Ticino7

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L’appuntamento del venerdì

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numero

19

XII

08

Reportage

Quello che mangerei ogni giorno Agorà Le vie della Bibbia all’economia Arti Edoardo Berta. Funerale d’inverno Animalia Il pesce combattente tailandese

Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Giornale del Popolo • Tessiner Zeitung

CHF. 2.90

con Teleradio dal 21 al 27 dicembre


Pur chocolat, pure emotion.


numero 52 19 dicembre 2008

Impressum Tiratura controllata 90’606 copie

Agorà Le vie della Bibbia all’economia

DI

SILVANO TOPPI

Arti Edoardo Berta. Funerale d’inverno

DI

GIANCARLO FORNASIER

Media Pubblicità. Seduzioni mascherate Kalendae L’albero di Natale

DI

DI

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NICOLETTA BARAZZONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

FRANCESCA RIGOTTI

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Chiusura redazionale Venerdì 12 dicembre

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Vitae Meinrad Perler

DI

FABIO MARTINI

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Reportage Quello che mangerei ogni giorno

DI

FEDERICA BAJ

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Direttore editoriale Peter Keller

Capo progetto, art director, photo editor

Adriano Heitmann

Redattore responsabile Fabio Martini

Animalia Il pesce combattente tailandese. Un racconto

DI

PIERO SCANZIANI

............

4 6 8

12 14 39 48

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Coredattore

Giancarlo Fornasier

Concetto editoriale IMMAGINA Sagl, Stabio

Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Libero pensiero

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Sotto una coltre colorata Fotografia di Adriano Heitmann

Cari lettori, neve, presepi, alberelli… il Natale è ormai alle porte e offre l’occasione per rivolgere a tutti voi un ringraziamento doveroso e caloroso. Il 2008 è stato un anno di cambiamenti per Ticinosette (ma sono in molti a chiamarlo ancora Teleradio) che oggi si presenta come un settimanale profondamente rinnovato nell’aspetto e nei contenuti. A qualcuno la novità non è piaciuta, molti altri l’hanno invece gradita e così, dopo il primo e prevedibile spaesamento, sono inziati a crescere i segni di attenzione e di coinvolgimento da parte di lettori di ogni età: dai giovanissimi a chi invece qualche capello bianco sulla testa lo porta ormai da tempo. Con le vostre lettere avete contribuito alla riflessione e allo sviluppo di parecchie idee all’interno della redazione. Grazie. Forse è un atto di presunzione ma crediamo di essere riusciti a esprimere e a raccontare quanto di importante, e a volte di meno piacevole, il cantone ci riserva. Certo, il momento non è dei più propizi, il 2009 sarà un anno duro, da affrontare con senso di responsabilità e con la consapevolezza che le scelte da compiere ricadranno a lungo sulle future generazioni. Un bel dilemma.

Serviranno coraggio e saggezza, equilibrio e al contempo intraprendenza. Ma la Storia è questa… esige impegno, sudore e fatica. Resta la sospensione temporale offerta da questi giorni di festa, una breve tregua prima della probabile tempesta. Cerchiamo di godercela nel tepore degli affetti familiari e delle nostre più care amicizie, ricordando le parole di speranza del poeta giapponese Hirokazu Ogura: “Perché dappertutto ci sono cosi tanti recinti? In fondo tutto il mondo è un grande recinto. Perché la gente parla lingue diverse? In fondo tutti diciamo le stesse cose. Perché il colore della pelle non è indifferente? In fondo siamo tutti diversi. Perché gli adulti fanno la guerra? Dio certamente non lo vuole. Perché avvelenano la terra? Abbiamo solo quella. A Natale – un giorno – gli uomini andranno d’accordo in tutto il mondo. Allora ci sarà un enorme albero di Natale con milioni di candele. Ognuno ne terrà una in mano, e nessuno riuscirà a vedere l’enorme albero fino alla punta. Allora tutti si augureranno Buon Natale! a Natale, un giorno”. E allora, davvero Buon Natale e Buone Feste a tutti. La redazione


Le vie della Bibbia all’economia

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Agorà

O

spitata negli studi televisivi alla stregua di un prodotto che fa ascolto, letta in pubblico da attori e persino da politici, riproposta alla maniera di dramma medievale, la Bibbia ritorna protagonista. Non sto a chiedermi il motivo di questo revival. Giro la domanda sull’attualità. Ad esempio: si può pensare a un approccio biblico, supponiamo un approccio curioso e laico, che aiuti a giudicare da un altro angolo di vista la situazione economica attuale? Il sogno del Faraone – in cui si incappa nel primo libro, la Genesi, al cap. 41: le sette vacche grasse e le sette vacche magre, le sette spighe gonfie di grano e le sette spighe striminzite e vuote, arse dal vento – e l’interpretazione che ne dà Giuseppe, il giovane schiavo ebreo venduto al funzionario Potifar dai fratelli gelosi, può già essere un buon punto di partenza. Anche perché fa parte del nostro bagaglio immaginario ed è una lezione entrata nel senso comune. Chi non si ricorda o non ha citato quella storia delle vacche? Giuseppe, superiore agli sprovveduti sapienti organici del Faraone (che potrebbero essere l’equivalente di molti previsionisti o istituti di analisi economica attuali) appare come il primo ideatore della teoria dei cicli economici e il primo governante che applica una politica anticiclica, di cui oggi si sta proclamando ai quatttro punti cardinali l’urgenza. Persino in Svizzera.

La sapienza del tempo Il tempo, nella narrazione biblica, proprio come fenomeno ciclico, appare iscritto nella natura, nell’ordine dell’universo, in quella Sapienza rappresentata da Giuseppe. Bisognerà attendere il XIX secolo, quindi più di tremila anni e le crisi frumentarie europee, per vedere apparire le prime analisi scientifiche sui cicli economici. Caso singolare, da queste analisi storico-economiche, il ciclo medio viene proprio individuato attorno ai sette anni. Le sette vacche magre, le sette vacche grasse. Sarà dimostrato scientificamente anche un ciclo economico lungo 50 anni (il famoso ciclo dell’economista russo Kontradieff, finito nel gulag) che è pure una scoperta assai

Modelli virtuosi Per dirla in termini semplici: l’economia ha periodi di espansione, seguiti da fasi di rallentamento, di recessione, quindi torna a risalire e così via come in un cerchio continuo. Bisogna quindi creare riserve (accantonare, risparmiare, non sprecare) nei periodi di crescita, per poter spendere (investire e consumare) nei periodi di crisi. Giuseppe, divenuto vicerè per aver fornito questa semplice spiegazione, diede ad essa persino un criterio di matematicità stabilendo una norma precisa: occorre prelevare e stoccare durante la prima fase del ciclo (vacche grasse) il 20 per cento dei raccolti in modo da poterne disporre nella seconda fase negativa del ciclo (vacche magre). Operazione riuscita. La Bibbia aggiunge, più avanti: “E da tutti i paesi venivano in Egitto per acquistare grano da Giuseppe, perché la carestia infieriva su tutta la terra”. Il riferimento di questo episodio biblico alla situazione economica attuale o all’attualità politica, è evidente per almeno due motivi, il primo legato alla nozione di tempo, il secondo all’etica dell’economia.

singolare se teniamo presente quella che uno studioso ha definito la piramide temporale dello Shabbat: sette giorni e riposo, sette anni e anno sabbatico, cinquant’anni anni e anno giubilare (vedi André Neher nel suo celebrato saggio nell’Enciclopedia francese su “Il ruolo del profetismo nel movimento dell’economia del XX secolo”). L’episodio biblico fa pensare che nella nostra economia abbiamo invece cercato di


Vacche grasse e vacche magre, vigne e greggi, riserve e consumi… La Bibbia offre esempi di modalità economiche ispirate ad atteggiamenti pragmatici e di profondo buon senso. Alla luce dell’attuale crisi economica, la rilettura di questi episodi rimanda a quei comportamenti virtuosi che molti, in nefasto ritardo, paiono oggi a gran voce invocare

Etica ed economia

annullare la sapienza del tempo, abbiamo tentato di cancellare, ritenendola obsoleta e superata, la nozione stessa di ciclo economico e con essa la nozione di rischio insita nella natura e nel tempo. Nell’economia attuale sembrano infatti prevalere solo due concetti: il breve termine o il cortoterminismo (vedere solo a breve scadenza, realizzare tutto subito, mercificazione immediata di ogni cosa) e la performance (il massimo risultato o la

Può sembrare difficile o ardito trarre dall’episodio di Giuseppe la nozione di un’economia normativa, sinonimo di etica dell’economia. Giuseppe si dà delle precise norme economiche e delle disposizioni con il potere di applicare sanzioni per i trasgressori. Norme che riguardano i comportamenti individuali o collettivi di produzione, di scambio, di prezzo, di consumo. Con una finalità ben presente, che muove ogni azione e che è quindi etica: poter nutrire tutti – anche gli stranieri: venivano da tutti i paesi – con continuità, secondo i loro bisogni, evitando la fame e la miseria. Anche gli scambi o le compravendite che sono descritti in seguito nella narrazione non sono una speculazione, sono un atto economico che contiene però in se stesso la preoccupazione di ridistribuzione del bene nell’interesse di tutti. Noi, con la nostra economia, agiamo in senso opposto. L’economia normativa, che stabilisce delle regole, è stata ritenuta un intralcio perché non lascia libero

gioco al nuovo Moloch, il dio mercato. Ne deriva che le finalità morali non rientrano fra i compiti dell’economia produttivistica e, tutt’al più, l’etica può valere solo in quanto risponde a un bisogno di immagine e risulta utile e proficua per il mercato (hanno così inventato la businessethics, la markethics e il detto: ethic pays, l’etica è pagante). Anche qui la devianza da quella sapienza biblica ci mostra, quotidianamente, gli effetti nefasti. Tanto è vero – è persino alquanto comico – che nella crisi attuale tutti i capi di stato e di governo sono tornati a parlare con insistenza di etica, di necessità di norme, di “nuove” regole, di opportuni codici di comportamento.

