Interni 644 - September 2014

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INdice/contents seTTemBre/september 2014

INterNIews 17

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produzione production TRAme e colori/Patterns and colors IL trasformista/Transformer design primordiale/Primordial design idee su misura/Ideas made to measure A tutto vetro/All glass brevi/Short takes il bello della fuga/Beauty in the seams produzione bagno production bath WaTer savInG tradizione contemporanea/Contemporary tradition grafismi/Graphic effects natura materica/Materic nature brevi/Short takes concorsi competitions la ceramica e il progetto/Ceramics and design in mostra in exhibitions virtuosismi ceramici/Virtuoso ceramics fiere fairs cersaie 2014 a/in bologna RINNOVARE PER CAMBIARE/Renewal and change premi prizes brevi/Short takes project

milano si alza/Milan stands tall c’È del nuovo al/Something new at the vitra campus DOUBLE SPACE Forme pure/Pure forms ispirazione naturale/Natural inspiration 75

showroom londra

Innovative Landscape TaLKs 89

showroom

progetti d’autore/Signature projects meridiani a parigi/in ParIS 92

case history

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un percorso luminoso/A luminous path giovani designer young designers

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In copertina: un dettaglio de La Michetta, un prodotto-icona di Meritalia disegnato da Gaetano Pesce nel 2005. Il sistema di imbottiti è composto da elementi liberamente aggregabili tra loro mediante un semplice giunto in acciaio posato a terra. Priva di limiti dimensionali, ogni composizione risulta diversa e personalizzabile grazie all’unicità degli elementi realizzati a mano. On the cover: detail of La Michetta, an icon-product of Meritalia designed by Gaetano Pesce in 2005. The upholstered furniture system is composed of pieces for free groupings thanks to a simple steel joint placed on the floor. Without sizing limits, each composition is different and personalized, thanks to the unique handmade elements.

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fuoribiennale

il museo del futuro?ipogeo The museum of the future? Underground la (eco)fabbrica del sapere/The (eco)factory of knowledge diario veneziano/Venetian diary 113 tendenze trends paris je t’aime 116 mostre Exhibitions trent’anni di/Thirty years of Fondation Cartier Murano GLass MasTers 2014 DavID LYncH: LosT ImaGes brevi/Short takes

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INdice/CONTENTS II

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in libreria in bookstores prospettive perspectves l’immagine come una poesia/Image as poetry sostenibile sustainability (eco)campioni del mondo/(Eco) champions of the world THe AFrIcan F aBBers ProJecT

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hi-tech

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sempre connessi/Always connected 140

web

design selezionato/Selected design INservice

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traduzioni translations indirizzi firms directorY 2

INtopics 1

editoriale editorial di/by gilda bojardi

INteriors&architecture

il progetto parla italiano

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design speaks Italian a cura di/edited by antonella boisi

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reggio emilia, il palazzo dei musei progetto di/design by italo rota foto di/photos by carlo vannini, marcello grassi testo di/text by antonella galli

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milano, la casa nel patio/The house on the patio progetto di/design by michele de lucchi foto di/photos by alessandra chemollo testo di/text by antonella boisi

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nel salento, mediterraneo eco

in Salento, eco-Mediterranean progetto di/design by massimo iosa ghini foto di/photos by cosmo laera testo di/text by antonella boisi

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bergamo, le forme del tempo/The forms of time progetto di/design by edoardo milesi & archos foto di/photos by ezio manciucca testo di/text by antonella boisi

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nella campagna di noto, un balcone sul barocco

in the countryside near Noto, A balcony on the Baroque progetto di/design by gianluca rossi foto di/photos by simone fregni testo di/text by antonella galli

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INdice/CONTENTS III

INsight INarts 34

art or sound di/by LaRA CONTE INscape

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una generazione esagerata

An exaggerated generation di/by Andrea Branzi

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INtoday

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fundamentals della biennale veneziana fundamentals of the Venice Biennale di/by matteo vercelloni

INdesign INcenter 52

design questions di/by laura ragazzola

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interpretazioni di italianità

Interpretations of Italian character di/by Valentina Croci

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oltre i limiti/BeYonD LImITS di/by danilo signorello

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i multiforme/Multiforms di/by nadia lionello foto di/photos by simone barberis

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metallo assoluto/Absolute metal di/by katrin cosseta foto di/photos by enrico suÀ ummarino INprofile

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davide groppi, elogio dell’ombra In praise of shadows di/by Cristina Morozzi

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pio e tito toso, nati dalla materia/Born of matter di/by Maddalena Padovani INproduction

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dietro le cucine/Behind kitchens di/by andrea pirruccio foto di/photos by maurizio marcato INservice

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traduzioni translations

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indirizzi firms directorY di/by adalisa uboldi

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INtopics / 1

EDiToriaLe

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ome di consueto, l’appuntamento settembrino offre un’ampia rassegna delle novità di progetto e di prodotto emerse ad aprile dal Salone e dal FuoriSalone di Milano. Ma in realtà “apriamo le danze” con un concetto: “Conservare è innovare” come ci racconta il Palazzo dei Musei di Italo Rota a Reggio Emilia: rivitalizzare la memoria per proiettarla in avanti. La medesima chiave di lettura informa i successivi servizi che, da nord a sud, parlano di progetto italiano e di case. Abbiamo selezionato interventi che non restituiscono gesti eclatanti, bensì la riscoperta di ‘fondamenti’ della disciplina architettonica. Come suggerisce Rem Koolhaas, curatore della XIV Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, con l’invito a una riflessione sulla nostra storia. Di seguito, una grande inchiesta. Trenta protagonisti del design internazionale rispondono a cinque quesiti formulati secondo la regola anglosassone delle cinque “W”. Lo spunto è il 60esimo anniversario di Interni, il tema è il futuro del progetto, su cui gli attori interpellati declinano le loro visioni, i loro programmi (e qualche piccolo segreto). In altre parole: perché e che cosa disegnare ancora? In quali Paesi concentrare le energie? Quando e come nascono le idee di un oggetto vincente? E infine Chi/Che cosa è il ‘progetto icona’ negli ultimi 60 anni di design? Di contrappunto, tutta la sezione dei prodotti è dedicata ad aziende, imprenditori e creativi di ‘casa nostra’ che credono nel valore dell’Italianità quale fattore distintivo e qualificante del loro lavoro. Testimonial di eccellenza, la Michetta di Gaetano Pesce, a cui è dedicata la copertina, simbolo di ingegno, creatività e lucida follia – quella capace di tramutare una visione ideale in qualcosa di concreto che rende più bello il nostro vissuto quotidiano. Gilda Bojardi

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Dal Palazzo dei Musei di Reggio Emilia, progetto di Italo Rota. Foto di Carlo Vannini.

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Lo studiolo, lo spazio di accoglienza dei visitatori, al primo piano. Nella pagina a fianco, la facciata esterna del Palazzo dei Musei (ex convento San Francesco). “I musei stanno trasformandosi in un componimento a più voci tra memoria, ricerca, scienza, industria, arte e umanesimo, mediato e reso possibile dalla partecipazione personale e dall’intervento del singolo, per testimoniare la libertà e la responsabilità che il futuro ci invita a considerare ogni giorno, sia come individui che come collettività. Uno degli elementi essenziali di questo museo è quello di offrire ai cittadini un processo individuale di esplorazione e di conoscenza che gli permetta di avere un’esperienza sensoriale, utile a ricordare il passato e a immaginare il domani”.

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igenerare un museo per l’architetto Italo Rota significa inventare nuove modalità di condividere la memoria comune, rendendola feconda di idee, creazioni, ispirazioni. Questo obiettivo lo ha guidato nel progetto di rinnovamento e ampliamento dei Musei Civici di Reggio Emilia, portato a compimento lo scorso maggio, con un’appendice che si chiuderà nel corso del prossimo anno. L’intervento ha riguardato il Palazzo San Francesco, edificio di antiche origini conventuali (1265), che da inizio Ottocento ha assunto varie destinazioni, fino a divenire la sede delle pregiate raccolte naturalistiche, storiche, artistiche della comunità reggiana. Il nucleo fondante delle collezioni civiche è dato dall’esemplare raccolta settecentesca dello scienziato di Scandiano Lazzaro Spallanzani, che comprende reperti zoologici, paleontologici, mineralogici, litologici e botanici, a cui nel tempo si sono aggiunte le raccolte di paletnologia del sacerdote Gaetano Chierici, varie collezioni artistiche, oltre a un grande numero di oggetti di memoria della città, della sua storia e della sua gente. Il progetto di Italo Rota ha riguardato la ristrutturazione dell’edificio con la riorganizzazione e il rimodernamento dei primi due piani, già utilizzati nel passato come spazi museali, e il recupero integrale del terzo piano (1800 mq in più di spazi espositivi), in cui sono state ricavate le aree per le mostre temporanee, per lo spazio Kunsthalle su due livelli, per un’agorà e un laboratorio, per le stanze dedicate ai progettisti e ai makers (artigiani digitali) del Fablab reggiano, che in questi luoghi vengono a svolgere il loro lavoro quotidiano. Al primo piano, quello dell’accoglienza e della collezione Spallanzani, sono stati rinnovati l’atrio con la biglietteria, la libreria e lo studiolo in cui i visitatori possono sostare prima della visita: una stanza, quest’ultima, in cui le pareti sono illustrate da grandi figure grafiche e multicolori di animali, quasi a introdurre, come in una dimensione onirica, gli incontri tra natura, storia e presente che attendono i visitatori. In questo piano, come anche al secondo, gli interventi architettonici hanno sostanzialmente rispettato le caratteristiche tipologiche, storiche e strutturali del palazzo, attualizzandole nelle funzioni e interpretandole secondo un’ottica che suggerisce – attraverso le luci, le superfici neutre, l’incrocio con elementi contemporanei – la dimensione del sogno. Lo spazio del museo, nella visione dell’architetto Rota, è definito come un’area privilegiata dell’immaginazione e dell’inconscio, in cui e su cui incrociare le tracce del passato, attraverso passaggi e scarti di coscienza, e non unicamente deputato, come in passato, alle finalità razionali e positiviste di studio e classificazione. A questa visione vanno, quindi, ricondotti gli elementi modulari delle luci che tracciano i

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percorsi e definiscono poeticamente i volumi degli spazi, degli arredi e delle opere, ma anche gli inserti contemporanei che qua e là scompaginano l’ordine costituito, come il piano laccato rosso con inserto luminoso, sovrapposto al tavolo ottocentesco della biglietteria, o le casseforme lignee che ingabbiano alcuni portali della galleria, su uno dei quali compare, a sorvegliare il passaggio, la maschera mortuaria dello stesso Spallanzani, illuminata da tre lampadine nude come in uno specchio teatrale. Sempre per assecondare le libere associazioni, l’architetto ha identificato, per ciascun livello, uno spazio Pièce Unique, in cui sono esposti i pezzi eccellenti delle raccolte civiche: la Venere di Chiozza (al primo piano), classificabile tra i più antichi idoli del Paleolitico; la rarissima tazza d’oro (al secondo piano) risalente all’età del bronzo e rinvenuta a Montecchio Emilia nel 2012; la scultura in ottone

Italo Rota firma il progetto del Palazzo dei Musei di Reggio Emilia, dove ripristina e attualizza la sede delle collezioni civiche, sviluppando una nuova idea di museo.Una visione che parte dal patrimonio storico e arriva a rivitalizzare la memoria comune, proiettandola nel futuro

Conservare è innovare e ceramica La monta solare di Fausto Melotti (sempre al secondo piano) del 1969-79; la Croce di luce di Claudio Parmiggiani, all’ultimo piano. Il terzo e ultimo piano, prima inutilizzato, è stato convertito per intero in spazio dedicato al contemporaneo, dove si incrociano più funzioni: le esposizioni temporanee, i laboratori dei makers, la galleria d’arte, l’agorà e i laboratori per il pubblico. Qui la manica lunga deputata alle esposizioni temporanee è sede, fino a Expo 2015, della mostra For Inspiration Only, ideata da Italo Rota, che assembla centinaia di oggetti provenienti dai depositi dei Musei Civici, di varie tipologie ed epoche, che raccontano storie della città. Un totale di 365 vicende, 50 già scritte, le altre che si aggiungeranno nel corso dell’anno, a cui ciascun cittadino può portare un suo frammento di memoria personale. Con questa mostra, e in questo spazio, si palesa maggiormente il concetto di museo elaborato da Italo Rota per questo progetto: lo spazio per una narrazione collettiva, in cui gli oggetti, accostati liberamente, divengono stimolo per una presa di coscienza, per la rilettura del passato e per l’invenzione di un futuro comunitario. “In questa fase di cambiamento la gente conserva, le case sembrano dei mini-musei”, afferma Italo Rota, “conservare significa stabilire relazioni, decidere cosa e quanto è importante: la forma del museo è

progetto di italo rota project collaborator Carlo Ferrari, Francesca Grassi lighting project Alessandro Pedretti foto di Carlo Vannini, Marcello Grassi testo di Antonella Galli commento alle immagini di Italo Rota

venuta fuori da questo. For Inspiration Only è una selezione di oggetti realizzata con il solo e unico scopo di ispirare idee. Senza imporre una visione, una logica interpretativa. In questo momento di grandi trasformazioni, conservare è indissolubilmente legato a innovare”.

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24 Aprile 2010. – Verso il nuovo Museo/ Installazione 1 – “Prove generali di un Museo”, “L’amore ci dividerà”, “Una grande Arca di Noè”.

Nel cantiere del museo aperto per l’occasione, i cittadini portano gli animali impagliati, per costruire insieme l’identità del nuovo polo culturale. Una nuova installazione che avvia il progetto di riallestimento della sede museale. Gli spazi all’ultimo piano del palazzo si animano all’insegna del motto “Il Museo è ora”.

The Blu Planet by Peter Greenaway/Saskia Boddeke. Dopo la messa in scena di questa opera all’Expo di Zaragoza dedicato al tema del futuro dell’ acqua e dove insieme al mio studio abbiamo inaugurato il padiglione Città d’Acqua, questo lavoro arriva al Teatro Municipale di Reggio Emilia (21-22 marzo 2009). Anche qui la storia da cui si sviluppa l’intera vicenda è a noi nota dalla notte dei tempi: è la storia del diluvio universale, e di Noè che costruisce l’Arca per ‘salvare’ gli uomini e gli animali. “2014: salviamo anche tutti i vegetali del Giardino Planetario”. (Foto di Franco Laera)

Durante i lavori di realizzazione del museo (2012-2014, first step), abbiamo ‘scavato’ nei depositi dei musei civici e ritrovato inaspettati ‘tesori’ conservati con cura. Caratteristica del Museo di Reggio è quello di essere un vero e proprio Museo dei Musei, che integra collezioni importanti, preziosa testimonianza della museologia ottocentesca, ma anche piccoli e curiosi contributi portati dalla cittadinanza.

12-14 Aprile 2012 – Verso il nuovo Museo/Installazione 2 – “Gli oggetti ci parlano/Lavori in corso”. I cittadini di Reggio Emilia sono stati invitati a consegnare oggetti degli ultimi sessant’anni. Legati alla propria memoria, ma scelti con un atto critico, privilegiando quelli che, per il loro tempo, hanno significato un’innovazione, una svolta, un cambiamento. Sono stati proposti quattro temi della nostra vita che oggi sono in rapido cambiamento e che hanno quindi bisogno di nuove riflessioni: come mangeremo, come vestiremo, come condivideremo, come parteciperemo.

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Come il visitatore si trasforma in viewer e quindi in artista.

3 maggio 2014 – PALAZZO DEI MUSEI OPENING

Installation (dalla mostra L’amore ci dividerà, 2010): è il metodo che Goethe sviluppa a partire dalle scienze naturali, ossia non si pongono semplicemente due cose l’una accanto all’altra, ma diverse. Si cerca di partire da questi insiemi per stabilire il cammino che va da una cosa all’altra e viceversa, in modo che l’osservazione divenga essa stessa creatrice. Perché quello che è decisivo è sapere se possiamo passare da un oggetto all’altro. Nella misura in cui questo sia possibile, la contemplazione diviene comprensione. Perché le cose prese una per una non sono, giustamente, niente. È in realtà sempre un processo sensibile/ultrasensibile della creazione sulla sostanza. Che cos’è l’arte? Dialogo tra Joseph Beuys e Volker Harlan. (Foto di Marcello Grassi)

L’atrio di ingresso ai Musei, al primo piano.

Portale/armadio/passaggio dagli ambienti delle collezioni ottocentesche (confermati nelle loro storicizzazioni e solo ravvivati da piccoli e mirati interventi) ai nuovi ambienti restaurati. Accoglie il visitatore il pellicano impagliato della collezione di Storia Naturale Lazzaro Spallanzani.

Venere, arenaria, Chiozza di Scandiano, opera di periodo Paleolitico Superiore, rinvenuta in contesto Neolitico.

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L’antica cassaforte che conteneva e proteggeva uno dei più preziosi reperti dei Musei, la Venere di Chiozza, è stata restaurata e trasformata ed è diventata a sua volta teca espositiva. La Venere non ha cambiato né luogo né ‘habitat’: solo piccoli interventi alla sua ‘casa’ per farla diventare la star del Museo.

Tratto dal Glossario ad uso del Museo: A come ambiente... Gli ambienti non sono solo contenitori, bensì processi che cambiano totalmente i contenuti. (Marshall McLuhan, in Eric McLuhan & Frank Zingrone, Essential McLuhan, Routledge, 1997)

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Al primo e al secondo piano - la visita al museo continua...

Le sale storiche restaurate e fotografate un attimo prima di essere allestite con le mostre di Reggio Emilia Fotografia Europea, maggio 2014.

Sarah Moon, Journal de voyage, Les pélicans, 2013© Sarah Moon, serie Alchimies. Questa e la successiva foto di Reggio Emilia Fotografia Europea, 2014 ritraggono la Collezione di Storia Naturale Lazzaro Spallanzani.

Reggio Emilia Fotografia Europea, 2014. Claudio Parmiggiani (in collaborazione con Luigi Ghirri), Alfabeto, 1973 © Claudio Parmiggiani Courtesy Osart Gallery, Milano.

Dopo aver visitato questi ambienti, si sale al secondo piano attaverso lo scalone monumentale restaurato. L’affresco e le bacheche, che risalgono al periodo in cui questi ambienti erano destinati ad edificio scolastico, sono stati conservati. L’illuminazione è realizzata con lampadine tipo ‘Edison’ d’epoca. L’innesto contemporaneo è affidato a due grandi lanterne Calenda di Artemide, design Rota Pedretti.

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Dal secondo al terzo e ultimo piano: un’esperienza informativa, emotiva e sensoriale.

Al termine della scalinata in marmo, nel grande volume vetrato, ci accoglie il secondo tesoro dei Musei, la Tazza, oro, Montecchio Emilia, Cave Spalletti, antica Età del Bronzo, XVIII-XVII sec.a.C.

Ingresso alle collezioni del Secondo Piano e alla Pinacoteca Antonio Fontanesi. Scavando nei tanti fondi e raccolte del museo, abbiamo cercato un metodo per ‘usare’ tutte le cose trovate, raccontare storie e collegamenti, immaginando il futuro della nuova Reggio Emilia.

L’area delle mostre temporanee è ricca anche di sale espositive dove organizzare riunioni, workshop, rivolti al grande pubblico: il focus è su una rappresentazione composita e realistica del futuro, dalla prospettiva che parte dalla memoria e, attraverso laboratori didattici, diventa esperienza progettuale. Un’ attenzione speciale è riservata ai giovani, più portati ad accogliere i cambiamenti.

La mostra temporanea For Inspiration Only prende spunto dal titolo di un piccolo libro di Future Systems pubblicato circa venti anni fa, in cui Jan Kaplicky, attraverso 100 oggetti, ci incoraggiava ad esplorare il mondo e a ispirarci a tutto; ad osservare il pianeta dallo spazio esterno fino alla più piccola struttura subatomica delle particelle sulla terra.

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365 Oggetti/365 storie/ Un grande cruciverba sulle pareti della sala che ospita la mostra. 365 cose commentate: Istruzioni per l’uso dei visitatori: Una cosa al giorno ...365 cose che ci accompagnano per un anno. Qui troviamo le prime 40. Vuoi aiutarci? Le vuoi commentare? Vai su www.musei.re.it Il Capodoglio, al centro, è il protagonista della prima storia.

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Un museo dove il curatore è l’intera umanità.

Jimmi Hendrix ci suggeriva in Are you experienced ?: Se per un attimo riesci a farti funzionare la testa... Hai mai sperimentato qualcosa di simile?... Non necessariamente qualcosa di sballato, ma meraviglioso...

Dalla mostra For Inspiration Only, prova generale di un museo planetario dove la terra è ormai un piccolo giardino e il tempo è un attimo. Il curatore del museo planetario propone di guardare la diversità come una garanzia di futuro per l’umanità. La missione diventa conoscere, recensire e proteggere le differenze. Un invito a porci la seguente domanda: è possibile usare la diversità culturale e naturale, dopo averla rivelata e compresa, senza distruggerla? Le collezioni del museo ci permettono di proporre al visitatore mille incroci, quasi un cruciverba tra cultura e natura.

Diorami come installazioni. Il visitatore si trasforma in un occhio con protesi, un viewer. Penetrare nel diorama si trasforma in una immersione, spettacolare, dove il visitatore è sperimentato, attraverso i suoi sensi, attraverso la mente, con un effetto mnemonico, che poi rimarrà impresso finita l’esperienza.

Sala Pièce Unique : Claudio Parmiggiani, Croce di luce, 2003. Metallo, pigmenti e spezie, cm 680 x 680. Collezione dei Musei Civici di Reggio Emilia.

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Agorà e Laboratori Didattici, aperti al confronto tra discipline e saperi.

Diventiamo punto di incontro tra pratiche estetiche e politiche di cittadinanza. Impariamo dalla natura. La natura, i suoi protagonisti, le sue storie e realizzazioni, come modello evolutivo da imitare nei processi costruttivi del nuovo.

Con la presenza del FAB-LAB e del progetto Circus di Denis Santachiara, il museo dà spazio alle eccellenze dell’artigianato e dell’industria locale fino alle nuove frontiere delle stampanti 3D. Si crea una piattaforma di scambio tra il mondo dell’industria e le esperienze della creatività.

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I nuovi spazi Kunsthalle sono dedicati ad opere degli anni Cinquanta e Sessanta, ma anche alla straordinaria esperienza di vita nell’arte di Rosanna Chiessi. Le serre conservano collezioni del movimento Fluxus e della casa editrice Pari & Dispari Editori.

Il museo per sua natura conserva, produce memoria, offre cose per pensare a come eravamo, ma anche per riflettere su come saremo. Come in tutti i momenti di grandi trasformazioni, ci poniamo la domanda se la modernità è contro la conservazione. Ma forse modernità e conservazione non sono così in antitesi, la conservazione è stata inventata come parte di un’ondata di innovazione nel periodo tra la rivoluzione francese e la rivoluzione industriale. Nel turbine del cambiamento è fondamentale decidere cosa rimarrà immutato. In questo progetto l’atto di preservare diventa fondamentale. Business as usual vs ecological revolution vs modernity vs conservation.

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La casa nel patio A Milano, la casa di una giovane coppia, ricavata negli spazi di un laboratorio artigianale di pasticceria, dove tutto ruota intorno alla corte interna, fulcro e cuore della composizione. Un ‘vestito su misura’ che comunica solidità formale e profondità sentimentale progetto di Michele De Lucchi team di progetto Alberto Bianchi (capo progetto) con Simona Agabio collaboratori Greta Corbani, Alessandra De Leonardis, Alessandro Ghiringhelli foto di Alessandra Chemollo testo di Antonella Boisi

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na giovane coppia, lei psicologa e lui imprenditore: mi hanno chiesto di disegnare la loro casa; e in un esercizio di introspezione psicologica è stato divertente scoprire cosa pensano di diverso rispetto a me quando avevo la loro età ed ero nella medesima condizione di capire come ‘spendere’ la vita”. Michele De Lucchi, un nome che non ha bisogno di presentazioni sul palcoscenico internazionale del progetto, ha riavvolto qualche flash back random intorno al tema da sviluppare: “Il ricordo dell’immagine dell’azienda agricola ottocentesca, nella frazione di Busseto in cui è nato Giuseppe Verdi, che fu ambientazione del film Novecento di Bertolucci. E quello degli interni da me abitati, tutti con la presenza di una loggia – a Vicenza bambino dai nonni, a Padova coi genitori, ad Angera ora – una figura che ho poi ripreso come elemento progettuale a Palazzo Litta e negli interventi in Georgia dove è presenza ricorrente. “Sono partito da qui” spiega “per ordinare il ‘tempo della vita’ di un ruvido laboratorio di pasticceria nel centro di Milano, nato in fasi successive, dopo la guerra, al piano terra di un palazzo d’inizio secolo. Nelle sue casualità distoniche rendeva già percepibile una grande

potenzialità: la possibilità di realizzare un patio interno privato a cielo aperto che è diventato il cuore dell’abitazione, sul quale si affacciano tutti gli ambienti e ruota la composizione architettonica. Un centro gravitazionale e di relazione, anche con la natura, che riporta all’attenzione gli eventi atmosferici e si presta a stimolare una dimensione estroversa e non artificiale”. Superato l’ingresso principale dal cortile condominiale, la ‘scatola’ rettangolare, bucata al centro dalla corte segreta sulla quale attestano le aree del vivere quotidiano, svela subito chiarezza distributiva: dalla bussola d’entrata, che disimpegna sui lati rispettivamente una camera-ospiti con servizi dedicati e un ambiente studio, si raggiunge la baricentrica sala tv aperta da una parte sulla stanza con camino e dall’altra sul pranzo (comunicante a sua volta con l’ambiente cucina) connotato dalla presenza della scala lineare ed essenziale, in ferro e legno, che scende in un piano interrato per accogliere la zona fitness e i locali di servizio. Infine, la zona notte articolata con una master room dotata di due cabine armadio e bagno e con altre due camere, relazionate, con un disimpegno foderato di librerie, alla sala con camino. “Nell’addizione di parti compiute in una

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Il patio visto dalla master room. Si notano le nuove portefinestre ad arco ribassato in bronzo realizzate su disegno da Secco Sistemi e il disegno delle ringhiere in metallo decorate della loggia. Tutto rifatto sulla base di modelli originali. La scenografica zona di disimpegno all’interno dell’area notte padronale, corredata di due cabine armadio e di un bagno, foderata con pannelli in legno laccato, accostati a fondali in vetro trasparente o a specchio. Dall’area pranzo, una vista del living e sul fondo della sala con il camino. Il divano è di Baxter, il mobile contenitore basso su disegno del proprietario. Lampade di Produzione Privata.

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Controcampo della promenade di distribuzione interna alla master room. Alla continuità visiva e all’unitarietà dell’ambiente, contribuisce la pavimentazione uniforme in legno di larice (Merelli). E il disegno delle porte in rovere e vetro che riprendono figurativamente l’abaco degli infissi esterni in bronzo. In primo piano scorcio del bagno, con boiserie, lavabo di Flaminia, rubinetteria Stella. Schizzo di progetto riferito alla figura di riferimento compositivo e ispirazione elettiva rappresentata dal patio sovrastato dalla loggia.

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Focus sulla zona pranzo con il tavolo dalle gambe tornite in legno e ferro bianco, realizzato appositamente su disegno e corredato di sedie e luci a sospensione di Produzione Privata. Nella zona living comunicante, in primo piano, divano di Baxter.

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sintesi d’insieme che è diventata questo palcoscenico domestico” continua De Lucchi “ho riflettuto sul fatto che la modalità di gestione del processo decisionale si impara col mestiere, perché non diventi imposizione da una parte o dall’altra. All’inizio discutevo molto con i committenti e ci rimanevo male. Sarà che la barba aiuta, ma ho maturato la consapevolezza, molto confortante, che tutte le scelte sono, in ogni caso, contingenti perché seguono due grandi regole: sono la derivazione di un’immaginazione e si relazionano alle condizioni di quel momento, anche in termini di certezze. Sai che se introduci degli elementi che modificano l’immaginazione puoi arrivare ad altre decisioni. Non a caso ho pensato alla casa di una coppia in crescita e a come ritagliare due stanze

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per bambini futuri, che, in una superficie di 450 mq più 75 di patio, ci stanno. Certo, resta da calibrare quanto in profondità nell’intimità il progetto possa andare, proprio in virtù del fatto

che la casa è il palcoscenico nel quale recitare la propria esistenza. E se il palcoscenico non è adatto a recitare il ruolo che hai in mente per te stesso non ti piacerà mai e non sarà mai usata a fondo”. Per questo progetto generoso e fertile, De Lucchi ha messo in scena una cornice robusta, non solo rinforzata strutturalmente, ma resa tangibile soprattutto nei materiali adottati che sanno di durevole, ben fatto, modellato: legno di larice per i pavimenti e di rovere per l’arredo e le porte interne; bronzo per gli infissi. Di fatto, ogni spazio e ogni presenza partecipano alla narrazione di una solidità anche interiore molto forte, nel rispetto del genius-loci e delle sue sedimentazioni più interessanti. Così diventano ‘fili’ che si intrecciano intorno al patio le finestre e le portefinestre, tutte

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L’area-bussola d’ingresso con la First Chair di De Lucchi per Memphis (1983) e la parete finita con la tecnica della sagramatura, che lascia a vista il mattone. Sul fondo, due pezzi di Produzione Privata: composizione di sedute-sgabelli Bisonte (2005); attaccapanni Tanti Saluti (2011), entrambi in multistrato di betulla. Scorcio della master room. Lampada a parete di Artemide. Nella pagina a fianco, la generosa e luminosa cucina, con il soffitto segnato dal sistema di travatura lignea alla Sansovino, ricorrente anche nella zona notte. Si nota l’infilata delle portefinestre ad arco ribassato. Cucina ad isola di Arc Linea. Tavolo di recupero e sedie di Alias. La scala con struttura in ferro, corrimano e gradini in legno, che conduce alla palestra ricavata nel seminterrato e corredata di attrezzi Technogym.

nuove e unificate nella forma, ma a partire da un elemento di riferimento autentico, quell’arco ribassato trovato in loco, ricostruito secondo tecniche tradizionali. Come le ringhiere in metallo decorate della loggia superiore, rifatte sulla base del modello originale. Rappresentano segni e segnali di memoria. Alla stregua di quei muri che, accanto alle pareti finite a intonaco a calce, riscoprono l’identità del mattone lasciato a vista con la tecnica della sagramatura, una mano di calce di livellamento e chiusura di tutte le fughe a impedimento di infiltrazioni. O ancora, delle porte interne, le cui quadrettature in rovere e vetro riprendono l’abaco dei serramenti riproposto con modalità contemporanee. I soffitti ripropongono invece in molti ambienti il sistema di travatura

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lignea alla Sansovino, di eredità lombardo-veneta, con un’alternanza molto ravvicinata di porzioni piene-vuote degli elementi. Soltanto nelle boiserie a pannelli che vestono le cabine armadio, il legno è stato artefatto, laccato, e accostato a fondali vetrati o a specchio, per dilatare la percezione degli spazi e raggiungere un maggiore equilibrio. “Il legno è un bel materiale, ha profondità formale e sentimentale” riconosce De Lucchi “ma va ben dosato per evitare l’effetto da chalet rustico di montagna”. Il progetto d’arredo ha seguito i medesimi parametri di riferimento. Pochi e selezionati i pezzi, il tavolo da pranzo dalle gambe tornite, lampade e oggetti disegnati dall’architetto che hanno riempito le nicchie delle librerie. “C’è molto della mia ricerca portata avanti, dopo il

1990, quando ho iniziato Produzione Privata, uno di quei casi in cui la parola ha trascinato l’idea: voglia di sperimentare fuori dal sistema del mercato e dal catalogo delle aziende. Sottsass diceva: con Memphis l’industria è al servizio del designer e non viceversa. Nel mio, continuo un’idea di design che è sempre più legata all’artigianato, al saper fare tradizionale e alle piccole serie. In trasferta nel campo dell’architettura, anche quando i fornitori non sono gli stessi, le linee-guida, dal sistema del disegno alla campionatura alla realizzazione, lo sono sempre”. Ecco perché alla fine questa casa ‘ovattata’ senza ostentazione, dall’atmosfera rilassante e silenziosa, quasi sospesa, invecchierà benissimo.

