INdice/contents marzo/march 2014
INterNIews 15
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48 IN coper t ina: la s agoma di un no t o pipis trel l o la scia intra v vedere il diffusore di una lamp ad a c he prende nome e ispirazione d al l ’animale no t turno . Si tra t ta di un cla ssico del de sign dise gna t o d a G ae Aulenti nel 1965 per Mar t inel l i L uce , realizza t o con te cnic he di s tampaggio c he ai tempi erano mol t o inno vative . da tavol o o d a terra , la lamp ad a “PIPISTRELLO ” a l uce diffus a è re golabile in al tezza grazie a un tele scopio in a cciaio ino x satina t o. Il diffusore è in met acrila t o op al bianco , mentre la b ase e il pomel l o sono in met al l o vernicia t o nei col ori bianco , te sta di moro e rame . “PIPISTRELLO ” U tilizza una sorgente a LED he nel la versione “Minipipis trel l o”. ed è oggi disponibile anc o n the co ver: the profile of a b at offers a glimpse of the diffuser of a lamp tha t takes i ts name and i ts inspira tion from this noc turnal crea ture . A design classic crea ted b y G ae Aulen ti in 1965 f or Mar tinel li L uce , made wi th moulding techniques tha t were ver y inno vative at the time . In table and fl oor models, the lamp “Pipis trel l o” ting is heigh t-adjus table thanks to a telescopic s tem f or diffused ligh in brushed s tainless s teel . The diffuser is in op al whi te me tha cr yla te, while the b ase and knob are in me tal , pain ted in whi te, dark bro wn and copper. “Pipis trel l o” uses an LED ligh t source an d is n o w al s o avail abl e in the “Minipipis trel l o” version.
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produzione production proget t o tè/ The tea proje ct la cucina su misura/ Tail ored ki tchen il nuo vo l ook del l ’eccel lenza/ The new l ook of ex cel lence memoria a l ungo termine/ L ong- term memor y rilanciamo murano /R ela unching Murano brevi in brief project
a c as a di l ouise/ At L ou Ise ’s pla ce la c ascina merla ta a tel aviv con il de sign/ IN TeL AvIv wi th Des IG n ve stite di s t oria/ Dressed in his tor y premi prizes premio ma ggia mostre Exhibitions fe sta mobile a p arigi/ A mo vable feas t in Par IS ar t on ice a/ in livigno fiere fairs IL 27° T eF aF a MaasT r IcH T/The 27T H TeF aF in MaasTr Ic H T
fashion file
L a tra sfigurazione del la ma teria THE TRANSFIGURA TION OF MATTER INservice
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traduzioni translations indirizzi firms directorY
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dossier Emilia Romagna
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INdice/CONTENTS II
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INtopics 1
editoriale editorial di/by gild a boj ardi
INteriors&architecture
abitare in & out a cura di/ edited b y ant onel la boisi 12
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introduzione: tra dentro e fuori
introduction: Between inside and outside proget ti e te st o di/ design b y ud a architet ti a ssocia ti 6
milano, intorno alle scale/milan, Around the stairs proget t o di/ design b y we stw ay archite ct s f ot o di/ pho t os b y andrĂŠ s o tero /l uzpho t o te st o di/ text by ant onel la boisi
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treia, sedendo e mirando/“Sitting and gazing� proget t o di/ design b y we spi de meuron rome o architet f ot o di/ pho t os b y hanne s henz te st o di/ text by mat te o vercel l oni
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faenza, innesti virtuosi/Virtuous grafts proget t o di/ design b y bar t olet ti cicognani architet f ot o di/ pho t os b y pietro s avorel li te st o di/ text by ant onel la boisi
ti
tura de sign
milano marittima, un moderno amarcord
Modern AmarcorD proget t o di/ design b y lissoni a ssocia ti/piero lissoni f ot o di/ pho t os b y ce s are chimenti te st o di/ text by la ura ra gazz ola 32
strasburg, les haras proget t o di/ design b y agence jouin manku f ot o di/ pho t os b y helene hilaire te st o di/ text by ale ss andro rocc a
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INdice/CONTENTS III
INsight INarts 40 48
i territori dell’esporre/TerrITories of DIsPLaY di/by Germano celant
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INscape
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l’anti-grafica/Antigraphics di/by Andrea Branzi INtoday
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l’occasione incompresa/The misunderstood opportunity di/by Mat te o Vercel l oni
INdesign INcenter 52
outdoor news di/by elis a musso f ot o di/ pho t os b y simone bar beris
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sopra la panca/Benchmarks di/by nadia lionel l o f ot o di/ pho t os b y simone bar beris INproject
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un nastro luminoso/Luminous ribbon te st o di/ text by C ris tina Moro zzi
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oltre l’apparenza/Beyond appearances di/by Valentina
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C roci
un polimero vi sorprenderà/Polymer surprise di/by Patrizia Catalano
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alien di/by Stef ano Caggiano
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INproduction
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progetti riflessi/Reflected projects di/by katrin cosset
a
INservice 90
traduzioni translations
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indirizzi firms directorY di/by ad alis a u boldi
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Interni
INtopics / 1
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EDiToriaLe
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entro e fuori. Un concetto che il mondo del progetto ha fatto suo da qualche anno, avendo oggi a disposizione tecnologie e materiali così evoluti da consentire la realizzazione di prodotti interscambiabili nel loro utilizzo all’interno o all’esterno della casa. Abbiamo voluto prendere questo concetto come spunto per un numero che, più in generale, indaga il tema in rapporto alle tante qualità del design e dell’architettura: dentro e fuori lo spazio, la materia, la forma, la superficie, la sostanza degli oggetti e degli edifici. Pensieri dicotomici, divergenti, contradditori, che però si prestano a osservare da diversi punti di vista la complessità del design contemporaneo. A introdurre gli approfondimenti è una riflessione critica dello studio torinese UdA, da tempo impegnato nella ricerca sperimentale e continua sulla residenza. Segue la rassegna di altre realizzazioni che, in un’ottica in&out, affrontano le dimensioni casa e ospitalità (in Italia e all’estero) in chiave propositiva e attenta alla dimensione del recupero del preesistente. Passando al design, il gioco della contrapposizione diventa più nitido: ‘dentro’ sono le ricerche e le innovazioni di processo che attribuiscono alla materia inaspettate qualità visive e tattili; ‘dentro’ è anche un meccanismo nascosto – frutto di 36 mesi di studio – che movimenta le posizione di una poltrona; ‘fuori’ è la componibilità modulare di una lampada a sospensione che si adatta alle più varie esigenze di spazio, così come ‘fuori’ sono le distorsioni visive dei nuovi specchi che trascendono la loro funzione e diventano oggetti scultorei. Infine, ‘dentro e fuori’ sono gli arredi che interpretano i linguaggi più colti della contemporaneità domestica e li adattano a una dimensione outdoor impensabile fino a poco fa. Gilda Bojardi Stra sburgo , le s hara s, proget t o di Agence Jouin Manku , f ot o di H elene H ilaire .
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Gli edifici non sono solo oggetti. Frammenti autonomi e isolati. Sono indissolubilmente legati alla città. Non sono solo forme, sono luoghi. Città ed edilizia sono due realtà che possono e devono lavorare nella stessa direzione. Oggi la residenza è stata lasciata fuori dalla costruzione della città come sostanza. Ci sono sperimentazioni interessanti, da Hong Kong a Milano... resta un sogno di qualità diffusa, ma quando non riusciamo a modernizzare le nostre città, le riduciamo a dei gusci vuoti. Eppure l’architettura fiorisce anche nei momenti più difficili, meno favorevoli. Vive nonostante tutto.
Rafael Moneo (Premio Pritzker per l’Architettura 1996), Lectio Magistralis, Cersaie, Bologna, 25/9/2013
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Gli edifici non sono solo oggetti. Frammenti autonomi e isolati. Sono indissolubilmente legati alla città. Non sono solo forme, sono luoghi. Città ed edilizia sono due realtà che possono e devono lavorare nella stessa direzione. Oggi la residenza è stata lasciata fuori dalla costruzione della città come sostanza. Ci sono sperimentazioni interessanti, da Hong Kong a Milano... resta un sogno di qualità diffusa, ma quando non riusciamo a modernizzare le nostre città, le riduciamo a dei gusci vuoti. Eppure l’architettura fiorisce anche nei momenti più difficili, meno favorevoli. Vive nonostante tutto.
Rafael Moneo (Premio Pritzker per l’Architettura 1996), Lectio Magistralis, Cersaie, Bologna, 25/9/2013
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In terni
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INteriors&architecture / 3
Tra
dentro e fuori Twin House , Torino (2012) . Foto Stefano Graziani
progetti e testo di UdA – Architetti Associati a cura di Antonella Boisi
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Tra
dentro e fuori Twin House , Torino (2012) . Foto Stefano Graziani
progetti e testo di UdA – Architetti Associati a cura di Antonella Boisi
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4 / INteriors&architecture
partendo dal tema che Interni ha scelto per questo numero, il dentro e il fuori del progetto, Una riflessione intorno al tema della residenza affidata alla voce della specifica ricerca dei progettisti dello studio UdA. Perché la casa possa ritornare al centro della costruzione della città, restituendo identità ai luoghi dell’abitare. perché gli spazi di qualunque genere essi siano, sono l’espressione di come l’uomo abita il mondo Partiamo dalla riflessione critica di Rafael Moneo, un maestro dell’architettura contemporanea, che sintetizza, purtroppo, assai ‘bene’ il quadro di riferimento attuale. Qual è il punto di vista dello studio UdA? “Il ruolo del progetto nella costruzione delle città e degli spazi urbani in generale dovrebbe esplicarsi, a nostro avviso, a partire dal concetto di ‘abitare’, perché gli spazi di qualunque genere essi siano, sono l’espressione di come l’uomo abita il mondo. Volendo parafrasare il filosofo (Martin Heidegger, ndr) che affermava: ‘poeticamente abita l’uomo il mondo’ e intendendo con ciò la natura intrinsecamente creativa e ‘altra’ dallo stato naturale con cui gli esseri umani si rapportano nei confronti del mondo esterno, si potrebbe affermare che basterebbe tenere a mente il significato esteso del termine ‘abitare’ per considerare assolutamente arbitrario e limitativo il tenere separati gli ambiti operativi del progetto architettonico rispetto al progetto urbanistico. L’abitare è una dimensione omnicomprensiva e riguarda indifferentemente tutte le scale del progetto architettonico. Esso vuole dire dare un senso e un significato a degli spazi, facendone dei luoghi. Le categorie interpretative, gli strumenti e gli artifici a disposizione del progettista sono analoghi sia che ci si confronti nello spazio interno domestico che in quello a scala urbana e in particolare in quell’ambito di transizione tra dentro e
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fuori, tra la facciata dell’edificio e lo spazio pubblico circostante. Appropriarsi di uno spazio è un atto culturale operato dall’uomo e avviene su più livelli sia fisici che simbolici”. In che modo lo spazio abitativo può diventare un luogo, acquisendo identità? “In generale si potrebbe rispondere che questo avviene quanto il progetto è affrontato come un vero progetto di architettura. Ovvero quando lo spazio si articola come un paesaggio costruito, fatto di volumi ed elementi decorativi non applicati indistintamente sulle superfici, bensì corrispondenti ad un preciso programma funzionale e simbolico. Gli spazi intermedi come le logge, le finestre, i pieni e i vuoti degli edifici sono la proiezione di una configurazione degli spazi interni che acquistano una valenza urbana. Anche la situazione opposta, però, è un elemento importante nella definizione degli spazi
abitativi interni, ovvero cosa dell’ambiente esterno entra (anche fisicamente attraverso le aperture) nella composizione del paesaggio domestico. Le finestre, le aperture, le strutture non sono semplici barriere tra un dentro e un fuori, ma piuttosto strumenti di acquisizione dello spazio. Spazi posseduti, spazi percepiti, spazi abitati estroflessi e introiettati. La finestra arredata di Gio Ponti, lungi dall’essere un mero artificio per interni domestici, era la metafora di una visione della città che trovava corrispondenza nei suoi abitanti. È da questa consapevolezza che occorre ripartire per un rinnovato senso di appartenenza ai luoghi urbani”. In concreto, cosa significa questo nella vostra esperienza progettuale sul campo? “Gli esempi nella nostra attività progettuale possono essere molti e vanno dal tema della casa patio tradizionale araba trasformata in una sequenza di pieni e vuoti tridimensionali, che si solleva da terra e si pone in relazione con lo spazio urbano circostante, allo ‘spazio aumentato’ offerto dalla loggia o da strutture avventizie che, nascendo dai prospetti dell’edificio, acquisiscono una loro autonomia, quasi architetture indipendenti (come nei progetti di via Valdieri, Ivr ed Hong Kong). È nell’ambito residenziale che, anche per la molteplicità delle funzioni e dei valori simbolici evocati, questa reciproca influenza tra esterno ed interno degli edifici, tra edificio e città, può acquisire una maggior forza. L’edificio si modifica per relazionarsi con ciò che lo circonda (come nei progetti Twin house, palazzo Gioberti) e, al tempo stesso, l’ambiente esterno diventa la scena in cui si muove la rappresentazione della vita messa in atto dalle persone e dagli spazi che esse stesse occupano. In tal modo la scena di un interno domestico è metafora di relazioni e strutture urbane che si possono cogliere appena oltre la soglia delle finestre e della porta di casa (come nei progetti: appartamento a Torino, Parigi, Juan les Pins)”. Nello specifico, il progetto di Juan les Pins ha affrontato il tema della casa come kit di montaggio. Una prospettiva evergreen, ancora oggi di grande fascino e potenzialità. Potrebbe diventare un modello di riferimento per soluzionare le criticità di mini-spazi abitativi nelle grandi città italiane? “Nel progetto della casa di vacanze a Juan les Pins concorrono due aspetti principali e assolutamente imprescindibili: la funzionalità delle strutture progettate per consentire un’articolazione di funzioni e attività svolte dagli abitanti della casa altrimenti impossibili data la ridotta superficie complessiva e il valore simbolico ed evocativo degli elementi introdotti nello spazio interno, legati alla dimensione sospesa, provvisoria e anche un po’ precaria della vacanza. Ma, il riferimento alle strutture autocostruite e organizzate con i materiali
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partendo dal tema che Interni ha scelto per questo numero, il dentro e il fuori del progetto, Una riflessione intorno al tema della residenza affidata alla voce della specifica ricerca dei progettisti dello studio UdA. Perché la casa possa ritornare al centro della costruzione della città, restituendo identità ai luoghi dell’abitare. perché gli spazi di qualunque genere essi siano, sono l’espressione di come l’uomo abita il mondo Partiamo dalla riflessione critica di Rafael Moneo, un maestro dell’architettura contemporanea, che sintetizza, purtroppo, assai ‘bene’ il quadro di riferimento attuale. Qual è il punto di vista dello studio UdA? “Il ruolo del progetto nella costruzione delle città e degli spazi urbani in generale dovrebbe esplicarsi, a nostro avviso, a partire dal concetto di ‘abitare’, perché gli spazi di qualunque genere essi siano, sono l’espressione di come l’uomo abita il mondo. Volendo parafrasare il filosofo (Martin Heidegger, ndr) che affermava: ‘poeticamente abita l’uomo il mondo’ e intendendo con ciò la natura intrinsecamente creativa e ‘altra’ dallo stato naturale con cui gli esseri umani si rapportano nei confronti del mondo esterno, si potrebbe affermare che basterebbe tenere a mente il significato esteso del termine ‘abitare’ per considerare assolutamente arbitrario e limitativo il tenere separati gli ambiti operativi del progetto architettonico rispetto al progetto urbanistico. L’abitare è una dimensione omnicomprensiva e riguarda indifferentemente tutte le scale del progetto architettonico. Esso vuole dire dare un senso e un significato a degli spazi, facendone dei luoghi. Le categorie interpretative, gli strumenti e gli artifici a disposizione del progettista sono analoghi sia che ci si confronti nello spazio interno domestico che in quello a scala urbana e in particolare in quell’ambito di transizione tra dentro e
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fuori, tra la facciata dell’edificio e lo spazio pubblico circostante. Appropriarsi di uno spazio è un atto culturale operato dall’uomo e avviene su più livelli sia fisici che simbolici”. In che modo lo spazio abitativo può diventare un luogo, acquisendo identità? “In generale si potrebbe rispondere che questo avviene quanto il progetto è affrontato come un vero progetto di architettura. Ovvero quando lo spazio si articola come un paesaggio costruito, fatto di volumi ed elementi decorativi non applicati indistintamente sulle superfici, bensì corrispondenti ad un preciso programma funzionale e simbolico. Gli spazi intermedi come le logge, le finestre, i pieni e i vuoti degli edifici sono la proiezione di una configurazione degli spazi interni che acquistano una valenza urbana. Anche la situazione opposta, però, è un elemento importante nella definizione degli spazi
abitativi interni, ovvero cosa dell’ambiente esterno entra (anche fisicamente attraverso le aperture) nella composizione del paesaggio domestico. Le finestre, le aperture, le strutture non sono semplici barriere tra un dentro e un fuori, ma piuttosto strumenti di acquisizione dello spazio. Spazi posseduti, spazi percepiti, spazi abitati estroflessi e introiettati. La finestra arredata di Gio Ponti, lungi dall’essere un mero artificio per interni domestici, era la metafora di una visione della città che trovava corrispondenza nei suoi abitanti. È da questa consapevolezza che occorre ripartire per un rinnovato senso di appartenenza ai luoghi urbani”. In concreto, cosa significa questo nella vostra esperienza progettuale sul campo? “Gli esempi nella nostra attività progettuale possono essere molti e vanno dal tema della casa patio tradizionale araba trasformata in una sequenza di pieni e vuoti tridimensionali, che si solleva da terra e si pone in relazione con lo spazio urbano circostante, allo ‘spazio aumentato’ offerto dalla loggia o da strutture avventizie che, nascendo dai prospetti dell’edificio, acquisiscono una loro autonomia, quasi architetture indipendenti (come nei progetti di via Valdieri, Ivr ed Hong Kong). È nell’ambito residenziale che, anche per la molteplicità delle funzioni e dei valori simbolici evocati, questa reciproca influenza tra esterno ed interno degli edifici, tra edificio e città, può acquisire una maggior forza. L’edificio si modifica per relazionarsi con ciò che lo circonda (come nei progetti Twin house, palazzo Gioberti) e, al tempo stesso, l’ambiente esterno diventa la scena in cui si muove la rappresentazione della vita messa in atto dalle persone e dagli spazi che esse stesse occupano. In tal modo la scena di un interno domestico è metafora di relazioni e strutture urbane che si possono cogliere appena oltre la soglia delle finestre e della porta di casa (come nei progetti: appartamento a Torino, Parigi, Juan les Pins)”. Nello specifico, il progetto di Juan les Pins ha affrontato il tema della casa come kit di montaggio. Una prospettiva evergreen, ancora oggi di grande fascino e potenzialità. Potrebbe diventare un modello di riferimento per soluzionare le criticità di mini-spazi abitativi nelle grandi città italiane? “Nel progetto della casa di vacanze a Juan les Pins concorrono due aspetti principali e assolutamente imprescindibili: la funzionalità delle strutture progettate per consentire un’articolazione di funzioni e attività svolte dagli abitanti della casa altrimenti impossibili data la ridotta superficie complessiva e il valore simbolico ed evocativo degli elementi introdotti nello spazio interno, legati alla dimensione sospesa, provvisoria e anche un po’ precaria della vacanza. Ma, il riferimento alle strutture autocostruite e organizzate con i materiali
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Tra dentro e fuori / 5
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Villa a Hong K ong (2013- in cos truzione)
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Edificio re sidenzi ale a T orino , via Valdieri (2013- in cos truzione) .
Villa a Kuw ait City (2008-2013). Fot o U dA
di recupero rinvenuti nei dintorni, che caratterizzano spesso le spiagge e i luoghi di permanenza temporanea per il tempo libero, è anche, in qualche modo, uno stimolo a concepire i piccoli spazi come fonte di grandi potenzialità. Abbiamo cercato tramite il progetto di modificare l’uso delle cose rendendole accessibili, non più casa di rappresentanza, ma luogo per vivere all’interno del proprio nucleo consapevoli anche di partecipare ad un processo dove l’economicità, il rispetto e la condivisione ad una trasformazione in atto diventa uno degli elementi fondanti del progetto aperto alla comunità. Sono queste, crediamo, qualità essenziali anche per il futuro delle nostre città”. In molti vostri lavori i materiali restituiscono un alto grado di connotazione del luogo. Cosa possono testimoniare i materiali e il loro utilizzo nel progetto? “Sarebbe banale affermare che esprimono il ‘genius loci’ di un progetto. In realtà i materiali, unitamente alle forme, sono i due poli all’interno dei quali per noi si sviluppa qualunque progetto, sia esso d’interni o di architettura, e dove l’aspetto decorativo invece di essere semplice artificio retorico è fortemente connesso con le qualità fisiche e simboliche dei materiali. Non pensiamo vi sia una sola modalità ‘ortodossa’ di impiegare e scegliere i materiali per un progetto, crediamo piuttosto che le motivazioni e le ragioni che sottostanno a queste scelte debbano rivelarsi comunque nella lettura
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Appar tament o a Juan Le s Pins (2013). Fot o Caro la R ipamonti
fot o ritr at t o dei proget tis ti di ud a: da sinis tr a, M.camo let t o, a.Mar cante , a.te sta, v.camagn a
immediata e senza mediazioni interpretative dello spazio e delle architetture che ne sono portatrici. Ovviamente l’elaborazione concettuale e progettuale che ci ha condotto alla scelta di un certo materiale è più articolata e ampia di quanto percepibile dalla semplice constatazione del risultato finale, ma resta il fatto che, secondo noi, gli spazi progettati si devono offrire agli interlocutori nell’immediatezza della loro funzione con tutta la loro eventuale complessità e/o ambiguità di riferimento. Potremmo fare l’esempio di Twin House, per quanto riguarda l’uso di un materiale di rivestimento di facciata ‘anomalo’ come l’erba
sintetica; o quello di Parigi per l’impiego di boiserie in legno per le microarchitetture interne, stampate e tinte come fossero dei tessuti da rivestimento. In entrambi i casi a un primo livello ‘metaforico’ di percezione dei materiali che sembrano interpretarne altri si aggiunge un significato più recondito sulla reale natura e ruolo che affidiamo alla materialità delle cose ed in particolare degli spazi costruiti per abitarvi. È questo rapporto complesso con la realtà che ci interessa restituire attraverso i nostri progetti ed in particolare quelli residenziali”. (Andrea Marcante, Valter Camagna, Massimiliano Camoletto, Adelaide Testa)
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Villa a Hong K ong (2013- in cos truzione)
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Edificio re sidenzi ale a T orino , via Valdieri (2013- in cos truzione) .
Villa a Kuw ait City (2008-2013). Fot o U dA
di recupero rinvenuti nei dintorni, che caratterizzano spesso le spiagge e i luoghi di permanenza temporanea per il tempo libero, è anche, in qualche modo, uno stimolo a concepire i piccoli spazi come fonte di grandi potenzialità. Abbiamo cercato tramite il progetto di modificare l’uso delle cose rendendole accessibili, non più casa di rappresentanza, ma luogo per vivere all’interno del proprio nucleo consapevoli anche di partecipare ad un processo dove l’economicità, il rispetto e la condivisione ad una trasformazione in atto diventa uno degli elementi fondanti del progetto aperto alla comunità. Sono queste, crediamo, qualità essenziali anche per il futuro delle nostre città”. In molti vostri lavori i materiali restituiscono un alto grado di connotazione del luogo. Cosa possono testimoniare i materiali e il loro utilizzo nel progetto? “Sarebbe banale affermare che esprimono il ‘genius loci’ di un progetto. In realtà i materiali, unitamente alle forme, sono i due poli all’interno dei quali per noi si sviluppa qualunque progetto, sia esso d’interni o di architettura, e dove l’aspetto decorativo invece di essere semplice artificio retorico è fortemente connesso con le qualità fisiche e simboliche dei materiali. Non pensiamo vi sia una sola modalità ‘ortodossa’ di impiegare e scegliere i materiali per un progetto, crediamo piuttosto che le motivazioni e le ragioni che sottostanno a queste scelte debbano rivelarsi comunque nella lettura
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Appar tament o a Juan Le s Pins (2013). Fot o Caro la R ipamonti
fot o ritr at t o dei proget tis ti di ud a: da sinis tr a, M.camo let t o, a.Mar cante , a.te sta, v.camagn a
immediata e senza mediazioni interpretative dello spazio e delle architetture che ne sono portatrici. Ovviamente l’elaborazione concettuale e progettuale che ci ha condotto alla scelta di un certo materiale è più articolata e ampia di quanto percepibile dalla semplice constatazione del risultato finale, ma resta il fatto che, secondo noi, gli spazi progettati si devono offrire agli interlocutori nell’immediatezza della loro funzione con tutta la loro eventuale complessità e/o ambiguità di riferimento. Potremmo fare l’esempio di Twin House, per quanto riguarda l’uso di un materiale di rivestimento di facciata ‘anomalo’ come l’erba
sintetica; o quello di Parigi per l’impiego di boiserie in legno per le microarchitetture interne, stampate e tinte come fossero dei tessuti da rivestimento. In entrambi i casi a un primo livello ‘metaforico’ di percezione dei materiali che sembrano interpretarne altri si aggiunge un significato più recondito sulla reale natura e ruolo che affidiamo alla materialità delle cose ed in particolare degli spazi costruiti per abitarvi. È questo rapporto complesso con la realtà che ci interessa restituire attraverso i nostri progetti ed in particolare quelli residenziali”. (Andrea Marcante, Valter Camagna, Massimiliano Camoletto, Adelaide Testa)
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6 / INteriors&architecture
Intorno alle scale
progetto architettonico e direzione lavori Westway Architects Luca Aureggi, Maurizio Condoluci, Stefano Pavia foto di AndrĂŠs Otero/LUZphoto testo di Antonella Boisi
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Int erni marzo 2014
INteriors&architecture / 7
Lo schEMa r estituisc e il conc ept del prog et t o: espand er e il piĂš possibi le lo sp azio int erno in v er tic ale, con la r ealizzazion e ex no vo di un nuc leo por tant e aut ono mo, di du e liv elli erra t o e mans ard at o grazi e aggiuntivi (piano int al r ecup ero d el so t t ot et t o) e di un sis t ema di doppi e sc ale peri metra li a ra mpa unic a a co llega ment o d ei cinqu e liv elli (n ella f ot o).
A Milano, una villa anni Venti con giardino, nella zona di CittĂ Studi, si trasforma in un loft verticale, intorno a un sistema di scale ispirato dalle costruzioni impossibili di Escher. Un unicum che restituisce una particolare sensibilitĂ costruttiva
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nel le imma gini: il fronte d ’ingre sso e quel l o retros tante che , al piano terra , comunic a con il giardino priv at o su cui aff accia la cucina a vis ta di mino t ticucine . Per i serramenti è s tat o utilizza t o del ferro con vernicia tura a effet t o mic ace o e na turale per le b ala us tre . I pavimenti sono in la stre di pietra na turale di Borgogna di I.D. Company .
