Ex Libris NOTIZIARIO DEL SISTEMA BIBLIOTECARIO URBANO DI BRESCIA
Numero 14 maggio 2011 Speciale “Finestre sulla Montagna”
Al di qua dei monti di Ennio Ferraglio, Direttore della Biblioteca Querinana. C’è un singolare paradosso che contraddistingue la città di Brescia. Per capirlo bisogna partire dal nome stesso: Brescia, evidentemente, deriva dal latino Brixia. Ma siccome gli antichi Romani – popolo che nell’immaginario collettivo viene dipinto come sodo, pragmatico e poco incline a slanci di fantasia, soprattutto se privi di risvolti concreti – nel dare il nome alle proprie città preferivano, di solito, ispirarsi a qualcosa di già esistente (come ad esempio il toponimo scelto da una popolazione indigena), ecco affacciarsi nella struttura etimologica della parola l’antica radice preromana Bric. Ed è su questa radice che si sviluppa, anche nella toponomastica, il germanico Berg. Per mantenere un sodo pragmatismo e non solleticare eccessivamente il nostro bresciano amor proprio, va detto che non è affatto un elemento di distinzione: la successione Bric-Brix-Berg dà origine, ad esempio, a Brixina (Bressanone) oltre ad un’infinità di toponimi diffusi tra le popolazioni germanofone dell’arco alpino e non. È anche all’origine di Bergomum, la città abitata dai nostri cugini bergamaschi, con i quali ci troviamo imparentati per via della medesima etimologia. E veniamo al paradosso di casa nostra. L’etimologia romana - o preromana che dir si voglia – prospetta uno scenario culturale, geografico e paesaggistico dominato dalla montagna. Eppure Brescia è una città fondamentalmente di pianura, a causa di un percorso evolutivo fatto di cultura, economia e amministrazione che ha condizionato le diverse fasi della sua storia. Nell’età romana il centro urbano delle nostre montagne era la Civitas Camunnorum (oggi Cividate camuno); nel periodo comunale e feudale vi era una netta demarcazione tra poteri, dove famiglie nobili diverse da quelle cittadine detenevano la potestà sulle valli bresciane. Nei secoli di dominio della Serenissima Repubblica di Venezia, tra città e valli vi era una precisa separazione amministrativa oltre che di esercizio delle funzioni del potere, della politica, dell’economia, dell’amministrazione e delle milizie: cioè i massimi organi del potere presenti nelle Valli, podestà e capitano, avevano le medesime prerogative di quelli presenti nel capoluogo. Dunque, storicamente e fin dall’antichità, Brescia – città nominalmente di montagna - è stata separata, e spesso in una condizione di netto antagonismo, dalle proprie montagne.
Ma il DNA lascia un marchio indelebile sui soggetti, si sa. Ecco, quindi, che in barba a mille ragioni storiche che possono testimoniare la vocazione di Brescia alla pianura, la montagna continua a stagliarsi all’orizzonte: i temi della riscoperta dei suoi valori, della tutela del paesaggio, dell’enogastronomia, o anche quelli pressanti della viabilità o del turismo sono argomento quotidiano, affiancati da una fioritura di pubblicazioni sulla rete dei sentieri, più o meno alla portata di tutti, con lo scopo di avvicinare le persone alla montagna e farne scoprire i tesori nascosti. E questa (ri)scoperta è, per la nostra storia, una pagina molto attuale, bella e foriera di un profondo amore per la montagna e per l’ambiente che ci circonda (a pochi chilometri dalla città).
Finestre sulla montagna: Il Club Alpino Italiano di Brescia e le sue Guide attraverso i “Libretti personali” Mostra bibliografica a cura di Eros Pedrini.
Mostra di pittura: “Arrampicare” di Gabriella Piardi. “Dolomiti” di Beppe Ricci
20 maggio-18 giugno 2011. Inaugurazione venerdì 20 maggio ore 18.15 Salone della Biblioteca Queriniana. Orari di apertura: ma-ve 8.45-18; sa 8.30-12.30 Hanno collaborato: Santuzza Mille, Maddalena Piotti.
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Il Club Alpino Italiano di Brescia e le sue Guide attraverso i “Libretti personali”: note a margine di Eros Pedrini. Quando cominci a frequentare la montagna, che tu lo faccia con i genitori, con gli amici, da solo, con gli sci, a piedi, con le ciaspole (l’elicottero e le motoslitte no, grazie, lasciamoli da parte), quando ti orienti con una carta o leggi una guida, vieni circondato da una miriade di nomi di valli, cime, passi, bocchette, rifugi che poi, a seconda della frequentazione, ti diventano così familiari da non soffermarti più nemmeno a domandarti la loro origine. Basta poco, la proposta di organizzare una piccola mostra e magari si apre uno spiraglio, una scusa per tornarci sopra, e questi nomi acquistano un diverso spessore. Nella nuova sede del C.A.I. a Brescia, in una piccola stanza sul retro della segreteria, in due vecchie scatole di cartone legate con un vecchio spago, sono conservati una cinquantina di libretti di molte delle Guide che hanno svolto il loro servizio tra la fine dell’800 e il primo terzo del secolo scorso. In quel piccolo spazio è condensata una tale dovizia di storie, personali e collettive, da rimanerne sorpresi ed affascinati. Già nel 1980 Silvio Apostoli e Pippo Orio, mitiche figure del C.A.I. bresciano, avevano dato alle stampe un bel lavoro proprio su questi documenti e sui personaggi a loro connessi; gran parte delle schede illustrative che accompagnano questa mostra non sono altro che riproduzioni di parti di quel testo. Proprio per questa mostra, con l’auspicio di rilanciarne la conoscenza e la valorizzazione, mi è capitata la ventura, o la fortuna se vogliamo, di riprendere in mano tali interessanti libretti, spesso richiusi con un nastro attorno a copertine inizialmente in carta pecora, poi trasformate in cartone telato. Indubbiamente, parte del loro fascino viene dalla varietà ma anche dalla molteplicità delle calligrafie di chi li ha compilati, dalle modalità e dagli stili espressivi, dalle lingue; alcuni scritti a penna, altri a matita, a volte di difficile o impossibile inter-
pretazione. Più li sfogli e più escono i nomi, quelli delle cime, dei passi, dei rifugi, dei bivacchi a cui accennavo all’inizio. Ti rendi conto che il mondo nel quale ti muovi si trasforma, perfino nell’arco di tempi limitati, assorbendo i nomi degli uomini che li frequentano o li hanno frequentati. Fra questi puoi trovare, per episodi più recenti, purtroppo anche il nome di qualche amico.
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Leggendo questo piccolo archivio cresce la curiosità di conoscere meglio alcuni dei personaggi che maggiormente ricorrono nelle testimonianze scritte, siano essi guide e portatori o clienti e alpinisti che, a vario titolo e per diversi motivi, si accompagnarono a loro nelle salite. Che figura esce di questi uomini, che si muovono a loro agio nell’ambiente montano che conoscono in modo molto accurato, contadini, pastori, minatori, chiodaioli che per campare, ma anche per amore di questo rapporto con la montagna, svolgono la professione di Guida? I commenti dei clienti sono decisamente unanimi nell’apprezzarne le doti fisiche, morali, di intuito alpinistico e perfino comunicative, tanto da affidar loro con una certa frequenza anche i giovani figli affinchè si aprano alle bellezze dell’introduzione all’alpinismo. Un solo episodio di riprovazione riguarda il caso della Guida che, sprovvista delle chiavi del Rifugio Garibaldi assegnategli dalla Sezione, costringe i clienti che ha accompagnato nell’escursione a dormire, bagnati dopo una forte pioggia, nel rifugio invernale. La vicenda avrà poi uno strascico documentato e poco favorevole
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alla Guida stessa. Colpisce il grande numero di ascensioni, spesso anche delle vere e proprie “prime salite” talvolta solo sinteticamente segnalate, altre volte più dettagliate, a testimonianza della notevole attività svolta, frequentemente anche accompagnando clienti stranieri, in prevalenza di origine tedesca o austriaca, ma anche inglese o francese. Personalmente mi sono lasciato coinvolgere nella ricerca di alcuni episodi curiosi, diciamo più “di contorno”, che mettono in evidenza anche attività collaterali svolte dalle Guide e dai Portatori. Numerose sono al riguardo le segnalazione di accompagnamento sul campo di famosi geologi o ingegneri catastali in campagne di ricerca scientifica o di rilevazione. Ancor più di frequente ne esce il lavoro svolto in appoggio alle truppe alpine. Per l’esposizione nella mostra, dovendo fare una scelta fra il molto materiale, si è preferito privilegiare alcuni “temi” enucleando per ognuno di essi gli episodi che ci sono parsi maggiormente significativi.