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Nel Salento, il progetto di un’abitazione ecosostenibile, realizzata coniugando materiali e modalità costruttive tradizionali con tecniche di controllo passivo e attivo di concezione contemporanea

Mediterraneo eco La zona da vivere en plein air antistante l’ambiente living (esposto a sud), pavimentata in pietra Chianca di produzione locale che integra la figura di una rigogliosa pianta di ulivo preesistente. È stata attrezzata con una struttura lignea acidata che funge da pergolato e, in un angolo, con poltrone su disegno e tavolini di artigianato. Si nota il taglio originale del tufo di Acquarica nei rivestimenti di facciata che disegna una tessitura di sapore wrightiano. Luci da esterno iGuzzini. Nel disegno: planimetria dell’insediamento.

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progetto di Massimo Iosa Ghini foto di Cosmo Laera testo di Antonella Boisi

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Viste esterne della casa che si ritaglia il suo spazio, con una figura a doppio ferro di cavallo, su un terreno di oltre un ettaro, ricco di ulivi e di pini marittimi, integrando piccole corti e zone di sosta, a cielo aperto e il volume indipendente dell’antica pajara, in pietra a secco, che, restaurata e corredata di una zona attrezzata outdoor, è stata destinata a dependance per gli ospiti. La scala esterna delimitata da muri finiti a calce bianca conduce alla copertura piana destinata a solarium e a belvedere panoramico su campagna e mare.

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iamo nel basso Salento, nei dintorni di Salve, a pochi chilometri da Santa Maria di Leuca e dal mare, nel buen retiro di Massimo Iosa Ghini, architetto e designer di primo piano nel panorama del progetto internazionale. Abbastanza distanti per sentirsi in campagna e in mezzo alla natura: vita, silenzi e venti salmastri. Nel suo essere globetrotter, Iosa Ghini ha scelto quest’angolo di Puglia come luogo di vacanza per sé e famiglia “Milena (Mussi, ndr) ha contribuito, partecipando attivamente al progetto” spiega “perché, abbracciando l’idea albertiana secondo la quale prima di costruire è necessario stare almeno un giorno intero in un luogo (in realtà, per noi sono stati più di uno), ho interiorizzato la consapevolezza che questa terra rossa, con le sue pietre chiare, gli ulivi secolari, la cucina, ha un suo metabolismo e un respiro non affannoso, a prescindere. Una dimensione archetipa ideale per rigenerarsi e facile da raggiungere, anche durante i fine settimana. Volevo che l’ambientazione creata da me ne fosse parte: integrata e figlia delle stesse rocce su cui poggia, acquattata in modo discreto tra le alberature esistenti, i tronchi contorti e attorcigliati su se stessi di antichi ulivi, estroversa e aperta a un rapporto osmotico autentico”. Detto fatto.

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L’architettura della casa, ex novo, si distende su un unico livello, su un terreno di oltre un ettaro, ricco di maestosi ulivi e pini marittimi, la tipica vegetazione del posto. È bella, perché essenziale: precisa nei tagli, di sapore modernista, incisiva nella figura leggera, sapiente nell’ordine e proporzione tra volumi e spazi, fatta di una matericità grezza che recupera tradizioni costruttive e manodopera locale. Ma è anche buona, perché contraddistinta da un cuore eco di ultima generazione, pensato per ottimizzare risorse e costi, grazie all’impiego sia di tecniche di controllo passivo (brise-soleil, vetri basso emissivi, pergolati

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Nella zona del pranzo-cucina che forma un tutt’uno con l’ambiente living fa capolino il design: tavolo da pranzo H2O di Bonaldo, sedie Stealth di Livoni, cucina su disegno e sgabelli Leo di BRF.

verdi, sfruttamento dell’ombra naturale delle essenze presenti) che di controllo attivo (come i pannelli fotovoltaici collocati in zone non accessibili della copertura). E questo è il dato più sorprendente: come se, anche in un contesto rilassato, il maestro della corrente bolidista non potesse rinunciare alla sperimentazione che è nel suo dna, bilanciando con equilibrio rispetto del genius-loci e modernità d’intervento. “Deformazione professionale” dice. “Ho studiato con attenzione il percorso del sole e come si muove la terra che, in marzo-aprile, è coperta di arbusti in crescita esponenziale nella parte degradante verso il mare

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visibile all’orizzonte, la sua ciclicità e la forte escursione termica di cui è oggetto: molto secca d’estate, altrettanto umida d’inverno. Ho ascoltato i suggerimenti di architetti e maestranze locali che mi hanno spiegato tecniche di lavorazione e caratteristiche dei materiali autoctoni”. Le scelte progettuali sono state una derivazione di quest’accurata analisi. Il disegno della planimetria, ispirato dall’immagine delle masserie salentine, è stato ragionato proprio per integrare le radici degli alberi preesistenti. La copertura piana, parzialmente destinata a solarium, cui si accede da una scala esterna, è diventata il privilegiato

belvedere panoramico sulla campagna e sul mare. Il rapporto costante tra spazi interni ed esterni enfatizzato dall’adozione di ampie partizioni vetrate con sottili infissi metallici: sei metri quella del generoso living, esposto a sud e collocato in posizione centrale, su cui attestano quattro camere da letto con relativi vestiboli e servizi. Si integra, sulla sinistra, con un hortus conclusus aperto alle zone da vivere en plein air. E si collega, con un sentiero, in cemento levigato, all’unico volume autonomo preesistente: una pajara, oggetto di restauro conservativo, prestata alla funzione di dèpendance per gli ospiti.

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L’ambiente living-pranzo-cucina: uno spazio unitario pavimentato uniformemente in gres porcellanato di Graniti Fiandre, su cui attestano gli ambienti-notte. Fulcro della composizione, e segnato dalla presenza di un essenziale camino in pietra leccese, è arredato con pochi e selezionati pezzi di design: divani e tavolino del sistema Hi-Pop di Moroso, lampade a sospensione Cannettata di De Majo.

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Le scelte materico-cromatiche hanno privilegiato per la pavimentazione esterna la locale pietra Chianca, fatta di polvere lapidea e malta ad effetto resina lucida, nelle cromie di riferimento, chiare quasi bianche; per quella interna, invece, dei grandi pannelli in gres porcellanato rettangolari, complanari e privi di fuga, nelle medesime nuance. “Non volevo correre rischi di infiltrazioni dentro casa: la pietra Chianca è affascinante, ma fessura” spiega Iosa Ghini. Per le pareti perimetrali, in certe zone trattate a secco o finite a calce, è stato adottato intensivamente il modello del ‘muro a sacco’ che, in virtù della notevole profondità, rappresenta una buona schermatura anche

rispetto al calore: all’interno è tufo di Acquarica di misura standard (35x70 cm), nel mezzo un pannello coibente in feltro, sull’esterno ancora tufo, ma tagliato a metà, ad ottenere una sorta di elegante dogatura di reminiscenza wrightiana. Le zone dei pergolati sono state risolte con strutture lignee acidate a risultare quasi bianche e corredate di cannucciati che filtrano la luce accecante del giorno. Amalgamati da quel bianco-guida non omogeneo accostato a tonalità corda e grigie, i medesimi materiali e colori ritornano negli spazi interni. Tutte grigie sono ad esempio le cornici delle porte in legno laccato, di fattura locale. In pietra leccese, il camino del living, figura

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catalizzante ed emblematica per essenzialità. Per il resto, quasi azzerate le concessioni decorative: pochi oggetti di selezionato artigianato e qualche arredo di design d’affezione. Come il tavolo disegnato per Bonaldo che introduce un elemento di forte contrasto distonico nell’insieme, con lo ‘scarabocchio’ tridimensionale della sua base, accompagnato dalle sedute in legno di rovere acidato di produzione friulana, o il divano di Moroso. “Protagonista assoluta del palcoscenico domestico resta infatti quella luce tagliente che, sia dentro che fuori, ridisegna ogni geometria con le sue ombre nette e precise” ha riconosciuto Iosa Ghini. Più di così...

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L’ambiente multifunzione (living-notte) dedicato agli ospiti nell’antica pajara ristrutturata, caratterizzata dalla copertura a botte in pietra a secco come le pareti. Accanto, dettaglio del bagno di pertinenza: piano in resina, lavabo di pietra leccese, rubinetteria di Teuco, specchio a misura. Una camera con il suo bagno, nella costruzione ex novo. Sedia Tolix e sgabello-tavolino Yò Yò di BRF, testata letto con disegno Iosa Ghini prodotta da ABS Group. Sanitari e rubinetteria Teuco, lavabo in pietra leccese, scaldasalviette di Antrax, soffione-doccia di Teuco.

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Innesti minimali in un’esclusiva residenza di Bergamo alta, sviluppata su due livelli, che dialoga con la sua impegnativa storia architettonica attraverso trasparenze, leggerezza e luce, paradigmi di una qualità senza confini

le forme del tempo

progetto di Edoardo Milesi & Archos foto di Ezio Manciucca - testo di Antonella Boisi

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na casa di alto profilo e carattere che si misura con la complessità di un preesistente storico vincolato dalle Sovrintendenze ai beni monumentali-archeologici e architettonicipaesaggistici della Lombardia; connotata da volumi austeri e profondi, coperture voltate a stella, portoni ad arco, trifore e finestroni rettangolari con elementi a croce, rivestimenti in pietra a lastre piatte. L’edificio, frutto di più innesti, in cui si ritaglia il suo spazio – circa 500 mq ottenuti dalla fusione di due alloggi attigui al piano della terrazza – era, infatti, nato in epoca tarda medioevale come monastero, poi diventato studentato, ruolo svolto fino agli anni Settanta, quando è stato venduto e frazionato in unità abitative. “In realtà, durante i lavori di ridefinizione

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Scorcio della cucina realizzata su disegno e racchiusa in una scatola “acquario” di acciaio e vetro completamente a vista sul living. Nella pagina a fianco, l’area d’ingresso e le planimetrie dei due livelli dell’abitazione.

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della distribuzione interna, che ha comportato come opere murarie, quasi esclusivamente le demolizioni dei tramezzi realizzati negli anni Settanta, sostituiti da interpareti attrezzate, affinché le massive murature storiche restassero protagoniste assolute, abbiamo ritrovato tra i detriti un tempietto paleocristiano che vuole l’insediamento ancora più antico” ha spiegato l’architetto bergamasco Edoardo Milesi che firma la realizzazione. Classe 1954, studi presso l’IUAV di Venezia e laurea al Politecnico di Milano con Franca Helg, co-fondatore della rivista d’arte e cultura ArtApp, Milesi è riconosciuto come un talento nel restauro per la particolare attenzione agli aspetti costruttivi degli interventi, che seguono l’orientamento della bioarchitettura e della continuità con la tradizione. “Nello specifico” continua “ho dovuto confrontarmi scrupolosamente con i ‘fondi’ dell’originario monastero per attenuare il senso del limite tra aree aperte e chiuse e portare luce nella profondità dei volumi. Sono comunque partito da un dato favorevole: l’esposizione a sud del terrazzo di pertinenza dell’abitazione, che spazia sul panorama di Bergamo bassa ed era il camminamento delle mura romane della città, al cui interno si sono inglobate nei secoli ville e palazzi”. La prima necessità è stata proprio quella

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Viste dell’isola living pavimentata con tavole in teak di recupero, un materiale ricorrente in molti ambienti. Gli arredi (come gli infissi) sono stati realizzati su disegno di Edoardo Milesi &Archos, fatta eccezione per le poltrone vintage e il tavolo da pranzo firmato da Mario Botta per Riva 1920.

di restituire massima trasparenza all’architettura e fluidità agli spazi tutti vissuti in modo conviviale. “Abbiamo individuato quattro macro aree dentro un’immaginaria linea connettiva che, come una dorsale di luce, le attraversa tutte: un percorso di 25 metri lungo il quale si snodano episodi funzionali quasi mai delimitati da porte”. La prima grande area è stata riservata al soggiorno disposto a sud e aperto sulla terrazza, che accoglie anche la stanza hobby, la biblioteca, l’office tamponato con un’interparete in tessuto di lino a righe verticali; e soprattutto, la cucina racchiusa in una scatola di acciaio e vetro, concepita come una soglia dinamica permeabile alla vista e comunicante a sua volta con la corte interna recuperata a giardino d’inverno, filtrata da un’estesa parete trasparente. La zona notte comprende invece due isole compiute e distinte. Quella dedicata ai figli – due ambienti con

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L’ambiente cucina aperto visivamente sul living comunica anche con la corte interna privata recuperata a giardino d’inverno, delimitata da un’estesa parete trasparente. Faretti di Kreon.

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Nella zona di disimpegno tra i due bagni della master room rivestiti a doghe lignee e travertino osso, spicca la campitura vetrata del pavimento, fonte di luce zenitale per la piscina sviluppata al livello sottostante. In primo piano, un pezzo icona del design: la Long Chair di Marcel Breuer, 1935-1936.

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Viste della master room segnata dalle antiche volte a stella. Il letto e la testata, su disegno di Edoardo Milesi & Archos, sono rivestiti con tessuto jacquard in puro lino De La Cuona. Appositamente realizzata anche la cabina armadio retrostante.

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relativi servizi, raggiungibile dal soggiorno attraverso la biblioteca con un disimpegno foderato in bouclé di lana – e quella della master room articolata dalla grande cabina armadio, dall’area fitness retrostante e da due bagni connessi con un’insolita campitura vetrata di pavimento, fonte di luce zenitale verso la sottostante piscina. Perché, ebbene sì, la casa si sviluppa su un secondo livello inferiore: un’appendice riservata in toto al relax privato e, come un esclusivo gioiello, celata ad occhi indiscreti. La piscina-hammam si raggiunge direttamente soltanto dall’area fitness organizzata dietro la cabina armadio, tramite una scala in nero d’Africa scanalato a mano che, con inconsueto effetto scenico, entra e si conclude nella vasca d’acqua, mentre l’accesso alla zona relax sul deck “zattera”, è garantito da una passerella, in legno e acciaio, automatizzata a ponte levatoio. Sapiente

intuizione del progettista è stata quella di ricavare la piscina, senza modifiche strutturali, in quella che era stata la cisterna di raccolta dell’acqua piovana all’interno delle mura romane, rendendola ispezionabile – nella porzione sotto deck – dalle scale condominiali. Pochi interventi compositivi, dunque, ma efficaci e mirati hanno confezionato un ‘abito su misura’ che si presenta minimale nell’essenza anche nei materiali adottati, tre ricorrenti: tavole in teak di recupero per la pavimentazione di soggiorno, deck-piscina, cucina e zona notte; nero d’Africa bocciardato o scanalato a mano contrastato da travertino osso come rivestimento di bagni e zone relax; intonaco di calce schiacciato a spatola per pareti e volte. “Ho tolto tutto ciò che potevo in termini di superfetazioni, cercando di restituire lo spirito originario del luogo” ha raccontato Milesi. “Non ho costruito dei

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La sezione longitudinale mostra lo sviluppo dell’appartamento su due livelli. Quello sottostante è interamente riservato al fitness privato: piscina e hammam collegati alla master room tramite una scala in nero d’Africa scanalato a mano che entra direttamente nella vasca d’acqua. L’accesso alla zona relax, organizzata sul deck con sofà Float di Francesco Rota per Paola Lenti, è invece garantito da una passerella, in legno e acciaio, automatizzata a ponte levatoio. Luci led da incasso di Aldabra. L’hammam è un ambiente minimale dai colori morandiani accesi dal contrasto materico tra il nero d’Africa bocciardato del pavimento e il travertino osso della vasca.

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falsi storici. Volevo che la destinazione d’uso degli ambienti fosse chiara e subito percepibile, come Alvar Aalto e Mies Van der Rohe ci hanno insegnato”. E il fascino di questo interno che ricerca nel layout la dissolvenza di confini tradizionali e l’apertura degli spazi al rapporto intenso con le fonti di luce naturali si incontra intonso nell’equilibrio delle nuove forme minimali dettate dalle esigenze funzionali quotidiane, realizzate con un collaudato team di artigiani. Secondo la migliore tradizione dell’architettura d’interni di matrice moderna, il nostro ha infatti disegnato appositamente quasi tutti gli arredi (e gli infissi), dalla cabina armadio alla testata del letto, dal divano in velluto rasato al mobile televisione e hi fi appeso in soggiorno. Fino alla passerella automatizzata della piscina. E con un controllo rigoroso e costante del dettaglio, dosato anche nella palette cromatica, che privilegia la scala morandiana dei grigi, ha portato un mood soft e una qualità senza tempo nel paesaggio domestico.

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Una masseria ottocentesca nella campagna di Noto, da cui si ammira la cittadina barocca e il mare di Vendicari, è stata restaurata come buen retiro, senza tradirne l’identitĂ storica e la vocazione territoriale progetto di Gianluca Rossi foto di Simone Fregni testo di Antonella Galli

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In questa pagina, l’area living all’interno dell’ex-carretteria, con al centro due poltrone in tubolare degli Anni Settanta. A destra, un’altra zona living con chaise-longue in tubolare e, sul fondo, una porta indiana in legno verniciato. Nella pagina a fianco, il complesso della masseria ottocentesca, nel cuore di una tenuta agricola a ridosso di uno dei canyon del territorio del Vallo di Noto. Dalla masseria la vista si apre sulla cittadina barocca e verso il mare di Vendicari. Sotto, la carretteria, trasformata in un’area living, con la scala esterna che conduce alla terrazza sul tetto.

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nnamorato della Sicilia, e in particolare dell’area sudorientale, culla del Barocco, un architetto emiliano da anni attivo sulla scena internazionale del design, si è messo, alcuni anni fa, alla ricerca di una dimora per il tempo libero, un luogo di fuga immerso nel cuore più autentico dell’isola. E l’ha trovato in una masseria ottocentesca situata nella campagna attorno a Noto, capitale del Barocco siciliano e patrimonio Unesco: il complesso rurale, immerso nel verde tra ulivi, carrubi e mandorli, è a ridosso di uno dei tipici canyon che segnano il territorio del Vallo di Noto e sovrasta

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l’area della riserva naturale di Vendicari. La masseria, di origini ottocentesche, è composta da un nucleo originario a cui sono stati aggiunti, nei primi decenni del Novecento, alcuni corpi adiacenti per creare nuovi spazi per la famiglia degli antichi residenti, che si ingrandiva. Il complesso è stato, quindi, sottoposto dal nuovo proprietario a un intervento di restauro conservativo che ne mantenesse intatte le caratteristiche strutturali e stilistiche e ne permettesse, anche nel cambio di destinazione, una chiara lettura storica. L’articolazione dei volumi e degli ambienti è

stata preservata, benché alcuni di essi oggi rispondano a nuove funzioni: nell’antica carretteria, ad esempio, è stata ricavata una zona living e, sul tetto, un terrazzo a cui si accede da una scala esterna (e da cui la vista spazia fino a Portopalo di Capo Passero); l’ovile, staccato dal complesso principale, è stato trasformato in una dependance per gli ospiti.

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In questa pagina, in alto, la stanza da letto, con una porta indiana del Settecento intarsiata, poggiata alla parete; a destra, il bagno con una scala in legno per la raccolta delle olive utilizzata come portasciugamani. I lavori di restauro del complesso sono stati realizzati dall’impresa Archimede di Noto. Nella pagina a fianco, la zona pranzo, con al centro il tavolo Leonardo di Zanotta progettato da Achille Castiglioni nel 1940 e le poltroncine Eu/Phoria di Paola Navone per Eumenes. La cucina è su misura, in legno e ferro; vicino al frigorifero, un mobile nordeuropeo in legno degli Anni Sessanta.

I muri originari, in pietra, calce e sabbia, sono stati ripristinati con un’opera di rincocciatura, quindi rivestiti con calce idrata e pittura a calce, in un’ottica materica che garantisse le caratteristiche di naturalità del manufatto originario. L’isolamento dal suolo (l’edificio non ha fondamenta) è stato ottenuto con i solai aerati e la climatizzazione naturale degli ambienti con la ventilazione dei tetti. A chiudere l’anello, i pavimenti in pietra di Modica, roccia calcarea di provenienza locale in tinta beige luminoso, impiegata sia all’interno che all’esterno dell’edificio. In questa cornice, sobria e naturale, è stato composto un quadro eclettico di arredi, che poco lascia al gusto locale, attingendo piuttosto alle passioni personali e ai viaggi del proprietario. Nelle stanze convivono sedute e imbottiti in

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tubolare degli anni Settanta, poltrone orientali, antiche porte indiane fissate al muro come quadri, pezzi celebri di Zanotta, Cassina, Poltrona Frau, lampade da cantiere di iGuzzini, arredi su misura (come la cucina) in ferro naturale e legno, mobili contenitori nordeuropei degli Anni Sessanta. Un piccolo patrimonio di memorie e passioni, composto negli anni e riunito nella casa del tempo libero, dell’ispirazione, degli incontri, della salutare distanza dalla frenesia quotidiana. La masseria è al centro di una tenuta

agricola di venticinque ettari, in cui proliferano centinaia di ulivi, carrubi e mandorli. In particolare, un mandorleto di circa un ettaro, di impianto antico e circondato da un muretto a secco dal perimetro quadrato, è stato ripristinato per intero, sostituendo le piante venute a mancare e ricostruendo il recinto. La conservazione del patrimonio territoriale e del paesaggio agricolo è andata di pari passo con l’opera di recupero degli edifici, considerando un’unica entità i due elementi, secondo la tradizione e lo spirito del luogo.

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Vista dell’installazione Art or Sound. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venezia 2014 Foto di Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada.

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A Venezia, fino al 3 novembre, una mostra Concepita come un’indagine attraverso passato e presente, che affronta le problematiche del rapporto tra arte e suono, degli aspetti iconici dello strumento musicale e gli ambiti in cui arti visive e musica si sono incontrate intervista a Germano Celant a cura di Lara Conte

Art or Sound Tarek Atoui, The Metastable Circuit, 2012 Performer: Tarek Atoui Apertura dell’esposizione Art or Sound Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venezia, 5 giugno scorso. Foto di Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada Ken Butler, Hybrid Instruments, 1978-2002 Performer: Ken Butler Apertura dell’esposizione Art or Sound Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice; 5 giugno scorso. Foto di Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada

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uando e come nasce l’idea di una mostra dove s’intrecciano gli oggetti d’arte e gli strumenti musicali? “Da mostra nasce mostra. In seguito al re-making di When Attitudes Become Form, nel 2013, ci siamo resi conto che, negli ultimi quarant’anni , la storia delle esposizioni si è andata lentamente modificando, arrivando a privilegiare solo il vedere a scapito degli altri sensi . I musei sono diventati luoghi del silenzio e dell’univocità percettiva, dove si predilige lo sguardo e si negano il toccare, l’ascoltare e l’odorare. Un luogo di repressione sensoriale che forse oggi va messo in discussione. Non è più pensabile entrare in un’esposizione e subire continui controlli sia estetici sia comportamentistici. Negli anni Sessanta si potevano esporre animali o introdurre elementi

naturali, come il ghiaccio e il fuoco, parimenti era possibile toccare le opere che avevano in sé anche un elemento performativo, cioè erano vive e si modificavano nel tempo. Tutto questo oggi è scomparso perché l’arte ha subito un’aggressione di massa, da parte di un pubblico enorme, quanto sottostà a una difesa del suo valore economico che è andato alle stelle: da qui, le barriere e i divieti. Con questa consapevolezza, si è iniziato a discutere con Miuccia Prada e il team della Fondazione su un’ipotesi di mostra che rompesse o almeno mettesse in discussione questi limiti. Abbiamo iniziato a prendere in considerazione ipotesi espositive che riguardassero i sensi e la più ‘fattibile’ in un intervallo ridotto, meno di un anno, è stata quella di concentrarsi sul ‘suono’, su cui molti artisti contemporanei avevano e stanno operando.

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Vista dell’installazione di Art or Sound: dal fondo al primo piano, Walter Kitundu, Beguèna Maridhia, 2008; Terry Adkins, Omohundro, 2008. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venezia 2014 Foto di Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada.

Tuttavia, non interessava realizzare un’altra antologia di materiale attuale ma, come è stato fatto per il multiplo in The Small Utopia, nel 2012, indagare sulla storia della relazione tra arte e suono. Con i miei ricercatori, Chiara Costa e Mario Mainetti, siamo andati a studiare le origini di questo dialogo o questa osmosi tra oggetti e sonorità e siamo arrivati alla matrice: gli orologi prodotti nel Rinascimento. Ne è scaturito un percorso che parte dall’oggetto funzionale, l’orologio e l’organo, la spinetta e il violino, la tromba e il carillon e arriva con l’avvento di Russolo e del suo Intonarumori a costruire un

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Bernard Baschet - François Baschet, Cristal, 1952 (1980) Performer: Thomas Bloch Apertura dell’esposizione Art or Sound Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venezia 6 giugno scorso. Foto di Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada

oggetto ‘altro’, che solleciti l’interesse delle avanguardie storiche, dal Futurismo al Dadaismo, a produrre sculture o pitture sonore”. Come si sviluppa storicamente Art or Sound? “L’intento della mostra è quello di mostrare gli intrecci tra arte e strumenti musicali, con il progetto di evidenziare la logica di una scultura che suona e di uno strumento che, per le sue fattezze, si tramuta in opera d’arte. Creare quindi una visione parallela, dove l’elemento ibrido funzionasse da stimolo per una diversa lettura dell’oggetto. Il percorso si apre con un’isola espositiva in cui sono presentati l’orologio,

prodotto nel Seicento, di Dubois au Puy, una scultura sonora di Alexander Calder, un dipinto di Theo van Doesburg, ispirato al ragtime, e una fotografia di Man Ray con la figure femminile trasformata in violoncello. È il momento in cui tutti i linguaggi visivi appaiono insieme a dare significato interpretativo alla mostra. Sono messi su strutture indipendenti, piedistalli o muri, così da stabilire la loro autonomia, cioè ‘arte’ o ‘suono’, momenti paralleli ma indipendenti, come da titolo Art or Sound. Sul piano della cronologia si parte, nel Cinquecento, dalla rappresentazione iconografica e artistica del rapporto con lo strumento musicale, come è documentato in dipinti e in affreschi coevi, dove compaiano suonatrici di liuto e di salterio, e si dipana con la messa in mostra di elementi che pur servendo il suono presentano una configurazione immaginaria e fantastica. Sono trombe o flauti a forma di serpenti, di draghi e di fiori oppure orologi che riflettono architetture o si traducono in gabbie per uccelli canori, o ancora carri che percorrendo la strada attivano, con le ruote, un organo che accompagna musicalmente il viaggio. Tra l’Ottocento e i primi del Novecento compaiono invece le prime sperimentazioni tecniche, come l’uso del gas per produrre suoni e fiamme nel Pyrophono, oppure si inizia ad usare il cilindro e in seguito il disco metallico con suoni registrati per creare il musical box, antesignano del juke box. Sino al 1913-14 la selezione riflette solo strumenti musicali che, dopo l’Intonarumori di Russolo, apre il campo alle sculture che inglobano il metronomo o l’idea di suono, da Man Ray a Marcel Duchamp, mentre continua la presenza di sperimentazioni sull’intreccio tra musica ed immagini, come l’Optophonic Piano, 1920-1923, di Wladimir Baranoff-Rossiné. Il grande salto linguistico è la conseguenza dell’apertura futurista

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e degli innesti tra sculture e strumenti musicali fino ad arrivare al Surrealismo, subito dopo con l’arrivo di John Cage l’attitudine verso il suono si amplia con l’accettazione del silenzio, come elemento musicale. Da qui nasce tutto un produrre costruttivo e distruttivo, da Fluxus al Nouveau Réalisme e alla Pop art dove gli oggetti fanno ‘suono’ autonomamente per effetto della loro distruzione o della loro interazione con l’osservatore e il pubblico”. Come si articola il tutto negli spazi di Cà Corner e quali problemi ha comportato l’allestimento? Una mostra sonora ha delle caratteristiche diverse da una composta di

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sole opere d’arte, silenziose e immobili? Con chi ha collaborato sul piano del design e del suono? “Per la prima volta si è potuto utilizzare il secondo piano nobile di Cà Corner de la Regina che è in corso di restauro conservativo. Pertanto, si è diviso il percorso di Art or Sound in due momenti, identificando i periodi dal 1500 al 1970 al primo piano nobile e dal 1970 al 2014 al secondo piano. Tuttavia, per non rendere l’insieme troppo rigido e sollecitare sconfinamenti e relazioni, alcune opere, diacronicamente, sono transitate da un periodo all’altro, così da dimostrare le analogie e i contrasti, quanto i possibili parallelismi formali ed estetici.

