile e immaginarsi quale sia la propria virilità, verificando il proprio talento e la propria identità. È vero che i ragazzi distruggono molto ma lo fanno perché devono poter sciogliere i loro legami e le loro dipendenze. Per poter costruire un nuovo mondo devono anche poter compiere importanti distruzioni del vecchio mondo infantile per sostituirlo con un nuovo soggetto. Questa distruzione/costruzione può essere molto creativa. I travestimenti, i look, le trasformazioni, le metamorfosi e le maschere, l’appartenenza a una moda sono sforzi immaginativi per costruire la novità. Mi sembra che sia più da sottolineare questo intento, poiché è positivo ed educativamente molto importante. In generale gli adulti pensano, soprattutto chi teme il nuovo, che i ragazzi non vogliono crescere. Ho tanti elementi invece per poter dire che vogliono diventare grandi, conservando la loro adolescenza e dunque la loro creatività nella vita di gruppo.

Durante gli studi messi a punto dall’istituto che lei dirige, avete individuato vie percorribili in grado di condurre a un terreno comune? I ragazzi sono alla ricerca di adulti competenti. Il problema è che su un gruppo di docenti in una scuola, loro ne definiscono competenti solo una piccola parte e dunque è difficile capire che tipo di adulto stiano cercando. Non pensano tuttavia che l’adulto sia un avversario da battere o da combattere. È una risorsa potenziale: se l’adulto dimostra di avere curiosità, interesse ed è in grado di identificarsi, naturalmente conservando il proprio ruolo e la propria autorevolezza, sono molto propositivi; altrimenti lasciano perdere pensando che il gruppo sia sufficiente per la realizzazione del loro futuro e delle loro gratificazioni.


Per spuntini, delizie e stuzzichini.


Internet

http://w3.uniroma1.it/cta/eduardo Un sito per coloro che desiderano conoscere la vita e l’opera completa di Eduardo. Interviste, documentazioni e una panoramica esaustiva del lavoro dell’attore e drammaturgo napoletano.

Marturano, di Natale in casa Cupiello, prese allora congedo dai fratelli d’oltralpe e lo fece senza mezzi termini: “la Francia non è ancora matura per accogliere le mie commedie”, qualcuno racconta di avergli sentito dire. Ci ritornò solo vent’anni dopo su insistenza di alcuni direttori. Ora la rivincita. Eduardo entra nell’Olimpo del teatro parigino per eccellenza, anche se lo fa con il testo meno eduardiano del suo repertorio. Arriva come un “novellino” ma entra a porte spalancate nella sontuosa Salle Richelieu. Il prossimo anno, a firma dell’inglese Dan Jammet per la traduzione di Huguette Hatem, La Grande Magia arriverà a Parigi il 28 marzo e lì resterà in cartellone fino al 2 luglio. Una storia di corna, gelosia e magia da avanspettacolo, una storia per alcuni versi molto pirandelliana, scelta forse non casuale visto l’amor francese per lo scrittore siciliano. Insomma, col nuovo corso la classicissima Comédie rischia ma non troppo, almeno con Eduardo. Ma contro i numeri nulla si può e quelli registrati dal sacrario della classicità francese, aperto a nuova vita, fanno paura: 280 mila spettatori nei primi mesi dell’anno, abboOsteggiato dai francesi negli anni Sessanta, nati a quota seimila. il teatro di Eduardo rientra a pieno titolo nella Insomma, cerchiamo di vederla in positiprogrammazione della Comédie Française vo e, lusinghe a parte, soprattutto pensando a quanproviamo almeno una volta a pensare ai to gli stava a cuore il rivolgersi nostri cugini francesi non come al resto a un pubblico sempre più del mondo. Altrimenti il sogno finisce e ci vasto, motivo che lo aveva resta solo l’amaro, quello che vuole il teatro portato spesso a italianizzare italiano capace di successo solo se condito il suo napoletano. L’autore di d’ingredienti comici, esotici e a suon di Napoli milionaria, di Filumena mandolini.

» di Paola Tripoli; illustrazione di Micha Dalcol

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mista. E ancora l’anno scorso il messinese Spiro Scimone e con lui la drammaturgia italiana contemporanea. Da quel giorno, il 17 marzo 2007, si è chiaramente capito che alla Comédie qualcosa stava cambiando. Oggi Eduardo sarebbe contento. Soprattutto pensando a quello che la Francia gli aveva fatto passare. Tutto rose e fiori negli anni Cinquanta ma già nel decennio successivo i francesi ci ripensano. Il critico de “Le Figaro”, che faceva la fortuna o sfortuna delle sale private, stroncò uno dei capolavori di Eduardo, Le voci di dentro, tradotto per l’occasione nel francese Zì Nico e con una regia molto lontana dal linguaggio eduardiano che scelse di parlare con gli stilemi folkloristici esterofili. E sarebbe contento

Un “novellino” alla Comédie Française

Arti

e pummarola. E così che l’Italia sbarca all’estero. Ma le volte che riesce a sfuggire alla sua sorte “pittoresca” lo fa in grande stile e assesta colpi che fanno tremare anche la Tour Eiffel. Come in questo caso: il tempio del teatro parigino, quello con quattro secoli di storia, tremila opere in repertorio, tre teatri, ha deciso di guardare al Belpaese. La Comédie Française, forte del coraggio della nuova direzione artistica targata al femminile, apre le porte al grande teatro napoletano e volgendo lo sguardo verso i talenti italici, salta il fosso a piè pari. Tutto questo grazie all’audacia di Madame Muriel Mayette che, forse stufa di avere l’impressione di dirigere un museo piuttosto che un teatro, ha aperto le porte della Maison Molière a Eduardo. E non è cosa da poco se, pensate, che prima di lui c’erano riusciti davvero in pochi: Goldoni, Pirandello e D’Annunzio. E fin qui ci siamo. Poi un grande salto con Dario Fo – e per verità di cronaca ci arriva prima del Nobel – e persino Pasolini, l’anno scorso, con Orgia, un testo certamente non confor-

Eduardo De Filippo Gli esami non finiscono mai Tutta l’opera teatrale di Eduardo De Filippo è pubblicata da Einaudi. Le poesie sono uscite nella collana “ET Poesia”. Locandine, bozzetti, foto di scena sono conservati nell’Archivio del Teatro San Ferdinando di Napoli.

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Pizza e tamburelli. Spaghetti

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Vampiri: istruzioni per l’uso

Libri

Paul Watzlawick et al. Pragmatica della comunicazione umana Astrolabio, 1974 Sulla dicotomia “analogico/ digitale” segnaliamo il testo di Paul Watzlawick (1921– 2007), psicologo austriaco, primo esponente della Scuola di Palo Alto (USA).