S
uperata la porta d’ingresso ci si ritrova ‘catapultati’ come una nuova Alice nell’ avventura di una lunga prospettiva che lega zona pranzo-cucina a vista-giardino retrostante in una visuale che spazia oltre i due fronti finestrati e altresì ‘calamitati’ nello slancio di un’acesa verticale conquistata dal gioco delle scale. Alla scoperta di un microcosmo abitativo complesso sul piano concettuale ma anche realizzativo e dei suoi effetti ad alto grado di spaesamento, tra astrazioni e provocazioni progettuali. Siamo in trasferta in quella che fu una tipica casa per ferrovieri realizzata, in regime di edilizia economica, fra il 1920 e il 1924, nella dimensione di un villaggio popolare nella zona milanese di Città Studi. Un passato remoto, sia come contesto che come immobile, perché della struttura originaria dell’edificio il progetto del noto studio romano Westway Architects, guidato dal 2005 dagli architetti Luca Aureggi e Maurizio Condoluci e dal 2009 con sede anche a Milano diretta dall’architetto Stefano Pavia, ha mantenuto solamente l’involucro murario con le relative aperture, mentre tutto il resto è stato realizzato ex novo. Due anni di cantiere e un committente single coraggioso hanno trasformato radicalmente la tipologia a torre popolare in una
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sofisticata villa urbana con giardino, sistema domotico avanzato e certificazione CENED classe B, che ha conservato la volumetria totale, ma ampliato di 60 mq la superficie calpestabile grazie allo scavo+nuove fondazioni per il piano interrato riservato alla zona fitness e al nuovo posizionamento dei solai, delle scale e al recupero del sottotetto mansardato (con rifacimento della copertura). “Lo sviluppo in verticale dell’abitazione ci ha offerto la possibilità di realizzare uno dei nostri sogni architettonici: uno dei sistemi di scale delle costruzioni impossibili di Escher” racconta Luca Aureggi. “Abbiamo svuotato l’interno e definito un nuovo nucleo centrale, che si snoda su cinque livelli,
ciascuno servito da due scale fra loro indipendenti compresse lungo i muri portanti longitudinali”. In questo modo, continua Luca Aureggi “si è composto un loft verticale a percorrenza obbligata, dove perdersi e ritrovarsi diventa un gioco e dove il senso di smarrimento ludico amplifica la percezione dello spazio, meno di 200 mq complessivi”. Le scale, infatti, a una sola rampa e di larghezza contenuta (80 cm) consentono il collegamento dal piano interrato al quarto (in sequenza destinati a: zona fitness, pranzo con cucina a vista affacciata sul giardino, soggiorno aperto sulla terrazza, camera da letto, studio nell’ex sottotetto) non in modo continuo bensì alternato.
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al primo livel l o, il living comunic ante con la terrazza . Il Paviment o in le gno di ro vere a doghe armonizza con gli arredi realizza ti su misura in le gno la cc at o nel le t onalit à del t or t ora , grigio e marrone chiaro . Divano pouf housse o t t oman di p aola na vone per baxter. l ’area pranz o, al piano terra , comunic ante con la cucina a vis ta. tavol o su misura realizza to da mabe o , sedie fl o w di mdf it alia , l uci a sospensione ph50 di l ouis poul sen .
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l ’inne st o d i un a porz ione vetr ata nel l a solet ta del pr imo l ivel l o consente l a comun icaz ione v is iva in interro t ta con il piano so t t os tante . il percorso a z ig z ag del le sc ale impl ica l ’at tr avers ament o tr as vers ale del l a z on a di sb arco d i c iascun p iano .
Ant . Igendel ips am nulp a al itat iur, off ic iis mol ore , eum idus e os t dol ore st, cum al ita simuscia vol upt ae. Adi diore , off ic id el ictus pro v itas dol orupt a vol orum qu id eum qu am non con eture ne ctat.Duc idig ent io. Na m ace at iur re , officia n is conse cupt ate re ne pr a quo ex et au
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nel dise gno: schema concet tu ale del l ’inter vent o di realizzazione del sis tema di doppie sc ale perimetrali a ramp a unic a. l o sb arco di una ramp a sc ale al l ’ul timo livel l o e , di scorcio , un b agno con s anit ari e rubinet teria boffi . so t t o, l ’ambiente s tudio organizza t o nel l ’ex so t t otet t o re cupera t o con il rif aciment o del la coper tura e mans ard at o.
Un percorso a zigzag in salita e discesa che implica l’attraversamento trasversale della generosa zona di sbarco del singolo piano, concepito come un open space, e reso unitario e fluido dal rivestimento ligneo in rovere a doghe e lastre in pietra naturale di Borgogna. In una conversazione dinamica che regala visuali più ricche e stimolanti. Interessante del progetto è che ogni particolare risulta integrato nel disegno generale, secondo un’impostazione di matrice anglosassone che ha proposto soluzioni in cui forma e struttura formano un tutt’uno. “La netta separazione tra nucleo centrale e involucro edilizio ha richiesto, durante i lavori, la verifica continua in sezione e in pianta del dimensionamento e dell’alloggiamento di ogni elemento. Fino ad arrivare alla realizzazione di sagomature “a ginocchio” necessarie ad accogliere con precisione millimetrica la struttura delle scale, in funzione delle quali sono state calibrate anche tutte le quote. E alla messa a punto di un giunto di dilatazione tra tetto e muratura perimetrale, importante elemento statico per assorbire gli spostamenti della copertura, svincolando il movimento delle travi dalle pareti” precisano i progettisti. Oltre, guardando gli ambienti, né porte né armadi. Soltanto pochi pezzi, perlopiù vintage, e arredi realizzati su misura in legno laccato, nelle tonalità del tortora, grigio e marrone chiaro che sembrano galleggiare sospesi in una dimensione dilatata e rarefatta. Senza abdicare a un ruolo di co-protagonisti della messa in scena.
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“Sedendo e Mirando” progetto di Wespi de Meuron Romeo Architetti foto di Hannes Henz testo di Matteo Vercelloni
Piano primo
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Piano secondo
Sopra , planimetria comple ssiva del l ’in sediament o che ha ri spet tat o tra cce e dimen sioni del l ’antico casale . V ista del la nuo va vasca piscina che ricord a le f ont ane di p ae se e del fronte sud del casale princip ale .
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Adagiata sulle colline di Treia nelle Marche, poco distante da Recanati, parte di quel paesaggio cantato da Giacomo Leopardi, una costruzione rurale risalente al XVIII secolo diventa oggetto di una trasformazione, tesa al recupero delle tracce della storia. Nella convinzione del segno contemporaneo la tra sf ormazione -ricos truzione del la tet t oia pree sis tente pens ata come una s tanza en plein air aper ta verso il pae s aggio . Tavol o fisso ligne o su dise gno in ro vere ma ssel l o interpos t o tra due bl occhi di mura tura e tavel le di co t t o. S edie T oy C hair di Philippe Starck per Dria de.
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La cucina di a cciaio ino x ric avata so t t o i l mezzanino de llo s tudio e ne l so t t osc ala. S ot t o e ne lla pagina a fianco la z ona pranz o aff accia ta verso la cucina , che è s tata co lloc ata ne llo sp azio a tut t’ altezza crea t osi dopo l’incendio e conser vat o d al proget t o di re stauro ne ll’ala nord de l cas ale. Tavo lo su dise gno di legno di ro vere ma sse llo, rea lizza t o d a 2G Furniture . S edie Pant on C hair bianche di V erner Pant on per Vitra .
L’
idilliaco paesaggio che Giacomo Leopardi descrive ne L’infinito – che “sedendo e mirando” il poeta coglie nei suoi “interminati spazi e sovraumani silenzi e profondissima quiete” – è quello che ancora in parte si conserva in questa parte d’Italia. Al quale questo progetto di restauro e ricostruzione si rivolge per sottili e calibrate soluzioni progettuali capaci di ricomporre la figura complessiva del piccolo insediamento agricolo composto da un casale principale affiancato da due volumi minori adibiti a stalla, forno, e da una tettoia aperta su tutti i lati. Lo stato ammalorato delle costruzioni, dovuto al naturale scorrere del tempo era aggravato dalla semidistruzione del casale principale, un corpo compatto a pianta quadrata sviluppato su tre livelli segnato da un ritmo di aperture regolari, per la sua metà fortemente danneggiato da un incendio avvenuto nel 1995. Tale condizione ha dettato le linee dell’intervento, caratterizzato da un rapporto dialettico tra vecchio e
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nuovo, il cui programma prevedeva la realizzazione di una casa per vacanze con piscina, affiancata da una dépendance per gli ospiti. Nel casale, le murature esistenti, compresa quella di pietra che divide in due parti distinte lo spazio interno, fungendo da spina centrale, sono state in gran parte risanate e conservate, mentre la copertura è stata ricostruita seguendo tecniche e sapori tradizionali: travature primaria e secondaria lignee, sottovista composto da tavelle di cotto, copertura esterna in coppi. All’involucro architettonico ricostruito e così ottenuto, segnato dal mattone a vista e dall’impiego per la copertura di materiali di tradizione, si affiancano i nuovi interventi e le scelte di segno contemporaneo. Oltre al necessario risanamento statico, integrato e celato nella struttura esistente, nell’interno, di cui si è conservato il vuoto a tre livelli creato dall’incendio, si è operato evidenziando in modo astratto, con colore bianco continuo, le nuove solette e le nuove pareti divisorie.
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Sopra vi sta del la z ona living nel l ’ala sud del casale che con ser va i tre livel li sovrappo sti del l ’impiant o originario . Sot t o sezioni del casale da sini stra a de stra; taglio sul la z ona no t te e z ona living; sul la cucina e mezzanino del l o studio; sul la z ona pranz o e cucina in cui si evince l o spazio centrale a tut t’ al tezza . N el la p agina a fianco , uno scorcio del la z ona living con nuo va parete centrale e c amino e sot t o vi sta di una c amera d a let t o al secondo livel l o con b agno dedic at o.
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Scelta che insieme al pavimento chiaro continuo e senza giunti, crea un riuscito ritmo di distacco e contrappunto dalla ‘pelle storica’ della costruzione, dando alle nuove superfici anche la funzione di ‘schermi luminosi’ che catturano e amplificano la luce proveniente dall’esterno. Dal punto di vista distributivo nello spazio a tutt’altezza, che dal pavimento raggiunge le travi del soffitto, è stata collocata la cucina a isola di acciaio inox e la zona pranzo prospiciente cui si sovrappone uno spazio aperto al terzo livello. La zona pranzo è affiancata dalla scala di salita e dal mezzanino aperto dello studio che, sopra l’isola cottura, si affaccia sulla grande tavola di quercia.
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Nella parte simmetrica della casa, conservata secondo l’originale impianto a tre livelli, è organizzata al piano terreno l’ampia zona living che unisce due ambienti affiancati conservando parte del setto divisorio. Il luminoso soggiorno è rivolto verso la tettoia esterna e si affaccia verso la nuova vasca-piscina che ricorda nella sua lineare figura geometrica un’antica fontana di paese. In questa parte della casa i due livelli superiori accolgono la zona notte composta da quattro camere sovrapposte a due a due, con bagni indipendenti. Per la dépendance degli ospiti, ricavata nell’originaria stalla, si è operato per demolizione e ricostruzione, impiegando le vecchie mattonelle di cotto recuperate per ricomporre la piccola accogliente costruzione, nello stesso luogo e secondo le medesime dimensioni di quella precedente, ubicata a fianco del grande albero
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esistente. Il forno a nord, di fianco all’ingresso, è stato trasformato in locale tecnico per la centrale termica. La costruzione accoglie nella nuova muratura verso strada il cancello elettrico scorrevole a scomparsa. Nella parte a sud, verso la scena aperta dei dolci movimenti delle colline coltivate, sopra la vasta pavimentazione esterna in cotto, a fianco della nuova vasca-piscina, la tettoia esistente è stata ricostruita come una stanza en plein-air poggiante su forti pilastri quadrangolari in mattone, corredata di cucina e tavolo fisso ligneo di raccordo tra due volumi di muratura che estendono in chiave d’arredo il cotto della pavimentazione. Ulteriore e non ultimo legame con la storia del luogo giunge la piantumazione di un filare di pini a ovest della casa e di un piccolo uliveto a quincunx regolare a est, omaggio al paesaggio marchigiano e segno di appartenenza.
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Viste del giardino e de gli sp azi open air organizza ti int orno al la piscina pro tet ta d al la s trut tura frangisole realizza ta, su dise gno , in a cciaio ossid at o e tra t tat o con profili in teak na turale . Paviment azione e bordo sfioro piscina sono in pietra pia sentina fiamma ta e sp azz ola ta. Docce a col onna di Bossini , let tini prendisole , sedia e di vano (serie N atal Al u) di Tri bu , ombrel l one di Coro . N el dise gno: la planimetria generale .
Innesti virtuosi A Faenza, la ristrutturazione e l’ampliamento di una casa colonica nel verde, diventa occasione per interpretare lo ‘spirito del luogo’ in chiave contemporanea, ma rispettosa dei fondamenti storico-tipologici incontrati. E restituire, nell’essenza, il carattere di un’abitabilità generosa e sofisticata. Con molte zone conviviali pensate per l’incontro e il benessere progetto di bartoletti cicognani arhitettura e design Marco Bartoletti e Luigi Cicognani foto di Pietro Savorelli - testo di Antonella Boisi
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asta saper leggere tra le righe, ripulire garbatamente qualche eccesso sedimentato dal tempo e il luogo può davvero diventare un buon vademecum per stimolare una nuova armoniosa osmosi tra dentro e fuori. Lo è stato, nella fattispecie, per Marco Bartoletti e Luigi Cicognani, dieci anni di sodalizio professionale nel settore dell’architettura e del product design. La ristrutturazione e l’ampliamento di questa casa colonica disseminata nella campagna che circonda Faenza (dove sono di base) e le sue dolci colline ha significato per loro in primis una reinterpretazione dell’immagine fotografica incontrata che, densa di suggestioni spartane, ha indicato la via: intervenire per sottrazione, in modo ancora più chirurgico, aggiungendo quanto funzionale, anche in termini di apparato tecnologico, al comfort abitativo contemporaneo, ma in modo discreto, con rispetto dei fondamenti storico-tipologici esistenti. “L’edificio” ricordano i progettisti “era già presente nelle mappe prima del 1938, con vincolo e obbligo di mantenere intatti tutti gli elementi caratterizzanti. Quali cornici del tetto semplici, piccole e senza sporto, imbotti delle finestre di dimensioni ridotte
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soprattutto nell’esposizione a nord, telai stretti e molto vetro per far entrare più luce possibile, colonne in mattoni con cornici e basamenti poveri, pochi camini, nessun decoro, intonaci a calce e colori tenui”. Primo step è stato, dunque, integrare sistemi costruttivi contemporanei e un sofisticato sistema domotico e di recupero acque, in una dimensione riportata il più possibile all’identità originaria, con un intervento di demolizione e ricostruzione fedele. “Il tetto ventilato, ad esempio, coincide con una figura tradizionale, volutamente leggera, grazie a un’inversione: abbiamo fatto uscire i travetti della ventilazione come fossero elementi strutturali che invece rimangono più bassi all’interno, mentre l’aria filtra attraverso i fori posti tra un travetto e l’altro. Anche i pannelli di isolamento all’interno delle pareti sono stati realizzati in fibra di legno” spiegano. Una matrice diametralmente opposta ha guidato, di contro, l’intervento di ampliamento declinato nel fabbricato nuovo, che dichiara linguisticamente la propria contemporaneità con geometrie di segno purista e trasparenze, evidenti in tutti gli elementi di tamponamento e nella concezione degli spazi interni. Tra innesti fecondi,
vis te e sterne dei corpi di f abbric a che f ormano il comple sso architet t onico . L a cucina , su dise gno , in noce muteny a olia t o, C orian ®DuPont , porfido fiamma t o e sp azz ola t o. S gabel li L io di Zano t ta e l uce (col lezione F or m) di Viabi zzuno . N el living, la z ona del camino in la stre di refra t tario smal tat o inte gra in una sintetic figura architet t onic a la sc ala retros tante .
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Scorcio del la z ona living , con il div ano ad angol o, su di segno , organizza ta al piano terra N el vol ume nuo vo, realizza t o do v’era l o spazio del l ’ex fienile . L a paviment azione in pierre gri se di Ant olini Pietre si al terna al parquet in ro vere spazz ola t o. L uce ad inc asso in al l uminio o ssidat o (col lezione Al valine) di Viabizzuno .
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Bartoletti e Cicognani sono così riusciti a far convivere e dialogare in modo convincente le due anime della composizione che si restituisce come riuscita sommatoria di due volumi compiuti e autonomi – il più grande demolito e ricostruito filologicamente e quello completamente nuovo che occupa lo spazio dell’ex fienile, cui si aggiunge un terzo corpo più piccolo in origine destinato a ricovero attrezzi e diventato la zona conviviale per i ragazzi, dotata di cucina propria e di un grande tavolo da pranzo – relazionati tra di loro proprio attraverso il contesto del paesaggio outdoor. Un’estensione di oltre un ettaro, un giardino popolato di piante autoctone, e ripensato, con la collaborazione di un agronomo, per sembrare il più possibile naturale, che funge da elemento connettivo
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delle parti. Nello spazio aperto e verde si ritagliano anche le figure della grande piscina e della struttura frangisole che, nata come elemento protettivo, in realtà svolge soprattutto una funzione rilevante sul piano percettivo. Mitiga il peso visivo del segno architettonico di riferimento sul piano delle soluzioni d’insieme: il tunnel di collegamento tra i due corpi di fabbrica principali che identificano la parte antica e quella nuova del complesso, la zona abitativa privata e quella più corale dedicata all’incontro e al benessere (quest’ultima contempla un piccolo hammam con sauna e vasca idroterapica e, al piano superiore del soppalco, una palestra raccordata alla zona ospiti). Molto disegnato proprio per contrastare la semplicità degli elementi esistenti e foriero di visioni parziali, scoperte progressive,
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Focus al crepuscol o sul l ’architet tura e sterna del nuo vo vol ume che vive di l uce e tra sparenze , grazie al le vetra te a tut t’ al tezza . S corcio di una z ona relax con vis ta sul giardino al primo livel l o. Pol trona e pou f del la col lezione H ar ry Ber t oia di Knol l Interna t ional .
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Vista del tunnel di col le gament o tra i due corpi di f abbric a princip ali che identific ano la p ar te antic a e quel la nuo va del comple sso . R ealizza t o con un sis tema s trut turale ed infissi a cur tain w al l s , re gala scorci e prospet ti ve del pae s aggio che entrano nel la composizione sp aziale . F aret ti ad inc asso in al l uminio ossid at o col or oro del la col lezione C ono Infinit o di Viabizzuno . Parquet in teak .
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La sc ala di co llegament o, con strut tura in met allo e gradini in p arquet ro vere sp azz o lat o su podio in pierre grise di Ant olini Pietre , all’interno de l corpo di f abbric a antico , fede lmente ricos truit o ex no vo. S u l f ondo , la z ona living con i l div ano Life stee l di Flex form . Luce a sospensione su dise gno .
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scorci e prospettive che entrano nella composizione spaziale, questo elemento di connessione vetrato enfatizza il respiro e la nuova comunicazione aperta e fluida degli spazi. E, in questo senso, il fulcro dell’impianto è rappresentato dall’ampia porzione dedicata al soggiorno open space a doppia altezza che si configura come lo scenario più dinamico anche nella relazione con l’esterno, accogliendo e articolando nel suo sviluppo interno diversi episodi narrativi e funzionali. Un insieme ‘integrato’ in cui la luce naturale abbraccia lo spazio della vita diurna e gli arredi fissi, dalle linee minimali e quindi ancora più controllate, tendono a dissolversi nella struttura come dettagli costruttivi, mentre l’inserimento di pochi arredi di product design viene valorizzato dal vuoto adottato come strumento progettuale. Le
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peculiarità del sito hanno suggerito una precisa sensibilità anche nella scelta di materiali e colori. Così i selezionati (pietra, legno, intonaci a calce, lastre di gres o pastina di cemento colorata) sono stati riportati a modalità di lavorazioni antiche, resi sofisticati con ossidazioni e patinature che, oltre a valorizzarne la naturalità, conferiscono un aspetto vissuto di grande fascino al tutto. Ricordano i progettisti: “Nella grande struttura frangisole, ad esempio, abbiamo utilizzato ruggine e legno grigio non trattato per i profili e nelle inferriate del ferro nerobluastro, mentre nelle finiture interne abbondano ottone anticato e brunito che spiccano al cospetto delle pareti trattate a intonachino schiacciato e strappato”. Altre feconde ibridazioni tra passato e presente di un luogo.
Lo s tudio ne l sopp alco . Alla libreria su dise gno in M DF nero in p asta con bord ature in teak si a cco mpagna i l tavo lo La R ot ond a e le sedie Cab di Mario Bellini per Cassina . U no dei b agni de ll’abit azione . Vasc a di Kaldewei , rubinet terie di Vola . N ei dise gni: sezioni tra s vers ali e longitudina li.
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Il taglio contemporaneo di volumi in vetro e acciaio si sposa con successo alla tradizione dei ‘grand hotel’ che hanno fatto la storia della Riviera romagnola. Ecco in sintesi il pensieroprogetto di Piero Lissoni che firma la ristrutturazione del più antico (e famoso) albergo di Milano Marittima
progetto di LISSONI ASSOCIATI architettura di piero lissoni responsabile di progetto Davide Cerini con Tania Zaneboni foto di Cesare Chimenti testo di Laura Ragazzola
il nuo vo edificio a ggiunt o al l ’ala s t oric a del grand ho tel (si scorge sul l o sf ondo ) si compone di un doppio vol ume: al piano terra il ris t orante , sopra un doppio livel l o con nuo ve s tanze .
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È
sicuramente difficile scindere la storia della rinomata località balneare romagnola da quella dell’hotel Mare Pineta. Una manciata di anni ne dividono, infatti, le nascite: al 1912, data di fondazione ufficiale di Milano Marittima si contrappone il 1927, anno di inaugurazione dell’albergo. Un secolo di vita in comune nel segno di un turismo fatto di stile, eleganza e qualità non omologata. Ed è la via che ha imboccato il progetto di riqualificazione di questo luogo-simbolo della Riviera romagnola, un’iniziativa fortemente voluta dalla proprietà, i fratelli Salaroli, per trasformare il Mare Pineta in un esclusivo hotel Cinque Stelle.
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Un progetto in progress Il rendering qui a fianco mo tra il restyling della facciata dell’ala ‘Villa Giulia’ che si concluderà entro il 2014. L’edifici , con affaccio su strada, è stato realizzato negli Anni 60 per ampliare l’offerta del Grand Hotel con l’aggiunta di un centinaio di stanze. Il progetto di Lissoni Associati prevede una sorta di seconda pelle realizzata con brise soleil in alluminio, che scorrono orizzontalmente lungo le balustre dei balconi. In questo modo, a seconda delle necessità degli ospiti, la facciata muta in continuazione, attribuendo all’architettura un carattere dinamico e trasformista.
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Il nuo vo al le st iment o del l ’area b alneare ha prev ist o vol um i le gger i r ive st it i in doghe di le gno c and ide e un pergola t o che ombre gg ia il r ist orante open a ir. S ed ie d a re g ista in teak di Il g iard ino d i le gno e ombrel l one di parà in irok o e te ssut o a cr il ico .
Il progetto, partito nel 2010, è stato affidato a Piero Lissoni, sempre più impegnato nel settore dell’hotellerie, dove vanta un’esperienza internazionale. Il rispetto assoluto del luogo (l’albergo è immerso in una pineta secolare) e delle belle qualità formali dell’edificio (risale agli Anni Venti la struttura originaria dell’albergo), non hanno impedito all’architetto milanese scelte contemporanee per quanto riguarda volumi e materiali. La riqualificazione degli spazi ha preso avvio dal ridisegno dell’area balneare (nuovo allestimento della spiaggia con oltre 400 lettini e realizzazione di un pergolato che ombreggia bar e ristorante) per arrivare al successivo ampliamento della reception, risolto con uno scenografico padiglione in vetro e acciaio, che funge da cerniera con l’edificio storico. Ma la vera novità, che segna in modo deciso
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la vocazione contemporanea del progetto, è l’aggiunta di un’architettura di volumi liberi, dove originariamente si sviluppava la terrazza dell’hotel. Il nuovo edificio si compone di due differenti elementi, sovrapposti come i mattoncini di un meccano: sulla base dalla forma allungata e completamente vetrata del piano terra (qui si trova il ristorante) si adagia ortogonalmente un secondo volume proteso di oltre sette metri sul giardino: una sorta di cannocchiale puntato verso il mare. Qui si trovano nuove camere e suite, che si dilatano lateralmente in logge leggere grazie a due ali color bronzo ancorate al volume principale completamente bianco. Un tetto green crea un giardino pensile dalla scenografia minimale (riquadri d’erba e in teak si alternano a ciotoli di fiume), che è visibile dalle stanze più alte del nucleo storico. Si affaccia invece sul giardino
la facciata vetrata del ristorante, il cui profilo asseconda la posizione dei pini marittimi che punteggiano il prato. Nella bella stagione, lo spazio si apre completamente sul giardino senza soluzione di continuità. All’interno, Lissoni Assiciati disegna spazi e arredi nel segno della sobrietà con scelte funzionali che garantiscono massimo comfort.
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Tutto è infatti orientato al relax: anche la rassicurante palette cromatica che gioca sui toni neutri del bianco e del beige (sia dentro sia fuori), accesa qua e là da finiture metalliche bronzate. Misurata anche la scelta dei materiali, che però non rinuncia a contrasti d’effetto come il maxi show kitchen a penisola in marmo di Carrara del ristorante che si staglia sul parquet scuro del pavimento. La luce, infine, gioca un ruolo fondamentale nell’enfatizzare l’essenzialità dell’architettura, dando corpo ai nuovi elementi costruiti. Il progetto è in progress e prevede nel corso di quest’anno il ridisegno dell’ala Villa Regina (è un volume aggiunto negli Anni ‘60) con un gioco di schermi scorrevoli in metallo verniciato, che creano una facciata in movimento.
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In b asso e a de stra due scorc i di una del le su ite che s i tro vano nel nuo vo ed if ic io. so t t o, il sogg iorno che s i apre sul g iard ino con tavol o e panc a su d ise gno e pol tronc ina di Pierant onio bona cina , lamp ad a d i l uce plan e tappet o di R uck stuhl . Qu i a f ianco , inve ce , l ’area no t te con i mede s imi arred i. una p arete op ale scente conduce al r ist orante (pag ina a f ianco ). un ico arredo: la consol le di flamant con la lamp ad a d i sant a & cole . l ’area de i tavol i (f ot o p iccola) è f il tra ta d a l ibrer ie su d ise gno in met al l o vern ic iat o col or bronz o.
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la trasformazione e il recupero di una struttura architettonica di grande valore storico che ospita oggi un nuovo albergo a quattro stelle. Nel segno di un design sensibile e rispettoso del genius-loci che esprime una notevole attenzione ai materiali e al dettaglio e qualche immagine ad effetto
foto di Helene Hilaire testo di Alessandro Rocca
Una ved uta del le sc uderie nazionali di Stra sb urgo , cos tr uite a met à del S et te cent o e a t tive , come centro di e quit azione , fino al 2005. Il l ogo realizza t o d al grafico Phili ppe David; il motiv o e questre si ritro va nel l ’affre sco realizza t o nel la l obb y del l ’H otel L es H ara s. nel la pagina a fianco , L a sc ala interna nel la Bra sserie di Marc H aeberlin, uno s pazio di 800 metri q uadri con un’ al tezza di ol tre tredici metri, nel la ex sc uderia reale .