Vista dell’installazione di Art or Sound: da sinistra a destra, Arman, The Spirit of Yamaha, 1997; Tom Sachs, Toyan’s Jr., 2001; Gebrüder Wellershaus, Fairground Organ, primi del XX secolo. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice 2014. Foto di Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada

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Installation View of “Art or Sound” Artworks by Dennis Oppenheim, Roullet-Decamps, Stephan von Heune, Riccardo Beretta and Claes Oldenburg- Coosje van Bruggen Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice 2014 Photo: Attilio Maranzano Courtesy Fondazione Prada

Ken Butler, K-Board, 1983 Performer: Ken Butler Opening of the exhibition “Art or Sound” Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice 7 June 2014 Photo: Attilio Maranzano Courtesy Fondazione Prada

Vista dell’installazione di Art or Sound: lavori di George Maciunas, Nam June Paik, John Cage,Robert Morris, Tore Honoré Bøe e Bruce Nauman. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venezia 2014. Foto di Attilio Maranzano; courtesy: Fondazione Prada

L’allestimento, progettato da Michael Rock con 2x4 di New York, è stato pensato in relazione agli effetti sonori che dovevano essere presenti, ma non creare cacofonie. Si è utilizzato allora un materiale fonoassorbente come motivo avvolgente e costante, sia dei pavimenti che dei piedistalli. Al tempo stesso, avendo scelto di esporre solo oggetti, evitando ambientazioni o stanze sonore, l’articolazione espositiva è stata costruita ‘a scacchiera’ così da permettere movimenti e spostamenti, pur stabiliti riguardo alla cablatura elettrica che permette il funzionamento delle opere. La scacchiera è risultata molto utile nel primo piano, dove gli oggetti sono di piccola scala, mentre nel secondo è stata ridotta ad interventi a pavimento, così da lasciare che i lavori avessero un

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loro territorio, ma non fossero innalzati da terra: un esporre, tramite piedistalli, che non appartiene più al linguaggio contemporaneo. La difficoltà maggiore, per un team abituato all’arte, è stata quella di ‘allestire’ il suono, evitando invasioni e sovrapposizioni. Per ottenere un effetto autonomo quanto ‘musicale’ abbiamo chiesto a Frédérick Sanchez, artista musicale, di ‘suonare’ la mostra, cioè comporre uno spartito in cui tutte le opere con suono fossero utilizzate a comporre un insieme sonoro, rispettoso della loro identità e della loro autonomia: una mostra ‘concerto’ o una sinfonia ‘esposta’”. La parte che riguarda il moderno e il contemporaneo è preponderante e dimostra un ampliamento del concetto di suono, così da includere

elementi di vita quotidiana, il tragitto compiuto dalle nuove tecnologie, così da transitare dal telefono al computer, e registra anche aspetti sociologici e politici. Appare più impegnata nel sociale e dimostra un atteggiamento spesso ironico e critico. Che cosa è cambiato tra il passato e il presente che qui sembra simile formalmente, ma certamente è contestualmente diverso? “Il taglio operato da John Cage e dalla sua scuola – da cui sono emerse personalità come Nam June Paik e George Brecht e molti componenti Fluxus – ha mutato il sistema di concepire l’oggetto musicale, dal piano modificato ai boxes sonori. Da qui derivano molte opere che contengono la registrazione dei suoni prodotti mentre sono costruite, da Robert Morris a Bruce Nauman, oppure includono media come la televisione e la radio, da Tom Wesselmann a Robert Rauschenberg. In altri casi, a predominare è l’assemblage di elementi formati da una chitarra e da un innesto animale, come in Edward Kienholz, oppure la combinazione tra pianoforte e due motociclette come in Arman. Questo momento nella storia dell’arte e della musica è definito da un’attitudine ‘new dada’, che vede protagonisti europei Stephan von Huene e Wolf Vostell. Tuttavia è abbandonata da quanti iniziano ad operare a metà degli anni Sessanta, quando si impongono ricerche come la body art. Di fatto questa è identificabile con un ritorno all’automa settecentesco, come il danzatore di Dennis Oppenheim, la cui tradizione continua sino al Tamburino di Maurizio Cattelan. Un momento rivelatorio della complessità di relazioni tra arte e suono è evidenziata nel Senza titolo, 1972, di Jannis Kounellis, composto da un dipinto in cui è

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Vista dell’installazione di Art or Sound Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venezia 2014. Jannis Kounellis, Senza Titolo (da inventare sul posto), 1972. Foto di Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada

riportata una porzione di spartito tratto dal Pulcinella di Igor Stravinskij. Questa è messa in musica da un violinista e eseguita da una ballerina che ripetono fino alla stremo il motivo per riprenderlo dopo una pausa. È la dichiarazione di un carattere sensoriale dell’arte che fa coesistere pittura, danza e musica, rivelando il desiderio di un’esperienza multi-sensoriale”. La seconda parte, collocata al secondo piano mobile di Cà Corner, presenta un mondo di oggetti più imponenti e disposti in un territorio più aperto. A cosa è dovuto questo salto di scala e di spazio? Inoltre, gli strumenti esposti sono qualche volta suonati, oppure producono suoni autonomamente? “Dagli anni Settanta, la pratica di integrare suoni o momenti musicali nella scultura si fa

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diffusa. Pertanto la mostra documenta le ricerche più sintomatiche, di quegli artisti che hanno fatto del suono un loro elemento linguistico. Sono quindi esposti i contributi di Bernhard Leitner quanto di William Anastasi, di Laurie Anderson e di Ken Butler, di Christian Marclay e di Terry Allen che da decenni si sono impegnati nella contaminazione tra design e suono, musica e spettacolo, folk e concerti arrivando a realizzare nuovi prototipi di mobili o di tavoli che trasmettono suoni oppure di chitarre e di protesi musicali. L’ultima generazione di artisti, operante dal 2000 – da Haroon Mirza a Walter Kitundu, da Athanasios Argianas a Manuel Rocha Iturbide, da Tarek Atoui a Alberto Tadiello – sembra più protesa ad un dialogo con le nuove tecnologie.

Nel programma è stato incluso anche il repertorio di esecuzioni degli strumenti e delle sculture, affidate o a esperti della storia o agli artisti stessi, iniziando dall’Intonarumori, 1913-14 di Russolo per passare al Cristal, 1952, di Bernard Baschet e François Baschet, e pervenire al Donnerwetter, 2011-12, suonato dal suo autore Riccardo Baretta. In altri casi abbiamo inviato bands musicali a far vivere gli oggetti realizzati nel 2012 da Pedro Reyes con le armi confiscate ai narcos. In altri casi, la scultura stessa possiede una sua espressione sonora autonoma, per cui – come nel caso di Rebecca Horn, di Marco Bagnoli, di Anri Sala e di Subodh Gupta – la sua presenza musicale è entrata a formare, nel rispetto della sua identità, la grande sinfonia della mostra”.

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Superstudio, Monumento continuo, 1968-69.

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Una generazione esagerata di Andrea Branzi

“L’Italia è l’unico Paese europeo che non ha mai fatto una rivoluzione: per questo motivo ha maturato una grande abilità nell’arte di gestire le proprie contraddizioni, senza risolverle mai completamente: così la categoria dell’esagerazione è diventata una strategia utile a dilatare, senza arrivare mai al punto di rottura, la convivenza conflittuale tra le parti sociali, tra la propria storia e il proprio presente”

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on il sopracitato titolo ho pubblicato un libro per Baldini & Castoldi che racconta, in forma anche autobiografica, la lunga storia che, a partire dal movimento Radical, arriva fino ai nostri giorni. L’esagerazione è stata una condizione caratteristica della mia generazione, un atteggiamento indispensabile per reagire a una società schiacciata da una politicizzazione estrema, ma paralizzata dalla Guerra fredda.

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Ugo La Pietra, Il commutatore, 1970.

Ufo, lampada Dollaro, 1968-69.

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In questo stato di paralisi, l’unica maniera fu quella di reagire con ‘esagerazione’ alle ‘esagerazioni’ circostanti. Il miracolo economico degli anni Cinquanta stava privando il Paese delle sue radici, ambizioso ma dove si viveva male, si vestiva male e si mangiava peggio. Del resto nella storia di questo Paese l’unico in Europa a non avere mai fatto una rivoluzione, l’unica maniera per rinnovare la cultura o la politica è sempre stata quella di arrivare alle estreme conseguenze, senza produrre una frattura definitiva. Il movimento Radical nacque nel 1966 a Firenze, una città monumentale ma dove la

modernità non esisteva del tutto, e forse per questo motivo fu più semplice inventarne una nuova.La nostra modernità ebbe due grandi meriti, che solo oggi vengono ufficialmente riconosciuti: il primo fu quello di intuire che il progetto urbano, l’architettura e il design operavano in maniera conflittuale – e non armonica, come il movimento Moderno aveva ipotizzato – e ciascuna di queste discipline affermava la propria centralità e la propria autonomia. Dunque, l’unità teorica del progetto moderno stava andando in pezzi. La seconda intuizione – profetica –fu quella che il futuro

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Archizoom, No stop city, 1969

ottimista, di ordine e razionalità, non si sarebbe mai realizzato, ma piuttosto uno scenario dominato dalla complessità, dalle contraddizioni, dall’anarchia. Il movimento Radical è sempre stato erroneamente interpretato come un fenomeno unitario, ma, in realtà, quelle categorie che ho descritto si riproducevano anche al suo interno, attraverso temi di ricerca profondamente diversi. Spesso la cultura accademica ha interpretato il nostro lavoro come un movimento utopico, ma, in realtà, si trattava di un fenomeno indirizzato verso realismo estremo, che indagava il mondo circostante attraverso lenti deformanti,

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che ne mettevano in evidenza le contraddizioni, i paradossi e le pericolose malformazioni. In quegli anni, la società occidentale si era trasformata da civiltà architettonica in una civiltà merceologica: questa trasformazione stava mettendo in crisi il concetto tradizionale di città. Se l’architettura si basava su fondamenta solide, perimetri e confini ben definiti, la merce, al contrario, consisteva in un sistema pulviscolare, esportabile, trasferibile, ingovernabile e il suo territorio era illimitato, fluido, privo di confini. Da tutto questo derivavano culture del progetto tra loro del tutto diverse.Nonostante la sua lucidità, il movimento

Radical è stato a lungo dimenticato, soprattutto in Italia. Ma, all’inizio del XXI secolo, a partire dalle grandi università americane – come Harvard e Princeton – è iniziata una sua riscoperta, non come revival, ma come prima intuizione della cultura del progetto nell’epoca (e nel fallimento) della globalizzazione. Senza una adeguata dose di ‘esagerazione’ è molto difficile interrompere lo stato di crisi della città, dell’architettura e del design attuale; dunque, lavorare per i tempi lunghi, come sono stati quelli che, dalla fine degli anni Sessanta a oggi, è assolutamente indispensabile per evitare la paralisi.

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Il portale d’ingresso ai Giardini della Biennale; portale cinese della tarda dinastia Qing (XIX secolo), ricostruito dalla Xiegu Construction.

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La colonna di marmo opera dell’artista albanese Adrian Paci, parte dell’allestimento Potential Monuments of Unrealised Futures, partecipazione dell’Albania. L’opera, The Column, è parte della performance documentata nel film proiettato nello spazio espositivo; un racconto visionario che descrive l’estrazione di un blocco di marmo da una cava cinese e la sua successiva lavorazione nella forma di una colonna di ordine corinzio. La lavorazione avviene in mare, per mano di operai che formano un tutt’uno con la scultura, con la quale viaggiano giorno per giorno all’interno di una nave-officina, la cui destinazione appare incerta.

Fundamentals La XIV mostra internazionale di architettura della Biennale Veneziana (aperta sino al 23 novembre), curata da Rem Koolhaas, ha voluto sottolineare il ruolo della disciplina a prescindere dalle poetiche e dalle sperimentazioni in atto, per concentrarsi sui suoi fondamenti. “Architettura non architetti” è lo slogan-programma riportato nel sottotitolo dell’evento. Un Koolhaas–pensiero di tipo radicale e non da tutti condiviso, che ha avuto però il pregio di aver fatto riflettere sulla propria storia, nell’invito dettato dalla formula “Absorbing Modernity: 1914-2014” foto di Luc Boegly, Maxime Delvaux, Matteo Vercelloni testo di Matteo Vercelloni

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rchitetti. Imbecilli tutti. Dimenticano sempre le scale delle case”. La famosa massima che Gustave Flaubert dedicava agli architetti nel suo Dizionario dei luoghi comuni, Catalogo delle idee chic, Sciocchezzaio, pubblicato in appendice al romanzo Bouvard e Pécuchet, scritto tra il 1874 e il 1880 e rimasto incompiuto, non sembra valere per questa radicale edizione autocelebrativa del Koolhaas-pensiero della Biennale di Architettura in corso a Venezia. La scala, infatti, insieme al tetto e al pavimento, al corridoio e alla facciata, alla finestra e al soffitto, alla porta e alla rampa, all’ascensore e alla scala mobile, al gabinetto e al camino, al muro e al balcone, costituisce il ‘cuore’ della mostra nel Padiglione Centrale ai Giardini. Una serie di elementi assunti quali ‘ingredienti fondamentali’ appunto di ogni costruzione, “usati da qualunque architetto, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento” e qui annunciati dal portale cinese della tarda dinastia Qing (XIX secolo), ricostruito in modo impeccabile quale archetipo di riferimento dalla Xiegu Construction all’ingresso dei Giardini

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Uno scorcio della sala del Padiglione Francese, Modernity: promise or menace? con i pannelli metallici sperimentali prefabbricati di Jean Prouvé. Foto Luc Boegly

e affacciato sulla laguna. Sono Fundamentals offerti in una visione che unisce all’innegabile catalogazione tardopositivistica il sapore d’indagine parte di quella “psicostoria analitica” che Koolhaas inaugurava nel 1978 con il suo ‘fondamentale’ – questo sì – Delirious New York, magistrale ritratto storico-progettuale di New York (pubblicato per l’edizione italiana da Electa nel 2001). Per parallelismo e confronto, ad esempio, rispetto alla collezione veneziana di finestre, parte dell’archivio di Charles Brooking, chiamate a comporre una composita parete come in un museo ottocentesco, ci piace ricordare la validità innovativa della ricerca WindowScape Window Behaviourology (raccolta nell’omonimo volume edito da PageOne) sullo stesso tema, condotta da Yoshiharu Tsukamoto Laboratory del Tokyo Institute of Technology e offerta all’evento di INTERNI dello scorso aprile a Milano con l’installazione dell’Atelier Bow-Wow. Qui l’elemento finestra, indagato nel tempo e nei Paesi del mondo, è rapportato all’idea di spazio e di soglia che crea tra interno ed esterno, affrontato in

chiave architettonica e spaziale, lontano da ogni catalogazione e rassegna tipologica, che forse i singoli piccoli cataloghi dedicati ad ogni elemento della mostra veneziana cercano di colmare con argomentazioni storiche e sociologiche. Ma che la rassegna in sé non riesce a disvelare. Al viaggio tra gli “elements of architecture”, risultato di due anni di lavoro con la Harvard Graduate School of Design, introdotti da un suggestivo collage cinematografico di David Rapp che anticipa la serie di stanze dedicate, si affianca la sezione Monditalia alle Corderie dell’Arsenale. Qui, dopo avere oltrepassato lo spettacolare portale iridescente in bilico tra il Fellini di “8 ½” e le luminarie delle feste paesane -“in un momento di trasformazione politica cruciale, abbiamo scelto di guardare all’Italia come a un Paese ‘fondamentale’, unico nel suo genere ma anche emblematico di una situazione globale nella quale molti Paesi si trovano in bilico fra il caos e la piena realizzazione del loro potenziale”. Koolhaas, insieme a Ippolito Pestellini Laparelli, partner di OMA e curatore dell’allestimento degli spazi alle Corderie, dedica al

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Vista della parete classificatoria di finestre, parte della collezione di Charles Brooking, ospitata nella sezione Fundamentals al Padiglione Centrale dei Giardini.

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Vista del portale iridescente che segna la soglia d’ingresso alla sezione Monditalia alle Corderie dell’Arsenale. Il portale è stato realizzato con la partecipazione di Swarovski.

L’ Archimbuto disegnato da Cino Zucchi per l’ingresso al Padiglione Italia, realizzato da De Castelli con la partecipazione di Lavazza. Sotto, uno scorcio della sala dedicata alla ‘Città che sale’, un confronto figurativo e formale sui grattacieli di Milano. Progetto luce di Artemide, main sponsor. Nella pagina a fianco, padiglione del Marocco; in primo piano il progetto “sottosopra” dello studio Linna Choi & Tarik Oulalalou – Kilo per un modello di residenze da costruirsi nel deserto del Sahara. Foto Luc Boegly

Bel paese un viaggio zig-zagante tra casi specifici, scanditi dallo scenografico tendone su cui è stampata la Tabula Peutingeriana, mappa dell’Italia Imperiale del V secolo (in realtà quella riprodotta è copia del XII-XIII secolo di quella originale andata distrutta). I 41 casi affrontati, accompagnati da spezzoni di 82 film, formano una sommatoria metastorica di un ritratto globale che appare però affastellato e interrotto da positivi momenti di performance teatrali, che sembrano suggerire quanto sia importante il ruolo delle persone e della loro vita nel progetto di architettura e del farsi urbano in senso lato. Dopo una pausa misteriosa tra le ombre dell’allestimento onirico della Thailandia, progettato dallo studio OBA guidato da Smith Obayawat, il primo riscatto a questo viaggio di suggestioni, testimonianze cinematografiche e casi emblematici raccontati in vari modi, si incontra alla fine delle Corderie con il padiglione del Marocco, a cura di Tarik Oualalou per la Fondation pour L’Art, Le Design et l’Architecture.

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Sotto un soffitto composto da proiezioni dedicate alle case delle città marocchine si confrontano, tramite modelli in scala, tipologie abitative storiche con sperimentazioni per abitare il deserto; il Sahara come spazio possibile, cui il pavimento di sabbia dell’allestimento si rapporta in modo diretto. Nello spazio esterno ci si imbatte in una colonna di marmo, silenziosa e possente, distesa verso il bacino interno, che sembra essere appena arrivata da lontano. Opera dell’artista albanese Adrian Paci, la colonna costituisce il cuore della presenza dell’Albania (che delega a due artisti la presenza alla Biennale). Questa sì ‘elemento fondamentale’ di ogni architettura, la colonna di ordine corinzio (avremmo preferito l’ordine dorico, ma siamo pur sempre a Venezia) sbarcata all’Arsenale, è parte di una performance offerta in un filmato che vede il blocco marmoreo partire dalla Cina ed essere lavorato a mano en plein air, nel ventre del barcone metallico durante il suo viaggio di arrivo in Europa. Un modo per ricordare, non

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Il suggestivo scaffale di ‘prodotti in vendita’ dello stand Shaping Inspiration nel padiglione Russo. Come oggetti da commercializzare per il migliore acquirente i modelli delle architetture derivanti da una lettura della stagione delle avanguardie architettoniche del Paese, affiancati uno all’altro, in un serrato confronto formale.

solo un elemento archetipo dell’architettura, ma la fatica dell’uomo nel costruirla. Il Padiglione Italia curato da Cino Zucchi è dedicato al tema dell’innesto, della rivalutazione del tessuto urbano come risorsa di confronto e dialogo, dove Il nuovo come metamorfosi, Milano-Laboratorio del Moderno e Italia un paesaggio contemporaneo sono organizzati in un allestimento chiaro e convincente illuminato da Artemide esteso all’esterno con il portale metallico Archimbuto (destinato probabilmente ad essere permanente) e nel giardino retrostante con il Nastro delle vergini sinuosa panca paesaggistica, realizzati su disegno da De Castelli con Lavazza. Zucchi affronta la storia di Milano, la sua città, senza complessi; parafrasando Savinio, ascoltando il cuore della città, le sue storie i suoi protagonisti “dove un moderno orgoglioso è capace al contempo di adattarsi al contesto, di farlo suo e di trasfigurarlo all’interno di una nuova visione urbana. La metropoli milanese è quindi considerata come un case study di estremo

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interesse, capace di rivelare al meglio il carattere particolare della cultura architettonica italiana dell’ultimo secolo”. Una cultura che si ritrova nella selezione dei progetti del paesaggio contemporaneo, dove in modo ‘anonimo’ ogni architettura è presentata con una sola immagine (per trovare solo in un pieghevole di accompagnamento i credit dei progetti) così da enfatizzare in chiave soggettiva il viaggio per immagini proposto dal percorso di allestimento e dal montaggio a cura di Studio Azzurro dei filmati pervenuti da tutta Italia. Meno convincenti invece appaiono le ex-tempore dei futuri possibili del dopo EXPO Milano 2015, esercitazioni di sapore troppo scolastico che non raccontano le vere esperienze progettuali sperimentali in corso, quali l’operazione dei padiglioni Cluster, nuovo valido modello espositivo definito da EXPO e dal Politecnico di Milano con varie Università del mondo. Come già accennato, merito di questa edizione della Biennale e del suo guru-curatore Rem Koolhaas,

se da un lato è stato quello di evitare la strada (in parte percorsa in alcune passate edizioni) di rivestire del ruolo di artisti gli architetti, con installazioni che non appartenevano a nessuno dei due ambiti disciplinari, il tema Absorbing Modernity ha portato ogni Paese a raccontare le sue storie declinate per elementi, casi, documenti e confronti (è il caso del padiglione sudcoreano, Crow’s Eye View: The Korean Peninsula curato da Cho Min-Suk, ex OMA e considerato una delle promesse del panorama mondiale, vincitore del Leone d’Oro per la migliore partecipazione Nazionale). Il composito panorama ha offerto molti temi di grande interesse come quello della prefabbricazione affrontato dal Cile (Leone d’Argento) con la mostra Monolith Controversies dedicata alla prefabbricazione del pannello cementizio per strutture residenziali e in parte dalla Francia con il padiglione curato da Jean-Louis Cohen (menzione speciale) con Modernity: promise or menace?, dove il plastico dell’ipermoderna e automatizzata ‘villa

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Arpel’, protagonista insieme a Jacques Tati del film Mon Oncle (1958), è assunto come metafora e minaccia di un modernismo poi affrontato per alcune componenti specifiche: dal pannello sperimentale metallico di Jean Prouvé a quello della prefabbricazione pesante che oscilla tra “economia di scala e monotonia”. La Russia propone una sorta di fiera dell’architettura con stand concettuali, dedicati ad architetti e ad esempi reali, in cui si mischia in modo ironico e sapiente storia e contemporaneità con punti espositivi che si chiamano, solo per citarne alcuni, Lissitzky e VKhUTEMAS (avanguardie costruttiviste); Chernikhov Creative Solutions o Shaping Inspiration. In quest’ultimo, ‘forme architettoniche’ astratte (derivanti da una lettura della stagione delle avanguardie architettoniche del Paese) sono affiancate una all’altra nella forma di modelli sulle mensole del display come prodotti in vendita, a disposizione dell’acquirente. Agli interni sono dedicate alcune interessanti installazioni come quella declinata per stanze sensoriali della Danimarca; il bungalow del Cancelliere a Bonn ricostruito nel Padiglione della Germania, quale rappresentazione domestica del potere politico; gli uffici degli Stati Uniti d’America catalogati come in un archivio a disposizione del visitatore-critico (nessuna sintesi è offerta dalla lettura sistemica); le due microarchitetture verticali della Finlandia, una costruita secondo le tecniche tradizionali dell’architettura lignea del Paese, l’altra gemella in bambù realizzata dalla Biennale di Shenzhen in Cina, solo per citarne alcune. È tuttavia il Belgio, già nelle edizioni passate impegnato sul tema degli interni, a emergere per intensità e ricerca sugli spazi vissuti. Intérieurs. Notes et Figures curata da Sébastien Martinez Bart, Bernard Dubois, Sarah Levy, Judith Wielander, affronta il tema degli interni domestici tramite una campagna fotografica appositamente promossa dedicata agli spazi vissuti del Paese. “Gli interni sono una nozione fondamentale della concezione architettonica […] Una visione opposta del pensiero moderno come fenomeno di assorbimento; la considerazione di un patrimonio d’interni rivela un’architettura vernacolare che porta a considerare piuttosto come la modernità stessa sia assorbita [dal quotidiano e dalla vita di ogni giorno]”. Al catalogo, rassegna e sintesi dell’indagine sul campo, con il repertorio fotografico degli interni celati dietro le facciate moderniste, corrisponde nell’installazione veneziana un’astratta stilizzazione degli elementi topici incontrati; bianche e minimali esibizioni tipologiche rapportate alla fotografia-documento di riferimento.

Due immagini dell’allestimento minimale e tipologico del Padiglione del Belgio e un interno domestico parte della ricerca fotografica sugli spazi privati vissuti del Paese cui la mostra si riconduce. Foto Maxime Delvaux

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Edward Barber e Jay Osgerby

Front

Odo Fioravanti

Konstantin Grcic

Stephen Burks

Antonio Citterio

Claesson Koivisto Rune

Carlo Colombo

Martí Guixé

Ronan e Erwan Bouroullec

design questions Why? What? When? Where? Who? La regola anglosassone della “W” diventa il pretesto per far parlare di design 30 designer: così Interni, in occasione dei suoi 60 anni, esplora il punta di vista dei protagonisti del progetto per conoscerne opinioni, programmi, visioni (e qualche segreto) di Laura Ragazzola

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Arik Levy Ferruccio Laviani

Matteo Thun

Mathieu Lehanneur

Luca Nichetto Alberto Meda

Piero Lissoni

Jean-Marie Massaud

Ingo Maurer

Tokujin Yoshioka

Ineke Hans Marc Sadler Ross Lovegrove Sawaya&Moroni

Patrick Norguet

Paola Navone

Jorge Pensi

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Philippe Nigro

Nendo

Alberto Lievore

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Le ‘Rassen Chopsticks’ firmate da Nendo, che ingegnosamente si trasformano in un’unica bacchetta quando non si usano.

why ? Perché, secondo te, dopo 60 anni di storia del design che hanno arricchito la nostra quotidianità con oggetti di ogni tipo, è ancora necessario progettare nuovi prodotti?

Edward Barber e Jay Osgerby Non abbiamo bisogno di un grande numero di prodotti nuovi, senza contare che molte cose che possediamo diventano obsolete a causa delle innovazioni tecnologiche (pensiamo solo al settore dall’illuminazione). Anche i materiali evolvono e, parallellamente, la produzione diventa sempre meno costosa. Ma il design, quello migliore, di qualità diciamo, resterà con noi, per sempre. Ronan e Erwan Bouroullec Noi, che lavoriamo quasi esclusivamente con aziende europee (e che producono in Europa), ci poniamo sempre queste domande: come rendere competitivi dei prodotti che sono commercialmente ed economicamente in seria difficoltà a causa della concorrenza (molto aggressiva) del made in China? Come possiamo ‘legittimare’ una produzione di miglior fattura, qualitativamente elevata, e che sia anche portatrice di valori culturali e sociali migliori? Ecco, qui sta la vera questione: siamo circondati da oggetti mediocri, di bassa qualità sia dal punto di vista

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dei materiali sia della fattura. Il design si propone come antitesi (razionale) alla produzione di massa (incontrollata). Stephen Burks L’esigenza di continuare a definire il nostro mondo e il nostro modo di vivere con nuovi prodotti è tipicamente umana: è cominciata con l’inizio della civiltà e ne ha caratterizzato il suo sviluppo e, quindi, anche il suo futuro. Antonio Citterio Sono due i motivi fondamentali. Innazitutto, perché è cambiata la tecnologia e con essa si sono evoluti i comportamenti d’uso degli oggetti e le modalità di vivere gli spazi. In secondo luogo, perché lo richiede la nostra economia, che è basata sulla piccola-media impresa: l’oggetto d’artigianato è diventato sempre più caro in termini di manodopera, mentre mediamente i prodotti industriali sono scesi di costo negli ultimi anni. Si parla tanto dell’eccellenza manifatturiera delle aziende italiane. Una falsa chimera. Siete mai andati in Svizzera o in Austria o in Germania?

Anche lì ci sono artigiani straordinari. Hanno studiato disegno, sanno lavorare con l’Autocad, magari parlano tre lingue. E la robotizzazione permette di produrre molto meglio, perché il controllo numerico funziona meglio delle mani. Claesson Koivisto Rune Ma il design è invenzione e per questo appartiene alla natura umana: se smettiamo di progettare smettiamo di essere umani... Carlo Colombo Per me il design è un linguaggio, un modo per esprimermi. Rappresenta la ricerca di un dialogo costante tra sé stessi e la società. Gli oggetti che ci circondano ci rappresentano e da questo punto di vista riflettono il fatto che oggi il mondo è in costante cambiamento, a partire dalle condizioni di vita in casa o negli spazi pubblici, che sono completamente diverse. Il ‘buon design’ interpreta questi mutamenti, che uniti all’utilizzo di nuovi materiali e al confronto diretto con le aziende, permette di proporre prodotti, che hanno carattere di innovazione.

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Odo Fioravanti Gli oggetti rappresentano la società ‘tridimensionalmente’, i suoi scatti in avanti e i suoi arretramenti, le innovazioni tecniche e il cambio continuo dei comportamenti umani. Progettare nuovi prodotti significa praticare una ricerca sui margini della realtà materiale, cercando di sospingerne i confini per esplorare il senso profondo della vita. Front Progettare nuovi prodotti? Certo, perché il nostro modo di vivere cambia continuamente: solo vent’anni fa, chi avrebbe potuto prevedere l’impatto che la rivoluzione digitale ha avuto sulla società e sul nostro modo di interagire con gli altri? Konstantin Grcic Gli oggetti fanno parte della nostra cultura e rappresentano la vita che noi viviamo. Martí Guixé Per forza: il nostro stile di vita cambia continuamente e i prodotti devono adattarsi ai nuovi contesti e ai nuovi atteggiamenti. Ineke Hans Ci sono sempre buoni motivi per progettare nuovi prodotti: gli stili di vita e le abitudini che si evolvono, come del resto i materiali. Ecco, il design ci consente di realizzare oggetti (belli) capaci di adattarsi al nostro modo di vivere oggi. Ferruccio Laviani Perché l’uomo è un animale in continua evoluzione e quindi deve soddisfare i suoi stimoli in relazione al mondo che lo circonda. Mathieu Lehanneur Ho due risposte a questa domanda. La prima: da quando l’essere umano ha assunto la posizione eretta, liberando le mani dalla funzione del camminare, ha sentito il bisogno di produrre e costruire. È la nostra essenza: ci adattiamo al mondo creando oggetti che ci legano al mondo stesso. La seconda risposta, riguarda più specificamente il mondo attuale. Il design degli ultimi 60 anni ha contribuito a creare il comfort di cui godiamo oggi, ma ha anche prodotto il cosiddetto “settimo continente”, ossia quel gigantesco continente di plastica che galleggia nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico. Quindi, sì a nuovi prodotti, ma è indispensabile riuscire a tenere sotto controllo la nostra “fame” di produrre (male) sempre di più! Arik Levy Il design ha ben più di 60 anni ma è ancora tanto giovane... Dobbiamo creare il nuovo e continuare ad approfondire ed esplorare ciò che costituirà il nostro stile di vita in futuro… il modo con cui interagiamo con gli oggetti e con lo spazio. Lievore Altherr Molina Gli oggetti, rispetto al tempo, sono come l’acqua che scorre nel fiume: non potrà mai essere la stessa. I bisogni delle persone cambiano con il tempo, così come cambia il modo di usufruire dei prodotti. Per esempio: la zona giorno di una casa in passato rappresentava un’area di rappresentanza. Oggi non è più così: si è trasformata in un’occasione di relax, più spontanea, che ha contribuito a cambiare anche la tipologia degli arredi.