Agorà

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Un libro di sapienza A questo punto, speranzosi, vale la pena citare il saggio della biblista Anne Marie Pelletier (“Pour que la Bible reste un livre dangereux”, Etudes, t.397; www. cairn.info) secondo cui “La Bibbia è parola fatta per disturbare, per smuovere i pensieri costituiti, le certezze, fossero pure quelle agnostiche. Chiunque è appena un poco familiare con la Bibbia, di una familiarità attenta alla singolarità del testo, sa che questo libro non è acqua cheta o una parola spenta. È invece bruciante, coinvolgente, pericoloso… Non c’è dubbio che la Bibbia possieda un temibile potere di contestazione… un formidabile potere critico sulle società che la leggono. Un libro pericoloso né più né meno come lo era già nel VI secolo prima della nostra era, per il re di Giuda, Joiakim, quando lacerò i rotoli delle profezie di Geremia e li buttò sul braciere”. Fosse così… Ma l’avranno ripresa in mano per questo motivo?

» di Silvano Toppi; illustrazione di Micha Dalcol

massima reddività istantanea, bruciando, anticipando o divinando il tempo, il futuro). Gli stessi bilanci statali, che per loro natura dovrebbero essere proiettati sul lungo termine e su politiche anticicliche, né più né meno come indicava Giuseppe, hanno assunto quelle impostazioni illogiche e innaturali: oggi, presi alla gola dalla crisi, si tenta di rimediare. Una delle cause maggiori della crisi finanziaria è stata attribuita alla certezza che il tempo e il rischio fossero inscatolabili in formulette matematiche, un approccio di cui oggi sono evidenti le disastrose conseguenze.


Funerale d’inverno

fanciulle bianco vestite, il capo protetto da un velo, camminano davanti a un muro di conci lapidei. È un corteo funebre, nel quale a dominare è il freddo. Bianchi, toni scuri, grigi sono i colori che prevalgono, oltre agli azzurri che Edoardo Berta utilizza per i giochi di luce sulla neve e il cielo. Il taglio del dipinto riconduce alla visione orizzontale della scena rappresentata, particolarità accentuata dalla linea definita dalle montagne poste sullo sfondo e dalla neve che ricopre la parte superiore del muro di cinta provvisto di aperture: quest’ultime sono le uniche a permetterci una visione, almeno parziale, del cimitero. Fanno da contraltare alcuni elementi verticali: le fanciulle – che dominano la parte sinistra della scena – e le due piante poste in primo piano. Sono quest’ultime gli elementi simbolici più forti, private di una propria vita, presenze scure e inquietanti che rafforzano la rappresentazione di una scena tetra e funerea. Terminato nel 1901, Funerale bianco riconduce ad almeno altre due opere di artisti dell’epoca: la prima è certamente Fiore reciso (1896-1906) di Giuseppe Pellizza da Volpedo, anche se una vicinanza ancor maggiore la si sente con Fanciulle che si recano alla processione (1888) di Jules Breton. Il taglio alto dell’orizzonte sopra il muro presente in Funerale bianco riconduce a un’altra opera del Berta, il suggestivo trittico L’estate di San Martino (1911). Provvisto originariamente di una cornice liberty a fiori appassiti in rilievo (oggi purtroppo perduta), questo grande dipinto è l’opera che a parere degli storici dell’arte “libera” definitivamente Berta. Dagli ultimi anni dell’Ottocento l’artista di Giubiasco, infatti, intraprenderà alcuni viaggi in Europa: in particolare nel 1899 si recherà in Italia – che visita grazie a una borsa di studio della Confederazione –, esperienza che gli permette di venire a contatto con la pittura del XV secolo. Questa evasione dalla realtà ticinese (e da una certa “tranquillità economica”) lo porteranno alla realizzazione di quest’opera a lungo “studiata e pensata”, che mostra il definitivo distacco dal precedente stile di impronta accademica. Dal ritratto e dallo

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Funerale Bianco (olio su tela, 95 x 231 cm ca., 1901, particolare). Immagine tratta da Arte in Ticino 1803–2003, op. cit.

In un paesaggio innevato, cinque coppie di

La neve: elemento dominante nella più evocativa opera di Edoardo Berta, figura di riferimento del panorama culturale cantonale di inizio Novecento studio dal vero, Berta sposa così l’interpretazione della natura caratteristica dei divisionisti e la poetica simbolista liberty: proprio Funerale bianco se ne fa portatore, anche se sarà la sua produzione quale illustratore a mostrare il suo avvicinamento a Segantini e all’influenza delle stampe giapponesi che


(1898–1901), la più nota opera del Pellizza. Berta eseguirà in totale tre versioni del quadro, differenti per resa pittorica e tonalità di luce: una di queste è parte dei fondi del Museo Civico di Belle Arti di Lugano, un’altra è presso l’Ambasciata svizzera a Buenos Aires, in Argentina. Solitamente visibile presso la sala del Consiglio comunale della città di Locarno, la terza tela è oggi alla Kunsthaus di Zurigo, ospite della retrospettiva Rivoluzione! dedicata ai divisionisti italiani. Una mostra che rappresenta una perfetta continuazione de La pittura dal vero tra Lombardia e Canton Ticino (1865–1910), esposizione da poco conclusasi presso la Pinacoteca Züst di Rancate e che ospitava – non a caso – Paesaggio invernale (1900–1905), un’opera di Berta strettamente legata a Funerale bianco per la tecnica utilizzata e, non da ultimo, per il paesaggio innevato.

Libri

M. Bianchi et al. Edoardo Berta Villa dei Cedri, 2000 Una monografia dedicata a Berta, catalogo della mostra tenutasi a Bellinzona nel corso del 2000. Tra gli artisti della collezione permanente della Villa ricordiamo Segantini, Franzoni, FeraguttiVisconti e Vela. AA.VV. Arte in Ticino 1803–2003. Vol. 2 - L’affermazione di un’identità 1870–1914 SalvioniEdizioni, 2002 Il secondo di quattro volumi di un’opera che propone una visione completa della realtà artistica cantonale, ricchissima in contributi critici, iconografici e bibliografici.

» di Giancarlo Fornasier

stava permeando in quel periodo l’arte del Vecchio Continente. Nel divisionismo – che secondo la storica dell’arte Giovanna Ginex non può essere considerato un vero movimento artistico – sono le tecniche che danno maggior risalto alla luce a prevalere. Un’operazione che matura attraverso l’uso di colori puri accostati in modo inusuale, con l’assenza del disegno vero e proprio, sostituito dai giochi volumetrici creati dalla stessa luce. È proprio questa a dare i contorni agli elementi rappresentati, una caratteristica che segna anche Funerale bianco. Sono “insegnamenti” che diverranno preziosi anche al nascente movimento futurista – e la sua volontà rivoluzionaria – che mirava a sommergere tutto ciò che lo aveva preceduto. Proprio lo studio delle proprietà della luce – anticipando la diffusione dell’elettricità, simbolo della modernità e della crescente industrializzazione –, la sua resa e i suoi giochi sul paesaggio saranno fondamentali nei divisionisti, tanto che il vero “godimento” di queste tele non può che avvenire solo una volta giunti davanti all’opera: lì si che se ne è definitivamente catturati. Funerale bianco verrà esposto per la prima volta a Vevey (ENSBA, 1901) e in seguito a Torino (Quadriennale, 1902), in concomitanza con l’esordio de Il quarto stato

Biografia

Edoardo Berta (1867–1931), inizia la sua formazione artistica alla Scuola di disegno di Bellinzona e dal 1881 frequenta l’Accademia di Brera. Conosce a Milano Giuseppe Pellizza da Volpedo e stringe forti legami con Filippo Franzoni. Berta ha inciso sulla realtà culturale cantonale, sia come artista sia attraverso il suo operato presso la nascente Commissione per la conservazione dei monumenti storici e artistici del Canton Ticino (1909). Abbandonerà così la pittura per impegnarsi nella valorizzazione del patrimonio artistico, divenendo una voce decisiva per la nascita di una vera coscienza cantonale.