» di Mariella Dal Farra

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quasi sempre belli, eleganti e intelligenti, nonché dotati di un carisma erotico ben esemplificato dall’inveterata abitudine di mordicchiare le proprie vittime sul collo. Da questa caratteristica discende direttamente la seconda, relativa al fatto che i vampiri possono entrare nelle case solo se espressamente invitati da chi vi abita, poiché solo a questa condizione sono in grado di nuocere. Max Schreck è Nosferatu nel capolavoro muto di F. W. Murnau (1922) Per ottenere l’invito, il vampiro può ricorrere alla suggestione, celare la propria identità o Secondo le neuroscienze, la in modo più immediato e inescogitare sotterfugi ma, alla fine, è sempre nostra mente funziona prin- tuitivo, ma anche in quanto l’umano – cioè, noi – a decidere se farlo cipalmente in due modi, tra gode di un accesso privileentrare o meno. Non a caso, nella pellicola loro complementari e in una giato alla dimensione emoThe Addiction (1995), inconsueto film vamqualche misura corrisponden- tiva, evocando sensazioni e piresco del regista “maledetto” Abel Ferrara, ti ai due emisferi cerebrali: sentimenti che la modalità la protagonista, morsa (e quindi contagiata) uno “logico”, “digitale”; l’al- “digitale” raggiunge solo in da una non-morta, viene da lei definita, con tro “analogico” o “olistico”. seconda battuta. disprezzo, una “collaborazionista”. La modalità digitale processa Ora, la sterminata produzione In terzo luogo, i vampiri non si riflettono le informazioni in maniera letteraria e cinematografica a negli specchi e, anche se tale caratteristica sequenziale, sulla base di un tema vampiresco – con partiviene alternativamente ricondotta alla neMedia rapporto arbitrario e conven- colare riferimento alla cosidcessità di evitare la luce del sole, piuttosto zionalmente stabilito tra il detta filmografia di “serie B” che all’inconveniente di essere sprovvisti dato di origine e la sua rap- – risulta spesso, presso i palati dell’anima, il fatto sembra più che altro presentazione. Per esempio, più fini, dozzinale, ingenua alludere a quella che sant’Agostino definiva il fatto che la parola “gatto” e kitsch. Tuttavia, possiede a la non-sostanzialità del male, ovvero il suo designi un certo animale – e mio parere il pregio di chiaessere privo di uno statuto ontologico, conquello soltanto – è frutto di rire, “in modalità analogica”, figurandosi unicamente in termini negativi un accordo condiviso all’in- alcuni punti assolutamente come mancanza del bene. E cioè, in ultima terno della mia comunità lin- fondamentali circa la natura analisi, di Dio. guistica di appartenenza. del male e la strategia più corUna buona profilassi contro la vampirizAl contrario, se per indicare retta per fronteggiarlo, il che zazione consiste allora nel perseguire in un gatto io disegno la figura potrebbe contribuire a spiemaniera consapevole ciò che è bene per noi, dell’animale, anche in forma gare la longevità del mito del riconoscendo le nostre reali esigenze (di qui, stilizzata, sto usando una mo- vampiro. Ciò vale soprattutto lo specchio) senza timore di esprimerle. dalità di comunicazione ana- se per “male” intendiamo Se, tuttavia, la prevenzione non funziona, logica, nel senso che nel mio la tendenza a colludere con e la vittima si rende conto, generalmente disegno c’è qualcosa di speci- determinati tipi di dinamiche, troppo tardi, che i deliziosi succhiotti del ficamente simile all’oggetto come per esempio nel distursuo vampiro sono in realtà dei salassoni; che intendo rappresentare (in se, nonostante tutte le questo caso, la sua forma). Il tema vampiresco: un buon punto di par- cautele del caso, la perLe metafore (“combattere tenza per la ricerca della natura del male sona realizza improvvicome un leone”), le similisamente che il proprio e le strategie più corrette per fronteggiarlo. affascinante ospite è di tudini (una battuta “tagliente”) e i simboli (il labirinto Paletti di frassino esclusi, naturalmente… fatto un grosso parasdi Dedalo) sono tutte figure sita di cui è diventato “analogiche”, e costituiscono bo da dipendenza rispetto a difficile liberarsi, allora l’unica cura efficace il linguaggio con il quale, da cose e/o persone. Entriamo è una sana e pragmatica dose di buon senso. che mondo è mondo, vengo- nel merito. Il solido e nodoso paletto di frassino che, no costruiti i racconti, le fiabe, In primo luogo, i film di queconficcato nel cuore del vampiro – e quindi, i miti e le leggende. E questo sto genere spiegano subito nel suo potere di seduzione – ne annienta non solo perché la modalità che il male è sexy: i vampiri per sempre l’illusione, simbolizza, ancora “olistica” veicola i significati – e le vampire – infatti, sono una volta efficacemente, questa prassi.


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La lettura preventiva

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Società

della purezza della razza che sta alla base dei programmi futuri di eugenetica: “Lo Stato deve affermare che è incapace di procreare chi soffre di malattia evidente o chi porta tare ereditarie e che quei mali può tramandare ai suoi discendenti e causare in realtà questa incapacità. Chi è malato o indegno di corpo e di spirito non è giusto che riproduca i suoi patimenti nel corpo di un bambino”. Continuando trovo, a chiare lettere tutta la politica espansionistica del Terzo Reich, visto che “riacquistare i frammenti di un popolo è innanzitutto un riscattare la potenza politica e l’indipendenza della patria. I territori oppressi ritorneranno a far parte del Reich per mezzo di una spada pronta a colpire”. C’è già tutto il Drag nach Osten – la marcia verso Est – perché “noi nazional-socialisti volgiamo lo sguardo alla terra situata all’est. Quando oggi parliamo di nuovo territorio in Europa dobbiamo pensare in primo luogo alla Russia o agli stati marginali a essa soggetti”. E spicca in particolare l’odio irriducibile per la Francia che “è e resta il maggior nemico” assieme ai borghesi, ai Giovani tedeschi “ipnotizzati” dal Führer (anni Trenta; immagine tratta da comunisti e al popolo ebraico perché “il La storia d’Italia. Volume 20, Utet, 2004) primo dovere non è quello di formare una Troviamo nelle scarne paro- strada alla dittatura nazista. costituzione nazionale dello Stato ma di le di Giorgio Galli – uno dei Eppure il testo – tra ampoleliminare gli ebrei”. maggiori politologi italiani losità, storture linguistiche, Terminata la lettura, le parole hitleriane – la vera essenza del Mein sintassi avventurose, noiose non possono che rincorrersi nei pensieri, Kampf (La mia battaglia) di elucubrazioni e lungaggini assieme a tanti perché… Perché non fu Adolf Hitler: è “la metico- – è quasi disarmante nella fermato, perché lo seguirono? Perché? losa teorizzazione della mi- sua esposizione dei futuri Domande per il passato, ma a noi intenacciosa ideologia nazista destini della Germania. Mi ressa il presente. Mi ritrovo, perciò, con e l’annuncio dei propositi ritrovo a sfogliare e a leggela certezza che il Mein kampf debba essere hitleriani”. All’epoca della re che “nel caso si spegnesse letto, e non ripudiato come qualcosa sua uscita, negli anni Venti di estraneo al nostro del secolo scorso, fu liqui- Germania anni Venti: Adolf Hitler pone le mondo, appartenente dato, invece, come propa- basi del nazionalsocialismo e preannuncia a un passato infernale ganda o frutto di una mente che speriamo definiapertamente l’imminente barbarie nazista. tivamente scomparso esaltata, deriso e letto poco. Sicuramente le sue pagine, Fa la sua comparsa il più “nero” dei libri mai nelle nebbie del temintrise di odio, “putretudi- dati alle stampe: Mein Kampf po. Le parole hitleriane”, razzismo e delirio non ne attecchirono nelle danneggiarono Hitler nella l’Ariano portatore di civiltà coscienze di uno dei popoli più colti della sua ascesa né impedirono non sopravvivrebbe nessuna modernissima Europa e rimangono come che ben tredici milioni e civiltà rispondente all’altezmonito di quanto risibile sia il confine tra settecentomila tedeschi vo- za spirituale degli odierni civiltà e barbarie, tra Eden e Inferno, tra tassero per il Partito nazio- popoli superiori” ed ecco raffinatezza e primordialità. nalsocialista alle elezioni il delirio della supremazia E sono tutti confini fragili, anche oggi, del 1932, aprendo così la razziale ariana unito al mito alla luce della rinascita in molti paesi


“Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito”. … Sì, inghiottito per sempre.

La storia Il Mein Kampf nasce dall’unione di due libri hitleriani. Il primo, una sorta di resoconto autobiografico e agiografico fu pubblicato nel 1924. Il secondo, Il movimento nazionalsocialista nel 1926. I due vennero poi riuniti in un unico tomo di cui furono vendute 287.000 copie prima dall’ascesa al potere di Hitler (1933). Nei 12 anni di regime nazista le copie vendute furono oltre 10 milioni nella sola Germania e Hitler divenne ricchissimo grazie ai diritti d’autore. Dopo la sconfitta nazista, milioni di esemplari del Mein Kampf furono mandati al macero e i diritti d’autore di tutte le edizioni – salvo quello inglese e olandese – passarono allo stato della Baviera che li deterrà sino al 31 dicembre 2015 (70 anni dopo morte dell’autore). Il governo bavarese ha sempre vietato la riproduzione e la stampa del libro in Germania: per questo non esiste un’edizione critica del Mein Kampf in lingua tedesca. Ne esistono, però, molte versioni in tedesco su internet, opera di neonazisti statunitensi.