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Piero Lissoni Progettare nuovi prodotti? Sul fatto che sia necessario non ho dubbi. Ma il discorso è un altro: se il design va avanti così non ha futuro. Il motivo è semplice. Il design esisterà sino a quando esisteranno le industrie, e le aziende continueranno ad esistere se sapranno mettere sul piatto della bilancia il rischio, la creatività, la voglia di alzare l’asticella. Devono tornare a pensare in grande e in piccolo, nella parte più esposta del mercato e in quella meno esposta. Devono tornare a pensare per immaginare sé stesse in un modo rinnovato, per ricollocarsi strategicamente sul mercato, che è visibilmente cambiato. Insomma, ci vuole un pensiero proprio, originale, mentre si vede solo un’offerta di prodotto sempre uguale: manca totalmente una rinnovata capacità di rischio e di creatività. In altre parole, il design italiano sta andando dove le aziende lo stanno portando. Chi si prende più il rischio intellettuale di fare un progetto importante? Ross Lovegrove Il design è una filosofia che nasce da una ricerca incessante, il risultato dell’immaginazione che intravvede possibilità che non erano mai esistite prima. Questo lo pone nel punto più alto del progresso umano e lo rende una forma vitale di arricchimento della vita in tutte le sue sfaccettature, dall’industrial design alla moda. Per cui non c’è niente di più naturale del creare e considerare l’oggetto di questa creazione come una forma di progresso e approfondimento … È un processo infinito, senza limiti prevedibili. Jean-Marie Massaud Si tratta di una forma naturale di evoluzione e progresso. Nuovi contesti (sociali, culturali, tecnologici, ecologici, economici) esprimono nuovi design. La sfida della civiltà contemporanea? Fondere la natura con l’artificiale, l’intelligenza con la sensibilità, l’individuale con il collettivo. L’obiettivo? Realizzare una migliore esperienza di vita. Si tratta di imboccare la strada della riduzione, della sintesi, della competenza, della crescita qualitativa per una nuova “economia” olistica. Ingo Maurer Dobbiamo ancora progettare nuove luci che ci portino tutti più vicini al mondo dell’illuminazione. Alberto Meda La caratteristica più importante di un progetto è che abbia senso: deve, cioè, risolvere bisogni, desideri irrisolti. Ciò comporta almeno una piccola differenza rispetto all’esistente, perché questa è la condizione minima per legittimare una nuova idea, costituendone anche la ragion d’essere profonda. Si possono dare soluzioni a problemi specifici mettendo a punto, di volta in volta, nuove modalità costruttive con esiti spesso inaspettati. Paola Navone Ogni oggetto ha una sua valenza materica, tecnica e naturalmente estetica. Per alcuni oggetti la forma è più importante, per altri meno. Il design è questo: lavorare sulla forma delle cose.

Nendo Non sono certo che abbiamo bisogno di nuovi prodotti, ma credo che il pensiero creativo sia necessario per le nostre vite. Luca Nichetto Negli ultimi 60 anni, soprattutto in Europa, è stato progettato di tutto e di più, e questo è il motivo per cui è interessante muoversi oggi anche in altri Paesi e situazioni: lì hanno bisogno di quello che noi abbiamo già. Questo da un punto di vista ideologico, ma dal punto di vista pratico, risponderei: perché fare il designer è un lavoro e io devo mangiare! Phlippe Nigro È una delle caratteristiche dell’essere umano quella di cercare, inventare e reinventare, trasformare e reinterpretare: anche quando sembra che tutto sia stato fatto, c’è sempre una piccola possibilità di aggiungere qualcosa di nuovo. L’importante è farlo in modo conscio e responsabile. Perché pensare oggetti nuovi significa in qualche modo raccontare il periodo in cui viviamo, dare un contributo alla nostra storia culturale o magari, più semplicemente, aiuta ad andare avanti. Patrick Norguet C’è sempre bisogno di di nuovi oggetti, ma oggi è arrivato anche il momento dell’etica e della necessità di progettare oggetti ‘giusti’. Si tratta, cioè, di partecipare a una produzione responsabile e visionaria, con un un’ambizione sia politica sia culturale per un futuro più equo. Jorge Pensi Il mondo si evolve (anche se non sempre in senso positivo) e nel caso del design la necessità di creare nuovi oggetti è legata al cambiamento delle abitudini, alla scoperta di nuovi materiali, allo straordinario sviluppo della tecnologia e soprattutto al desiderio (molto umano) di creare qualcosa che superi ciò che già esiste. Marc Sadler Progettare nuovi oggetti? Certo, perché le tecnologie sono cambiate, e con esse gli oggetti della vita quotidiana. E perché, a causa dei consumi massificati, si sono creati molti prodotti di dubbio gusto che non sarebbe male sostituire con altri esteticamente più gratificanti. Sawaya&Moroni E’ scritto nei nostri geni ... Da sempre l’uomo ambisce a cambiare, rinnovarsi ed è sempre pronto a tradire pur di provare cose nuove. Sarà anche perchè la nostra quotidianità è in continua evoluzione e si arricchisce sempre di nuovi bisogni e di nuova tecnologia da umanizzare tramite gli oggetti che ci circondano. Matteo Thun Nuovi prodotti? Certo, ma saranno dematerializzati, cioé si tratterà di servizi. Soprattutto i nuovi ‘oggetti’ seguiranno i canoni estetici dematerializzati dei miei figli, cioè della prossima generazione… Ecco perché occorre ancora fare design! Tokujin Yoshioka Perché fare design significa creare il futuro.

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what ?

cosa è veramente necessario progettare oggi, secondo il tuo parere?

Lampada ‘In tensione’ a Led autoprodotta in nylon 3D su progetto di Alberto Meda.

Edward Barber e Jay Osgerby Tutto quello che sia longevo e/o dimostri innovazione per quanto riguarda l’uso o i mezzi di produzione. Ronan e Erwan Bouroullec Tutto! E il design ha un ruolo fondamentale da svolgere in fase produttiva: può definire quel ‘giusto rapporto’ tra chi produce e chi utilizza. Infatti, il designer per sua natura è colui che ama con passione entrambi i soggetti: chi produce e chi utilizza. Questo passaggio è indispensabile per ascoltare il consumatore e nel contempo ascoltare il produttore, cercando di trovare il migliore equilibrio tra i due.

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Stephen Burks È impossibile stabilire ciò di cui abbiamo bisogno: ci sono tante cose che riteniamo essere dei ‘bisogni’ ma che in realtà sono ‘desideri’... e forse va bene così. Se c’è richiesta di un prodotto, inevitabilmente questo troverà il modo di esistere. Antonio Citterio Abbiamo bisogno di prodotti sempre più integrati con l’architettura: cucine, bagni o guardaroba ‘industriali’ ma di qualità – come corredo della ‘casa’; e, poi, lampade, oggetti che stanno vivendo una metamorfosi, grazie all’introduzione dei Led. Lo richiede la visione del mercato internazionale. Oggi fatichiamo a

essere credibili. C’è una situazione economica che non dà possibilità di fare grandi investimenti per ricerca e sviluppo. Il design può essere l’ultima chimera, il canto del cigno. Quando il prodotto non c’è più diventa colore, pelle, edizioni limitate. Ma non riesce a rigenerare il settore. Trionfano visioni estetiche, finta informazione tecnica e tanti intellettualismi. Ci troviamo di fronte a un’industria invecchiata. Facciamo prodotti che sembrano democratici ma non corrispondono al valore percepito. Bisogna riprogettare una scala di valori in cui i tre fattori in gioco, ‘prodotto + costo + distribuzione’ diventino chiari e comprensibili su un piano di realtà.

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Claesson Koivisto Rune Tutto quello che migliora la vita ed eleva la nostra mente e il nostro pensiero. Carlo Colombo Bisogna progettare prodotti che siano intelligenti, ponendo una maggiore attenzione all’ambiente e all’impiego di materiali e tecnologie che ne permettano un riciclo totale (o almeno parziale); oggetti che oltre a emozionare siano utili e funzionali alla vita di tutti i giorni. Odo Fioravanti Direi prodotti onesti, senza trucchi, che sappiano assistere le persone nella loro vita quotidiana con una presenza discreta. Molti hanno bisogno di tornare a costruire rapporti profondi con gli oggetti, recuperando una componente affettiva. Ecco, credo abbiamo bisogno di un design che possa essere abbracciato e non solo comprato. Front Tutto quello che usiamo quotidianamente. E pensandoci bene, anche quello che non usiamo tutti i giorni. Il grande mito del design è che ci sono cose che non sono soggette a design. Persino nell’era preindustriale gli utensili e i mobili erano soggetti a design. La sola differenza è che la professione del designer allora non esisteva, per cui non c’era un termine che designasse quella specifica attività. Konstantin Grcic Qualsiasi cosa: il design è un processo in continua evoluzione. Martí Guixé La struttura della percezione delle cose e del cibo. Ineke Hans È importante ‘fare’ pensando ‘come’, perché oggi dobbiamo avere la consapevolezza che non possiamo più permetterci sprechi. Si registrano molte innovazioni nel mondo del tessile, dell’illuminazione, della mobilità e della comunicazione che renderanno interessante lavorare in questi settori. In particolare, vorrei sottolineare che gli ultimi due settori avranno sicuramente un impatto importante sulla nostra vita sociale. Mathieu Lehanneur Mi pongo questa domanda ogni volta che devo pensare a un nuovo prodotto. Non dovrebbe succedere che un oggetto nato oggi sia stato pensato ieri: che si tratti di evoluzione dei comportamenti, evoluzione del mondo o delle tecnologie disponibili, ciò che si progetta nel contemporaneo deve corrispondere al mondo di oggi. Arik Levy Non bisogna produrre design ad ogni costo, ma realizzare progetti responsabili.

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Lievore Altherr Molina Più che di prodotti, si dovrebbe riformulare il modo di abitare, di utilizzare lo spazio abitativo, inteso come interno, esterno, casa, lavoro, ecc. Ci sono troppi schemi ormai ‘esauriti’ che si continuano a riprodurre acriticamente nei diversi spazi. Posso pensare a un modo diverso di vivere la casa? Piero Lissoni Tutto. Non sono d’accordo con Enzo Mari, che dice che non bisogna progettare più nulla… Si può disegnare tutto e dovremo continuare a disegnare tutto, abbiamo immense praterie da disegnare... Ross Lovegrove Tutto può essere reinventato o reinterpretato. Non ci sono eccezioni. Jean-Marie Massaud Tanto per incominciare: il nostro progetto di vita, le società, l’economia, l’istruzione, le aziende. Gli oggetti e i servizi sono solo conseguenze. Ingo Maurer Qualcosa che unisca popoli e Nazioni; insomma, qualsiasi cosa che può rendere le persone più unite e vicine. Alberto Meda Per esempio c’è il ‘problemino’ delle risorse idriche, che riguarda circa un miliardo di persone che non hanno accesso all’acqua potabile: questo è un tema che meriterebbe qualche tentativo di soluzione! Paola Navone Quello che serve. E quello che chi produce ha bisogno di produrre. Nendo Tutto ciò che ci circonda. Il design esiste solo per rendere migliori le cose. Luca Nichetto Me lo sto chiedendo anch’io. Penso che a un certo punto diventa più importante rispetto a ‘cosa progettare’, il processo che ti porta a farlo, al modo di creare qualcosa che non deve per forza essere un oggetto... Un settore in cui il design ha delle grandi potenzialità di espressione è il sociale: bisognerebbe però creare una filiera, che tendenzialmente nel settore design è sempre tesa a un profitto. Ma anche nel sociale si può raggiungere questo obiettivo: serve, però, onestà e trasparenza. Philippe Nigro Oggetti ‘ricchi’, capaci cioè di creare una relazione affettiva: in questo modo diventano anche durevoli nel tempo perché le persone si legano a loro. Oggetti rassicuranti ma anche coraggiosi. E utili per il corpo e la mente.

Patrick Norguet Bisogna produrre meno, ma con maggiori intelligenza e responsabilità. Ci sono sfide fondamentali da raccogliere per il nostro futuro: noi designer dobbiamo essere i primi a porci domande su una produzione di massa che è ormai priva di senso, analizzarne le conseguenze per riorganizzare le priorità. Jorge Pensi Dovremmo riflettere su tutto ciò che rende la vita difficile, generando tensioni. In generale dovremmo progettare oggetti meno banali e più utili, che non rispondano alle effimere mode del momento. Marc Sadler Ma qualunque cosa: il design industriale dovrebbe riguardare ogni manufatto dell’industria, dalla valvola cardiaca al divano del salotto, coniugando al meglio soluzioni estetiche e funzionali ad esigenze di economicità e compatibilità ambientale. Sawaya&Moroni Nel futuro remoto soltanto prodotti tecnologici avranno ragione di esistere, il resto finirà nei musei. Oggigiorno, invece, e nel futuro prossimo, chi concepisce prodotti deve pensare con coscienza già da ora al loro possibile riciclo nel rispetto dell’ambiente, dei consumi energetici, delle risorse naturali e di tutta la problematica legata all’energia rinnovabile.Bisognerebbe concedere minor spazio alle frivolezze. Matteo Thun Tutto quello che semplifica la nostra vita quotidiana. Tokujin Yoshioka È importante avere consapevolezza che, qualunque sia l’epoca a cui ci riferiamo, non esiste il prodotto perfetto. Perché nel design c’è sempre un margine di crescita.

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La seduta ‘Mantaray’ è firmata da Zaha Hadid per Sawaya e Moroni in edizione limitata.

where ?

dove (in quali ambiti e in quali Paesi) la cultura del progetto deve indirizzare le sue energie nel prossimo futuro?

Edward Barber e Jay Osgerby Questa è davvero una domanda difficile: i Paesi sono tanti, ma dovunque il design dovrebbe avere come obiettivo quello di utilizzare materiali sostenibili e riciclabili. Stphen Burks Senza cercare di prevedere il futuro, penso che sia importante che il design si ponga come obiettivo quello di penetrare in nuovi territori, mercati e settori. L’innovazione dovrebbe sempre essere la forza motrice che si cela dietro al futuro del design: ce n’è poca, secondo il mio punto di vista, nel settore dei complementi d’arredo per la casa. Antonio Citterio La cultura del progetto è parte integrante del processo industriale: laddove si sposterà, l’industria la seguirà. Gli ambiti di interesse sono

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tutti quelli che riguardano la realizzazione di prodotti veri, non l’obsolescenza strategica indotta dal mercato e dalla concorrenza. Stiamo assistendo, e siamo soltanto agli inizi, a degli spostamenti di aree industriali sul mercato mondiale, inimmaginabili trent’anni fa, che creano fenomeni incredibili sul piano economico. Il vero problema è che molta della nostra industria non ha capito cosa è successo nel mondo: ha vissuto producendo al 70% per l’Italia. Oggi, che questo mercato non c’è più, anche la distribuzione va ripensata in modo strategico. Difendere un primato vuol dire riuscire a reinventare la dimensione delle aziende del ‘furniture design’ italiano. Le nostre piccolemedie imprese devono adottare una distribuzione che sia all’altezza delle sfide di un mercato globale: in caso contario sono destinate a scomparire. E

devono imparare a ‘fare sistema’, come nella moda hanno fatto i francesi. Claesson Koivisto Rune Non esistono ambiti dove la cultura del progetto si possa ‘rilassare’. Detto questo, l’Africa appare forse dimenticata – un Continente così pieno di storia, di cultura e di imprenditorialità. E nel Nord America è ora di ripristinare un design che abbia identità ed autonomia. Carlo Colombo La cultura del progetto è internazionale. Ci sono Paesi in grande crescita che erano poveri; penso, per esempio all’India, all’Africa, all’Asia, dove negli ultimi anni si sono registrati cambiamenti notevoli. Oggi, quando sviluppiamo un nuovo progetto non dobbiamo pensarlo solo per l’Italia o per l’Europa: dobbiamo considerare che verrà usato e fruito in un mercato globale.

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Odo Fioravanti Come sempre nella storia del design lo sforzo per l’innovazione pone le radici in alcuni Paesi dove c’è un ‘design system’ solido ma propaga i suoi rami verso aree culturali e Paesi dove il design può ancora dire molto, cimentandosi soprattutto sui temi scottanti della contemporaneità. In questa prospettiva, credo che molti dei Paesi che abbiamo imparato a considerare ‘Terzo Mondo’ potrebbero diventare oggi per il design il ‘Primo Mondo’. Front Il principale obiettivo di tutte le attività di design è quello di migliorare le condizioni di vita e pensiamo che questa ambizione non possa essere certo ridotta in termini geografici. Martí Guixé Per me il design è transnazionale, ogni area va bene. Basta evitare le mode. Ineke Hans Dobbiamo riuscire a produrre in Europa. Anche nell’Estremo Oriente o nei Paesi a basso sviluppo, succederà che le persone riusciranno a conquistare un salario giusto, che garantirà una concorrenza più leale. Forse, la sfida è concentrarsi più sulla qualità che sul costo. Ferruccio Laviani Naturalmente il mondo si volge verso i mercati emergenti ma non credo significhi per forza dover cambiare il nostro modo di pensare e progettare solo ed esclusivamente perché l’economia si sta spostando in altri luoghi. Mathieu Lehanneur Dove? Ma in America! Sono diversi anni che aspetto il risveglio del design americano. La cultura americana è fatta di artisti, ingegneri e scienziati tra i migliori nei rispettivi settori. Tutte le condizioni sono riunite per assistere alla nascita di un nuovo design... Arik Levy Credo che bisogna fare un lavoro educativo per spiegare cos’è il design, che cosa fanno i designer, come il design si integra nella vita quotidiana: il grande pubblico è ancora ben lungi dall’averlo capito, in qualunque parte del mondo! Lievore Altherr Molina Be’, la Terra è un unico continente: oggi più che mai tutto è interconnesso, anche le distanze più estreme sono ‘valicabili’. Di conseguenza si potrebbe individuare una sorta di responsabilità globale, che coinvolga tutti. L’obiettivo? Progettare soltanto ciò che è realmente necessario e, aggiungerei, sostenibile. Non importa dove. Piero Lissoni Comincerei dall’Italia, dove ci sono aziende straordinarie, realtà produttive che hanno potenziali intellettuali spettacolari, che significa possedere contemporaneamente conoscenze commerciale, industriale, tecnologica, creativa. Ecco, io è qui che voglio indirizzare le energie del prossimo futuro. Perché noi abbiamo avuto (ma abbiamo ancora!) una marcia in più: siamo stati in grado di costruire una qualità manifatturiera che altrove non c’era. Siamo riusciti a tirare fuori idee e qualità produttive in un colpo solo: è questo che ha

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fatto balzare il design italiano in un’altra dimensione. Ed è su questo che dobbiamo tornare a lavorare. Tutti insieme. Ross Lovegrove Il design dovrà affrontare nuove questioni collettive e planetarie che mettono alla prova la nostra qualità di vita. I progressi registrati nei campi scientifici della fisica e dell’informatica quantistica ci daranno conoscenze radicalmente nuove che influenzeranno il nostro approccio, mentre il concetto di ‘complessità’, inteso come un fattore che alimenta l’incomprensione, è destinato a stemperarsi. Assisteremo pertanto alla razionalizzazione dei sistemi, della distribuzione e dell’uso delle risorse che comporteranno una rivoluzione nel settore industriale (di cui anch’io faccio parte), dagli aspetti meccanici a quelli biologici. Tutto è pronto per la convergenza: Digital Design, Sequencing, stampa 3D, materiali impiegati su scala nanoscopica o pixelati, ‘la Natura’ e ‘l’Istinto dell’Uomo’... questo e altro si fonderà per accrescere le potenzialità della fantasia e creare nuove automobili, architetture, prodotti... Jean-Marie Massaud Ci sono sicuramente luoghi in cui vivono, studiano e lavorano persone ‘illuminate’ e succede che questi luoghi, più di altri, si trasformino in catalizzatori per il progresso: la Silicon Valley, per esempio, o l’area di Tel Aviv. Ci sono anche importanti capitali storiche europee, dove avvengono costanti e interessanti cambiamenti culturali e anche nuove e grandi città che diventano laboratori ad alta densità ma si caratterizzano per condizioni di vita non a misura d’uomo, come Dubai e Shangai. Da queste situazioni, diciamo, estreme possiamo imparare e migliorarci almeno per le prossime generazioni. Ma tornando alla domanda: dove indirizzare le energie del progetto? Risponderei: dovunque perché ormai ‘il mondo è un villaggio’ perché tutti siamo interconnessi. Ingo Maurer Indipendentemnete dall’ambito culturale o dal Paese, credo in uno sviluppo autentico. Alberto Meda Semplicemente a partire dagli ambiti dove è possibile migliorare il benessere: ad esempio, l’acustica dei luoghi pubblici dove spesso l’impossibilità di comunicare compromette la relazione tra le persone. Paola Navone In ogni unità produttiva, ovunque essa sia. Il design serve all’artigiano, alla piccola realtà produttiva e alla grande industria. Il ‘dove’ non è importante. Nendo In tutte quelle aree che sono strettamente connesse alle emozioni delle persone. Luca Nichetto Non in Europa: il fatto che oggi qui sia tutto fermo è legato a un raggiungimento di benessere di cui non ci rendiamo neppure più conto. Terrei d’occhio i Paesi del Bric (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) o quelli del Mint (Messico,

Indonesia, Nigeria e Turchia, ovvero le prossime Nazioni emergenti): sono Paesi che possono servire a noi designer per capire ‘cosa stiamo facendo e dove stiamo andando’. Philippe Nigro Ovunque sia necessario: è utile mettersi in questione sempre, anche quando si pensa di essere in anticipo o di possedere ‘una certa cultura del progetto’. Ovunque sia importante: ed è sempre necessario coltivare buon senso e coscienza che tutto quello che si fa può avere un impatto positivo o negativo. Noi, naturalmente, lavoriamo per avere un risultato positivo. Patrick Norguet L’Europa è sicuramente un ricco Continente ma i Paesi europei non sono stati in grado di intercettare i cambiamenti più importanti, né di valutare l’emergenza dei Paesi poveri. Sarà necessario rimettere in questione e ripensare la nostra politica spesso aggressiva e campanilistica. Soprattutto è urgente trasmettere alle generazioni future nuovi insegnamenti e comportamenti. Questo presuppone istruzione e cultura per restituire all’uomo la sua dimensione e il suo ruolo nella società: più intelligenza per una maggiore libertà! Jorge Pensi Credo nei talenti individuali e non nelle nazionalità. Il prossimo futuro sarà appannaggio delle energie dei designer e delle aziende che credono nella forza del design, nella sua capacità di cambiare la società e di migliorare la qualità della vita, indipendentemente dal Paese dove vivono e lavorano. Marc Sadler Direi in maniera del tutto trasversale. Nei Paesi emergenti, quelli del cosiddetto boom economico del XXI Secolo, la cultura del design sarebbe necessaria per trasmettere quel senso d’equilibrio fra funzionalità ed estetica, laddove spesso prevale il consumismo che registra come valore aggiunto degli oggetti la quantità piuttosto che la qualità. Nei Paesi più sviluppati, quelli che hanno visto nascere il design industriale a partire dagli Anni 40/50, la cultura del progetto dovrebbe rinnovarsi, o meglio ritrovare le sue radici più profonde, ripensando alla produzione industriale alla luce dei bisogni e della situazione economica contingente. Sawaya&Moroni Penso che si dovrebbero aiutare i Paesi emergenti a intraprendere un percorso creativo/ produttivo corretto e non corrotto. Da questo punto di vista, il design ha una carta importante da giocare. Matteo Thun Occorre investire nel software, meno nell’hardware: cioé, bisogna focalizzarsi sul design di servizi, su tutto ciò che crea nuovi gesti e attitudini. Tokujin Yoshioka Globalizzazione vuol dire che ogni Paese può esprimere liberamente i propri valori e dare grande considerazione alla propria cultura. Quindi risponderei: dovunque.

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Due pagine tratte dal volume ‘Drawing’ di Ronan e Erwan Bouroullec, edizioni RP Ringier.

when ? quando e come sono nate le idee che hanno ispirato i tuoi nuovi progetti?

Edward Barber e Jay Osgerby Ogni progetto è diverso. A volte sono le indicazioni/esigenze che vengono segnalate dalle aziende; altre volte è il progetto stesso che emerge direttamente da un’osservazione o da un tema che stiamo studiando, come per esempio un focus sul colore, sui materiali o sui processi produttivi. Ronan e Erwan Bouroullec Ma disegnando! E con tante discussioni... Stephen Burks Se mi viene una buona idea al giorno sono contento: potrebbe poi anche concretizzarsi oppure no... In termini progettuali, cerco di cominciare dall’attività che si svolge nello spazio o ruota intorno al prodotto. Antonio Citterio Le idee nascono sempre dal dialogo con le aziende: sono uno sguardo che muovono da un’analisi di mercato, di esigenze, di tipologie.

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Non è una questione di disegno, intuizione o espressione formale. Il disegno è la soluzione del tema. Claesson Koivisto Rune In modi immaginabili! Forse qualcuno resterà sorpreso, ma spesso hanno origine dal puro, vecchio, duro lavoro. Magari poco prima della scadenza... Carlo Colombo Le idee nascono dal bagaglio culturale che ogni persona si costruisce nel corso del tempo: penso agli anni dell’università e, soprattutto, dalla ‘scuola di vita’ di tutti i giorni; viaggiare, poi, sicuramente porta a un grado di maturazione professionale molto elevato. Ma l’ispirazione viene anche dal dialogo con l’azienda: a volte i progetti più belli prendono vita da una discussione, da un confronto, da uno schizzo su un pezzo di carta, fatto lì al momento, senza l’aiuto del computer, proprio come si

faceva un tempo... Odo Fioravanti Di solito arrivano come piccole scintille in momenti diversissimi e in posti diversissimi. Il luogo che li accomuna non è fisico ma una specie di spiraglio o di finestra aperta verso una dimensione interiore. Il luogo delle mie idee non è fuori ma anche dentro, da qualche parte. Front Difficile a dirsi, accade sempre in modo diverso! Quello che possiamo dire è che per noi è sempre importante lavorare in team in fase di ideazione del progetto. È insolito comunque cominciare progetti semplicemente da argomenti di nostro interesse: partiamo sempre dal breafing dei clienti, dalle loro esigenze. Poi il progetto si concretizza, prendendo forma da un materiale o da una tecnica… in pratica da qualsiasi cosa che attragga il nostro interesse.

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Konstantin Grcic Dietro le ‘idee’ c’è moltissimo lavoro. Pensare produce le idee migliori. Martí Guixé Quando analizzo gli elementi fondamentali del progetto nascano le mie idee. Ineke Hans Osservo spesso le abitudini e i comportamenti delle persone, i luoghi dove avvengono cose che non ‘dovrebbero’ accadere. Spesso capita che queste ‘strane’ e divertenti abitudini siano spesso più vicine a un concetto di bellezza e di praticità, anche senza il coinvolgimento del ‘cosiddetto design’. Ferruccio Laviani Come ho sempre detto non esiste una mia filosofia di progetto. Le cose possono nascere in modo istintivo o ponderato, dipende dalla sensibilità del momento e dal contesto in cui mi trovo: tutto questo è passato ‘al setaccio’ in modo professionale. Mathieu Lehanneur Il mio studio lavora in media su venti/ venticinque progetti contemporaneamente. Per portarli avanti tutti insieme, mi sono abituato a riflettere su ciascuno dieci minuti al giorno, dieci minuti molto intensi. Nel tempo che resta il mio cervello prosegue la riflessione e lavora da solo. Il giorno dopo mi dà i risultati e io lo alimento nuovamente… Arik Levy Ogni giorno nasce qualcosa e ogni giorno rimango “incinto” di nuove idee … l’unico problema è dove, come e quando incanalarle... Lievore Altherr Molina Ogni idea nasce per motivi diversi. In comune hanno tutte l’osservazione, il dialogo e l’incontro con l’identità del brand per il quale sono chiamato a lavorare. Ovviamente interviene anche la mia visione del progetto e la mia esperienza. Piero Lissoni Sotto la doccia... scherzo naturalmente. Tutto nasce dalla discussione quotidiana: i progetti prendono forma da una condivisone. E nascono dalle esigenze reali e concrete. Ecco, costruire le esigenze è un’altra peculiarità del design italiano. La bellezza del progettare, in realtà, si risolve in un dibattito non necessariamente amichevole, in dialoghi spigolosi: è il confronto che vince. Sempre. Serve una sedia nuova? Allora comincio a studiare. Discuto, parlo e da lì inizia tutto… Ross Lovegrove Faccio riferimento a un ‘modo di pensare’, a un insieme di idee, in cui credo. Si è concretizzato circa sedici anni fa e ora sta cominciando a esprimersi con una coerenza estetica e filosofica che si riflette nei progetti del mio studio. Jean-Marie Massaud Due le situazioni tipiche. Da solo e rilassato: al mattino, dopo aver lasciato i figli a scuola, mi riposo un po’ e ‘sogno’ per una mezz’oretta. La mente è tersa, priva di stress, il pensiero diventa un flusso naturale. Bastano un quaderno e una

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matita. Oppure, confrontandomi: discussioni piene di entusiasmo da cui, poi, improvvisamente scaturiscono in modo chiaro gli obiettivi in gioco, le soluzioni sintetiche. Tutto avviene sempre molto in fretta. Ingo Maurer Mi piacerebbe molto potervelo spiegare, ma dopo tutti questi anni, per me rimane un miracolo! Alberto Meda Nel momento in cui nasce un’idea che prima non c’era, si aggiunge, qualunque sia l’ambito, un pezzetto di conoscenza, che acquista un valore. Per innovare bisogna anche dare un’occhiata all’esistente: sarebbe sciocco e presuntuoso non avere un riferimento sul reale, ma occorre adottare uno sguardo, diciamo, “strabico”, cioè un punto di vista non convenzionale, non conservativo. L’innovatore è un po’ un dissacratore, forse anche ‘birichino’, che ha l’attitudine di contraddire le soluzioni esistenti per cercare nuove connessioni: il desiderio è quello di andare oltre con l’immaginazione perché essere innovativi comporta anche un aspetto di piacere e di sfida. Nel grande ‘magazzino del possibile’ si va da una suggestione all’altra attraverso una serie di pensieri e di ragionamenti, si segue un percorso che non sai bene dove ti porta; intuisci qualcosa e fai una piccola mossa: ed è questa che, a ragion veduta o del tutto per caso, produce più di quanto non sia l’atto in sé. Insomma, si tratta di una questione d’intuizione, di casualità e di coincidenze. Vorrei sottolineare l’incontro fecondo con la casualità, con fatti del tutto imprevedibili, perché non credo a un atto progettuale assolutamente programmato. Le idee nascono inconsapevolmente, non sono pianificabili, anche se possono essere stimolate da un’attitudine sperimentale, dalla curiosità verso tecnologie e materiali innovativi, dalla capacità di trasferire, contaminare e innestare saperi anche distanti fra loro, integrandoli. È il sapere contenuto nella materia a ispirare un’idea. Si tratta di riconoscerlo, declinarlo e applicarlo, rivelandone l’intelligenza… Paola Navone Tutti i miei progetti nascono da un incontro. Per esempio, da quello ‘specialissimo’ con Christina Ong sono nati i miei due ultimi progetti: uno in Thailandia e l’altro a Miami. E l’ispirazione e l’estetica dei singoli progetti sono legate ai luoghi: il paesaggio della Thailandia e il suo infinito serbatoio di prodotti artigianali per il progetto di Point Yamu e l’architettura deco, per quello di Miami. Nendo Nella vita quotidiana. Sempre: mentre porto a spasso il cane, mangio la pasta, mi bevo una bella tazza di caffè... Le piccole idee sono sempre le migliori, e si nascondono nella quotidianità di tutti i giorni. Luca Nichetto Il fatto di viaggiare molto mi ha portato a ‘guardare’ l’oggetto per capire il contesto dove questo sarà utilizzato. Un tempo magari iniziavo a

progettare, pensando a come dovesse essere esteticamente o a quale funzione dovesse svolgere. Ora, invece, cerco di partire dal contesto, che mi consente di dare risposte più precise con progetti non legati all’effetto ‘wow’, ma onesti, frutto di ‘piccole’ intuzioni. Philippe Nigro Le idee nascono a volte dopo tanti sforzi, dubbi, pensieri, ricerche (e disperazioni). A volte, invece, in modo del tutto naturale: dopo avere visto una bella mostra, per esempio, oppure visitato un luogo interessante; a volte, ancora, le buone idee sono il proseguimento di un ragionamento già iniziato con precedenti lavori. Non c’è una regola precisa: diciamo che scaturiscono da un insieme di cose passate e quotidiane. Patrick Norguet Le mie idee prendono avvio da un incontro, dalla conoscenza della storia di un’azienda, dalla performance di una tecnologia produttiva… Disegnare per sé stesso non ha senso per uno che di mestiere fa il designer. Jorge Pensi Nascono in qualsiasi momento le idee, anche quando non si è seduti davanti a un tavolo da disegno con la matita in mano. Un fattore importante è dato dal rapporto personale che si ha con chi ti ha commissionato il progetto. Se c’è sintonia, l’idea vincente può presentarsi già subito, durante il briefing. Molti degli oggetti che ho progettato sono frutto di esperienze di questo tipo, quasi magiche, direi. Marc Sadler A volte sono ‘fulmini a ciel sereno’ perché le idee possono nascere in qualunque momento. Le fonti di ispirazione sono le più disparate ma la natura di per sé stessa rappresenta per me una delle più ricche e felici. Sawaya&Moroni I nostri progetti nascono da una congenita curiosità culturale ma anche dalle esigenze del mercato; prendono consistenza dagli scambi di idee, dalle conversazioni e dagli ‘scontri’ con i designer con cui lavoriamo... Insomma, il confronto riveste un ruolo importantissimo. Matteo Thun L’ispirazione è quotidiana, potenzialmente prende forma in ogni momento. Mi sto ritagliando ogni anno sempre più tempo per ‘il libero pensiero’, che amo raccogliere attraverso acquarelli e schizzi. Tokujin Yoshioka Ponendosi innanzitutto questa domanda: “Questo oggetto suscita emozioni oppure no?” L’idea progressivamente prende forma e diventa un’immagine forte e ben definita.