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Escursionismo tra gli scaffali: La biblioteca del Club Alpino Italiano di Brescia di E. P. L’andar per montagne è, nel sentire diffuso, un’attività itinerante. Ciononostante lo si può praticare anche in modi differenti; con un buon libro, ad esempio, e una tazza di caffè, seduti in poltrona, o con un buon bicchiere di vino a seconda delle occasioni e delle preferenze. Difficile pensare che anche il più accanito ed assatanato alpinista non abbia dedicato a questa seconda versione una discreta parte del suo interesse: la lettura delle azioni, dei tentativi, dei successi e degli insuccessi, perfino delle sventure di altri più o meno famosi “conquistatori dell’inutile” è essa stessa un aspetto dell’alpinismo. Per questo esistono biblioteche di nicchia, specializzate nel settore della letteratura, della storia, delle tecniche dell’andar per montagne. E c’è gente che le frequenta; non molta, magari, ma c’è. Non ci si va a cercare le grandi opere di cultura; la filosofia, la logica, la letteratura a lettere maiuscole non vi sono propriamente di casa. Ci si va per cercare le passioni, le emozioni, le avventure e talvolta i limiti delle capacità di resistenza o di follia umana nelle terre alte. Forse, semplicemente, ci si va per imparare a sognare un poco più in grande, o anche solo per sentirsi un poco più liberi dai vincoli di una vita regolata dalle mille convenzioni delle contrapposte “terre basse”. E ditemi voi se vi pare poco. Nella biblioteca della Sezione di Brescia del Club Alpino Italiano così la pensiamo. Abbiamo raccolto circa duemila volumi, in gran parte legati al tema della montagna. La biblioteca non è il risultato di una improvvisazione recente; ha un’origine pressoché contestuale a quella della Sezione stessa, e ne ha seguito le medesime vicissitudini, compresi i trasferimenti succedutisi nelle varie sedi, fra cui quello dovuto ai bombardamenti nel corso della seconda guerra mondiale. Ne seppe qualcosa Pippo Orio che si vide costretto a trasferire, scatolone per scatolone, in bicicletta, tutti i volumi rimasti dopo che la sede era stata colpita, insieme ai documenti salvati dalla distruzione, buona parte dei quali risulta conservata ora presso l’Archivio di Stato.
Nel dopoguerra la sede del C.A.I. fu in Piazza del Vescovato, proprio qui a fianco della Queriniana: le riunioni del giovedì sera erano, per i soci, anche un’occasione per consultare i volumi e le guide, stipati in vetrinette chiuse e poco funzionali, ma sempre preziosi per la preparazione di gite o di salite più o meno impegnative, magari con il supporto del consiglio di qualche “esperto”. L’ultimo trasferimento risale ad alcuni anni fa; ora si può contare su una sede molto più adeguata, dove anche la biblioteca ha trovato una collocazione ottimale. Certo, lasciare Piazza del Vescovato non è stata cosa semplice, molti hanno torto il naso; indubbiamente è stata anche una questione di cuore abbandonare una collocazione centrale e ormai storica. Però i dati dicono che c’è stata ragione, in questo cambio, visto che la frequentazione dei soci ha trovato nuovo impulso. Di conseguenza, anche per la nostra biblioteca abbiamo avuto positivi riscontri: siamo passati da poche decine a qualche centinaio di prestiti all’anno. Vedo già alzarsi il sopracciglio e un leggero sorrisetto affiorare sul viso del bibliotecario di rango, ma che volete, qui da noi si parla, come si diceva, di letteratura minore, nessuna pretesa di confronti. Quanto basta, insomma, per mantenere vivo o far crescere il desiderio di proseguire ad andar per montagne; ma questa volta realmente come attività itinerante. O per farlo nascere in qualcuno. A proposito, siamo in Via Villa Glori al numero 13, e consigliamo a tutti di fare un salto a trovarci negli orari di apertura.
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Gli scienziati europei e lo studio delle montagne bresciane di Giuseppe Berruti. Conosco un solo modo (ciascuno di noi hai i suoi limiti) per frequentare, apprezzare, conoscere, studiare le montagne: salirci a piedi. Nel corso di una trentina d’anni – tra il 1965 e il 1998 – ho portato a termine e pubblicato trenta lavori da ricerche compiute sulle montagne bresciane: dall’entroterra gardesano al massiccio dell’Adamello e alle alte Valli del Gavia, nell’ambito della geologia strutturale e di quella stratigrafica, della paleontologia e della geomorfologia. Mi è stato di grande aiuto la collaborazione – anche sul “campo” – di valorosi geologi italiani: Cassinis (Pavia), Forcella (Milano), G. V. Dal Piaz e Mietto (Padova), Conti, Mariotti e Nicosia (Roma, “La Sapienza”), e della svizzera K. A. Riklin della “Eidgenoessische Technische Hochschule” di Zurigo (ottima nella ricerca come nell’arrampicata libera). Un arguto geologo inglese della seconda metà dell’’800 soleva dire agli allievi: la geologia, innanzitutto, “si fa con i piedi” (“...in slap dash fashion”). Tutto ciò non significa affatto sminuire il ruolo della foto aerea o dell’immagine da satellite. Il fatto è che la montagna è un “sistema complesso”, la somma di molti macrofenomeni ma anche di un numero enorme di microfenomeni che solo con l’osservazione sul terreno possono essere valutati. Ripensando a quel trentennio, agli studi proposti da una vastissima bibliografia sui temi prima indicati, ciò che sorprende maggiormente è il numero imponente di scienziati europei che dalla metà del XIX secolo in poi hanno contribuito alle ricerche e agli studi sui temi stessi. Mi limito a citare solo alcuni degli Autori e l’anno di pubblicazione del saggio che contiene riferimenti e interpretazioni su “temi” del territorio, ripartendo l’elenco in tre gruppi: Prealpi (il maggiore), Adamello, Glaciologia: Prealpi: A. Escher v.d. Linth, 1853; E. W. Benecke, 1866; H. B. Geinitz, 1869; E. Suess, 1869; C. W. Gumbel, 1878; R. Lepsius, 1878; A. Bittner, 1881; P. Gauss, 1928; J. J. Dozy, 1935; L. Dursman, 1940; D. A. Erdman, 1941;
J. Faber, 1941; A. Marskant, 1941; j. Auboin, 1963; L.V., L. M. De Sitter, 1969; M. Chardon, 1975. Adamello: W. Salomon, 1908-1910; G. B. Trener, 1910; A. Spitz, 1915; H. P. Cornelius, 1928; K. A. Riklin, 1983. Glacialismo: A. Penk e E. Brukner, 1901; K. A. Habbe, 1969. Come ho osservato in precedenza l’elenco degli Autori proposti in questa note costituisce solo un “campione”, comunque significativo, degli scienziati di alcuni paesi europei. Le loro ricerche hanno offerto contributi preziosi all’analisi dei caratteri e dei fenomeni geologici delle montagne bresciane.