Libri

Giorgio Galli (a cura) Il “Mein Kampf” di Adolf Hitler Kaos Edizioni, 2006 L’edizione integrale del Mein Kampf curata da uno dei più importanti studiosi italiani di storia della politica. Un buon approccio, senza tabù, ipocrisie e censure. William L. Shirer Storia del Terzo Reich Einaudi Tasc., 2007 Una ricostruzione della storia e della natura dell’incubo nazista, attingendo dagli archivi del governo: diari privati, colloqui, carteggi, registrazioni telefoniche, deposizioni e testimonianze emerse durante il Processo di Norimberga.

» di Roberto Roveda

europei di tendenze xenofobe e razziste, di desideri antidemocratici quando non autoritari, del culto dell’Unico capace di risolvere ogni problema. Il nostro desiderio è quello di rendere veramente lontane nel tempo e definitive le parole della Primavera hitleriana, poesia scritta da Eugenio Montale durante la visita del Führer a Firenze nel 1938 che sanciva l’infausta alleanza politica e militare dell’Italia fascista con il regime nazista:

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Bruno Brigo La propoli Tecniche Nuove, 2005 Sottotitolato “La salute dei prodotti dell’alveare”, il libro del noto medico e naturopata veronese, rappresenta una guida dettagliata al corretto uso di questo prodotto naturale. Anastasia Zanoncelli L’alveare. I prodotti Zelig editore, 2005 L’alveare come fabbrica del benessere: questo il senso del volume che presenta, oltre alla propoli, le caratteristiche medicamentose degli altri prodotti delle operosissime api.

A. Zanoncelli (a cura) Terapia con pappa reale, polline e veleno Zelig, 2005 Miele di acacia, castagno, biancospino, tarassaco... la pappa reale per dare energia, il polline per l’equilibrio, il veleno per guarire. Un volume sulle virtù terapeutiche del miele.

talvolta possono risultare troppo blandi per un’azione immediata ed efficace. La posologia ideale varia sia in base all’affezione che si desidera curare sia all’età del paziente; è quindi ragionevole rivolgersi a un medico o a un naturopata, prima di assumere la propoli, anche perché in alcuni casi può provocare reazioni allergiche indesiderate, soprattutto a livello cutaneo. La propoli svolge un’azione importante anche in caso di infiammazioni alle gengive ed è efficace su afte ed herpes labiali. In questo caso è consigliato però l’estratto glicolico di propoli, che viene impiegato per uso esterno. In conclusione, è bene tuttavia ricordare che in Svizzera “per la vendita di propoli e di prodotti a base di propoli occorre osservare le prescrizioni legali. La propoli non Già conosciuta ai tempi degli egizi, dei greci è riconosciuta come e dei romani, la propoli è uno dei prodotti alimento” e come indica il sito della Connaturali più apprezzati e impiegati per la federazione (www.alp. cura del corpo e della salute, soprattutto admin.ch) “ciò signinei mesi più freddi dell’anno fica ad esempio, che la vendita di miscein casi di bronchite, perdile di miele e di propoli non sono autota o alterazione della voce, rizzate. Chi vuole vendere propoli come infiammazione della gola, medicamento deve informarsi sulle conotiti, raffreddore e influendizioni di omologazione presso l’Ufficio za. Anche lo spray nasale, intercantonale di controllo dei medicagli sciroppi per la tosse e le menti, presso l’unità principale, agenti caramelle sono efficaci, ma dell’Ufficio federale della sanità pubblica”.

» di Sabina Campi; illustrazione di Mimmo Mendicino

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La propoli è un medicamento naturale, dalle caratteristiche antinfiammatorie, antibatteriche, antimicotiche, antivirali, ma anche cicatrizzanti, anestetiche e antiossidanti. Nonostante le innumerevoli virtù terapeutiche, oggi viene impiegata soprattutto come stimolatore del sistema immunitario e, nel caso che più ci interessa, per la prevenzione e la cura dei malanni tipici della stagione invernale, come il raffreddore, l’influenza e le affezioni alle vie respiratorie. L’azione protettiva indotta sul sistema immunitario è da attribuire ai flavonoidi, presenti nei vegetali. La propoli è disponibile in commercio sotto varie forme, le più comuni sono la propoli idrosolubile in polvere – priva di alcool e – l’estratto idroalcolico che invece lo contiene. Entrambe le forme sono consigliate

Una difesa contro l’inverno

Salute

do entrano in contatto con il mondo vegetale elaborano delle sostanze che si dimostrano preziose per la nostra salute. È il caso della propoli, che scaturisce dall’incontro tra le api e le gemme, le cortecce, le foglie e i rami di alberi, come il pioppo e la betulla. Questa sostanza appiccicaticcia, dall’aroma mielato, con colorazioni che vanno dal giallo al marrone fino al nero, è di fondamentale importanza per la vita dell’alveare e la sua preparazione richiede un minuzioso lavoro da parte dei laboriosi insetti alati tra la primavera e l’autunno. Le api, dopo aver completato la fase della raccolta e del trasporto della propoli nella loro dimora, la lavorano attraverso le loro secrezioni salivali, aggiungendo della cera e rendendola così un efficace scudo protettivo per il loro habitat. Una resina, dunque, di cui l’alveare e i suoi inquilini non possono fare a meno: usata come pellicola interna di rivestimento, oltre a mantenere l’ambiente dell’alveare a temperatura costante, viene utilizzata per ostruire eventuali pori e per avvolgere e mummificare carcasse di ospiti indesiderati, evitandone così la loro putrefazione e quindi la inevitabile dispersione di pericolosi batteri.

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Molte specie animali quan-

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la vista. Presso il paese di Chiareggio la strada termina, si parcheggia l’auto e si prosegue a piedi, verso le baite di Forbesina. Sembra di essere nel panorama alpino ideale: una larga vallata, abeti, acque di ruscelli e aguzze montagne innevate sullo sfondo di un grande ghiacciaio. In mezzo alla quiete alpestre proseguiamo per una mezz’oretta verso la testa della valle, quand’ecco una visione di incomparabile grandezza ci appare, inizialmente di scorcio, poi, man mano che si prosegue nel sentiero e ci si inerpica verso l’alto, sempre più completa e grandiosa: una montagna immensa, la cui cresta sottile si staglia come una lama seghettata contro l’azzurro del cielo, simile a una cattedrale della natura, elevatasi centinaia di metri più in alto rispetto a tutto ciò che la circonda, distesa attorno a quello scudo di ghiaccio e serpentino che emerge baldanzoso dal bianco delle nevi perenni. Un enor-

Internet

www.valtellina.it - www.valmalenco.it Per informazioni dettagliate di carattere storicoturistico, con un occhio di riguardo alle escursioni. Il primo sito, in particolare, è ricchissimo anche dal punto di vista fotografico.

ertissime, in cui il ghiaccio contende alla roccia il primato della materia. Siamo al cospetto della parete nord del Monte Disgrazia, un vero inno alla bellezza del creato. Una visione che chi ha avuto la fortuna di godere non dimenticherà mai più. Ma perché mai chiamare Disgrazia un monte tanto bello? Questo appellativo sventurato non è poi così antico. Nell’Ottocento, per i valligiani e anche per l’imperial-regio catasto austriaco, in effetti questo era il Pizzo Bello. Come dire, nomen omen. Però poi, forse perché i pascoli irrorati dai torrentelli di fusione del ghiaccio a primavera venivano chiamati desdagia o desglagia da non si sa qual pastore insolitamente colto, il nome Disgrazia prevalse. E la filologia, o presunta tale, ebbe la meglio sul buon senso. Anche fosche leggende che si tramandano attorno al Disgrazia devono aver contribuito a identificare nell’immaginario collettivo questo monte con qualcosa di repulsivo: una di queste narra di due pastori che su quelle rocce persero una compagna segretamente amata, generando poi, con le lacrime versate nel dolore del ricordo, Alpi, il Monte le acque dei numerosi nome, si offre laghetti che circondano il massiccio. Eppure incomparabile di fronte alla bellezza del Disgrazia, l’ultima cosa cui pensare è la morte: piuttosto attorno a esso vibra l’infinita melodia dell’armonia misteriosa che permea il creato. A chi lo osserva, anche da lontano, la bellezza magica che promana dal monte sarà sufficiente a far dimenticare quel brutto nome ingeneroso.

