49 numero
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L’appuntamento del venerdì
28 XI
08
GIOSANNA CRIVELLI L’IMMAGINE CHE CURA p. 43
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Motori di ricerca Le grandi orecchie 18
Vitae Pier Giacomo Grampa 54
Gastronomia Pietro Leemann
Corriere del Ticino • laRegioneTicino • Giornale del Popol • Tessiner Zeitung • CHF. 2.90 • con Teleradio dal 30 novembre al 6 dicembre
La fête magique Abito seta
110743
99.–
www.manor.ch
numero 49 28 novembre 2008
Agorà Il vuoto, specchio della nostra società? Animalia Il Bulldog. Un racconto inedito
Impressum
Gastronomia Il cavolo verza
DI
DI
FEDERICA BAJ
DI
FABIANA TESTORI
PIERO SCANZIANI
Arti Ennio Morricone. C’era una volta… la musica
Chiusura redazionale
Media Motori di ricerca. Le grandi orecchie
Venerdì 21 novembre
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Direttore editoriale Peter Keller
Capo progetto, art director, photo editor
Adriano Heitmann
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Concetto editoriale IMMAGINA Sagl, Stabio
Società Quelle contagiose emozioni
DI
DI
DI
FABIO MARTINI
Tendenze Tao Love Bus. Musica… ovunque DI
ROBERTO ROVEDA
NICOLETTA BARAZZONI
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DI
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ELISABETTA LOLLI
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Reportage Giosanna Crivelli. L’immagine che cura
Gastronomia Pietro Leemann
DI
GIANCARLO FORNASIER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Salute Oligoelementi. Curarsi e guarire con “poco” Vitae Pier Giacomo Grampa
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Tiratura controllata 90’606 copie
DI
DI
FEDERICA BAJ
ROBERTO ROVEDA
STEFANIA BRICCOLA
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Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch
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In copertina
Greina 2007 Fotografia di Giosanna Crivelli
Egregi redattori, volevo complimentarmi con voi per gli articoli che pubblicate regolarmente sul nuovo “Ticinosette”. Credo che un mondo migliore sia possibile, ma per ottenere questo è necessario che tutti prendiamo coscienza di come siamo caduti in basso, per poter finalmente ripartire su una base solida, più autentica che consenta di promuovere stili di vita sostenibili sia a livello sociale sia ambientale. I testi poetici e profondi di Piero Scanziani sono sempre molto toccanti e anche le interviste alle persone “particolari” sono stimolanti. In particolare, ho apprezzato l’articolo “L’eresia della decrescita” apparso sull’ultimo numero: davvero intrigante e se può anche suscitare critiche, contribuisce alla riflessione sulle conseguenze del libero mercato. Se riuscissimo solo a cambiare un pò dentro di noi, tentando di manifestare maggiormente quelle qualità che sappiamo degne di un’anima pensante, avremmo senz’altro compiuto buona parte del percorso di “guarigione”. Con la speranza di poter leggere anche in futuro articoli che toccano in modo stimolante la coscienza della gente, vi auguro il meglio. Cordiali saluti M.K. Cogli
Gentile lettore, la ringrazio per le sue parole di apprezzamento al nostro lavoro. Riguardo al libero mercato, penso che debba assolutamente restare “libero” ma di certo l’attuale situazione (senza contare che lo tsunami economico non è ancora arrivato davvero) deve far riflettere. “Libero” non significa infatti incontrollato così come il concetto di speculazione non è di per sé necessariamente negativo. L’economia degli scambi sostiene il mondo e rappresenta un volano indispensabile alla sopravvivenza del genere umano. Ma altrettanto indispensabile è l’esercizio di una maggiore vigilanza sulle iniziative finanziarie che troppo spesso sono gestite in modo opportunistico e scevro da una coscienziosa valutazione delle conseguenze. Lei dice bene quando parla di “anima pensante”: solo attraverso un esercizio rigoroso e consapevole della ratio potremo aspirare a una reale “guarigione” in grado di coinvolgere tutti noi e l’ambiente che ci circonda e dal quale peraltro dipendiamo. Cordialmente Fabio Martini
Il vuoto, specchio della nostra società?
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Agorà
L’assenza di valori genera mostri. Certo è che la ricerca compulsiva del benessere e del profitto hanno contribuito a delineare una società sempre più orientata all’edonismo, al superfluo, al cieco individualismo. Una riflessione, in un tempo segnato dalla profonda crisi materiale di quei medesimi illusori miraggi
I
n termini generali, di pura definizione, la società può essere considerata come l’insieme di tutti gli esseri umani, uniti da vincoli naturali e da interessi generali comuni e condivisi. Scendendo un po’ più nel particolare, la società può rappresentare un gruppo di persone organizzate in base a un insieme strutturato di rapporti, considerato attraverso criteri antropologici, culturali, economici, politici, storici e così via. Solitamente, quando si parla della “nostra società” si intende quella di stampo occidentale, anche se nell’ottica del sociologo, ed è bene precisarlo, fra quella europea e quella nord americana, per non citare anche quelle “occidentalizzate” come il Giappone o l’Australia, permangono grandi differenze. Ma restando in superficie e tralasciando le sottigliezze della sociologia, proviamo a chiederci quale aspetto contrassegna – o ha contrassegnato – in modo profondo la società occidentale nell’arco degli ultimi decenni.
Il business del corpo Qualche breve traccia emerge più o meno casualmente dalla stampa o dal web e può essere rivelatrice, di un mondo che sempre più spesso sembra bandire e isolare il brutto, il vecchio, il grasso, il povero. Avere un bell’aspetto, essere magri, ricchi, giovani e soprattutto di successo sono divenuti ormai concetti prioritari. Già qualche anno fa, sulla rivista European Journal of Plastic Surgery, veniva pubblicata una ricerca che ricostruiva il profilo di coloro che sceglievano di sottoporsi a un intervento di chirurgia estetica. Ebbene, negli Stati Uniti fra il 1997 e il 2002 simili interventi, come la rinoplastica, la mastoplastica additiva e la liposuzione, erano aumentati del 288%, mentre in Europa, il ricorso alla chirurgia estetica cresceva in media del 30% ogni anno. Il 71% delle donne e il 40% degli uomini intervistati nel corso dello studio erano convinti che grazie alla bellezza e alla prestanza fisica l’affermazione e il successo fossero più accessibili. Oggi, i dati sono sempre più inquietanti: dal 1997 la percentuale di crescita deé settore della medicina e chirurgia estetica è stata del 457%. La fascia d’età che più ricorre a questo genere d’intervento è quella fra i 35 e i 50 anni, ma anche i giovanissimi che decidono di farsi regalare un naso o un seno nuovo per
L’onta del non apparire Un altro spettro che ossessiona la popolazione occidentale è quello della povertà materiale, del “non avere” e quindi del “non apparire”. Per sconfiggere quest’ansia e supplire a tale “mancanza”, l’indebitamento, abilmente sostenuto dagli istituti di credito fino a diventare il volano della attuale crisi economica internazionale, si è configurato come lo strumento elettivo. Sebbene in Svizzera non esistano statistiche ufficiali a proposito del fenomeno dell’indebitamento delle economie domestiche, gli esperti del settore concordano sul fatto che il fenomeno è in aumento, soprattutto fra i giovani d’età compresa fra i 18 e i 30 anni. Del resto, la pubblicità sempre più aggressiva, quella del “prendi subito e paghi dopo”, ha avuto nettamente il sopravvento creando bisogni crescenti, fittizi ed effimeri. Si è così instaurato un processo in passato esplicitato dallo psicoanalista tedesco Erich Fromm nel suo celebre saggio Avere o essere? (1976), secondo cui all’acquisizione segue il possesso, poi l’uso, l’eliminazione e infine una nuova acquisizione, in un circolo vizioso alimentato da una atteggiamento compulsivo e reiterato. Il quadro che si delinea da questi semplici esempi non è incoraggiante, poiché ritrae una società edonista, individualista, consumista, indebitata fino al collo e soprattutto schiava di falsi miti, di modelli di plastica, tanto belli, quanto inconsistenti.
La crisi dell’effimero Al professor Paolo Jedlowski, ordinario di Sociologia generale all’Università L’Orientale di Napoli e docente alla facoltà di scienze della comunicazione dell’Università della Svizzera italiana, abbiamo chiesto quali effetti il gusto dell’effimero, della bellezza estetica e del richiamo del denaro porteranno a lungo termine alla società e soprattutto alle generazioni future: “Il gusto dell’effimero è la caratteristica di una società ricca e sicura, la società europea invece è progressivamente diventata meno ricca e meno sicura, quindi presumibilmente la tendenza all’effimero
verrà meno. Proprio perché saremo meno abbienti, meno sicuri e più diversificati. L’Europa tende a trasformarsi in una società «fortezza», con delle marcate discriminazioni al suo interno. Qualcuno può anche dedicarsi all’edonismo e all’effimero, ma in un contesto che lo legittima poco”. Jedlowski invita inoltre a non drammatizzare l’immagine della nostra società e sottolinea come i concetti di “bellezza”, “magrezza”, “ricchezza” e “giovinezza” siano semplicemente delle parole d’ordine delle riviste settimanali. Allo stesso tempo però, egli sottolinea l’influenza esercitata dai media, soprattutto dalla televisione, sulla popolazione e ribadisce come: “I media sono dei mezzi potenti. Vi è un’enfasi sul nuovo, sul nuovissimo e ciò dipende dalla concorrenza fra le testate informative. Altri effetti sono intenzionali, come per esempio veicolare certi prodotti e certe idee.” La televisione appunto, è una vera e propria maestra di vita per larghe fasce della popolazione e ne condiziona profondamente i comportamenti. La cosiddetta trash tv soprattutto, quella dei reality show, dei messaggi promozionali, degli opinionisti senza opinioni, della donna oggetto, resta la più pericolosa, poiché trasmette informazioni stereotipate e una cascata di pubblicità (a questo proposito rimandiamo all’interessante articolo dello scrittore inglese Tobias Jones, My Italian TV hell – L’inferno della Tv italiana – apparso sul “Financial Times” nel 2003).