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Finestre sulla montagna: Mostra di pittura degli artisti Gabriella Piardi e Beppe Ricci negli spazi della Biblioteca Queriniana di Fausto Lorenzi. Beppe Ricci, davanti alle Dolomiti, è l’ultimo arrivato di una cordata visiva che ebbe ufficialmente inizio nel 1863, quando il pittore inglese Josiah Gilbert pubblicò col botanico e geologo George Churchill “The Dolomite Mountains”. Avrebbero dato avvio anche ad una vera e propria tradizione di spettacolari panorami, con l’esatta riproduzione dei rilievi piegata a soffietto nelle guide alpinistiche. Ricci rievoca quella tradizione nella minuziosa texture delle sue opere (la luce che incardina rocce, altopiani e ghiacciai) ma, coltivando il sentimento della vera luce e del vero paesaggistico, accoglie umori e sentimenti che ne increspano l’uniformità. Ricci però non scioglie il paesaggio in vapori, turbini e soffi, in venti e bolle d’aria; altrettanto espunge l’aneddoto (e la figura umana), per un confronto diretto con la concentrazione di pareti di roccia, boschi, pascoli in una sorta di volontà di fondere osservazione scientifica (luce e ombra sono presenze solide, geometriche, misurate e soppesate come i picchi rocciosi e gli specchi d’acqua, i prati, gli alberi, le nuvole) e spirito stesso del paesaggio.
Certa qualità matematica dell’occhio fa di Ricci un descrittore di viva acutezza visiva: la contemplazione rasserenatrice è l’emblema di questa pittura di immagini alla prima apparenza cristallizzate, ma fatte poi respirare in impasti formicolanti e in atmosfere sospese, interrogando la vastità dell’orizzonte e i grandi cumuli di nuvole. Ma nella stessa tecnica mista, che fa concorrere gessi, pastelli ad olio, essenze chimiche ed acqua, affiora una ricezione intrisa d’atmosfera e di incrinatura sentimentale. Come sottolineano certe trame non del tutto (ri)finite, come volessero evocare la tessitura incompiuta della memoria.
Ne scaturisce un solido esercizio per ossigenare gli occhi e temprare lo spirito, senza lasciarsi travolgere dalla vertigine di quelle pareti, quasi a recuperare il miglior naturalismo tardo-ottocentesco nel sereno stupore davanti alle grandi montagne, quando l’alpinismo come nuova disciplina si fondeva con le tradizioni scientifiche e geografiche perché l’Italia si scoprisse nella sua stessa identità fisica e spirituale e non vedesse più le Alpi come barriera. Il viaggio dello sguardo di Ricci lungo le Dolomiti è davvero un viaggio attraverso gli occhi degli artisti che hanno guardato queste montagne prima di lui, dal senso anche arcano del sublime fino al gusto del pittoresco che si legava all’interpretazione religiosa pacificante della fatica rustica montanara, anche negli artisti più carichi di fremiti simbolisti.
Immagine sopra: quadro di Beppe Ricci
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E’ molto lungo il lavoro preparatorio di Ricci sul paesaggio dolomitico – quasi procedesse in un rilievo topografico e di catalogazione scientifica -, attraverso scomposizioni, sequenze, fotogrammi (è fondamentale anche l’approccio attraverso la fotocamera), eppure la visione finale si compone come un itinerario davanti alla natura solenne col senso limpido d’una realtà non ancora corrosa, che trasmette allo sguardo temprato dalla pazienza un carattere morale di probità e asciuttezza. Il mondo delle Dolomiti è in realtà un’orditura di forme in incessante ibridazione, nel giro delle stagioni, nell’azione degli agenti atmosferici: ma queste forme paiono in attesa di essere rivelate nel modello interiore, primario, che ogni cosa ha in sé, attraverso i movimenti e le passioni della luce. Di sicuro Ricci ha amato le pagine dello scrittore bellunese Dino Buzzati dedicate alle sue Dolomiti, “nella loro paurosa e adorata solitudine”, quando si scagliava contro quelli che le deturpavano con la retorica, anziché conservarle in una traccia asciutta, da scisto cristal- Sopra: quadro di Beppe Ricci. Immagine sotto: Tetto lino. rosso, di Gabriella Piardi. Salire in montagna per Gabriella Piardi è palestra L’avventura solo per sé, come messa alla prova, fisica, morale e mentale: in fondo, ricerca la stessa conquista d’una dura misura anche morale, e alconcentrazione d’energia, la stessa precisa, essen- trettanto d’una disciplina dello sguardo. Infatti, ziale misura gestuale nell’arrampicata e nella resa come s’avvicina all’avventura estrema per avvicigrafico-pittorica. Costruisce un suo diario epico di narsi al nostro passato, per sapere chi siamo stati scalate da free climber o da arrampicatrice classica quando dovevamo lottare con gli elementi per sotra grafica e pittura con procedimento che ricorda i pravvivere, così si appiglia alla tradizione figuratipittori del Grand Tour, tra taccuini di viaggio, riprese va per definire il corpo umano e le forme naturali sul motivo e rielaborazioni più rifinite in studio. Un’- in relazione alla storia di una conquista tenace e autobiografia con figure – altri protagonisti e sodali faticosa dello spazio davvero necessario. C’è un d’imprese - che vuole condensare le tappe della habitat ecologico anche dell’arte. conquista della montagna nel gesto atletico, nella tensione, nella necessità assoluta di quel passo, di Annotava John Ruskin già a metà Ottocento, dopo aver valicato e “ritratto” più volte le Alpi, di cui quel movimento, di quell’appiglio. tracciò una vera e propria estetica come “cattedrali della Terra”: “Gli uomini non hanno visto granché del mondo andando lenti, figuriamoci se vedranno di più andando veloci!”. La montagna diventa terra d’asilo per una presa d’aria alternativa, una possibilità di resistenza umana che vogliamo continuare a garantire alla parte di noi che cova la sua piccola ribellione, sognando una vita più libera e pura, e altrettanta pulizia dello sguardo. Sul foglio o sulla tela Gabriella Piardi alterna un’impaginazione più espressionistica, fusa spesso col linguaggio visivo, la struttura e il ritmo della cultura popolare della graphic novel, a guisa di una sapida, icastica stenografia novellistica, e viceversa un gusto d’illustrazione precisa, scientifica, da naturalista conscia della meravigliosa varietà e imprevedibilità dell’universo montano, anche nei suoi più umili particolari.Nell’insieme, l’artista isola elementi della natura in strutture nette e
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perspicue, spoglia la figura e il paesaggio di tutti i particolari inutili, in un’arrampicata sul supporto “a mani nude” che talora va verso la forma pura, ma traccia anche la bellezza “antica”, accademica della natura , nella trama dei giorni e delle notti, nel corso delle stagioni, con un’alta apprensione ecologica che è sentimento della fragilità dell'esistenza. Quando libera la vena più espressionista, in fondo parrebbe disegnare e dipingere quasi a corpo sciolto, per intenderne la gestualità corporale, l’ammicco tutto fisico, tra indolenza e scatto imprevedibile. Ma c’è anche una Gabriella Piardi che fa ricerche di sintetismi lirici, nella scomposizione dinamica della luce, tramata nelle matasse segniche e cromatiche, creando un concertato tumultuante che si abbandona persino alla giocosità infantile, alle linee ed ai colori d’uno spazio psichico; prevale la vocazione a “impronte” di nature morte e paesaggi fiabeschi, con il colore che fluisce morbido e brillante in contrasti simultanei, scie, traiettorie, zonature che scandiscono una percettività emozionata. A Iato: Arrampicare, di Gabriella Piardi.