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Seduzioni mascherate

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una reazione non mediata dalla volontà, che passa al disotto della soglia della coscienza, in cui si registrano frammenti e sensazioni che durano frazioni di secondo. Non sono molti gli studi scientifici e di psicologia dedicati a questa materia e alla diffusione esponenziale della pubblicità subliminale anche se, nel corso del nel 2007 un team di studiosi ha monitorato gli effetti di questo tipo di comunicazione sul cervello. La neuroscienza visiva ha cercato per tanto tempo di stabilire in che misura le attività che richiamano degli stimoli nella corteccia visiva dipendono dall’attenzione e dalla consapevolezza delle persone. Alcune teorie sostengono che la ripartizione dell’attenzione risulta limitata alle rappresentazioni consapevoli, quelle cioè di cui si ha coscienza. È tuttavia risaputo che in molti film (Fight Club è forse il più noto perché annovera numerosi inserimenti subliminali), negli spot e nella musica sono spesso presenti dei conduttori nascosti, studiati per diffondere informazioni senza che lo spettatore ne sia consapevo-

Libri

Percy Larry et al. Pubblicità e psicologia del consumatore Franco Angeli, 2004 La psicologia è tradizionalmente la scienza da cui la pubblicità e la ricerca sul consumatore hanno mutuato i maggiori contributi.

Daniela Brancati Spot a doppio taglio. I bambini e la pubblicità Franco Angeli, 2005 Ricco di consigli per gli addetti ai lavori, genitori compresi, il volume è una riflessione con alcuni uomini-chiave del settore pubblicitario italiano sulla relazione infanzia-media.

Stairway to heaven, la celebre canzone dei Led Zeppelin che se ascoltata al contrario conterrebbe messaggi occulti. Così come è dimostrato che nel cartone animato Bianca e Bernie, e in molti altri della Walt Disney, compare la figura di una donna nuda con la faccia del demonio. Ma al di là di questi esempi bizzarri, è impossibile non riconoscere che la pubblicità utilizza tecniche intelligenti, attraverso l’affinamento e lo studio dei suoi mezzi e della sua retorica: la persuasione diviene infatti lo strumento elettivo per l’affermazione dell’egemonia economica. Elaborando un suo linguaggio particolare e una sua sintassi, tesi alla fidelizzazione dell’acquirente, la pubblicità ha assiMessaggi occulti, immagini che durano una milato le teorie della frazione di secondo, frammenti che in modo semiotica, la scienza che studia i segni e la subdolo penetrano nella coscienza: obiettivo comunicazione, affidella pubblicità subliminale è quello di plagia- nando i rapporti tra re, trasformandoci in acquirenti inconsapevoli significato e significante e avvalendosi le, allo scopo di influenzadi teorie sempre più prone agli obiettivi re e manipolare il pensiero commerciali. collettivo orientando così i Sono stati necessari libri, convegni, simposi nostri comportamenti. Cerper aprire il varco, anzi la voragine, per to, non mancano a proposito avviare una riflessione critica a riguardo. le leggende metropolitane, In riferimento alle regole deontologiche come quella concernente fissate sulla carta dalle associazioni in

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Media

L e leggi federali e le ordinanze svizzere legiferano per proteggerci dalla pubblicità occulta e dalla sponsorizzazione di bevande distillate, medicamenti e sigarette. La giurisprudenza, che in alcuni ambiti lascia libertà d’azione ai cantoni, si incarica infatti di tutelare i comportamenti dei consumatori affinché non vengano influenzati da messaggi pubblicitari ritenuti pericolosi per la salute pubblica. Naturalmente c’è chi si oppone alle leggi in nome della libera economia di mercato, argomentando che i divieti imposti alla pubblicità di prodotti come l’alcol o il fumo, non riducono affatto il consumo degli stessi, né modificano lo stile di vita e i comportamenti dei cittadini. Ma se è vero che impedire la pubblicità di questi prodotti, classificati come dannosi, lede i diritti fondamentali e nuoce all’economia, cosa accade quando i messaggi pubblicitari non sono espliciti e non ci permettono di decodificare il contenuto che veicolano? Stiamo parlando dei messaggi subliminali che invadono la cinematografia, la musica, la politica e la pubblicità. Si tratta di forme di comunicazione che non riconosciamo immediatamente ma che il nostro cervello percepisce attraverso il subconscio e l’inconscio, tramite un meccanismo sostanzialmente analogo a quello delle tecniche di ipnosi. È in questa terra di conquista impercettibile al tatto e invisibile alla vista che ci vengono somministrati i messaggi più subdoli, con i quali si attiva


Media

difesa dei consumatori, la pubblicità dovrebbe essere per principio veritiera e leale evitando messaggi aggressivi o tesi alla creazione inconsapevole di bisogni e opinioni. Così come non dovrebbe nuocere agli individui, incitandoli a comportamenti sbagliati o diffonden-

do argomenti socialmente discutibili e senza un controllo. Fino a quando avremo la possibilità di verificare ciò che ci viene propinato avremo ancora a disposizione la fondamentale facoltà di decidere e dunque di scegliere. Il problema sorge invece quando questi

Nicoletta Barazzoni; » diillustrazione di Ulrico Gonzato »

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passaggi sono in un modo o nell’altro negati e occultati tramite il subliminale. Ecco allora che la situazione si complica perché la nostra capacità di discernimento viene meno e la possibilità di decidere liberamente, gravemente minacciata.


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Abbiamo letto per voi

Recensioni

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auguro, può apparire anacronistico parlare di anima nel mondo di oggi, così intriso di telematica e ipertecnologie. A prima vista, l’argomento può poi sembrare di quelli adatti a pochi iniziati, teologi, filosofi oppure poeti e scrittori. In tal senso, Vito Mancuso, docente di Teologia moderna e contemporanea all’Università San Raffaele di Milano, lancia una sfida assai più ardita: quella di interrogarsi su argomenti “alti”, come l’anima appunto, ma anche il rapporto tra fede, scienza e filosofia, la morte e il significato dell’esistenza, partendo dal presupposto che queste tematiche non sono per nulla estranee all’uomo moderno, e non appartengono forzatamente al mondo della spiritualità e del sovrannaturale. Anzi, l’anima prima di tutto è qualcosa di naturale, che può essere intesa come parte del mondo fisico che ci circonda, e naturalmente dell’uomo. Il terreno di una discussione di questo tipo è impervio, a cavallo tra filosofia, spiritualità, religione,

teologia, ma Mancuso sceglie un linguaggio accessibile e di immediata comprensione. Soprattutto l’autore si sforza di agire come un vero docente e di condurre il proprio ragionamento quasi conducendo il lettore per mano, con gradualità. Così, pagina dopo pagina, ci si trova a seguire il filo dei ragionamenti senza eccessi di difficoltà. Si tratta di un libro pensato per laici, come spiega espressamente l’autore: “Il mio vero interlocutore è la coscienza laica, la dimensione della coscienza che ricerca la verità per se stessa, rifiutando di legarsi aprioristicamente a qualunque catechismo”. Ecco allora una serie di domande spesso ostiche rivolte in particolare agli uomini di religione, con l’obiettivo di costringerli a interrogarsi sui dogmi della fede e sulle certezze assodate e intoccabili. In questo senso, L’anima e il suo destino assume valenza di ripensamento del Cristianesimo, un percorso alla ricerca di una sorta di rifondazione della fede sulla base di prin-

cipi nuovi. Primo fra tutti il rinnovato rapporto con la scienza e con la ragione, non più vissute come elementi ineluttabilmente contrapposti alla religione, ma riaffermando, come sosteneva Tommaso D’Aquino più di sette secoli fa, l’impossibilità che “una verità di fede possa essere contraria a quei principi che la ragione conosce per natura”. In questo Mancuso è chiaro: “Non esiste un mondo peculiare della religione, nel quale valgono leggi e possono avvenire cose del tutto differenti rispetto al mondo reale. Non c’è che un unico mondo”. Il risultato finale è un libro che esprime un modo di intendere la vita e di essere uomini profondamente positivo, attraverso un acceso confronto con i grandi temi dell’esistenza, interrogandosi, cercando, ragionando e sperimentando, perché “Dio non ci ha creati per credere, ma per essere. Meglio nudi di fronte all’essere e al suo mistero, piuttosto che vittime rivestite di ignoranza, superstizione e servilismo”.