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Le scuderie di Strasburgo
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progetto di Agence Jouin Manku (Patrick Jouin e Sanjit Manku)
estaurare, recuperare e ridare vita a un complesso monumentale ormai inutilizzato. Il promotore è un’associazione benefica, l’istituto per la ricerca sul cancro del sistema digerente (Ircad), che pianifica un intervento di recupero architettonico inserito in una strategia filantropica. Il progetto affronta la trasformazione del complesso settecentesco che ospitava le scuderie di Strasburgo, con spazio sufficiente per l’alloggiamento e la cura di trentadue stalloni. In stile neoclassico, l’edificio ospitava dal 1752 l’accademia municipale di equitazione e quindi, dal 1756, le scuderie reali. Soppressa dalla rivoluzione francese, la scuderia reale nell’Ottocento si ricostituisce e, in varie forme, i cavalli abitano le scuderie fino al 2005, data della definitiva cessazione delle attività equestri. Pochi anni, quindi, per concepire un progetto che riporti l’edificio a una nuova nascita, mantenendo le caratteristiche architettoniche originali, ma svolgendo funzioni completamente diverse. Nel 2010 l’Ircad avvia
l’opera di restauro, e non è un caso che le Scuderie si trovino a fianco dell’ospedale universitario dove l’Ircad, punta di eccellenza della ricerca scientifica francese, riceve ogni anno più di quattromila chirurghi che qui si recano ad apprendere le tecnologie per interventi chirurgici non invasivi, basati sulle più avanzate tecniche di riproduzione dell’immagine a tre dimensioni. Le Scuderie appaiono quindi come lo spazio perfetto, per collocazione urbana e qualità architettonica, per accogliere sia i turisti sia i chirurghi venuti per i corsi di formazione professionale. Il programma elaborato da Ircad prevede che il complesso contenga un albergo, un ristorante e un bio-cluster, un incubatore per nuove aziende focalizzate sulle biotecnologie, contribuendo così all’autofinanziamento dell’istituto. E l’idea dell’eccellenza, così importante nel profilo scientifico dell’Ircad, è stata perseguita anche nel processo di restauro delle Scuderie e nell’immaginarne la gestione; e perciò sono stati coinvolti nell’impresa
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La s ala al piano terra de lla Bra sserie , al centro l’iso la e llit tic a, in a cciaio op acizza t o, de l lounge bar, e, su l f ondo de lla s ala, la cucina a vis ta; sedute e tavo lini in legno e cuoio cit ano ma teria li e co lori de lla se lleria tradiziona le. ne lla pagina a fianco , La sc ala, 32 gradini in quercia av vo lti d alle vo lute in legno di f aggio che a ccomp agnano i l visit at ore fino ai sei metri di a ltezza de l live llo superiore . Al piano superiore , i commens ali siedono su lle po ltroncine in te ssut o e legno di f aggio Charme , dise gna te d a Patrick Jouin per gruppo indus triale Busnel li , re spons abile de lla f ornitura contra ct di tut ti g li arredi de ll’ho te l. La lo bby de ll’albergo , con i l de sk su dise gno e l’affre sco a sogget t o e que stre; pareti, paviment o e soffit t o sono interamente rive stiti in legno .
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Marc Haeberlin, chef laureato con tre stelle dalla guida Michelin, e l’albergatore Jean-Pascal Scharf, uno dei professionisti di più alto livello ed esperienza sulla piazza di Strasburgo, incaricato di gestire l’albergo a quattro stelle. Nell’ottica della massima qualità sono poi stati scelti anche i progettisti. Denu e Paradon, solido studio strasburghese attrezzato per ogni tipo di progettazione, e l’agenzia parigina Jouin Manku, chiamata con l’obiettivo di trasportare le scuderie nella modernità sviluppando, con le auguste mura delle antiche scuderie, le giuste relazioni, senza mimetismi ma anche senza forzature. Il tema è quindi la trasformazione rispettosa di una struttura architettonica di grande valore storico ma è anche il recupero, o meglio la reinvenzione, di un luogo che è nato e vissuto, per oltre due secoli e mezzo, portando al centro del proprio immaginario i colori e i materiali dell’equitazione, delle selle, dei finimenti, delle architetture semplici e robuste delle scuderie. Il team formato da Patrick Jouin, designer
francese, con l’architetto Sanjit Manku, di nascita kenyota e di formazione americana, ha affrontato questa sfida con i tratti che sono caratteristici del loro modo di operare: una grande attenzione ai materiali e al dettaglio, che sicuramente proviene dalla cultura del design, e un approccio architettonico leggero e pragmatico che punta con abilità a ottenere qualche immagine a effetto, ma sempre esprimendo una grande sensibilità per la vocazione e la funzione del luogo. In questo caso, occorreva collegare la rudezza dell’architettura nobile e semplice della scuderia con la raffinatezza dell’alta cucina e il comfort dell’albergo a quattro stelle. Il simbolo di questa unione si trova probabilmente nella yurta, la tenda in cuoio dei cavalieri nomadi della Mongolia, che serve da ispirazione per creare, nel ristorante al piano superiore, una spazio riservato, una specie di tavolo d’onore riconoscibile ma aperto sul resto della grande sala lineare. L’altro tema è evidentemente l’aspetto rustico, ma anche robusto e monumentale,
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Una ved uta del ris t orante , al piano s uperiore; dietro le ma ssicce s tr ut t ure lignee del XVIII se col o il det taglio del la ‘yur ta’ un vano semi aper t o interamente in c uoio , ispira t o al le tradizionali abit azioni mongole .
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Le 55 c amere de ll’albergo hanno configurazioni sempre diverse , a se cond a de lla loro posizione all’interno de lle ex scuderie . La scriv ania è un f og lio met allico ripie ga t o con un ripiano di legno ugu ale a lla por ta de lla s ala d a b agno . I let ti sono dise gna ti uti lizzando cuoio d a se lleria , con un’ ampia te stiera ricur va che si so llev a per consentire l’acce sso a g li interrut t ori e a g li allacciamenti in rete . ne lla pagina a fianco , Gl i sgabe lli in cuoio e legno ricord ano la si lhouet te di un c avallo ma anche la f orma dei por tase lla; i pavimenti riuti lizzano ve cchie a ssi di quercia , i tappeti scendi let t o sono in lana .
di un edificio costruito alla metà del Settecento, con le sue potenti strutture di legno e la sua spazialità ampia, più commisurata sulla statura dei cavalli che su quella degli umani. Anche in questo caso Jouin e Manku scelgono di lavorare in continuità, cercando di traghettare gli spazi settecenteschi fino al 2014 senza troppi scossoni. Nel ristorante, alle imponenti strutture lignee della copertura aggiungono quella che probabilmente è l’immagine più forte ed emblematica dell’intero progetto, una grande scala monumentale che collega i due piani del ristorante e che è pensata come una installazione di scultura naturale in cui si mescola la rudezza dei materiali, come il legno di quercia dei gradini, al movimento dinamico e moderno dei fascioni avvolgenti, in legno di faggio, che sembrano quasi sospingere il cliente a salire i trentadue gradini che lo porteranno alla sala ristorante, a quasi sette metri di altezza sopra il piano della brasserie. Gli altri elementi cercano una certa sobrietà per lasciare alla scala, che volteggia liberamente nello spazio, il ruolo della primadonna, e prevale un tono quieto e accogliente, di colori e materiali caldi, in cui le vecchie strutture e gli arredi disegnati da Jouin, nel ristorante come nelle accoglienti stanze dell’abergo, si trovano in ottima sintonia.
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Abbiamo chiesto a Gabriele Galli, amministratore delegato del Gruppo Industriale Busnelli e a Patrick Jouin, progettista dell’Haras di Strasburgo, il valore e la sfida di que ta collaborazione reciproca. Per l’intervento di fornitura contract del complesso. E non solo. GG. “La sfida è tata quella di mettersi in gioco per interpretare, tramite Patrick e la raffin tezza del suo design, le esigenze delle committenza. Il valore molto alto del luogo, del restauro e della fornitura ci hanno permesso di esprimere al meglio il nostro know how. La collezione Charme, all’interno di Les H aras, arreda con grande personalità gli spazi della brasserie, della zona bar e delle camere senza distogliere lo sguardo dall’eleganza, dallo stile e dalla storicità dello spazio dentro il quale è stata inserita, protagonista con discrezione”. PJ. “Busnelli è una maison iconica, un’azienda con un forte passato, un incredibile savoir faire e una perfetta conoscenza del legno. G uarda al futuro con l’ottimismo di molti progetti in via di realizzazione. Personalmente ero molto toccato da questa sfid , perché è stato stimolante lavorare sulla base di un’affinitá e ettiva di intenti e con radici condivise”. Ci racconta gli inizi della collaborazione con Patrick Jouin? GG. “Busnelli ha incontrato nel 2011 Patrick Jouin. Il suo design caldo, soft e a misura d’uomo, che vive di materiali sofi ticati e linee fluid , nuove e sorprendenti, ci ha suggerito un’accoppiata designer/azienda efficace fin da ’inizio. E i prodotti nati la dimostrano: la sedia Charme, il divano Milo, il tavolo Caruso, la sedia e il tavolo Manda sono ‘naturalmente’ validi per progetti del valore di Les H aras a
Strasburgo. Ma, di cui andare orgogliosi anche in altri contesti. Le Charme nelle varie versioni sono protagoniste della hall dell’H otel Lancaster a Beirut, inaugurato nel mese di dicembre 2013, dove la Busnelli ha realizzato l’arredamento integrale di 150 camere”. Crede che la leadership dell’industria italiana dell’arredo possa essere messa in discussione? Quali sono, secondo lei, le carte che le aziende italiane dovranno giocare nel prossimo futuro per conservare il loro primato? PJ. “L’industria del mobile in Italia è stata leader nel decennio 1960-70 perché in quel momento c’ è stata una sorta di rivoluzione sociale e culturale nel Paese che ha abbracciato la modernitá, l’idea di progresso e il design. Questa alleanza quasi genetica tra commercio e cultura è in equilibrio da allora, nonostante ora il quadro sia diverso. Stiamo parlando della terza generazione di capitani che, dagli anni Cinquanta, sono alla guida di imprese familiari. Spetta a loro difendere l’idea di ‘progetto’ e comprendere il suo valore. Le aziende italiane sono molti solidali tra loro e questo è un bene reale: fare sistema è sicuramente una carta vincente”. Prossimi step? GG. “Senza dimenticare che Busnelli è già partner di Patrick Jouin per gli arredamenti dei negozi Van Cleef (primo N ew York), ed altri contract già in programmazione, consideriamo la collaborazione con lui un punto di riferimento per il coronamento della collezione Maison/Busnelli: un progetto dal valore artigianale focalizzato sulla personalizzazione di dettagli e materiali nobili, che avrà il suo giusto prosieguo al prossimo Salone del Mobile di Milano”. (Antonella Boisi)
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First Papers o f S urrealism , New York , 1942. Marcel Ducha mp, Miles o f S tring .
Ar t o f T his Centur
y, New York , 1942. Abs tra ct Gal ler y.
I Territori dell’Esporre di Germano Celant
Per uscire dal valore sacrale dell’artefatto e farlo entrare in una specificità storica, si può tentare di immergerlo in una situazione informativa che lo ancori al suo tempo, così da enunciare l’apparenza senza dissolverla in un limbo, ma conferendole una posizione storica
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Cubism and Abstra ct Ar t: Painting, Sc ul pture , Constru ctions, Pho t ogra phy, Ar chite cture , Industrial Ar t, T hea ter, Films, Posters, T ypogra phy , The Museu m of Modern Ar t, N ew York , 2 marz o – 19 aprile 1936.
el 1936 si apre – a cura di Alfred Barr nel Museum of Modern Art di New York –la mostra Cubism and Abstract Art: Painting, Sculpture, Constructions, Photography, Architecture, Industrial Art, Theater, Films, Posters, Typography, che intende presentare i linguaggi della modernità ed enuncia la dimensione profetica e futura delle avanguardie del primo Novecento, assumibili come rivoluzionarie rispetto alle realtà sociali e politiche che erano sostenute in Europa – dalla Germania alla Russia e all’Italia. E siccome la visione del futuro si lega a una pretesa metafisica, perché ideale e non esistente, tale prospettiva è mostrata ed esposta in uno spazio bianco, indicazione di un ‘vuoto’ che è superamento di tutti gli ancoraggi fisici e materici, iconici e decorativi. Un limbo in cui possano fluttuare gli oggetti, dipinti e scolpiti, ma anche tutti gli altri linguaggi che scorrono in parallelo all’arte: il cinema, la musica, la fotografia, il design, l’architettura, la grafica. È la creazione di una dimensione astorica, the white cube ( Brian O’Doherty, Inside the White Cube, cit.), dove tutte le esperienze possono manifestarsi ed essere accettate, fuori da ogni preoccupazione ‘realistica’. Il museo si offre quindi come costruzione artificiosa e astratta, in cui sviluppare il feticcio concettuale e ideale, affermazione spinta ed esagerata di una prospettiva utopica, oltre il presente. Qui sono destinate a emergere le immagini, indicative della storia, senza che questa funzioni da contesto perché a dover essere percepita, evitando ogni carattere critico. Il valore è affidato alla sua pregevolezza umanistica di carattere universale. E per esaltarne il segno positivo, la sua presenza deve essere esaltata in un ambiente oltre l’attualità: un orizzonte assoluto e vuoto, così che la sua presenza venga esaltata. Tale contesto il Museum of Modern Art l’ha trovato sin dal suo concepimento (Sybil Gordon Kantor, Alfred H.Barr, Jr. and the Intellectual Origin of the Museum of Modern Art, MIT Press, Cambridge, MA, 2002), intorno al 1928, nel modernismo del Bauhaus e nel suo linguaggio asettico e riduttivo, T his is T omorro w, L ondr a, 1956. tanto che l’allestimento dello spazio e delle mostre – come la prima su Cézanne, Gauguin, Van Gogh, Seurat, nel 1929 – si presenta attraverso una sequenza di pareti bianche, i cui confini erano definiti in basso dal battiscopa, e in alto, da cui scendevano le catenelle su cui erano appesi i dipinti, dal limite del soffitto. Un tutto ‘svuotato’ da ogni decoro o da ogni segno presenti negli ambienti espositivi dell’Ottocento e del primo Novecento, in modo che la fruizione estetica non sia disturbata da altre presenze. È un invito alla concentrazione e alla meditazione focalizzate sull’oggetto appeso, al fine di comprendere a fondo, senza distrazione, l’idea insita nell’opera d’arte: un esercizio a mettere al centro solo l’efficacia dell’artefatto, dimenticando ogni situazione e ogni realtà. Il vuoto funziona da termine dialettico del pieno dell’arte. Allo stesso tempo sradica qualsiasi nesso con quanto circonda l’artefatto: è assenza di qualsiasi situazione storica contigua o passata. Pone a distanza ogni riferimento a un tempo e a un luogo; costringe lo sguardo a dimenticare – essendo priva di qualsiasi decorazione – sia la struttura parietale che architettonica. Arriva a suggerire di
Al l an Ka pro w, An Apple S hrine , environ men t, 1960, cour tesy Judson Gal ler y, N ew York (f oto: R ober t Mc Elro y).
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Smantel lament o de gli app ara ti espo sitivi tradizionali del Padiglione Centrale , durante la prep arazione di Ambiente/ Ar te . Dal Futurismo al l a Bo dy Ar t , 1976.
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spogliarsi dell’esistere del luogo, con il conseguente annullamento del proprio corpo: idealità e spiritualità pure. L’invito è a respirare il pneuma dell’arte così da ottenere una purificazione. Tuttavia, è già stato riscontrato (Serge Guilbaut, How New York Stole the Idea of Modern Art, University of Chicago Press, Chicago – London, 1983; Frances Stonor Saunders, Who Paid the Piper? The CIA and the Cultural Cold War, Granta Books, London, 1999) che tale immersione dell’arte in un limbo astorico, oltre a essere un modo di far dimenticare la condizione convulsa e caotica della vita quotidiana, è il metodo che tende a estirpare qualsiasi anima politica e ideologica, quella che inquinava all’epoca l’arte legata alle dittature europee. In tale senso il tracciare la presenza artistica, senza far trasparire alcun richiamo all’attualità o al reale, la tramuta in pura energia, quasi una virtù su cui basare un mondo nuovo. L’eccesso politico che aveva segnato tutte le avanguardie, dal futurismo al costruttivismo, viene separato e dissolto cosicché il sociale si distingua dall’estetico e il processo dell’arte si trasformi in puro piacere, tra la meditazione a la trance, dell’esperire psicofisico. Sospesa nel vuoto e sradicata da qualsiasi terreno socio-politico, l’arte è assunta solo quale potenza sensibile del ‘nuovo’. Ripulita da qualsiasi scoria storica e da ogni impurità, risplende solo per soddisfare la persona che si riflette in essa, come in uno specchio vuoto. Tuttavia quest’attitudine che sembra separare potere e cultura, si tramuta in un rinnovato strumento ideologico: innalzando l’uniformità dell’ideale, tende ad azzerare la diversità sociale e politica che non sia la propria. L’estraniazione dalla società attraverso the white cube (Brian O’Doherty, Inside the White Cube, cit.) i diffonde rapidamente così da immergere l’arte in una valenza astratta, riducendola al senso minimo dell’apparire. L’arte viene dunque estratta da qualsiasi luogo e deportata in un’autorappresentanza che è intessuta solo di storie periferiche o intrinseche al linguaggio stesso. I termini di confronto si misurano solo all’interno della storia dell’ordine del discorso artistico, escludendo ogni dimensione politica e sociale. Il desiderio di esprimersi si traduce in semplice esposizione del sé, cercando le forme e le materie che possano tradurre tale racconto personale. Il partire da sé trova legittimazione e definizione solo in un ambiente fuori dalla presenza di altre cose che possano distrarre l’attenzione del pubblico consumatore. Una situazione neutra crea unicità e perciò un primo stadio di fruizione qualitativa. Un meccanismo che regge il racconto del nuovo, perché senza un paragone o una correlazione: sulla scena compare un solo attore. Contro quest’univocità espositiva che esalta soltanto il prodotto fantasmatico di una persona s’impegnano subito gli artisti e gli architetti coscienti del pericolo di un linguaggio che riflette solo se stesso, senza alcuna possibilità di moltiplicarsi all’infinito mediante un gioco speculare o dinamico. Nel 1938 a Parigi nell’Exposition internationale du Surréalisme gli artisti – da Man Ray a Salvador Dalí, da Joan Miró a Max Ernst, da Marcel Duchamp a Oscar Domínguez – confondono e mescolano gli oggetti e le luci, i percorsi e le installazioni, così da formare un unicum inseparabile. Una totalità esperenziale che nel 1942 è ripresa dall’architetto Friederich Kiesler per la progettazione e la realizzazione della galleria di Peggy Guggenheim, Art of This Century. In entrambi i casi l’artefatto non riflette se stesso in uno specchio, ma è parte di un magma narrativo che si moltiplica in una danza di relazioni e di articolazioni. Tuttavia questo mostrare dinamico e vitale che nega la morte del contesto non scongiura il potere di immortalare l’artefatto mettendolo su un fondo bianco, che ricorda il fondo oro delle icone antiche. La santificazione dell’opera d’arte si afferma, diventa circolare in sé stessa, esibendosi in un limbo misterioso e fuori dal tempo.
T he T imes S qu are S ho w , sidew alk view with sign s by T om Ot terne ss, June 1980 .
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Chambres d ’Amis , Gand , 1986, Joseph K osuth.
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Per altri quarant’anni la cornice neutra e astratta, determinata da pareti, soffitto e, spesso, pavimento bianchi ha veicolato gli artefatti, sospendendoli nel vuoto così da non creare alcun turbamento informativo. Dagli anni Settanta, tuttavia, si sviluppa la coscienza che il silenzio espositivo fosse uno strumento linguistico, quindi studiabile e analizzabile, modificabile e alterabile. L’azione è data inizialmente dalla svolta decisiva compiuta a fine degli anni Cinquanta, con l’affermazione degli environments – da Allan Kaprow a Jim Dine, da Claes Oldenburg a George Segal. L’oggetto si trasforma in un’epidermide ambientale, grembo di cose che provoca una partecipazione fisica e corporale sia dell’artista sia del pubblico. Tale densità magmatica interessa il registro di tutti i sensi: la percezione visiva, tattile e gustativa dell’ambiente. Questo spessore attivo di un contesto che inizia ad essere protagonista apre l’architettura espositiva a territori nuovi per cui le estensioni del mostrare passano, intorno agli anni Cinquanta, dall’appartamento del collezionista o del gallerista al loft dell’artista. Negli anni Sessanta, è appunto il loft ad affermarsi come strumento generalizzato dell’esporre in luoghi industriali di grande scala e di spettacolare capienza. Le gallerie, da New York a Düsseldorf, da Torino a Los Angeles, da Londra a Roma, si stabiliscono in fabbriche abbandonate o in edifici in disuso, mentre in contrapposizione ai musei si creano gli spazi alternativi, da Artists Space a PS1. Nasce la tradizione di recuperare architetture che erano servite da garage, come la galleria Attico di Roma; da laboratori artigianali, come il Deposito d’Arte Presente, a Torino; da manifatture tessili o metalliche, come avviene nelle aree di Soho a Manhattan dal 1970, così da creare un nuovo discorso espositivo – quello appunto che si riferisce al luogo di lavoro, al loft dell’artista – e in modo da stabilire un’equivalenza diretta tra produzione e distribuzione. I muri si fanno grezzi e i pavimenti di legno usato occupano il posto di quelli in marmo delle gallerie uptown. A rimanere tuttavia è il colore bianco che continua ad annullare l’elemento contestuale, evitando l’attitudine politica e ideologica del singolo artista o della specifica ricerca tematica o linguistica. L’occultamento dovuto alle sovrastrutture che condizionano la percezione dell’arte quando esposta sono rimosse nel 1976 quale dichiarazione di Arte / Ambiente. Dal Futurismo alla Body Art, nel Padiglione centrale della Biennale di Venezia. In tale occasione l’architetto Gino Valle e Germano Celant, curatore, liberano gli spazi di tutte le sovrastrutture in tela bianca e in legno che coprivano i muri in mattoni dell’edificio ai Giardini. La cancellazione di tali strumenti di occultamento dell’architettura espositiva è un successivo passo verso la consapevolezza della condizione reale del contesto che viene utilizzato dagli artisti stessi – da Robert Irwin a Maria Nordman, da Mario Merz a Doug Wheeler, da Joseph Beuys a Jannis Kounellis – per creare un proprio ambiente sensoriale e percettivo. L’esaltazione della struttura di situazione reale, rispetto al vuoto temporale e spaziale, si arricchisce nel 1980 a New York con la mostra The Times Square Show, realizzata in un ex-bordello sulla 41st Street e 7th Avenue a cui partecipano gli artisti di strada, da Basquiat a Haring, e poi in senso più borghese a Ghent nel 1986 con Chambres d’amis, curata da Jan Hoet, il quale invita artisti come Giulio Paolini, Paul Thek, Panamarenko e Luciano Fabro ad utilizzare appartamenti, messi a disposizione dai privati cittadini (Bruce Altshuler, Biennals and Beyond, 1962-2002, Phaidon, London, 2013). Il rapporto tra arte e società, cioè il significato politico-culturale dell’attività dell’artista non può essere evitato nel 1991 dalla mostra su Degenerate Art, curata da Stephanie Barron al Los Angeles County Museum. Qui la mediazione dei connotati politici e ideologici, connessi alla visione repressiva del Nazismo sulle avanguardie storiche del Novecento, non può essere evitata. Il contesto non può essere risolto con un acrobatismo ambientale, in cui l’assenza di lettura interpretativa si
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riflette nel bianco, con il rischio di dissolvere la barbarie. Bisogna impegnarsi e comunicare, come fa Frank O. Gehry che progetta l’allestimento, comunicando la repressione e la negazione che hanno un peso sull’esposizione delle opere d’arte storiche. Queste non possono essere percepite come acquisizione utopica, ma come vittime di un potere coercitivo e negativo, che ha peso sulla percezione dell’insieme. La risposta sta dunque nella pesantezza e nella concretezza dei muri, che non sono più perimetri di un limbo, quanto nel processo di ghettizzazione dello spazio, realizzato attraverso l’uso di reti che richiamano i perimetri dei campi di concentramento, in cui le opere sono percepite. È un primo passaggio verso il coinvolgimento materico dell’architettura espositiva, che ha un’effettualità sulla ricezione e sulla percezione dell’arte. Per non idealizzarla e magnificarla l’ambiente deve essere reale, concreto e reale, ma questo effetto è continuamente rinnovato dalla messa in scena di un limbo, anche se dalle connotazioni industriali. Come uscire da questa trappola che de-realizza la storia? Per uscire dal valore sacrale dell’artefatto e farlo entrare in una specificità storica si può tentare di immergerlo in una situazione informativa che lo ancori al suo tempo, così da enunciare l’apparenza senza dissolverla in un limbo, ma conferendole una posizione storica, come si è tentato di fare con Piero Manzoni al MaDRE in Napoli, nel 2007, e alla Gagosian Gallery in New York, nel 2009, dove l’insieme delle opere dell’artista è stato mostrato intrecciato alle vicende culturali e ai lavori di altri artisti – da Alberto Burri a Yves Klein, da Kusama a Lucio Fontana – operanti nel suo stesso arco cronologico, dal 1957 al 1963. Un altro modo di prendere cognizione della situazione, non solo temporale e storica ma fisica viene dalla connessione concreta ed esperibile tra soggetto in mostra e architettura ospitante. Ad Atene, nel 2013, sotto il titolo The System of Objects, a cura di Maria Cristina Didero e dell’architetto Andreas Angelidakis è reinstallata, nell’edificio della Deste Foundation, parte della collezione di Dakis Joannou. Ispirandosi alle teorie di Jean Baudrillard sugli strumenti di seduzione, attuati dalle strategie di consumo, l’esposizione mette in atto una serie di “scene” espositive che caratterizzano la designazione ambientale, indotta dai diversi metodi di allestimento. L’ipotesi è di sfuggire all’abbraccio dell’atemporalità del white cube per far entrare il visitatore in una serie d’istanti o d’involucri che evidenziano le diverse logiche d’articolazione architettonica. Ogni ambiente, in cui le opere sono presentate, è diverso, per dimensione e materiale, con conseguenze percettive conseguenti. Si passa dall’uso di corridoi a scale, da sale a terrazze, da tende a carte, da strutture in metallo a legno, da attraversamenti luminosi a squarci costruttivi. Si produce così un senso disordinato e caotico, da labirinto polimaterico, in cui la persona visitatore si rende consapevole della propria sistemazione e della propria esperienza motoria e sensoria. In tale percorso non esiste situazione migliore dell’altra ma solo diversa una dall’altra. Tuttavia il processo non è soggettivo, poiché ancorato a una tradizione progettuale che ricorre a forme volumetriche differenti, dal cubo al parallelepipedo, dalla superficie morbida alla trasparente, dal mattone al vetro. L’intenzione è di manifestare la ricchezza dell’esporre, al fine di dare una densità imprevedibile e diversa rispetto all’oggetto esposto. Non tentare di rassicurare il visitatore, ma stimolarlo a prendere coscienza del registro progettuale dell’allestimento che, tramite velluti e vernici, luci e ombre, spessore e inconsistenza, influenza la percezione. Aumentando la varietà delle funzioni, si sostiene il potere d’espansione dell’arte che si dimostra resistente a tutti i tragitti materici e spaziali: la costruzione di una trascrizione spaziale e materiale che è un’estensione interpretativa, quanto un’esplorazione del senso del mostrare.