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La lampada ‘Luminophor’ a Led disegnata da Till Armbrüster per Ingo Maurer (foto di David Zanardi).

who&which ?

qual È, secondo te, il prodotto piÙ rappresentativo degli ultimi 60 anni di design?

Edward Barber e Jay Osgerby Probabilmente la poltrona da ufficio in pelle e alluminio degli Eames, la Eames Aluminium Group Chairs. Oggi ha lo stesso significato che ha avuto al momento del suo ‘debutto’ sul mercato ed è ancora una delle sedute più diffuse nel mondo . Erwan e Ronan Bouroullec Non saprei rispondere a questa domanda. Ma penso che alla fine siano i figli e tutta la ricchezza che si portano dentro. Anche

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nell’auspicio che le nuove generazioni sappiamo disporre di una più felice apertura mentale, di un rispetto più consapevole per la differenza. I bambini possono darci il buon esempio... Stephen Burks Ma come può un solo prodotto rappresentare 60 anni di design? Ce ne sono moltissimi. Dal TGV (il treno francese ad alta velocità) all’iPhone, dal 606 Universal Shelving System di Dieter Rams alla Lounge Chair degli Eams, dallo Space Shuttle al Personal Computer:

ognuno di questi prodotti è di per sé una dichiarazione di cultura e racchiude un profondo significato. Antonio Citterio L’iPad o l’iPhone. Perché, oltre a cambiare la vita a milioni di persone, hanno chiarito molto bene cos’è il design: ricerca, tecnologia, innovazione, uso, espressione, tutt’uno! Non è un problema di linguaggio ma di sintesi. Claesson Koivisto Rune Il Personal Computer.

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Odo Fioravanti Lo spremiagrumi Juicy Salif di Philippe Starck per Alessi: il segno definitivo di un cambio di paradigma che rimette in discussione ogni approccio tradizionale alla progettazione, con un prevalere della narrazione su tutto. Il design diventa definitivamente un linguaggio. Carlo Colombo Penso non a un prodotto ma a un designer: Joe Colombo, che è stato uno dei più grandi protagonisti degli Anni 60 nonostante sia mancato molto giovane: ha fatto in tempo a lasciarci tanti e bellissimi pezzi, ancora attuali. Joe Colombo aveva una marcia in più, era avanti di cinquant’anni rispetto ai suoi colleghi, serbando un visone del futuro davvero straordinaria! Come Mies van der Rohe è stato per me uno dei più grandi architetti del secolo scorso così Joe Colombo lo è stato nel campo del design. Konstantin Grcic Qualunque cosa abbia a che fare con la mobilità. Martí Guixé La sedia monoscocca. Ineke Hans La ‘Knotted Chair’ di Marcel Wanders del 1997. Tutto era nuovo: l’estetica, il materiale, la tecnica, l’approccio. Ferruccio Laviani È difficile fare delle scelte in un campo così ampio e, soprattutto, riuscire a fare una selezione su un’infinità di progetti che sono stati realizzati. Dal design anonimo a quello ‘firmato’, i prodotti che penso abbiano più sostanza sono quelli che sono passati in ‘follow me’ attraverso tutti questi anni e che vengono ancora oggi usati nel modo in cui sono stati pensati in origine. Mathieu Lehanneur Il Cloud. È molto più di un prodotto: il Cloud è una divinità digitale! Arik Levy La trasformazione della società e del suo modus operandi. Non penso a un oggetto in particolare, ma piuttosto alle persone che inventano, realizzano e usano gli oggetti. Lievore Altherr Molina È difficile, ma ne ho scelto uno. Probabilmente il più rappresentativo perché ha creato una visione valida ancora oggi, potremmo dire che ha inventato la tipologia contemporanea delle sedie da ufficio: la Eames Aluminium Group Chairs della coppia americana.

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Piero Lissoni Penserei non a un prodotto ma a un’azienda e dico Olivetti. Per quale motivo? Perché dentro a questa azienda c’è stata una congiuntura cosmica straordinaria: troviamo la visione umanistica dell’industria, ma anche la creatività assoluta e, ancora, una visione nel futuro che arriverà trent’anni dopo con Apple. In parallelo sceglierei anche Brionvega. Entrambe queste aziende hanno portato al limite estremo la tecnologia dell’epoca, ma l’hanno guardata come se fosse già chiusa in una scatola del passato, pronte a immaginare un nuovo mondo. Prendiamo il negozio di Olivetti a Venezia: fuori contesto è una scultura straordinaria di Carlo Scarpa, ma contestualizzato è l’Apple Store del 2014! C’è una lungimiranza meravigliosa da parte di Olivetti: per realizzare i suoi negozi, esplora città dopo città, luogo dopo luogo e sceglie i migliori interpreti del progetto: i BBPR a Milano, Carlo Scarpa a Venezia. Quando vado a Venezia, e guardo quel negozio dico: accidenti! Ross Lovegrove Il prodotto di design più rappresentativo degli ultimi 60 anni, che si erge a icona, dovrebbe essere un prodotto non elettronico: dico la sedia Panton di Werner Panton. Esprime tutto in un solo gesto olistico… materiale, forma e umanità. Jean-Marie Massaud Penso a due simboli. La Citroën 2CV (1948): mobilità, convenienza, intelligenza, sintesi, riduzione. E l’ecosistema iPhone: accesso, link, servizi, mobilità. Rappresenta una vera rivoluzione perché ognuno di noi diventa un vero e proprio “neurone”, connesso e con un impatto sul sistema nervoso dell’umanità. Steve Job è sicuramente il miglior designer degli ultimi 60 anni. Ingo Maurer Spiacente, non posso rispondere: esistono tanti e bellissimi progetti. Sarebbe troppo difficile dover scegliere il mio fiore preferito. Alberto Meda L’iPhone. Paola Navone Non credo di poter scegliere un solo oggetto. Negli ultimi 60 anni tantissimi maestri hanno lavorato sulla forma delle cose consegnando alla storia del design oggetti unici: da Ponti a Mollino, da Scarpa a Munari. Poi Mendini, Sottsass, Magistretti... Insomma, l’elenco è lunghissimo. Come scegliere? Nendo Walkman di Sony.

Luca Nichetto L’Arco dei fratelli Castiglioni. Philippe Nigro Se si parla di un oggetto estetico/ funzionale, c’è ne sono tanti ma citerei un oggetto creato circa 60 anni fa e che rimane un’icona modernissima ancora oggi: l’Eames Aluminium Group Chairs degli Eames. O, ancora, la Parentesi dei fratelli Castiglioni. Jorge Pensi Non un prodotto, ma scelgo un designer, anzi due. E qui non ho dubbi: il lavoro creativo di Charles e Ray Eames. Marc Sadler Davvero non saprei quale definire “the best”, ma penso alla penna biro Bic come ad un esempio calzante di buon design. Sawaya&Moroni Per quanto riguarda la nostra collezione non ho dubbi: la sedia Maxima di William Sawaya per l’apporto di novità tecnologica e formale. Ma penso anche a tanti altri prodotti che hanno scritto il ‘genoma’ del design mondiale. Forse, però, nessun disegno ha finora superato la semplicità, la classicità e la genialità della Ant Chair di Arne Jacobsen. Matteo Thun Qual è l’oggetto di design più rappresentativo degli ultimi 60 anni? Penso a tanti, ma cito il primo che mi viene in mente: il post-it. Un’idea più che un design, un concept, un gesto. È stato super copiato e rappresenta per me una sorta di predecessore di Twitter: veloce, sul punto, di poche parole. In questo senso è un simbolo dei nostri tempi, che sono veloci con atteggiamenti usa-e-getta, sono colorati/coloriti e non troppo impegnativi/ impegnati. Il suo uso prescinde dall’età, dalla formazione. Si trova in tutto il mondo, è globale, infatti: un’altra caratteristica dello sviluppo negli ultimi decenni. Tokujin Yoshioka Penso ai Led, che hanno rivoluzionalo il mondo dell’illuminazione.

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Interpretazioni di italianità di Valentina Croci

Come ridare valore a un patrimonio del fare che ha ispirato intere generazioni? Puntare sui giovani designer italiani è una strategia che premia? Ecco alcuni marchi che scommettono su nomi autoctoni, anche sconosciuti, ma capaci di interpretare la nostra cultura manifatturiera Filiera corta e mercati globali Lago Objects powered by Lovli è una selezione di piccole realtà italiane in vendita, con prodotti realizzati in esclusiva, sul portale e distribuite nei negozi Lago in Italia, Francia e Germania. Le aziende selezionate sono Acquaefuoco, I Love Legno, Habits, Serafino Zani, Ceramiche Calcaterra e Marmi 1948. “L’iniziativa” precisa Daniele Lago, AD Lago “aveva la necessità di dotare la propria rete di vendita di strumenti che incidessero positivamente sul traffico del negozio stesso e, contemporaneamente, iniziare un percorso di informatizzazione, essenziale per affrontare le sfide globali. Per contro, Lovli aveva necessità di ampliare la distribuzione delle aziende del proprio network. Dall’unione delle due realtà è nata Lago Objects Powered by Lovli, una selezione

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di oltre 40 prodotti per la casa, 100% made in Italy, che si possono trovare solo nei punti vendita che espongono Lago. I negozianti ordinano i prodotti della linea Objects direttamente dal portale che si occupa della consegna (sotto la nostra supervisione). Il flusso è operativo dal 15 giugno. Per la scelta dei prodotti si parte da un brief di Lago al quale segue una proposta di Lovli che, in base alla propria esperienza sul consumatore, propone dei concept da sviluppare con le aziende del network. Si procede alla scelta dei nomi più promettenti e si stilano le linea guida per il fine-tunning di prodotto. Dopo un paio di prototipazioni, si arriva al prodotto finale che, in poche settimane, viene messo a disposizione della rete vendita. L’obiettivo è fornire ai negozianti un

Da sinistra: Lago powered by Lovli presenta la seduta 7 Minuti, prodotta da Ilovelegno in una falegnameria di Vigliano Biellese; il camino Nero di Acquaefuoco Wellness Mood, brand di Giovanni Crosera e Mario Mazzer; due complementi della collezione Filodolce in filo di ferro di Giovanni Casellato per Lago.

flusso continuo di novità, come nella moda. E il complemento d’arredo, che presenta una rotazione molto alta, è uno strumento ideale per generare traffico sul negozio. La linea Objects è anche un’opportunità per mettere in luce nuovi designer italiani come i talentuosi Studio Habits o Marmi1948, giovane realtà che porta il design nel marmo”.

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Prodotti da Atipico, i vassoi Arca e Slitta in marmo di Carrara di Carlo Trevisani; la lampada da tavolo Badess in fil di ferro cotto nero, disegnata da Antonio Sciortino; il centrotavola in alluminio Prisionier di Mist-o.

L’elogio del quotidiano Nato nel 2008 e diretto da Gianluca Corbari, il marchio Atipico cerca un percorso fuori dalla routine, espresso da oggetti e complementi con un’estetica minimale e un linguaggio che duri nel tempo, materiali di qualità e una manifattura 100% made in Italy. Alla base c’é un talent scouting e un proficuo dialogo con giovani designer, tra cui Federico Angi, Fabio Meliota, Antonino Sciortino, Carlo Trevisani e Zaven. Spiega Corbari: “Ci distinguiamo per la continua ricerca nei materiali, anche tradizionali come legno, ferro e ceramica, riletti con linguaggi contemporanei ma nella tradizione del fare. Sperimentiamo nella fisicità dell’oggetto e nei processi di produzione cercando di far uscire l’anima dei materiali. Finora sono stati i designer a

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scegliere Atipico. Sono progettisti che conoscono le tecniche storiche e la cultura produttiva nostrana. Molti provengono da attività di famiglia nel manifatturiero e hanno una conoscenza diretta del tessuto italiano. C’è generalmente un buon bacino, di buon livello e preparazione. Con alcuni si è instaurato un rapporto di consulenza reciproca che va al di là della definizione del singolo prodotto. A loro chiedo quel dettaglio, quel ‘colpo giusto’ che fa la differenza, senza realizzare un prodotto troppo ‘disegnato’. Lavoro per lo più con designer italiani, anche se non sono gli unici della scuderia, per una maggiore facilità a comprendersi e per la cultura in comune. Ma ci sono molti stranieri che vogliono assimilare il nostro modo di vivere e il nostro saper-fare. Nel

futuro approfondiremo aree del complemento di arredo ancora poco sviluppate come piccoli arredi, poltrone, scrivanie o vetrinette. È un mercato che ha ancora spazio, ma solo per cose fatte bene, distinguibili e non troppo commerciali. E accessibili, perché è importante recuperare quella fascia media di mercato che sta scomparendo.

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Puntare sulle personalità Con l’esordio come art director nel 2013, Giorgio Biscaro segna un cambio di direzione per FontanaArte, operando un lavoro filologico che rende omaggio agli storici designer dell’ottuagenaria azienda dell’illuminazione, come Ponti o Chiesa, ma anche alla cultura italiana e contemporanea del progetto, dotata di ironia e innovazione tipologica. Spiega Biscaro: “Ho lavorato con GamFratesi (per metà italiani), Emmanuel Babled (che in Italia ha lavorato molto,

La lampada a sospensione Cloche è una riedizione di un prodotto d’archivio del 1995 che interpreta lo stampo per il pudding. A destra, dall’alto: gli ‘spot light’ a sospensione modulari Igloo realizzati in tecnopolimero su disegno di Studio Klass; l’applique a led Bonnet che con la sua forma recupera e massimizza l’emissione di luce, design Odoardo Fioravanti. Tutto FontanaArte.

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ereditando alcune peculiarità del fare progettuale nostrano), Studio Klass e Zaven per tornare su concetti cardine quali emozione, sperimentazione e calore, dando vita a una collaborazione virtuosa. Il mio impegno maggiore è rivolto all’analisi della grande quantità di progetti che quotidianamente pervengono in azienda. Tuttavia preferisco comunicare un brief a uno specifico designer, scelto in base al suo fare progettuale, e sviluppare il progetto insieme a lui nel rispetto

della professionalità del designer medesimo. È un lavoro rischioso che lascia poco margine di errore alle mie valutazioni. L’attività di approfondimento rappresenta da sola una percentuale importante del mio tempo. Ferréol Babin, ad esempio, è stato contattato in seguito alla visione del suo progetto di tesi su un blog francese. Il panorama del design italiano under 35 è variegato. Da un lato, c’è una generazione di professionisti formati e dotati ognuno di un’attitudine specifica che mi fa sperare in un futuro positivo. Dall’altro, c’è un gruppo di designer che dimostra poca attenzione alla disciplina e scarsa conoscenza dei processi culturali che hanno portato alla nascita di quello che oggi viene definito design, che non può prescindere dalla comprensione del nostro trascorso socioculturale. Serve tanta buona volontà e una certa dose di autocritica”.

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Incubatore di talento Pedrali, marchio bergamasco del contract, si contraddistingue per la gamma eterogenea di prodotti e il mix di designer più ‘strutturati’ e giovani progettisti italiani. È stata lei a scommettere sull’allora emergente Odoardo Fioravanti che, con la seduta Frida, ha vinto il Compasso d’Oro. Spiega Giuseppe Pedrali, AD dell’azienda: “Nella nuova collezione abbiamo messo in evidenza la centralità del legno e dell’imbottito al fianco dei materiali plastici. Soluzioni che nascono dalla sperimentazione di materiali e tecnologie: come l’innesto delle gambe dello sgabello Babila, progettato da Fioravanti, senza aggiunta di elementi di supporto, o il sistema di aggancio dei bracci dell’appendiabiti Flag, disegnato da Pio e Tito Toso. Ci piace lavorare con persone con cui riusciamo a stabilire un buon feeling e condividere idee e sogni. Le collaborazioni arrivano da percorsi e sensibilità differenti, accomunati dalla volontà di interpretare la nostra anima produttiva che, grazie allo sviluppo interno della maggior parte delle lavorazioni, si traduce in prodotti di qualità e competitivi nel prezzo. Seguiamo il lavoro di alcuni designer che stimiamo e con qualcuno ci incontriamo regolarmente per scambiarci idee. Oppure riceviamo e valutiamo le proposte dai progettisti

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che non conosciamo. Odoardo Fioravanti si è presentato nel 2007 con il prototipo di una sedia in polipropilene che utilizzava la tecnologia gas air moulding. Sapeva che la stavamo utilizzando. Non lo conoscevamo. È stata una scommessa per entrambi. I giovani designer italiani sanno di poter attingere a un repertorio storico di immenso valore. Rispetto ai loro colleghi stranieri hanno inoltre la fortuna di essere vicini a numerose realtà produttive di eccellenza. E il loro migliore apporto sta in idee progettuali che mixano memoria, conoscenza tecnica e creatività”.

Da sinistra: dalla nuova collezione Pedrali, Flag, design Pio e Tito Toso, è un appendiabiti da terra con bracci componibili in polipropilene e tubo portante in acciaio; lo sgabello in frassino Babila di Odoardo Fioravanti è caratterizzato dalle gambe sottili; la sedia Tivoli di Michele Cazzaniga, Simone Mandelli e Antonio Pagliarulo che ripercorre il tema delle sedute in legno tradizionali.

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Piccoli oggetti per fare scouting A Giulio Cappellini è sempre interessato scoprire giovani talenti nel mondo. E per molti di questi l’incontro ha fatto da trampolino di lancio. Per la collezione Progetto Oggetto del marchio Cappellini, il designer-imprenditore ha scelto alcuni creativi italiani under 30 (Antonio Facco, Antonio Forteleoni, Mist-O e Leonardo Talarico) per una collezione di complementi d’arredo che enfatizza l’artigianato e la manifattura italiana, in opposizione agli stampati plastici cinesi. Spiega Giulio Cappellini: “Di solito, quando inizio un rapporto non è solo per realizzare un solo progetto, ma per costruire una storia destinata a durare nel tempo. Stabilire il giusto feeling è fondamentale, io debbo rispettare la libertà espressiva del designer e lui sapere ciò che Cappellini può fare. Il complemento d’arredo è spesso il primo step. Di frequente sono i designer a propormi dei complementi. Spesso mi colpisce uno schizzo, un

prototipo o semplicemente trovo interessante la persona. La scelta è istintiva, viene dal cuore. Creare un prodotto oggi richiede molto tempo e sforzi: è necessaria la volontà da entrambe le parti di raccontare al mercato qualcosa di nuovo, di fare un oggetto migliore di quello fatto dieci anni fa. È importante saper usare la tecnologia per progettare, ma lo è altrettanto fare modelli, prototipi e seguire i prodotti passo dopo passo, autonomamente o con gli uffici sviluppo delle aziende. Vedo positivamente l’aumento dell’autoproduzione da parte dei giovani designer italiani. I nostri progettisti in erba devono fare i conti con una grande storia e cultura del design, con personaggi immensi conosciuti in tutto il mondo. Il confronto può e deve essere uno stimolo a lavorare sull’innovazione e la contemporaneità. Un giovane designer deve avere pazienza: se è bravo prima o poi qualcuno lo scopre”.

Sopra da sinistra: della collezione Progetto Oggetto di Cappellini, dedicata ai designer italiani under 30, i vasi Duo in ceramica di Antonio Facco; Jana in ceramica di terra nera di Antonio Forteleoni; Atlantis in ceramica e vetro di Mist-o. Sotto, il portafiori in alluminio Voir di Leonardo Talarico.

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Creatività Tra Analogico E Digitale Marchio trentino pioniere in Italia dell’industrial 3D printing, .Exnovo si è imposto con una collezione di lampade realizzate da giovani designer italiani – Alessandro Zambelli, Gio Tirotto e Stefano Rigolli, 4P1B e Lanzavecchia + Wai – che hanno evidenziato le illimitate potenzialità formali della stampa 3D e il saper fare artigianale tipico del made in Italy. Racconta Giulia Favaretto, responsabile marketing del marchio: “Abbiamo puntato su giovani designer italiani, già riconoscibili sulla scena del design, per conferirci un carattere distintivo che si riassume in oggetti dalla forte cultura progettuale.

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Puntiamo sui giovani perché hanno più famigliarità con le tecnologie digitali sia come processi produttivi, sia come strumenti per il progetto. Le collaborazioni sono nate da workshop in azienda, in cui abbiamo spiegato la nostra visione di tecnologia. La stampa digitale consente infatti una libertà creativa quasi illimitata, ma non va intesa fine a se stessa, bensì integrata nella cultura manifatturiera dalla quale attinge. Tutti i prodotti stampati 3D sono rifiniti a mano con una cura del dettaglio che li rende più vicini al pezzo unico che al prodotto industriale. La produzione di .Exnovo nasce dall’ibridazione di competenze, tra il

digitale e l’artigianale, che i designer hanno enfatizzato. I contrasti materici, come il legno o il vetro con il materiale del 3D printing, e il saper fare espresso dagli oggetti rappresentano la quintessenza del made in Italy. I designer hanno inoltre dimostrato unicità e voglia di mettersi in gioco: la libertà compositiva della stampa 3D può essere disarmante nella fase iniziale dell’ideazione. Nel futuro coinvolgeremo altri giovani designer e artigiani per spingere ulteriormente la contaminazione materica e progettuale. Punteremo sull’alto artigianato e su modelli che sappiano rappresentare l’innovazione della stampa 3D”.

Realizzata da .Exnovo in stampa digitale (poliammide sinterizzata) e materiali tradizionali come legno e vetro, la lampada da tavolo Rhizaria di Lanzavecchia + Wai. Sotto, la serie da tavolo Voltaire di Gio Girotto e Stefano Rigolli e la sospensione Afillia di Alessandro Zambelli.

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Accanto, da sinistra: dalla nuova collezione di Seletti, lo scolapiatti Inception (ispirato all’omonimo film di Christopher Nolan) di Luca Nichetto, gli armadietti Wire di Alessandro Zambelli e la serie di comò Export di Marcantonio Raimondi Malerba. Sotto, la lampada Woodspot di Alessandro Zambelli.

Strategie attraverso il design Da importatore di oggetti cinesi, Seletti è diventato un brand produttore di complementi d’arredo riconosciuto nel mondo per l’eterogeneità delle collezioni che condividono ironia, originalità e la rilettura di oggetti preesistenti. Il direttore commerciale e creativo Stefano Seletti deve questo successo alle sue intuizioni, ma anche ai contributi di giovani designer come Alessandra Baldereschi, CtrlZak, Marcantonio Raimondi Malerba e Alessandro Zambelli che hanno segnato una svolta nel mercato. “La collaborazione con Alessandro Zambelli, il primo designer della scuderia Seletti, è nata per vicinanza geografica e per l’esigenza personale di tradurre in progetto le mie idee, visto che non ho competenze a riguardo” racconta Stefano Seletti. “Con la linea Estetico Quotidiano c’è stata la svolta e ci siamo aperti anche nuove collaborazioni. È capitato che fossero italiane perché l’azienda era conosciuta per lo più in Italia, ma non siamo preclusi a collaborazioni con stranieri. Questi contributi hanno dato importanti apporti per creare un prodotto più maturo e definito, con più attenzione ai dettagli che, per un’azienda che viene dalla grande distribuzione, ha significato un riposizionamento commerciale e un target più alto. Se dieci anni fa l’80% del fatturato derivava dalla grande distribuzione, oggi è solo il 5%, mentre il resto viene da retailer specializzati nel design. Con i designer abbiamo portato avanti importanti esperimenti: i mobili Wire di Zambelli – armadietti in metallo da palestra trasformati con pochi dettagli in arredi per il domestico – consentono a un ready made di cambiare posizionamento e rete distributiva. Con Marcantonio Raimondi Malerba stiamo rivisitando il concetto di classico con un’operazione più artistica che di design. Non vogliamo essere come le aziende nordiche del complemento, ma mostrarci più colorati, sistematici e creativi. Ovvero più italiani”.

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In senso orario:nel progetto Code di Calligaris sono presenti la lampada Pom Pom con base in cemento di Matteo Cibic; l’abat-jour di Michele Menescardi caratterizzata dal gioco di scala; il tappeto Marocco di Matteo Cibic; lo specchio/contenitore a muro Moss di Busetti Garuti Redaelli.

Contaminazioni materiche e generazionali In vendita da questo autunno, il progetto Code di Calligaris inaugura una serie di lampade e complementi d’arredo che, da un lato, completa l’offerta dell’azienda friulana, dall’altro, vive indipendentemente con una propria identità di marca e rete di vendita. Gli oggetti sono progettati da Stefano Claudio Bison, Busetti Garuti Redaelli, Matteo Cibic, Michele Menescardi, Mr Smith Studio, Pio e Tito Toso, scelti dalla brand agency Nascent, direttore artistico di Code, e Massimo Cian, direttore del Centro Ricerca e Sviluppo di Calligaris. Commenta Andrea Bocchiola, responsabile marketing dell’azienda: “Code è un incubatore di talento per giovani designer italiani con caratteristiche di originalità nel segno e immagine forte. I prodotti sono integrabili nella collezione Calligaris perché ne condividono il tratto e le finiture, come ad esempio i colori. È un ‘in-management’, ovvero integrato nella logica produttiva Calligaris e ha lo stesso target di consumatore. È ‘smart’ nel senso di semplicità, funzionalità e praticità a un prezzo competitivo. E, grazie alla vendita indipendente, consente di creare altri contatti con il nostro pubblico. Il complemento d’arredo è un’opportunità di business perché, rispetto al divano o al letto, ha molta più rotazione di fatturato. Abbiamo scelto designer italiani per ridare valore a un patrimonio del fare che ha ispirato intere generazioni e sottolineare la nostra italianità. Calligaris è di nuovo 100% italiano, ora che Alessandro Calligaris ha riacquisito le quote societarie. Vogliamo aumentare il mecenatismo verso i giovani talenti. Ci siamo rivolti a designer con esperienza, ma in futuro, forse in un progetto parallelo a Code, vogliamo rivolgerci a progettisti ancora più giovani, offrendogli l’opportunità di venire a contatto con un’azienda strutturata, ma anche di essere distribuiti in tutto il mondo con la nostra rete di 480 negozi in 90 Paesi”.

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Il tavolo Opera di Mario Bellini ha la struttura in legno massello nelle finiture acero naturale o tinto grigio, rovere naturale, teak, multistrato di betulla laccato opaco in diversi colori. Nella pagina a fianco, un ritratto di Giulio Meroni, fondatore di Meritalia, scomparso lo scorso anno. Foto di Giuseppe Pino.