Fa freddo. È tempo di fondue.

Vito Mancuso L’anima e il suo destino Raffaello Cortina, 2007

» di Roberto Roveda

Forse, ai più, ma non me lo


» Stimolate

i consumi o si blocca la produzione: consumate gente, soprattutto voi bambini e piccoli consumatori, tirate la giacchetta di papà e provate con quella dei padroni, che sennò, che le produciamo a fare tante cosucce inutili? Perdonate la domanda, forse un po’ retorica, ma a questo punto chi serve a chi, in questa logica? È il mercato a essere al nostro servizio o siamo noi che serviamo Lui...? E poi: chi cavolo è Lui? Chi è il mezzo e chi è il fine, questo è il dilemma. Viene prima il prodotto o il consumatore? Io sono squattrinato ragazzi, e mi sa che la logica mi ha tagliato fuori. Peccato, avrei voluto aiutare... non so che fare, canterò più forte a messa… E così il Re Mercato se ne va a spasso nudo per la città mendicando un poco d’attenzione, e allora, pazzia per pazzia, sotto le feste vediamo almeno di folleggiare come ci pare, o no? Io, per esempio, questo Natale regalerò sassi, alberi e nuvole. Che cavolo, i regali bisogna pur farli! Chiamalo disturbo compulsivo, coazione sociale, tradizione, è il vogliamoci bene, ci tocca. Ecco di seguito alcune idee alternative: si dice sempre “la natura è un dono di Dio” be’, per quest’anno sarà un dono mio. Vi regalerò le stelle, amori miei, prendetele, prendetene anche due, su, ce n’è per tutti. A mia sorella regalerò un bel sasso. Non uno qualunque, badate bene. Tre ore sono stato giù al fiume. Ne avrò fatti passare mille, mica è facile trovare quello giusto. Continuavo a scusarmi “le sto disordinando tutto il bordo...” e lui “ma no, si figuri... sono agitato di mio”. Comunque, alla fine l’ho trovato, il sasso perfetto: liscio come un uovo, cangiante come una trota, viola e argento. “Guardi... – m’ha detto il fiume – se non dovesse piacerle, non si preoccupi, dica a sua sorella che può tornare quando vuole… la vede quella foglia staccarsi? Ecco, è lo scontrino, lo prenda, mi raccomando...”. Per mia madre pensavo a un albero. Una bella pianta adulta, un castagno, una betulla, magari un sempreverde, enorme, che da camera sua lo possa vedere e ogni mattina la saluti con la

Un bel sasso di Kurt Sghei cropolina aguzza che svetta mossa gratuitamente dal vento. A mio padre, invece, regalerò il gatto dei vicini, tanto è sempre qui da noi. Ufficializzo solo la cosa, un fiocchetto e via. Sono passati tre anni. Da quella crisi non ci siamo più ripresi come coppia, tanta freddezza e silenzio tra noi… ma quest’anno, un po’ alternativo, che la crisi si è spalmata più in generale, alla mia ex ho preparato una sorpresina niente male che le scaldi il cuore. Un caro ricordo, qualcosa di molto personale e vissuto: le spedirò una ciocca di miei capelli a forma di papillon. Carino vero? Ne vengono altre mille, di idee simili, a pensarci bene. Provate anche voi da casa. Di gran moda quest’anno è poi scambiarsi i regali di quello passato. Soprattutto se sono libri. Così, se faceva schifo lo scopri e ti vergogni, giustamente. Qui al mio comune niente albero in piazza, così s’è detto su in municipio qualche settimana fa, quando tutti ne abbiamo fatto questione di principio. C’è la crisi, vediamo di essere un po’ più sobri, una volta tanto. Ma poi si sa, la soffice neve che cade, i biscottini della nonna, le slitte e i bambini... no dai, l’albero lo piazziamo, per i bambini, poverini, non è giusto che la paghino loro la crisi... Solo, magari, non ci mettiamo le bocce (che tra l’altro l’anno scorso i soliti teppisti le hanno prese a sassate) e nemmeno le lucine elettriche, che così risparmiamo... “la crisi lascia nudo l’albero” scriveranno i giornali, forte no? Io, il solito rompiscatole, rappresentate del Partito Futuro Meno Precario (Grazie), ho detto la mia: perché allora non fare una cosa anche più forte, più simbolica, alla Duchamp: l’albero (che tra l’altro, è un regalo per mia madre) lo lasciamo là dov’è, nel bosco e invece in piazza ci mettiamo un paletto con inchiodato un cartello: “Buona Sobrietà a tutti”. “Ma che tristezza infinita! – ha urlato la Signora Pandori – provvederò io alle spese, su, popolo, andate a tagliare l’albero”. Gioia! miei cari, che siamo una civiltà allegra. Vai, con le motoseghe!

Racconto

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L’albero di Natale Durante le festività natalizie una pianta domina le case, i terrazzi e i giardini. Da simbolo forte e antichissimo a bandiera del consumismo più sfrenato, l’albero continua a donarci misteriosi regali

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fortuna, soprattutto se uno l’albero se lo potesse procurar da sé e ornare con decorazioni naturali o fatte a mano, come alcuni saggiamente fanno. Altrimenti, l’usanza serve sì, a consumare, a far acquistare palline e ghirlande, pupazzetti e lustrini. Oltre che gli alberi medesimi, con la conseguente – quando sono veri e non di plastica – “strage degli innocenti”, se consideriamo i milioni di giovani abeti e pini la cui vita viene recisa in tenera età. A parte l’uso consumistico, comunque, gli alberi di Natale servono a ben poco d’altro che a dare gioia agli occhi e calore al cuore; servono – a essere precisi – ancora meno del presepe, che almeno un’utilità didattica ce l’ha in quanto evoca, rappresenta, ricostruisce la scena della natività: l’albero invece non evoca né rappresenta e neppure ricostruisce altro che se stesso. Tuttavia, il rappresentare se stesso dell’albero non è certo poca cosa, giacché esso è uno dei simboli più potenti e antichi (questa volta davvero) che esistano. Anzi, forse il simbolo più antico e più potente e più universalmente diffuso. Fu Carl Gustav Jung – Simboli della trasformazione (1966) – a riconoscere la ricorrenza del simbolo dell’albero in tutte le culture e a definirlo di conseguenza un archetipo – ovvero immagine originaria e universale –, anzi l’archetipo centrale dell’umanità. Secondo Jung l’albero è soprattutto un simbolo materno, come mostrano i miti di nascita di bambini dagli alberi. Il più famoso di questi è il mito di Adone, concepito dall’incesto della madre Mirra col proprio padre Cìnira. Per punizione la madre subì la metamorfosi nella pianta di mirra, la cui corteccia dopo nove mesi si squarciò – racconta Ovidio nelle Metamorfosi – per dare alla luce il fanciullo più bello che si fosse mai visto, un “adone” appunto. L’albero della nascita e della crescita, l’albero della conoscenza, l’albero della croce e tanti altri alberi fanno insomma da sfondo culturale, teologico, antropologico, all’albero di Natale che tende a noi a guisa di braccia i suoi rami inanellati, inghirlandati, adornati e simbolicamente elevati a portatori di regali.

» di Francesca Rigotti; illustrazione di Valérie Losa

Kalendae

Non molti anni fa il grande storico inglese Eric J. Hobsbawn – colui che inventò per il Novecento la geniale denominazione di “secolo breve” – pubblicò una raccolta di saggi dal titolo L’invenzione della tradizione (2002). Spiega questo testo che molte tradizioni le cui origini paiono perdersi nella notte dei tempi hanno in realtà una storia recente e talvolta sono inventate di sana pianta. Abbiamo in tal caso la cosiddetta “tradizione inventata”, con la quale si intende – scrive Hobsbawn – un insieme di pratiche, dotate di natura rituale e simbolica, nelle quali è implicita la continuità col passato. Ora, proprio questa continuità con un remoto passato non esiste nel caso dell’usanza di agghindare in occasione delle feste natalizie un albero dell’ordine delle conifere (abete o pino): si tratta, infatti, di una tradizione relativamente recente, nel senso che la sua diffusione in Europa è attestata intorno alla metà dell’Ottocento. E centocinquant’anni non sono certo tanti per una tradizione, tanto più se si pensa che essa dovrebbe celebrare la nascita del messia dei cristiani, evento religioso di ben più antica data. Talvolta, ci dicono ancora storici e antropologi, le tradizioni vengono inventate ad arte e con scopi precisi, per esempio per nobilitare eventi, attribuendo ad essi origini antichissime: non ci sembra il caso per quanto riguarda la tradizione dell’albero di Natale, che si diffuse dai paesi germanici, ove nacque, all’Inghilterra, alla Francia, alla Russia e poi pian piano a tanti altri paesi del mondo, più che altro perché considerata bella, calda, significativa. L’albero delle case tedesche addobbato con ornamenti, nastri e dolciumi, e illuminato dalla calda luce delle candeline colpì addirittura l’immaginazione di principi e sovrani che lo vollero nei loro palazzi. Un altro fascino di questa usanza è dato dal fatto che l’oggetto albero e le pratiche decorative, non vincolati all’uso pratico, si sottraggono a qualsiasi forma di utilità, concedendosi con piena disposizione all’impiego simbolico e rituale. Giacché, a che cosa “serve” l’albero di Natale? A niente. E per