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grafica
di Andrea Branzi
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utura è il lettering che ha dominato il graphic design dal Dopoguerra fino ai nostri giorni; un carattere tipografico che è diventato sinonimo di modernità nell’ordine geometrico. Freddo, preciso, organizza la pagina in gabbie e spaziature corrispondenti a una comunicazione funzionale, ortodossa, in grado di trascinare nell’ordine qualsiasi tipo di pensiero catastrofico, raffreddandolo in categorie cartesiane. Se il XX secolo trasmetteva dunque attraverso Futura la garanzia di futuro nell’ordine, il XXI secolo ci stimola a lavorare su un presente continuo, dove l’ordine non è né garantito né indispensabile, e la scrittura torna a essere l’espressione di una narrazione drammaturgica e anarchica che si espande in uno spazio privo di geometrie. Una sorta di ‘anti-grafica’ creativa, senza regole precise ma capace di trasmettere una emozione, una narrazione, indipendente dall’algido alfabeto elettronico. Nel secolo scorso i Futuristi – da Balla a Gargiulo – dimostrarono che non solo la metrica, ma l’intero perimetro della pagine era indifendibile, attraversato dai flussi devastanti di un mondo che cambiava; Kazimir Malevich si proponeva di rifondare un alfabeto suprematista primordiale il cui archetipo era un “quadrato nero su fondo bianco”. William S. Burroughs espandeva l’energia dei suoi scritti con segni colorati e Jack Kerouac era in grado di leggere parti di On the road
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Tôrei Enji (1721 -1792), Il Bast one d i T ê-shan .
accompagnato dal ritmo jazz del pianoforte e ha battuto a macchina il suo romanzo sul rotolo di una calcolatrice, lungo e dritto come una strada del paesaggio americano, trasformandolo in un cilindro come un sacro testo della Torah ebraica… In Giappone nell’antica tradizione haiku (XVII secolo) la qualità della poesia non si limitava alla bellezza dei versi ma comprendeva l’eleganza del segno e della carta di riso su cui era tracciata; la poesia diventava un oggetto integrale, un’ arte applicata da collocare all’interno del tokonoma insieme alle lacche, agli ikebana, alle preziose porcellane. L’anti-grafica nasce dunque da una nobile tradizione, dove la narrazione e la scrittura sono integrate, per comunicare una nuova visione del mondo, portatrici di una esperienza estetica oltre
che intellettuale. Tracce visibili della flessione della storia dell’uomo verso un orizzonte inesplorato. Testi teorici intrecciati a più mani, frammenti di racconti, di poesie, pagine che diventano spazi da esplorare; mappe e oggetti di ‘arte applicata’ privi dell’eleganza svizzera ma frutto dell’urgenza di esprimersi a mano. Nel momento in cui l’editoria e-book trasferisce il libro in un universo immateriale, una nuova materia narrativa, misteriosa, irridente emerge. Già da diversi decenni, sui muri (e non sui fogli) delle nostre città, sui tram, sui treni, si ammassano i messaggi illeggibili di una generazione che non riconosce più l’autorità della parola scritta e la sua capacità di essere decifrata, per divenire un groviglio creativo, un codice ermetico di identità tribale. I writers hanno avvertito per primi che la parola, il nome, è ormai incapace di avere un senso comune e i tag, come messaggi in bottiglia, inviano nel groviglio della metropoli il loro richiamo. L’anti-grafica corrisponde alla fine degli ordini percettivi tradizionali e crea rebus che arricchiscono lo spessore della parola, il suo fonema, rendendola espressiva a partire dalla sua stessa apparizione visiva. Si sta producendo così quella identificazione tra lettura e estetica, tra scrittura e arte, tra segno e narrazione, che l’universo della multi-media, della pubblicità, delle promozioni commerciali conoscono da tempo, ma che la cultura editoriale del graphic design non è stata ancora capace di recepire. Come la musica
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G iacomo B al la , R umori stic a Pla stic a Bal trrr , 1914-16.
Jack Jerou ac, ro t ol o originale del romanz o O n the ro ad , 1951. Wil liam S . Burrough s, da Wil liam S. Burrough s, Paper s 1951-1972.
che accompagna il film su un nastro indipendente, ma ne moltiplica la capacità emozionale. L’origine di questa comunicazione multipla, così vicina alle scritture primitive delle civiltà rupestri, dove il messaggio inciso era insieme simbolo magico e misterico, è da ricercare in quella tendenza minoritaria del Movimento moderno, che interpretava la legge di Darwin come un processo evolutivo reversibile, per cui se l’uomo derivava dalla scimmia, l’uomo poteva risalire alla sua condizione animale, intesa come libertà e modernità assoluta. Questo ritorno a una metropoli primitiva è uno dei segni più importanti del XXI secolo, dove emergono quelle energie incontrollabili, acrobatiche, che come le scimmie sacre attraversano senza motivo e senza teoria, i baratri delle nostre scogliere urbane.
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Per una nuo va c ar ta d ’Atene , te st o incrocia t o di Andrea Branzi e Angela R ui, 2013-2014, L itho s Edizioni.
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Pier Gior gio Pero t t o (sedut o a sinis tra) con il gru ppo di pro get t o elet tronico a Pre gnana (MI), acc ant o a gli ele menti del se condo pro t oti po del cal cola t ore P101 , agos t o 1964. S edut o a cc ant o a l ui, Gio vanni De S andre; in piedi, da sinis tra , Gast one Garziera e Gianc arl o T oppi. (Fot o Associazione Archivio St orico O livet ti, Ivrea – Ital y)
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e vicende della Olivetti tra la metà degli anni ’50 e gli anni ’60 evidenziano la dicotomia tra tradizione meccanica (le famose macchine da scrivere) e sviluppo del settore elettronico (i primi computer e l’introduzione dei transistor). In una rilettura attuale, questo scarto denuncia a posteriori l’arretratezza diffusa di una visione imprenditoriale non incline alle sfide tecnologiche e restia all’apertura verso quei prodotti elettronici del vicino futuro che di lì a poco invaderanno il mercato mondiale. Nella storia dell’industria italiana, la Olivetti appare come un caso pressoché unico per l’iniziativa illuminata di Adriano Olivetti (1901-1960) di aprire l’industria alla società, di fare di Ivrea e del canavese un laboratorio territoriale di sperimentazione di calibrati equilibri imprenditoriali, urbanistici e sociali, nell’attivazione di sinergie produttive e culturali che anticipano di quasi sessant’anni il modello di centralità diffusa proprio dei preziosi distretti industriali, parte fondamentale dell’economia italiana del nuovo millennio. Tradizionalmente impegnata nella produzione di macchine meccaniche che, grazie al contributo di Marcello Nizzoli, si trasformano in ‘oggetti’ – a volte in icone del design italiano – capaci di attivare un nuovo interfaccia tra tecnologia e utente, la Olivetti nei primi anni ‘50 si rivolge con curiosità imprenditoriale e scientifica al mondo dell’elettronica. Si tratta di definire un percorso che dalla produzione di oggetti intelligenti sia in grado di dare forma fisica all’intelligenza artificiale della tecnologia e dei calcolatori elettronici, a quel tempo primato indiscusso dell’IBM americana. Scrive Giuseppe Rao: “L’Olivetti negli anni diventa l’azienda più apprezzata e celebrata nel mondo per la capacità di coniugare leadership tecnologica, principi etici, diritti e benessere dei lavoratori e delle loro famiglie, sviluppo di attività mai realizzate prima da un’impresa nella cultura, nel design, nell’architettura, nella comunicazione
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La storia della Olivetti Elettronica e del calcolatore Programma 101, il primo personal computer al mondo, è un simbolo della genialità scientifica e imprenditoriale italiana. Una visione dell’industria proiettata al futuro che Politica e Stato non hanno voluto cogliere
aziendale, nella pubblicità, nell’audiovisivo, nell’editoria. Tutto ciò contribuisce a creare quello stile Olivetti che rimane ancora oggi un modello mai eguagliato nella comunità internazionale, espressione di una visione illuminata e anticipatrice della modernità” (Giuseppe Rao, Mario Tchou e l’Olivetti Elea 9003, Il Marchio Giallo, scritto scaricabile in: http://temi.repubblica.it/ limes/mario-tchou-e-lolivetti-elea9003?printpage=1, Gruppo Editoriale L’Espresso). La ricerca nel campo dell’elettronica parte nel 1952 quando Olivetti apre a New Canaan, in Usa, un centro studi dedicato alla tecnologia dei calcolatori elettronici, seguito nel 1955 dal Laboratorio Olivetti per le ricerche elettroniche di Pisa. Adriano affida al figlio Roberto la direzione della nuova Divisione Elettronica che vede impegnati a livello tecnico il fisico-ingegnere Mario Tchou, incontrato da Adriano negli Usa, e per il design Ettore Sottsass. Nel 1957 è presentata la Macchina Zero a valvole, chiamata Elea 9001: acronimo di Elaboratore elettronico aritmetico, ma anche allusivo all’omonima antica città del sapere della Magna Grecia e della scuola presocratica ivi fondata nel 545 a.C. che rifiutava la validità epistemologica dell’esperienza sensoriale e metteva quale base della conoscenza la chiarezza della precisione matematica. L’Elea 9001 è seguita dalla seconda macchina intelligente a valvole Elea 9002, per arrivare alla svolta nel 1959 con l’Elea 9003 – primo calcolatore elettronico transistorizzato – disegnato da Ettore Sottsass e vincitore del Compasso d’Oro ADI. Si tratta ancora di un computer di grandi dimensioni nonostante l’impiego dei transistor, pensato da Sottsass in termini di ‘interni’, come elemento in grado di costruire uno spazio di relazione di lavoro. Senza sminuire la qualità tecnologica e il design di interfaccia pensato da Sottsass, fedele al progetto innovativo della filosofia aziendale per cui l’uomo e non la macchina era al centro del progresso, l’Elea 9003 segue però sostanzialmente la scala dei
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l’occasione incompresa
di Matteo Vercelloni
il cal cola t ore elet tronico Programma 101, 1965, de sign Mario Bel lini. (Fot o Al ber t o Fiora vanti, cour te sy by Studio Mario Bel lini Archite ct s)
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modelli di calcolatori prodotti nel mondo: apparecchiature voluminose, sorta di armadi elettronici in successione, e soprattutto non accessibili al grande pubblico sia per costo, sia per difficoltà d’uso e fragilità di funzionamento. Tuttavia, con questo modello Olivetti diventa uno dei principali concorrenti di IBM, la più importante azienda americana in campo elettronico proiettata a livello politico e strategico verso la conquista del mercato mondiale, in un momento storico in cui i calcolatori elettronici diventano nel mondo una ‘tecnologia sensibile’. Per la nuova sede del Centro di Calcolo Elettronico Olivetti di Rho, nei pressi di Milano, Roberto Olivetti si rivolge a Le Corbusier che prefigura una sede (mai costruita) di ricerca flessibile, con spazi di lavoro scanditi dal sistema ‘volume alveolare abitabile’ basato su un modulo a composizione variabile che permetteva di configurare un paesaggio interno in divenire, con spazi di dimensioni differenti in grado di rispondere alle esigenze non prevedibili e future. Nonostante l’entusiasmo di Roberto Olivetti, dopo la scomparsa del padre Adriano nel 1960, e in seguito alla drammatica morte, a soli 37 anni, del geniale Tchou, il settore Olivetti Elettronica non appare conoscere la fiducia degli azionisti e, nell’ambito di una complessa gestione aziendale resa ancora più difficoltosa dall’acquisto della concorrente americana Underwood, è ceduta alla General Electric nel 1964. Scrive Enrico Morteo: “A essere venduto è il futuro, ma soprattutto viene a essere mutilato lo schema imposto da Adriano, basato sull’azione convergente di ricerca e innovazione. Paradossalmente, la Olivetti si ritrova a essere un’industria con un tasso d’intelligenza progettuale superiore alla capacità di gestirlo e orientarlo” (E. Morteo, Oggetti in prospettiva geografica, in AA.VV. Olivetti: una bella società, catalogo della mostra, Umberto Allemandi & C. Editore, Torino 2008) . È in questo periodo che un gruppo di tecnici geniali, transfughi dalla vecchia Divisione Elettronica capitanati dall’ingegnere Pier Giorgio Perotto, già collaboratore di Mario Tchou (un gruppo considerato quasi ‘esoterico’ e relegato ai margini dell’azienda), compie nella nuova sede del Laboratorio Elettronico di Pregnana Milanese una rivoluzione silenziosa, creando quello che storicamente è il primo personal computer da tavolo: la Programma 101, da subito declinata al femminile e affettuosamente soprannominata la Perottina. La P101 è opera geniale dovuta a Perotto con Giovanni De Sandre, Gastone Garziera e al progettista meccanico Franco Bretti, per quanto riguarda l’adeguamento della tastiera e l’invenzione della microstampante a tamburo, nata da precedenti studi. Quindici anni prima dei moderni computer da tavolo, la Programma 101 anticipa e annuncia il futuro mondiale del computer: avere una macchina intelligente di dimensioni ridotte, in grado di proporsi al largo pubblico con un linguaggio amichevole e di facile uso. In sostanza l’esatto contrario dei computer esistenti in quel periodo. Perotto e i suoi tecnici
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Model l o di s tudio del cal cola t ore Progra mma 101. (cour te sy by Studio Mario Bel lini Archite ct s)
affrontano la sfida di pensare, progettare e costruire una macchina che non c’è, riuscendo ad arrivare brillantemente al traguardo. Dopo un progetto poco convincente di involucro a cura di Marco Zanuso, la definizione della forma esterna del nuovo computer è affidata al giovane Mario Bellini; la Programma 101 è presentata ufficialmente nel 1965 alla Business Equipment Manufactures Association di New York, producendo sorpresa, ammirazione, un successo di pubblico e attenzioni non disinteressate. Bellini risolve l’architettura esterna della macchina in modo brillante, definendo una pelle rigida che all’ergonomia unisce la chiarezza del funzionamento, le modalità e la fasi di attivazione, con la striscia centrale nera in cui si inseriva e si estraeva la cartolina magnetica (l’equivalente dei successivi floppy disk), la pulsantiera con il rullo di stampa, i tasti rastremati in modo plastico per le sole sedici istruzioni, il tutto avvolto da sapori zoomorfi come la griglia di raffreddamento laterale che ricorda le branchie di un grande pesce. Lanciata sul mercato con lo slogan “Olivetti porta il computer sul vostro tavolo”, la Programma 101 conoscerà un successo di vendita e di impiego soprattutto in America, dove sarà acquistata anche dalla NASA, ma la sfiducia della cultura industriale italiana verso l’elettronica ne decreterà la fine. Replicata pochi anni dopo dall’HP 9100 (che pagherà all’Olivetti 900.000 USD quale risarcimento per violazione di
brevetto), la Perottina non fu capita dall’establishment Olivetti. Precisa a questo proposito Pier Giorgio Perotto: “I dirigenti dei settori amministrativi, delle produzioni, dei settori commerciali, non si erano ancora convinti che una vera rivoluzione stava per cadere loro addosso, ‘la Programma 101 – essi dicevano – è un bellissimo prodotto, però copre un mercato di élite. La Olivetti vive di macchine per scrivere, di calcolatrici a quattro operazioni, di addizionatrici, ossia di prodotti di massa, da produrre in grande serie, al ritmo di centinaia di macchine all’ora e a costi ai quali l’elettronica non potrà mai giungere’. Essi avevano sì accettato, obtorto collo, l’elettronica, ma solamente in un ambito limitato, che si ostinavano a considerare marginale. […] In senso strategico la straordinaria opportunità della Programma 101 non venne colta” (Pier Giorgio Perotto, Programma 101. L’invenzione del personal computer: una storia appassionante mai raccontata, Sperling & Kupfer Editore 1995). Come già ipotizzato da Lorenzo Soria (Informatica: un’occasione perduta. La Divisione elettronica dell’Olivetti nei primi anni del centrosinistra, Einaudi Editore 1979) e successivamente da Marco Pivato (Il Miracolo Scippato – Le quattro occasioni sprecate della scienza italiana negli anni Sessanta, Donzelli Editore, 2011), sulla vicenda grava il sospetto di un possibile complotto internazionale che meriterebbe approfondimenti e studi storici finalizzati. Questo sarebbe stato finalizzato a relegare l’Italia ad un ruolo subalterno nel mercato del lavoro mondiale, rendendo inefficaci i tentativi di occupare posizioni avanzate nei settori fondamentali dello sviluppo economico (nuovi materiali, energia ed elettronica). A delinearlo, una serie di eventi traumatici come la morte di Enrico Mattei, la demolizione della ricerca nucleare italiana con il caso di Felice Ippolito, e, appunto, la cessione agli americani della divisione elettronica Olivetti. Tuttavia, per ciò che riguarda il settore dell’elettronica e il design dei nuovi computer italiani le cause dell’arresto della genialità olivettiana sono da rintracciare nella miopia e nell’arretratezza culturale di un’industria abituata a percorrere vie di sviluppo tradizionali, incline a importare innovazione più che a crearla con investimenti e ottimizzazione delle risorse umane che il mondo ci invidia e all’assenza dello Stato per ciò che concerne il sostegno della ricerca in senso lato. Significativa da questo punto di vista l’affermazione di Vittorio Valletta, dirigente d’azienda e presidente della Fiat (che insieme a Pirelli, Mediobanca, Imi e Banca Centrale entreranno da lì a poco nel capitale Olivetti) che all’assemblea dei soci nel 1964 affermava: “la società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superare senza grosse difficoltà il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare”. Così, nonostante l’affermazione che Natale Capellaro (il geniale operaio e poi progettista
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Sopra , Le Corbu sier ‘Boite S tand ard s vo lume a lvé o lare habit ab le’, 1962, studio de lla di spo sizione interna de ll’in compiut o Labora t orio Elet troni co Ol ivet ti di R ho . Sot t o i l calco lat ore e let troni co Elea 9003, rea lizza t o d al Labora t orio di ri cer che elet troni che de lla Ol ivet ti diret t o d a Mario Tchou , no vembre 1959, de sign Et t ore Sot t sass jr. (Fot o Asso ciazione Ar chivio S t ori co Ol ivet ti, Ivrea – Italy)
‘meccanico’ dell’Olivetti) fece esaminando la P101: “caro Perotto, vedendo funzionare questa macchina, mi rendo conto che l’era della meccanica è finita”, la stagione sperimentale e innovativa dei computer Olivetti non trovò terreno di sviluppo e fu sbaragliata dalla concorrenza internazionale che ne colse appieno le incredibili potenzialità. Nel 1969 Ettore Sottsass, che pochi anni prima aveva disegnato l’interfaccia dell’Elea 9003, presenta la Valentine (progettata con Perry King), una macchina da scrivere tradizionale, meccanica e portatile, reinventata dal punto di vista formale e poetico. Rossa, dotata di scocca in plastica che fa da custodia e di maniglia sul retro che ne consente il trasporto in ogni luogo. Una sorta di computer portatile ante litteram, per filosofia d’uso e libertà di spostamento, ma in sostanza un prodotto tecnologicamente antiquato, nobilitato dal design, ma privo di quell’anima intelligente contenuta nella Programma 101, il primo personal computer del mondo.
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News OuTDoor Pratici, resistenti e dalle forme ricercate, i nuovi arredi da esterno coniugano bellezza e funzionalità all’utilizzo dei materiali più diversi, dal teak al kevlar. Eccoli ambientati tra i poetici origami del designer serbo Uros Mihic di Elisa Musso foto di Simone Barberis
Vista, divanet t o realizza t o a ccos tando due pol trone angolari. È in al l uminio vernicia t o con cuscini ri vestiti in te ssut o d a e sterno . Design Cars ten Astheimer per Gl os ter . Poncho , pol trona dal le f orme a vvol genti. H a s trut tura in tubolare d’acciaio cucit a al ri vestiment o in te ssut o da un intre ccio in Ke vlar. È dise gna ta da L ucidi Pevere per L ivin g Divani .
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Ivy, tavolini con b ase in a cciaio la cc ata abbina ta al piano in le gno . Design C lae sson K oi vist o R une per Paola L enti . Mas ai, pol troncina scul t orea con s trut tura in tubolare di met al l o vernicia t o. L a sedut a è realizza ta in PVC con cuscini di te ssut o te cnico imbo t titi. È dise gna ta d a Marco Z it o per S ab a Italia .
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Camargue , pol tron cine in ferro zin cat o e cord a melange . Disponibili in 4 col ori, sono prodo t te da Unopi첫 . Alb a, vasi in polietilene s tampat o in ro tazionale . Il bordo rifinit o a mano rende ogni pezz o uni co e manife sta la mae stria ar tigianale na s cos ta dietro la produzione seriale de gli ogget ti in pla sti ca. Design Massimiliano Adami per Serral unga .
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Ors on 004, sedia in teak dise gna ta d a Go rd on G uil la umier per Rod a. S pritz , tavolin o realizza t o in re sina fiber-gla ss . Ăˆ f acilissim o da sm ont are ed è dise gna t o da R aff ael l o G ali ot t o per Nardi . InOut 123, sedia impilabile c on s trut tura in al l umini o vernicia t o e sedut a e schienale in teak . Di Paola N avone per Gervaso ni. U nam, l ounge chair c on strut tura in le gn o ir oko per esterni, intre cci o in c ord a e sedut a in te ssut o outd oor. Design S eb astian H erkner per Very Wood .
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Mathild a, sedia con ga mbe in le gno massel l o, schienale in mul tis tra t o cur vat o a v vol t o in p aglia e sedut a imbo t tit a. Design Patricia U rquiola per Moroso . V il la ge , tavol o d a pranz o in al l u minio . Design b y Jasper Morrison per Ket tal . Studios , sedia pie ghev ole d a re gis ta in al l u minio e te ssut o imbo t tit o prodo t ta d a Ethi mo. T ouch, tavolino con s trut tura in al l u minio vernicia ta col or t or t ora prodo t ta d a Talenti. U rb an, sedia in la miera di al l u minio s tampata. Di S amuel Wilkinson per Emu . N inix NNX 195T, let tino con s trut tura in a cciaio ino x vernicia t o e te ssut o Batyline . Ăˆ do tat o di un mecc anis mo di re golazione pneu matic a per c ambiare posizione fino al co mplet o appia t ti ment o. Design K ris Van Puy velde per R oyal Botania .
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A terr a: WA, pol troncin a con strut tur a di al l uminio re alizz ata in un unico pezz o e rive stit a in te ssut o sintetico . Di T oan N guyen per Dedon . Bistrò , sedi a pie ghev ole in ferro prodo t ta da Greenw oo d di Moia . Vol t, sedi a in polipropilene rinf orz at o con fi bre di vetro . Design by C l audio Dondoli e Marco Pocci per Pedrali. R ion, sedi a impil abile in al l uminio vernici at o. Design Studio O rl andini e Ra dice per Fast . Kate , Pol troncin a impil abile in acci aio . Di Patric k Jouin per Fer mob .
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ILtavo lo, tavo lo in met allo vern ic iat o per outdoor. Es iste in tut t i i co lor i de lla c ar te lla RA L e in cement o. Des ign Lapo Ci at t i per Opini on Cia t ti da Entra talibera . S u l tavo lo: C ut , po ltronc ina con scocc a in po liuret ano r ig ido e b ase in met allo vern ic iat o. Des ign France sco R ota per Lapalma. Branch, sed ia con s trut tura in pre sso fus ione di allum in io e sedut a e sch iena le in po liprop ilene r in forza t o con fibra d i vetro . Des ign L iev ore Altherr Mo lina per T rib첫 .
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Grey , panc a con s trut tura in noce c analet t o vernicia t o na turale oppure la cc at o bianco , gri gio , avio , nero e sedut a imbo t tit a in poliuret ano e spanso con rive stiment o in te ssut o sf oderabile . Desi gn di Paola N avone per Ger vasoni . O wl s , murale s d a cm 372 x 270, compos t o d a o t t o f asce da cm 46, con dise gno realizza t o in s tampa di git ale su suppor t o in TNT del la col lezione Catalina Estrad a. Desi gn Catalina Estrad a per Agena . nel la p agina a cc ant o: Bel t, panc a ret tan golare in f asce in ma ssel l o di noce c analet t o intre ccia te e b ase in met al l o e cuscino imbo t tit o in poliuret ano rive stit o in te ssut o. Desi gn di Tarcisio C olzani per Porad a. Piante e l oc ation di S erra L orenzini.
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Sopra la panca di Nadia Lionello - foto di Simone Barberis
Per molto tempo pensata in forma minimal, e un po’ sottomessa nel vasto panorama dell’arredo di design, oggi ritrova nuovi look e utilizzi nei diversi ambienti. Un vero e proprio arredo, decorativo e funzionale, sdoganato dalla sola funzione di seduta multipla
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Fence , sedut a e super ficie di appoggio con b ase in t ondini di a cciaio tra t tat o e t op in noce canalet t o. Design di C hris t ophe Pil let per Lema . Paviment o in pia strel le in gre s porcel lana t o del la linea System L di Marazzi te cnica .
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Chev al d’ArçonS del la col lezione L es N écessaire s d’H ermè s, pan ca con strut tura , cro ciere , casset ti e vano la terale contenit ore in no ce canalet t o massel l o. Sedut a rive stit a in pel le o in te ssut o e piedini in a cciaio ino x spazz ola t o. Design di Philippe N igro per Hermè s .
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Panc a del ’32, con s trut tura in tubolare croma to e ri piani in lamiera f ora ta lamina ta a freddo e vernicia ta in bianco o nero . Design e re styling Sag sa. O ’s , panc a in lamiera di a cciaio ino x, piega t o e s atina t o, con re golari f onometrie circolari con interno la cc at o a col ori viv aci. Design di Wil liam s awaya per saw aya&Moroni .
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Denny , panc a-pouf con s trut tura in le gno mul tis tra t o, mol le ggio a cinghie ela stiche , imbo t titura in poliuret ano con rive stiment o sf o derabile in te ssut o o in pel le . Piedini s tampati in met al l o pre ssofuso e vernicia ti col or pel tro finitura extra -l uci do anti- t ouch. Design R o dolf o Dor doni per Mino t ti . Biancheria da let t o A/i 13-14 di Societ y.
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T904, panc a con s tru ttura in tubolare di a cciaio vernicia to nero con sedu ta compos ta d a top in mul tistra to di pioppo con impial la ccia tura in fra ssino tin to teak; sono previs ti tre cuscini remo vibili imbo ttiti in poliure tano e spanso e d acron con rive stimen to in Pel le F ra u速 del C ol or System, Pel le F ra u N est, Pel le F ra u S oul o in tessu to sf oderabile . Design G astone R inaldi per Pol trona Fra u .