Arrampicare...di
Gabriella Piardi.
Se dovessi descrivere da capo quello che per me ha significato fino ad adesso e significa tutt’ora l’arrampicata, probabilmente non basterebbero anni…e nemmeno carta.
Ed i motivi sono svariati; in un mondo così vasto mi sento portata a scoprire cose sempre nuove; ad esempio, ad essere sempre in mezzo a nuove persone, aspetto preliminare in arrampicata, senza il quale il gusto e la bellezza di questa realtà scomparirebbero.
E forse il fatto che sia solo l’artista a parlare delle proprie opere, non va sempre del tutto bene. Infatti, spesso e volentieri, si usa dire che è l’arte che parla da sé, senza il bisogno di grandi spiegazioni o ragionamenti.
Lo splendore dell’ambiente entro il quale ci si trova immersi unisce divertimento e contatto con la natura, ed allo stesso tempo ci restituisce quella nostra dimensione semplice e genuina, alla quale puntualmente veniamo sottratti, a causa della routine quotidiana.
Con questo non intendo certo affermare che non parlo volentieri delle mie opere e del mio lavoro, ma penso che ciò che voglio esprimere sia da me talmente sentito, che nei miei dipinti balza subito all’occhio dell’osservatore. Per questo motivo mi soffermo solo ad accennare a quello che essi vogliono esprimere: sostanzialmente vogliono raccontare. Raccontare un pezzo di me, una grossa parte della mia anima e del mio essere, quello che per me è, in questo momento, e sarà anche in futuro, una realtà ormai inscindibile dalla mia vita: la roccia.
I miei dipinti narrano ciò che io sento quando arrampico, esprimono il mio modo di essere di tutti i giorni, in quanto invaso da uno stile, che diventa stile di vita quotidiano. Essi comunicano visivamente la mia arte e la mia personalità, sono come le pagine di un libro che narrano momento per momento la mia storia, una storia illustrata e solo agli inizi, che si evolverà negli anni raccontando di ambienti e mondi sempre nuovi.
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Gabriella Piardi è nata a Brescia il 23 settembre del 1983. Ha frequentato il Liceo Classico “Arnaldo da Brescia” di Brescia, e, completata la formazione classico-umanistica, ha iniziato il percorso artistico, presso l’Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona. Successivamente inizia a prendere parte alle diverse manifestazioni artistiche della realtà bresciana, ed a portare avanti il suo percorso artistico, svolgendo mostre personali, anche fuori Brescia; appassionata da sempre di montagna, la sua pittura, da principio basata sul disegno accademico e sul ritratto, subisce una netta evoluzione stilistica ed espressiva, quando Gabriella entra in contatto con quella che per lei è l’anima della montagna, cioè l’arrampicata su roccia. Una tematica questa di vitale importanza per lei, che caratterizza il suo percorso artistico e di conseguenza, anche in ambito lavorativo, la passione per il disegno, per l’arte e per la montagna, la portano a rivolgersi ed a collaborare con le realtà editoriali di montagna (riviste, periodici), come illustratrice. Attualmente vive e lavora a Brescia. Di seguito le sue esposizioni personali più significative: Giugno 2007 - Mostra personale presso la Galleria d’Arte Martino Dolci di Brescia, a seguito dell’ammissione alla finale del III° Concorso per Giovani Artisti, indetto dalla Fondazione Martino Dolci (dicembre 2006). Agosto 2008 - Mostra personale presso la Galleria d’Arte “Il Transito” di Arco di Trento. Giugno 2010 - Mostra personale presso la Galleria d’Arte Martino Dolci di Brescia, a seguito dell’ammissione alla finale del VI° Concorso per Giovani Artisti, indetto dalla Fondazione Martino Dolci (dicembre 2009).
Complessità del paesaggio dolomitico, di Beppe Ricci. Inavvertitamente, affrontando il paesaggio dolomitico, ho avviato un percorso operativo mai sperimentato in altri ambiti paesaggistici. E' tale la sua complessità formale e cromatica che non ho osato affrontare da subito, nella loro interezza, le vedute individuate.Mi è parso più naturale concentrarmi inizialmente su alcune parti, poi più volte rappresentate, variando le dimensioni o il tipo
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di supporto e la tecnica o i materiali.Anche successivamente, dipingendo il soggetto per intero, ho conservato così insistentemente la tendenza alla ripetizione e alla variazione da renderla una nota dominante di tutto il ciclo. *** Ricci, nel 1959, ha tenuto la sua prima personale nella libreria - galleria Formenti di Brescia. Sempre a Brescia, nel 1975, ha presentato la serie dei "Gabbiani" alla galleria U.C.A.I.Le opere successive allo sviluppo di questa tematica sono state presentate nel 1991 a Gardone V.T. nella sede dell'A.R.C.A. Le "Vedute di Franciacorta", iniziate nel 1989, sono state esposte per la prima volta nel 1994 nella galleria dell'Associazione Artisti Bresciani e, in seguito, a Viadana mantovana, a Passirano, a Provaglio d'Iseo, a Calvisano e a Bedizzole. Alcune opere sulla Franciacorta, realizzate su fotocopie di riprese fotografiche eseguite dallo stesso artista e parzialmente rielaborate con pastelli a olio, sono state esposte a Verolanuova nel 1995. Nel 2003 a Iseo, contemporaneamente nella galleria "la Quadra" e nel Centro Culturale l'Arsenale, Ricci ha esposto quasi per intero il ciclo delle vedute di Franciacorta.Nel 2001 ha avuto inizio la serie vedutistica del paesaggio dolomitico, esposta per la prima volta nel Forno fusorio di Tavernole S.M., nel 2006. Nel 2007, presso la galleria "la Quadra" d'Iseo, Ricci ha presentato sia vedute di Franciacorta che delle Dolomiti. Nel 2001, in omaggio a Marguerite Yourcenar, è iniziato il ciclo di graffiti monocromi dell' "Opera al Nero", che in parte è stato esposto presso la libreria Einaudi a Brescia. Ricci vive e ha lo studio a Brescia, in Via S. Testi 17 Tel. 030 321555 E-mail: trementina.ess@gmail.com
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La Società Ugolini: la storia e le cose di Giovanni Capra.