Qual è il terrore richiamato dal titolo di questo libro? In primo luogo quello di un attentato, magari compiuto con un ordigno nucleare oppure un agente batteriologico. Ben alimentato dai mezzi d’informazione e sfruttato per i propri fini dalla classe politica, il “terrore per il terrorismo” domina l’immaginario collettivo post 11 settembre senza che si riesca (o voglia) trovare una via di uscita da questa spirale ansiosa e ansiogena. Eppure il solo modo per uscire dall’incubo è non avere paura, facendo proprie le parole pronunciate nel gennaio 1932 da Franklin Delano Roosevelt: “L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura”. Il presidente americano parlava a un paese sconvolto dalla

Abbiamo letto per voi crisi economica del ’29 e il suo messaggio di speranza diventa l’assunto di questo libro – non a caso sottotitolato “Perché non dobbiamo avere paura” – scritto da due esperti di terrorismo che, numeri e dati statistici alla mano, dimostrano come una delle convinzioni più diffuse a livello globale – un mondo insicuro e terroristi sempre più efficienti e pericolosi – sia una grande menzogna. Le statistiche confermano che attentati e vittime del terrorismo sono in netto calo rispetto al passato. Come sono ben lontane dalla realtà le storie che vogliono i terroristi in grado di procurarsi facilmente armi di distruzione di massa. Certo, ragionamenti e statistiche poco possono contro il martel-

lamento mediatico e politico che alimenta la paura. Ma proprio attraverso il recupero della capacità di analisi passa la strada per invertire la rotta; la paura ha portato fasce della popolazione ad appoggiare guerre costosissime che hanno impoverito l’Occidente, devastato l’Asia centrale, rinfocolato gli odi tra le religioni e le etnie, e fatto aumentare a dismisura il costo dell’energia. Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti e la grande crisi economica che ci sta sconvolgendo è la prova della validità delle analisi degli autori quando affermano che i governi, distratti dal nemico terrorista, hanno dimenticato il vero e reale pericolo dei nostri giorni: la follia speculativa.

L. Napoleoni e R.J. Bee I numeri del terrore. Perché non dobbiamo avere oaura Il Saggiatore, 2008

» di Roberto Roveda

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» testimonianza raccolta da Fabio Martini, fotografia di Adriano Heitmann

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so, ferma una macchina, lo può fare rapidamente… ma in agricoltura per sostituire le coltivazioni ci possono volere anni. Chi decide politicamente ed economicamente non ha capito nulla, perché tende a ragionare in termini di raggiungimento immediato dei profitti. Per questa gente, il lungo termine sono due anni… non è concepibile… Ma i risultati, l’instabilità, sono sotto gli occhi di tutti. Questa attuale non è solo una crisi, è l’occasione, se la si saprà cogliere, per una svolta epocale. Se chi ha le leve non imporrà regole e una mentalità davvero innovativa sotto il profilo economico, sociale Ex funzionario di banca, testimone nel- e ambientale, non avremo lo scandalo Texon, oggi imprenditore e un ulteriore appello: la prosviticoltore. Ci racconta della perdita del sima volta, ed è questione di pochi anni, sarà fatale. Certo, figlio Marco, della miopia in ambito poli- la forza dell’Occidente, dei tico ed economico, degli scenari futuri governi democratici, è il ceto medio che vuole vivere nella l’immensa soddisfazione per tranquillità, vuole pace, sicurezza, educame di avere una nipotina, zione per i figli e un po’ di divertimento. abbia favorito un progressivo Ora si sta impoverendo a vantaggio di una riavvicinamento fra di noi. sorta di oligarchia di potenti e di ricchissimi. Come produttore di vini, mi Quando parlo di rivoluzione non mi riferisco occupo di terra, di agricoltucerto alla rivoluzione bolscevica ma a un ra, che in fondo era la cosa rivolgimento sociale che vedrà grandi masse che volevo fare da ragazzo, reagire allo strapotere delle oligarchie. È la l’ingegnere agronomo. Ma i legge dei numeri a spingere in questo senso. miei, che erano agricoltori, A meno che non si abbia sufficiente energia ebbero bisogno di me e così “intelligente”. Il problema sarà poi vedere da passai alle scuole commerciali che parte stanno gli eserciti. I popoli la guere quindi alla rapida carriera ra non l’hanno mai voluta, sono la grande in banca, segnata dal coinfinanza, gli industriali e i politici a volerla, volgimento nell’affare Texon è sempre stato così. I conflitti messi in atto come testimone. L’economia dagli Stati Uniti negli ultimi decenni – Corea, mi appassiona ancora, anVietnam, Afghanistan, Iraq – sono tutti basati che e soprattutto in relazione sull’interesse dell’industria degli armamenti all’agricoltura. Perché dobbiae dell’energia. Anche i nuovi accordi sulla mo cambiare radicalmente il libera circolazione delle persone e dei beni, e modo di produrre, sviluppansull’abolizione dei dazi doganali non hanno do soprattutto l’agricoltura senso. Creiamo disoccupazione da noi, con di prossimità. In Africa, in ricaduta sullo stato, sfruttando dei ragazzini America meridionale ci sono che lavorano per un franco al giorno per famiglie che muoiono di faprodurre beni che le nostre multinazionali me solo perché non lasciamo acquistano senza porre domande, arricchenloro la possibilità di produrre dosi. Assurdo, no? D’altra parte nei paesi secondo i loro metodi e impodove lo sfruttamento è sistematico i redditi niamo le nostre colture. Anbassi non consentono di trasformare questa che la Svizzera è sempre stata povera gente in consumatori. Se vogliamo far produttrice di patate ma ora girare l’economia globale dobbiamo rinunmancano, le importiamo… ciare a qualcosa, abituarci a vivere più semLo stesso per i cereali… il latplicemente in modo da consentire agli altri te. L’errore sta nella gestione di esistere. Solo così potremo scongiurare una industriale dell’agricoltura. Se rivoluzione sociale. Ma non mi fraintenda: uno produce bulloni in eccesnon sono un pessimista, davvero…

Meinrad Perler

Vitae

a perdita di mio figlio Marco ha segnato profondamente la mia vita. Forse è banale e lo si sente dire spesso, ma c’è qualcosa di profondamente innaturale, di incongruo nella morte di un figlio. Certo, il rimpianto maggiore è proprio quello di non aver trascorso abbastanza tempo con lui, di non averlo ascoltato abbastanza. In quel momento ero molto impegnato professionalmente e non era facile trovare il momento per stare insieme. Lo so, suona strano, ma è così… Il suo sogno era di finire gli studi e venire a lavorare con me… allora avevo un’azienda che produceva tetti solari. Non gli piaceva molto studiare e così avevamo iniziato a fare dei progetti per il futuro. Studiava pianoforte al conservatorio di Como, la musica lo appassionava ma non era così dotato per poter affrontare la professione musicale del pianista. La separazione da mia moglie, proprio in quel periodo non semplificò le cose. Jacques e Marco vivevano con lei e naturalmente subivano la sua influenza. Sono situazioni in cui mantenere l’obiettività è estremamente difficile, anche se i figli sono già grandi, come è accaduto a me. E non sono d’accordo con chi sostiene che separarsi con i figli di un’età maggiore sia più semplice. Per loro non fu affatto facile comprendere la situazione. Ci fu però un anno durante il quale si era trasferito a Losanna per seguire uno stage presso un ufficio tecnico e dato che per lavoro ogni settimana ero in città, avevo preso un appartamento per noi due. La sera uscivamo insieme, cenavamo, parlavamo di vini. Ecco, in quel periodo abbiamo trascorso dei bellissimi momenti. Purtroppo poi le cose sono andate diversamente. Con Jacques, l’altro mio figlio, che ha un carattere diverso, più duro, più critico, il rapporto è andato via via migliorando. Adesso è padre di una bambina e credo che questa condizione, a parte

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Quello che mangerei ogni giorno