Un’occasione?
Agorà
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» di Fabiana Testori; illustrazione di Valérie Losa
l’esame di maturità oppure per la consegna della laurea sono in continua crescita. Un business immenso, basti pensare che solo nel 2007 gli americani hanno speso complessivamente 13,2 miliardi di dollari in questo tipo di interventi.
La gente è quindi portata a non occuparsi delle cose reali: manca la sensibilità verso la cultura e manca soprattutto la volontà dell’approfondimento, quasi come se il raggiungimento della felicità dovesse passare attraverso l’esclusione o la rimozione dei problemi di ogni giorno. Ed è proprio questa inutile e instancabile ricerca della felicità (concetto contenuto perfino nella costituzione americana) che moltiplica all’infinito desideri che probabilmente resteranno tali. Insomma, il monito sembra essere “ridete e consumate” e preferibilmente “non pensate”. Staremo quindi a vedere quali effetti sul piano dei comportamenti sociali e di acquisto determinerà la recente crisi economica, se, in qualche modo, contribuirà a disintossicarci da un sistema di valori malato e votato all’inessenzialità e se diverrà l’occasione per lo sviluppo di obiettivi sociali più sani e culturalmente orientati.
A pparso
Animalia
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che fu sulla terra, l’uomo non ebbe certo tempo per alcun “hobby”. Non erano epoche di svaghi, ma glaciali. Gli altri abitatori del globo furono protetti da penne, scaglie, manti: solo l’uomo era nudo, staffilato dalle piogge, sferzato dai venti, arso dai solleoni. No, non era tempo di “hobby”. Eppure i primi uomini divennero subito collezionisti. Collezionarono cani. Al cane, l’uomo deve la sopravvivenza e la civiltà. Solo, sarebbe rimasto cacciatore inquieto e fuggente, predatore o predato. Il cane l’ha fatto divenir pastore. Un uomo con tre cani cura cento pecore, senza non ne cura tre. Perciò prese a collezionare cani. Fu il cane a darci le ciocie, le vesti di lana e quindi il pudore. Fu il cane a darci l’ozio, che ci consentì di pensare, d’osservare la luna e il sole, di studiare il moto delle stelle. Fu il cane a sorvegliare di notte la capanna e così a consentirci il sonno, l’amore, la famiglia e la virtù. L’uomo arcaico fu il primo collezionista e così gli riuscì di divenire umano e di rendere umana la terra. Poi le razze si moltiplicarono, perché si moltiplicarono i collezionisti. Fra tutti gli animali domesticati, il cane è quello che più è stato capace di metamorfosi. Si direbbe che egli è sempre pronto a modificare la forma del proprio corpo, pur di soddisfare i nostri desideri. Quando l’uomo ha voluto un gigante difensore, il cane si è trasformato in molosso; quando il cacciatore ha voluto una saetta inseguitrice di gazzelle, il cane s’è trasformato in levriero; quando ha voluto un guardiano che lo salvasse dai lupi, il cane s’è trasformato in lupo; s’è trasformato per trainare la slitta dell’eschimese; s’è trasformato in cane da punta quando l’uomo inventò l’archibugio; s’è trasformato in un mostro bonario, quando gli inglesi lo vollero bulldog. Dobbiamo molto agli inglesi, anche se non siamo loro grati. Ma la gratitudine non è sentimento umano e, se pur essa
Il Bulldog un racconto inedito di Piero Scanziani
ci nasce in cuore, è rara e breve. È piuttosto sentimento canino, ossia più alto di noi. Dobbiamo molto agli inglesi, dobbiamo loro la rasatura quotidiana e lo spazzolino per i denti, l’invenzione del turismo, la scoperta di Sorrento e delle Alpi. La chiave è inglese, inglesi sono il cuoio e il corno, inglese è il giardino e un sale. Dobbiamo loro lo sport e gli sport, dobbiamo loro una lingua che sta diventando universale. Dobbiamo loro un cane d’eccezione, da essi posto a emblema nazionale, il cane che ha il loro carattere e il loro nome, John Bull, il cane che assomiglia a Churchill: dobbiamo loro il bulldog. Ogni razza canina ha una storia umana. Dietro il piccolo veltro sta Federico di Prussia, dietro il grande alano Bismarck, dietro i setter Sir Edoardo Laverack e il duca Alessandro di Richmond. Dietro lo spinone sta un pittore italiano, Giovanni Battista Quadrone; dietro il bolognese, la corte dei Gonzaga; dietro il papillon, il Re Sole; dietro il barbone d’ieri, la bella Otero. La storia del bulldog è la storia del popolo britannico delle età eroiche e previttoriane. Un popolo sanguigno e istintivo, conquistatore, intemperante e pittoresco, amatore di spettacoli violenti: pugilato a mani ignude, lotta dei galli, scontro fra toro e cane, donde bull-dog. Per molti inglesi e per alcuni europei, asiatici e americani, il bulldog è diventato un totem. Non possono vivere senza possederlo, aggiungendo al bulldog vivo una collezione di porcellane, giade, avori, argenti, stampe, dipinti che raffigurino il loro animale prediletto. È un culto, è un totem, è un arcano incontro fra l’anima umana e l’anima animale. Ed è soprattutto un modo d’uscire dalla solitudine, poiché nulla è più triste di tornare di sera alla casa deserta e di non trovare l’esultanza di un cane che ci aspetta.
» illustrazione di Valérie Losa
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Pur chocolat, pure emotion.
Il cavolo verza
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» di Federica Baj; fotografia di Adriano Heitmann
Gastronomia
si potesse scegliere come venire al mondo – appesi a un sottile becco di cicogna o sotto le rassicuranti foglie di un cavolo – sceglierei, senza ombra di dubbio, quest’ultima possibilità. Volete mettere? Essere trasportati a mille o più metri di altezza da un esile pennuto e, a un tratto, essere catapultati tutti infagottati in qualche sperduto angolo del globo, piuttosto che starsene accoccolati sotto le materne, protettive foglie di un cavolo in una vasta campagna coperta di brina? Sì, vorrei proprio nascere sotto un cavolo, in una fredda ma assolata mattina di dicembre. Fra tutti i cavoli sceglierei, piuttosto, una “mamma verza” con le foglie esterne grinzose e ricoperte di bolle di un bel color verde bottiglia percorse da numerose venature, fra le quali quella centrale spessa e di colore bianco. Le foglie interne invece, sovrapponendosi le une alle altre, vanno a formare un’enorme “pancia” di un verde via via sempre più chiaro. A guardarli da lontano, gli appezzamenti di verze piantate in file ordinate vicine le une alle altre, pa-
Cristina e Allan Bay Cucinare verde Tea, 2008 Un volume di ricette dedicato anche ai vegani e ai vegetariani più esigenti. Con un occhio particolare alla salute ma senza ignorare il piacere del gusto e della tavola.
Seppur composta solo di foglie, la verza è un ortaggio nutriente: cibarsene significa assumere buone quantità di vitamine (A, B1, B2 e C), sali minerali, antiossidanti e altre sostanze che, in determinate dosi, possono rallentare l’attività della tiroide. La “regina” delle verdure invernali non teme il freddo e le temperature rigide. Anzi, le prime gelate di stagione sono per lei un toccasana. Grazie iono quasi piccoli laghi di una ai rigori dell’inverno le “verze gelate” hanno profondità intensa e sconfinafoglie indurite dalla brina, cuociono molto ta. Appartenente alla famiglia rapidamente e offrono un gusto particolardelle Crucifere o Brassicacee mente delicato. Le gelate contribuiscono il cavolo verza (Brassica oleraanche a romperne la struttura cellulare e a cea), proprio come una buona renderle così meno “filacciose”, molto più e saggia “madre”, ha nutrito tenere e dolci al gusto. Le verze sono ottime e cresciuto con le sue foglie per essere consumate sia crude che cotte. Nel intere generazioni nei “secoli primo caso, sotto forma di gustose e dietebui” della storia dell’umanità. tiche insalate invernali; nel secondo come Nell’alto Medioevo, come cita elemento essenziale per la preparazione di il carolingio Capitulare de Vildiversi piatti della tradizione culinaria del lis, l’ortaggio ha rivestito una nord Italia, soprattutto della Lombardia. È il grande importanza alimentare caso degli involtini di verza, dei pizzoccheri e non solo per la dieta delle valtellinesi e della casoeüla, di cui le verze classi popolari: nel Duecenrappresentano un ingrediente fondamentale, to, come riporta una testinon solo per il sapore ma anche per la loro monianza di Salimbene da funzione “sgrassante” che consente di allegParma, era “pane quotidiano” gerire la pietanza solitamente preparata con nei conventi e non è un caso carne di maiale o d’oca. che il Liber de coquina (XIIIPrima di essere cucinate le verze vanno XIV secolo) si apra con dieci pulite accuratamente, Il cavolo verza non è solo un ortaggio dalle tagliandole in quarti e preziose virtù nutrizionali ma un ingrediente privandole delle foglie più esterne, danneggiaessenziale per la preparazione di alcuni piatti te o di consistenza più tipici della tradizione culinaria lombarda dura. Nelle antiche culture contadine gli scarti delle verze erano nutrimento fondamentale ricette a base di cavoli. Un per i maiali e gli animali della fattoria. Da qui, consumo e un prestigio che, forse, l’espressione “Salvare capra e cavoli”. In amplificati dai grandi ricettari quanto al detto “C’entra come i cavoli a medel quattro-cinquecento, durerenda”, considerate le sue numerose proprietà ranno sino al profilarsi della nutrizionali, non sarebbe inopportuno farne “concorrenza” delle verdure uno stuzzicante spuntino invernale. importate dal Nuovo Mondo.