Vero e proprio gigante delle Disgrazia, a dispetto del suo ai nostri occhi come luogo di e maestosa bellezza me ghiacciaio pensile domina la nostra attenzione: alto duecento metri, miracolosamente aderente alla roccia, sembra indicare la via della salita in un anfiteatro di abissali pareti

» di Alessandro Tabacchi

Luoghi

viaggiatore che giunga per la prima volta a Sondrio attraverso la statale dello Stelvio, l’imbocco della Valmalenco potrebbe apparire poco interessante: un’ombrosa e incombente strettoia fra i monti, addolcita appena dalle ridenti terrazze dei vigneti che hanno reso celebri nel mondo vini come il Sassella e l’Inferno. Eppure per coloro che abbiano la curiosità di imboccarla, questa valle appartata riserverà sorprese e meraviglie. Dopo alcuni chilometri nei boschi – passati i paesi di Torre Santa Maria e Chiesa in Valmalenco – si vedrà la valle compiere una brusca curva verso ovest, quasi a seguire le forme di montagne immense che, più che vedersi, si percepiscono. Questo è parte della magia della Valmalenco: sentire la presenza delle montagne più alte delle Alpi Retiche, eppure non vederle. Basta dare uno sguardo dal finestrino: sappiamo che al di là delle incombenti pareti alla nostra destra giganteggia il gruppo del Bernina, coi suoi ghiacciai e la sua romantica grandezza. Eppure non lo vediamo. Solo la piramide regolare del Pizzo Scalino si mostra, ma il resto è precluso al nostro sguardo. Ma in qualche modo sappiamo che i giganti sono laggiù, appena al di là di quelle severe bastionate di boschi e roccia che sbarrano

E.S. Kennedy et al. Il picco glorioso Tararà, 2007 Prezioso volumetto che raccoglie le relazioni originali di tutte le ascensioni storiche al Monte Disgrazia effettuate dal 1860 al 1940, corredato da affascinanti foto d’epoca. Un vero viaggio agli albori della letteratura alpinistica.

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Al

La montagna incantata

Il Monte Disgrazia fotografato dalla Val di Mello (da picasaweb.google.com)

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» testimonianza raccolta da Stefania Briccola; fotografia di Adriano Heitmann

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ma non ci sono riusciti. Dovevo andare a Mosca per fare il corrispondente, e ho rifiutato. Anche perché poi da lì ti mandano a Washington e quando torni indietro diventi vicedirettore del giornale. È vero che ho fatto l’inviato a Londra per “Il Giorno”, ma era un periodo in cui desideravo vivere oltremanica e avevo preso casa a Notting Hill. Italo Calvino ha detto che sono uno scrittore prestato allo sport. Diciamo che nei miei libri racconto cose che mi sono accadute. A partire da I gesti bianchi in cui descrivo il bel mondo e lo sport che non c’è più tra Wimbledon, Alassio e la Costa Azzurra. Le mie storie hanno una parEx promessa del tennis, divenuto poi il ticolarità tra gli scrittori di più noto giornalista del settore in Italia, lingua italiana: si svolgono quasi sempre fuori dall’Itae non solo, Gianni Clerici ha trovato nella lia. Le mie commedie sono letteratura la sua autentica vocazione praticamente invisibili perché sono le meno rappresentate tori sono molto civili e non tra gli autori contemporanei. Quella su accettano un punto che non Suzanne Lenglen doveva andare in scena a sia giudicato correttamente. Montecarlo e poi è saltata, così come quelDicono che io abbia inla tratta da Mussolini, l’ultima notte l’anno ventato un nuovo modo di scorso in programma al Parenti di Milano. commentare il tennis. Sui Mia figlia Carlotta, drammaturga e regista, giornali ho sempre tentato mi ha promesso che post mortem le farà di fare dei raccontini e non rappresentare a Parigi. Questa sì che è una la cronaca che con la televibella soddisfazione. Nei riguardi dei propri sione è diventata obsoleta. Le libri ci si sente come un padre nei riguardi telecronache mie e di Rino dei figli, e li si ama tutti quanti. Ho alcuni Tommasi su Sky Sport sono inediti nel cassetto, tra cui una biografia. state evidenziate dal “Time” Pubblico solo ciò che mi pare lo meriti. Zoo anche perché i colleghi ameè una raccolta di racconti che mi ha dato ricani erano increduli che grande soddisfazione oltre a conquistare il noi osassimo dire cose per Premio Grinzane Cavour. Il traguardo delle le quali negli Stati Uniti sadodicimila copie era ritenuto improbabile resti licenziato. L’idea è nata dagli editori italiani che reputano i racconti per caso trent’anni fa in una un genere difficile da vendere. Mussolini, emittente privata di Ancona. l’ultima notte è una bella storia con un tenLa nostra è la tipica chiactativo di umanizzazione di un personaggio chiera che i giornalisti fanno che ha fatto più danni di Berlusconi. Al di in tribuna durante partite inlà di un giudizio politico, devo al Dottore terminabili. È piuttosto insogratitudine per avermi offerto il più grosso lito che per questi raccontini contratto della mia vita. L’ho ringraziato, e chiacchiere sommati a un ma ho rifiutato anche perché sono incalibretto di tre chili e mezzo pace di dirigere. Antonio D’Orrico che è tradotto in sei lingue, dal un mio generoso estimatore ha scritto sul titolo 500 anni di Tennis, sia magazine del “Corriere della Sera” che io stato ammesso nella Hall of sarei un nuovo Evelyn Waugh, facendomi Fame di Newport, nel Rhode un complimento non so fino a che punto Island. È un po’ come prenmeritato. A fine mese uscirà Una notte con dere il Pulitzer. Ormai per gli la Gioconda, un’altra raccolta di racconti americani sono Gionni. Molti che contiene uno scoop relativo al sesso di direttori hanno provato a fare Monna Lisa. La donna con il più famoso di me un grande giornalista, sorriso del mondo era un bel ragazzo…

Gianni Clerici

Vitae

ono di origini comacine, ma oggi vivo a Roveredo, nei Grigioni. Mi accade spesso di conversare nel dialetto lombardo che ho dovuto imparare studiando Carlo Porta, anche perché nella mia famiglia, per un vezzo piccolo borghese, non era più in uso. Spesso mi nascondo a scrivere nel mio buen retiro di Lugano, vicino al Tennis Lido, dove mi avventuro in qualche partita col mio partner, il giornalista Pier Baroni. Il mondo del tennis è molto cambiato da quando ho cominciato a giocare ad Alassio alla fine degli anni Trenta nel club fondato da lord Lionel Hanbury, fratello del famoso botanico che fondò i giardini della Mortola vicino a Bordighera. Sono stato un piccolo giocatore: come singolarista ho partecipato a Wimbledon e al Roland Garros. Ma torniamo al tennis che non c’è più. Un tempo era un gioco altoborghese e aristocratico. Adesso vedi Raf Nadal e già dai vestiti che indossa capisci che è un altro sport. Insomma, i gesti bianchi non li ho inventati io con il mio romanzo, ma Roger Allard in una sua poesia. Anni fa ho scritto una lettera al signor Brian Tobin, allora presidente della Federazione internazionale, chiedendogli di prendere in considerazione un nome più consono a quello che fu il tennis per indicare uno sport del tutto nuovo, basato soprattutto sulla muscolarità e sulla propulsione consentita da nuovi materiali. Sino agli anni Sessanta una persona normale che avesse parecchio talento poteva diventare un grande tennista, invece oggi deve avere per forza un fisico da rugbista. Siamo passati dai campi d’erba e di terra rossa alla piattaforma di Dubai in cima al grattacielo. Adesso i campi d’erba al di fuori di Wimbledon non ci sono più. Il resto è cemento, o fondi simili, dannosi al corpo. In ogni caso è rimasto miracolosamente il fair-play. I gioca-