La U.O.E.I (Unione Operaia Escursionisti Italiani) era sorta nel 1911 con circa quaranta sezioni sparse nei maggiori centri urbani del nord e si caratterizzò per il suo spiccato radicamento nel mondo del lavoro operaio e impiegatizio. In una lettera al presidente del CAI di Brescia, nel 1920, fu proprio la sezione cittadina della U.O.E.I. ad illustrare con efficacia i propri obiettivi: ci si impegna, fra i diversi obiettivi, a svolgere attività di promozione " specie fra la classe operaia che più ne abbisogna" sui vantaggi "morali, economici ed igienici" che le gite e la frequentazione della montagna assicuravano, contrapposte in positivo alla "frequenza delle bettole, dei caffé, e dei divertimenti immorali della città". Nel '24 la U.O.E.I., forte di oltre trentamila soci, viene strettamente sorvegliata dalla polizia fascista: il movimento si mantiene dichiaratamente apolitico, mentre il fascismo opera per omologarlo ai propri obiettivi. Gli spazi di manovra e di organizzazione della U.O.E.I. via via si restringono finché l'associazione viene sciolta d'autorità nel 1927. La Società Escursionisti Bresciani “Ugolino Ugolini” nasce nel 1927 come emanazione della sezione bresciana della U.O.E.I. La Ugolini si trova quindi radicata fra i ceti popolari e si caratterizza immediatamente in città e in provincia per la spiccata vocazione agli sport della montagna e dello sci. Uno sport, lo sci, allora sconosciuto ai più, che si era diffuso nelle vallate alpine dopo il ritorno a casa degli alpini sciatori che avevano preso parte alla Grande Guerra. Era naturale che nelle valli bresciane rimanessero ben vivi gli echi della Guerra Bianca combattuta sull’Adamello; con il drammatico ricordo dei commilitoni periti sui ghiacciai e sulle creste delle montagne di casa, molti fra gli alpini avevano portato a casa la passione dello sci e la voglia di sciare. Sul diario della società del 17 febbraio 1927 si legge: ”Grande Adunata sciatoria ai Piani di Vaghezza organizzata dalla S.E.B. Ugolini con il comune di Marmentino Si disputarono la Coppa Vaghezza e la Coppa Monte Ario, partecipanti circa 400 soci. Par-
tenza da Brescia con treno speciale alle ore 5.00 e arrivo a Tavernole alle ore 7.00 , indi proseguimento per Marmentino con autocorriere e in gruppo a piedi per Vaghezza.” E ancora: “Verso le 15.00 la carovana è discesa a Marmentino in frazione Ville dove alla presenza di partecipanti e valligiani luogo la solenne distribuzione dei premi, per le gare di slalom, discesa, fondo e salto; dopo di che si ridiscese a Tavernole in tempo utile per ritornare in città con l’ultimo treno”. Arrivare in Vaghezza la domenica mattina era già un’avventura. Bisognava alzarsi alle 4.00 per prendere il primo treno-tram della Valtrompia che partiva alle 5.00! Ed erano centinaia gli appassionati che si mettevano in moto per andare ad affollare i pendii della Vaghezza. Lo sci era uno sport nuovo, eccitante; muoversi sulla neve con due lunghe aste nelle quali infilare i piedi appariva ai più una pratica astrusa, stravagante. Ma appena ci si spingeva su una lieve discesa, il movimento diventava velocità e assicurava grandi emozioni. Essere sciatori era un motivo d’orgoglio, tipico di chi fa qualcosa di “speciale”.
Monte Guglielmo. CC Grasso 83.
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L’Ugolini intuì il fascino di questa disciplina venuta dal nord e ne promosse l’aspetto agonistico e la grande valenza sociale. Andare a sciare significava riunirsi, organizzarsi, provvedere ai trasporti, (in un’epoca in cui possedere una bicicletta era già segno di discreto benessere), tracciare i percorsi di gara, provvedere ai viveri, al ricovero in caso di malt e m p o, alla r i c r ea zi o n e del g r u pp o . In estate la società diede impulso all’arrampicata e alle escursioni, incoraggiò la passione per le gite e per i viaggi, sui monti di casa, sui laghi, nelle città vicine. Nell’agosto del ’27, 45 alpinisti dell’Ugolini parteciparono alla “Traversata Vallecamonica-Val Rendena”, una settimana di autentico trekking in quota che toccò le cime dell’Adamello e della Presanella, traversò il Gruppo del Brenta e passando da Molveno e da Andalo, terminò a Trento. Già nel ’27 era partito il 1° Corso Roccia che si ripeterà ogni anno ininterrottamente, anche durante la guerra. Poiché il mezzo di trasporto più diffuso era la bicicletta, all’Ugolini nacque presto un Gruppo di Ciclisti Escursionisti: “L’Ugolini chiama a raccolta i ciclisti escursionisti sulla sponde del Benaco – recita un ritaglio del Popolo di Brescia del 26 maggio 1929 – e per la terza volta 1500 (millecinquecento) ciclisti sono convenuti e hanno dato superbo spettacolo…!” Linguaggio ampolloso, ridondante di enfasi, tipico dell’epoca; ma l’Ugolini si caratterizzò anche per la semplicità e la schiettezza dei rapporti fra i soci e come sodalizio da subito aperto alle diverse categorie e alle diverse realtà sociali.
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Nel ’46 dopo lo stordimento del fascismo e la tragedia della guerra, l’Ugolini rilancia la passione per la montagna; nel ’46 si fonda il Circolo Rocciatori Ugolini ideato per dare continuità alle tecniche e alle esperienze e per conquistare all’arrampicata schiere più larghe di appassionati. Nella palestra naturale di Virle, ad ogni arrivo di primavera decine e decine di allievi con i relativi istruttori davano vita a un altro corso di roccia In un’epoca dove la specializzazione era ancora da venire, lo sci era indifferentemente sci alpino e sci da fondo. Le gare avevano luogo ovunque ci fosse un pendio ben innevato; si gareggiò spesso sui prati della Margherita, a un tiro di schioppo dalla città. In Vaghezza l’Ugolini ebbe a lungo una propria casa-albergo che poteva accogliere decine di sciatori. Dal dopoguerra in avanti e fino a tutti gli anni ’80, l’Ugolini organizzò il Derby dello Sci Bresciano, una manifestazione di gare di slalom e di discesa aperte ai residenti di città e provincia. Ma anche gare di sci da fondo, già peraltro iniziate nell’anteguerra. Famosa era la Pezzeda-Maniva e la staffetta Pontogna-Stalletti-Pontogna. Ci piace qui ricordare la figura di Bruno Amati, animatore e assertore dell’agonismo sugli sci e figura di rilevanza nazionale nella F.I.S.I. In basso: quadro di Beppe Ricci.
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Nel 1960, alcuni soci che avevano partecipato alle prime grandi manifestazioni di sci-alpinismo, a quell’epoca peraltro rare, danno vita al 1° Rally SciAlpinistico dell’Adamello, un appuntamento che continuerà negli anni, saprà rinnovarsi secondo lo spirito dei tempi. Ha raggiunto la sua 51° edizione, costituendo una delle gare più importanti dello scialpinismo nazionale e internazionale a tecnica classica. Per un paio di decenni, tra il ’65 e l’85, l’Ugolini organizzò la “12 Ore” sul classico percorso ManivaPontogna, una gara di sci-alpinismo a tecnica libera, divenuta in seguito “Trofeo Francesco Regosa”. Tornando al Corso Roccia e ai suoi istruttori del Circolo Rocciatori, questi, negli anni avvicineranno centinaia di giovani all’uso di corda e chiodi e al mondo dell’arrampicata; fascino, rischio, avventura, esperienza, prudenza tutte componenti del mondo delle crode che gli istruttori passeranno ai giovani allievi; dai nuovi allievi sarebbero nati nuovi istruttori, “la montagna insegnata da chi va in montagna”. Gli anni ’50 videro fra gli altri allievi anche il giovane Franco Solina accanto a Lorenzo Gelmi, Angelo Tognazzi, Cente Spinoni, Arturo Crescini, Tino Bini, Enrico LaMicela, Gianni Pelizzari, i fratelli Prandelli, Paolo Guerreri e tanti altri – e citare tutti purtroppo non è possibile. Erano gli anni in cui Bruno Detassis scendeva dal Brenta e veniva a far parte della commissione che esaminava e valutava gli allievi alla fine di ogni corso. Si può a buona ragione affermare che la gran parte dell’alpinismo bresciano è transitata dall’Ugolini. All’accademico Franco Solina, autore negli anni ’60 di vie di roccia entrate a far parte della storia dell’alpinismo internazionale, sono seguiti altri valenti accademici, quali Tiberio Quecchia e Claudio Inselvini o formidabili alpinisti come Andrea Mutti, Saverio Occhi e molti altri.