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Se
Il cucchiaio verde Demetra, 2007 Un libro fondamentale sulle verdure: come riconoscerle e sceglierle, il profilo dietetico, i valori nutrizionali, la stagionalità, la preparazione più adatta. Centinaia di ricette, dagli antipasti ai primi piatti, dalle insalate ai secondi.
C’era una volta… la musica
Dischi
Ennio Morricone The Platinum Collection EMI, 2007 Sessanta brani che raccontano la straordinaria carriera del compositore romano.
Internet
www.enniomorricone.it La biografia, le composizioni e l’attività artistica di Ennio Morricone. Il passato, il presente e, soprattutto, il futuro di un maestro che a ottant’anni non ha nessuna intenzione di dire “basta”.
musicisti del cinema. Quelle pellicole non sarebbero la stessa cosa se non ci fosse stato Morricone. E mi rendo conto che la sua non è solo musica per le orecchie, ma racconto per il cuore e, soprattutto, immagini che si riescono a vedere con gli occhi chiusi o al buio, con gli occhi della mente. Morricone non suggerisce, non accompagna, non suggestiona. Evoca… il west con poche note di armonica, la Sicilia della violenza e della mafia con il metallico pizzicare dello “scacciapensieri”, il Messico con il suono di una tromba che lacera attraverso la sua potenza e la sua struggente malinconia. Il sole si fa immediatamente abbacinante, uomini eterni e fuori dallo spazio-tempo conosciuto si fronteggiano, la colonna sonora scandisce le immagini, con un fluire armonioso a cui, spesso, si unisce il canto, anch’esso strumento orchestrato, mai elemento principale a cui la musica fa da tappeto. La voce, quasi sempre femminile – a volte corale – sottolinea i momenti di maggiore Musica da film è sinonimo di Ennio Morricone: struggimento e di ricordo, la malinconia ottant’anni e oltre quattrocento colonne so- e la nostalgia. Perché nore all’attivo credete siano sufficienti…? in Morricone prevale sempre la sensazione abbiamo più bisogno di vedeche precedentemente qualcosa “c’era”, qualre qualche fotogramma o una cosa che oggi non c’è più: come il west da sequenza per riconoscerle… ci conquistare, l’America da sognare, la natura bastano pochi secondi della e la primitività umana da incontrare. C’è colonna sonora. Non si può sempre qualche cosa che “era” e che va celedire la stessa cosa di tutti i brato, anche con un canto funebre, ma mai film e, soprattutto, di tutti i con un silenzio che sappia di indifferenza.
» di Roberto Roveda
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chiama Morricone stesso, per distinguere la musica da concerto dalle colonne sonore per il grande e piccolo schermo, le composizioni a cui deve la sua fama mondiale. Nessuno ha avuto, infatti, la sua capacità e il suo talento nel far coincidere musica e immagini, suoni e inquadrature. Nessuno è riuscito come lui a identificare colonna sonora e film, facendo del suono un protagonista delle pellicole, sia che si trattasse dei prodotti di “routine” di onesti artigiani della celluloide, oppure dei magniloquenti barocchismi di Sergio Leone nella sua stagione di grazia. Proprio le opere di Leone ce ne danno la conferma: non
AA.VV Morricone Mondadori Electa 2007 Il volume ripercorre, in modo esauriente, la storia artistica di Ennio Morricone.
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Arti
Pieni anni Sessanta, la voce di Mina, affascinante come non mai, coinvolgente anche all’ennesimo ascolto: “Lo stupore della notte spalancata sul mar… se telefonando io potessi dirti addio, ti chiamerei…”. Faccio uno sforzo per distaccarmi da quella voce, dalle parole e dall’atmosfera che la canzone mi riporta alla memoria e mi concentro solo sulla musica. Tre note di tromba si ripetono sul tema principale e fanno da contrappunto alla linea vocale. Morricone si presenta così, con queste tre note ispirate dalle sirene della polizia di Marsiglia. Poi c’è tutto il suo mondo musicale, l’arrangiamento e l’uso fluido dell’orchestra, che si “muove” e musica il canto come se fosse un’unica mano a “far lavorare” gli strumenti. Questo è Ennio Morricone, l’autore di musica per film dalla straordinaria qualità compositiva, ma anche musicista a tutto tondo in grado di nobilitare la produzione leggera e di cimentarsi con successo nella composizione pura, scrivendo oltre cento musiche “assolute”… così le
Libri
Le grandi orecchie
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e
La capacità della rete di sor-
prenderci pare non avere limiti. Se è vero che rimane quantomai misterioso capire che utilizzo venga fatto dei dati personali degli utenti nelle piattaforme di socializzazione (social networking) da parte dei gestori delle stesse, meno “scandalo” pare esserci attorno al “controllo” esistente su quanto viene digitato nei motori di ricerca e nella posta elettronica degli utenti. Una cosa è certa: quello che sta dietro al nostro terminale è un territorio “democratico” dove siamo, indistintamente, tutti seguiti e studiati, anche quando ci scambiamo istantanee della nostra più banale quotidianità. In un recente scritto il giornalista Riccardo Staglianò* spiegava come Google, attra-
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Media
temperatura del vostro corpo è decisamete aumentata…? Bravi, lo dite ai vostri amici in perenne collegamento, lo raccontate sul vostro blog, lo comunicate nella vostra personale “vetrina” virtuale (Facebook, MySpace e via discorrendo). Oppure, digitate sulla vostra tastiera quelle semplici parole chiave legate alla sintomatologia influenzale (“influenza”, “naso”, “fazzoletto” ecc.) collegati al vostro motore di ricerca preferito alla scoperta di soluzioni immediate e ricette miracolose per superare il temibile virus. Bene, ora sapete che quel motore di ricerca non solo vi aiuta a trovare milioni di indirizzi (forse) utili, ma raccoglie tutto quello che scrivete trasformandolo in grafici e dati a uso e consumo – naturalmente “a fin di bene” – di non meglio precisate entità aziendali. Che cosa i motori di ricerca presenti in internet siano diventati è presto detto: possono essere considerati alla stregua di “super confidenti globali” sempre al nostro servizio. E le parole che digitiamo altro non sono che quello che più direttamente ci interessa: ecco perché l’insieme di tutto ciò fa sì che la ricerca in rete costituisca una vera “autobiografia inconscia”, personale e di massa. È un numero di dati spaventosi che, se analizzati, permettono di capire e verso il programma Google Flu mappare – forse meglio di decenni di studi Trends (più o meno “i trend sociologici – che cosa cerchiamo e vogliamo dell’influenza di Google”) sia dal mondo che ci circonda. Adesso, oggi, riuscito ad anticipare di alin tempo assolutamente reale. Chi siamo meno un paio di settimane veramente sta sulla nostra tastiera: desideri l’imminente ondata influensocialmente non filtrati, sogni liberi da zale che ha colpito parte degli qualsivoglia tabù. E oltre a cercare e cercare, Stati Uniti lo scorso febbraio. comunichiamo e diamo la nostra opinione Come? Semplice: analizzando ed esperienza su tutto e tutti: dall’auto da in modo mirato la posta eletacquistare alle caratteristiche che deve avere tronica degli ignari utenti. E la/il compagna/o ideale, per non parlare di come funziona è presto detto: politica, scelte economiche e modelli di vita. Accanto agli inquieL’intelligenza collettiva: la condivisione del- tanti interrogativi sulla l’immaginazione e delle conoscenze dell’in- protezione della privacy che inevitabilmente si tera società. Influenza di stagione compresa sollevano e su quanto quello che troviamo in prima di telefonare al vostro rete sia più o meno “filtrato” da altri a nostro medico, prima di recarvi in uso e consumo, è diventato oramai palese farmacia, molto prima di fil’attuarsi della teorizzazione dell’intelligenza nire definitivamente a letto collettiva elaborata più di un decennio fa dal per qualche giorno… prima di filosofo francese Pierre Lévy (classe 1956). tutto ciò a chi dite che i vostri Quell’intelligenza distribuita ovunque, conocchi sono arrossati e che la tinuamente valorizzata, coordinata in tempo
Libri
Pierre Lévy L’intelligenza collettiva Feltrinelli, 1996 Un manifesto politico sullo sviluppo delle (allora) nascenti grandi reti, supporto per fare sviluppare l’intelligenza collettiva e rendere effettiva la democrazia, intesa come partecipazione diretta dei singoli. Un vero classico.