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Reportage

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Giuditta apologia di una spia Santa, veemente patriota, femminista ante litteram, feroce assassina‌ La figura di Giuditta, protagonista di un appassionante e ben congegnato episodio della Bibbia, ha da sempre colpito la fantasia di poeti, filosofi, psicoanalisti e artisti. Fra questi, non ultimo, Sandro Botticelli che in due piccole tavole, attualmente visibili presso il Museo Diocesano di Milano, ci ha narrato la conclusione di una vicenda che presenta tutti gli elementi delle migliori storie di spionaggio di Fabio Martini fotografie di Adriano Heitmann


sopra: Sandro Botticelli. Il ritorno di Giuditta a Betulia (particolare). Tempera su tavola. Galleria degli Uffizi, Firenze in apertura: Sandro Botticelli. La scoperta del cadavere di Oloferne. Tempera su tavola. Galleria degli Uffizi, Firenze


L’antefatto La storia, forse non a tutti nota, può essere a prima vista confusa con l’episodio di Erodiade e di Giovanni Battista. Sì, perché in entrambi i casi a suscitare orrore – ma al tempo stesso curiosità quasi morbosa – è l’uccisione di un uomo attuata o concepita da una donna e compiuta con l’efferata pratica della decapitazione: nell’episodio narrato nel Vangelo la vittima è una delle figure di santo più importanti della cristianità; nel passo dell’Antico Testamento è invece un nemico giurato di Israele, il generale assiro Oloferne, capo supremo dell’esercito di Nabucodonosor durante l’assedio della città di Betulia, roccaforte della resistenza ebraica all’invasione nemica. Stretta nella morsa della sete, la popolazione agonizza costringendo Ozia e gli altri anziani della città a prospettare la resa agli assiri dopo cinque giorni. A opporsi a questa soluzione è Giuditta, una giovane e ricca vedova, di bellissimo aspetto e moralità ineccepibile. Il suo discorso ai saggi della città rivela un carattere forte e una straordinaria capacità argomentativa: “Ascoltatemi bene, voi capi dei cittadini di Betulia. Non è stato affatto conveniente il discorso che oggi avete tenuto al popolo, aggiungendo il giuramento che avete pronunziato e interposto fra voi e Dio, di mettere la città in mano ai nostri nemici, se nel frattempo il Signore non vi avrà mandato aiuto”. Al seguito di una serrata arringa di natura teologica, di cui è evidente l’intento edificante, l’autore del testo le fa pronunciare le seguenti parole:

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Sandro Botticelli. La scoperta del cadavere di Oloferne (particolare). Tempera su tavola. Galleria degli Uffizi, Firenze


“Sentite, voglio compiere un’impresa che passerà di generazione in generazione ai figli del nostro popolo. Voi starete di guardia alla porta della città questa notte: io uscirò con la mia ancella ed entro quei giorni dopo i quali avete deciso di consegnare la città ai nostri nemici, il Signore per mia mano provvederà a Israele. Voi però non indagate sul mio piano: non vi dirò niente finché non sarà compiuto quel che voglio fare”. Come giudicare un passo del genere? Proviamo a sottrarre alla vicenda ogni valenza simbolica, ogni interpretazione religiosa e spirituale – Giuditta è stata spesso intesa come prefigurazione della Vergine – e concentriamoci piuttosto sulla narrazione, riconducibile probabilmente a un esercizio didattico di pura fiction dato che non è certo che un episodio del genere sia realmente accaduto. Ecco allora che l’intera faccenda, trasferita su un piano inatteso ma intrinsecamente connesso alla storia umana – quello dello spionaggio, presente in ogni tempo e in ogni luogo –, si tinge di tratti del tutto singolari.

Il piano Giuditta ha in mente un piano che dispiega con metodo e rigore e che, per timore di una possibile “talpa” fra i notabili della città, viene ovviamente tenuto nella segretezza più assoluta. I rischi sono evidenti ma solo lei ne conosce l’esatto peso. Ecco allora la giovane donna prepararsi all’azione attraverso il raccoglimento

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e la riflessione, che verte su un episodio biblico, quello della vendetta per la morte di Dina, sorella dei patriarchi di Israele, compiuta dal fratello Simeone attraverso l’inganno. Un exempla, che anticipa e funge da paradigma alla nuova situazione (Genesi, 34). Subito dopo, abbandonate le vesti da vedova, Giuditta prepara il corpo con il bagno, gli oli profumati e lo ricopre di vesti sontuose in grado di esaltare al massimo la sua bellezza. Infine, “mise i sandali ai piedi, cinse le collane e infilò I braccialetti, gli anelli e gli orecchini e ogni altro ornamento che aveva e si rese molto affascinante agli sguardi di qualunque uomo l’avesse vista”. Alla mente del lettore inizia a prefigurarsi la natura del piano della donna, quella che, nella letteratura spionistica e nella storia, è stata definita come la “mobilitazione delle alcove”: l’azione di cooptazione e tradimento attuata attraverso la seduzione sessuale. Giuditta, infatti, non solo è sorretta da una fede incrollabile in Dio e in Israele ma è altrettanto certa della propria bellezza e della propria capacità di sedurre.

Reportage

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L’esecuzione Uscita dalle mura della città di Betulia, la giovane si avvia, sotto lo sguardo ansioso dei suoi concittadini, verso l’accampamento assiro in compagnia dell’ancella più fedele. Incontrate le vedette assire, affronta un primo interrogatorio nella cui risposta si cela uno dei meccanismi classici dello spionaggio, quello dell’inganno e della dissimulazione: “Sono figlia degli Ebrei e fuggo da loro, perché stanno per essere consegnati in vostra balìa. Io quindi vengo alla presenza di Oloferne, comandante supremo dei vostri eserciti, per rivolgergli parole di verità e mettergli sotto gli occhi la strada per cui potrà passare e impadronirsi di tutti questi monti senza che perisca uno solo dei suoi uomini”. Giuditta non appare solo come una donna in cerca di un rifugio sicuro prima della caduta di Betulia ma offre “parole di verità”, informazioni vitali che possono agevolare l’impresa al comandante assiro e ai suoi uomini. La bellezza e la capacità di convinzione della donna seducono i soldati che la conducono da Oloferne. Ed è qui che Giuditta mette in atto tutte le sue migliori qualità di spia: lo adula senza però esagerare; lo convince che quanto

precedentemente riferito a Oloferne da Achior, capo degli Ammoniti, è pura verità (gli ebrei, se rispettosi di Dio e delle sue leggi, godono del favore divino e se disobbedienti sono invece destinati alla rovina)*; riesce ad apparire religiosa e profondamente attaccata alle tradizioni ebraiche; gli assicura fedeltà, promettendogli che, appena il popolo di Israele cederà al peccato e alla profanazione delle riserve sacre a causa del bisogno in cui versa, sarà lei stessa, guidata da Dio, a condurre Oloferne alla conquista della Giudea. Il capo degli assiri sembra stare al gioco forse più per il desiderio di possederla carnalmente che per reale convinzione. Le concede comunque di uscire dal campo ogni sera per isolarsi in preghiera, accompagnata dalla sua ancella, e di cibarsi secondo le usanze ebraiche. Il quarto giorno, bramoso di possederla, la invita nella sua tenda a un banchetto notturno. Giuditta si presenta in tutta la sua bellezza ma Oloferne, eccessivamente sicuro di sé e della propria superiorità, perde il controllo della situazione e si ubriaca. Un errore fatale, perché una volta rimasti soli, la donna, afferrata una scimitarra e invocato Dio perché la sostenga nel gesto, gli recide la testa che, posta in una cesta, viene affidata alla serva insieme alla quale, fingendo di uscire per la consueta preghiera, fugge dall’accampamento. Il racconto di Botticelli e il trionfo di Giuditta Il seguito lo lasciamo raccontare a Sandro Botticelli che negli anni immediatamente successivi al 1470 realizzò due piccole e straordinarie tavole dedicate all’episodio, esposte fino al 14 dicembre 2008 presso il Museo Diocesano di Milano. Commissionate da Rodolfo Sirigatti e donate a Bianca Capello, moglie di Francesco I de’ Medici, i due piccoli quadri appaiono sostanzialmente fedeli alla tradizione biblica. In essi non