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testo di Cristina Morozzi
ircular Pol XXL è un progetto del 2013 per Martinelli Luce di Emiliana Martinelli, designer e imprenditrice, premiato nel 2014 con l’IF Product Design Award. Con naturalezza ed entusiasmo Emiliana fa varie parti in commedia: gestisce l’azienda di famiglia, disegna molti dei prodotti, seleziona i designer, progetta gli stand, crea la comunicazione. Diplomata all’Istituto d’arte di Lucca, sezione ceramica, e in disegno industriale all’Isia di Firenze, dove poi si è laureata in architettura, si è fatta le ossa in azienda, accanto al padre, trasformando i suoi schizzi in disegni tecnici. “Stavo al tecnigrafo, ma anche al tornio”, racconta Emiliana. In azienda ha maturato il piacere di creare, divertendosi a immaginare forme nuove. “Essere imprenditrice” confessa “limita la mia libertà.
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Composta da moduli trapezoidali in polietilene, la lampada a sospensione Circular Pol XXL rivela l’originale talento creativo di Emiliana Martinelli, titolare dell’omonima azienda
In al t o a s in istra: S ch izz o d i Emil iana Mar t in el l i per il prog et t o d i Ci rcular Pol , lamp ad a a sosp ens ion e prodo t ta d a Mar tinel li L uce . Acc ant o, sch izz i ch e il l us trano l e poss ibil ità compos it iv e del la v ers ion e Ci rcular Pol XXL . S opra: L ’appar ecch io Ci rcular Pol XXL ins tal la t o pr esso l o sp az io Petra in occ as ion e di Carrara Marble Weeks , 2013.
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Immag ine d i una grande compos iz ione l um inos a a f orma d i esse , real izza ta comb inando var i element i modular i di Ci rcular Pol XXL .
Sono condizionata dai costi di produzione, dal mercato. A volte mi libero e allora vengono fuori delle follie. La lampada a sospensione Circular Pol XXL a luce diffusa, sviluppo del modello Circular Pol del 2009, potrebbe essere considerata una di queste. Composta di moduli curvi e lineari trapezoidali, in polietilene stampato con tecnica rotazionale, si snoda come un serpente, disegnando figure sinuose che si ramificano liberamente. Unendo 8 moduli curvi si forma una composizione circolare di tre metri e mezzo di diametro, pensata per adattarsi alle geometrie degli spazi ampi, per esempio quelli dei
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centri commerciali, e per illuminare i percorsi. I moduli, lunghi 1,20 m, sono collegati da giunti in metallo verniciato, volutamente evidenziati per cadenzare il ritmo della composizione. Sospesa mediante sottili cavi in acciaio, Circular Pol XXL è cablata con sorgenti luminose fluorescenti da 55W, oppure con circuiti led, completi di alimentatori dimmerabili. Nella varietà delle possibilità compositive, “si può disegnare persino un punto interrogativo” precisa Emiliana, facendo emergere la sua attitudine a considerare il progetto una sorta di gioco. “Il
divertimento è la cosa più importante”, non si stanca di ripetere. Le piace correre dietro alle idee: si sente più designer che imprenditrice, un mestiere che si è trovata a fare e che le impone di combattere con la sua natura di creatrice per agire come un vero capitano d’azienda. Per questo, come dice scherzosamente, “sta nella sua Toscana a giocare con le forme” e pare quasi inconsapevole di quel talento che ha avuto in sorte e con il quale ha costruito un nutrito catalogo di modelli originali, come Circular Pol XXL che sembra la trasformazione geometrica di una nuvola.
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Magnetic Fields di Tord Boon tje è una col lezione di super fici e piani per l ’arredo i cui p at tern sono crea ti at tra verso il magnetis mo. I pig menti del la re sina sono polarizza ti d a una super ficie elet tro- magnetic a e d anno vit a a un p ar ticolare e ffet t o ol ogra fico .
Oltre l’apparenza di Valentina Croci
Campi magnetici e tecniche di riciclo che danno vita a originali pattern di superficie. Speciali trattamenti che attribuiscono alla materia grezza inaspettate qualità visive e tattili. Dalla sperimentazione sui processi di produzione nascono prodotti che dietro la loro semplicità celano un’innovazione
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Il proget t o Woven Song s, comm issiona t o d al Zuider zee Museum d i Enkhu izen, ne i Pae si Bassi, allo studio Glithero , real izza te ssut i ut il izzando le schede perf ora te del l ’organo al po st o di quel le per i tela i j acqu ard ( F ot o Petr K re jc i).
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a ricerca del design contemporaneo è spesso caratterizzata da una sperimentazione molto empirica nei processi produttivi tradizionali sia di carattere artigianale che industriale. Mischiando le carte, ibrida i settori di produzione, alla scoperta di alterazioni inaspettate dei materiali o di difetti che diventano unicità. È una sperimentazione volta a far emergere le qualità intrinseche della materia. Lavorare sul processo produttivo, al di là della mera funzione d’uso o della tipologia dell’oggetto, per far emergere le qualità inaspettate della materia è l’approccio che accomuna due progetti distanti: Alteration dell’olandese Kirstie van Noort e Magnetic Fields dell’olandese Tord Boontje, di stanza a Londra. La prima vuole spingerci all’osservazione, a soffermarci sulle qualità tattili e visive del materiale. Vasi di porcellana realizzati a mano con più strati di colore sono sottoposti a una graffiatura meccanica controllata che asporta microstrati di materiale. La lieve differenza nello spessore degli strati, data dal fatto a mano, determina effetti superficiali disomogenei e variopinti che costituiscono la bellezza inaspettata del progetto. Tord Boontje crea invece pattern attraverso il magnetismo. È un esperimento che il designer porta avanti da tre anni, cercando di rendere il processo controllato e scalabile. Si tratta di lastre di resina, o superfici coperte di resina, i cui ioni vengono polarizzati al passaggio dell’elettricità all’interno dei circuiti con cui sono a contatto. Il processo può essere applicato anche a strati sottili o tessuti come, ad esempio, in gommature di finissaggio nel tessile. Non si tratta di trattamenti superficiali, dunque, ma di pattern
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all’interno dello spessore, nella materia stessa. È per questo che i pannelli presentano una tridimensionalità inedita e una profondità misteriosa. Una sorta di rivisitazione di processi produttivi tradizionali è anche il progetto Woven Songs (canzoni intessute), commissionato dallo Zuiderzee Museum, che mette insieme musica e tessitura. Lo studio anglo-olandese Glithero (Tim Simpson e Sarah van Gameren) ha ibridato i mondi lontani del tessitore Wil van den Broek e del costruttore d’organi Leon van Leeuwen attraverso l’osservazione delle due macchine. La meccanica dell’organo e quella dei telai del XIX secolo è infatti molto simile: entrambi sono comandati a mezzo di schede perforate che indicano i punti dove eseguire i buchi per inserire, in un caso, i pioli del telaio, nell’altro, per comandare le canne dell’organo. La scheda perforata di quest’ultimo è stata quindi utilizzata nel telaio jacquard per realizzare tessuti che diventano reliquia di un saper-fare in estinzione. Materialism del duo olandese Mieke Meijer and Roy Letterlé investiga la relazione tra tecniche di lavorazione e materiali. Lo studio ha realizzato una serie di venti lastre piane di ceramica, vetro e metalli delle stesse dimensioni. Laboratori di ceramisti, vetrai e fonderie hanno trattato i diversi materiali con lavorazioni artigianali: i materiali sono stati sottoposti ad alte temperature per portarli allo stato plastico, poi colati in stampi aperti su un solo lato e infine sottoposti a gas o altri trattamenti di finissaggio. Si tratta di lavorazioni comunemente realizzate in ambito industriale ma che la manualità del processo applicato ha reso uniche.
Altera tion di Kirs tie van N oor t è una co llezione di ceramiche ar tigiana li con diversi s tra ti di sma lt o che vengono me ssi in evidenza d a un proce sso di graffia tura de lla superficie F ot o R aw C o lor) .
Lo studio Mieke Me jer rea lizza più di venti panne lli in vetro , ceramic a e met allo fuso . I materia li sono so t t opos ti a comuni lavorazioni in ambit o indus tria le che la manu alit à de l proce sso ar tigiana le rende uniche e con effet ti imprevedibi li. F ot o R aw C o lor.
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Per la col lezione F ossil , Shahar Ka gan utilizza i re sti indus triali del le vernici poliuret aniche bicom ponenti. L e tinte vengono progre ssiv amente vers ate in a ppositi contenit ori, solidi ficate e in fine taglia te per divent are la stre da rive stiment o o ogget ti tridimensionali.
La forma stessa dello stampo svela le caratteristiche della materia, ad esempio le asperità tattili, che difficilmente sarebbero visibili utilizzando un processo produttivo più industriale. Il riciclo è alla base anche del progetto The Fossils dell’israeliano Shahar Kagan. La collezione nasce nei posti più sporchi delle fabbriche di verniciatura a base poliuretanica, solitamente costrette a disfarsi, alla fine del ciclo produttivo giornaliero, dei colori aperti non più utilizzabili. Su richiesta del designer, le aziende hanno versato le rimanenze delle vernici all’interno di uno stampo appositamente costruito dove, in sei mesi, hanno preso forma blocchi di materia di 4,5 kg di peso. Una volta tagliati a fette o in volumi tridimensionali con macchine a taglio laser, questi hanno dato origine a strati che mostrano striature sempre differenti grazie alla molteplicità dei colori, agli effetti imprevedibili dati dall’accumulo, all’umidità e alla vetrificazione. Trasformata in pannelli, la vernice solidificata diventa il rivestimento per mobili in mdf. Sughero, ma non come siamo soliti pensarlo. Il belga Cédric Etienne costruisce mattoni con granuli di sughero riciclato e pressato che vanno a comporre arredi. Il sistema modulare non richiede né viti né colle e ha quindi flessibilità e reversibilità massime. Il materiale sembra una versione più
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C orkinho di Cédri c Etienne è una co llezione di arredi compos ti d a mat t oni-p anne lli in un ma teria le composit o a b ase di sughero di sc ar t o pre ss at o. Gl i elementi na scono da b locchi comp at ti che vengono seziona ti.
nobile dell’mdf e presenta un’inedita leggerezza, capacità acustica e isolante e un’ottima stabilità nel tempo. Corkinho risponde al principio del ‘cradle to cradle’, l’approccio progettuale che adatta alla natura i modelli dell’industria, valorizzando la compatibilità ambientale. Il progetto individua altresì nuove opportunità per l’industria del sughero portoghese che ha subito negli ultimi anni un forte arresto. Il modus operandi della designer olandese Pieke Bergmans è proprio l’alterazione di processi produttivi esistenti per arrivare a esiti estetici inaspettati. È l’imperfezione controllata ciò che pervade i suoi progetti, tra cui Vapor: una serie di lampade in plastica soffiata. Alcune sono luci a sospensione alte sei metri e il materiale è così sottile da sembrare carta velina. Altre sono realizzate con una tecnica simile a quella del vetro soffiato ma, per le caratteristiche e le dimensioni degli estrusi, presentano una forma sempre diversa e incontrollabile. Così, parti più o meno spesse di plastica riflettono in maniera differenziata la luce interna.
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La co llezione Vapor di Pieke Bergmans na sce d a un proce sso di soffia tura de lla plastic a simi le a que llo de l vetro . In un c aso lo spe ssore e siguo de l materia le rende la plastic a leggera come c ar ta velina; ne ll’altro la def ormazione de g li estrusi d à vita a escre scenze mis ti linee e tra slucide .
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Un polimero vi sorprenderà
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Trenta mesi di gestazione e una finalità: mettere a punto un progetto rivoluzionario di poltrona. Mission: comfort ed estrema performatività. Così è venuta alla luce Re-vive la rivoluzionaria poltrona made by Natuzzi
di Patrizia Catalano
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Nel la p agi na a si nistra , l o s taff Natuzzi nel l ’atelier di S anteramo al la voro sul proget t o del la pol tro na R e-V ive . Da notare il comple sso dise g no del mecc anismo che mo vime nta le posizio ni del la sedut a. Qui a fia nco: due versio ni in pel le di R e-V ive , nei due pri ncip ali col ori dedic ati al merc at o it alia no, bia nco ghia ccio e azzurro c ar ta da zucchero . la versio ne in pel le nera co n il poggiapiedi e u n’immagi ne che mos tra le varie posizio ni che R e-V ive a ssume naturalme nte al la pre ssio ne del corpo .
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utti sanno che il mondo dell’imbottito quando parla di ricerca, punta principalmente su ergonomia, nuove tipologie, ricerca dei materiali di rivestimento. Altra cosa quando un settore, storicamente poco innovativo dal punto di vista tecnologico, va a esplorare nuove opportunità concentrandosi su un’innovazione che parte dall’interno del prodotto, verificando la possibilità di proporre al pubblico un imbottito completamente rinnovato nelle sue funzioni d’uso. Da Natuzzi a Santeramo in Colle è andata proprio così. Circa tre anni fa uno studio neozelandese Formway design, esperto principalmente in sedute ergonomiche per ufficio, sapendo che da anni Natuzzi lavora sul tema delle sedute orientabili e reclinabili con movimento incorporato – e che destina oltre il sette per cento del suo fatturato annuo alla ricerca – decide di proporre all’azienda pugliese un progetto di poltrona altamente performativa, con dei sistemi meccanici brevettati in grado di far assumere alla seduta tante diverse posizioni. In buona sostanza Re-vive, questa la creatura venuta alla luce dopo trenta mesi di gestazione tra lo staff Natuzzi e lo studio neozelandese (e presentata con grande orgoglio lo scorso dicembre nello showroom di Milano) grazie ai suoi meccanismi brevettati e rigorosamente top secret ha uno schienale estremamente orientabile, al punto che basta un semplice movimento di chi è seduto, e lo schienale si abbassa visibilmente fino a trasformarsi in una seduta da relax. In breve, la poltrona, grazie a un meccanismo reattivo che gioca sulla compensazione del peso, assume diversi assetti in modo fluido e naturale. Il segreto di questo meccanismo sta nella spina dorsale della
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poltrona, costituita da polimero a iniezione composito, e nella scocca, i cui principali componenti sono realizzati con uno stampaggio a iniezione, con polimeri flessibili. L’idea di assecondare il movimento del corpo è inoltre aiutato dai “braccioli dinamici” dotati di una mobilità reattiva in grado di seguire i movimenti delle braccia, da un poggiatesta scorrevole, quindi sempre posizionabile a un’altezza idonea a chi è seduto, di una base girevole che agevola il movimento per sedersi e per alzarsi, un pouf
inclinabile, che si flette in base alla posizione delle gambe e dei piedi. A questo si aggiunge una grande attenzione nelle finiture, con pelle italiana di altissima qualità, proposta in diversi colori e l’attenzione al tema della ecosostenibilità: Re-vive, dove è possibile, proviene da materiali riciclati, ma è stata progettata per essere altamente riciclabile anche a fine vita. Visibilmente soddisfatto Pasquale Natuzzi, che crede moltissimo in questo progetto rivoluzionario e nella necessità del brand di alzare sempre più il tiro puntando molto sull’investimento in tecnologia e comunicazione: “Attualmente destiniamo alla ricerca e sviluppo il 7% del nostro fatturato ma nei prossimi cinque anni prevediamo di investire cifre ancor più considerevoli a questo scopo. Innovare significa non solo sperimentare nuovi materiali, tecniche o forme, ma anche ripensare il modo stesso di progettare, semplificando i processi produttivi e contenendo i costi di trasporto e distribuzione”.
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Oggetti domestici di un altro pianeta incapsulano il senso tecnico ed estetico del nostro tempo, che vede fondere le vecchie dicotomie tra dentro/fuori, vegetale/artificiale, organico/inorganico di Stefano Caggiano
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ompito del design, e più in generale della cultura del progetto, è provvedere uno spartito oggettuale che tenga insieme le istanze contraddittorie, ma ugualmente esigenti, della tecnica e della poesia, evitando di appiattire l’una sull’altra e facendo anzi in modo che si ‘destabilizzino’ a vicenda, contribuendo con il senso che le forme comunicano alla comprensione della cultura di riferimento.
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Un’interessante proposta di linguaggio viene da questo punto di vista avanzata da una serie di progetti, tra cui le lampade-scultura in legno di John Procario e Anisha disegnata dal trio Lievore Altherr Molina per Foscarini, nei cui corpi è rinvenibile la metafora concreta di una condizione di vita, quella contemporanea, in cui la dislocazione tra dentro e fuori ha perso la sua abituale nettezza per ibridarsi in un flusso
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La lampad a Anisha dise gna ta d allo s tudio spagno lo Liev ore Altherr Mo lina per Foscarini assume la f orma di una cornice f luid a che a v vo lge un vuo t o riempiendo lo di luce . N ella pagina a cc ant o: dinamismo unit o a leggerezza ne lla conf luenza dei tre bra cci senza pe so de lla lampad a Alya di G abrie le R os a per N emo Cassina . I LED f orniscono una f onte di luce indiret ta e de licata.
ininterrotto di configurazioni trans-topologiche. Lampade come queste, e come anche Solium di Karim Rashid per Artemide e Foop del giapponese Kenji Fukushima, sembrano essere ottenute per variazioni locali di una pura ‘esteriorità’ senza interiorità, flussioni scultoree di una pelle fibrosa che coinvolge lo spazio circostante in rapporti di mescolanza del tutto peculiari.
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In questa direzione anche le lampade Kino di Emmanuel Gardin (Studio Krizalid) e Gamete. MGX di Xavier Lust per .MGX Materialise, ma anche una seduta in legno come Pipo disegnata da Alejandro Estrada per Pigatto, sembrano il frutto di un design sorto su un altro pianeta, i complementi d’arredo di un mondo altro rispetto al nostro, sul quale non vige come da noi la distinzione tra dentro e fuori, polpa e pelle, e su cui
nemmeno vegetale e artificiale hanno seguito vie disgiunte, incanalandosi invece in un percorso evolutivo unico che si manifesta oggi nei corpi fungosi di oggetti come, oltre a quelli menzionati, la seduta Enigmum III dell’irlandese Joseph Walsh e la lampada a sospensione Alya disegnata da Gabriele Rosa per Nemo Cassina. Già Goethe, nelle Metamorfosi della piante, sottolineava come la forma di una pianta possa
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Dal l ’al t o in senso orario: L a sedut a scul t orea Enigmum III è realizza ta da Jo seph W al sh manipolando il le gno stra t o dopo s tra t o e int agliando infine la f orma finale . L a sedut a Pipo di Ale j andro Estrad a per il marchio gu atemal te co Piega t t o consis te in una superficie che si apre come una membrana . Il le gno del le 29 sezioni che compongono l ’ogget t o pro viene da f ore ste cer tific ate .
le lamp ade di John Procario sono realizza te cur vando il le gno “come un osso o un muscol o”, fino al punt o limite di tensione , generando una f orma armonic a divers amente ele gante . L a lamp ad a F oop del giappone se Kenjy F u kushima è f orma ta dal la so vrapposizione di due LED pie ga ti. R ealizza ta in a cciaio e a crilico , viene prodo t ta dal marchio Y.S.M Co .
essere ricavata dalle trasformazioni del seme seguendo una linea ‘metamorfica’ diversa da quella tassonomica, accettando il principio generatore della natura che è quello di fare e disfare forme di continuo. Si tratta di una concezione diametralmente opposta a quella seguita dal mondo moderno, e che rimanda in tempi più recenti al film Avatar di James Cameron in cui viene presentato un mondo popolato da
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alieni ominidi, piante luminose, rocce volanti e oggetti che crescono come vegetazione, tutti collegati a una grande rete sinaptica coincidente con l’ecosistema dell’intero pianeta. Progetti come quelli citati, con l’interessante anticipazione anni fa della lampada Inner Light di Yves Behar, evocano un tratto caratteristico del nostro tempo, fatto di connessioni digitali che per quanto ‘interne’ alla dimensione privata ci
mantengono sempre ‘fuori’, proiettati verso l’esterno, facendo di ognuno di noi il nodo sinaptico di una rete planetaria che cresce e si intreccia come un albero, o come un cervello. Grazie alla sensibilità di linguaggi come questi il design tiene insieme non solo le dicotomie tradizionali che caratterizzano la cultura del progetto (tecnica e poesia, funzione e forma), ma anche le nuove dicotomie specifiche della nostra
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Sopra: Kino è una lamp ad a disegna ta d a Emmanuel G ardin del l o studio Krizalid a par tire d a un unico f oglio di betul la . At tu almente in f ase di me ssa in produzione da par te del marchio bel ga Linadura . Acc ant o: “H o immagina t o Solium come il ne ga tiv o del la l uce ”, spiega Karim R ashid . Sinte si tra strut tura e o t tic a, la lamp ad a è prodo t ta da Ar temide in fibra di vetro e acciaio vernicia t o.
epoca, come quella tra dentro/fuori, nodo/rete, organico/inorganico, evitando che le loro tensioni giungano al punto di lacerare il tessuto antropologico rispetto al quale vengono invece messe a progetto, per generare nuovi mondi all’interno del nostro mondo.
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Progetti Sfaccettati, scomposti, veicolo di distorsioni visive e cromatiche. I nuovi specchi trascendono la loro funzione. Oggetti scultorei d’arredo, sono inviti d’autore a riflettere, in senso letterale, sulla percezione di sé e dello spazio
riflessi
di Katrin Cosseta
Luxx Mirrors , di S amue l Accocceberr y, spe cchio in edizione limit ata, co mpos t o da e lementi in a cciaio inossid abi le vernicia t o oro , ra me e antra cite , che reinterpret ano g li spe cchi Akté , Augé e N ymphé ,dise gna ti dal de signer france se per Marcel By.
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Mirror of society , de sign N ucle o (Piergiorgio R obino e Alice C. O ccle ppo). Sp ecchio in al l u minio l ucid at o, pezz o unico per Gal leria 38 . Op er a concet tu ale , è l a tr aduzione tridi mension ale di un is t ogr amma deriv at o da un’ applic ation, Isenti ment , vol ta che ind ag a tr amite sond aggio i gr andi te mi del l a vit a co me amore , f amigli a, religione , politic a.
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Da sinis tra: Vu (Vision U n dergroun d), di G io vanni T omma so G ara t t oni per Tonel li , spe cchio-p arete decora ti va compos t o da una superficie riflet tente ri vestit a in lis tel li (22 per mo dul o) di vetro extra chiaro a diverso spe ssore che scompongono l ’immagine . PRISM mirror, di T okujin Yoshioka per gla s i talia , mobile a col onna interamente ri vestit o in cris tal l o spe cchiante extralight mm.12 argent at o, bisel la t o e incol la t o a 45°, con cornice in a gget t o. G emma , dise gna t o e pro dot t o da G al l otti&Radice , S pe cchio extralight o ‘grigio Italia ’ con bisel l o cm 2,5, a tre mo duli componibili.
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Mira ge , di Tokujin Yoshioka per Lema , spe cchio f or mato d a piĂš superfici rifle
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tten ti che possono e ssere mon tate in diverse angolazioni, grazie a un p ar ticolare sis tema di a ggancio a p are te. O gni modul o è rifini to con una mola tura .
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TAB.U Mirror Micro , di Br uno Ra in aldi per Opini on Cia t ti , spe cchier a con cornice in al l uminio cro mato stropicci ato a mano , fini tur a cro mo.
TAB.U Mirror Micro , di Br uno Ra in aldi per Opini on Cia t ti , spe cchier a con cornice in al l uminio cro mato stropicci ato a mano , fini tur a cro mo.
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Miroir FroissĂŠ , di Mathia s Kiss , spe cchiera s facet tata tridi mensionale co mpos ta da sc aglie di spe cchi a sse mbla te a mano , su b ase in le gno . Edizione li mit ata di 8 e se mplari di Galerie Armel Soyer .
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Da sinis tra: sushi mirror pen dant 3, di fernan do e humber t o c ampana per carpenters w ork shop gal ler y, spe cchio con cornice in gomma , te ssut o, ev a, su s trut tura in al l uminio e a cciaio inossiabile . edizione limit ata di 8 esemplari. Brick , di Paola N avone per G er vasoni , col lezione di spe cchi s agoma ti con decoro vernicia t o bianco . oponce , di Stu dio C & PY per ligne roset , S pe cchio a p arete componibile , f orma t o da 3 mo duli i dentici rive stiti di cuoio , col ore ful vo o bl u chiaro , cucitura tipo sel leria . L uc y, di Doriana e Massimiliano F uks as per Fiam, spe cchio da parete in vetro fuso da 8 mm retro argent at o, spe cchio piano da 5 mm. Pannel l o di fiss aggio pos teriore con possibilit Ă di fiss aggio in diverse posizioni.
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EnGLIsH TexT INtopics
INteriors&architecture
editorial pag. 1
“Buildings are not just objects, independent and isolated fragments. They are inseparably linked to the city. They are not just forms; they are places. Cities and buildings are two realities that can and must move in the same direction. Today residence has been left outside the construction of the city as substance. There are interesting experiments, from Hong Kong to Milan... what remains is a dream of widespread quality, but when we are not able to modernize our cities, we reduce them to empty shells. Yet architecture also flourishes in the most difficult, least favorable moments. It lives, in spite of it all.”
Inside and out. A concept the design world has embraced for several years now, thanks to highly evolved technologies and materials that permit the creation of products that can be used both inside and outside the home. We have taken this concept as the starting point for an issue that more generally investigates the theme in relation to the many qualities of design and architecture: inside and outside space, material, form, surface, the substance of objects and buildings. Dualist, divergent, contradictory thinking, offering different vantage points on the complexity of contemporary design. The analysis is introduced by the critical reflections of the Turin-based studio UdA, engaged for some time now in ongoing experimental research on the residence. Then come other constructed works that from the viewpoint of in&out approach the dimensions of the home and hospitality (in Italy and abroad), offering new proposals and paying close attention to the dimension of recovery of existing things. Shifting to the scale of design, the game of oppositions gets clearer: ‘inside’ involves research and innovation of processes, giving materials unexpected visual and tactile qualities; ‘inside’ is also a hidden mechanism – the result of 36 months of study – to shift the positions of an armchair; ‘outside’ is a matter of modular components, in a suspension lamp that adapts to a wide range of spatial needs, just as ‘out’ can refer to the visual distortions of new mirrors that transcend their function to become sculptural objects. Finally, furnishings that interpret the most erudite languages of contemporary living can be both ‘in and out,’ since they adapt to an outdoor setting that would have been unthinkable just a few years ago. Gilda Bojardi Strasbourg, Les Haras, a project by Agence Jouin Manku, in a photo by Helene Hilaire.