» di Giancarlo Fornasier; ill. Tecnica T7
reale, che porta alla mobilitazione delle si sa, quello che si sa fare e i competenze. Nel suo studio antropologico rapporti che si instaurano con del cyberspazio (op. cit., 1996), Lévy sanciva tutti gli “altri”, piuttosto che i la nascita di un nuovo spazio definito “del classici valori come professiosapere” e caratterizzato proprio da un’intel- ne, età e status sociali. ligenza collettiva. Un quarto spazio secondo “Le conoscenze vive, il saper Lévy – dopo la Terra (gli antenati; un nome), fare, le competenze degli esil territorio (la famiglia; un indirizzo) e le seri umani stanno per essere merci (la professione; il consumo) – in cui riconosciuti come la fonte di tutti i saperi e l’immaginazione dell’intera tutte le ricchezze” scriveva umanità vengono messi in comune grazie alla Lévy. Ma chi avrebbe mai rete e alla crescita esponenziale delle persone immaginato che anche il più collegate. Lévy teorizzava altresì la nascita di intimo dei “miei virus” sareb“soggetti collettivi di enunciazione”, cioè di be servito a capire meglio le intelletti comuni che, attraverso lo scambio dinamiche caotiche di questo di idee e saperi, creano un processo senza fine pazzo, pazzo mondo…? di mediazione e una continua ridefinizione *Internet. Ora l’influenza si scopre dei valori. Sino ad arrivare a forme di “demo- così, articolo apparso su “la Repubcrazia in tempo reale”, dove conta quello che blica” del 13.11.2008
Gaetano Rizza L’intelligenza collettiva di Pierre Lévy ZeroBook, 2007 Che cosa sono l’intelligenza collettiva e la cinecarta? E la cosmopedia? Da McLuhan a Lévy e oltre, un illuminante saggio sulle frontiere avanzate del dibattito filosofico odierno riguardante il nuovo mondo della rete dei saperi.
Per spuntini, delizie e stuzzichini.
Quelle contagiose emozioni
Goleman Daniel Intelligenza emotiva Rizzoli, 1996 In questo saggio, Goleman riesce a fornire al lettore un nuovo criterio di interpretazione delle relazioni lavorative, e metodi chiari ed efficaci per stabilire vantaggiose relazioni interpersonali.
» di Nicoletta Barazzoni; illustrazione di Micha Dalcol
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Goleman Daniel Intelligenza sociale Rizzoli, 2006 Le relazioni interpersonali plasmano la mente e influiscono sul corpo. Lo psicologo americano ci svela che le emozioni sono contagiose come virus, proprio perché la nostra mente è predisposta all’alterazione.
studi di Goleman per dirci che siamo avvolti da un alone di mistero quando instauriamo nuove relazioni? Sapevamo che il frequentare persone negative porta a modificare la struttura del nostro cervello, che si nutre di emozioni al punto da condizionare la nostra li più scomodi – dovremmo stessa esistenza? La nuova scienza propugnata invece considerare gli aspetda Goleman ci dice, infatti, che percepiamo ti emotivi che ci governano. quello che l’altra persona sente e pensa. A più di dieci anni dal suo L’uomo può scegliere di essere costantemente bestseller Intelligenza emotiarrabbiato o perennemente felice e perciò, dal va, Goleman prosegue il suo momento che le emozioni creano un “campo studio con Intelligenza sociale, magnetico” nel quale si mescolano implicadimostrando come le relaziozioni di vario tipo, dovremmo cercare di non ni interpersonali plasmino la innalzare barriere tra noi e gli altri, poiché nostra mente, influenzino il impediamo a noi stessi di vivere sincronizzati, nostro corpo, le nostre scelte facendoci del bene. Relegando le sensazioni e il nostro destino. Fornensgradevoli, i ricordi dolorosi e le contrarietà doci una chiave di lettura, in della vita che non vogliamo affrontare, non un viaggio alla scoperta delle sfruttiamo le nostre risorse, ricorrendo all’auenormi potenzialità dell’inteltoinganno. Tra le scoperte più significative ligenza umana, l’autore esplodella scienza neuronale vi è, per esempio, la ra anche i misteri non ancora correlazione tra i rapporti conflittuali e l’aziocodificati della nostra mente ne dei geni specifici che regolano il sistema razionale. immunitario. Sembra dunque ovvio dire che Ma che senso ha individuare se ci arrabbiamo, e se nutriamo del rancore, nuovi ambiti di ricerca, scaci ammaliamo. Abbiamo sperimentato che il vando nei meandri della mennostro umore dipende La conoscenza di sé e l’empatia sono elementi dall’ambiente circoche nascono dall’intelligenza umana. Capa- stante che spesso ha regole proprie, dettate da cità costitutive della sfera emozionale, come variabili indipendenti e ci racconta Daniel Goleman soprattutto incontrollabili. Ma Goleman ci avverte che non è una questione triviale che te, per dirci che cosa succede le emozioni siano contagiose. Anzi, è molto quando gli occhi di un uomo importante per la nostra vita. Se abbiamo un incontrano quelli di una donfeedback dall’altra persona, sui suoi sentimenna? Quando la dopamina, il ti, il cervello sociale cresce velocemente e ci trasmettitore neuronico del permette di acquisire le abilità necessarie per piacere rilascia cascate di orinteragire affettivamente con l’altro. moni? Ci volevano proprio gli
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Società
Daniel Goleman è uno psicologo ottimista, uno studioso del cervello e delle emozioni. Travalicando le teorie dedicate alle interazioni degli individui egli si è dedicato allo studio degli aspetti intimi ed emozionali in un quadro di valorizzazione dei rapporti umani. Lo studioso – tra le altre cose collaboratore scientifico del “New York Times” – stabilisce una differenza tra empatia e intesa: un’attitudine individuale la prima, un’interazione tra persone che si scambiano modalità ed esperienze, la seconda. Dimostrando come le emozioni siano contagiose, e dunque siano degli autentici virus che possono intaccare la nostra vita, la neuroscienza affettiva parte dall’antico concetto aristotelico, secondo il quale l’uomo è un animale sociale, per giungere a definire il concetto di cervello socievole. Goleman sostiene che siamo programmati per connetterci poiché ogni interazione ha un substrato emotivo, con le sue specifiche transazioni, che non dovremmo mai sottovalutare. Affinché si possa evolvere, migliorando e recuperando i rapporti affettivi – anche quel-
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Bruno Brigo Oligoelementi e Litoterapici nella pratica clinica Tecniche Nuove, 1999 La prima citazione è il manifesto dell’oligoterapia catalitica, la seconda è la definizione della litoterapia dechelatrice. Deville Michelle, Deville Frédérick Gli Oligoelementi Ed. Mediterranee 2003 Il volume passa in rassegna gli aspetti fisico-chimici, biologici e terapeutici degli oligoelementi catalizzatori, arrivando a concepire l’oligoterapia globale.
fenomeni come l’inquinamento atmosferico e chimico-farmaceutico che favoriscono situazioni di blocco degli oligoelementi come attivatori enzimatici. Il ruolo degli enzimi, proteine di origine cellulare, è infatti quello di accelerare, attraverso l’azione catalitica, le indispensabili reazioni chimiche nell’organismo. Se poi si considera che gli enzimi si suddividono in “metallo enzimi” (che contengono nella loro strutura un oligoelemento) e in “metallo attivati” (che entrano in funzione in presenza dell’oligoelemento) comprendiamo come gli oligoelementi siano fondamentali per la nostra vita. Aggiungiamo inoltre che l’oligoterapia, oltre ai microelementi, utilizza anche minerali diversi che appartengono al gruppo degli elementi cosiddetti plastici (Zolfo, Fosforo) e degli elementi maggiori, presenti in grandi concentrazioni nell’organismo (Magnesio, Potassio). L’assunzione di queste sostanze deve naturalmente avvenire dopo una verifica delle carenze dell’organismo da parte del medico omeopata. Sulla base delle cosiddette diatesi – che sono i parametri di riferimento per la prescrizione degli oligoelementi – potrà Al pari delle vitamine, gli oligoelementi rap- essere indicata una cupresentano, nella loro funzione di attivatori ra idonea a risolvere i disturbi riscontrati. enzimatici, una componente essenziale per la Per quanto concerne salute e l’equilibrio del nostro organismo il mineralogramma – l’analisi tissutale di reni agricoli, l’utilizzo di cibi un campione di capelli che dovrebbe forpronti o preconfezionati hannire l’esatto disegno delle carenze minerali no notevolmente impoverito nell’organismo – è necessario sottolineare gli alimenti di queste sostanche sono pochissimi al momento i laboratoze. A ciò vanno aggiunte le ri in grado di fornire dati veramente attendialterazioni che nel nostro bili, in quanto molto elevata è la possibilità ciclo vitale sono indotte da di contaminazione dei campioni.