Il cibo: elemento che ci accompagna nella maggior parte dei momenti importanti della vita, ci avvicina alla natura e ci mette in contatto con le persone a noi care. Attraverso il cibo affermiamo la nostra identità ed entriamo in comunione con la nostra essenza più intima. Da questi presupposti nascono i piatti di Pietro Leemann, “proposte di viaggio” che si ripetono ogni giorno, dal 1989, nel ristorante considerato un “tempio della cucina naturale” fotografie di Adriano Heitmann, Francesca Brambilla e Serena Serrani testo di Federica Baj piatti e didascalie di Pietro Leemann






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ossiedo un taccuino blu su cui annoto quegli avvenimenti che non voglio si perdano nei pochi attimi in cui accadono. Ho deciso di tenere un diario il 17 maggio del 2007. Più di un anno fa. Stavo strappando le erbe infestanti dal mio orto e sulla mia testa ronzavano le api. Era da tempo che non le sentivo. Così – mani e ginocchia sporche di terra – sono andata dal più vicino cartolaio, ho acquistato un quaderno e una matita e ho scritto poche parole sulle api e sulle loro intense conversazioni sopra la mia testa. In diciannove mesi, solo cinque pagine hanno custodito i flashback della mia vita che sentivo di voler ricordare. L’ultimo foglio scritto

risale al 18 novembre scorso. Sette righe: “Oggi ho pranzato nel ristorante di Pietro Leemann. È stata un’esperienza unica che mi ha sorpreso, spiazzato, divertito. Forse, penso, proprio da qui inizierò a considerare il cibo in modo più consapevole”. Non immaginavo, prima di varcare la soglia di quello che è considerato “il tempio dell’alta cucina naturale” a che cosa sarei andata incontro. Definire “vegetariana” la cucina dello chef di origini locarnesi mi è sembrato, fin dal primo boccone assaporato, riduttivo, anche se qui non vengono servite pietanze a base di carne. Perciò, in questo scritto non leggerete mai più il termine “vegetariano”. Ho iniziato a scrivere il mio diario

pagina 40 Quello che mangerei ogni giorno Un piatto sul tema della vitalità, creata grazie alla combinazione degli ingredienti e ai germogli che prepariamo quotidianamente. Sotto, l'estetica rigorosa, caratterizzata da forme geometriche, è resa armoniosa dalla pioggia di petali che la coprono. La golosità del piatto è amplificata da un olio d'oliva del Garda straordinario. Sotto due paté: uno di fagioli cannellini e l'altro di ceci. Sopra un pesto di zucca mostardato. fotografia di Adriano Heitmann pagina 42 Un sasso cade/Un sasso rotola Una ricerca sul movimento. Il piatto è nato inizialmente col nome di “Un sasso cade”: cadendo l'impatto disegna un'esplosione dall'interno verso l'esterno che acquisisce una forza e un’estetica straordinaria legata alla casualità. Questa casualità fa si che poi ogni piatto diventi totalmente diverso dall'altro. Il piatto ha avuto due evoluzioni: la prima, “gong”, in cui la forma e il gusto sono accompagnate dal suono di un gong che suoniamo davanti all'ospite. La seconda, “Un sasso rotola”, in cui il movimento del sasso rotolante avviene davanti allo spettatore che poi lo mangerà. I piatti di solito sono statici, contrariamente a quanto avviene in natura, che è invece in continuo movimento. Un cambio di rotta dunque verso la dinamicità e contro la staticità. Un movimento risolto facilmente inclinando il piatto sul quale si muove la sfera. Il sasso è una sfera croccante di grano saraceno con all'interno una fonduta di grano saraceno; la salsa è allo zafferano, le cucchiaiate che fermano la sua corsa sono a base di finocchi e pomodori essiccati. fotografia di Adriano Heitmann

per un forte impulso che avevo ricevuto dalla “Madre di tutte le madri” che crea, che offre generosamente i suoi frutti a chi li sa cogliere e apprezzare. L’ho concluso scrivendo di Natura: quella che ho trovato, a tracce ben visibili, sotto forma di ingredienti e ancor prima di pensieri ed emozioni, nei piatti di Leemann. Prima fonte di ispirazione, motore che trasforma un’intuizione in un piatto di alta gastronomia, è il denominatore comune di tutte le creazioni dello chef patron del ristorante milanese Joia (si veda Ticinosette n. 46). È il “filo di Arianna” che, dai labirinti intricati della mente in cui si forma un’idea, conduce all’uscita, alla chiara luce del sole, alla creazione


pagina a fianco L’uovo apparente e il suo gusto L'uovo ha una forma simbolica e universalmente riconoscibile che rappresenta la nascita, la vita, la forma perfetta. È stato creato dunque un “uovo non uovo” (apparente) che ne mantiene la forma ovale e che lo rende ancora più sorprendente proprio perché non è l’ingrediente che ci si aspetta. In ogni stagione è preparato con ingredienti diversi: il peperone in estate, il broccolo in autunno, il topinambur in inverno, una gelatina trasparente con le prime verdure in primavera. L’uovo invece è nascosto in un cubo caldo che racchiude all'interno un morbido tuorlo. fotografia di Francesca Brambilla e Serena Serrani sotto Melodia di base La forma, il colore e il gusto delle sette note. Forse il piatto più elaborato mai preparato al Joia. Do: color marrone rosso, cipolla al ginepro; Re: carota grattugiata e cappero; Mi: verza brasata; Fa: cavolo rosso leggermente piccante; Sol: mela agrodolce allo zafferano; La: mochi con cuore di carciofo e timo; Si: gelatina di topinambur con argento. fotografia di Francesca Brambilla e Serena Serrani

di un piatto perfetto, come era stato pensato in origine. Il cibo assume i connotati della sacralità e proprio attraverso l’elemento naturale arriva a sfiorare il soprannaturale. “Nel mio lavoro – spiega Leemann – la natura e la sua rappresentazione sono un punto di riferimento e di partenza per la ricerca della salute e del piacere, in ogni passaggio: dalla scelta degli ingredienti, che sono sempre stagionali, all’accostamento dei colori, fino alla loro trasformazione. Il gusto dell’alimento deve rimanere tale, deve mantenere la sua autenticità e non deve essere mascherato da cotture che non gli si addicono o da salse che ne annullano il sapore”. La mia “iniziazione” alla cucina del ristorante “stellato” milanese avviene con Appunti di viaggio, una creazione del 2003, ormai un “classico” del locale. Da una parte del tavolo blocco e penna per le annotazioni (quelle per l’articolo che state leggendo), dall’altra un piatto lungo, di forma rettangolare, su cui sono appoggiati cinque cucchiaini e una piccola tazza di porcellana bianca ricoperta da una schiuma soffice e impalpabile. Rimango a osservare i colori, l’essenzialità delle forme, il rigore della composizione che si fa, nel suo insieme,

poesia. Ogni cucchiaino contiene una goccia di aceto balsamico, aromatizzato e di differenti stagionature: simboleggiano, ciascuno, una penna per prendere appunti da aggiungere alla memoria. Il viaggio è un percorso nel mondo dell’aceto balsamico e avviene attraverso una fonduta di parmigiano e una schiuma di latte. Intingo ogni cucchiaino fino nel fondo della piccola tazza. “Starò facendo la cosa giusta?” mi chiedo, con un po’ di apprensione. Di fronte a un piatto così si deve pensare prima di agire, si deve osservare attentamente, ci si deve accostare senza troppa fretta. Lo porto alla bocca e penso “sì, è la cosa giusta”. I sapori si fondono ma non si confondono. Avverto l’armonia nei gusti. La vedo nella presentazione. Pietro mi spiega che ogni suo piatto è “costruito” secondo un metodo usato in Giappone, un paese che ha segnato profondamente la sua carriera professionale: le forme geometriche degli alimenti si alternano ad altre più casuali. Le prime trasmettono rigore, le seconde armonia. “A volte però – precisa lo chef – il porre senza troppo controllo gli elementi sul piatto porta al raggiungimento del risultato desiderato”. Insomma, mi pare di capire che a volte la casualità

sia più rigorosa del rigore, più perfetta della perfezione. Così, anche dal punto di vista estetico, la concezione tradizionale – che prevede sempre un elemento centrale attorno al quale ne ruotano altri di supporto – è sostituita, nella filosofia culinaria di Leemann, dallo “svolgersi di un’idea”. Il piatto diventa una superficie su cui si dipanano i pensieri-ingredienti secondo una logica ben definita. Tutto il piatto diviene centralità, come accade in Sotto una coltre colorata: una passeggiata in un bosco, petali di fiori, una schiuma candida e un sottobosco tutto da scoprire. Altra portata, altro stupore. L’uovo apparente e il suo gusto è simbolo allo stato puro. A partire dalla perfezione della forma e della sua superficie che pare di alabastro. Solo la forma è dell’uovo: il colore arancione è ricostruito sapientemente con una gelatina di carote e peperoni e all’interno, il tuorlo altro non è che una spessa rondella di carota. Il sapore dell’uovo è racchiuso, lì accanto, dentro un cubo di zucca. Assaggio e cerco di sentire la consistenza del cibo, poi ne assaporo il gusto. Leemann mi spiega che nella cultura orientale il primo impatto con il cibo avviene attraverso l’organo del tatto – in questo caso sono