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Oggi l’Ugolini conta oltre 700 soci attivi mentre molto maggiore è il numero dei simpatizzanti. La società mira ad aprirsi costantemente ai giovani e ad accogliere il nuovo che viene avanti. L’inverno 2010/2011 ha visto concludersi il 77° Corso di sci da fondo, il 16° Corso di Cascate e il 62° Corso di sci-alpinismo. Si è appena aperto l'84° Corso Roccia, iniziato come sempre ai primi di maggio. Nel prossimo mese di luglio avrà luogo il 46° Corso di Ghiaccio Alta Montagna per chi predilige la pratica di salire i monti con piccozza e ramponi; in settembre si terrà il 27° Corso di introduzione all’alpinismo per chi vuole acquisire le conoscenze di base dell’andare in montagna. La società dispone, per i corsi, di un organico di oltre 80 istruttori che prestano gratuitamente la loro opera preziosa. Il calendario di ogni anno predispone anche un ricco programma di gite, escursioni e ascensioni che, guidate da soci esperti, portano, d’inverno sugli sci e d’estate su vie ferrate, sentieri e ghiacciai nutriti gruppi di alpinisti e di sci-alpinisti. Cadenzato sui tempi dell’anno scolastico, cioè da ottobre a maggio, viene offerto anche un corso in palestra per due sere la settimana. Infine l”Ugolini” vanta con orgoglio la gestione e la proprietà di due bivacchi in Adamello, (il Bivacco Ugolini - m 3240 - allo sbocco del Passo Adamello sul Pian di Neve e il Bivacco Regosa – m 2960 - alla Bocchetta della Calotta) e del rifugio Tita Secchi - m 2353 - (intitolato al partigiano Tita Secchi e donato alla società dalla famiglia SecchiVilla) al Lago della Vacca. La passione e l’amore per la montagna continuano dunque ad costituire l’elemento trainante, l’anima, e lo spirito vivo del nostro sodalizio.
A lato: Monte Concarena in Val Camonica. Luca Giarelli/CC-BY-SA 3.0
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Le montagne bresciane secondo Giuseppe Ragazzoni di Paolo Schirolli, Museo di scienze naturali.
Mai un profondo desiderio di conoscenza delle montagne bresciane fu tanto intenso da dedicare ogni risorsa, fisica ed economica, alla sua realizzazione, e non principalmente per sé quanto per il bene comune, come in Giuseppe Ragazzoni (Brescia, 18241898). Egli volle per primo, con tanta tenacia, studiare la natura dei rilievi bresciani, i litotipi che ne costituiscono l'ossatura, come le masse rocciose si giustappongono, quanto il paesaggio orografico rispecchi l'assetto geologico di questa regione dove uno spaccato del dominio alpino si affaccia alla pianura. A tutto ciò si aggiunga l'assidua ricerca delle risorse geo-minerarie al fine di risvegliare e promuovere l'economia bresciana in un periodo, come quello del XIX secolo, di grandi cambiamenti nei processi produttivi. Giuseppe Ragazzoni rappresenta indiscutibilmente una figura di spicco nell'ambito intellettuale e scientifico bresciano del suo tempo. Farmacista e insegnante, ma anche patriota e politico, egli dedica la sua vita a percorrere il territorio bresciano illustrandone per primo la natura geologica, attraverso schizzi, profili geologici, campioni di rocce, minerali e fossili, e misurando la quota altimetrica di tutti i più caratteristici elementi del paesaggio. Le sue pubblicazioni scientifiche e i suoi originali taccuini di campagna (depositati presso il Museo di Scienze Naturali di Brescia) restano a testimonianza di un'attività scientifica condotta ininterrottamente per oltre trent'anni, a partire dal 1852. Sempre fedele al metodo sperimentale, Ragazzoni intraprende un'opera fondamentale per la conoscenza dell'assetto geologico della porzione meridionale dell'edificio alpino, vale a dire la realizzazione di un profilo geologico che attraversa tutta la provincia di Brescia in senso meridiano, a partire dall'alta Valtellina per terminare nella pianura di Casalmaggiore. Egli peraltro compila anche la prima carta geologica dell'intera provincia. Innumerevoli sono dunque i viaggi e le escursioni a piedi che Ragazzoni deve
effettuare sulle montagne bresciane per portare a compimento un programma di studio del territorio, degno di una mente superiore, ma che scherzando egli diceva di aver scritto sulla carta del formaggio. Il percorso del profilo principale è lungo 165 km, di cui 114 in montagna (da M. Braulio a Paitone) e 51 in pianura (da Paitone a Casalmaggiore). Ad esso si aggiungono dei profili accessori che interessano i rilievi isolati di M. Covolo di Villanuova, di Soprazzocco, delle rupi di Manerba, della Badia e Castenedolo. Tale realizzazione implica la raccolta razionale, metodica e complessa di una gran mole di dati sul terreno: l’identificazione delle differenti litologie, l’attribuzione delle unità stratigrafiche e il loro ordinamento verticale e spaziale, le misure della giacitura degli strati, la ricerca di fossili ai fini della datazione delle unità sedimentarie e della ricostruzione del loro ambiente deposizionale. Una raccolta di informazioni così strutturata non aveva precedenti per quei tempi nel Bresciano e i dati erano dunque da considerarsi quasi del tutto originali. E tutto questo avveniva quando le carte topografiche non avevano le curve altimetriche, i mezzi di comunicazione erano assai scarsi, in un momento in cui le stesse scienze geologiche muovevano i primi passi verso la comprensione della complessa struttura dell’edificio alpino e si
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discuteva sulla correlazione delle varie formazioni rocciose affioranti sulle Alpi, conducendo studi di confronto tra la successione dei terreni italiani e quelli europei. Il principale intento di Ragazzoni è quello di mettere a disposizione di tutti gli studiosi una oggettiva base di lavoro, affinché potesse essere fatta definitiva chiarezza sulla struttura geologica del territorio bresciano, e dunque della parte meridionale dell’edificio alpino. Egli lavora nella consapevolezza che l’interpretazione dei fatti e la loro teorizzazione è cosa diversa e mutevole nel tempo rispetto alla oggettiva osservazione e raccolta di dati e campioni che lui effettua durante i suoi rilevamenti. Per questa ragione Ragazzoni dota il profilo di una ricca collezione petrografica e «offrendo all’esame siccome testimoni de’ suoi pensieri i materiali in ogni punto colle sue mani raccolti, non pretende che le sue deduzioni siano accettate senz’altro. Bensì persuaso di aver fatto una prima sezione, per così dire, anatomica di questa parte delle Alpi, desidera che altri le corra, sindacando l’opera sua, e portandovi la critica suggerita dall’amor della scienza» (Ragazzoni, 1875). Per compilare il suo profilo geognostico Ragazzoni dapprima deve stabilire la successione stratigrafica normale di tutte le formazioni rocciose bresciane, dando a molte di queste un nome di derivazione dialettale che ancora oggi permane nella terminologia geologica formale (per esempio Corna, Corso, Medolo, ecc...). Se la comprensione della locale successione dei terreni doveva essere propedeutica alla realizzazione del profilo, è vero che lo scopo ultimo delle sue ricerche fu sempre eminentemente pratico e ciò rappresenta il valore più alto della sua opera di scienziato. Egli infatti scandaglia le formazioni rocciose bresciane e le confronta con le successioni delle regioni limitrofe alla costante ricerca di possibili risorse locali, dai materiali lapidei ai giacimenti minerari e i combustibili fossili. Ragazzoni persegue con energia l’ideale di emancipare l’industria estrattiva e siderurgica bresciana per rendere i prodotti del ferro bresciano competitivi rispetto a quelli provenienti dalle realtà produttive straniere più avanzate, soprattutto europee come Inghilterra e Francia, ma anche nazionali e regionali, nella speranza di far riprendere le antiche attività minerarie bresciane. Grazie ai suoi studi geologici Ragazzoni diviene il più alto appassionato e conoscitore delle montagne bresciane e a ragione dunque è riconosciuto quale primo Presidente della Sezione di Brescia del Club Alpino Italiano, alla data della sua fondazione, il 31 agosto del 1874. Proprio uno di quegli itinerari da lui percorsi più e più volte per scopi scientifici è quello scelto dallo stesso studioso per l'escursione inaugurale della sezione del CAI lungo la Val Trompia e la Val Caffaro.