viene mostrato il momento del cruento omicidio del generale assiro – che attirò invece l’interesse e il gusto più votato all’eccesso di pittori seicenteschi come Caravaggio e Artemisia Gentileschi –, ma rappresentano il rientro di Giuditta e della sua ancella verso le mura di Betulia e la tragica scoperta da parte degli ufficiali assiri del corpo decapitato del loro generale. Nella prima delle due tavole, Giuditta appare ingioiellata e porta ancora addosso le eleganti e drappeggiate vesti indossate durante la notte. Ai piedi, calzari dorati, nella mano destra la scimitarra insanguinata e nella sinistra un ramoscello di ulivo, a sottolineare l’intima e quasi indissolubile connessione fra guerra e pace. Il suo sguardo è fisso nel vuoto, né fiero né soddisfatto. Dichiara piuttosto la segreta malinconia, il senso di amarezza e di vuoto che ogni spia e agente segreto ben conosce tutte le volte che rivolge il pensiero al proprio agito. La serva, dai tratti da popolana, la segue tenendo sul capo la cesta con l’osceno bottino. Al polso, due fiaschette. Sullo sfondo la fuga degli assiri, incalzati dalle bande uscite dalla città per cacciarli (“si sparsero in fuga in ogni senso nella pianura e su per i monti”). Nella seconda tavola, al di sopra del corpo decapitato del generale, si affollano gli ufficiali sconvolti e disorientati dalla scoperta. L’impianto figurativo, disposto prospetticamente attraverso vere e proprie quinte teatrali formate dai due distinti gruppi umani, è contrassegnato da tonalità scure, a enfatizzare l’estrema gravità del momento. Alle spalle del soldato che scopre il cadavere, uno degli ufficiali alza le mani quasi a proteggersi da tanto orrore, mentre alle sue spalle un attendente nasconde il volto fra le mani. Ma questo è ormai il passato. Per Giuditta, donna ricca, bella e colta, salvatrice di Israele e antesignana di Giovanna d’Arco e Mata Hari, è giunto il momento del trionfo: una volta in città, riceverà gli omaggi formali del sommo sacerdote giunto appositamente da Gerusalemme per ringraziarla. * Irritato dal discorso di Achior, Oloferne ordinerà ai suoi soldati di abbandonare l’ufficiale nelle mani degli israeliti che ovviamente lo catturano. Interrogato dagli anziani di Betulia, Achior rivelerà il contenuto del suo confronto con Oloferne che verrà successivamente utilizzato con grande abilità da Giuditta nel colloquio con il comandante assiro.


Guida al museo Il museo è inserito nel complesso monumentale di Sant’Eustorgio, costituito dall’insieme unitario dell’antico convento domenicano e della basilica. Quest’ultima, fondata in epoca paleocristiana, venne ricostruita in forme romaniche fra l’XI e il XII secolo e in seguito rimaneggiata dopo l’insediamento dei domenicani (prima metà del XIII secolo). Il museo, gestito dalla Fondazione Sant’Ambrogio – un ente ecclesiastico il cui consiglio è nominato direttamente dall’arcivescovo di Milano –, conserva e promuove i preziosi beni artistici della Diocesi, valorizzandone il significato storico e religioso. La sua prima costituzione, risalente al 1931, avvenne su iniziativa del Beato Ildefonso Schuster (arcivescovo di Milano) ed era volta a incoraggiare la nascita di un’istituzione specificamente dedicata a promuovere e raffinare l’amore per l’arte presso “le persone a Dio dedicate”, mirando al contempo a

impedire la dilapidazione del cospicuo patrimonio artistico della Diocesi. Un suggerimento pienamente accolto dal cardinale Giovan Battista Montini nel 1960 ma concretizzatosi solo negli anni Ottanta, quando il cardinale Carlo Maria Martini avvia il progetto di ricostruzione e riadattamento dei chiostri. Attualmente la collezione del Museo Diocesano comprende circa 600 opere (di cui quasi 400 esposte) che vanno dal VI al XIX secolo. A queste si aggiungono la sezione dedicata a Sant’Ambrogio, i Fondi Oro – opere di ambito per

LA COMBINAZIONE PERFETTA Degustazione di vini della Valpolicella, Valdobbiadene Valtellina e Friuli accompagnati da squisiti assaggi e antipasti tipici per il Bar Hieronymus. Vi aspettiamo numerosi Venerdì 28 novembre dalle 17.00

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lo più toscano, risalenti ai secoli XIV e XV, raccolte dal prof. Alberto Crespi e donate al Museo Diocesano nel 2000 –, le sculture e i dipinti provenienti dalla collezione Marcenaro, il ciclo di tele dell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento, la Via Crucis di Gaetano Previati e varie opere di arredo liturgico. Le raccolte del museo comprendono anche opere di artisti del secolo scorso (Lucio Fontana, Aldo Carpi, William Congdon e altri), per ora non pienamente fruibili al pubblico. Museo Diocesano Corso di Porta Ticinese, 95 I - 20123 Milano tel. e fax: +39 02 89 42 00 19 info@museodiocesano.it info.biglietteria@museodiocesano.it Il catalogo Sandro Botticcelli. La Giuditta A cura di Paolo Biscottini Silvana Editoriale, 2008

Fiori di Prosecco by Clara Carpené Dal deciso colore giallo paglierino, presenta un perlage di bollicine fini e persistenti, con un intenso profumo di fiori di acacia, glicine e petali di rosa unito a una morbida sensazione di fiori di campo. Il primo bicchiere di Prosecco è offerto!!!!


CUOCHI CON GIOIA di Federica Baj fotografia di Adriano Heitmann

Tendenze

50 Sin dai primi mesi di vita, nei bambini lo sviluppo dell’intelligenza e la conoscenza passano attraverso la bocca e il tatto. La cucina rappresenta un luogo fondamentale per l’apprendimento

Venti bambini a scuola da un grande chef. Una lezione di cucina e di vita per scoprire che in un piatto preparato con amore risiede la ricetta della felicità

Riccardo, dieci anni, sopra i jeans e la t-shirt indossa un grembiule su cui sono ricamati due paperi gialli. Taglia carote e gambi di sedano, di sbieco, sottili sottili. “Così quando sono nel piatto sono più belli da vedere” gli spiega Pietro, suo maestro per una mattinata. “Ma tu quante stelle c’hai?” chiede Riccardo allo chef, come se stesse parlando di figurine da attaccare all’ultimo album di calciatori. Pietro risponde “una” e corre all’altro lato della cucina, dove Romy e Agata stanno lavorando l’impasto del pane. Inizia così – l’8 novembre scorso alla fondazione Diamante di Solduno – la lezione di cucina di Pietro Leemann a venti bambini del locarnese, apprendisti per un giorno dello chef patron del ristorante vegetariano milanese Joia. Una cucina che si fa aula scolastica – ma con tutto il calore trasmesso dai fornelli e dagli animi in subbuglio – quaderni che si trasformano in tegami, cucchiai e coltelli al posto di penne e matite. Risultato: la lezione perfetta. Dove la matematica la si apprende usando la bilancia per pesare farina e lievito. Quello “madre” lo ha portato Leemann dal suo ristorante: ha quindici anni, più dell’età media dei piccoli cuochi in erba. Si deve aggiungere, sottrarre, moltiplicare e dividere, altrimenti il pane non lievita bene. La geografia è nell’inebriante profumo di una bacca di vaniglia di Tahiti, nell’energia esotica della radice di zenzero; la fantasia la si stimola componendo il piatto, un foglio bianco su cui navigano barche di finocchi e la luna è una sottile striscia di cipolla. L’economia domestica è tutta lì, nella pentola in cui cuoce il brodo vegetale: la “pozione magica” dove si gettano uno a uno gli “scarti buoni” delle verdure. In cucina si concretizzano nozioni, idee e pensieri: tutto quello che a scuola, spesso, rimane solo teoria. Qui, nella fucina dove l’intuizione prende la forma del piatto, la manualità diventa un sottile concetto pedagogico: si impara a “fare” usando creatività e immaginazione. È “pane” per i bambini. C’è condivisione, collaborazione senza competizione. Non si vedono mani che coprono i fogli per impedire al compagno di banco di copiare il compito. In cucina le mani si uniscono, le dita si intrecciano per impastare, per tagliare, per separare i tuorli dai bianchi dell’uovo. I sensi sono stimolati all’ennesima potenza: gli ingredienti si toccano, le preparazioni prima si osservano, poi si odorano e si gustano. E se esiste un sesto senso, è proprio ai fornelli o in tavola che lo si può individuare e sviluppare. È il senso della scelta. È da piccoli che gli individui formano il proprio gusto personale, che iniziano a capire quello che rappresenterà per loro il cibo. Poi, col tempo, subentrerà una presa di coscienza nel consumo degli alimenti ma il rispetto per un ingrediente, per il modo di prepararlo e di mangiarlo, si acquisisce fin dalla tenera età. Forse, inconsciamente, proprio fin dai primi giorni di vita. Quando nel seno materno scopriamo un “laboratorio culinario” ante litteram attraverso cui si trasmettono affetto, conoscenza e calore umano. In mezzo all’allegra brigata di piccoli cuochi Leemann è un “gigante”. In tutti i sensi. È “Pietro il grande” dell’alta gastronomia e appare imponente dal suo metro e novantacinque di altezza mentre insegna ai bambini – e sono attimi di “poesia culinaria” – come si prepara il seitan o come riconoscere quando la crema inglese è cotta al punto giusto: “Soffiando sul cucchiaio si deve formare una rosa, allora è perfetta”. Ad alcuni il “trucco” riesce e sono sorrisi. Ad altri no… Ci riproveranno e, alla fine, ogni petalo di rosa sarà il segno visibile di un lavoro ben fatto.