Leggerezza e divertimento, originalità e qualità, valore e affidabilità sono i canoni con cui Meritalia interpreta il design. Per offrire una risposta concreta alle richieste di un mercato sempre più esigente e che desidera essere continuamente stupito testo di Danilo Signorello

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Oltre i limiti

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wo roads diverged in a wood, and I /
I took the one less traveled by / And that has made all the difference.” (Divergevano due strade in un bosco, e io… / Io presi la meno battuta / E di qui tutta la differenza è venuta)”. I versi di Robert Lee Frost, poeta statunitense vissuto tra 800 e 900, risultano per certi aspetti appropriati alla storia di Meritalia. Azienda giovane nata nel 1987 da un’intuizione felice del fondatore Giulio Meroni, con una storia recente ma già riconoscibilissima per i suoi prodotti dal design non convenzionale, Meritalia ha fatto e sta facendo la differenza nel settore degli arredi e dei complementi. Una scelta, quella di osare 27 anni fa aprendo una strada nuova all’interior design tra le numerose e produttive imprese del mobile della Brianza, che ha sempre premiato, sollecitando da subito la curiosità della propria clientela con prodotti originali, oltre i limiti ma sempre misurati. Dal divano “Cesare” disegnato da Tobia Scarpa, che rimane il pezzo storico di

maggiore attualità, al tavolo “6 A Tavola” (2011) di Italo Rota lussuoso ma semplice, voluttuoso e tattile; da “La Michetta” (2005) di Gaetano Pesce, che ha reinventato il concetto di modularità nel suo essere sempre diversa, senza limiti e coloratissima, al tavolino “Snake” (2006) di Carlo Contin giocato sulla fantasia compositiva di diverse altezze e di posizioni sempre differenti. Del resto la storia di Meritalia è ricca di prodotti animati da un forte contenuto progettuale, frutto del lavoro di chi ha qualcosa da dire, da comunicare, da lasciare nella storia, come testimonia la sedia “Libertà” (1989), sempre di Scarpa, entrata nella collezione permanente del Museo di Arte Contemporanea del Louvre di Parigi. “Design da sempre” recita lo slogan in Home Page sul sito (www.meritalia.it) di un’azienda orgogliosa di collaborare con designer prestigiosi (Alessandro Mendini, Fabio Novembre, Marc Newson, Karim

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A lato, Cubo è la poltrona progettata dai fratelli Castiglioni sviluppata da Meritalia nel 2013. La seduta in poliuretano con il peso del corpo cede abbassandosi e permettendo alle braccia di posizionarsi comodamente sui braccioli. La poltrona Cesare, disegnata da Tobia Scarpa, ha rivestimento in pelle o tessuto in diversi colori. Le ruote piroettanti anteriori e i piedini posteriori sono di serie Sotto, la sedia Libertà è considerata un simbolo del marchio Meritalia. Disegnata da Afra e Tobia Scarpa, ha struttura in alluminio, finitura anodizzata o verniciata ed è disponibile anche nella finitura foglia oro 24 carati.

Rashid, Marc Sadler, Toshiyuki Kita) che hanno saputo e sanno ancora oggi fondere in ogni elemento d’arredo creatività e produzione, mantenendo vivo lo spirito con il quale Giulio Meroni fondò Meritalia a conferma che lo sviluppo progettuale è sempre frutto dell’incontro tra progettista e imprenditore. Secondo questa filosofia, Innovazione (nelle idee) e Ricerca (nei materiali) hanno permesso la produzione della poltrona “Cubo” (2013), un pezzo inedito dei fratelli Castiglioni del 1957, o il divano “Newcastle” (2013) di Giulio Iacchetti dall’inconsueto rivestimento in Duraform®, tessuto artificiale di fibra di cellulosa, solitamente utilizzato per le etichette dei jeans e mai usato prima nell’arredamento. E i progettisti non necessariamente devono essere designer e architetti in senso stretto, ma possono anche essere personaggi che hanno idee interessanti da sviluppare e da proporre al mercato, come nel caso di “Fiat 500 Design Collection” (2011) ideata da Lapo Elkann e declinata nel tavolo “Pic Nic”, nella consolle “Cin Cin” e nel sofà “Panorama”. Tradizione, innovazione, sperimentazione spingendosi oltre i limiti e sorprendendo sempre. Come all’ultimo Salone del Mobile, dove le novità sono state, dal punto di vista della sorpresa, degne della storia di Meritalia. Nello showroom di via Durini a Milano, più simile a una galleria d’arte che a un punto vendita per i pezzi che ospita e per l’architettura scenografica progettata da Mario Bellini, genio e (s)regolatezza

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Fasi della lavorazione artigianale del divano Freud e de La Michetta (sotto, una composizione). In basso, l’allestimento di un negozio Stuart Weizman con Air Lounge System di Fabio Novembre.

Ant. Igendel ipsam nulpa alitatiur, officiis molore, eum idus eost dolorest, cum alita simuscia voluptae. Adi diore, officid elictus provitas dolorupta volorum quid eum quam non con con plab inctum alitatet as id ullaut lab idelign imilitatur, ut unti repro blaudae odionsedita ipsa accaeressit ilicatur, volorectores mint. Exerfer chillandandi quiatese cone

si potevano cogliere nella specchiera “Eye-Eye” di Lapo Elkann, nella sedia “Lierna” nata da un progetto dei fratelli Castiglioni, nel divano “Freud” e nel tavolo “Opera” di Mario Bellini. L’architetto milanese con questo tavolo importante, dalla struttura in legno massello che si intreccia al di sotto di un piano di cristallo, ha rielaborato il concetto di tavolo, dandogli una “doppia” vita sopra e sotto il piano, rendendolo una vera e propria “opera” composta da 24 parti assemblate attraverso ben 40 incastri. E non esiste solo Meritalia. L’azienda è infatti oggi alla guida di una holding attiva nella produzione e nella gestione dei progetti attraverso due compagnie che fanno parte del gruppo, Me.le e Me.me. La prima (acronimo di Meritalia legno) nata nel 1992, è specializzata nella lavorazione dei legni. Tecniche di alta ebanisteria e tecnologie all’avanguardia permettono di realizzare ogni tipologia di arredo di serie e su misura. La produzione spazia dal

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tavolo alla boiserie, dalla hall alla suite di un hotel. Al suo interno opera un’intera divisione dedicata alla realizzazione di grandi yacht, che segue l’intero sviluppo del progetto. Me.me (Meritalia metalli), nata nel 1995, si occupa invece della produzione di opere in metallo: tavoli, lampadari, scale realizzati con una grande varietà di metalli. Lavorazioni e finiture sono curate da personale qualificato, tecnici esperti e abili artigiani. Realtà che riassumono nella parola Contract le diverse anime commerciali di Meritalia, oggi in grado di realizzare chiavi in mano un hotel, un ristorante o qualsiasi altro prodotto commerciale, andando oltre la volontà di progettare il singolo oggetto nella ricerca di un total look che esprima a 360 gradi la filosofia aziendale: accostarsi al design e al progetto, in questo caso su larga scala, con leggerezza e divertimento. Francesca Meroni, Press&Comunication Manager di Meritalia, ci racconta in questa intervista come è Meritalia oggi, svelandoci progetti e prodotti futuri. La vostra caratteristica è osare con originalità e misura, essere diversi, fuori competizione. Continuerà a essere una strategia vincente anche per il prossimo futuro? Credo proprio di sì. Questa caratteristica è

sempre stata ciò che ci contraddistingue dagli altri: Meritalia è un’azienda relativamente giovane e ci sembrava poco vincente proporre al pubblico solo prodotti che altre aziende avevano già nel loro catalogo. Anche per attrarre i rivenditori bisogna proporre prodotti originali, e spesso bisogna farlo suggerendo anche il modo per collocarli nelle diverse soluzioni d’arredo, tutto ciò senza dimenticare però la giusta misura. Ecco perché nel nostro catalogo sono presenti sia prodotti originali sia convenzionali e più semplici, in modo da poter offrire una scelta completa a chi ci chiede, come spesso capita, di

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Il tavolino Snake di Carlo Contin, il divano Nubola di Gaetano Pesce e il sofà Panorama di Lapo Elkann. In basso, 6 A Tavola, di Italo Rota, con struttura in metallo verniciato opaco nero, top laccato finitura poliestere, disponibile anche in rosso, bianco e nero.

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arredare interamente la propria casa con la nostra produzione. Quindi la nostra è una scelta completa, non quella di chi non sa dove andare. Un’azienda giovane ma famosa per pezzi unici, riconoscibili, dal design non convenzionale. Esiste un pezzo icona oppure, nella vostra filosofia, è icona l’intera produzione? La risposta in realtà è ambivalente. Il consumatore riconosce il prodotto finito, e da questo punto di vista non ho dubbi nell’individuare La Michetta come icona della nostra produzione, anche se spesso per molti prodotti della collezione ci sono storie ed esperienze vissute e condivise in azienda che li rendono, ognuno a suo modo, delle icone. Personalmente sono legata a diversi prodotti proprio per questi motivi. Sul mercato ci sono tanti progettisti e designer, cosa guida le vostre scelte in questo senso?

Queste scelte non avvengono quasi mai nello stesso modo. Ci capita di avere particolari esigenze, e in quel caso pensiamo a chi possa meglio interpretarle, oppure crediamo possa essere giusta per noi una proposta che ci arriva direttamente dal designer. Di sicuro però, occupandoci di Ricerca e Innovazione, collaboriamo con chi crediamo abbia qualcosa da dire con prodotti forti di un’idea e di un contenuto. Oggi esistono ancora grandi designer e grandi imprenditori? E ancora, è il designer che fa grande un’azienda o è l’imprenditore che permette al designer di diventare grande? L’esperienza e le intuizioni di mio padre mi dimostrano che esistono assolutamente grandi imprenditori; esistono anche grandi designer, ma penso che siano gli uni complementari agli altri. L’idea del designer non può essere messa in pratica senza l’imprenditore che la sviluppa, e senza il designer l’imprenditore serio non potrebbe sviluppare l’innovazione sui prodotti. Cosa fa di un prodotto un buon prodotto? Il progetto innanzitutto. Poi senza dubbio la qualità dei materiali e della realizzazione. Entrare nello showroom di Durini è come entrare in una galleria d’arte. Ormai il confine tra design e arte è sempre più labile. Cosa ne pensa? Penso che sia vero che si tratti di un confine molto labile. Nel nostro caso, nella collezione

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Sopra, il Boscolo Hotel di Milano, progettato da Italo Rota. Meritalia si è occupata degli aspetti della produzione: dalla colonna con i vetri colorati alle gabbie sospese, al bancone bar in acciaio e led. A sinistra, uno scorcio dello showroom di via Durini a Milano.

Meritalia ci sono diversi prodotti-scultura, ma quello che cerchiamo di comunicare è che si tratta di prodotti accessibili che si possono collocare accostati a stili diversi di arredo. Nel settore Contract, quali i progetti più importanti realizzati e a quali state lavorando? Il Contract è il settore più importante della nostra attività: proprio per questo Meritalia è a capo di una holding di cui fanno parte Me.le e Me.me, le aziende del gruppo che si occupano rispettivamente della lavorazione di legno e metallo. Così strutturati siamo in grado di fornire un progetto chiavi-in-mano realizzato da noi al 100% senza doverci appoggiare a terzi: questo aspetto ci permette di controllare e garantire la nostra qualità sotto ogni aspetto. Oggi tutti parlano di Contract, ma in pratica c’è una bella

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differenza tra una grossa fornitura di prodotti di serie e la realizzazione da zero di un progetto finito in ogni sua parte. Lavorando per committenti ai più alti livelli, il problema che spesso abbiamo è quello della riservatezza, che non ci permette di mostrare i lavori finiti comunicando così il nostro potenziale. Tra i progetti più importanti il primo hotel 6 stelle al mondo nel Borneo, diverse residenze di Emiri e Sultani negli Emirati, il Boscolo Hotel di Milano, il ristorante Lever House di New York progettato da Marc Newson, prestigiosi yacht oltre i 60 metri e molti altri. Attualmente stiamo realizzando diverse residenze private in Oriente e in Russia. Quali sono oggi i vostri mercati di riferimento? In termini generali la Russia e gli Emirati Arabi. Attualmente stiamo sviluppando l’Oriente

e gli Stati Uniti, avendo comunque un occhio di riguardo sui Paesi emergenti. Un’ultima domanda: può svelarci qualche prodotto importante in cantiere? Stiamo valutando diverse soluzioni. Quest’anno al Salone il tavolo Opera disegnato da Mario Bellini è stato il nostro prodotto di punta attraverso il quale abbiamo dimostrato la nostra abilità nella lavorazione del legno partendo dalla genialità del progetto dell’architetto. Sicuramente Opera dimostra che c’è stata molta ricerca e molto lavoro: siamo orgogliosi del risultato e questo è lo spirito che vogliamo mantenere anche per i prodotti futuri.

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Principe del soggiorno, il divano è sinonimo di relax; versatile nel concept e nella forma si modifica all’occorrenza assemblando o affiancando elementi fissi o con meccanismi, oppure si evidenzia per l’originale struttura compatta e accogliente o per la praticità E VARIETà compositiva fuori dall’ordinario

I multiForme di Nadia Lionello foto di Simone Barberis

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(love me) Tender, è un sistema modulare di imbottiti con struttura in telaio di alluminio e gambe in legno tornito alla quale viene variamente assemblata la cuscinatura rivestita in jersey di lana elasticizzato, le superfici orizzontali e i diversi piani d’appoggio. Design di Patricia Urquiola per Moroso.

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Undercover, divano con struttura in acciaio, seduta con rivestimento trapuntato in fibra poliestere termolegata e schienale formato da cuscini rimovibili imbottiti in piuma d’oca rivestiti in tessuto e fissati con cerniere; rivestimento sfoderabile bicolore in tessuto o pelle. Piedini in lega di alluminio lucidato. Design di Anna von Schewen per Zanotta. Pagina a lato. KNP, divano con struttura in multistrato, materassino in poliuretano a densità differenziata con rivestimento bicolore reversibile e sfoderabile composto da teli di tessuto tecnico uniti con zip. Design di Jean Nouvel per Arflex.

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Collar, sistema di sedute variamente componibili con movimento di braccioli e schienali in tre diverse posizioni. L’imbottitura di cuscino schienale e sedile sono in piuma d’oca canalizzata con inserto in poliuretano espanso; i cuscini sedile sono completamente reversibili. Ăˆ rivestito in tessuto o pelle, totalmente sfoderabili. Design di Rodolfo Dordoni per Minotti. Pagina a lato. Zeus, divano chaise longue con struttura in poliuretano rigido e poliuretano espanso con cuscino di seduta imbottito in piuma e inserto indeformabile; cuscini in piuma in aggiunta su richiesta. Rivestimento in tessuto o pelle e piedini in alluminio. Design di Antonio Citterio per Flexform.

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Freud, divano modulare componibile con struttura in legno massello e imbottitura in poliuretano flessibile; schienale con movimento meccanico manuale multiposizionabile. Rivestimento in pelle e/o in tessuto sfoderabili, disponibili in diversi colori. Design di Mario Bellini per Meritalia. Pagina a lato. Mariposa, divano con telaio metallico, imbottiture in poliuretano e meccanismo di regolazione per l’inclinazione di braccioli e schienale imbottiti in poliuretano e piuma d’oca. Rivestimento in tessuto sfoderabile. Design di Barber&Osgerby per Vitra.

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MeTaLLo di Katrin Cosseta foto di Enrico Suà Ummarino

AssoLuTo Siamo entrati nella nuova età del ferro. Il design esplora inedite espressioni estetiche e strutturali di metalli e leghe – alluminio, acciaio, rame, titanio, ottone – in mobili dalla forte presenza materica ed emozionale, tra i due estremi del primordiale e dell’industriale

A sinistra: dettaglio del tavolo Officina, di Ronan & Erwan Bouroullec per Magis. L’originale gamba in ferro forgiato sostiene piani di diverse dimensioni e materiali, come acciaio, legno e vetro. Pagina accanto: Diatom, di Ross Lovegrove per Moroso, sedia impilabile indoor/outdoor in 100% alluminio. Realizzata interamente al computer, impiega tecnologie di stampaggio derivate dall’industria dell’automotive.

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Diesys, di Giuseppe Bavuso per Alivar, libreria componibile con struttura in acciaio spazzolato, ripiani in rovere termotrattato, finitura noce o laccato opaco. Accessoriabile con cassettiera, scaffale e scatole rivestite in cuoio. Sopra: Tangram, di Massimo Castagna per Henge, libreria componibile a parete, a quattro diversi moduli, in ottone brunito. Pagina accanto: Thinking Man’s Chair Limited, di Jasper Morrison per Cappellini. Edizione 2014 della celebre lounge chair, primo prodotto del designer inglese per il brand, ora realizzata in metallo ottonato in tiratura limitata di 99 pezzi.

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A sinistra: Pylon di Tom Dixon, tavolo da pranzo e tavolino con piano in vetro fumÊ e attaccapanni, con struttura in tondino d’acciaio placcato rame. Sotto: Vases, di JosÊ Manuel Ferrero - Estudihac per Vondom, sedia indoor/outdoor realizzata in polipropilene verniciato metallizzato. Pagina accanto: Hexagonal table, disegnato da Alexander Girard nel 1967 e rieditato da Vitra, tavolino in alluminio verniciato. Su, di Nendo per Emeco, sgabello in alluminio riciclato, con sedile (disponibile anche in legno, polietilene e cemento) che richiama la classica navy chair.

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Sopra: Brooklin, di Paola Navone per Baxter, tavolo con struttura in tubi di rame e piano in vetro extrachiaro temperato. A sinistra: Masters, di Philippe Starck per Kartell, sedia in polipropilene sottoposta a processo di metallizzazione per le nuove finiture rame, oro, cromato, titanio. Pagina accanto: Oxymore, di Xavier Lust per De Castelli, libreria in ferro ossidato, con ripiani che si ancorano alla struttura esterna ‘a chitarra’ grazie a cunei-tiranti che assicurano stabilitĂ . Eva, di Carlo Colombo per Giorgetti, sedia con struttura esterna in metallo finitura titanio o bronzo, rivestimento seduta in pelle o tessuto.

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Lampada da parete Edison’s Nightmare, prodotta da Davide Groppi su disegno di Harry Thaler nel 2014. “Abbiamo appeso la lampada al chiodo”, dichiara Davide Groppi a proposito di questo progetto, gestuale, carico di ironia e nostalgia. Nella pagina accanto: lampada da parete, Imu, design Omar Carraglia, 2013, a led con struttura in metallo, un apparecchio pensato per illuminare la soglia. Davide Groppi ritratto accanto alla lampada da terra Movie, disegnata da Omar Carraglia nel 2005, uno strumento che grazie a un sistema RGB può creare tutta la luce del mondo.

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Secondo Davide Groppi, il mistero e la meraviglia della luce nascono in relazione all’ombra, che ne esalta la qualità definendo, quanto più è densa, i contorni delle cose

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avide Groppi è una persona speciale, una e trina, produttore, designer e, prima di tutto poeta. Disponibile a raccontarsi con onestà, dichiara che gli piace molto parlare di design dal punto di vista umanistico. “Dentro le parole” sostiene “ credo ci sia tutto... E poi sono importanti le immagini... È bello parlare di significati e di estetiche. Rappresenta il succo del nostro lavoro”. Il catalogo dell’azienda che porta il suo nome, una scelta che evidenzia l’impegno in prima persona, mostra un’immagine sobria e misteriosa: è una sorta di libro d’ombra, come l’omonimo dello scrittore giapponese Junichiro Tanizaki. Gli apparecchi si stagliano dai fondi scuri, grazie ai raggi di luce emanati che ne disegnano i contorni con nitida precisione, regalando alle sagome un effetto tridimensionale. “Le cose esistono” afferma Davide “se si raccontano e se si raffigurano. Ritengo che la fotografia sia una componente fondamentale del progetto, perché esprime la verità delle cose. Gli oggetti devono essere fotogenici, attraverso le immagini capisco il percorso del progetto e mi rendo conto delle modifiche da apportare. All’origine, però, ci sono sempre le parole e prima ancora le idee”.

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Elogio dell’ombra di Cristina Morozzi

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Un’immagine dello spazio Esperienze, luogo aperto ai progettisti e a tutte le persone che desiderano avvicinarsi alla luce di Davide Groppi, inaugurato a Piacenza nel 2012 in via Trento 24. Ne esiste uno anche a Milano in via Medici 13.

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“Quando progetto” prosegue “parto sempre dal nome con cui cerco di identificare la poetica dell’oggetto che ho in mente. La forma è sempre l’inevitabile conseguenza del concetto che il nome esprime”. Affiancato dal fratello Michele, responsabile dell’area commerciale, da Omar Carraglia, che ha progettato molti degli apparecchi, e da Alessandra Dalla Giovanna, addetta alla comunicazione, Davide Groppi si impegna in prima persona nella definizione di una visione sartoriale dell’illuminazione. Definisce la propria produzione “luce cucita addosso”. Il suo obiettivo è servire il cliente con realizzazioni leggere, semplici e poetiche, capaci “con il meno di suscitare meraviglia”. “Meraviglia con il meno” potrebbe essere il motto della sua azienda che oggi impiega 20 persone e che nel 2014 gli ha fatto guadagnare ben due premi Compasso d’Oro, uno per l’apparecchio Nulla e l’altro per la lampada Sampei. Il suo ruolo è quello del regista che si adopera a dar coerenza alla sceneggiatura, pur riservandosi la libertà di sorprendere. Racconta di essere nato un giorno d’estate del 1963; di avere imparato dal padre elettrotecnico, uomo di modeste origini, il gusto del bello e il senso del fare bene le cose; di avere iniziato a lavorare nel 1985 come disegnatore meccanico e di aver cominciato a costruire e vendere lampade nel 1988, in un piccolo laboratorio nel centro di Piacenza. “Nel 1994” aggiunge “ho avuto la fortuna di conoscere Maddalena De Padova, che inspiegabilmente decise di acquistare 40 pezzi del mio modello Baloo, una lampada in carta, e di esporli tutti assieme nello showroom di corso Venezia a Milano, durante il Salone del mobile. Si è trattato di un momento molto importante, in cui mi sono reso conto che, forse, sarei riuscito veramente a fare quello per cui stavo lottando. L’altra persona cui devo molto è Roberto Gavazzi che ha accolto i miei apparecchi nel catalogo Boffi e che mi ha ospitato nel suo showroom di Colonia durante l’annuale fiera del mobile, presentandomi i più grandi distributori mondiali”. Il linguaggio della sua produzione è pacato. “Amo non disturbare” afferma “ma penso sempre a lampade che abbiano le qualità per sedurre, in modo elegante e discreto”. Ritiene che la luce sia nello spazio, come la punteggiatura nel fraseggio, l’elemento che dà il ritmo. Che possieda qualità maschili e femminili, che corrispondono a momenti diversi, in grado di convivere in armonia, mediante la regolazione dell’intensità. “Oscar Wilde” commenta “sosteneva che quando la luce è più forte, l’ombra è più nera. L’ombra è l’altra faccia della luce,

1. Lampada da terra On in cemento e metallo, disegnata da Marco Merendi nel 2009. 2. Lampada a sospensione Light me fire, disegnata da Omar Carraglia e Davide Groppi nel 2014, un’ampolla di vetro con dentro il fuoco. 3. Modulo a led da parete, Light to drink, in metallo e policarbonato, disegnato da Alessandra Dalla Giovanna, 2010. 4. Sospensione Moon, con diffusore in carta giapponese, realizzata a mano, design di Davide Groppi, 2005. 5. Lampada a sospensione Led is more, in metallo e metacrilato, disegnata da Davide Groppi nel 2011. 6. Lampade da terra Q2 in cemento e metallo, designata da Alberto Zattin, 2000 7. Lampada Nulla, design Davide Groppi, 2010 (Compasso d’Oro 2014), definita dal progettista “un lavoro estremo sulla sottrazione. La ricerca di una luce senza fonte mi ha portato a realizzare un progetto invisibile, magico e illusorio. Un’idea semplicissima: un foro di 18 cm nel soffitto e uno speciale sistema ottico”. 8. Lampada da terra Sampei, disegnata da Davide Groppi e Enzo Calabrese nel 2011 (Compasso d’Oro 2014), definita da Davide Groppi “una canna da pesca con un corpo illuminante minuscolo e orientabile”.

appartiene alla sua poetica e consente la conoscenza, come sosteneva Platone nel mito della caverna, grazie alla proiezione dei contorni delle cose sulle pareti rocciose”. Ritiene icone del suo catalogo la lampada Nulla, vicina all’idea di luce senza fonte, un modello capace di accentuare le sensazioni di mistero e d’inquietudine, come quelle offerte dalla decima sinfonia, l’Incompiuta di Ludwig Van Beethoven; Miss, disegnata da Omar Carraglia, che riproduce una luce caravaggesca; Moon, una sospensione in carta che diffonde una luce morbida molto femminile, un oggetto archetipico, non disegnato, e Neuro, una rivisitazione grafica dei vecchi impianti. Nella sua azienda convivono la dimensione artigianale e quella industriale. La conflittualità è un tema caro a Davide, convinto, come sosteneva Eraclito, che la bellezza nasca dal conflitto. Non ritiene il design una scienza esatta, ma piuttosto un servizio in grado di dare valore aggiunto e crede di poter “migliorare il mondo con belle cose fatte di poco”.

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Nati dalla materia Due progetti contemporanei che reinterpretano l’antica arte del vetro. A firmarli sono Pio e Tito Toso, designer veneziani cresciuti nelle botteghe di Murano che dalle tecniche dei maestri vetrai hanno tratto ispirazione per innovazioni di processo industriale

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di Maddalena Padovani

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a giovani sognavano di fare gli architetti in Australia, di lasciare Venezia e dare un nuovo indirizzo alla predisposizione creativa ereditata da una famiglia che, da generazioni, lega il suo nome all’arte del vetro. Un nome ingombrante, perdipiù, perché ancora oggi la Fratelli Toso – l’azienda fondata dal trisnonno nel 1854 – viene indicata come la principale promotrice del processo di rinnovamento artistico che, nella metà del XIX secolo, risollevò le sorti di Murano e delle tante fabbriche di vetro entrate in crisi dopo la caduta della Serenissima Repubblica di Venezia. Sarà per l’indomabile chioma riccia che li ‘condanna’ a portare in testa lo stampo di famiglia, fatto sta che i fratelli Pio e Tito Toso col vetro hanno ancora molto a che fare nella loro attività di designer attestata nella

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La lampada Meteorite realizzata da Artemide su progetto di Pio e Tito Toso (nella pagina accanto, un ritratto dei due fratelli designer) porta nel settore dell’illuminazione l’effetto di ‘non finito’ caratteristico dei vetri ‘battuti’ veneziani. Sotto, immagini e dettagli di vasi realizzati con questa tecnica. La collezione Meteorite comprende quattro tipologie di lampade, tutte dotate di diffusore in vetro artistico a doppio strato, ottenuto con la tecnica artigianale della soffiatura in stampo a fermo e conseguente molatura.

provincia di Treviso. Anche se il design costituisce una scoperta quasi casuale che oggi li porta, con successo, su strade sempre più differenziate. “Nostro nonno” raccontano “soffiava e disegnava oggetti e lampadari in vetro. Anche nostro padre se ne occupava come disegnatore. Fin da piccoli abbiamo ‘respirato’ la vita in vetreria e il vetro ci è entrato presto nel cuore e nella testa in modo naturale. In vetreria ci si confronta con cinque secoli di storia, di ricerca, di intelligenza e di sperimentazioni che hanno portato al massimo sviluppo le tecniche dei maestri vetrai, in grado di esprimere con immediatezza la trasparenza, i colori e i riflessi di questa materia magica”. Succede così che, una volta conseguita la laurea in architettura a Venezia e realizzato vari

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progetti dentro e fuori i confini nazionali, Pio e Tito si trovano ad esordire anche nel mondo del design, prima disegnando oggetti in vetro per il padre, poi progettando arredi per piccole aziende del Veneto. “Abbiamo finito per innamorarci del lavoro del designer” spiegano i due fratelli “in particolare, della possibilità di intervenire nel processo che porta dall’ideazione alla realizzazione del prodotto”. La voglia di applicare in questo settore le loro conoscenze sul vetro nasce quasi spontanea, così, all’inizio del Duemila, arrivano i primi progetti per Foscarini e Artemide che gli faranno da apripista alla collaborazione con altre major del design italiano. Nel progetto domestico, i due fratelli possono giocare una carta vincente: a differenza delle proposte di tanti altri designer, i loro

prodotti sono pensati già all’origine per essere fatti in vetro; questo vuol dire che ottimizzano l’utilizzo della materia in termini di fattibilità, costi, industrializzazione, poesia. Dietro il rigoroso lavoro di ricerca, però, c’è sempre un obiettivo che va al di là del puro dato tecnico, che è quello di attualizzare il linguaggio della materia, ovvero di dare un senso contemporaneo a tecniche e lavorazioni di origine antica. A dimostrarlo sono due dei nuovi prodotti da loro presentati lo scorso aprile a Milano: la lampada Meteorite prodotta da Artemide e la collezione di oggetti per la tavola Grace proposta da Guzzini. La prima nasce dalla ricerca di un nuovo significato espressivo del vetro soffiato nel campo dell’illuminazione; in particolare, dalla passione per i vetri ‘battuti’

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veneziani e per l’effetto di ‘non finito’ che la tecnica della molatura attribuisce al materiale siliceo. “Meteorite” precisano i designer “porta nel suo dna un valore e un contenuto empatico molto affascinante che è quello della percezione del tempo. Il tempo per pensare il progetto, il tempo impiegato dai maestri vetrai per realizzarlo a mano, per soffiarlo e lavorarlo. Volevamo che la lampada restituisse questa percezione, che parla di cura e di amore”. “Per questo progetto” proseguono “abbiamo studiato un particolare procedimento di soffiatura e molatura che permette di ottenere interessanti effetti di profondità luminose quando l’oggetto viene illuminato e di rendere accessibile a tutti – potremmo dire di democratizzare – questa bellezza”. Il segreto risiede in uno stampo speciale ad apertura multipla che viene utilizzato per la fase di soffiatura, a cui seguono poi quelle di sabbiatura, nastratura e acidatura. Questo accorgimento permette di attribuire al soffio un particolare effetto di superficie, ricco di luci e ombre, e allo stesso tempo di contenere i tempi della sua realizzazione: un’innovazione ideata in una logica di industrializzazione che, riducendo il costo di lavorazione, permette di proporre la lampada a un prezzo contenuto. Il vetro torna, ma stavolta come fonte d’ispirazione e innovazione, nel progetto di Grace. La collezione nasce dall’innamoramento per i materiali plastici di Guzzini, in particolare per le sue qualità di trasparenza, colore e lucentezza che Pio e Tito riconducono subito a quelle del vetro artistico da cui provengono. “Il brief iniziale” spiegano “era quello di trovare un nuovo linguaggio espressivo con la tecnica dello stampaggio in bicolore. Noi abbiamo cercato di farlo nel modo più semplice ed immediato possibile”. La lavorazione da cui prendono spunto è, questa volta, quella del rigadin (la tecnica che conferisce alla superficie del vetro la tipica lavorazione a nervature parallele) e della filigrana (la lavorazione che, partendo dall’inserimento nel vetro di canne colorate, ottiene un effetto ricamo all’interno della materia). “La ricerca tecnica che Guzzini ha sviluppato nello stampaggio in co-iniezione” spiegano i progettisti “permette di accoppiare diversi tipi dello stesso materiale plastico per avere una perfetta fusione di colori ed effetti. Nel progetto di Grace la sperimentazione si è concentrata sulla realizzazione degli ‘spacchi’ che consentono di percepire il colore trasparente accoppiato al bianco e di creare un suggestivo gioco di riflessi colorati sul piano dove gli oggetti sono appoggiati”. “Il progetto nasce dalla materia”, precisano. “È la materia che ha disegnato il progetto e non viceversa. Abbiamo ricercato la sintesi nelle forme e nei colori per enfatizzare le qualità di questa preziosa plastica. Inoltre, l’utilizzo di questo materiale rende gli oggetti accessibili a un target di consumatori molto vasto”. Ma non è solo il vetro a ispirare i progetti di Pio e Tito Toso. I prodotti presentati quest’anno a

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Realizzata in materiale plastico da Guzzini, la collezione Grace si ispira a due antiche lavorazioni del vetro: il rigadin e la filigrana, quest’ultima esemplificata dai celebri vasi Fazzoletti di Venini (sotto e nella pagina accanto in basso). La collezione è composta da contenitori in tre dimensioni differenti, posate per insalata e cestino pane, tutti in tre varianti cromatiche.

loro firma, come l’appendiabiti Flag per Pedali, le cappe Wind e Tab per Falmec, la sedia MyFrame per Segis, dimostrano l’acquisizione di una maturità professionale che oggi li porta a muoversi con disinvoltura su strade sempre più differenziate, dove a contare non è il segno quanto l’approccio metodologico al design. Tra i work in progress citano infatti una collaborazione con Hausbrandt per un progetto legato al mondo del caffè; il progetto di una cornice interattiva che innova l’utilizzo dell’iPad nel settore dell’ufficio e della domotica; la collaborazione con un’azienda che produce

cannoni per l’abbattimento delle polveri e una per una società che si occupa di profumazione ambientale. “Forse esiste un momento” concludono i due fratelli “nel quale un designer non vuole più vedere riflesso se stesso nei suoi prodotti. Come se la finalità di questo mestiere passasse da un appagamento personale a un servizio, da una visione estetica a una etica focalizzata sulle aziende e sul fruitore finale. Una sorta di ‘magia’ che rende l’orizzonte del progetto meno ‘personale’ e più ‘universale’. Se oggi lavoriamo tanto forse lo dobbiamo a questa svolta e alla nostra ricerca, umile e pragmatica”.