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considerati tali lingua e palato – mentre in quella occidentale attraverso il senso del gusto. I suoi piatti sono pensati a fondo. A volte nascono da idee folgoranti a volte richiedono tempo e “studi” laboriosi per essere portati a termine. Le cucine del locale sono la fucina in cui la materia si fa concetto e viceversa. Qui, il piatto “scorre”. È un qualche cosa di concreto e di effimero al tempo stesso. “Per questo – precisa Leemann – dietro ogni mia preparazione culinaria si cela l’elemento concettuale. Il cibo viene mangiato, quindi svanisce, ma il concetto rimane. Insomma, chi mangia assaggia un’opera e ogni opera d’arte poggia su fondamenta concettuali e simboliche

che persistono nel tempo”. L’ospite, volente o nolente, deve riflettere sul gesto che sta compiendo. Nutrirsi è un atto di consapevolezza. Anche quando, davanti a un piatto di sottili fili di grano saraceno serviti su una fonduta di Bitto e petali di verza, riconosco immediatamente, per la prima volta, una pietanza familiare: i pizzoccheri della Valtellina. In ogni portata che ho assaporato ho intuito lo studio, il lavoro, l’ingegno, la fatica, il rigore impiegati per metterla a punto. In quest’ultima ho sentito battere il cuore di chi ha saputo fare del suo mestiere un’arte. Di chi ha saputo conferire al cibo una precisa identità: quella dell’alimento che appaga e che

infonde benessere perché nutre. Di chi pensa che l’alimentazione non sia solo un freddo calcolo di calorie, carboidrati e proteine ma sia un insieme di gesti e di emozioni: predisporsi al piatto, entrarci dentro, con la ragione, con i sensi e con lo spirito. All’uscita del locale, la prima cosa che penso è “Sarà dura, questa sera, tornare alla «pastina» della nonna”. Poi, però, mi tornano alla mente le parole di Leemann, la sua filosofia, la sua capacità di guardare “oltre” il piatto di alta gastronomia. Insomma, anche la pietanza più semplice, se cucinata con affetto pensando ai propri cari, diventa un prezioso veicolo di sentimenti e di calore umano

sopra Pane di Natale Un’idea rivoluzionaria. Il panettone andrebbe mangiato sempre caldo. Ho pensato allora di scaldarlo nel tostapane, tagliato in belle fette rigorose e uguali. È biologico in tutti i suoi ingredienti; è preparato con Farina Italiana – per ovvi motivi ecologici – senza far uso della pur famosa “manitoba”, una farina con una tale percentuale di glutine da essere probabilmente alla base di allergie e intolleranze. Il mio panettone non contiene uova, sempre presenti in eccesso nella nostra alimentazione. Le sostituisco con del glutine di frumento che realizziamo artigianalmente al Joia. fotografia di Adriano Heitmann pagina a fianco Conserva musicale Qualche tempo fa è stato creato “Melodia di base” (pagina 45): in questo piatto viene presa in giro la ricerca inerente i gusti abbinati alle sette note musicali, a volte troppo seria e che, talora, allontana dalla realtà del cibo e della cucina. In “Conserva musicale”, una melodia risuona fino a quando il cliente non solleva il recipiente; allora, come per magia torna il silenzio. Una musica meno di qualità rispetto al piatto precedente, per un risultato però più leggero. fotografia di Francesca Brambilla e Serena Serrani

Joia. I nuovi confini della cucina vegetariana di Pietro Leemann Giunti, 2008


prima di reportage (p.39) Appunti di viaggio Il viaggio è verso l’aceto balsamico e avviene attraverso il Parmigiano. I cucchiai simboleggiano la penna per prendere appunti da aggiungere alla memoria. Memoria che esplora luoghi conosciuti e luoghi che conosciuti diventeranno. fotografia di Francesca Brambilla e Serena Serrani Pietro Leemann è ritratto da Adriano Heitmann in copertina Sotto una coltre colorata Camminando nel bosco si è stimolati sotto molti aspetti. Dai colori che continuamente cambiano, dalle luci che appena filtrano dalle fronde, dalla consistenza del terreno morbido che calpestiamo, dai profumi ogni volta diversi. Questo piatto è una passeggiata in un bosco visitato in stagioni diverse, che ogni volta cambia. Sotto una coltre schiumosa e delicata si scoprono gli elementi che rappresentano il bosco. Un piatto completamente nuovo e che non poggia su alcun preconcetto, a parte il fatto che questi luoghi fanno parte di ognuno di noi. fotografia di Adriano Heitmann

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Animalia

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Il pesce combattente tailandese

Il più poetico dei pesci d’acquario è il Betta splendens, un pesciolino lungo cinque centimetri e dall’abito bellissimo: rossi cardinalizi, verdi smeraldo, azzurri vellutati. Abita le paludi della Thailandia, dov’è popolare come nella Spagna i galli da combattimento. Il Betta splendens infatti non sopporta la vista d’un altro maschio e, se lo incontra, tra i due comincia una lotta mortale. Da prima i competitori allargano le pinne, che hanno bellissime e lunghissime, simili a veli colorati: si sfidano, rivali, accendono le tinte, tutti spiegati, simili a pavoni. Poi è la zuffa, violenta, e si strappano le pinne e si riducono a brandelli, feroci e mortali. Infine si lasciano ed entrambi salgono a galla per far provvista d’aria (giacché sono di quei pesci che a ogni minuto hanno bisogno di respirare). Quindi, colmi d’ossigeno e rinfrescati d’odio, si ributtano l’uno contro l’altro, bocca a bocca, crudeli e si spingono sul fondo dell’acquario, tra la sabbia le piante le rocce, senza lasciarsi, interminabilmente, finché il più debole, ormai assetato d’aria, sente crescere la smania di risalire alla superficie, ma l’altro lo trattiene inesorabile, nonostante i suoi guizzi disperati, né gli può sfuggire e così annega e si rilascia. Allora il vincitore, tutto strappato e moribondo anch’esso, con un guizzo superstite rimonta a galla per aspirare finalmente un lungo sorso d’aria salvatrice. Il vinto, cadavere, sta fluttuando con la pancia in su. Ma com’è maschio feroce, il Betta è padre stupefacente. Se si porta il suo acquario a venticinque gradi e se vi si mette una femmina, allora s’assiste al miracolo della paternità tra i pesci. Il Betta per ore e ore ininterrottamente s’affanna a formare a galla un grande nido di bolle bianche e lo aggiusta

un racconto inedito di Piero Scanziani

e lo sistema e lo perfeziona. Quand’ha terminato, la femmina (che da una roccia lo stava a osservare) gli s’avvicina ed egli l’abbraccia, avvinghiandola strettamente: quella stretta fa uscire una decina d’uova che i due innamorati s’affrettano a raccogliere con la bocca e a trasportare nel nido galleggiante. La stretta si ripete alcune volte finché, bruscamente, l’amante caccia l’amata, tornato feroce. Da quel momento il Betta non pensa più che ai figli: non mangia, non dorme, non s’allontana, sta fermo sotto il nido, gli occhi levati in alto, raccogliendo le uova che cascano, aggiustando le parti che si disfano, impedendo a ogni estraneo d’avvicinarsi, prodigandosi padre esemplare. Finché, dopo quattro ore, le uova cominciano a schiudersi e ne spuntano gli avanotti, che ancora non sanno nuotare e finirebbero tutti sul fondo, morendovi per mancanza d’ossigeno. Ma il padre è lì e, se li vede cadere o allontanarsi, li va a raccogliere con la bocca, li rimette delicatamente a posto, con una sollecitudine che nulla spiega, se non una parola: istinto, parola che non spiega nulla. Ma al terzo giorno, quando gli avanotti sono ormai capaci di nuotare da soli e scappano da tutte le parti intorno al povero padre che ancora si dispera a rimetterli nel nido, ecco improvvisamente il Betta dimenticarsi di tutto quanto ha fatto e, simile a Saturno, divorarsi la propria prole. Egli, che fino all’istante prima li voleva vivi, ora li vuole morti. Mistero la sua ansiosa paternità, mistero il suo brusco cannibalismo. Tutto mistero fuori di noi, tutto mistero dentro di noi. Poveri uomini che siamo, costretti a misurare la natura con il breve metro della nostra mente, bambina nella vastità del mondo.

» illustrazione di Valérie Losa

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Natale si presenta tinto di rosa. Atmosfere romantiche in compagnia del partner. Possibili disaccordi professionali per i nati nella terza decade, da tempo sottoposti all’azione di Giove e Mercurio. Cercate di tenere a freno la lingua.