» di Elisabetta Lolli; illustrazione di Micha Dalcol
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nismo per una molteplice serie di ragioni: determinano l’azione degli enzimi, degli ormoni e delle vitamine a livello di tutti i tessuti dell’organismo, oltre a svolgere un ruolo essenziale nel metabolismo degli zuccheri, delle proteine e dei grassi e nella lotta contro i radicali liberi. La loro eventuale carenza può dunque innescare una serie di disturbi metabolici, endocrini, neurovegetativi e nel lungo periodo anche patologie di natura organica e funzionale. Il nostro corpo, non potendo produrre e immagazzinare una sufficiente quantità di queste sostanze, deve assumerle dall’esterno attraverso l’alimentazione. E sta qui il problema. Sì, perché gli alimenti super raffinati, le coltivazioni intensive dei ter-
Curarsi e guarire con “poco”
Salute
cile o facilmente confinabile all’ambito più specialistico delle competenze mediche. In effetti, l’oligoterapia, il cui nome deriva dal greco oligos (poco), rappresenta un’importante pratica medica che viene associata all’ambito delle terapie naturali. Le sue origini sono abbastanza recenti: nel 1894 il ricercatore francese Gabriel Bernard si rese conto che alcune sostanze presenti nel nostro organismo, ritenute alla stregua di scorie, svolgevano un ruolo fondamentale nella regolazione del metabolismo. Venne così a prodursi una corrente di studi che, attraverso le successive ricerche di Jacques Menetrier e Jean Suck, ha portato alla definizione di una metodica terapeutica di grande interesse. Ma cosa sono gli oligoelementi? Sono gli elementi chimici minerali presenti nel nostro organismo in quantità minime (Iodio, Arsenico, Bromo, Alluminio, Cobalto, Ferro, Rame, Nichel, Zinco, Manganese) e denominati anche ultramicroelementi a causa della loro ridotta concentrazione, inferiore allo 0,01%. Queste sostanze, pur in quantità così basse, sono indispensabili al benessere del nostro orga-
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Il termine può apparire diffi-
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» testimonianza raccolta da Fabio Martini; fotografia di Peter Keller
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del cattolicesimo. Vi è poi una sfida ad extra che sorge a partire dalle stesse argomentazioni, la trasmigrazione dei popoli, il rapporto con le religioni e le culture, le tensioni internazionali… le cose si fanno davvero difficili e la risposta può essere cercata solo in un ritorno all’essenzialità, a una maggiore semplicità da opporre all’ideologia del superfluo. È vero che in un mondo di benessere diffuso l’uomo, preso dalla materialità, sembra essersi dimenticato di Dio e questo è una delle cause del calo delle vocazioni almeno all’interno del vecchio mondo occidentale. D’altra parte, non c’è crisi delle vocazioni in Africa o in Asia, ma non è semplice… da Vescovo di Lugano dal 2003, alle spalle un lato il mondo occidentale una pluridecennale attività come educa- avanzato ma anche intriso di tore e rettore del collegio Papio, parla di materialismo e dall’altro culsé, del rapporto con il divino, delle sfide ture e popoli con sensibilità e idealità diverse. Per la Chiesa che attendono la Chiesa è arduo muoversi in modo vile. Attraverso l’incontro con omogeneo, senza limitare il proprio ruolo e i parroci, la comunità dei fedeintervento. Perché si determina un gioco di li, gli ammalati, gli anziani ma accelerazioni – là dove il contesto culturale lo anche le autorità e le varie repermette – e di frenate – per il timore che le altà che operano sul territorio anime più semplici si smarriscano in quanto ho modo di rendermi conto, non hanno ancora compiuto i passi culturali di tastare il polso delle diverintermedi –, un gioco che rischia però di bruse situazioni. Oggi la Chiesa ciare la frizione. Riguardo a questi temi trovo cattolica vive una stagione che il cardinale Martini, con le sue aperture, i di grande complessità e due, suoi scritti, i suoi interventi ci ha fornito delle a mio parere, sono le princiindicazioni forti per non restare ingessati pali sfide che l’attendono. La con la testa rivolta al passato. Una posizione prima la definirei ad intra in che ho cercato di mantenere anche nel mio quanto riguarda il suo corpo percorso personale che è per altro costellato interno. Si pone la necessità da fatti apparentemente fortuiti, eventi che, di individuare nuove forme rilettendo a posteriori, sembrano legati da un di comunicazione in un monfilo, da un unico motivo che potrei definire do che muta rapidamente… provvidenziale, come se una mano invisibile stiamo assistendo a un ritormi avesse guidato, un disegno i cui esiti non no di Babele, alla progressiva mi apparivano per nulla chiari, non ultimo il commistione di lingue, culfatto che un giorno sarei divenuto vescovo… ture ed esperienze all’interno la scelta del seminario di Lugano dopo che a dei nostri stessi territori. Il Milano fui considerato troppo giovane per confronto con questi temi è studiare teologia, per esempio, o quando il indispensabile, il che implica vescovo Jelmini mi mandò a studiare tedesco, un riflessione non solo sui una lingua la cui conoscenza ha rappresen“mezzi” ma soprattutto sui tato un fattore essenziale nelle relazioni che “contenuti” da trasmettere. la mia attuale funzione implica, o quando, Così come ci si deve connovello sacerdote, mi fu affidato il ruolo di frontare con l’evoluzione della educatore, che ha contrassegnato per oltre scienza e del pensiero filosofiquattro decenni la mia vita come insegnante co, perché si ha la sensazione e rettore del collegio Papio di Ascona… inche sia venuto meno quel somma, che la pietra scartata da altri seminari fondamento stabile, solido, divenisse la pietra angolare di una diocesi sicuro che per secoli ha conè un accadimento che non posso davvero trassegnato l’essenza profonda attribuire a una circostanza fortuita.
Pier Giacomo Grampa
Vitae
a mia giornata si svolge all’interno di moduli ripetitivi e ordinati ma con frequenti eccezioni e cambi di rotta. Mi sveglio alle 6:30 del mattino e il primo tempo, come penso sia comprensibile, lo dedico alla preghiera, in particolare alla celebrazione dell’Eucaristia, al rapporto con Dio al cui servizio ho posto la mia vita. La mia non è una natura contemplativa, sono piuttosto una persona attiva, e nelle poche preghiere che rivolgo ogni giorno al Signore chiedo che la mia fede sia costantemente rafforzata. Certo, è un rapporto intrigante, profondamente coinvolgente ma anche drammatico, non facile. “Credo, ma accresci la mia fede” è questa la mia preghiera. Perché anche nel vescovo credente c’è sempre un elemento di dubbio, di agnosticismo, di domanda. Quando poi la fede si distende serena, beh, allora è un mare tranquillo, senza venti avversi. Comunque… dopo la colazione e la lettura dei giornali, salgo in studio e mi occupo della corrispondenza che ricevo quotidianamente. Rispondo subito, senza indugi. Il tempo successivo è dedicato alle udienze, all’ascolto delle singole persone, dei rappresentanti delle istituzioni – fondazioni, commissioni diocesane, consigli parrocchiali – che devono riferire o domandare consigli al vescovo. Dopo il pranzo, che compio spesso in compagnia dei miei due collaboratori, mi rimetto subito al lavoro… non conosco la siesta. Il pomeriggio è dedicato agli incontri con il personale della curia, con i collaboratori e ad altre udienze. Quindi la preghiera del vespero e la cena con l’ascolto delle notizie serali. Il tempo successivo, prima del riposo, è riservato alle letture, alla preparazione di discorsi e scritti e alla riflessione sui diversi compiti che il mio ruolo comporta. Il venerdì, il sabato e la domenica sono invece spesso in visita pastorale che rappresenta uno dei compiti centrali della funzione vesco-
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L
L'IMMAGINE CHE CURA Ogni immagine ha sempre un “altro” e più recondito significato da quello immediatamente apparente. La fotografa Giosanna Crivelli racconta, attraverso il carattere fortemente archetipico dei suoi scatti, l’esperienza della malattia. E di come arte e creatività possano alleviare, con una sciamanica carezza, le ferite del corpo e quelle dell’anima
TESTO DI FEDERICA BAJ; FOTOGRAFIE DI GIOSANNA CRIVELLI
in apertura: Val Camadra, 1993 sopra: Val d’Antabia, 1997
Monte Generoso, 2002
L’
immagine presa in prestito alla natura, per un attimo. Per quella frazione di secondo in cui il dito indice sfiora il pulsante della macchina fotografica e rende un paesaggio, lo scorcio di un bosco d’inverno, un parete di montagna “tuoi”. Per sempre. In quello scatto si cela una cura possibile per le ferite del corpo e dell’anima. Scriveva Antoine de SaintExupery ne Il piccolo principe (1943): “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Le immagini di Giosanna Crivelli, la fotografa ticinese che da oltre tre anni sta cercando di vincere la sua battaglia contro il cancro, sono “pellegrine” alla ricerca del “quid” assoluto nascosto nelle profondità dell’inconscio, nei luoghi incontaminati dell’anima. Paradossalmente, proprio l’attacco sferrato alla parte fisica del suo essere è riuscito a portare a galla il significato “altro” delle fotografie scattate nel corso degli anni. Il mondo interiore emerge e con esso affiorano nuovi stimoli e nuove forze per continuare a vivere “col cuore”, a esplorare, a scoprire una strada ancora poco battuta: la via retta dell’essenziale. “Mi sono confrontata con la malattia a due riprese – racconta Giosanna – per qualche misteriosa ragione, il mio sistema immunitario non ha più funzionato. A quel punto è stata la mente a costruire le proprie difese e col suo aiuto sono tornate in superficie le immagini che ho saputo fermare nel flusso degli eventi. La fotografia è una forma di arte che porta, forse più di altre, a percepire le stratificazioni della realtà. Questa pratica mi ha preparata al momento inaspettato della mia vita, quello appunto della malattia”. La creatività, nel corso di questi ultimi tre anni, è dunque diventata per la cinquantanovenne fotografa di Montagnola una
Nepal-Mustang, 1991
risposta al “dolore” del corpo. Anzi, “La risposta”. I paesaggi ritratti in alcuni dei suoi lavori, che presentiamo in queste pagine, prendono la forma della vita e dei suoi significati. La loro sequenza è narrazione di un vissuto di malattia ma è anche la manifestazione artistica di una necessità: superare, attraverso la forza creatrice, i momenti più difficili dell’esistenza. Si tratta, in genere, di paesaggi montani che, secondo Giosanna, sono quelli più incontaminati, dove è maggiormente percepibile la forza archetipica e simbolica della natura. “Lo scalare una montagna – spiega – rappresenta per me un’escursione del pensiero. Alle pendici dei monti, durante l’ascesa o sulle vette percepisco un potenziale di racconto visivo e di trasmissione di emozioni e di significati che difficilmente trovo altrove. In fondo però, il luogo ideale da ritrarre non esiste. È dove tu sei, in quel particolare momento della tua vita”. Ecco allora che il panorama oltre la finestra o il bosco dietro casa diventano microcosmi da osservare con “occhi diversi”. “È accaduto anche a me – racconta – nei momenti più delicati della mia malattia, quando le forze fisiche dovevano essere spese con attenzione. Ogni tanto facevo due passi nel bosco dietro casa. Proprio lì ho scattato la mia prima foto dopo che ho saputo di essere malata. Prima di quell’evento non l’avrei mai fatta una foto così: un groviglio di rami secchi e un’unica foglia, dei colori dell’autunno, ancora appesa. In questo caso il significato simbolico è evidente ma in altre fotografie non è sempre immediatamente percepibile”. Il “viaggio” sulle tracce del vissuto intenso della fotografa ticinese inizia, come ogni viaggio, con un bagaglio. Una valigia pesante e leggera allo stesso tempo.