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Sopra: la collezione è realizzata con la tecnica della co-iniezione che permette di abbinare diversi tipi di materiale plastico. Gli ‘spacchi’ trasparenti consentono di cogliere la fusione dei colori e degli effetti. Sotto, i Fazzoletti Zanfirico di Venini.

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Giuseppe Bavuso fotografato con Icon, la cucina che ha disegnato per Ernestomeda. Connotata dal monoblocco lavaggio Bay e dal sistema Medley (che permette di arredare la cucina e gli spazi living), Icon impiega una nuova tecnologia per le finiture, la Nanoceramic Nte, che manifesta grandi proprietà meccaniche di resistenza all’abrasione.

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Presidenti e AD di aziende, designer e direttori tecnici: sono loro che, come genitori apprensivi, seguono tutte le fasi di sviluppo delle loro cucine in vista del giudizio che più conta: quello, inappellabile, del pubblico di eurocucina

Dietro le cucine di Andrea Pirruccio foto di Maurizio Marcato

Andrea Lupi, AD di antoniolupi, con LaCucina, progettata da Archea Associati/Marco Casamonti: realizzata in Corian, LaCucina presenta un’unica mensola costituita dall’estrusione di una sezione a C che accoglie, nella parte superiore, la cappa aspirante e il sistema di illuminazione, e in quella inferiore i lavelli integrati nel piano di lavoro e l’alloggio per le piastre a induzione.

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Silvio Fortuna, AD di Arclinea, con la nuova versione del modello Italia, design Antonio Citterio: una grande isola multifunzionale le cui ante in inox sono trattate in PVD (Physical Vapour Deposition, tecnologia che lega acciaio e titanio a livello molecolare, rendendo le superfici piÚ resistenti all’usura, alla corrosione e ai graffi) in finitura bronzo.

Michele Cattai interior designer e Responsabile del Prodotto per doimocucine, con la cucina Aspen nella inedita finitura Fenix: un materiale sviluppato impiegando nanoteconolgie e resine di ultima generazione, anti-impronta, resistente a graffi e ad abrasioni, antistatico, antimuffa, antibatterico e idrorepellente.

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Firmata da Nendo per Scavolini, Ki si distingue per la presenza di una serie di contenitori che possono fungere da pensili o essere declinati come lavelli e piani cottura. L’apertura di ante e cassettoni delle basi è resa possibile da una gola sottopiano. Nella foto, Andrea Federici, che ha seguito per l’azienda la progettazione del prodotto.

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Andrea Molteni (Product Development & Design Director Dada) davanti alla versione rinnovata del modello Vela di Dante Bonuccelli per Dada. In questa rivisitazione, gli spessori dell’anta sono ridotti a 12mm e la maniglia si fa segno grafico. I top nascono dalla sovrapposizione di linee sottili mentre le mensole, in alluminio a basso spessore, generano una orizzontalità senza soluzione di continuità , in cui spiccano le aperture ergonomiche dei pensili Futura.

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Renato Giunta, Direttore Tecnico Aster, con Contempora Factory, modello dal mood metropolitano che coniuga materiali tecnologici e naturali, trattamenti delavorati e composioni deputate alla funzionalitĂ contemporanea.

Il designer G.V. Plazzogna con la rivisitazione della ‘sua’ Kalea, disegnata per Cesar: in questa composizione, si notano le nuove ante (con telaio in alluminio spesso 10 mm) in essenza e ceramica Neolith.

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Mauro Giacomini, AD Arrital, e la cucina Ak_04 (design Franco Driusso – Driusso Associati Architects) nella nuova versione in Fenix. Progetto ampio e flessibile, Ak_04 ha il suo cuore nel telaio brevettato in alluminio estruso, che permette di ottenere spessori ridotti e una migliore finitura delle ante.

Edi Snaidero, Presidente di Snaidero, accanto a Code_Evolution (design Michele Marcon), cucina il cui look industriale è sottolineato dall’impiego di materiali quali cemento, acciaio Peltrox e vetro fumé (impiegato per le ante dei moduli contenitori), oltre che dallo schienale che simula la tridimensionalità di un muro di mattoni.

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Giovanni Anzani, CEO Poliform, accanto a Trail (design Carlo Colombo e CR&S Varenna), cucina con isola centrale con ante laccato goffrato roccia e top in acciaio sei mm, cappa in acciaio e vetro con illuminazione multiled fitostimolante e pensili a vetrina con profilo in alluminio anodizzato moka e vetro riflettente fumè.

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Massimo Castagna con la cucina che ha disegnato per Rossana: HT50, nella versione con isola centrale con tavolo snack, piano in marmo cappuccino e ante in finitura ulivo tinto.

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Dario Presotto, Presidente di Modulnova, fotografato con Float (design Andrea Bassanello), cucina definita dalla presenza di un ambiente dispensa in cui poter conservare, a temperatura e umiditĂ controllate, vini e cibarie. L’anta è ottenuta accostando doghe verticali larghe 15 cm e collegate da profili in alluminio grafite, mentre i due piani funzione -in pietra piasentina (cottura e lavaggio) sono sospesi sulle basi della cucina stessa.

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INteriors&architecture

To conserve is to innovate pag. 2 project ITALO ROTA

project collaborators Carlo Ferrari, Francesca Grassi lighting design Alessandro Pedretti - photos Carlo Vannini, Marcello Grassi text Antonella Galli - comments on the images Italo Rota ITALO ROTA signs the project of the PALAZZO dei MUSEI OF REGGIO EMILIA, renovating and updating the facilities of the civic collections, developing a new idea of the museum. A vision that starts with the historical legacy and revitalizes shared memory, projecting it into the future

EnGLIsH TexT INtopics

editorial pag. 1 As usual, our September issue offers an overview of new projects and products that stood out in April at the Salone and FuoriSalone in Milan. But we actually ‘get the ball rolling’ with a concept: “To conserve is to innovate,” as narrated by the Palazzo dei Musei by Italo Rota in Reggio Emilia: to revitalize memory in order to project it into the future. The same key of interpretation permeates the other articles, which from north to south examine Italian design and homes. We have selected achievements that are not based on showy gestures, but on the rediscovery of the ‘fundamentals’ of the architectural discipline. As Rem Koolhaas, curator of the 14th International Architecture Exhibition of the Venice Biennale, suggests, urging reflection on our history. Next comes a major investigation: thirty protagonists of international design answer five questions formulated in keeping with the rule of the five “W” words. The stimulus is the 60th anniversary of Interni, the theme the future of design. The interviewed talents outline their visions and plans (including a few secrets). In other words: why and what should we keep on designing? Where should we concentrate our energies? When and how are the ideas born for successful objects? And, finally, who/what can represent the ‘project icon’ of the last 60 years of design? On the other hand, the whole selection of products is on companies, entrepreneurs and creative talents from ‘our house’ who believe in the value of Italian character as a decisive, distinctive factor in their work. An excellent example? The Michetta by Gaetano Pesce, on the cover, is a symbol of ingenuity, creativity and lucid folly – the folly that is capable of turning an ideal vision into something concrete that makes everyday life a bit more beautiful.

Gilda Bojardi From the Palazzo dei Musei of Reggio Emilia, project by Italo Rota. Photo Carlo Vannini.

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For the architect Italo Rota, regenerating a museum means inventing new ways of sharing collective memory, making it fertile with ideas, creations, inspirations. This has been the guiding idea in the project of renewal and expansion of the Civic Museums of Reggio Emilia, completed in May, with a coda that will conclude during the year to come. The project involved Palazzo San Francesco, a structure that started as a monastery (1265), and since the early 1800s had a range of functions, until it became the location of the precious collections of exhibits on natural history, history and art of the local community. The nucleus of the civic collections was the extraordinary 18th-century accumulation of the scientist from Scandiano Lazzaro Spallanzani, including zoological, paleontological, mineralogical and botanical exhibits, later joined by the paleoethnological collections of the priest Gaetano Chierici, various art collections, and a large number of objects of memory of the city, its history and its people. The project by Italo Rota covered the restructuring of the building, with the reorganization and modernization of the first two floors, previously utilized as museum spaces, and the total recovery of the third floor (1800 m2 of additional exhibition space), containing areas for temporary exhibitions, for the Kunsthalle on two levels, an agorà and a workshop, as well as rooms for designers and makers (digital artisans) of the local Fablab. On the first floor, with the reception and the Spallanzani collection, the atrium and ticket desk have been renovated, along with the bookstore and a study where visitors can spend time before entering the museum proper. A room where the walls feature large graphics and multicolored figures of animals, almost an introduction, in dream dimension, to the encounters between nature, history and the present that await them. On this level, and on the second, the architectural intervention substantially respects the typological, historical and structural characteristics of the building, updating functions and interpreting the spaces in keeping with an outlook that suggests – through lights and neutral surfaces, and the introduction of contemporary elements – a true dream dimension. The space of the museum in the vision of Rota is defined as an area for imagination and the unconscious, in which to come across the traces of the past, through passages and leaps of awareness, rather than being only devoted, as in the past, to the rational, positivist aims of study and classification. This vision triggers modular lighting elements that trace paths and poetically define volumes, furnishings and works, but also contemporary inserts that break up the established order here and there, like the red lacquer surface with a luminous insert placed on the 19th-century table of the ticket desk, or the wooden coffers that enclose certain portals of the gallery, one of which displays, as if to survey the passage, the funerary mask of Spallanzani himself, lit by three naked light bulbs, as in a theatrical mirror. To continue with the free associations, the architect has identified, for each level, a Pièce Unique space, for one of the most excellent pieces of the civic collections: the Chiozza Venus (first floor), one of the most ancient idols of the Paleolithic era; the very rare golden cup (second floor) dating back to the Bronze Age and found at Montecchio Emilia in 2012; the brass and ceramic sculpture La monta solare by Fausto Melotti (also on the second floor) from 1969-79; the Cross of Light by Claudio Parmiggiani on the upper level. The third and last floor, previously not utilized, has been converted into space for contemporary art, with multiple functions: temporary exhibitions, the makers lab, an art gallery, the agorà and workshops for the public. Here the long wing set aside for temporary exhibitions is the location, until Expo 2015, of the exhibition “For Inspiration Only,” created by Italo Rota, which assembles hundreds of objects from the storerooms of the Civic Museums, of various types and eras, that narrate stories of the city. A total of 365 tales, 50 already written, others that will be added during the year, to which every citizen can add a fragment of personal memory. With this exhibition, and in this space, the museum concept developed by Italo Rota for this project can clearly be grasped: a space for collective narration where objects, freely combined, become stimuli for awareness, for reinterpretation of the past and invention of a future for the community. “In this phase of change, people are conserving things, homes are like mini-museums,” Italo Rota says. “To conserve means to establish relationships, to decide what and how much is important: the form of the museum comes from this. For Inspiration Only is a selection of objects done with the sole purpose of inspiring ideas. Without imposing a vision, a logic of interpretation. In this moment of great transformations, conserving is inseparably linked with innovation.”

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- pag. 2 The study, a space to welcome visitors, on the first floor. On the facing page, the external facade of the Palazzo dei Musei (former monastery of San Francesco). “Museums are transforming into a composition of multiple voices, between memory, research, science, industry, art and humanism, mediated and made possible by the personal participation and intervention of the individual, to bear witness to the freedom and responsibility the future urges us to consider every day, both as individuals and as a community. One of the essential elements of this museum is that it offers citizens an individual process of exploration and knowledge that allows them to have a sensorial experience, useful to recall the past and imagine tomorrow.” - pag. 4 24 April 2010 – Towards the new museum / Installation 1 – “Dress Rehearsals for a Museum,” “Love will divide us,” “A great Noah’s Ark.” At the museum worksite opened for the occasion, citizens bring stuffed animals to construct the new identity of the cultural center, together. A new installation that launches the renewal project. The spaces on the upper level of the building come alive with the motto “the Museum is now.” The Blue Planet by Peter Greenaway/Saskia Boddeke. After the staging of this performance at the Expo of Zaragoza on the theme of the future of water, where together with my studio we opened the City of Water pavilion, this work arrives at the Teatro Municipale of Reggio Emilia (21-22 March 2009). Here again, the story from which the entire episode springs has been known to us since the dawn of time: it is the story of the universal deluge, of Noah who builds the Ark to save mankind and the animals. “2014: let’s also save all the plants of the Planetary Garden.” (Photo Franco Laera). During the construction of the museum (2012-2014, first step), we ‘dug’ in the storerooms of the civic museums and found unexpected ‘treasures’ conserved there. One characteristic of the Museum of Reggio Emilia is that it is a true Museum of Museums, combining important collections, but also small, curious contributions brought by citizens. 12-14 April 2012 – Towards the new museum/ Installation 2 – “Objects talk to us/Work in progress.” The citizens of Reggio Emilia were invited to donate objects from the last sixty years. Connected with their own memories, but selected with a critical act, favoring those that in their day represented an innovation, a breakthrough, a change. Four themes of our life were proposed, which are rapidly changing today and therefore demand new reflections: how we eat, how we dress, how we share, how we participate. - pag. 5 How the visitor becomes a viewer and therefore an artist. Installation (from the exhibition Love will divide us, 2010): it is the method Goethe develops starting from the natural sciences; not simply putting one thing next to another, but making them different things as well. One attempts to start with these sets to find the path that goes from one thing to the other, and vice versa, so that observation itself becomes creative. Because what is decisive is to know if we can pass from one object to another. To the extent that this is possible, contemplation becomes comprehension. Because things taken one by one are nothing, and rightly so. It is actually always a sensitive/ultrasensitive process of creation on substance. What is art? Conversation between Joseph Beuys and Volker Harlan. (Photo Marcello Grassi). 3 May 2014 – PALAZZO DEI MUSEI OPENING The entrance lobby to the Museums, on the first floor. Taken from Glossary for the use of the Museum: E as in Environment... Environments are not just containers, but are processes that change the content totally. (Marshall McLuhan, in Eric McLuhan & Frank Zingrone, Essential McLuhan, Routledge, 1997). Portal/cloakroom/passage from the environments of the 19th-century collections (confirmed in their historical presentation and only enlivened by certain small, strategic interventions) to the new restored spaces. The visitor is welcomed by the stuffed pelican of the Lazzaro Spallanzani Natural History collection. The antique safe that contained and protected one of the most precious items of the Museums, the Chiozza Venus, has been restored and transformed, becoming a display case. The Venus has not changed its place or its ‘habitat’: small modifications of her ‘house’ make her the star of the museum.Venus, sandstone, Chiozza di Scandiano, Upper Paleolithic, found in Neolithic context. - pag. 6 On the first and second floors – the museum visit continues...The historical rooms, restored and photographed just before the installation of the exhibitions Reggio Emilia Fotografia Europea, May 2014. Sarah Moon, Journal de voyage, Les pélicans, 2013© Sarah Moon, Alchemies series. This and the following photo of Reggio Emilia Fotografia Europea, 2014 show the Lazzaro Spallanzani Natural History Collection. Reggio Emilia Fotografia Europea, 2014. Claudio Parmiggiani (in collaboration with Luigi Ghirri), Alphabet, 1973 © Claudio Parmiggiani. Courtesy Osart Gallery, Milan. After having visited these spaces, one goes up to the second floor, climbing the restored monumental staircase. The fresco and the display cases, dating back to the period in which these spaces were used for a school building, have been conserved. The lighting is done with ‘Edison’ type bulbs. The contemporary touch is entrusted to two large Calenda lanterns by Artemide, design Rota Pedretti. - pag. 7 From the second to the third and upper level: an informative, emotional and sensorial experience At the top of the marble steps, in the large glass volume, we are welcomed by the second treasure of the Museums, the Gold Cup, Montecchio Emilia, Spalletti quarries, Bronze Age, 18th-17th century BC. Entrance to the collections of the second floor and the Pinacoteca Antonio Fontanesi. Digging through the many storerooms of the museum, we searched for a method for ‘using’ all the things we found, to tell stories and make connections, imagining the future of the new Reggio Emilia. The temporary exhibition area is also full of exhibition rooms for the organizing of meetings, workshops and other public events: the focus is on a composite, realistic representation of the future, from the perspective that starts with memory and through educational workshops moves towards project experience. Special attention is devoted to young people, who are better at grasping changes. The temporary exhibition For Inspiration Only takes its cue from the title of a small book of Future Systems published about twenty years ago, in which Jan Kaplicky, through 100 objects, encouraged us to explore the world and get inspired by everything; to observe the planet from outer space, all the way to the smallest subatomic structure of the particles of the earth. 365 objects/365 stories/A big crossword puzzle on the walls of the room containing the show. 365 things with comments: Instructions for use by visitors: One thing per day… 365 things that keep us company for one year. Here we find the first 40. Do you want to help us? Do you want to comment? Go to www. musei.re.it. The Sperm Whale, at the center, is the protagonist of the first story. - pag. 8 A museum where the curator is the whole of humankind. Jimi Hendrix suggested, in Are You

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Experienced?: If you can just get your mind together... Have you ever been experienced?... Not necessarily stoned, but beautiful... From the exhibition For Inspiration Only, dress rehearsal of a planetary museum where the earth has become a small garden and the time is an instant. The curator of the planetary museum proposes observation of diversity as a guarantee of a future for humankind. The mission becomes to know, critique and protect differences. An invitation to ask ourselves the following question: is it possible to use cultural and natural diversity, after having revealed and understood it, without destroying it? The collections of the museum allow us to offer visitors a thousand intersections, almost a crossword puzzle between culture and nature. Dioramas as installations. The visitor is transformed into an eye with a prosthesis, a viewer. To penetrate into the diorama becomes an immersion, spectacular, where the visitor is experienced, through the senses, through the mind, with a mnemonic effect, that will remain imprinted when the experience is over. Pièce Unique room: Claudio Parmiggiani, Cross of Light, 2003. Metal, pigments and spices, 680 x 680 cm. Collection of the Civic Museums of Reggio Emilia. - pag. 9 Agorà and Didactic workshops, open to confrontation between disciplines and forms of knowledge. We become the meeting point between aesthetic practices and politics of citizenship. We learn from nature. Nature, its protagonists, stories and achievements, as an evolutionary model to imitate in constructive processes of the new. The new Kunsthalle spaces are for works from the 1950s and 1960s, but also the extraordinary experience of life in art of Rosanna Chiessi. The cases contain collections of the Fluxus movement and the publishing house Pari & Dispari. With the presence of the FAB-LAB and the Circus project of Denis Santachiara, the museum makes room for excellence in the fields of crafts and local industry, all the way to the new frontiers of 3D printing. A platform of exchange is created between the world of industry and the experiences of creativity. The museum by nature conserves and produces memory, it offers things to think about how we were, and to reflect on how we will be. As in all moments of major transformation, we wonder if modernity is against conservation. But maybe modernity and conservation are not so much in antithesis. Conservation was invented as part of a wave of innovation in the period between the French Revolution and the Industrial Revolution. In the whirl of change it is fundamental to decide what should remain the same. In this project the act of preserving becomes fundamental. Business as usual vs ecological revolution vs modernity vs conservation.

The house on the patio pag. 10

project MICHELE DE LUCCHI

project team Alberto Bianchi (project manager) with Simona Agabio collaborator Greta Corbani, Alessandra De Leonardis, Alessandro Ghiringhelli photos Alessandra Chemollo - text Antonella Boisi In Milan, the home of a young couple, created in the spaces of a former pastry shop, where everything rotates around an internal courtyard, the fulcrum and heart of the composition. A dress made to measure that communicates formal solidity and emotional depth “A young couple, she’s a psychologist, he’s a businessman: they asked me to design their house. So in an exercise of psychological introspection, it was fun to discover what they thought, the differences between them and me when I was their age, in the same position of trying to understand how to ‘spend’ my life.” Michele De Lucchi, who needs no introduction on the international design scene, tried out some random flashbacks on the theme: “The memory of the 19th-century farm in Busseto where Giuseppe Verdi was born, the set for the film Novecento by Bertolucci. The interiors I lived in, all with the presence of a loggia – in Vicenza as a kid visiting my grandparents, in Padua with my parents, in Angera today – a figure I have reprised as a design feature at Palazzo Litta and in the projects in Georgia. I started from here,” De Lucchi explains, “to organize the ‘time of life’ in a rugged pastry kitchen in the center of Milan, born in successive phases after the war on the ground floor of a turn-of-the-century building. It already displayed great potential, even in its chaotic, random state: there was the possibility of creating a private internal patio that would become the heart of the dwelling, faced by all the rooms, the pivot of the architectural composition. A center of gravity and relationships, also with nature, to stay in touch with the weather and to stimulate an extroverted, non-artificial dimension.” After the main entrance from the building’s courtyard, the rectangular ‘box’ pierced at the center by the secret courtyard has an immediately clear layout: the entrance is flanked by a guestroom and a studio zone, and leads to the central television room open on one side to the living area with fireplace, and on the other to the dining room (which communicates with the kitchen), marked by the presence of a linear, essential staircase in iron and wood that descends to a basement that contains the fitness zone and service spaces. Finally, the bedroom area features a master bedroom with two closets and a bath, and two more bedrooms that are connected, thanks to a corridor lined with bookcases, to the fireplace zone. “Working through addition of complete parts to form a whole,” De Lucchi continues, “I thought about the fact that control of the decisionmaking process is something you learn over time, so that it does not become something imposed by one party or the other. At the start of my career I would argue a lot with clients, and get upset. Maybe it’s the beard that helps, but I have developed the comforting awareness that all choices are, in any case, contingent, because they follow two main rules: they are derived from imagination, and related to the conditions of that moment, also in terms of certainties. You know that if you introduce elements

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that change the imagination you can reach other decisions. It is no coincidence that I have thought about the home of a couple with a life ahead of them, including two rooms for future children, since the house is large enough: 450 sq meters plus 75 sq meters of patio. Of course you have to gauge just how personal the project should become, precisely because the home is the stage on which we enact our existence. And if the stage is not suitable for the role we want to play, we will never like it or use it to the fullest.” For this generous, fertile project De Lucchi has created a sturdy frame, not just structurally reinforced by also made tangible, especially in the materials that convey a sense of durability, of things well made: larch wood for the floors, oak for the furnishings and internal doors, bronze for the casements. Each space, each presence takes part in the narration of a very strong, also inner solidity, respecting the spirit of the place and its most interesting aspects assumed over time. The windows and glass doors are arranged around the patio, new features with identical forms, but they start with an authentic element of reference, a segmental arch already existing at the site, reconstructed using traditional techniques. Likewise, the decorated metal railings of the upper loggia are based on an original model. They represent signs and signals of memory. Like the walls that combine lime plaster with the identity of exposed brick finished with the sagramatura technique, a coating to seal the crevices and prevent infiltration. For the internal doors, the oak and glass segments reflect an original design deployed in a contemporary way. In many of the spaces the ceilings feature the Sansovino system of wooden beams, a Lombard-Venetian legacy, alternating full and empty zones. Only in the paneling of the closets has the wood been treated, painted and combined with glass or mirrors, to expand the perception of the spaces and to add greater balance. “Wood is a beautiful material, it has formal and sentimental depth,” De Lucchi says, “but it should be carefully used to avoid the effect of a rustic mountain chalet.” The furnishings follow the same parameters of reference. A few selected pieces, a dining table with turned legs, lamps and objects designed by the architect placed in the niches of the bookcases. “There is a lot of the research I have conducted, after 1990, when I started Produzione Privata, one of those cases in which the word has driven the idea: the desire to experiment outside the system of the market, the catalogues of companies. Sottsass said: with Memphis industry is at the service of the designer, not vice versa. In my own way, I continue an idea of design that is increasingly tied to crafts, to traditional know-how and small numbers. Also in architecture, even when the suppliers are not the same, the guidelines, from the design system to the samples to the finished work, are always there.” This is why, in the end, this ‘soft’ home, free of ostentation, with a relaxing, quiet, almost suspended atmosphere, should age very well. - pag. 11 The patio seen from the master bedroom. Note the new glass doors with segmented arches in bronze custom made by Secco Sistemi, and the design of the decorative metal railing of the loggia. All based on original models. The dramatic access zone of the master bedroom, with two closets and a bath, lined with panels of painted wood combined with transparent or mirrored glass backdrops. From the dining area, a view of the living room and, in the background, the fireplace zone. The divan is by Baxter, while the low cabinet is a custom piece designed by the owner. Lamps by Produzione Privata. Counterview of the internal layout promenade in the master bedroom. The visual continuity and unity of the environment are generated by uniform larch wood floors (Merelli). And the design of the oak and glass doors, which figuratively reprise the range of the external bronze casements. In the foreground, view of the bath with boiseries, washstand by Flaminia, faucets by Stella. Design sketch of the figure of compositional reference, namely the patio with the loggia above. - pag. 12 Focus on the dining room with the table with turned legs in wood and white iron, custom made, accompanied by chairs and suspension lamps by Produzione Privata. In the adjacent living area (foreground), a divan by Baxter. - pag. 15 xThe entrance area with the First Chair by De Lucchi for Memphis (1983) and the wall finished with the sagramatura technique for the exposed bricks. In the background, two pieces by Produzione Privata: a composition of Bisonte seat-stools (2005); the Tanti Saluti coat rack (2011), both in birch plywood. View of the master bedroom. Wall lamp by Artemide. On the facing page, the large, luminous kitchen with the ceiling featuring the wooden beam system of Sansovino, also found in the bedroom zone. Note the row of glass doors with segmented arches. Island kitchen by Arc Linea. Salvaged table, chairs by Alias. The staircase with an iron structure, railing and steps in wood, leading to the fitness zone in the basement containing equipment by Technogym.

EcoMediterranean pag. 16 project MASSIMO IOSA GHINI

photos Cosmo Laera - text Antonella Boisi In SALENTO, an ecosustainable house made by combining traditional materials and construction methods with contemporary tools of passive and active climate control We’re in the lower part of Salento, near Salve, a few kilometers from Santa Maria di Leuca and the sea, in the buen retiro of Massimo Iosa Ghini, internationally acclaimed architect and designer. Far enough from town to feel like we’re in the countryside, in the midst of nature: life, silence, wind. As a globetrotter, Iosa Ghini has chosen this corner of Apulia as a vacation spot for his family. “Milena (Mussi, ed.) took an active part in the project,” he explains, “because we picked up on Alberti’s

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settembre 2014 Interni idea that before building you need to spend at least one entire day in a place (more than one day, actually, in our case), absorbing awareness of this red land, its pale stones, age-old olive trees, cuisine. The place has its own metabolism. An ideal archetypal dimension for regeneration, easy to reach, also during the week. I wanted the setting I created to be a part of the whole: integrated, springing from the same rock on which it stands, discreetly nestled amidst the existing trees, the twisted trunks of the olive groves, open to a relationship of indoor-outdoor osmosis.” The architecture of the newly built house has a single level, on a lot of more than one hectare, surrounded by majestic olive and pine trees, the typical local vegetation. It is beautiful because it is essential: precise in its lines, with a modernist flavor, an incisive, light figure of pertinent order and proportions, with a rugged materic character that recoups local constructive traditions. And it is virtuous, because it has an ecological core of the latest generation, conceived to optimize resources and costs, thanks to the use of both passive control (sunscreens, low-emission glass, green pergolas, use of natural shade from the trees) and active control (photovoltaic panels in off-limits zones of the roof). This is the most surprising aspect, as if in a relaxed context the maestro of the Bolidista movement were unable to avoid the experimentation that is part of his spirit, balancing it with respect for the site and a taste for the modern. “It’s my job,” he says. “I carefully studied the path of the sunlight and the way the earth, in March and April, is covered by shrubs flourishing in the part sloping towards the sea that is visible on the horizon; I studied the cycles, the wide range of temperatures: very dry in the summer, very humid in the winter. I listened to the suggestions of local architects and builders who explained how to use native materials.” The design choices were the result of this careful analysis. The plan, based on the image of the Salento masseria, is designed to incorporate the roots of the existing trees. The flat roof, partially set aside as a solarium with access from an external staircase, has become a panoramic viewing point to watch the countryside and the sea. The constant relationship between indoor and outdoor spaces is underlined by the use of large glass partitions with slender metal casements: six meters in the large living area, facing south and placed in a central position, surrounded by four bedrooms with their own vestibules and baths. To the left, there is a hortus conclusus, open to the outdoor living areas. A path in smooth cement connects the house to the only existing independent volume: a pajara, restored and conserved, now used as a guesthouse. The materic-chromatic choices include local Chianca stone for the outdoor paving, made of crushed rock and mortar with a shiny resin effect, in pale, almost white tones. Inside, the floors feature large rectangular panels of porcelain stoneware, seamlessly installed, in the same colors. “I didn’t want to run the risk of leakage inside: Chianca stone is fascinating, but it cracks,” Iosa Ghini explains. For the perimeter walls, in certain zones with dry masonry or lime finish, the rubble masonry technique has been applied intensively, adding depth which helps to screen out the heat in the summer: on the inside the walls have Acquarica tuff in a standard measurement (35x70 cm), with an insulating felt panel in the middle and more tuff on the outside, this time cut in half to obtain a sort of elegant slatted pattern that reminds us of Wright. The pergola zones have wooden structures treated with acid to become almost white, and reed canopies to filter the bright daylight. Blended by the dominant but not homogeneous white tone, bordering on shades of rope and gray, the same materials and colors return in the interiors. The frames of the doors in painted wood, made locally, for example, are all gray. Lecce stone is used for the fireplace in the living area, a catalyzing, emblematic, essential figure. There are few decorative touches: a few crafts objects, some favorite design pieces. Like the table designed for Bonaldo that introduces a strong element of contrast with the three-dimensional ‘scribble’ of its base, accompanied by chairs in treated oak produced in Friuli, or by a divan by Moroso. “The absolute protagonist of the domestic scene remains the incisive light, inside and outside, with its clear, precise shadows,” Iosa Ghini says. What more could you ask for? - pag. 17 The outdoor living area near the main living room (facing south), with pavement in Chianca stone, produced locally, incorporating the figure of an existing olive tree. The zone is equipped with a structure in acid-treated wood that functions as a pergola and, in one corner, with custom chairs and crafted tables. Note the original size of the Acquarica tuff used to clad the facade, creating a pattern that reminds us of Frank Lloyd Wright. Outdoor lighting by iGuzzini. In the drawing: plan of the complex. - pag. 18 Exterior views of the house that has been inserted, with a double horseshoe figure, on a lot of over one hectare, full of olive and pine trees, including small courtyards and relaxation zones in the open air, and the independent volume of an old pajara, in dry stone masonry, restored and equipped with an outdoor area to form a hospitable guesthouse. The external staircase bordered by fake white lime walls leads to the flat roof with the solarium and belvedere overlooking the countryside and the sea. - pag. 19 In the dining-kitchen zone, that forms a whole with the living area, design plays a part: the H2O dining table by Bonaldo, Stealth chairs by Livoni, custom kitchen and Leo stools by BRF. - pag. 20 The living-dining-kitchen area: a unified zone with floors in porcelain stoneware by Graniti Fiandre, surrounded by the bedrooms. The fulcrum of the composition is an essential fireplace in Lecce stone, in a context featuring a few selected design pieces: sofas and table from the Hi-Pop system by Moroso, Cannettata suspension lamp by De Majo. - pag. 21 The multifunctional zone (living-bedroom) for guests in the renovated pajara features a vaulted ceiling in dry stone masonry, like the walls. To the side, detail of the guest bath: resin counter, Lecce stone washstand, faucets by Teuco, mirror made to measure. A bedroom with bath in the new construction. Tolix chair and Yò Yò stool-table by BRF, headboard with design by Iosa Ghini produced by ABS Group. Bath fixtures and faucets by Teuco, washstand in Lecce stone, towel warmer by Antrax, shower by Teuco.