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Nell'agosto dell'anno successivo Ragazzoni organizza anche la prima escursione collettiva in Adamello (zona da lui visitata fin dal 1855), salendo dalla Val Saviore al Lago di Macesso (scomparso nel 1935), presso il Lago Salarno, per discendere poi in Val Rendena. Il 21 agosto1883 Ragazzoni descrive il suo profilo geognostico agli alpinisti italiani, riuniti a Brescia per il XVI Congresso nazionale, esortandoli a contribuire durante le loro imprese alla raccolta di informazioni geologiche sulle vette o le porzioni più inaccessibili dei nostri rilievi.
Intorno alla raccolta di reperti petrografici, mineralogici e paleontologici a supporto del profilo geognostico e della carta geologica della Provincia di Brescia, intorno alle collezioni di materiali lapidei e di terre coltivabili presentate da Ragazzoni alle esposizioni nazionali ed internazionali, nascerà anche l'esigenza, condivisa all'interno dell'Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Brescia, di dotare nel 1902 la città di un Museo di Storia Naturale, dedicato allo studioso, che evolverà nell'attuale Museo Civico di Scienze Naturali. A tanto ha portato l'amore per la montagna e per la scienza di Giuseppe Ragazzoni, ricordato come il «maestro» della geologia bresciana (MONOGRAFIA N. 30•2010 di NATURA BRESCIANA).
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VERBAVOLANT Pensieri e parole sulle vette di Santuzza Mille e Maddalena Piotti. Uomini e donne che hanno scelto di misurarsi con la fatica, con se stessi, con i propri limiti e con le proprie potenzialità, con l’imprevedibilità della natura e della meteorologia… Uomini e donne allo stesso tempo normali e speciali per quella loro volontà e capacità di confrontare la quotidianità con esperienze dure, scantonate dai più. Ne abbiamo scelti alcuni fra i tanti, con una certa casualità, ma i loro pensieri non sono “parole che volano via” sono parole tenacemente ancorate alla solidità della terra, alla fermezza della roccia e alla durezza dello sforzo. Sono parole profonde che colpiscono, che ci narrano di fatica ma anche di bellezza, di natura, di vita…
Silvia Metzeltin Buscaini, Nata nel 1938 si laurea a Milano in Scienze geologiche dove fa esperienza di docenza e ricerca. Ma dedica la sua vita all’alpinismo, vissuto da sola ed in coppia con l’inseparabile marito, Gino Buscaini, scomparso qualche anno fa. 1.300 cime raggiunte, sulle Dolomiti, nel Sahara, in Iran, in Perù, nell’Himalaya, in Alaska, in Giappone, in Patagonia. E’ la prima donna, insieme a Bianca di Beaco, ad essere ammessa al Club Alpino Accademico Italiano. Numerose le sue pubblicazioni tra cui Alpinismo a tempo pieno, Dall'Oglio, 1984
*** Ho lasciato uno spiraglio aperto nella mia tenda, anche se la notte è fredda e il vento soffia polvere di neve ghiacciata sul mio sacco piuma. Lascio aperto e ci sono le montagne, il Meru, lo Schivling, che guardano dentro. Nelle altre tende le lucine delle pile si sono spente. Sola fra queste montagne che sono così belle ma che per qualche ignota ragione oggi non so amare, ho tempo per pensare a te (…) Qualcosa di profondo resta a legare chi ha condiviso un’esperienza piena come il nostro alpinismo (…) O credi che non rimanga proprio niente? (…) Forse un fiore azzurro, visto che siamo in Himàlaya, azzurro trasparente e luminoso come il fiore dell’alpinismo tedesco che apre a chi lo trova la visione approfondita dell’universo (…) Forse un fiore azzurro, che oscillerà lieve nel vento, crescerà fra i massi delle morene più alte, ai piedi del Langtang Lirung, sotto la parete ovest. S. Metzelin Buscaini, Forse un fiore azzurro, in Alpinismo a tempo pieno, 1984
Geologia per alpinisti, Zanichelli, 1986 Polvere nelle scarpe, storie di Patagonia, Corbaccio, 2002 Patagonia, terra magica per viaggiatori e alpinisti, Gino Buscaini, Silvia Metzeltin, Corbaccio, 1998 Dolomiti, il grande libro delle vie normali, Gino Buscaini, Silvia Metzeltin, Zanichelli, 1995
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La montagna dolomitica esercita un fascino speciale per la sua arditezza e per il suo pittoresco, singolare aspetto. Le pareti a picco, le dorsali seghettate, le guglie ardite si colorano, all’alba e al tramonto, di tinte diafane e ardenti, mentre il biancore abbagliante delle nevi, il colore verdastro del ghiaccio denudato, si riflette nelle valli strette e profonde e su i piccoli ripiani, nei quali esso giunse a infiltrarsi. Di frequente questa visione di luci infinite, contrastanti e strane, ci appare dietro un velario di pini cupi, degradanti sui declivi delle magiche dolomie. N. Pietrasanta, In dolomite, in Pellegrina delle Alpi, 1934 Il sole ama queste pure altitudini e indugia a lungo la sua calda carezza: al piano la nebbia aduggia uomini e cose, e le vette risplendono di luce; nei crepuscoli per esse il sole dà il suo primo e il suo ultimo saluto alla terra.
Idem, Appunti di umile umanità, in Pellegrina delle Alpi, 1934
Ninì Pietrasanta (1909 – 2000) Fa parte della triade che ha lanciato l’alpinismo femminile in Italia con Paula Wiesinger e Mary Varale e fece parte del gruppo di punta dell’alpinismo torinese. Compagna di cordata e poi moglie di Gabriele Boccalatte, compie con il gruppo una prima assoluta nelle Pléiades. Seguono poi ascensioni di inviolate pareti. Nel 1934 l’editore Vallardi pubblica Pellegrina delle Alpi, di cui nel 2011 il CAI ha pubblicato la ristampa anastatica
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Riparata da un profondo tetto, la cengia qui è pulita, ricoperta di ghiaia sottile. Sola, una piccola chiazza di neve sembra lì apposta per rifornirci d’acqua. Sono le 17; ci sistemiamo per un’altra lunga notte invernale. Con gesti lenti, senza fretta, ciascuno prepara il suo letto: toglie i sassi più grossi e con ampie bracciate sparpaglia la ghiaia per pareggiare il fondo, quindi srotola il materassino e fa una prova - no, il solito spuntone sotto la schiena. Qualche colpo di martello e finalmente è a posto.(…) L’atmosfera è tranquilla; al caldo infilati nei sacchi a pelo, ritroviamo quel ritmo misurato e pacificante che lo fa quasi sembrare un rito. Il vento, là fuori, soffia sempre più frenetico; domani, o forse già ‘sta notte inizierà a nevicare. Andare in montagna d’inverno è sempre un’esperienza impegnativa; il tempo si dilata, tiri che d’estate sali in pochi minuti, possono richiedere ore perché ogni appiglio deve essere ripulito dalla neve, anche il materiale addosso ti rallenta: il vestiario è ingombrante, gli scarponi non ti danno sensibilità, lo zaino è pesante, e poi c’è il freddo, le poche ore di luce, i lunghi bivacchi. Ma non è una forma estrema di masochismo, è che d’inverno la montagna ha un fascino perfetto e ora, più che mai, ti da la sensazione, o l’illusione, di farne parte. N. Meroi, Il girotondo degli Dei. Icone di un’invernale, http://www.nivesmeroi.it/ Se fino ad ora nessuna donna è arrivata alla fine della gara per i 14 ottomila, questo non vuole dire che i risultati delle donne debbano essere trascurati, anche perché, e questo vale per tutti, non è detto che la bravura e la fantasia di un alpinista si misuri con le cime raggiunte. (…) Ma se è vero che ciascuno vive l’alpinismo, come ogni altra attività umana, dall’interno del proprio orizzonte psicologico, emotivo, culturale, è
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evidente che ciascuno va in montagna con un diverso atteggiamento e una diversa finalità. E forse io, come donna, quando voglio adeguarmi al modello maschile, continuo a ripetere l’errore di cercare in me qualità che non ho, trascurando di coltivare quelle che possiedo, che non sono né superiori né inferiori a quelle di un uomo, ma semplicemente diverse. Idem, Donne e alpinismo, Convegno, http:// www.nivesmeroi.it Nives Meroi Nata nel 1961 in provincia di Bergamo risiede in Friuli Venezia Giulia. Raggiunti, insieme al marito Romano Benet, undici Giganti della terra dei quattordici 8.000 metri, ha pubblicato numerosi articoli sulla rivista friulana Le Panarie, del 2007 il film La via eterna e di prossima pubblicazione per Rizzoli Con le nostre sole forze. Mio marito e io, a sfidare gli ottomila.