Reportage
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Al suo interno, riposte in ordine sparso, una sopra l’altra, senza didascalie di spazio e di tempo, otto fotografie. Immagini che, pur ritraendo la realtà, si possono considerare a tutti gli effetti astratte. La “Cascata in Val Camadra” mette in evidenza un particolare: da un foro scavato nella roccia esce il flusso centrale dell’acqua. È l’origine, dove due elementi apparentemente opposti – l’acqua e la roccia – si incontrano e si scontrano eternamente come accade nei moti dell’animo dell’essere umano. “Neve e aghi di larice” è simbolo allo stato puro. Una nevicata in Val Marobbia, aghi di larice immediatamente sotto lo strato bianco e altri, sfocati, ancora più in profondità. “Mi erano rimasti solo sei scatti nella pellicola – racconta Giosanna – così, senza pensarci troppo, ne ho fatti due. Il caso ha voluto che una delle due foto risultasse perfetta. Non so nemmeno io come sia stato possibile. Forse il lasciarsi andare, il non volere controllare tutto a ogni costo è stato provvidenziale. Questa è diventata un’immagine fondamentale del mio «guardare fotografico»”. Il concetto di stratificazione della realtà è rappresentato dagli aghi di larice. Alcuni sono ben in evidenza, altri lo saranno appena si scioglierà la neve. Magari una folata di vento li porterà via ma la storia, la vita, l’esistenza continueranno. Inesorabilmente. È invece una metafora del visibile e dell’invisibile l’immagine che ritrae una parte di paesaggio del Monte Generoso nel periodo invernale, poco prima del tramonto. Sono raffigurati due scorci di montagna. Uno “geometrico” sulle cui pendici si intravedono sottili venature lasciate dal passaggio degli animali al pascolo. Sull’altro, più morbido e collinare, un sentiero non ha né inizio né fine. “Questa foto – commenta Giosanna – rappresenta il mistero. Chi guarda
ha il privilegio di inventarsi un prima, un dopo, un oltre…”. Nel “Pianasciòm - Val d’Antabia”, la roccia si fa pensiero libero e immateriale. Immediatamente dietro la “montagna in miniatura” una serie di stratificazioni di pietra richiamano i periodi della vita: quelli passati, quelli ancora da vivere e quelli che non sperimenteremo mai. Dallo scatto “Anvéuda-Preda di Ganosa” la nebbia che si dissolve lascia spazio a qualche flebile raggio di sole, creando un gioco di luci unico. “È un’immagine mistica – spiega la fotografa – che sembra provenire da un’altra dimensione. La luce non sembra il riflesso del sole ma pare manifestarsi dall’interno della roccia stessa”. Ancora neve e montagne in “Mustang-Nepal”: un paesaggio pittorico in cui si percepisce il ritmo cadenzato creato dalla forma delle montagne che si fondono e si confondono con il blu tenue del cielo. “Penso che ogni foto possieda una forma di ritmo interno – spiega Giosanna – e così è nella vita. Ogni esistenza custodisce un ritmo che nasce dagli eventi che non possiamo prevedere o controllare. Ma l’uomo è comunque artefice del proprio destino. È l’attore protagonista della sua vita. In questo bisogna crederci. Fino in fondo. Poi certo, andrà come andrà”. Il simbolo della trasformazione eterna, dello Ying e dello Yang, della vita e della morte è “Polvere di Greina”. Elemento naturale preferito da Giosanna, la neve arriva e se ne va, per poi tornare ancora al primo freddo. Si scioglie e ci lascia ma sappiamo che, prima o poi, tornerà a “riscaldarci” i cuori. Infine, eccolo il bosco, quello vicino a casa. Una forte nevicata trasforma l’aria e lo spazio circostante in una “parete virtuale” dietro la quale si intravedono gli alberi spogli. Nei loro rami, come nelle vene, scorre, in un ciclico flusso, la linfa vitale.
Nel vivere quotidiano come nelle sue avventure in giro per il mondo, la fotografa ticinese è alla continua ricerca di quell’eterno panta rei, di quel “tutto scorre” che non ha né inizio né fine e che, proprio per questo, merita di essere indagato con la forza dell’immaginazione. Non a caso, in uno dei suoi ultimi viaggi, Giosanna si è fermata a lungo a contemplare la sorgente di Fontainede-Vaucluse, nei pressi di Avignone, di cui non si conosce l’origine. Un luogo mistico dove soggiornò in un periodo della sua vita Francesco Petrarca. Le sue acque pare siano proprio quelle “chiare, fresche e dolci” del componimento dedicato all’amata Laura. In Giosanna si fa sempre più vivo un desiderio: tornare presto sulle orme del poeta e, come lui, poter raggiungere la cima del monte Ventoso, la cui ascesa è descritta ne La lettera del Ventoso, una delle prime documentazioni scritte che testimoniano la scalata di una montagna. Recita un brano dell’epistola petrarchesca: “Oggi finalmente con un servo ciascuno abbiamo scalato il monte non senza difficoltà: la mole del monte è infatti sassosa, scoscesa e quasi inaccessibile; ma ben disse il poeta: l’ostinata fatica vince ogni cosa”.
Giosanna Crivelli Sottoceneri, montagne emerse dal mare SalvioniEdizioni, 2004
GIOSANNA CRIVELLI - www.fotolife.ch Nata nel 1949, vive a Montagnola. Lavora come fotografa indipendente in campo pubblicistico ed editoriale. Organizza corsi di fotografia in vari ambienti sia naturali che urbani. Collabora per progetti specifici con le scuole del Cantone Ticino. Tra i temi fotografici a cui si dedica segnaliamo il paesaggio archetipico, la trasformazione del paesaggio contemporaneo, la fotografia autobiografica. I suoi interessi comprendono lo sci e la bicicletta, attività importanti per la ricerca del proprio baricentro fisico e mentale. Ama i libri e i viaggi, che contribuiscono a modificare e a intensificare la sua visione del mondo. Pubblicazioni recenti: Fotolinguaggio (Edizioni Casagrande), Gotthard, das Hindernis verbindet (Werd Verlag), Sottoceneri, montagne emerse dal mare (SalvioniEdizioni), Quel paesaggio così calmo ed eterno - La Collina d’Oro di Hermann Hesse - Visioni (Fondazione Hermann Hesse), Spazio-Raum - Spazi Greina (Desertina)
Per far concorrenza a Babbo Natale: la carta regalo.
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MUSiCA… OVUNQUE A BORDO Di UNO DEi MiTiCi PULMiNi VOLKSWAGEN, SiMBOLO DEGLi HiPPY ANNi SESSANTA, TAO E LA SUA BAND RiNNOVANO LO SPiRiTO DEL ROCK NELLE STRADE E NELLE PiAZZE
Tendenze
Come dice il proverbio: “Se Maometto non va alla montagna, è la montagna ad andare da Maometto”. Tao, cantautore milanese di nascita, ma cittadino del mondo come spirito, non si arrende davanti alle difficoltà e ha saputo fare propria la massima della tradizione. Il mercato discografico è in crisi, la gente è pigra e non va ai concerti, i locali preferiscono la piattezza digitale del Cd a una band dal vivo? Bene, è la musica ad andare dal pubblico, direttamente, ma soprattutto gratuitamente. Nasce così l’idea della Tao Love Bus Experience, un rock ‘n roll tour a bordo del mezzo di trasporto simbolo degli Sessanta e Settanta, il pulmino Volkswagen.
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Ma come nasce un’idea come questa?