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Rafael Moneo (Pritzker Prize for Architecture, 1996), Lectio Magistralis, Cersaie, Bologna, 25/9/2013
Between inside and outside pag. 2 project and text UDA – ARCHITETTI ASSOCIATI ed. Antonella Boisi
Starting with the theme Interni has chosen for this issue, the inside and outside of design, some reflections on the theme of residence, narrated in terms of the specific research of the designers of the studio UdA. The house can return to the center of the construction of the city, restoring identity to places of habitation. Because spaces of all kinds can be the expression of the way people live in the world Let’s begin with the critical reflections of Rafael Moneo, a master of contemporary architecture, who very aptly sums up, alas, the present framework of reference. What is the viewpoint of the studio UdA? “The role of design in the construction of the city and of urban spaces in general should, in our view, unfold by starting with the concept of ‘habitation’, because spaces of all kinds should be the expression of the way people live in the world. To paraphrase the philosopher Martin Heidegger: ‘man dwells poetically.’ This points to the intrinsically creative character, ‘other’ than the natural state, with which human beings establish a relationship with the outside world. We might say that it would suffice to keep in mind the wider meaning of the term ‘habitation’ to consider the separation of the operative spheres of architectural design and urban design as an absolutely arbitrary, limiting conceit. Habitation is an all-inclusive dimension, and
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In tern i marzo 2014 it has to do with all the scales of architectural design. It means giving a sense and a meaning to spaces, making them into places. The categories of interpretation, the tools of artifice available to the designer are similar whether we are approaching a domestic interior or space on an urban scale, and in particular in that zone of transition between inside and outside, between the facade of the building and the surrounding public space. Appropriation of a space is a cultural act done by man, and it happens on multiple physical and symbolic levels.” How can the space of habitation become a place, taking on identity? “In general, we might say that this happens when the project is approached as a true project of architecture. Namely when the space is organized as a constructed landscape, composed of volumes and decorative elements that are not applied to surfaces without distinction, but correspond to a precise functional and symbolic program. The intermediate spaces like loggias, windows, the full and empty parts of buildings, are the projection of a configuration of the interior spaces, which take on an urban value. The opposite situation too, however, is an important factor in the definition of interior living spaces, i.e. what from the outside environment will enter the composition of the domestic landscape (also physically, through the openings). The windows, the openings, the structures are not mere barriers between an inside and an outside, but tools of acquisition of space. Spaces possessed, spaces perceived, spaces inhabited, flexed outward and absorbed inward. The furnished window of Gio Ponti, far from being a mere artifice for domestic interiors, was the metaphor of a vision of the city that met with a correspondence in its inhabitants. We need to start again from this awareness, to find a renewed sense of belonging to urban places.” In concrete terms, what does this mean in your design experience in the field? “The examples of our design activity are many, ranging from the theme of the traditional Arabian patio house transformed into a sequence of three-dimensional full and empty parts, raised off the ground and placed in relation with the surrounding urban space, to the ‘augmented space’ offered by the loggia or temporary structures, which emerging from the elevations of the building take on their own autonomy, almost as independent works of architecture (as in the projects of Via Valdieri, IVR and Hong Kong). It is in the residential sector, also due to the multiplicity of functions and the symbolic values evoked, that this mutual influence between the outside and inside of buildings, between the building and the city, can take on greater force. The building modifies to relate to what surrounds it (as in the Twin House and Palazzo Gioberti projects), and at the same time the external environment becomes the setting for the representation of life staged by the people and the spaces they occupy. In this way, the setting of a domestic interior is a metaphor of urban structures and relationships that can be perceived just beyond the threshold of the windows and the door of a house (as in the projects for the apartment in Turin, Paris, Juan-les-Pins).” Specifically, the Juan-les-Pins project approached the theme of the house as a kit to be assembled. Always an appealing outlook, which still has great charm and potential today. Could this become a model of reference to resolve the critical issues of very small residential
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spaces in the big cities of Italy? “Two main and absolutely indispensable aspects combine in the design of the vacation home at Juan-les-Pins: the functional quality of the design structures to permit a range of activities for the inhabitants of the house, which would otherwise be impossible due to the small overall area, and the symbolic and evocative value of the elements introduced in the internal space, connected to the suspended, provisional and also a bit precarious dimension of the vacation. But the reference to self-constructed structures, organized with salvaged materials found in the surroundings, often seen on beaches or in places of temporary sojourns for leisure time, is also somehow a stimulus to think of small spaces as a source of great potential. We have attempted through the project to modify the use of things, making them more accessible. No longer an image home, but a place to live, inside one’s own nucleus, being aware of participating in a process where economy, respect and sharing in a transformation in progress become the basic elements of a project open to the community. We believe these are also the essential qualities for the future of our cities.” In many of your works the materials play a major role in the connotation of the place. What can materials and their use in the project tell us? “It would be banal to say that they express the ‘genius loci’ of a project. Actually, the materials, combined with the forms, are the two poles inside which any project is developed, for us, be it for interiors or for architecture, and where the decorative aspect, instead of being mere formal artifice, is strongly connected with the physical and symbolic qualities of the materials. We do not think there is just one ‘orthodox’ way to apply and choose materials for a project. Instead, we believe that the motivations and reasons behind those choices have to reveal themselves in the immediate interpretation of the space and the architectures that convey them. Obviously the conceptual and design elaboration that leads us to the choice of a certain material is more detailed and wider-ranging than what can be perceived from mere observation of the final result, but the fact remains that in our view designed spaces have to offer themselves to their users in the immediacy of their function, with all their possible complexity and/or ambiguity of reference. We could cite the example of the Twin House, for the use of an ‘anomalous’ facing material like synthetic grass; or that of Paris, for the use of wood paneling for the interior micro-architectures, printed and colored like furnishing fabrics. In both cases, the initial ‘metaphorical’ level of perception of materials that seem to play the role of others is joined by a more concealed meaning regarding the real nature and the role we assign to the materiality of things, and in particular of spaces constructed for habitation. It is this complex relationship with reality that we are interested in conveying through our projects, and in particular our residential projects.” (Andrea Marcante, Valter Camagna, Massimiliano Camoletto, Adelaide Testa) - pag. 4 Villa in Kuwait City (2008-2013). Photo UdA. Villa in Hong Kong (2013-under construction). Residential building in Turin, Via Valdieri (2013-under construction). Apartment at Juan-les-Pins (2013). Photo Carola Ripamonti. Portrait of the designers of UdA: from left, M. Camoletto, A. Marcante, A. Testa, V. Camagna.
Around the stairs pag. 6 architectural design and supervision WESTWAY ARCHITECTS Luca Aureggi, Maurizio Condoluci, Stefano Pavia photos Andrés Otero/LUZphoto - text Antonella Boisi
In MILAN, a VILLA from the 1920s with a garden in the Città Studi zone is transformed into a vertical LOFT around a system of STAIRS inspired by the impossible constructions of ESCHER. A whole that reflects a particular sensibility regarding construction After the entrance you are ‘catapulted’ like Alice in Wonderland into the adventure of a long perspective from the dining-kitchen area with its view of the garden to a vista that ranges beyond the two facades with windows, drawing you towards a vertical ascent achieved by means of a system of staircases. You set out to discover a residential microcosm that is complex on a conceptual level and in terms of construction as well, triggering sensations of disorientation, abstraction and curiosity. We are in what was a typical house for railway men, built economically in the period from 1920 to 1924, in the context of a sort of village in Milan’s Città Studi zone. A remote past, of the context and the building, given the fact that the original structure of the project by the well-known Roman studio Westway Architects, guided since 2005 by the architects Luca Aureggi and Maurizio Condoluci, also with an office in Milan since 2009, directed by the architect Stefano Pavia, remains only in the ma-
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sonry enclosure with its openings. The rest has been constructed from scratch. Everything else has been done from scratch. Two years of work and a courageous single client have radically transformed the place into a sophisticated urban villa with garden, featuring an advanced home automation system and CENED class B certification. The total volume has been maintained, with the addition of 60 m2 of space thanks to excavation and new foundations for the basement, set aside for a fitness area, and the new positioning of the slabs and staircases, not to mention the renovation of the attic (including reconstruction of the roof). “The vertical arrangement of the house offered the possibility of making one of our architectural dreams come true: a system of stairs like the impossible constructions of Escher,” says Luca Aureggi. “We gutted the interior and defined a new central nucleus that extends over five levels, each served by two independent staircases compressed along the longitu-
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dinal load-bearing walls.” In this way, Aureggi explains, “a vertical loft has been made, with obligatory paths, where getting lost and finding your way again becomes a game, and the sense of playful disorientation enhances the perception of the space, which is actually less than 200 m2 over all.” The staircases, in fact, with single ramps and limited width (80 cm), offer connection from the basement to the fourth floor (in order: fitness zone, dining room with open kitchen facing the garden, living area open to the terrace, bedroom, attic studio) in an alternating, non-continuous way. A zigzag ascent or descent that implies crossing the large landing of each level, designed as an open space that is unified and made more fluid by the wooden facings in oak, and the slabs of natural Burgundy stone. A dynamic conversation that provides richer, more stimulating visuals. The interesting thing about the project is the way every detail has been integrated with the overall design, in keeping with an Anglo-Saxon approach that proposes solutions in which form and structure become a single whole. “The clear separation between the central nucleus and the building enclosure required continuous adjustments, during the work, of the section and plan, for the sizing and insertion of every part. All the way to the painstaking precision required for the structure of the staircases, which dictated the arrangement of all the levels. We developed an expansion joint between the roof and the perimeter masonry, an important structural feature, to absorb the movement of the roof, freeing up the movement of the beams from the walls,” the designers ex-
marzo 2014 Inter ni plain. The rooms have no doors, no closets. Just a few vintage pieces, and custom furnishings in painted wood, in gray and light brown, that seem to float in a dilated, rarified dimension. Without renouncing their role as co-protagonists of the staging. - pag. 7 The diagram shows the project concept: to expand the internal space vertically, as much as possible, with the new construction of an independent load-bearing nucleus, and of two added levels (basement and attic, thanks to restoration of the eaves), and a double system of perimeter staircases, with single ramps, connecting the fi e levels (in the photo). - pag. 8 In the images: the entrance facade and the back facade, which on ground level communicates with the private garden faced by the open kitchen by Minotticucine. Iron has been used for the window frames, with mica-effect paint, or a natural finish or the balustrades. Flooring in slabs of natural Burgundy stone by I.D. Company. - pag. 9 On the fi st floor, the living area is connected to the terrace. The oak floors blend with the custom furnishings in wood, painted in tones of gray and light brown. Pouf Housse Ottoman divan by Paola Navone for Baxter. The dining area on the ground floor is open to the kitchen. Custom table produced by Mabeo, Flow chairs by MDF Italia, PH50 hanging lamps by Louis Poulsen. - pag. 10 The grafting of a glass portion into the floor of the fi st level permits uninterrupted visual communication with the lower level. The zigzag route of the staircases implies crossing the landings on each floor.- pag. 11 In the drawing: conceptual diagram of the project for the double system of perimeter staircases with single ramps. The landing of a staircase on the upper level and a glimpse of a bathroom with Boffi fixt es and faucets. Below, the studio area organized in the attic, renovated by reconstructing the roof.
“Sitting and gazing” pag. 12 project WESPI DE MEURON ROMEO ARCHITETTI photos Hannes Henz - text Matteo Vercelloni
Resting on the hills of Treia, in the MARCHES, near RECANATI, part of the landscape immortalized in verse by Giacomo LEOPARDI, a RURAL CONSTRUCTION dating back to the 18th century has been TRANSFORMED, recovering traces of history. With the conviction of a CONTEMPORARY SIGN The idyllic landscape Giacomo Leopardi describes in “L’infinito” – which “sitting and gazing” the poet grasps in its “endless spaces […] inhuman silences, and the deepest quiet” – is still conserved, in part, in this area of Italy. This project of restoration and reconstruction addresses that landscape, through subtle, balanced solutions that reassemble the overall figure of a small rural settlement composed of a main house flanked by two smaller volumes for stables and an oven, and by a canopy open on all sides. The state of decay of the constructions, caused by the passing of time, had been hastened by the partial destruction of the main house, a compact volume with a square plan on three levels, paced by regular openings. Half of the house was severely damaged by fire in 1995. This situation dictated the lines of the project, marked by a dialectic relationship between the old and the new. The program called for a vacation home with swimming pool and guesthouse. In the farmhouse the existing walls, including the stone wall dividing the interior space in two, functioning as a central spine, have been mostly restored and conserved, while the roof has been rebuilt using traditional techniques: wooden main and secondary beams, terracotta, external roof tiles. The reconstructed architectural enclosure, featuring exposed brick and the use of traditional materials, is joined by new interventions, based on a contemporary sign. Besides the necessary structural bracing, integrated and concealed in the existing structure, in the interiors, where the three-story void caused by the fire has been conserved, the project proceeds in an abstract way, using continuous white to enhance the new floors and new dividers. This choice, together with the pale continuous flooring, creates a successful rhythm of detachment from the historical skin of the construction, giving the new surfaces the function of luminous screens that capture and amplify the light arriving from outside. In terms of layout, in the full-height space extending from the floor to the beams an island kitchen has been inserted, in stainless steel, with a nearby dining area overlooked by an open space on the third level. The dining zone is flanked by the staircase and the open mezzanine of the studio, which above the cooking island faces the large oak table. In the symmetrical part of the house, conserved in keeping with the original three-level layout, the ground level contains a large living area that combines two spaces, conserving part of the original divider wall. The luminous living room faces towards the outdoor canopy and the new swimming pool, whose linear geometric design is a reminder of an old village fountain. In this part of the house the two upper levels contain the bedroom zone, composed of four rooms stacked two by two, with independent baths. For the guesthouse, created in the original stables, demolition and reconstruction came into play, using the old salvaged bricks to reassemble the small construction where it was and in the same size, beside a large existing tree. The oven to the north, beside the entrance, has
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been transformed into a technical space for the heating system. An electric gate has been installed in the new walls towards the street. In the southern part, towards the cultivated hills, over a vast external pavement in terracotta beside the new swimming pool, the existing canopy has been reconstructed as an outdoor room, resting on strong squared brick pillars, with a cooking area and a fixed wooden table to connect the two masonry volumes that extend the terracotta of the pavement into the furnishings. Another link to the history of the place is supplied by the planting of a row of pine trees to the west of the house, and a small olive grove to the east. - pag. 12 Above, overall planimetric of the complex, which conserves the original footprint and size of the old farmhouse. View of the new swimming pool, a reminder of village fountains, and the south facade of the main house. - pag. 13 The transformationreconstruction of the existing canopy, conceived as an outdoor room open to the landscape. Custom fi ed wooden table in solid oak, between two blocks in masonry and terracotta. Toy
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Interni marzo 2014 Chairs by Philippe Starck for Driade. - pag. 14 The stainless steel kitchen created below the mezzanine of the studio and the staircase. Below and on the facing page, the dining area facing the kitchen is located in the full-height space created by the fi e and now conserved in the restoration of the northern wing of the house. Custom table in solid oak produced by 2G Furniture. White Panton Chairs by Verner Panton for Vitra. - pag. 16 Above, view of the living
Virtuous grafts pag. 18 project BARTOLETTI CICOGNANI ARCHITETTURA E DESIGN Marco Bartoletti and Luigi Cicognani photos Pietro Savorelli - text Antonella Boisi
IN FAENZA, the restructuring and expansion of a farmhouse in the greenery becomes a chance to interpret the spirit of the place in a contemporary way, while respecting historical and typological heritage. In its essence, the work restores the character of generous, sophisticated residential quality. With many zones for socializing and wellness Just read between the lines. Tactfully remove certain excesses added over time, and the place can become a good vademecum to stimulate a new, harmonious indooroutdoor osmosis. This is just what happened for Marco Bartoletti and Luigi Cicognani, a duo with ten years of professional partnership in the fields of architecture and product design. The restructuring and expansion of this farmhouse in the countryside near Faenza (where the studio is based) meant, first of all, reinterpreting the photographic image, whose spartan suggestions indicated the path: intervention through subtraction, a surgical operation adding functional quality and technological updating to achieve contemporary comfort, but in a discreet way, respecting the existing historical and typological heritage. “The building,” the designers recall, “was already seen on maps prior to 1938, and all the characteristic features had to be kept intact. The simple cornices, the small openings for the windows, especially on the north side, the narrow frames with lots of glass to allow the greatest amount of light to enter, brick columns with humble bases and tops, a few fireplaces, no decoration, lime
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INservice TRAnslations / 93 area in the south wing of the house, conserving the three levels of the original layout. Below, sections of the house, from left to right: the bedroom and living zones; the kitchen and studio mezzanine; the dining room and kitchen, showing the central full-height space. On the facing page, view of the living area with the new central wall and fi eplace. Below, view of a bedroom on the second level, with its own bathroom.
stucco, pale colors.” So the first step was to integrate contemporary construction systems and a sophisticated home automation and water recovery system, while sticking as closely as possible to the original identity, in a project of demolition and accurate reconstruction. “The ventilated roof, for example, coincides with a traditional, intentionally light figure, thanks to an inversion: we made the ventilation beams emerge as if they were structural members, which instead remain lower inside, while the air filters through openings made between one beam and the next. The insulation panels inside the walls have also been made with wood fiber.” A diametrically opposite matrix has guided, instead, the addition, in a new volume, which openly states its contemporary character with pure geometry and transparency, seen in all the facing elements and the conception of the interior spaces. With virtuous graftings, Bartoletti and Cicognani have managed to make the two souls of the composition coexist and establish a dialogue, in a successful sum of two complete, autonomous volumes – the larger one demolished and reconstructed, and the completely new volume occupying the space of the former barn, joined by a third, smaller structure originally used as a toolshed but now a convivial space for kids, with its own kitchen and a large dining table – connected by means of the context of the outdoor landscape. An area of over one hectare, a garden with local plants, reorganized with the help of an expert to make it seem as natural as possible. The open green space also contains a large swimming pool and a sunscreen structure that protects, but also has an important role to play in terms of perception. It attenuates the visual weight of the architectural image of reference, on the level of overall solutions: the tunnel connecting the two main volumes that are the old and new portions of the complex, the private living zone and the more collective area of encounter and wellness (the latter includes a small hammam with sauna and hydrotherapy tub, and a gym connected to the guest zone on the upper level). Intensively designed, precisely to counter the simplicity of the existing elements, and rich in partial views, gradual discoveries, glimpses and perspectives that enter the spatial composition, this area of glazed connection emphasizes the open, fluid sense of communication of the spaces. The fulcrum of the layout is the large portion set aside for the open two-story living area, which is a more dynamic scenario also in relation to the outside, gathering different narrative and functional episodes. An ‘integrated’ whole in which natural light embraces the space of daytime living, and the fixed furnishings with their minimal lines tend to dissolve in the structure, like constructive details, while the insertion of a few well-designed furnishings is enhanced by the use of emptiness as a design tool. The particularities of the site suggested a precise sensibility, also in the choice of materials and colors. The selections (stone, wood, lime stucco, stoneware sheets or sheets of colored cement) have been treated with traditional techniques, made sophisticated by oxidizing and patinas that bring out natural qualities while giving a charming, lived-in look to the overall setting. The designers continue: “In the large sunscreen structure, for example, we have used rust and untreated gray wood for the profiles, with dark bluish iron for the hardware, while the interior finishes feature lots of antique-finish or burnished brass, to stand out from the crafted stucco walls.” Other fertile hybrids between the past and present of a place. - pag. 18 Views of the garden and the outdoor spaces organized around the swimming pool, protected by the custom sunscreen structure in oxidized, treated steel with natural teak borders. The pavement and pool border are in brushed sunburst Piasentina stone. Shower column by Bossini, sun cots, chair and divan (Natal Alu series) by Tribu, umbrella by Coro. In the drawing: the siteplan. - pag. 20 Exterior views of the buildings of the architectural complex. The custom kitchen in oiled Mutenya walnut, Corian®DuPont and brushed sunburst porphyry. Lio stools by Zanotta and lighting (For m collection) by Viabizzuno. In the living room, the fi eplace zone in refractory glazed tile incorporates the staircase behind it in a synthetic architectural fi ure. - pag. 21 View of the living area, with the custom corner divan, on the ground floor of the new volume, built where the barn used to stand. The Grise stone flooring by Antolini Pietre alternates with brushed oak. Built-in oxidized aluminium lamp (Alvaline collection) by Viabizzuno. - pag. 22 Twilight view of the exterior of the new volume, based on light and transparency, thanks to full-height glazings. View of a relaxation zone with garden view on the fi st floor. Armchair and pouf from the Harry Bertoia collection by Knoll International. - pag. 23 View of the tunnel connecting the two main buildings, representing the old and new parts of the complex. Made with a structural system and curtain-wall casements, it offers views and perspectives on the landscape that enter the spatial composition. Built-in spotlights in gold-tone oxidized aluminium from the Cono Infini o collection by Viabizzuno. Teak flooring. - pag. 24 The staircase, with metal structure and brushed oak steps on a podium of Grise stone by Antolini Pietre, inside the old house, which has been carefully reconstructed. In the background, the living area with the Lifesteel sofa by Flexform. Custom suspended lighting. - pag. 25 The loft studio. The custom black MDF bookcase with teak borders is joined by the La Rotonda table and Cab chairs by Mario Bellini for Cassina. One of the bathrooms. Tub by Kaldewei, faucets by Vola. In the drawings: cross-section and longitudinal section.
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Modern AmarcorD pag. 26 project LISSONI ASSOCIATI architecture PIERO LISSONI project supervision Davide Cerini and Tania Zaneboni photos Cesare Chimenti - text Laura Ragazzola
The contemporary design of glass and steel volumes blends well with the tradition of the ‘grand hotels’ that have made history on the Romagna Riviera. This, in short, is the THOUGHT-DESIGN OF PIERO LISSONI, FOR THE restructuring of the oldest (and most famous) hotel in MILANO MARITTIMA It is far from easy to separate the history of this well-known Romagna seaside resort from that of the Mare Pineta Hotel. They were both born in the same period: 1912 is the official date of the foundation of Milano Marittima, while the hotel was first opened in 1927. A century of shared existence, aimed at tourism done in style, with an accent on elegance and quality. This same accent continues in the project for the renovation of this place that is a symbol of the Romagna Riviera, an initiative promoted by the owners, the Salaroli family, to transform the Mare Pineta into an exclusive five-star hotel. The project, which started in 2010, has been assigned to Piero Lissoni, an architect with extensive international experience in the hospitality sector. Absolute respect for the place (the hotel stands in an age-old pine grove) and for the formal quality of the building (dating back to the 1920s) have not prevented the
marzo 2014 In tern i Milanese architect from making some contemporary choices regarding volumes and materials. The updating of the spaces began with the redesign of the seaside zone (a new arrangement for the beach, with over 400 cots and a pergola for shade at the bar and restaurant), and then proceeded to the expanded reception area, with a dramatic pavilion in glass and steel, functioning as a connection to the historical building. The true novelty, with has a decisive impact on the contemporary character of the design, is the addition of an architecture of free volumes where the hotel terrace once stood. The new building is composed of two different parts, stacked like building blocks: on a base with an oblong form, completely glazed at ground level (for the restaurant), a second volume is placed orthogonally, extending more than seven meters over the garden: a sort of spyglass aimed at the sea. This volume contains new rooms and suites, which expand laterally into light loggias thanks to two bronze-color wings anchored to the completely white main volume. A green roof creates a garden in a minimal setting (square patches of grass, with teak frames, alternate with river stones), visible from the upper rooms of the original structure. The glazed facade of the restaurant faces the park, reflecting the position of the maritime pine trees that punctuate the lawn. In the warm season the space opens completely to the garden. Inside, Lissoni Associati has designed spaces and furnishings for a sober tone, with functional choices that guarantee maximum comfort. Everything is focused on relaxation, including the reassuring chromatic palette, based on neutral tones of white and beige (inside and outside), lit up here and there by bronze metal finishings. The choice of materials is also well-balanced, without avoiding striking contrasts, like the maxi peninsula show-kitchen in Carrara marble of the restaurant, standing out against the dark wood of the floors. Light plays a fundamental role to bring out the essential image of the architecture, enhancing the newly constructed parts. The project is in progress, and also calls for the redesign, during the course of the year, of the Villa Regina wing (a volume added in the 1960s) with sliding screens in painted metal to create a facade in movement. - pag. 26 The new building added to the historic wing of the Grand Hotel (in the background) is composed of a dual volume: the restaurant at ground level, topped by a double level with new rooms. - Box at pag. 28 A project in progress The rendering seen here shows the restyling of the facade of the Villa Giulia wing, to be completed in 2014. The building, facing the street, was made in the 1960s to expand the facilities of the Grand Hotel, with about 100 more rooms. The project by Lissoni Associati calls for a sort of second skin done with aluminium sunscreens that slide horizontally along the railings of the balconies. To adapt to the needs of guests, the facade continuously changes, giving the architecture a dynamic character. - pag. 29 The new seaside arrangement calls for light volumes clad in pale wooden planks, and a pergola to bring shade to the outdoor restaurant. Teak director’s chairs by Il giardino di legno and umbrella by Parà in iroko wood and acrylic fabric. - pag. 31 Below and to the right, two views of one of the suites in the new building. Bottom, the living area that opens onto the garden, with custom table and bench, armchair by Pierantonio Bonacina, lamp by Luceplan and carpet by Ruckstuhl. To the side, the nighttime area with the same furnishings. An opalescent wall leads to the restaurant (facing page). The only furnishings: the console by Flamant with a lamp by Santa & Cole. The area of the tables (small photo) is screened by custom bookcases in bronze-color painted metal.
The stables of Strasbourg pag. 32 project AGENCE JOUIN MANKU (PATRICK JOUIN AND SANJIT MANKU) photos Helene Hilaire - text Alessandro Rocca
The transformation and RENOVATION OF AN ARCHITECTURAL STRUCTURE of great HISTORICAL VALUE that now contains a new four-star hotel. Design that is sensitive to and respectful of the genius loci, with careful selection of materials and details, and some rather striking imagery To restore and revitalize an abandoned monumental complex. The client is a charitable association, an institute for cancer research (IRCAD), planning a project of architectural renewal inside a philanthropic strategy. The project approaches the transformation of the 18th-century complex that contained the stables of Strasbourg, a space large enough to house and care for 32 horses. In a neoclassical style, the building hosted the municipal riding academy starting in 1752, and then, from 1756, the royal stables. Closed down by the French Revolution, the royal stables were later reorganized and horses continued to be kept in the facility until 2005. A few years, then, to come up with a project that would lead to the rebirth of the place, maintaining its original architectural characteristics, but assigning it a completely different function. In 2010 IRCAD launched the restoration. The facil-
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In tern i marzo 2014 ity is next to the university hospital where IRCAD, a point of excellence for French scientific research, welcomes over 4000 surgeons each year to learn about technologies for non-invasive operations, based on the most advanced 3D image reproduction systems. Due to the position and the architectural quality, the stables seemed like the perfect space to welcome tourists and the surgeons arriving for professional training. The program outlined by IRCAD called for a hotel, a restaurant and a biocluster, an incubator for new companies focusing on biotechnologies, contributing to the self-financing of the institute. And the idea of excellence, which is so important in the scientific profile of IRCAD, has also been pursued in the restoration and plans for management of the facility. This focus extends to the summoning of Marc Haeberlin, a chef who has been awarded three Michelin stars, and the hotellier Jean-Pascal Scharf, one of the most outstanding professionals in this field in Strasbourg, appointed to manage the four-star facility. Maximum quality is also the criterion behind the choice of the designers. Denu and Paradon, a solid local studio outfitted for all types of design, and the Parisian agency Jouin Manku, were called in to transform the stables into a modern facility, developing the right relationships with the walls of the historic stables, without imitation but also without clashes. The theme, then, is the respectful transformation of an architectural structure of great historical value, but also the recovery, or reinvention, of a place that existed for over two and a half centuries with the colors and materials of horseback riding at its core: saddles, trappings, the simple, sturdy articles of stables. The team formed by Patrick Jouin, the French designer, with the architect Sanjit Manku, born in Kenya and trained in America, approached the challenge with the traits that are characteristic of their way of operating: great attention to materials and details, drawn from design culture, and a light, pragmatic architectural approach that nimbly focuses on achieving some striking images, though always expressing great sensitivity to the purpose and spirit of the place. In this case the task was to connect the rugged simplicity of the noble architecture of the stables with the refinement of haute cuisine and the comfort of a four-star hotel. The symbol of this union might just be the yurt, the tent of skins used by the nomadic horsemen of Mongolia, an inspiration to create, in the restaurant on the upper level, a more private space, a sort of table of honor that is recognizable, but also open to the large linear dining room. The other theme is clearly the rustic but also robust and monumental image of a building constructed halfway through the
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1700s, with powerful wooden members and large spaces, gauged more for the size of horses than for that of human beings. Here again, Jouin and Manku have decided to work on continuity, trying to beam the 18th-century spaces into 2014 without too many hang-ups. In the restaurant, the imposing wooden roof structures are joined by what is probably the strongest and most emblematic image of the whole project, a grand monumental staircase that connects the two levels of the restaurant, conceived as a natural sculptural installation that mixes the ruggedness of materials like the oak of the steps with the dynamic, modern movement of the enveloping sides in beech, which seem to almost urge customers to climb the 32 steps leading to the dining room, almost seven meters above the brasserie level. The other elements seek a certain sobriety, allowing the staircase to keep the role of the primadonna. A quiet, welcoming tone prevails, with warm colors and materials, in which the old structures and the furnishings designed by Jouin, in the restaurant and in the hotel rooms, create a sense of true harmony. - pag. 32 View of the national stables of Strasbourg, built in the mid-1700s and still used as stables until 2005. The logo created by the graphic designer Philippe David; the equestrian motif returns in the fresco painted in the lobby of Hotel Les Haras. On the facing page: the internal staircase of the Brasserie of Marc Haeberlin, a space of 800 square meters with a height of over thirteen meters, in the former royal stables. - pag. 34 The ground floor dining room of the Brasserie, with the elliptical island at the center in matte steel of the lounge bar and, in the back, the open kitchen; seats and tables in wood and cowhide evoke the materials and colors of traditional saddlery. On the facing page: the staircase with 32 oak steps, wrapped in beech, to accompany visitors to the upper level. On the upper level, diners sit on Charme chairs in fabric and beech designed by Patrick Jouin for the industrial group Busnelli, in charge of the contract furnishings of the entire hotel. The hotel lobby with the custom desk and equestrian fresco; the walls, floor and ceiling are entirely clad in wood. - pag. 36 View of the restaurant on the upper level; behind the solid wooden structures from the 18th century, the detail of the semi-open ‘yurt’ in cowhide, based on traditional Mongolian dwellings. - pag. 38 The 55 hotel rooms have different confi urations, depending on their position inside the former stable complex. The desk is a folded metal sheet with a wooden top that matches the bathroom door. The beds have been designed using saddlery cowhide, with a large curved headboard that can be raised for access to the light switches and network connections. On the facing page, the stools in cowhide and wood evoke the silhouette of a horse, but also the form of a saddle stand; the floors recycle old oak boards, while the bedside carpets are in wood.