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Animalia

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L e formiche ci sono talmente prossime che spesso che le troviamo addosso. Le troviamo nel panino durante le scampagnate, ci solleticano le gambe nelle pinete e le donne s’indignano vedendole nella zuccheriera. Nonostante queste prossimità, gli uomini hanno in pochissima considerazione le formiche. Non vediamo mai un banchiere interrompere bruscamente un importante consiglio d’amministrazione per guardare meravigliato una formica capitata sul tavolo, non lo vediamo mai comunicare ai presenti le sue meditazioni sopra questi imenotteri. Se così facesse, tutti lo fisserebbero stranamente. Per noi la formica è importante solo durante l’infanzia, l’unico periodo della nostra vita in cui siamo capaci di stupori profondi. Diventati adulti, ci chiudiamo nel mondo degli uomini, rinserriamo i nostri orizzonti alle mura della città e dei villaggi e non ce ne importa più niente delle formiche. Siamo convinti che la Terra è stata creata per noi e che Dio ci ha posto intorno gli animali, perché ci servano e ci siano utili. Invece gli animali esistono per conto loro. Iddio li ha creati per il suo vasto disegno, non per il nostro. Il vitello e la vacca, il cavallo e il coniglio ci sono utili: li sfruttiamo, li derubiamo del latte, dei figli, della vita, delle carni. Invece le formiche non ci servono, né ci sono utili: anzi, sono piuttosto fastidiose nel panino, fra i peli delle gambe, dentro la zuccheriera. Tuttavia esistono, si propagano, si estinguono per ragioni loro, profonde, che ci sfuggono completamente e alle quali siamo estranei. Il loro destino sfiora il nostro, ma non coincide. Per stabilire se il capolavoro è la formica o l’uomo, bisognerebbe accordarsi sul metro per misurare l’una e l’altro. Non può essere certo il metro decimale: non possiamo cioè essere considerati superiori noi, soltanto perché siamo più grossi. Se rinunciamo ai valori fisici, dobbiamo ricorrere ai valori morali e qui la supremazia dell’uomo rischia davvero di crollare, se pure è mai stata in piedi. Vi sono formiche e formiche, come vi sono uomini e uomini. Non possiamo certo misurare il meglio dell’umanità prendendo come modelli il fraticida Caino, il matricida Nerone, Giuda il deicida, Napoleone l’invasore, Hitler il massacratore.

Le formiche un racconto inedito di Piero Scanziani

A nostra gloria presenteremo Francesco d’Assisi, Ramakrisna l’indù, Lao Tse il cinese e Platone il greco. Così in questa gara le formiche non porranno innanzi le loro tribù selvagge, come gli ecitoni delle Americhe e le altre genie guerriere e predatrici. Ci presenteranno invece le loro razze elette. Davanti a tali razze v’è da chiedersi se tanta perfezione è davvero terrestre. Le formiche ignorano il dolore. Invece d’avere come l’uomo l’ossatura all’interno, l’hanno all’esterno e così attraversano il mondo al riparo. Dentro questa corazza v’è intelligenza, v’è coscienza, v’è amore, ma non v’è sensibilità. Una formica può continuare tranquillamente il suo pasto, anche se tagliata in due. Il dolore fisico non la tocca. La riproduzione che affanna e inganna l’umanità, è nel formicaio limitata a una sola creatura che, accettandone il peso, libera tutti gli altri da simile condanna. Forse per compensarla del suo sacrificio, gli altri circondano la regina di tanta reverenza. La loro non è una società, è una comunione di santi. Ogni bisogno materiale è per tutti assicurato, né vi sono ricchi, né vi sono poveri. Ognuno ha il piacere del lavoro, secondo una propria misteriosa vocazione, ma ignora l’incertezza del domani, ignora la fatica eccessiva che consuma gli uomini e li uccide anzitempo. Quest’ordine armonioso è certo per le formiche fonte di grande felicità. Come felici deve renderle il proprio amore reciproco, che si manifesta in un disinteresse totale. Il nostro egoismo è alle formiche ignoto. In loro v’è soltanto l’inesauribile piacere di dare e di darsi, non solamente ai propri simili, ma a chicchessia entri comunque nella loro città. Tutti i parassiti che vi capitano, vi vengono accolti, nutriti e accuditi, in una comunità che ci sbalordisce. La loro fraternità non ha esempi al mondo. Nel barattolo – dove uno scienziato crudele ha posto talune formiche, per misurarne la resistenza alla fame – dopo sessantadue giorni di digiuno, le moribonde riuscivano ancora, con un estremo rigurgito volontario, a offrire una gocciolina di miele alle sorelle che stavano ormai per spegnersi. La perfezione è stata raggiunta. Forse gli uomini, come i dinosauri, sono solamente un breve episodio nella storia milionaria delle formiche.


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Il Ticino e i suoi fotografi Roberto Raineri-Seith

Fotografia

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Lago di Contra (2005–2008), dal ciclo “Maree in una valle di montagna”

Roberto Raineri-Seith risiede ad Ascona. Si occupa di fotodesign e fotografia tecnica soprattutto in ambito culturale e artistico, e come autore di progetti personali rivolti soprattutto all’interpretazione ambientale. Dal 2003 pre-

siede l’associazione dei fotografi di studio e pubblicitari Fotografi professionisti svizzeri e in questa veste è attivo anche come curatore di mostre e come autore di testi critici. Vincitore del Primo Premio della Fotografia della Società

Ticinese di belle arti nel 1994, espone regolarmente in musei e gallerie pubbliche e private. I suoi lavori d’autore sono rappresentati dalla galleria ArteF di Zurigo. Per maggiori informazioni: www.raineri-seith.com.


» rappresenta l’incontro tra il cinema hollywoodiano e l’arte di uno dei maestri dell’espressionismo cinematografico tedesco, quel Friedrich W. Murnau universalmente conosciuto per il magistrale Nosferatu (1922): è un incontro fruttuoso, in cui si fondano spettacolarità, sfarzo e ricchezza visiva con il genio espressivo e onirico del regista. Il tutto al servizio di una trama esile, una “canzone di due esseri umani” – così recita il titolo originale – forse banale ma valorizzata dall’inventiva di Murnau. La vicenda narra di un uomo di campagna (George O’Brien) sedotto da una donna di città dal fascino luciferino (Margaret Livingston), la quale lo convince a uccidere la moglie

(Janet Gaynor, Oscar quale miglior attrice) durante una gita sul lago. All’ultimo l’uomo desiste dai suoi propositi e, dopo una serie di traversie, la coppia si riconcilia. Verso il ritorno a casa un violento temporale investe la barca dei due sposi, la donna scompare tra le onde e la gioia si fa tragedia. Sino al sorgere dell’aurora finale… Murnau non dà nomi a luoghi e personaggi, a loro volta proiettati in un mondo dove si confrontano il realismo dell’ambientazione con il narrato, onirico e favolistico, utilizzando la libertà espressiva e i grandi mezzi a disposizione. Indimenticabile la sequenza dell’incontro notturno dei due amanti nella palude, con la vitalità e la perdizione della

città evocata attraverso una ridda frenetica di immagini e movimenti capaci di restituirci suoni e frastuoni, pur nel silenzio di un film muto. La scena culmina nel ballo sfrenato della donna di città, simile a una sabba infernale, carico di una sensualità, anzi di una sessualità destinata presto a perdersi nel cinema americano con l’entrata in vigore del Codice Hays (1930), un regolamento di censura e autocensura interne alla fabbrica cinematografica. Tutta da godere per sfumature, invenzioni visive e narrative è la parte centrale del film, dove gli sposi-contadini attraversano la città e le sue mille situazioni quasi fosse un parco dei divertimenti aperto solo per il loro ingenuo stupore.