Non nasce di punto in bianco. Fino a un certo punto ho seguito la via tradizionale per fare musica, ben sapendo che non volevo essere un artista di nicchia, che fa musica colta per pochi. Se c’è una cosa che mi piace, scusate il gioco di parole, è piacere a più persone possibile. Allo stesso tempo non volevo andare in una delle major della discografia dove tutto è standard: tu sei un prodotto e il loro compito è plasmarti a seconda del target che vogliono raggiungere. Perciò mi sono dato da fare in proprio, ho creato un’etichetta discografica mia, mi sono fatto un gran mazzo per diffondere la mia musica, soprattutto attraverso canali innovativi e alternativi, primo fra tutti internet. Però non bastava, soprattutto non mi bastava.
1 Cosa ti ha fatto decidere di dare una svolta alla tua carriera? Diciamo che la svolta si è fatta strada dentro di me lentamente, ma inesorabilmente. Nel 2005 avevo pubblicato il mio primo album, Forliverpool, avevo fatto un viaggio Londra pieno di suggestioni, non solo musicali. Poi mi sono comprato il pulmino Volkwagen, per soddisfare un desiderio, senza un progetto vero e proprio. Ero sicuramente alla ricerca di qualcosa… Nel frattempo, quasi casualmente, mi sono trovato a riscoprire le radici del beat, dalla beat generation ai “figli dei fiori”, alla musica West Coast. Soprattutto lo spirito di aggregazione, la voglia di stare assieme.
1 Ti sentivi anche tu un po’ un hippy alla ricerca di un mondo diverso? Più che altro ho sentito un vuoto che il pulmino poteva, in un certo senso, riempire: poteva diventare un mezzo
per aggregare, per fare musica e vacanze assieme. E qui si è fatta strada l’idea di creare un salotto rock e andare in giro a suonare.
1 Pronti via e si parte?
Magari! Quando parlavo della mia idea mi davano del matto! Poi ho incontrato una persona, Andrea Borgnino, che oggi è il mio fonico, che mi ha detto “perché no?”. Ha cablato il pulmino, lo ha allestito con un piccolo mixer e degli amplificatori sul tetto, mi ha aiutato a risolvere una marea di problemi tecnici e pratici. Abbiamo svuotato l’interno in modo da poterci stare io, con la mia chitarra, un basso e la batteria essenziale.
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E poi nasce la grafica che caratterizza l’esterno del pulmino… Veramente siamo partiti con una grafica più minimalista; quella attuale, tra il rock ‘n roll e lo psichedelico, è stata realizzata quando il progetto ha preso forma più concretamente. E poi il primo concerto, nel dicembre 2005, è stata un’esibizione estemporanea, una “botta e via”. Era un momento difficile, era appena morto mio padre, ero senza energia. La sua scomparsa, che si aggiungeva a quella di mia madre pochi anni prima, mi aveva lasciato senza radici. Mi sentivo solo in una città, Milano, che avvertivo lontana, indifferente e fredda.
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In effetti Milano dà questa impressione…
Già, ma era in me che doveva scattare qualcosa. Dopo un anno, il 2006, di travaglio e di riflessione, ho capito che l’idea del pulmino poteva dare davvero una svolta effettiva alla mia carriera, alla mia vita. Basta, mi sono detto, se ho talento lo porto in giro, senza filtri, senza distanze. E qui è scattata la scintilla. I concerti con il Tao Love Bus, il fatto che io portassi la mia musica tra la gente e che la reazione delle persone fosse entusiasta, elettrica, mi ha fatto comprendere che fino ad allora avevo un’idea limitata del mio essere musicista. Mi sono accorto che davo e ricevevo, che superavo l’indifferenza. Che la freddezza che mi circondava, che quei milanesi, prima tanto distanti, piano piano si scioglievano. E ritrovavo le mie radici, le radici del mio essere musicista, quelle che mi sembrava di aver perso.
1 A questo punto è partito il tuo progetto di creare
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Si, perché ho rotto il muro che mi divideva dalla gente, un muro che io per primo avevo eretto: ero senza palco, immerso nel pubblico, allo stesso livello di chi mi ascoltava, occhi negli occhi a suonare i miei pezzi e quelli della storia del rock, dai Rolling Stone a Jeff Buckely, passando per David Bowie e Lou Reed. Da quell’energia è nato il mio secondo album, L’ultimo James Dean.
Guarda, ho suonato in tante manifestazioni, dai festival al Motorshow di Bologna. Però non c’è nulla come accendere il motore, andare in una via in mezzo alla gente e cominciare a suonare. Magari arriva la polizia e cerca di farti una multa per disturbo della quiete pubblica… ma vuoi mettere il piacere di rischiare… prima o poi ci provo anche da voi, nel Canton Ticino.
un vero e proprio rock tour?
Ora, dopo novanta concerti fatti in buona parte d’Italia, la sensazione è rimasta?
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A folgorarlo sulla via del gusto L’intensa formazione all’estero. Il rapgiura che è stata una memoporto con i grandi cuochi. La spiritualirabile charlotte russe portata in dono nientemeno che da tà e i viaggi in Oriente. Quindi la svolta Angelo Conti Rossini. Allo- che ha portato lo chef ticinese Pietro Lera Pietro Leemann aveva solo emann a divenire uno specialista assoquindici anni, ma capì subito luto nell’ambito della cucina naturale
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» di Sefania Briccola; fotografia di Adriano Heitmann
Gastronomia
cosa avrebbe fatto da grande. Galeotto fu quel dolce, ideato da Carême per lo zar di Russia, e il cuoco ticinese che lo preparò al futuro allievo. Di lì a poco Pietro Leemann avrebbe spiccato il volo da Minusio ai templi sacri del gusto in Svizzera e oltre il confine, fino a spingersi alla volta dell’Oriente. La sua formazione nell’arte culinaria è stata un lungo apprendistato che ancora oggi prosegue. Ha lavorato nelle cucine dei ristoranti dei grandi maestri come un tempo gli artisti andavano a bottega per carpire i segreti del mestiere. I suoi mentori sono stati gli svizzeri Angelo Conti Rossini “il più grande cuoco ticinese del secolo scorso che ha dato una svolta alla ristorazione nel nostro territorio”, Fredy Girardet, “uno chef leggendario e passionale capace di far nascere i suoi piatti all’istante”, e l’italiano Gualtiero Marchesi “un intellettuale della cucina, sempre attento alla cultura del piatto”. Abbiamo incontrato Pietro Leemann a Milano nel suo “Joia”, il primo ristorante vegetariano europeo ad aver ricevuto una stella Michelin nel 1996. È un angolo di quiete inaspettato nel caos del capoluogo lombardo. Il riferimento al vegetarianesimo è però riduttivo per definire l’alta cucina naturale di Pietro Leemann, alla cui base sta un concetto in cui cibo e filosofia si coniugano al più alto grado. L’illuminazione per il gusto è frutto di una ricerca profonda che lo ha condotto dalla Svizzera a Milano passando per Shanghai e Osaka. Un po’ come gli antichi cavalieri cercavano il Graal e la saggezza perduta attraverso un lungo cammino. Lo chef, tra i più creativi del momento, fonde la tradizione della grande cucina italiana e francese con la cura e l’essenzialità di quella orientale. “Cucino innanzitutto per dare piacere ai miei clienti – ci spiega Pietro Leemann – così come fa una mamma per i propri figli. Considerato l’aspetto fondamentale del gusto, se ne aggiunge un secondo legato alla salute. Il piatto deve essere buono, ma anche rappresentare un valido nutrimento per il corpo senza dimenticare che noi siamo quello che mangiamo e la scelta del cibo ci trasforma rendendoci più o meno consapevoli di noi stessi”. Il cuoco non inventa nulla, ma esalta la materia prima. L’idea di gusto parte dal piacere autentico legato alla natura. Da questo punto di vista, Leemann si pone all’estremo opposto rispetto alla cucina molecolare di Ferran Adrià e di altri chef che propongono
una trasformazione chimicofisica degli alimenti: “Trovo che questo tipo di cucina sia un controsenso. Per fare un esempio banale, è come paragonare una passeggiata nella natura alla luce del sole a una serata trascorsa in una discoteca buia in mezzo al frastuono dei suoni. Il mio approccio è differente, più legato alla dimensione spirituale”. Nell’arte sopraffina di esaltare il gusto del cibo naturale Pietro Leemann si distingue realizzando scenografiche pietanze multisensoriali in cui gioca con forme, colori e sapori, tra l’ironia di Magritte e le provocazioni dei futuristi. Ma c’è di più. La sua cucina vuole ripristinare il rapporto fra uomo e natura e l’armonia perduta: “Gli ingredienti scelti devono essere trattati il meno possibile. Mi oriento verso l’alimentazione biologica che rappresenta anche una garanzia etica. Se la verdura biologica è priva di sostanze chimiche quella biodinamica rappresenta uno stadio superiore perché nella coltivazione si ripristina l’equilibrio del terreno. La purezza primordiale della natura è stata completamente alterata dall’uomo. La mia cucina va nella direzione del ripristino di questa armonia perduta”. La scelta del vegetarianesimo è maturata in Oriente attraverso l’approfondimento delle grandi tradizioni spirituali e in seguito rintracciando l’idea di un perfetto riequilibrio psicofisico connesso alla nuova filosofia di vita. Questo tipo di alimentazione si traduce sempre in una proposta nel segno dell’insegnamento steineriano. “Cucinare – sottolinea Leemann – è un atto d’amore, ma anche una missione etica se pensiamo che il cibo può trasformare le persone. Mi accorgo di avere grande responsabilità nei confronti di chi mi presta attenzione. Tra i sogni nel cassetto c’è quello di poter dare delle indicazioni alle mense delle scuole in Ticino dove abito con moglie e figlie. Un’alimentazione con meno grassi e più verdure è l’ideale per la salute di tutti”. Il guru della cucina vegetariana non è d’accordo con la sottocultura delle cene in piedi e dei fast-food che assimila alla tv spazzatura. Il suo modello è quello del più semplice degli alimenti che diventa perfetto se assaporato fino in fondo stando seduti al tavolo. Non a caso è stato invitato da Claudio Rossetti a far parte del gruppo dell’Arca dell’utopia di Ascona per dire la sua. Nell’era in cui gli chef sono diventati ormai delle star globali viene spontaneo chiedergli se non pensa di aprire un ristorante a New York o a Shanghai. Leemann risponde secco: “Per ora mi basta Milano. Se prima ho ricercato, viaggiando in tutto il mondo, adesso la ricerca avviene dentro di me”.