Momento romantico per i nati nella terza decade. Grazie ai transiti di Venere e Marte qualunque cosa farete insieme al vostro partner sarà baciata dalla fortuna. Viaggi colorati da intense atmosfere sensuali. Evitate di irritarvi per questioni di lavoro.

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Grazie al transito di Venere in Acquario, durante questo Natale, diversamente dagli anni passati, avvertirete l’esigenza di arredare la vostra casa in maniera del tutto originale. Possibili viaggi e/o rapporti con parenti lontani per i nativi della terza decade.

Natale segnato dai transiti di Urano e Venere. Mentre il primo tende a stimolare la vostra creatività e la voglia di libertà dagli schemi, Venere vi spinge ad allargare la sfera di conoscenze, affettive e non, anche verso le persone più anticonformiste.

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Natale movimentato per i nati nella terza decade ormai sollecitati dal transito di Marte in opposizione. Questo passaggio potrebbe indurvi a calcare un po’ toppo la mano nei confronti del partner. Considerate sempre anche le ragioni dell’altro.

Grazie al transito di Giove e Mercurio nella vostra seconda casa solare presto riceverete un’importante notizia. Se riuscirete a sintonizzarvi con il transito di Venere in Acquario, potrete passare delle ore indimenticabili in compagnia del vostro partner.

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Piccoli disguidi telefonici provocati dall’opposizione con Mercurio. Calibrate con attenzione le vostre parole, soprattutto quando parlate con il partner o con i vostri più stretti collaboratori. Mali di stagione per i nati nella terza decade.

Momento di svolta per i nati nella prima decade. Il ritorno di Plutone in Capricorno (1778) avviene in concomitanza del solstizio d’inverno e del compleanno. La vostra vita sta per subire una profonda metamorfosi. Possibili incontri legati al karma.

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Grazie a una calda Luna in Sagittario, tra il 24 e il 26 dicembre, potrete passare momenti indimenticabili in compagnia della persona amata. Venere di transito in Acquario stimolerà soprattutto i rapporti più originali e anticonvenzionali.

Grazie ai transiti armonici di Venere e Marte avrete la possibilità di trascorrere un Natale veramente piacevole, carico di atmosfere sensuali in compagnia dei vostri affetti più cari. Possibile e imprevisto viaggio all’estero.

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L’opposizione di Urano con Saturno continua a esercitare una certa influenza sulla vostra vita. Date ampio spazio a tutta la vostra creatività. Se riuscirete ad assemblare vecchi elementi della vostra vita in maniera del tutto innovativa potrete fare “Bingo”.

Anche a Natale, Saturno e Urano, non cesseranno di stimolare la vostra voglia di libertà e di novità. Se riuscirete a dare ascolto alle esigenze più profonde del vostro io potrete trascorrere momenti molto piacevoli. Buone notizie per i nati nella terza decade.

Elemento: Terra - cardinale Pianeta governante: Saturno Relazioni con il corpo: apparato scheletrico Metallo: piombo Parole chiave: introversione, perseveranza, disciplina interiore

Il segno del Capricorno si colloca all’inizio della stagione invernale e rappresenta la fase del seme che, sepolto nel terreno, si avvia a una certa e progressiva maturazione che condurrà a breve, nella sua metamorfosi, alla nascita della pianta a primavera. Il Capricorno è quindi riconducibile alla “profonda notte del mondo”, quando il buio e il freddo nascondono nuove vite. Segno saturnino della culminazione zodiacale, zenith della vita individuale, inerente il solstizio invernale, esso si cinge di nuove energie, gelosamente conservate. E proprio un certo conservatorismo e la concentrazione sul sé sono caratteristiche prevalenti dei nati nel segno che non di rado riescono a completare l’opera di sublimazione verso il suo vertice spirituale. Due sono le principali forme grafiche del Capricorno: la prima richiama una “V” aperta con una voluta che ripiega su se stessa; in essa si intravvede il simbolo del ritorno e della ciclicità della natura e del cosmo. L’altro simbolo, è invece la stilizzazione di un animale teriomorfo, costituito dalla parte superiore del corpo di una capra e dalla parte posteriore simboleggiata dalla coda di un pesce attorcigliata. L’immagine sottolinea il senso di ambivalenza e di opposizione che il Capricorno, come del resto altri segni – si pensi ai vicini Scorpione e Sagittario –, tendono ad esprimere. Vette e abissi, terra e acqua, inconscio e conscio, corpo e spirito sono opposizioni che nell’ambito del segno trovano una loro direzione: è il tempo del mondo interiore, sia spirituale sia razionale, a cui si può accedere senza limitazioni e mediazioni.

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Il Sole transita nel segno del Capricorno dal 23 dicembre al 22 gennaio

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» a cura di Elisabetta

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“… quel del vecchio Saturno, antico regno…”

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Âť illustrazione di Adriano Crivelli


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In quale numero di Ticinosette è apparsa l’immagine di cui forniamo qui il particolare? Al vincitore andrà in premio La prossima settimana, forse di Alberto Nessi, Edizioni Casagrande, 2008. 13

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Schema realizzato dalla Società Editrice Corriere del Ticino

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Giochi

Le soluzioni verranno pubblicate sul numero 2.

1. Una carrozza con i tavoli • 2. L’arte orientale di piegare la carta • 3. Prep. semplice • 4. Bel paese malcantonese • 5. Piaceri • 6. Attuazione • 7. In mezzo al mare • 8. Arbusto aromatico • 9. Non l’ha il principiante • 18. Seppellire • 22. Precede Vegas • 25. L’alieno di Spielberg • 28. Ostruiscono la cavità nasale • 31. Burroni • 33. Mezzo uovo • 35. Mezzo granello di pepe • 36. Zambia e Germania - 38. Astri • 41. Il noto Welles • 43. Consunte • 44. La indossa il giudice • 47. Né mio, né suo • 50. Paesi Bassi • 51. Dittongo in Coira.

Verticali

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1. Sparlare, insinuare • 10. Bella località grigionese • 11. Il noto Ramazzotti • 12. Città svizzera • 13. Consonante in siepe • 14. Pari in borgo • 15. Due nullità • 16. Sono taglienti • 17. Il nome di Pinkerton • 19. Il marito della reine • 20. In mezzo al mare • 21. Imitatori, seguaci • 23. Sono sei nel milione • 24. La cerca il poeta • 25. Pari in verza • 26. Dittongo in pietra • 27. Utilizzata • 29. Così firma l’anonimo • 30. La nota più lunga • 32. Altra bella località grigionese • 34. Forma geometrica • 37. Orribile • 39. Cattive • 40. Conosciuto • 42. Anno Domini • 43. Diverbio • 45. Articolo romanesco • 46. Limpido • 48. Lussemburgo e Svezia • 49. Ha un canto melodioso • 52. Paladino • 53. Noto film di Ridley Scott.

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La soluzione a L’avevate visto? si trova sul numero 42. Il vincitore è: L.B., Chiasso. La soluzione a Epigoni è: La paga dei soldati di William Faulkner (Adelphi), 2008. Nessun lettore ha indovinato.

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Epigoni A quale romanzo appartiene il seguente finale? La soluzione nel n. 2. Al vincitore andrà in premio “Santa Maria del Bigorio” di Fra R. Quadri e P.G. Pozzi, fotografie di Ely Riva, Fontana Edizioni, 2008. Fatevi aiutare dal particolare del volto dell’autore e inviate la soluzione entro giovedì 11 dicembre a ticino7@cdt.ch oppure su cartolina postale a Ticinosette, Via Industria, 6933 Muzzano. “Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie”.

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Per un mare di bontĂ .

Blini per cocktail Blini, 16 pezzi, 135 g, 6.30

Fondue di pesce, al banco, a libera composizione

Ostriche Marenne calibro n. 3, di allevamento, Francia, al banco, al pezzo, 1.10 invece di 1.30

Filetti d’acciuga sott’olio, marinati, di cattura, Mar Mediterraneo, 130 g, 7.95

Capesante, senza corallo, di cattura, USA, 100 g, 6.85

Offerte valide fino a sabato 3 gennaio 2009, fino ad esaurimento delle scorte. In vendita nei grandi supermercati Coop.

Code di gamberetti cotti Tail on Coop Naturaplan, calibro 21/25, di allevamento, Vietnam, al banco, 100 g, 5.90

Caviale di storione bianco Coop Fine Food, di allevamento, Italia, 20 g, 47.50 Filetti di salmone, di allevamento, Norvegia, 100 g, 2.70 invece di 3.25

Terrina di storione siberiano Coop Fine Food, di allevamento, Germania, 125 g, 15.90

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Salmone affumicato bio Coop Naturaplan, di allevamento, Irlanda, 200 g, 14.90 invece di 19.90


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