Aurora (Sunrise: A Song of Two Humans) Regia di F.W. Murnau Con George O’Brien, Janet Gaynor, Margaret Livingston Produzione: Fox Film Corporation (USA, 1927) DVD: Millennium Storm, 2008

» di Roberto Roveda

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Il Sole transita nel segno dello Sagittario dal 23 novembre al 22 dicembre Elemento: Fuoco - mobile Pianeta governante: Giove e Nettuno Relazioni con il corpo: fegato, arti inferiori Metallo: stagno Parole chiave: generosità, espansione, curiosità

» a cura di Elisabetta

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Il passaggio di Marte e Mercurio rafforza la vostra posizione in ambito lavorativo. Evitate però gli scontri e cercate di apprezzare gli sforzi dei collaboratori. Reagite alle insoddisfazioni cercando un maggior equilibrio personale e interiore.

La tendenza a irritarvi soprattutto in ambito familiare provocherà qualche discussione. Possibili cambiamenti in vista in ambito lavorativo di carattere non sempre positivo. Mantenete la calma e valutate le situazioni per quello che realmente sono.

toro

scorpione

Momento ideale per rafforzre i legami sentimentali e per aprire nuove relazioni. Controllate la dieta evitando gli eccessi alimentari e attivandovi dal punto di vista fisico: qualche camminata in più gioverà alla mente e al corpo.

Vi siete impegnati a fondo in un progetto che stenta a decollare? Non perdete la pazienza e cercate di vedere gli aspetti positivi della cosa. Il vostro partner potrebbe avere una sbandata per un’altra persona. Non drammatizzate, ragionate.

gemelli

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Continuate a controllare la vostra irascibilità, soprattutto nei rapporti familiari. Certo, non sempre è facile, ma sforzatevi di trovare un vostro equilibrio interiore. Attenzione alle malelingue: i vostri successi provocano invidie e irritazione.

Momento favorevole, sorretto dal transito di Plutone. Siete in gran forma ma evitate di rimuginare troppo su quanto avete di recente passato: esiste solo il presente. Mantenete l’attenzione sulla vostra forma fisica evitando gli eccessi alimentari.

cancro

capricorno

Qualche discussione con il vostro partner potrebbe mettere in luce vecchie questioni irrisolte. Valutate il tutto con calma, senza farvi prendere dalla fretta di arrivare a una immediata soluzione. Guidate con prudenza e attenzione.

La vostra tendenza a passare dall’entusiasmo alla depressione vi squilibra. Cercate il giusto mezzo in ogni situazione, evitando sbandamenti inutili e fastidiosi. Le discussioni familiari potranno portarvi a desiderare un momento di libertà: prendetevelo.

leone

acquario

Qualche elemento di difficoltà si profila sotto il punto divista professionale. Imparate ad accettare i cambiamenti senza farne una tragedia: le vostre notevoli risorse potranno essere incanalate in nuove e proficue attività. Attenzione alla dieta.

Attraversate un momento estremamente positivo nelle relazione con gli altri, anche in ambito professionale. Mantenetevi però nei limiti: l’eccessiva sicurezza a volta inganna. Qualche discussione in famiglia, soprattutto per chi ha figli.

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pesci

Un possibile insuccesso in campo sentimentale potrebbe indurvi a un momento di depressione. Concentratevi sul vostro corpo, praticate dello sport e frequentate le persone a voi più care: ritroverete l’energia necessaria per affrontare il fuuro.

Calma, clma, calma… evitate le reazioni d’impulso: vi danneggiano. Nel lavoro, come nelle relazioni personale, a volte il silenzio è più funzionale di un discorso affrettato. Possibile incontro con una persona che stimate e non vedete da tempo.

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Con l’attuarsi del sacrificio alchemico e di trasformazione dello Scorpione, la natura definisce e individua lo sviluppo del proprio percorso. È infatti nel Sagittario che il significato e lo scopo della morte autunnale inizia ad apparire sotto forma di una stella lontana che brilla nell’oscurità più profonda. Si tratta del risultato della cristallizzazione crescente seguita alla decomposizione, il momento in cui la sofferenza del declino inizia a diventare sopportabile e si inizia a intravvedere uno spiraglio di sicuro mutamento. Tale vocazione alla trasmutazione, concepita come atto di sublimazione, è ben simboleggiata dal segno del Sagittario, rappresentato da un centauro che tende la freccia nel proprio arco, mirando a obiettivi sempre più elevati. Mezzo uomo e mezzo animale, il Sagittario personifica un dualismo e una tensione profondi: il cavallo rappresenta la componente istintuale mentre il busto umano l’aspirazione spirituale alla trascendenza. Essere situato sul confine fra Terra e cielo, il Sagittario esprime infatti una insopprimibile pulsione verso il superiore come attesta il suo geroglifico, in cui la freccia è puntata al cielo. Nei nati nel segno vige dunque l’aspirazione all’elevazione, espressa nella capacità di giudizio e nell’intelligenza ma anche l’indugiare nelle passioni, spesso colpevolizzato, proprio per l’eccessiva tendenza all’idealizzazione di sé e dell’altro. Lontano dalle sfrenatezze estreme dello Scorpione, il centuro vive dunque una dimensione più raccolta e controllata, ma non per questo meno complessa o problematica.

“… corrien centauri, armati di saette”

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In quale numero di Ticinosette è apparsa l’immagine di cui forniamo qui il particolare? Al vincitore andrà in premio Ora prima. Sei poesie lunghe di Vanni Bianconi, Edizioni Casagrande, 2008.

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Le soluzioni verranno pubblicate sul numero 50.

• 36. Grossa antilope • 38. Silenzio complice • 40. Ente Turistico Ticinese • 41. Priva della tara • 42. Si sacrifica per la patria • 43. Calibrate • 45. Dimora solitaria • 46. Istituto Tecnico • 47. Oscure • 48. Incapace. 1. Garantisce l’autenticità d’un messaggio via e-mail • 2. Ripudiato, emarginato • 3. Un gelido continente • 4. Puntino vezzoso • 5. Si riem-

Verticali

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1. Spezzettare, rompere • 10. Le belve che ridono • 11. Lo teme l’autista • 12. Motivetto • 14. Lo è la culpa nel confiteor • 15. Si detto a Londra (Y=I) • 16. Cons. in Eloisa • 17. Hall • 19. Tante erano le Grazie • 21. Un decimo di chilo • 22. Carezza affettata • 23. Fiume francese • 25. Partita a tennis • 26. Valutar • 29. Complotto... amoroso • 32. Struzzo australiano • 33. I confini di Tegna • 34. Tinta • 35. C’è chi non l’ha in zucca

piono di schede • 6. Grandiosi, regali • 7. Pari in sandali • 8. Lo provoca l’ingorgo stradale • 9. Il nome di Ramazzotti • 13. Cattivo • 18. Il noto Milano (Y=I) • 20. Tornare a galla • 24. Tendere l’orecchio • 27. Germoglio • 28. Mezza ruga • 30. Il dio egizio del sole • 31. Sballare, scartocciare • 35. Un cane da caccia • 37. Paga un canone • 39. Io, in altro caso • 42. Noto collegio inglese • 44. Uncini da pesca • 46. Preposizione semplice.

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Che montagne. Che orizzonti. Che luce!


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«In bagno mi fanno compagnia le mie paperelle.»

«A tavola invece il mio yogurt preferito.» Whitney Toyloy, Miss Svizzera 2008

Léger. Tanto gusto, niente rimpianti.


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