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TerrITories of DIsPLaY pag. 40 by Germano Celant
To get away from the SACRAL VALUE OF THE ARTIFACT and make it enter a historical SPECIFICITY, we can attempt to immerse it in an informative situation that anchors it to its time, conveying appearance without dissolving it in a limbo, while granting it a historical position 1936 was the year, under the curation of Alfred Barr at the Museum of Modern Art in New York, of the exhibition “Cubism and Abstract Art: Painting, Sculpture, Constructions, Photography, Architecture, Industrial Art, Theater, Films, Posters, Typography,” which set out to present the languages of modernity, pointing to the prophetic and future dimension of the avant-gardes of the early 20th century, seen as revolutionary with respect to the social and political realities of Europe – from Germany to Russia to Italy. Since the vision of the future is linked to a metaphysical claim, being ideal and non-existent, this perspective was shown in a white space, indicating a ‘void’ that goes beyond all physical and material, iconic and decorative moorings. A limbo in which objects can float, including paintings and sculptures, but also all the other languages that run parallel to art: cinema, music, photography, design, architecture, graphics. It is the creation of an a-historical dimension, the white cube (Brian O’Doherty, Inside the White Cube), where all experiences can manifest themselves and be accepted, outside of any preoccupation with ‘realism’. The museum thus offers itself as an artful and abstract construction in which to develop the conceptual and ideal fetish, the statement thrust forward and exaggerated by a utopian perspective, beyond the present. Here images indicative of history are destined to emerge, without history becoming a context that has to be perceived, avoiding any critical character. Value is entrusted to humanistic virtues of a universal character. And to bring out the positive side, its presence has to be enhanced by an environment that goes beyond the present: an absolute and empty horizon. This was the context embodied by the Museum of Modern Art from the outset (Sybil Gordon Kantor, Alfred H. Barr Jr. and the Intellectual Origin of the Museum of Modern Art, MIT Press, Cambridge, MA, 2002), around 1928, based on the modernism of the Bauhaus and its antiseptic, re-
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ductive language, and on the installation of spaces and exhibitions – like the first one on Cézanne, Gauguin, Van Gogh, Seurat, in 1929 – presented through a sequence of white walls whose borders were defined below by a baseboard, and at the top, from which the chains descended on which to hang the paintings, at the edge of the ceiling. A place totally ‘gutted’ of any decoration or any sign such as those found in exhibition spaces in the 1800s and early 1900s, so the appreciation of the art would not be disturbed by other presences. It is an invitation to concentrate and meditate, focusing on the hung object, trying to fully understand its idea without distractions: an exercise that puts the efficacy of the artifact at the center, overlooking any situation, any reality. The void functions as a dialectic term of the fullness of art. At the same time, it uproots any connection with what surrounds the artifact: it is the absence of any contiguous or past historical situation. It sets a distance from any reference to time or place; it forces the gaze to forget – due to the lack of any decoration – both the walls and the architectural structure. It reaches the point of suggesting a stripping away of the existence of the place, with the resulting erasure of its own body: pure ideal and spirit. It urges us to inhale the pneuma of the art and to obtain purification. Nevertheless, it has already been noted (Serge Guilbaut, How New York Stole the Idea of Modern Art, University of Chicago Press, Chicago – London, 1983; Frances
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Stonor Saunders, Who Paid the Piper? The CIA and the Cultural Cold War, Granta Books, London, 1999) that this immersion of art in an a-historical limbo, besides being a way of making people forget the chaos of everyday life, is also a method that tends to remove any political and ideological soul, of the kind that was polluting the art linked to European dictatorships at the time. In this sense, tracing the artistic presence without offering any glimpse of timeliness or reality, transmutes art into pure energy, almost a virtue on which to base a new world. The political excess that had marked all the avant-gardes from Futurism to Constructivism was separated and dissolved, making the social be distinguished from the aesthetic, and the process of art be transformed into pure pleasure, between meditation and trance, of psychophysical experience. Suspended in the void and uprooted from any socio-political terrain, art is seen only as the perceptible power of the ‘new’. Cleansed of any historical fallout and any impurities, art glows only to satisfy the person who gazes at it, as in a mirror. Nevertheless, this attitude that seems to separate power and culture becomes an updated ideological instrument: holding up the uniformity of the ideal, it tends to erase social and political diversity that is not its own. The alienation from society through the white cube spreads rapidly, immersing art in an abstract condition, reducing it to the minimum sense of appearance. Art is thus extracted from any place and deported into a self-representation woven only of peripheral histories, or intrinsic to the language itself. The terms of comparison are gauged only inside the history of the order of artistic discourse, excluding any political and social dimension. The desire to express oneself translates into simple self-display, seeking the forms and materials that can translate that personal narrative. The self as starting point finds legitimacy and definition only in an environment free of the presence of other things that might distract the attention of the audience of consumers. A neutral situation creates uniqueness and therefore an initial stage of qualitative appreciation. A mechanism that sustains the narrative of the new, because there can be no comparison or correlation: there is only one actor on the stage. Against this univocal display that exalts only the phantasmatic product of a person, artists and architects immediately began to do battle, aware of the dangers of a language that reflects only itself, without any possibility of infinite multiplication through a game of reflections or dynamism. In 1938 in Paris, at the “Exposition Internationale du Surréalisme”, the artists – from Man Ray to Salvador Dalí, Joan Miró to Max Ernst, Marcel Duchamp to Oscar Domínguez – mixed up objects and lights, paths and installations, making the show into an inseparable unicum. An experiential totality that in 1942 was taken up by the architect Friederich Kiesler for the design and construction of the gallery of Peggy Guggenheim, Art of This Century. In both cases the artifact does not reflect itself in a mirror, but becomes part of a narrative magma that multiples in a dance of relations and articulations. Nevertheless, this dynamic, vital form of display that counters the death of the context cannot banish the power to immortalize the artifact by putting it on a white background, which reminds us of the gold background of antique icons. The sanctification of the artwork moves on, becoming a circular process, displaying itself in a mysterious, timeless limbo. For forty more years the neutral and abstract setting determined by white walls, ceilings and even floors, has been the vehicle for artifacts, suspending them in the void so as not to create any noise in the information. In any case, starting in the 1970s, awareness develops that silence of display space is a linguistic tool, which can by studied and analyzed, modified and altered. The action happens at first thanks to the decisive breakthrough at the end of the 1950s, with the rise of environments – from Allan Kaprow to Jim Dine, Claes Oldenburg to George Segal. The object is transformed into an environmental skin, a womb of things that provokes physical and bodily participation of the artist and the audience. This magmatic density addresses all the senses: visual, tactile perception, taste. This active depth of a context that starts to be the protagonist opens up display architecture to new territories, so the extensions of display pass, around the 1950s, from the apartment of the collector or the dealer to the loft of the artist. In the 1960s it is the loft that emerges as a general tool for displaying in large industrial spaces. Galleries, from New York to Düsseldorf, Turin to Los Angeles, London to Rome, are set up in abandoned factories or empty buildings, while alternative spaces develop in opposition to museums, like Artists Space and PS1. The tradition of recovery of garages begins, as in the case of the Attico gallery in Rome; or crafts workshops, like the Deposito d’Arte Presente in Turin; or textile and metal shops, as in SoHo in Manhattan. A new display discourse emerges, connected to places of work, the artist’s loft, establishing a direct link between production and distribution. Walls become rugged, worn wood floors take the place of the marble of uptown galleries. But the color white remains, continuing to wipe out the context, avoiding the political and ideological attitude of the individual artist, or the specific thematic or linguistic research. The concealment due to the superstructures that influence the perception of displayed art is repressed in 1976 as a statement of “Arte / Ambiente. Dal Futurismo alla Body Art”, in the central pavilion of the Venice Biennale. On that occasion the architect Gino Valle and the curator Germano Celant freed the spaces of all superstructures in white canvas and wood that covered the walls of the building at the Giardini. The erasure of these instruments of concealment of the architecture was another step towards awareness of the real condition of the context, that was used by the artists themselves – from Robert Irwin to Maria Nordman, Mario Merz
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marzo 2014 Interni to Doug Wheeler, Joseph Beuys to Jannis Kounellis – to create their own sensory and perceptive environments. The enhancement of the structure of the real situation, with respect to the temporal and spatial void, was enriched in 1980 in New York with The Times Square Show, done in a former brothel at 41st Street and 7th Avenue, with the participation of street artists, figures like Basquiat and Haring, and then in a more bourgeois way at Ghent in 1986, with Chambres d’amis, curated by Jan Hoet, who invited artists like Giulio Paolini, Paul Thek, Panamarenko and Luciano Fabro to use apartments made available by private citizens (Bruce Altshuler, Biennials and Beyond, 1962-2002, Phaidon, London, 2013). The relationship between art and society, i.e. the political-cultural significance of the activity of the artist, could no longer be avoided, as seen in 1991 in the exhibition on Degenerate Art curated by Stephanie Barron at the Los Angeles County Museum. Here the mediation of political and ideological connotations connected with the repressive vision of the Nazis regarding the historical avant-gardes of the 20th century was clear. The context could no longer be resolved with environmental acrobatics, in which the absence of interpretation was reflected in whiteness. It became necessary to communicate, as Frank O. Gehry did with the exhibit design, the repression and denial that had burdened the display of historic works of art. These works cannot be perceived as a utopian achievement, but as the victims of a coercing, negative power that has a weight on overall perception. The response lies in the heaviness and concreteness of the walls, which are no longer the borders of a limbo, and in the restriction of space, done through the use of screens like the fences of concentration camps. This is an initial passage towards the materic engagement of display architecture, which has an effect on the reception and perception of art. To avoid idealizing art, the environment has to be real and concrete, but this effect is continuously updated by the staging of a limbo, though now it is a limbo with industrial overtones. How can we escape from this trap that de-realizes history? To get away from the sacral value of the artifact and make it enter a situation of historical specificity, we can try immersing it in an informative situation that anchors it to its time, conveying its appearance without dissolving it in a limbo, granting it a historical position, as was attempted in the exhibition on Piero Manzoni at the MaDRE in Naples, in 2007, and at the Gagosian Gallery in New York, in 2009, where the works of the artist were displayed in a setting of cultural episodes and the works of other artists – from Alberto Burri to Yves Klein, Kusama to Lucio Fontana – operating during the same period, from 1957 to 1963. Another way to gain awareness of the situation, not just temporal and historical but also physical, comes from the concrete connection between the subject displayed and the host architecture. In Athens, in 2013, under the title The System of Objects, curated by Maria Cristina Didero and the architect Andreas Angelidakis, part of the collection of Dakis Joannou was reinstalled in the Deste Foundation building. Based on the theories of Jean Baudrillard regarding the tools of seduction activated by strategies of consumption, the show implements a series of display ‘sets’ that characterize the environmental designation, conveyed by different display methods. The hypothesis is to escape from the embrace of the atemporal nature of the white cube, to make the visitor enter a series of instants or enclosures that bring out the different logics of architectural articulation. Every setting in which the works are displayed is different, in terms of size and material, with effective consequences on perception. From the use of corridors to staircases, terraced rooms, paper curtains, metal and wooden structures, luminous crossings and constructive gaps. A disorderly, chaotic meaning is produced, a polymateric labyrinth, in which the visitor becomes aware of his own position, his own physical and sensory experience. In this itinerary there is no one situation that is better than the others; they are all simply different. Nevertheless, the process is not subjective, because it is rooted in a design tradition that uses different volumetric forms, from the cube to the parallelepiped, from soft to transparent surfaces, brick to glass. The aim is to reveal the richness of display, to offer an unpredictable and different density with respect to the objects on display. Not attempting to reassure the viewer, but to stimulate him to become aware of the design register of the installation which, through velvets and paints, lights and shadows, thickness and lack of consistency, influences perception. Increasing the variety of functions, one supports the power of expansion of art, which proves capable of standing up to all the materic and spatial paths: the construction of a spatial and material transcription that is an extension of interpretation, and an exploration of the meaning of display. - pag. 41 First Papers of Surrealism, New York, 1942. Marcel Duchamp, Miles of String. Art of This Century, New York, 1942. Abstract Gallery. - pag. 42 Cubism and Abstract Art: Painting, Sculpture, Constructions, Photography, Architecture, Industrial Art, Theater, Films, Posters, Typography, The Museum of Modern Art, New York, 2 March – 19 April 1936. This is Tomorrow, London, 1956. Allan Kaprow, An Apple Shrine, environment, 1960, courtesy Judson Gallery, New York (photo: Robert McElroy). - pag. 43 Dismantling of the traditional display gear of the Central Pavilion during the preparation of Ambiente/Arte. Dal Futurismo alla Body Art, 1976. The Times Square Show, sidewalk view with signs by Tom Otterness, June 1980. - pag. 44 Chambres d’Amis, Ghent, 1986, Joseph Kosuth. The System of Objects, Deste Foundation for Contemporary Art, Athens 2013. - pag. 45 The System of objects, Deste Foundation for Contemporary Art, Athens 2013. The System of objects, Deste Foundation for Contemporary Art, Athens 2013.
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Antigraphics pag. 46 by Andrea Branzi
Futura is the font that has dominated postwar graphic design until the present; a typeface that has become a synonym for modernity in geometric order. Cold, precise, it organizes the page into grids and spaces corresponding to a functional, orthodox kind of communication, capable of making order of even the most catastrophic thoughts, chilling them down into Cartesian categories. If the 20th century, then, through Futura, transmitted the guarantee of an orderly future, the 21st stimulates us to work on a continuous present, where order is neither guaranteed nor indispensable, and writing returns to being the expression of a dramaturgical, anarchic narration that expands into a space free of geometries. A sort of creative ‘antigraphics’ free of precise rules but capable of transmitting emotion, narrative, independent of the frigid electronic alphabet. During the last century the Futurists – from Balla to Gargiulo – demonstrated that not only the grid, but also the very perimeter of the page, could not be defended, crossed by the devastating flux of a changing world; Kazimir Malevich set out to reinvent a primordial Suprematist alphabet whose archetype was a “black square on a white background.” William S. Burroughs expanded the energy of his writings with colored signs, and Jack Kerouac was able to read parts of On the Road accompanied by jazz piano. He typed his novel on a scroll of tracing paper, as long and straight as an American highway, a cylinder like the scriptures of the Hebrew Torah… In Japan, in the historic tradition of haiku (17th century) the quality of poetry was not limited to the beauty of the verses, but also included the elegance of the writing and the rice paper on which it was traced; poetry became a complete object, an applied art to place inside the tokonoma together with lacquer work, ikebana, precious pottery. Antigraphics, then, comes from a noble tradition, where narration and writing are intertwined to communicate a new worldview, conveying an aesthetic experience as well as the usual intellectual experience. Visible traces of the flexing of human history towards an unexplored horizon. Theoretical texts woven by multiple authors, fragments of stories, of poems, pages that become spaces to be explored; maps and objects of ‘applied art’ lacking in Swiss elegance but the result of an urgent need for expression through the hand. In the moment in which e-publishing shifts the book into an immaterial universe, a new, mysterious, mocking kind of material emerges. Already for a number of decades, on the walls (if not the pages) of our cities, on streetcars and trains, the illegible messages have accumulated of a generation that no longer recognizes the authority of the written word and its capacity to be deciphered, turning it into a creative tangle, a hermetic code of tribal identities. These ‘writers’ were among the first to realize that the word, the name, is now incapable of having a shared meaning, and that tags, like messages in bottles, can send their content out into the tangle of the metropolis. Antigraphics corresponds to the end of traditional perceptive orders, creating rebus-like puzzles that enrich the depth of words, the phonemes, making them expressive starting from their visual appearance. What is being produced is the identification between reading and aesthetics, writing and art, sign and narration, which the universe of multimedia, of advertising and commercial promotions, has known about for some time, while the publishing culture of graphic design has not yet understood the drift. Like the music that accompanies film on a separate track, but also multiplies its emotional impact. The origin of this multiple communication, so close to the primitive inscriptions of
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The misunderstood opportunity pag. 48 by Matteo Vercelloni
The story of OLIVETTI ELETTRONICA and of the PROGRAMMA 101 CALCULATOR, the FIRST PERSONAL computer in the world, is a symbol of ITALIAN scientific and entrepreneurial BRILLIANCE. An industrial vision projected into the future, that politics and government were not capable of nurturing The story of Olivetti from the mid-Fifties to the Sixties illustrates the dichotomy between the mechanical tradition (typewriters) and electronics (the first computers and the introduction of transistors). Seen today, this gap offers a posteriori evidence of the widespread backwardness of entrepreneurial vision, not prepared to meet
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ancient civilizations and cave paintings, where the engraved message was a magical and mysteric symbol, can be sought in that minority trend of the Modern Movement that interpreted the laws of Darwin as a reversible process of evolution, for which if man was derived from the ape, man could also trace back to his animal condition, seen as absolute freedom and modernity. This return to a primitive metropolis is one of the most important signs of the 21st century, where uncontrollable, acrobatic energies are emerging, like holy apes, crossing the chasms of our urban cliffs without motives, without theories. - pag. 46 Tôrei Enji (1721-1792), The Walking Stick of Tê-shan. - pag. 47 Giacomo Balla, Rumoristica Plastica Baltrr, 1914-16. Jack Kerouac, original scroll of the novel On the Road, 1951. William S. Burroughs, from William S. Burroughs, Papers 1951-1972. Per una nuova carta d’Atene, crossed text by Andrea Branzi and Angela Rui, 2013-2014, Lithos Edizioni.
technological challenges, reluctant to open to the electronic products of the near future that were soon to invade the worldwide market. In the history of Italian industry Olivetti is a unique case, due to the enlightened initiative of Adriano Olivetti (1901-1960) of opening industry to society, making Ivrea and the vicinity into a territorial workshop of experimentation with business, urban planning and social balances, activating productive and cultural synergies almost sixty years ahead of their time (today, in fact, we have the precious industrial districts, a fundamental part of the Italian economy of the new millennium). Traditionally involved in the production of mechanical items that thanks to the contribution of Marcello Nizzoli were transformed into ‘objects’ – even Italian design icons – that activated a new interface between technology and users, Olivetti in the early 1950s was moving towards the world of electronics. This was the start of a path that from the production of intelligent objects moved on to give physical form to the artificial intelligence of technology and electronic calculators, where the leader at the time was the American corporation IBM. Giuseppe Rao writes: “Olivetti over the years becomes the most highly appreciated and famous company in the world for its capacity to combine technological leadership, ethical principles, rights and wellbeing of workers and their families, development of activities never previously explored by corporations in the areas of culture, design, architecture, communication, advertising and publishing. All this contributes to create that Olivetti style that still remains a model today, nev-
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er matched in the international community, the expression of an enlightened vision, a forerunner of modernity” (Giuseppe Rao, Mario Tchou e l’Olivetti Elea 9003, Il Marchio Giallo, available at: http://temi.repubblica.it/limes/mario-tchou-e-lolivetti-elea9003?printpage=1, Gruppo Editoriale L’Espresso). The research in the field of electronics began in 1952 when Olivetti opened a facility at New Canaan, CT, for development of the technology of electronic calculators, followed in 1955 by the Laboratorio Olivetti for electronic research in Pisa. Adriano appointed his son Roberto as director of the new Electronics Division, where the physicist and engineer Mario Tchou was also employed, whom Adriano had met in the USA. Ettore Sottsass was appointed for the design of the products. In 1957 the Macchina Zero, with tubes, was presented, known as the Elea 9001: an acronym for “Elaboratore elettronico aritmetico” but also a reference to the ancient city of knowledge of Magna Graecia and the pre-Socratic school founded there in 545 BC, which rejected the epistemological validity of sensory experience and saw the clarity of mathematical precision as the basis of knowledge. The Elea 9001 was followed by a second intelligent tube-based machine, the Elea 9002, leading to the breakthrough in 1959, with the Elea 9003 – the first transistorized electronic calculator – designed by Ettore Sottsass, winner of the Compasso d’Oro ADI. This was still a very large machine, in spite of the use of transistors, designed by Sottsass in terms of ‘interiors’ as the element capable of constructing a space of relation of work. Without taking anything away from the technological quality and the interface design created by Sottsass, in keeping with the innovative corporate philosophy for which man, not the machine, should be the central focus of progress, the Elea 9003 substantially followed the scale of the models of computing machines being produced in the world: voluminous equipment, like rows of electronic wardrobes, certainly not available to the public due to cost, difficulty of use and fragility of functioning. Nevertheless, with this model Olivetti became one of the main competitors of IBM, the American giant launched on a political and strategic level towards the conquest of the world market, in a historical moment in which electronic calculators were becoming a ‘sensitive technology’ in the world. For the new headquarters of the Centro di Calcolo Elettronico Olivetti in Rho, near Milano, Roberto Olivetti called in Le Corbusier, who imagined a flexible research facility (never built) with workspaces paced by a system of ‘inhabitable honeycomb volumes’ based on a variable composition module to permit the configuration of an interior landscape in progress, with spaces of different sizes to respond to unpredictable future needs. In spite of the enthusiasm of Roberto Olivetti, after the death of his father Adriano in 1960, followed by the dramatic death, at the age of 37, of the brilliant Tchou, the Olivetti Elettronica division did not gain the trust of shareholders, and in the complicated administrative context, made even more complex by the acquisition of the American competitor Underwood, the division was sold to General Electric in 1964. Enrico Morteo writes: “What is being sold is the future, but above all what is mutilated is the scheme set up by Adriano, based on converging action of research and innovation. Paradoxically, Olivetti finds itself in the position of an industrial company with a higher level of design intelligence than the capacity to manage and orient that intelligence” (E. Morteo, “Oggetti in prospettiva geografica,” in Var., Olivetti: una bella società, exhibition catalogue, Umberto Allemandi & C. Editore, Turin 2008). This is the period when a group of brilliant technicians, refugees of the old Electronics Division headed by the engineer Pier Giorgio Perotto, previously a collaborator of Mario Tchou (a group considered almost ‘esoteric’ and relegated to the outskirts of the company), accomplished a quiet revolution in the new headquarters of the Laboratorio Elettronico of Pregnana Milanese, creating what is now known to history as the first desktop personal computer: the Programma 101, immediately interpreted as female and affectionately nicknamed Perottina. The P101 is a brilliant creation, done by Perotto with Giovanni De Sandre, Gastone Garziera and the mechanical designer Franco Bretti, for the adaptation of the keyboard and the invention of the microprinter, based on earlier studies. Fifteen years before modern desktop computers, the Programma 101 announced the worldwide future: intelligent machines with a small size, available to a wide public, with a friendly, easy to use language. In substance, the precise opposite of the computers that existed at the time. Perotto and his technicians met the challenge of inventing, designing and building a machine that didn’t exist, and they did it brilliantly. After an unconvincing design for the enclosure by Marco Zanuso, the definition of the outer form of the new computer was assigned to the young Mario Bellini; the Programma 101 was officially presented in 1965 at the Business Equipment Manufacturers Association of New York, generating surprise, admiration, popularity and attention. Bellini resolved the external design in an apt way, created a rigid skin that combined ergonomics with functional
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marzo 2014 Interni clarity, with a black central strip in which to insert or from which to remove the magnetic card (the equivalent of the subsequent floppy disks), the key array with the print cylinder, the tapered keys for the sixteen instructions, all wrapped with zoomorphic overtones like the lateral cooling grille that looks like the gills of a big fish. Launched on the market with the slogan “Olivetti puts the computer on your table,” the Programma 101 met with success in terms of sales, especially in America, where it was also purchased by NASA, but the distrust of Italian industry regarding electronics determined its demise. Replicated a few years later by the HP 9100 (which paid Olivetti 900,000 US dollars for patent infringement), the Perottina was never understood by the Olivetti establishment. Pier Giorgio Perotto explains: “The managers in the sectors of administration, production and sales were not convinced that a real revolution was about to take place. ‘The Programma 101 – they said – is a great product, but it covers an elite market. Olivetti lives on typewriters, adding machines, mass market products manufactured on a large scale, at a pace of hundreds of machines per hour, and at costs that can never be reached by electronics.’ They had accepted electronics, though under duress, but only in a limited sphere which they obstinately continued to see as marginal. […] In a strategic sense, the extraordinary opportunity of the Programma 101 was never exploited” (Pier Giorgio Perotto, Programma 101. L’invenzione del personal computer: una storia appassionante mai raccontata, Sperling & Kupfer Editore 1995). As already hypothesized by Lorenzo Soria (Informatica: un’occasione perduta. La Divisione elettronica dell’Olivetti nei primi anni del centrosinistra, Einaudi Editore 1979) and then by Marco Pivato (Il Miracolo Scippato – Le quattro occasioni sprecate della scienza italiana negli anni Sessanta, Donzelli Editore, 2011), suspicion hovers around this whole episode, regarding an international plot. This deserves more thorough and specific historical study. The plot would have had the aim of relegating Italy to a subordinate role on the world labor market, making attempts to occupy advanced positions in fundamental sectors of economic development ineffective (new materials, energy and electronics). The factors that go into this analysis include traumatic events like the death of Enrico Mattei, the demolition of Italian nuclear research with the case of Felice Ippolito, and the sale to the Americans of the Olivetti electronics division. Nevertheless, where the electronics sector and the design of new Italian computers were concerned, the cause of the demise of Olivetti’s ingenuity can be traced back to the myopia and cultural backwardness of an industry accustomed to following traditional paths of development, usually importing innovation instead of creating it with investments and optimization of human resources, and the absence of the State when it came to support for research in the wider sense of the term. From this viewpoint, the words of Vittorio Valletta, corporate manager and president of Fiat (which together with Pirelli, Mediobanca, Imi and Banca Centrale would become shareholders of Olivetti shortly thereafter) are significant, when at the shareholders’ meeting of 1964 he stated: “the company based in Ivrea is structurally solid and can get beyond this critical moment without great difficulty. But a threat exists for its future, a defect that must be removed: the fact that it has ventured into the electronics sector, which requires the kind of investments no Italian company is capable of making.” So in spite of the declaration of Natale Capellaro (the brilliant worker and then ‘mechanical’ designer of Olivetti) when he saw the P101: “dear Perotto, watching this machine at work, I realize that the age of mechanics is over,” the experimental and innovative period of Olivetti computers found no ground for development, and was shouldered aside by international competition, which had noticed and understood its incredible potential. In 1969 Ettore Sottsass, who a few years earlier had designed the interface of the Elea 9003, presented the Valentine (designed with Perry King), a traditional typewriter, mechanical and portable, reinvented in formal and poetic terms. Red, with a plastic chassis and a handle on the back for easy transport, this model was a sort of harbinger of the laptop computer, for its philosophy of use and freedom of movement. But in substance it was a technological antiquated product, enhanced by design but without the intelligent soul contained in the Programma 101, the world’s first personal computer. - pag. 48 Pier Giorgio Perotto (seated on the left) with the electronic design group at Pregnana (MI), next to the parts of the second prototype of the P101, August 1964. Seated beside him, Giovanni De Sandre; standing, to the left, Gastone Garziera and Giancarlo Toppi. (Photo: Associazione Archivio Storico Olivetti, Ivrea – Italy) - pag. 49 The Programma 101 electronic calculator, 1965, designed by Mario Bellini. (Photo: Alberto Fioravanti, courtesy Studio Mario Bellini Architects) - pag. 50 Study model for the Programma 101 (courtesy Studio Mario Bellini Architects). - pag. 51 Above, Le Corbusier ‘Boite Standards volume alvéolare habitable’, 1962, study of the internal arrangement of the uncompleted Laboratorio Elettronico Olivetti in Rho. Below, the Elea 9003 electronic calculator made by the electronic research laboratory of Olivetti, directed by Mario Tchou, November 1959, design Ettore Sottsass Jr. (Photo: Associazione Archivio Storico Olivetti, Ivrea Italy)
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INdesign/INcenter
Outdoor NeWs pag. 52 by Elisa Musso - photos Simone Barberis
Practical, sturdy, with refined forms, new outdoor furnishings combine beauty and functional quality with the use of many different materials, from teak to Kevlar. Here they are, seen with the POETIC ORIGAMI works of the serbian designer UROS MIHIC - pag. 53 Vista, a small divan made by combining two corner armchairs, in painted aluminium with cushions covered in outdoor fabric. Design Carsten Astheimer for Gloster. Poncho armchair with enveloping forms, structure in steel tubing fastened to the fabric cover by a Kevlar weave. Designed by LucidiPevere for Living Divani. Ivy tables with painted steel base and wooden top. Design Claesson Koivisto Rune for Paola Lenti. Masai sculptural chair with structure in painted metal tubing, seat in PVC with cushions covered in technical fabric. Designed by Marco Zito for Saba Italia. - pag. 54 Camargue chairs in galvanized iron and melange cord. Available in 4 colors, produced by Unopiù. Alba vases in rotomoulded polyethylene. The hand-finished bo der makes each piece unique and displays the craftsmanship behind the serial production of plastic objects. Design Massimiliano Adami for Serralunga. - pag. 55 Orson 004 teak chair designed by Gordon Guillaumier for Roda. Spritz table made in fibe glass resin, for easy disassembly, designed by Raffaello Galiotto for Nardi. InOut 123 stackable chair with structure in painted aluminium, seat and back in teak. By Paola Navone for Gervasoni. Unam lounge chair with iroko wood structure for outdoor use, woven cord and seat in outdoor fabric. Design Sebastian Herkner for Very Wood. - pag. 57 Mathilda chair with legs in solid wood, back in curved plywood wrapped in straw, upholstered seat. Design Patricia Urquiola for Moroso. Village dining table in aluminium, designed by Jasper Morrison for Kettal. Studios folding director’s chair in aluminium and padded fabric, produced by Ethimo. Touch table with dove gray painted aluminium structure, produced by Talenti. Urban chair in pressed aluminium sheet by Samuel Wilkinson for Emu. Ninix NNX195T cot with painted stainless steel structure and Batyline fabric. Equipped with pneumatic adjustment mechanism to change position all the way to a completely fl t arrangement. Design Kris Van Puyvelde for Royal Botania. - pag. 58 On the floor: WA armchair with aluminium structure, made in a single piece and covered with synthetic fabric. By Toan Nguyen for Dedon. Bistrò folding chair in iron, produced by Greenwood di Moia. Volt chair in polypropylene reinforced with fibe glass, designed by Claudio Dondoli and Marco Pocci for Pedrali. Rion stackable chair in painted aluminium. Design Studio Orlandini & Radice for Fast. Kate stackable chair, in steel, by Patrick Jouin for Fermob. - pag. 59 ILtavolo, outdoor
table in painted metal, in all the RAL colors and cement. Design Lapo Ciatti for Opinion Ciatti at Entratalibera. On the table: Cut chair with rigid polyurethane chassis and painted metal base, designed by Francesco Rota for Lapalma. Branch chair with structure in die-cast aluminium, seat and back in polypropylene reinforced with fibe glass. Design Lievore Altherr Molina for Tribù.