Sotto: le Pale di San Martino. Fotografia di S. Mille.
Sopra: Alpe di Siusi. Fotografia di S. Mille.
Un’aria pulita di neve entra pigra e fresca. E’ arrivato l’inverno a Malga Calleda. La neve scende calma, dondolandosi in larghe falde. (…) Ieri arrampicavamo sulle Torri del Camp sotto un cielo quasi bianco di caldo. Si sudava ad andare all’attacco delle vie e la roccia era asciutta e ruvida. Sulle cime stavamo stesi al sole. Soltanto i larici dorati e le macchie color bronzo dei faggi dicevano che l’autunno era inoltrato. (…) Adesso, questa neve ci dice che è ora che ce ne andiamo via. (…) Abbiamo superato il Passo Duran e scendiamo verso Zoldo a ritrovare i colori dell’autunno. Ci voltiamo a guardare. Lassù, a Malga Calleda, è già arrivato l’inverno. B. di Beaco, E’ arrivato l’inverno a Malga Calleda, in Liburnia Bianca di Beaco
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Triestina, attiva fino agli anni ’80, era considerata negli anni Cinquanta una delle cinque più forti alpiniste del mondo; alpinista sì, “ma nel senso che vado a farmi abbracciare dai monti, vado ad abbracciare gli alberi, vado per i prati”. Compagna di cordata e di vita di Jose Baron. Fa parte del Gruppo italiano degli scrittori di montagna. Assieme a Spiro Dalla Porta Xidias ha pubblicato il libro Sui monti della Grecia immortale, 1965. Ha scritto per la rivista del CAI di Fiume Liburnia e per molti anni per il Piccolo di Trieste.
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*** Non cercate nel monte un'impalcatura per arrampicare, cercate la sua anima. Julius Kugy (Gorizia 1858-Trieste 1944) In gioventù si appassionò alle montagne grazie ai numerosi soggiorni a Lindt, villaggio natale del padre. Anche se ebbe modo di esplorare gran parte delle Alpi dedicò la sua intera carriera alpinistica a scalare le vette delle Alpi Giulie, aprendo non meno di 50 nuove vie assieme a guide locali. Oltre all'alpinismo Kugy coltivava molti altri interessi fra cui la scrittura, la musica e la botanica.
Che senso ha scalare una montagna?... Ciò che conta è sapere di aver compiuto qualcosa. Bisogna esser convinti di poter resistere fino alla fine - sappiamo anche che non esistono sogni che non valgano la pena di essere sognati... Abbiamo sconfitto un nemico? No, abbiamo vinto noi stessi. Abbiamo conseguito qualcosa di pienamente soddisfacente... Lottare e capire una cosa non è possibile senza l'altra; questa è la vita… George Leigh Mallory (Nobberley,1886- Everest, 1924) Mallory è deceduto assieme al giovane compagno di scalata Andrew Irvine durante la terza scalata inglese per la conquista della vetta dell'Everest. A quasi un secolo da quella storica spedizione non si hanno prove se i due scalatori abbiano raggiunto o meno la vetta della cima più alta del mondo, ben 29 anni prima di sir Edmund Hillary e dello sherpa Tenzing Norgay. Varie ipotesi e teorie sono state formulate, ma l'effettiva conquista della vetta rimane uno dei più grandi misteri della storia dell'alpinismo.
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Non basta essere valenti ginnasti. Atleti inappuntabili, condotti sulle corde, hanno fatto un fiasco solenne; mancava l'elemento morale, quello che divide nettamente l'alpinismo da tutti gli altri sport. Alle doti materiali deve essere unita una straordinaria forza d'animo.
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Dino Buzzati (San Pellegrino di Belluno, 1906– Milano, 1972) Scrittore, giornalista, pittore…eclettico nelle sue attività e nei suoi interessi mantenne nel rapporto e nell’amore con la montagna una continuità che ritroviamo in tanti suoi scritti e nei suoi dipinti.
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*** Ho sempre voluto sapere quanto di freddo e di caldo,di speranza e di paura di debolezza e di forza di altezze e di profondità l'uomo possa sopportare. Volevo sperimentare la frontiera, il limite dello sfinimento; almeno intuire l'essere consumato, svuotato, sbriciolato. Poichè non si poteva salire più in alto ho continuato a cercare, ho creduto finalmente di trovare la risposta nella ripetizione, nella serie: «fin qui e non oltre». L'azione però dissolve sempre e di nuovo la certezza. Reinhold Messner (Villnoss/Funes 1944-) Alpinista, esploratore, scrittore: il suo nome è invece legato a innumerevoli esplorazioni e arrampicate ma è noto al grande pubblico per essere stato il primo alpinista ad aver scalato tutte le quattordici cime che superano gli 8000 metri sul livello del mare, spesso da versanti o in condizioni di eccezionale difficoltà.
Le più eccelse prestazioni in qualsiasi campo dell'esistenza non possono essere raggiunte seguendo una ricetta, non sono trasmissibili da un individuo ad un altro. La somma del talento , dell'intelligenza, dell'istinto e del duro lavoro basta in genere solo per uno scopo, è finalizzabile verso un'unica attività. Il problema fondamentale è quello di sapersi valutare correttamente. Hans Kammerlander (Acereto, BZ, 1956-) Ha dedicato parte della sua attività alpinistica alla conquista delle vette sopra gli ottomila metri, scegliendo spesso una combinazione di ascesa più veloce e utilizzando gli sci per la ridiscesa: nel 1990 riuscì per primo nella conquista del versante Diamir del Nanga Parbat e nel 1996 fu il primo uomo a scendere dall’Everest, dal versante settentrionale, con gli sci ai piedi fino al campobase. La conquista della cima dell’Everest in sole 16 ore e 40 minuti è ritenuta ancora oggi l’ascesa più veloce della parete nord della montagna più alta della Terra. ***
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Exlibris: Direzione e redazione: Biblioteca civica Queriniana Via Mazzini, 1 Brescia Tel. 0302978263 Fax: 0302400359 queriniana@comune.brescia.it
Direttore: Ennio Ferraglio Redattore: Stefano Grigolato
Hanno collaborato al n. 14: Ennio Ferraglio, Eros Pedrini, Giuseppe Berruti, Fausto Lorenzi, Gabriella Piardi, Giuseppe Ricci, Giovanni Capra, Paolo Schirolli, Santuzza Mille, Maddalena Piotti. La responsabilità dei testi e degli apparati iconografici è degli autori dei rispettivi contributi, quando non indicato diversamente.
In alto: il Salone della Biblioteca Queriniana. Fotografia di A. De Gennaro.