Il Sole transita nel segno dello Sagittario dal 23 novembre al 22 dicembre Elemento: Fuoco - mobile Pianeta governante: Giove e Nettuno Relazioni con il corpo: fegato, arti inferiori Metallo: stagno Parole chiave: generosità, espansione, curiosità
» a cura di Elisabetta
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Mercurio e Marte di transito nella vostra nona casa solare nell’amico segno del Sagittario, favoriscono l’attuazione di un viaggio. È il momento buono per concedersi un po’ di svago, vista anche la scarsa concentrazione sul lavoro.
Giove e Venere in quadratura potrebbero spingervi a impegnare gran parte delle vostre risorse economiche in spese di ristrutturazione o di abbellimento della vostra casa. Attenti però a non compiere il passo più lungo della gamba.
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Momento idilliaco per le situazioni sentimentali, favorite da Venere in Capricorno. Grazie ai concomitanti aspetti, tra Saturno e Giove, le relazioni sentimentali che nasceranno nel corso di questo arco di tempo potranno contare su solide basi.
Condizione davvero eccezionale per impegnare un po’ di energie sulla vostra immagine. Grazie a un’ottima congiuntura astrale potrete sviluppare la promozione di voi stessi, con conseguenze ottime su ogni vostra attività.
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sagittario
Sole, Marte e Mercurio in opposizione. State lavorando troppo senza riuscire a canalizzare le vostre energie verso il raggiungimento di un vero obiettivo. Rischiate la dispersione e forti stress nervosi. Meno irascibilità e maggiore attenzione alla guida.
Grazie alla congiunzione tra Mercurio e Marte la settimana è caratterizzata da un filo diretto tra pensiero e azione. Spirito critico fortemente aggressivo sostenuto da idee penetranti e sicure. Si consiglia una maggior cautela nella guida.
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Sbalzi umorali per i nati della seconda decade provocati dal transito di Marte e di Mercurio nella vostra sesta casa solare. Troppo movimento, troppa frenesia, potrebbero minare il vostro stato di salute. Progetti matrimoniali per i nati nella terza decade.
Il mese inizia segnato dall’incontro di Venere con Giove. Grazie a questa felice configurazione i nativi nella terza decade saranno sferzati da una ventata di ottimismo. L’amore sarà al centro di ogni loro iniziativa. Euforia e generosità.
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Grazie agli ottimi pianeti in Sagittario, dicembre sarà un mese favorevole. Incontri sentimentali, atmosfere passionali e un sacco di energia da spendere. Momento ideale per impegnarsi in una competizione sportiva, o per scatenarsi in una festa da ballo.
Fra il 2 e il 4 dicembre la Luna transiterà nel vostro segno. Siccome questo aspetto sarà sostenuto, oltre che da Nettuno, anche da un iperdinamico sestile dal Sagittario, il periodo si presenta particolarmente felice dal punto di vista creativo.
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Periodo complicato, caratterizzato da numerosi e imprevedibili cambiamenti. Prima di partire in quarta, cercate di focalizzare quello che esattamente desiderate. Marte e Mercurio in quadratura potrebbero spingervi a dire una parola di troppo.
Mercurio, Marte e Urano vi spingono ad assumere atteggiamenti polemici. Cercate di controllare la vostra impazienza, ma soprattutto evitate di esprimere giudizi affrettati. I nati nella seconda decade dovranno essere prudenti nella pratica sportiva.
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Dal punto di vista mitologico il segno del Sagittario conserva in sé parte degli aspetti di ambivalenza che avevano caratterizzato lo Scorpione. Non a caso il segno si lega ai due miti, simbolicamente contrapposti di Chirone e Issione. Il primo era infatti considerato come il più saggio e benevolo dei Centauri. Generato da Crono – che all’atto del concepimento assunse forma di cavallo, da cui la doppia natura del nascituro – e da Filira – figlia di Oceano –, egli appartiene alla stessa generazione divina di Zeus. Solidale con gli uomini, Chirone allevò Achille, Giasone, Asclepio e lo stesso Apollo. Il suo insegnamento includeva la musica, la medicina, la morale e l’arte della guerra. Ferito accidentalmente da Eracle ottenne, lui che era immortale, il diritto al riposo eterno da Prometeo. All’opposto, Issione ricopre nella mitologia greca un ruolo analogo a quello di Caino nella tradizione biblica: re della Tessaglia, fu infatti il primo uomo a uccidere un congiunto, il suocero Deioneo. Colpito da follia in seguito al senso di colpa innescato dal delitto commesso, fu assolto da Giove che ne ebbe pietà. Ma una volta entrato nel cielo olimpico, venne attratto a tal punto da Era da tentarle violenza. L’atto provocò l’indignazione di Giove che, creata una nube con le fattezze della dea, spinse Issione a unirsi a essa provocando il concepimento di Centauro, mezzo uomo e mezzo cavallo. Mentre nel mito di Chirone si sottolinea l’aspetto glorioso della dedizione alla saggezza e l’aspirazione all’elevazione spirituale, in Issione domina la componente più istintuale e irrazionale, foriera di comportamenti autodistruttivi, elemento che tende a comparire nei soggetti che presentano nel proprio oroscopo la Luna o Venere nel segno del Sagittario.
“… corrien centauri, armati di saette”
Sagittario
*Dai concessionari che partecipano all‘iniziativa.
Nuova Honda . Il buon senso fa tendenza.
Âť illustrazione di Adriano Crivelli
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1. Subbuglio, trambusto • 10. È ai piedi del Gottardo • 11. Si affiancano spesso ai consumi • 12. Crocifera perenne • 14. Prep. semplice • 15. Una nota e un articolo • 16. Il nome di Pacino • 17. Anestesia • 20. La Anaïs scrittrice • 22. Li coccolano i nonni • 24. È noto quello di Pitagora • 26. Cava centrale • 27. Impronta • 28. Il nome
della poetessa Negri • 30. Il nero del croupier • 31. Fiume egiziano • 33. Locazione • 35. È bella ma stupida • 37. Il calice usato da Gesù nell’ultima cena • 38. Spinta iniziale • 40. Art. spagnolo • 42. Corto, succinto • 44. Il re di Shakespeare • 47. Avanti Cristo • 48. Accigliato, burbero • 50. Eccitazione nervosa • 52. Le Lipari • 53. I confini di Arogno.
1. Il patrono degli animali • 2. Chiacchierone • 3. È ghiotta di miele • 4. Parola francese • 5. Un pianeta • 6. Il pupo dell’Iris • 7. Fa coppia con lei • 8. Appartata • 9. Dittongo in Coira • 13. Grinza intorno agli occhi • 18. Restare • 19. Il pronome dell’egoista • 21. Eleggere • 23. La nota Za-
nicchi • 25. Quasi unico • 29. Vegetale acquatico • 32. Olio inglese • 34. Cons. in Luigi • 36. Promontorio laziale • 39. Fuggiti di galera • 41. Bella località grigionese • 43. Uno dei cinque Grandi Laghi • 45. Bagna la Grecia • 46. Associazione Nazionale • 49. I confini di Comano • 51. Paesi Bassi.
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Le soluzioni verranno pubblicate sul numero 51. 38
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A quale romanzo appartiene il seguente finale? La soluzione nel n. 51 Al vincitore andrà in premio “Santa Maria del Bigorio” di Fra R. Quadri e P.G. Pozzi, fotografie di E. Riva, Fontana Edizioni, 2008. Fatevi aiutare dal particolare del volto dell’autore e inviate la soluzione entro giovedì 4 dicembre a ticino7@cdt.ch oppure su cartolina postale a Ticinosette, Via Industria, 6933 Muzzano. “Il puntale della stecca colpì la palla di battuta, la palla di battuta colpì la numero tre e la numero tre, rossa e silenziosa, rotolò sul panno verde, urtò la sponda, ridiscese dolcemente e s’infilò nella buca d’angolo”.
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La soluzione a L’avevate visto? si trova sul numero 27. Il vincitore è: F.S., Friborgo.
Novità: Gerber Fondue Surchoix. Con formaggio svizzero scelto e abricotine del Vallese DOC.
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Cogliete l'ispirazione di incantevoli idee regalo in una delle nostre settanta filiali. www.beldona.ch