Benchmarks pag. 60 by Nadia Lionello - photos Simone Barberis
Long considered only in minimal form, a marginal figure in the vast panorama of design furnishings, it now has a new look and new uses in different settings. A true part of the decor, stylish and functional, freed of its single function as a multiple seat - pag. 61 Grey bench with Canaletto walnut structure, natural varnish or white, grey, Air Force blue or black paint, seat padded with polyurethane foam, with removable fabric cover. Design by Paola Navone for Gervasoni. Owls, 372 x 270 cm mural composed of eight 46 cm strips, digital print on TNT surface, from the Catalina Estrada collection. Design by Catalina Estrada for Agena. On the facing page: Belt, a rectangular bench made with woven strips of Canaletto walnut on a metal base, polyurethane padded cushion covered in fabric. Design by Tarcisio Colzani for Porada. Plants and location by Serra Lorenzini. - pag. 63 Fence seat and counter with treated steel rod base, top in Canaletto walnut. Design by Christophe Pillet for Lema. Porcelain stoneware floor tiles from System L by Marazzi tecnica. - pag. 64 Cheval d’Arçons from the Les Nécessaires d’Hermès collection, bench with structure, brace, drawers and lateral compartment in solid Canaletto walnut. Seat covered in leather or fabric, brushed stainless steel feet. Design by Philippe Nigro for Hermès. - pag. 65 Panca del ’32, with chromium-plated tubular structure, tops in cold-laminated perforated sheet metal, painted white or black. Design and restyling by Sagsa. O’s bench in bent stainless steel sheet with satin finish regular circular openings painted on the inside with bright colors. Design by William Sawaya for Sawaya&Moroni. - pag. 66 Denny hassock-bench with plywood structure, elastic belting, polyurethane fil er, removable cover in fabric or leather. Die-cast metal feet painted in pewter color with extra-shiny anti-touch finish Design by Rodolfo Dordoni for Minotti. F/W 13-14 bedding by Society. - pag. 67 T904 bench with structure in steel tubing, painted black, seat composed of top in poplar plywood with teak-stained ash veneer; the unit comes with three removable cushions, padded with polyurethane foam and dacron, covered in Pelle Frau® from the Color System, Pelle Frau Nest, Pelle Frau Soul or removable fabric. Design by Gastone Rinaldi for Poltrona Frau.
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INdesign/INproject
Luminous ribbon pag. 68 text Cristina Morozzi
Composed of trapezoidal MODULES in polyethylene, the CIRCULAR POL XXL suspension lamp reveals the original creative talent of EMILIANA MARTINELLI, owner of the company of the same name
marzo 2014 In tern i Circular Pol XXL is a project from 2013 for Martinelli Luce by Emiliana Martinelli, designer and entrepreneur, winner in 2014 of the iF Product Design Award. In a natural, enthusiastic way, Emiliana plays different roles: she manages the family company, designs many of its products, selects other designers, creates the trade fair stands and communication. With a degree from the Art Institute of Lucca, in Ceramics, and another in Industrial Design from ISIA in Florence, where she then took a degree in architecture as well, she has gained experience in the company, transforming sketches into technical drawings. “I spent time at the drawing board, but also at the potter’s wheel,” Emiliana says. She learned about the pleasure of creating, having fun by imagining new forms. “Being a businesswoman,” she confesses, “limits my freedom. I am influenced by production costs, and the market. At times I break free, and then crazy things emerge.” The Circular Pol XXL suspension lamp for diffused lighting, a development of the Circular Pol model from 2009, can be seen as one of these follies. It is composed of curved and linear trapezoidal modules, in rotomoulded polyethylene, and is jointed like a serpent, forming sinuous figures that branch out freely. Combining 8 curved modules, you can form a circular composition with a diameter of 3.5 meters, conceived to adapt to large spaces, such as those of shopping centers, or to light up circulation routes. The modules, 1.2 meters in length, are connected by painted metal joints, intentionally emphasized to add rhythm to the composition. Suspended by means of slender steel cables, Circular Pol XXL is wired for 55W fluorescents, or with LED circuits, complete with a dimmer and power supply.In its range of compositional possibilities, “you can even make a question mark,” Emiliana says, bringing out her habit of thinking about design as a sort of game. “Fun is the most important thing,” she likes to repeat. And she enjoys chasing down ideas: she feels more like a designer than an entrepreneur, a job she has found herself doing, and which forces her to fight against her creative nature, to act like a true captain of industry. This is why, as she says with good humor, “I stay in Tuscany to play with forms,” and she seems almost unaware of her talent, with which she has put together a fine catalogue of original models, like Circular Pol XXL, which seems like the geometric transformation of a cloud. - pag. 68 Upper left: sketch by Emiliana Martinelli for the design of Circular Pol, the suspension lamp produced by Martinelli Luce. To the side, sketches illustrating the compositional possibilities of the version Circular Pol XXL. Above: the Circular Pol XXL fixtu e, installed at the Petra space during Carrara Marble Weeks, 2013. - pag. 69 Image of a large luminous composition in the form of an S, made by combining the different modular elements of Circular Pol XXL.
Beyond appearances pag. 70 by Valentina Croci
MAGNETIC FIELDS and techniques of RECYCLING that give rise to original surface PATTERNS. Special TREATMENTS that give raw material unexpected visual and tactile QUALITIES. From experimentation on production processes, products are created that conceal innovation behind apparent simplicity Contemporary design research often involves very empirical experimentation with traditional production processes, of an artisanal or industrial character. Shuffling the cards, it makes hybrids of production sectors, in search of unexpected alterations of materials or defects that become unique. The whole idea is to bring out the intrinsic qualities of materials.Working on the production process, beyond mere usage function and object types, to bring out unexpected aspects of materials is an approach shared by two distant projects: Alteration by the Dutch designer Kirstie van Noort, and Magnetic Fields by fellow Dutchman Tord Boontje, residing in London. The first attempts to prompt observation, to make us
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linger over the tactile and visual qualities of material. Porcelain vases made by hand with multiple color layers are subjected to controlled mechanical scratching that removes microlayers of the material. The slight difference in thickness of the layers, since they are applied by hand, triggers variable and multicolored surface effects that constitute the unexpected beauty of the project. Tord Boontje, on the other hand, creates patterns through magnetism. This is an experiment he has been conducting for three years now, trying to get control of the process. He uses sheets of resin, or surfaces covered with resin, whose ions are polarized by the passage of electricity inside circuits with which they are in contact. The pro-
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Interni marzo 2014 cess can also be applied to thin layers or fabrics, like the rubber coatings used to finish textiles. These are not surface treatments, but patterns inside the thickness of the material itself. This is why the panels have an unusual three-dimensional quality, and mysterious depth. A sort of revisitation of traditional production processes is also involved in the project Woven Songs commissioned by the Zuiderzee Museum, to combine music and weaving. The Anglo-Dutch studio Glithero (Tim Simpson and Sarah van Gameren) has come up with a cross between the distant worlds of the weaver Wil van den Broek and the builder of organs Leon van Leeuwen, by observing their respective machinery. The mechanics of an organ and those of 19th century looms are actually very similar: both are controlled by means of punchcards that indicate the points in which to make the holes, to insert the pegs of the loom, in one case, and to control the pipes of the organ, in the other. The punchcard of the latter is thus used with a Jacquard loom to make fabrics, which become relics of a know-how threatened with extinction. Materialism, by the Dutch duo Mieke Meijer and Roy Letterlé, investigates the relationship between working techniques and materials. The studio has made a series of twenty flat sheets in ceramic, glass and metal, of the same size. Workshops of ceramists, glassmakers and foundries have treated the different materials with crafts techniques: the materials have been subjected to high temperatures to bring them to a plastic state, then poured in moulds open on one side, and then treated with gas or other finishing techniques. These are ways of working usually done in an industrial context, but the fact that they are done by hand makes them unique. The form of the mould itself reveals the characteristics of the material, such as tactile roughness, which would not be visible using a more industrial production process. Recycling lies behind the Fossils project by the Israeli designer Shahar Kagan. The collection comes from the dirtiest places in factories using polyurethane-base paint, which are usually forced to discard paints in open vessels at the end of the daily production cycle. The designer asked them to pour the paint leftovers into a specially constructed mould, where over a period of six months blocks of material have formed, weighing 4.5 kg. When sliced or cut into 3D volumes with laser machinery, they produce layers with always different patterns, thanks to the multiple colors, the unpredictable effects of the accumulation, the humidity and the hardening. Transformed into panels, the
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solidified paint becomes a facing for furnishings in MDF. Cork, but not the way we usually think about it. Belgian designer Cédric Etienne builds bricks with granules of recycled pressed cork to make furniture. The modular system requires not bolts or glues, so it is very flexible and reversible. The material seems like a nobler version of MDF and has an unusual lightness, insulating properties and excellent stability over time. Corkinho fits with the ‘cradle to cradle’ principle, a design approach that adapts industrial models to nature, enhancing environmental compatibility. The project also points to new opportunities for the Portuguese cork industry, which has been going through a period of crisis. The modus operandi of the Dutch designer Pieke Bergmans is precisely the alteration of existing production processes to achieve unexpected aesthetic results. Controlled imperfection is found in all his projects, including Vapor, a series of lamps in blown plastic. Some are suspension lamps, six meters high, in material so thin that it seems like tracing paper. Others are made with a technique similar to that of blown glass, but due to the characteristics and sizing of the extrusions they have a form that is always different and uncontrollable. The plastic parts of different thicknesses reflect the light inside in different ways. - pag. 70 Magnetic Fields by Tord Boontje is a collection of furnishing surfaces whose patterns are created through magnetism. The pigments of the resin are polarized by an electro-magnetic surface and give rise to a particular holographic effect. - pag. 72 The project Woven Songs, commissioned by the Zuiderzee Museum of Enkhuizen, in the Netherlands, to Studio Glithero, makes fabrics using the punchcards of an organ in place of those of a Jacquard loom (photo Petr Krejci). - pag. 73 Alteration by Kirstie van Noort is a collection of crafted ceramics with different layers of glaze that are revealed by a surface scratching process (photo Raw Color). The Mieke Mejer studio makes over twenty panels in glass, ceramic and cast metal. The materials are subjected to techniques usually used in industry, which the manual process makes unique, with unpredictable effects (photo Raw Color). - pag. 74 For the Fossil collection Shahar Kagan uses industrial leftovers of bi-component polyurethane paints. The colors are gradually poured into special containers, where they solidify so they can then be cut to form sheets for facings, or three-dimensional objects. pag. 75 Corkinho by Cédric Etienne is a collection of furnishings composed of bricks-panels in a composite material based on pressed scrap cork. The pieces come from cut compact blocks. The Vapor collection by Pieke Bergmans is the result of a process of blowing plastic, similar to that of glass. In one case the thinness of the material makes the plastic as light as tracing paper; in the other, the deformation of extrusions gives rise to mixed, translucent lines.
Polymer surprise pag. 76 by Patrizia Catalano
Thirty months of gestation, and one objective: to develop a revolutionary armchair design. The mission: comfort and extreme performance. Leading to RE-VIVE, the revolution armchair MADE BY NATUZZI Everyone knows that in the world of upholstered furniture research usually means ergonomics, new typologies and covering materials. But something different happens when this sector, usually not very innovative in technological terms, sets out to explore new opportunities, focusing on novelty that starts inside the product, testing the possibilities of offering upholstered furniture that has been completely updated in its functions. This is just what has happened at Natuzzi, in Santeramo in Colle. About three years ago the New Zealand-based studio Formway Design, whose main field of expertise is ergonomic office seating, aware that Natuzzi has worked at length on the theme of reclining seating with built-in movement mechanisms – and also sets aside 7% of its income for research – decided to propose a project for a high-performance armchair, with patented mechanical systems to put the chair into many different positions. Re-vive, the creature born after thirty years of gestation overseen by the Natuzzi staff and the New Zealand studio (and proudly presented in December, at the Milan showroom), thanks to its patented and top secret mechanisms, has an extremely adjustable back. A simple movement of the seated person visibly lowers the back, transforming the seat into a lounge chair. In short, the armchair, thanks to a reactive mechanism that compensates for weight, takes on different positions in a fluid, natural way. The secret of this mechanism lies in the spine of the chair, composed of composite injection-moulded polymer, and in the chassis, whose main components are made with injection moulding of flexible polymers. The idea of following the movement of the body is also aided by the ‘dynamic armrests’ equipped with reactive mobility to adapt to the movements of the arms, a sliding headrest that can always be positioned at an ideal height, a swivel base that facilitates movement when sitting or rising, and an inclined hassock that flexes based on the position of the legs and feet. Great care has also gone into the finishes, with Italian leather of the highest quality offered in different colors. The project is also ecosustainable: Re-vive is made with recycled materials wherever possible, and has been designed for easy recycling at the end of its life span. Pasquale Natuzzi be-
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lieves strongly in this revolutionary design, and in the merits of investment in technology and communication: “At present, we put about 7% of our income into research and development, but over the next five years we plan to invest even more. Innovation means not just experimenting with new materials, techniques or forms, but also rethinking our way of designing itself, simplifying production processes and thus cutting down on transport and distribution costs as well.” - pag. 77 Page left, the Natuzzi staff in the Santeramo atelier, working on the design of the Re-vive armchair. Note the complex design of the movement mechanism for the various positions of the seat. To the side: two leather versions of Re-vive, in the two main colors for the Italian market, ice white and pale blue. The black leather version with footrest, and an image showing the various positions naturally assumed by Re-vive due to pressure from the body.
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ALIen pag. 78 by Stefano Caggiano
Domestic objects from ANOTHER PLANET sum up the TECHNICAL AND AESTHETIC SENSE OF OUR TIME, merging the old dichotomies of inside/outside, vegetable/artificial, organic/inorganic The task of design, and of design culture in general, is to provide a sort of score of objects to hold contradictory but equally demanding claims together, of technique and poetry, avoiding any flattening of the two and even making them destabilize each other, contributing with the meaning conveyed by their forms to the comprehension of their culture of reference. From this vantage point, an interesting linguistic proposal is advanced by a series of projects, including the sculptural lamps in wood by John Procario, and Anisha designed by the trio Lievore Altherr Molina for Foscarini, whose bodies contain the concrete metaphor of a condition of life, the contemporary condition, in which the separation between inside and outside has lost its usual clarity, and been hybridized in an incessant flow of transtopological configurations. Lamps like these, and like Solium by Karim Rashid for Artemide, or Foop by the Japanese designer Kenji Fukushima, seem to be the result of local variations of a pure ‘exterior’ condition without inner life, sculptural fluxes of a fibrous skin that engages the surrounding space in utterly particular relationships of mixing. This is also the direction taken by the Kino lamp by Emmanuel Gardin (Studio Krizalid) and the Gamete.MGX model by Xavier Lust for . MGX Materialise, but also by a wooden seat like Pipo, designed by Alejandro Estrada for Pigatto. These works seem like the result of a design born on another planet, the furnishing complements of another world with respect to ours, on which there is no distinction, as in our world, between inside and outside, pulp and skin, and where not even vegetable and artificial have followed distinct paths, instead channeling into a single path of evolution that is now manifested in the mushroomy bodies of objects like those mentioned or like the Enigmum III seat by the Irish designer Joseph Walsh, or the Alya suspension lamp designed by Gabriele Rosa for Nemo Cassina. Goethe, in The
marzo 2014 Interni Metamorphosis of Plants, underlined how the form of a plant can be deducted from the transformation of the seed, following a ‘metamorphic’ like different from that of taxonomy, accepting the generative principle of nature which is that of continuous making and unmaking of forms. This was a conception diametrically opposed to the one followed by the modern world, which can be referred in very recent times to the film Avatar by James Cameron, showing a world inhabited by hominid aliens, luminous plants, flying stones and objects that grow like vegetation, all connected to a large synaptic network that coincides with the ecosystem of the whole planet. Projects like the ones mentioned above, with the interesting forerunner years ago of the Inner Light lamp by Yves Behar, evoke a characteristic feature of our time made of digital connections, which though they are ‘inside’ the private dimension keep us always ‘outside’, projected outward, making each of us a synaptic node of a planetary network that grows and intertwines like a tree, or like a brain. Thanks to the sensitivity of languages like these, design holds together not only the traditional dichotomies of its own culture (technique and poetry, function and form), but also the new specific dichotomies of our era, like inside/outside, node/network, organic/inorganic, keeping their tensions from reaching the point of lacerating the anthropological fabric, with respect to which they are instead conveyed into the project, to generate new worlds inside our world. - pag. 79 The Anisha lamp designed by the Spanish studio Lievore Altherr Molina for Foscarini takes on the form of a fluid frame that wraps a void, filling it with lig t. On the facing page: dynamism combined with lightness in the converging of three weightless arms, in the Alya lamp by Gabriele Rosa for Nemo Cassina. The LEDs provide a delicate, indirect light source. - pag. 80 Clockwise from top: the sculptural Enigmum III seat made by Joseph Walsh by manipulating wood, layer upon layer, and then carving the final orm. The Pipo seat by Alejandro Estrada for the Guatemala-based brand Piegatto consists of a surface that opens like a membrane. The wood of the 29 sections of the object comes from certified orests. The lamps by John Procario are made by curving wood “like a bone or muscle” to the limit point of tension, generating a differently elegant harmonic form. The Foop lamp by the Japanese designer Kenji Fukushima is formed by overlaying two bent LEDs. In steel and acrylic, produced by the brand Y.S.M Co. - pag. 81 Above: Kino is a lamp designed by Emmanuel Gardin of the studio Krizalid starting with a single sheet of birch. Now being put into production by the Belgian brand Linadura. To the side: “I imagined Solium as the negative of light,” Karim Rashid explains. A synthesis of structure and optics, the lamp is produced by Artemide in fibe glass and painted steel.
Reflected projects pag. 82 by Katrin Cosseta
WITH MANY FACETS, broken up, conveying visual and chromatic distortions. The new mirrors transcend their function. Sculptural furnishing objects, invitations to reflect, literally, on self-perception and space - pag. 82 Luxx Mirrors by Samuel Accocceberry, a limited edition composed of stainless steel parts painted in gold, copper and anthracite, reinterpreting the Akté, Augé and Nymphé mirrors created by the French designer for Marcel By. - pag. 83 Mirror of Society, design Nucleo (Piergiorgio Robino and Alice C. Occleppo). Mirror in polished aluminium, a one-off for Galleria 38. This conceptual work is the three-dimensional translation of a histogram derived from an application, Isentiment, that conducts a survey on the major themes of life, including love, family, religion and politics. - pag. 84 From left: VU (Vision Underground) by Giovanni Tommaso Garattoni for Tonelli, a decorative wall-mirror composed of a reflecting surface covered with strips (22 per module) of extraclear glass of different thicknesses, to break up the image. The Prism mirror by Tokujin Yoshioka for glas italia, a column entirely clad in reflecting extralight 12mm glass, silvered, chamfered and glued at 45°, with protruding frame. Gemma, designed and produced by Gallotti&Radice, extralight or ‘Italian gray’ mirror with 2.5 cm chamfer, with three combinable modules. - pag. 85 Mirage by Tokujin Yoshioka for Lema, a mirror formed by multiple reflecting surfaces that can be assembled at different angles thanks to a particular wall attachment system. Each module has a ground finish - pag. 86 TAB.U Mirror Micro by Bruno Rainaldi for Opinion Ciatti, mirror with frame in chromium-plated aluminium, crumpled by hand. - pag. 87 Miroir Froissé by Mathias Kiss, three-dimensional faceted mirror composed of shards of mirrors assembled by hand on a wooden base. Limited edition of 8 pieces, by Galerie Armel Soyer. - pag. 89 From left: Sushi Mirror Pendant 3, by Fernando and Humberto Campana for Carpenters Workshop Gallery, mirror with frame in rubber, fabric and EVA, on structure in aluminium and stainless steel. Limited edition of 8 pieces. Brick by Paola Navone for Gervasoni, collection of shaped mirrors with white painted decoration. Oponce by Studio C & PY for Ligne Roset, component wall mirror formed by 3 identical modules covered in cowhide, in tawny color or pale blue, with saddle stitching. Lucy by Doriana and Massimiliano Fuksas for Fiam, wall mirror in 8 mm cast glass, silvered on the back, mirror pane 5 mm. Rear attachment panel for hanging in different positions.
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Interni marzo 2014 AGENA srl C.so Unione Sovietica 225, 10134 TORINO Tel. 0113171919, Fax 0113172000, www.agenagroup.it, agena@agenagroup.it ANTOLINI LUIGI & C. spa Via Marconi 101, 37010 SEGA DI CAVAION VR Tel. 0456836611, Fax 0456836666, www.antolini.com, al.spa@antolini.it ARTEMIDE spa Via Bergamo 18, 20010 PREGNANA MILANESE MI Tel. 02935181, Fax 0293590254, www.artemide.com, info@artemide.com BAXTER srl Via Costone 8, 22040 LURAGO D’ERBA CO Tel. 03135999, Fax 0313599999, www.baxter.it, info@baxter.it BOFFI spa Via G. Oberdan 70, 20823 LENTATE SUL SEVESO MB Tel. 03625341, Fax 0362557188, www.boffi com, boffimar et@boffi com BOSSINI spa Via G. 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