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Interni settembre 2014

The forms of time pag. 22

project EDOARDO MILESI & ARCHOS

photos Ezio Manciucca - text Antonella Boisi MINIMAL GRAFTS in an exclusive RESIDENCE in BERGAMO ALTA, on two levels, establishing a dialogue with an engaging architectural history through transparency, lightness and light, PARADIGMS OF BOUNDLESS QUALITY A high-profile home of great character comes to terms with the complexity of an existing historical context protected by the heritage authorities of Lombardy; featuring austere, deep volumes, vaulted roofing, arched doors, three-mullioned windows and large rectangular openings with cruciform elements, flat stone cladding. The building, the result of multiple phases, in which the house claims its space – about 500 square meters obtained by combining two adjacent apartments on the terrace level – was built in the late Middle Ages as a monastery, and then became a dormitory, a role it played until the 1970s, when it was sold and split up into apartments. “Actually, during the work on the revision of the internal layout, which also involved masonry intervention, limited in practice to the demolition of walls installed in the 1970s, replaced by accessorized partitions to allow the massive historic walls to remain the absolute protagonists, we found a Paleo-Christian temple amidst the debris, pointing to an even more ancient settlement,” says the architect from Bergamo Edoardo Milesi, creator of the project. Born in 1954, after studying at the IUAV in Venice and taking a degree at the Milan Polytechnic under the guidance of Franca Helg, Milese – also the cofounder of the art and culture magazine ArtApp – has made a name for himself in the field of restoration, thanks to his particular focus on constructive aspects, in keeping with the tenets of bioarchitecture and continuity with the tradition. “In this specific case,” he continues, “I had to come to terms with the remains of the original monastery, to attenuate the sense of a limit between the open and closed areas, and to bring light into the depths of the volumes. I started with one positive factor: the southern exposure of the terrace belonging to the apartment, overlooking the lower part of the city of Bergamo, and part of the walkway of the Roman walls of the city, where villas and buildings have been inserted over the centuries.” The primary necessity was to bring maximum transparency to the architecture and a fluid arrangement to the spaces, all utilized in a convivial way. “We identified four large areas inside an imaginary connective line that like a spine of light would cross them all: a path of 25 meters along which the functional episodes are organized, almost never separated by doors.” The first large area was set aside for the living room, facing south and open to the terrace, which also contains a hobby area, library and office shielded by a curtain in linen, with vertical stripes; and, above all, the kitchen enclosed in a box of steel and glass, conceived as a dynamic threshold, permeable to the gaze and communicating with the inner courtyard, restored as a winter garden and protected by a large transparent wall. The bedroom zone is composed of two complete, distinct islands. One is for the children – two spaces with bathrooms, reached from the living area through the library with a landing lined with bouclé wool – and that of the master bedroom featuring a large closet, a fitness area and two bathrooms connected by an unusual glass floor, a source of zenithal light for the swimming pool below. Because the house has a second lower level: an appendix completely set aside for private relaxation, like an exclusive gem, hidden from prying eyes. The swimming pool and steam bath are reached directly only from the fitness area organized behind the closet, by means of a staircase in hand-carved Nero d’Africa that with a striking effect enters and finishes inside the pool, while access to the relaxation zone on the ‘raft’ deck is provided by a footbridge in wood and steel, with a motorized drawbridge. One apt intuition of the designer has been to make the swimming pool, without structural modifications, inside what was once a rainwater cistern inside the Roman walls, making it easy to maintain – in the portion below the deck – with access from the common staircase. Limited compositional intervention, then, but effective and strategic, to create a ‘tailor-made’ situation that has a minimal look, also in the essence of the materials used, three of which recur in different parts: recycled teak boards for the floors of the living area, the deck-swimming pool, the kitchen and the bedroom zone; hand-crafted Nero d’Africa forming a contrast with Osso Travertine for the facings of bathrooms and the relaxation zones; lime plaster applied to the walls and vaults. “I have removed everything I could of the subsequently added parts, trying to get back to the original spirit of the place,” Milesi says. “I have not constructed any historical fakes. I wanted the purpose of the place to be clear and immediately perceptible, as Alvar Aalto and Mies Van der Rohe have taught us.” The charm of this interior that applies layout to dissolve the traditional borders and to open up spaces to an intense relationship with natural light sources is conveyed, intact, in the balance of the new minimal forms dictated by everyday functional needs, made with a proven team of artisans. In keeping with the finest tradition of interior architecture with a modern matrix, Milesi has custom designed almost all the furnishings (and casements), from the closet cabin to the headboard, the velvet divan to the television and stereo cabinet hanging in the living area. All the way to the automatic bridge of the swimming pool. With rigorous, constant control of details, also gauged in the chromatic range that favors the Morandi scale of grays, bringing a soft mood and a timeless quality to the domestic landscape.

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- pag. 23 View of the custom kitchen enclosed in an ‘aquarium’ box of steel and glass, and completely visible from the living area. Facing page: the entrance area and plans of the two levels. - pag. 24 Views of the living island with recycled teak floors, a material that returns in many other rooms. The furnishings (like the casements) are based on designs by Edoardo Milesi & Archos, with the exception of the vintage armchairs and the dining table designed by Mario Botta for Riva 1920. - pag. 25 The kitchen space, visually open to the living area, also communicates with the private internal courtyard restored as a winter garden, bordered by a large transparent wall. Spotlights by Kreon. - pag. 26 In the zone between the two bathrooms of the master bedroom clad with wooden planks and Travertine, the glass opening in the floor provides zenithal light for the swimming pool on the lower level. In the foreground, an iconic design piece: the Long Chair by Marcel Breuer, 1935-1936. - pag. 27 Views of the master bedroom with the old vaulted ceiling. The bed and the headboard, designed by Edoardo Milesi & Archos, are made with pure linen jacquard fabric by De La Cuona. The wardrobe cabin is also custom made. - pag. 28 The longitudinal section shows the extension of the apartment on two levels. The lower level is entirely set aside for the private fitness zone: a swimming pool and steam bath connected to the master bedroom by means of a staircase in Nero d’Africa, crafted by hand, which directly enters the pool. Access to the relaxation zone, organized on the deck with the Float sofa by Francesco Rota for Paola Lenti, is provided by a motorized drawbridge in wood and steel. Built-in lighting fixtures by Aldabra. The Turkish bath is a minimal space with Morandi colors, enhanced by the materic contrast with the hammered Nero d’Africa of the floor and the Osso Travertine of the pool.

A balcony on the Baroque pag. 30 project GIANLUCA ROSSI

photos Simone Fregni - text Antonella Galli A 19th-century farmhouse in the countryside near NOTO, from which to view the Baroque city and the sea of VENDICARI, has been restored as a vacation home without betraying the historical identity and the territorial spirit In love with Sicily, and in particular with the southeastern part, the cradle of the Baroque, an architect from Emilia operating on the international design scene started to look for a vacation home several years ago, a refuge immersed in the most authentic atmosphere of the island. He found what he was looking for in a 19th-century farmhouse in the country near Noto, the capital of Sicilian Baroque, protected by UNESCO heritage listing. The rural complex in the greenery, amidst olive, carob and almond trees, is located by one of the typical canyons that mark the territory of the Vallo di Noto, overlooking the nature reserve of Vendicari. The old masseria is composed of an original nucleus, joined in the first decades of the 20th century by some new volumes to create new spaces for the family living there at the time. The new proprietor has restored the complex in a conservative way, keeping its structural and stylistic characteristics intact, and making a clear historical interpretation while changing some of the functional roles of the spaces. The arrangement of the volumes and rooms has been preserved, though in the old carriage house a living area has been inserted, and the roof now features a terrace accessed by way of an external staircase (offering a view as far as Portopalo di Capo Passero); the space for sheep, detached from the main structure, is now a small guesthouse. The original walls in stone, lime and sand have been given new cladding and then covered with hydrated lime and whitewash, maintaining the natural characteristics. Insulation from the ground (the building has no foundations) has been done with aerated slabs, while natural climate control for the rooms is provided by ventilated roofing. The floors are in Modica stone, a calcareous local rock with a luminous beige color, both inside and outside the building. In this sober natural setting an eclectic selection of furnishings has been assembled that leaves little room for local taste, shifting towards personal passions and travel souvenirs of the owner. In the rooms, seats and upholstered furniture with metal tubing from the 1970s coexist with oriental armchairs, antique Indian doors attached to the wall like paintings, and famous pieces by Zanotta, Cassina, Poltrona Frau, as well as iGuzzini work lamps, custom furnishings (the kitchen, for example) in natural iron and wood, and northern European cabinets from the 1960s. A small legacy of memories and passions, put together over the years and gathered in a home for leisure time, inspiration, encounters and healthy detachment from everyday frenzy. The house stands at the center of a rural estate of 25 hectares, containing hundreds of olive, carob and almond trees. In particular, an almond grove of about one hectare, planted long ago and surrounded by a stone wall with a square perimeter, has been entirely cleaned up, replacing the dead trees and reconstructing the enclosure. The conservation of the territorial heritage and the rural landscape goes hand in hand with the restoration of the buildings, seeing the two dimensions as part of a whole, in keeping with the tradition and spirit of the place. - pag. 31 On this page, the living area inside the former carriage house, with two tubular armchairs from the 1970s. Right, another living zone with a tubular chaise longue and, in the background, an Indian door in painted wood. On the facing page, the complex of the 19th-century farmhouse, in the heart of an agricultural estate near one of the canyons of the territory of Vallo di Noto. From the house the view opens to the Baroque town and the Vendicari seaside. Below, the carriage house, transformed into a living area, with the external staircase leading to the roof terrace. - pag. 33 On this page, above, the bedroom with an inlaid Indian door from the 1700s leaning against the wall; right, the bathroom with

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116 / INservice translations a wooden ladder for the olive harvest used as a towel rack. The restoration work on the complex has been done by the contractor Archimede of Noto. On the facing page, the dining area with, at the center, the Leonardo table by Zanotta designed by Achille Castiglioni in 1940 and the Eu/Phoria chairs by Paola Navone for Eumenes. The custom kitchen is in wood and iron; near the refrigerator, a northern European cabinet in wood from the 1960s.

INsight/ INarts

ArT or SounD pag. 34

interview with Germano Celant - by Lara Conte In VENICE, until 3 November, an exhibition conceived as an investigation through the past and present of the problematic issues in the relationship between art and sound, the iconic aspects of musical instruments, and the spheres in which the visual and musical arts have met When and how did the idea arise for an exhibition that intertwines art objects and musical instruments? “One show leads to another. After the remake of When Attitudes Become Form in 2013, we realized that over the last forty years the history of exhibitions has slowly changed, reaching the point of favoring sight over all the other senses. Museums have become places of silence and of one channel of perception only. You can look, but you cannot touch, listen or smell. A place of sensory repression that might call for rethinking today. It is no longer interesting to enter an exhibition and undergo constant controls over aesthetics and behavior. In the 1960s you could show animals or introduce natural elements like ice and fire, and it was possible to touch works that also contained a performative element, that were alive and changed over time. All this has vanished today because art has undergone a mass aggression, on the part of an enormous audience, while it also has to defend its economic value that has shot to the stars: hence thee barriers, the bans. With this awareness, we began to discuss a hypothesis with Miuccia Prada and the team of the Foundation for an exhibition that would break up or at least challenge these limits. We started thinking about shows that would have to do with the senses, and the most ‘feasible’ on a short schedule, less than a year, was the idea of concentrating on ‘sound,’ an area addressed by many contemporary artists. Nevertheless, we were not interested in making another anthology of current material, but as happened for the multiple in The Small Utopia, in 2012, we wanted to investigate the history of the art-sound relationship. With my researchers Chiara Costa and Mario Mainetti, we studied the origins of this dialogue or this osmosis between objects and sounds, and we reached the matrix: the clocks produced in the Renaissance. This triggered a path that starts with the functional object, the clock and the organ, the spinet and the violin, the trumpet and the music box, and arrives – with Russolo and his Intonarumori – at the construction of an ‘other’ object, that stimulates the interest of the historical avantgardes, from Futurism to Dada, to produce sound sculptures or sound paintings.” How is Art or Sound developed in historical terms? “The aim of the show is to demonstrate the connections between art and musical instruments, with the project of bringing out the logic of a sculpture that makes sound and an instrument that, due to its craftsmanship, shifts into an artwork. To create a parallel vision, where the hybrid functions as a stimulus for a different interpretation of the object. The path begins with a display island showing the clock produced in the 1600s by Dubois au Puy, a sound sculpture by Alexander Calder, a painting by Theo van Doesburg, inspired by ragtime, and a photograph by Man Ray with the female figure transformed into a violoncello. It is the moment when all the visual languages appear together to give interpretative meaning to the exhibition. The items are placed on independent structures, pedestals or walls, to establish their independence, i.e. ‘art’ or ‘sound,’ parallel but independent moments, as in the title. In chronological terms, we start in the 1500s, with the iconographic and artistic representation of the relationship with the musical instrument, as documented in paintings and frescoes, showing lute or dulcimer players, moving on to elements that were made for sound but also have an imaginary, fantastic configuration. Trumpets or flutes in the form of serpents, dragons and flowers, clocks that reflect works of architecture or are translated into cages for songbirds, carriages that rolling down the street activate an organ with their wheels, for a musical accompaniment along the way. From the 1800s to the early 1900s, on the other hand, we see the first technical experiments, such as the use of gas to produce the sounds and flames of the Pyrophone, while cylinders and then metal disks begin to be used with recorded sounds to create the musical box, the forerunner of the juke box. Until 1913-14 the selection covers only musical instruments, but after the Intonarumori of Russolo the field opens to sculptures that incorporate the metronome or the idea of sound, from Man Ray to Marcel Duchamp, while the experiments on the interface of music and images continue, like the Optophonic Piano, 1920-1923, of Vladimir Baranov-Rossiné. The great linguistic leap comes with the Futurists, and the grafts between sculpture and musical instruments, and then reaches Surrealism, followed by the arrival of John Cage with an attitude towards sound that also accepts silence as a musical element. From all this a constructive and destructive output begins, from Fluxus to the Nouveau Réalisme and Pop Art, where objects make ‘sound’ independently due to their destruction or their interaction with the observer and the audience.”

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settembre 2014 Interni How is the show organized in the spaces of Cà Corner, and what were the problems involved? Does a sound exhibition have different characteristics from one composed only of silent, immobile artworks? With whom did you work on the level of design and acoustics? “For the first time, we were able to use the second floor of Cà Corner de la Regina, which is being conserved and restored. So we divided the itinerary of Art or Sound into two parts, from 1500 to 1970 on the first piano nobile and from 1970 to 2014 on the second. To keep the whole thing from getting too rigid, and to stimulate crossings and relationships, some works have been shifted from one period to another, to show similarities and contrasts, possible formal and aesthetic parallels. The installation designed by Michael Rock with 2x4 of New York has been created with the sound effects that would be in the show in mind, but without creating cacophony. We have used a sound absorbing material as an enveloping, constant motif, on the floors and the pedestals. At the same time, having decided to show only objects, avoiding sound installations or rooms, the exhibition has been constructed ‘like a checkerboard’ to permit movements, while establishing the pattern for the electrical wiring. The checkerboard has been very useful on the first floor, where the objects are smaller, while on the second floor it has been reduced to intervention on the floor, allowing the works to have their own territory, but not raised off the ground: pedestals do not belong to the contemporary display language. The biggest difficulty, for a team used to working with art, was how to ‘install’ sound, avoiding invasions and overlaps. To achieve an autonomous and ‘musical’ effect we asked Frédérick Sanchez, a musical artist, to ‘play’ the exhibition, namely to compose a score in which all the works with sound were utilized to create a whole, respecting their identity and their independence: a ‘concert’ exhibition or a ‘displayed’ symphony.” The modern and contemporary part has the lion’s share, demonstrating an expansion of the concept of sound, including elements of everyday life, the path of new technologies, shifting from the telephone to the computer, and also recording sociological and political aspects. There is more social commitment, and more often we find an ironic or critical attitude. What has changed between past and present, which here seems formally similar but is undoubtedly different, contextually? “The break made by John Cage and his school – from which personalities like Nam June Paik and George Brecht emerged, and many Fluxus artists – changed our system of conceiving of the musical object, from the prepared piano to sound boxes. This led to many works that contain the recording of the sounds while they were being constructed, from Robert Morris to Bruce Nauman, or works that include media like television and radio, from Tom Wesselmann to Robert Rauschenberg. In other cases, what dominates is the assemblage of elements formed by a guitar and an animal grafting, as in Edward Kienholz, or the combination of a pianoforte and two motorcycles, as in Arman. This moment in the history of art and music is defined by a ‘new Dada’ attitude, with European protagonists like Stephan von Huene and Wolf Vostell. Nevertheless, this is abandoned by those who begin working halfway through the Sixties, when research like Body Art comes to the fore. Here we see a return to the 18th-century automaton, like the dancer of Dennis Oppenheim, whose tradition continues until the Tamburino (Drummer Boy) of Maurizio Cattelan. A moment that reveals the complexity of relations between art and sound can be seen in Untitled, 1972, by Jannis Kounellis, composed of a painting that contains a portion of the score from Pulcinella by Igor Stravinsky. This is put into music by a violinist and performed by a ballerina, repeating the motif at length and then taking it up again after a pause. It is the declaration of a sensorial character of art that makes painting, dance and music coexist, revealing the desire for a multi-sensory experience.” The second part, on the second piano nobile of Cà Corner, presents a world of more imposing objects, arranged in a more open territory. Why this shift of scale and space? Are the instruments on display played at times, or do they make sound on their own? “Since the Seventies the practice of integrating sounds or musical moments in sculptures has been widespread. So the exhibition documents the most symptomatic research, of artists who have made sound their linguistic element. Therefore there are works by Bernhard Leitner, William Anastasi, Laurie Anderson, Ken Butler, Christian Marclay and Terry Allen, who for decades have been involved in the contamination between design and sound, music and entertainment, folk music and the concert repertoire, creating new prototypes of furniture or tables that transmit sound, or musical prostheses. The latest generation of artists, operating since 2000 – from Haroon Mirza to Walter Kitundu, Athanasios Argianas to Manuel Rocha Iturbide, Tarek Atoui to Alberto Tadiello – seem more interested in a dialogue with the new technologies. The program also includes the repertoire of performances using the instruments and the sculptures, entrusted to experts on history or to the artists themselves, starting with the Intonarumori, 1913-14, of Russolo, and proceeding to the Cristal Baschet, 1952, by Bernard and François Baschet, and the Donnerwetter, 2011-12, played by its maker, Riccardo Baretta. In other cases we have invited bands to bring alive the objects made in 2012 by Pedro Reyes with the arms confiscated from the narcos. Elsewhere, sculpture itself takes on its own independent sound expression, so – as in the case of Rebecca Horn, Marco Bagnoli, Anri Sala or Subodh Gupta – its musical presence becomes part of the great symphony of the exhibition.” - pag. 34 View of the exhibition Art or Sound. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice 2014. Photo Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada. - pag. 35 Tarek Atoui, The Metastable Circuit, 2012. Performer: Tarek Atoui. Opening of the exhibition Art or Sound. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice, 5 June. Photos Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada. Ken Butler, Hybrid Instruments, 1978-2002. Performer: Ken Butler. Opening of the exhibition Art or Sound. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice, 5 June. Photos Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada. - pag. 36 View of the exhibition Art or Sound: from background to foreground, Walter Kitundu, Beguèna Maridhia,

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Interni settembre 2014 2008; Terry Adkins, Omohundro, 2008. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice 2014. Photos Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada. Bernard Baschet - François Baschet, Cristal, 1952 (1980). Performer: Thomas Bloch. Opening of the exhibition Art or Sound. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice, 6 June. Photos Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada. - pag. 37 Installation view of Art or Sound: left to right, Arman, The Spirit of Yamaha, 1997; Tom Sachs, Toyan’s Jr., 2001; Gebrüder Wellershaus, Fairground Organ, early 20th century. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice, 2014. Photos Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada. - pag. 37 Installation View of Art or Sound. Artworks by Dennis Oppenheim, Roullet-Decamps, Stephan von Heune, Riccardo Beretta and Claes Oldenburg - Coosje van Bruggen. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice 2014. Photos: Attilio Maranzano. Courtesy Fondazione Prada. Ken Butler, K-Board, 1983. Performer: Ken Butler. Opening of the exhibition Art or Sound. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice 7 June 2014. Photo: Attilio Maranzano. Courtesy Fondazione Prada. Installation view of Art or Sound: works by George Maciunas, Nam June Paik, John Cage, Robert Morris, Tore Honoré Bøe and Bruce Nauman. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice 2014. Photos Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada - pag. 39 Installation view of Art or Sound, Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice 2014. Jannis Kounellis, Untitled (to invent on the spot), 1972. Photos Attilio Maranzano; courtesy Fondazione Prada.

INsight/ INscape

An exaggerated generation pag.40 by Andrea Branzi

“Italy is the only European country that has never had a revolution: this is why it has nurtured great ability in the art of managing its own contradictions, without ever resolving them completely: thus the category of exaggeration has become a useful strategy to dilate, without ever reaching a rupture point, the conflictual coexistence between social parties, between the country’s history and its present” With the above title, I have published a book with Baldini & Castoldi that narrates, also in autobiographical form, the long story that starts with the Radical movement and reaches the present day. Exaggeration has been a characteristic condition of my generation, an indispensable attitude to react to a society crushed by extreme politics, but paralyzed by the Cold War. In this state of paralysis, the only way was to react with ‘exaggeration’ to the surrounding ‘exaggerations.’ The economic miracle of the Fifties was depriving the country of its roots, making it into an ambitious place where life was not good, people did not dress well and the food was worse. After all, in history this is the only European country that has never had a revolution. Here the only way to update culture or politics has always been to reach extreme consequences, without making a definitive break. The Radical movement began in 1966 in Florence, a monumental city, but one where modernity did not exist at all. Maybe this is why it was easier to invent a new modernity there. Our modernity had two great merits, which are only being officially recognized today: the first was that of understanding that the urban, architectural or design projects operate in a conflictual way – not harmoniously, as the Modern Movement had imagined – and that each of these disciplines has to assert its own central role, its own independence. So the theoretical unity of the modern project was falling apart. The second intuition, and a prophetic one, was that the optimistic future of order and rationality would never come to pass, and instead there would be a scenario dominated by complexity, contradictions, anarchy. The Radical movement has always been erroneously interpreted as a unitary phenomenon, but actually the categories I have described reproduced themselves inside it as well, through profoundly different themes of research. Often academic culture has interpreted our work as a utopian movement, but actually it was a phenomenon leaning towards extreme realism, investigating the world around us through distorting lenses to bring out contradictions, paradoxes, dangerous malformations. In those years occidental society had transformed from an architectural civilization to a commodity civilization: this transformation was putting the traditional concept of the city into crisis. While architecture was based on solid foundations, well-defined borders and clear limits, merchandise, on the other hand, was an atomized, exportable, transferable, ungovernable system, and its territory was limitless, fluid, boundless. All this led to design cultures that were utterly different from one another. In spite of its lucidity, the Radical movement has long been forgotten, especially in Italy. But at the start of the 21st century, beginning with the major American universities – like Harvard and Princeton – it is being rediscovered, not as a revival but as an initial intuition of the design culture of the era (and the failure) of globalization. Without a suitable dose of ‘exaggeration’ it is very hard to interrupt the state of crisis of the city, of architecture and design today; therefore working on the long term, like the long term from the 1960s to the present, is absolutely indispensable to avoid paralysis. - pag. 40 Superstudio, Monumento continuo, 1968-69. - pag. 42 Ufo, Dollaro lamp, 1968-69. Ugo La Pietra, Il Commutatore, 1970. - pag. 43 Archizoom, No stop city, 1969.

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FunDamenTaLs pag. 44

photos Luc Boegly, Maxime Delvaux, Matteo Vercelloni - text Matteo Vercelloni The 14th International Architecture Exhibition of the Venice Biennale (open until 23 November), curated by REM KOOLHAAS, underlines the role of the discipline apart from the present poetics and experimentation, concentrating on the FUNDAMENTALS. “Architecture, not architects” is the slogan-program taken as the subtitle of the event. Koolhaas applies radical thinking that doesn’t always meet with wide consensus, but does deserve credit for prompting reflection, as formulated in the invitation: “ABSORBING MODERNITY: 1914-2014” “Architects: Idiots all. Always forget to put stairs in houses.” The famous definition of architects by Gustave Flaubert in his Dictionary of Accepted Ideas published as an appendix to the novel Bouvard et Pécuchet, written from 1874 to 1880 and never finished, doesn’t seem to apply to this radical tribute to Koolhaas-think of the Architecture Biennale in progress in Venice. The staircase, in fact, together with the roof and the floor, the corridor and the facade, the window and the ceiling, the door and the ramp, elevator and escalator, toilet and fireplace, wall and balcony, represents the ‘heart’ of the exhibition in the central pavilion at the Giardini. A series of elements taken as ‘fundamental ingredients’ of any construction, “used by any architect, in any place at any time” and announced here by the Chinese gate from the late Qing dynasty (19th century), impeccably reconstructed as an archetype of reference by Xiegu Construction at the entrance to the Giardini, facing the lagoon. These are Fundamentals offered in a vision that combines late-positivist cataloguing with the flavor of investigation that is part of that “analytical psychohistory” that Koolhaas made popular in 1978 with his ‘fundamental’ essay Delirious New York, a masterful historical-design portrait of the city. Through parallels and comparisons, for example, with respect to the Venetian collection of windows, part of the archives of Charles Brooking, deployed to form a composite wall as in a 19th-century museum, we can point to the innovative value of the research project ‘WindowScape: Window Behaviourology’ (published in a book of the same title by PageOne) on the same theme, conducted by Yoshiharu Tsukamoto Laboratory of the Tokyo Institute of Technology and offered to the event of INTERNI this April in Milan, with the installation by Atelier Bow-Wow. Here the window, studied over time and in the different parts of the world, is connected to the idea of space and the threshold created between inside and outside, approached in an architectural and spatial key, far from any cataloguing or typological anthology, a gap the small catalogues devoted to each element of the Venetian exhibition attempt to bridge with historical and sociological discussion that the show in itself does not reveal. The voyage through the ‘elements of architecture’ produced in two years of work with the Harvard Graduate School of Design, introduced by an evocative film collage by David Rapp leading to a series of dedicated rooms, is flanked by the section Monditalia at the Corderie dell’Arsenale. Here, after having passed through the spectacular iridescent portal balanced between the Fellini of “8 1/2” and the lights of country festivals, “in a moment of crucial political transformation we have chosen to look at Italy as a ‘fundamental’ country, unique but also emblematic of a global situation in which many countries are balanced between chaos and the full realization of their potential.” Koolhaas, together with Ippolito Pestellini Laparelli, an OMA partner and curator of the installations in the spaces of the Corderie, portrays our country in a zigzag voyage through specific cases, accompanied by an impressive large curtain reproducing the Tabula Peutingeriana, the map of imperial Italy of the 5th century (actually the reproduction comes from a copy made in the 12th-13th century of an original since destroyed). The 41 cases, along with clips from 82 films, form a metahistorical summa of an overall image that nevertheless seems to be a bit muddled, interrupted by positive moments of theatrical performance that seem to suggest the importance of the role of people and their lives in the architectural project and the general development of the city. After a mysterious pause amidst the shadows of the dreamy Thai installation designed by the studio OBA guided by Smith Obayawat, the first release from this voyage of suggestions, film testimony and emblematic cases narrated in different ways, at the end of the Corderie one encounters the Morocco pavilion, created by Tarik Oualalou for the Fondation pour L’Art, Le Design et l’Architecture. Under a ceiling composed of projections of the buildings of Moroccan cities, scale models show historical dwelling typologies and experiments for living in the desert; the Sahara as a possible space, directly evoked by the sandy floor of the installation. Outside, a marble column, silent and powerful, stretching towards the internal harbor, seems to have just arrived from far away. A work by the Albanian artist Adrian Paci, the column is the heart of that country’s contribution. This is truly the ‘fundamental’ element of any work of architecture, a column of the Corinthian order (we would have opted for Doric, but after all, this is Venice) that has landed at the Arsenal, part of a performance shown in a film, where the marble block departs from China and is sculpted by hand, in the open air, inside the metal boat during the long voyage to Europe. A way of narrating not just an architectural archetype, but also the labor that goes into its making. The Italian Pavilion curated by Cino Zucchi is on the theme of the graft, reassessing urban fabric as a resource for discussion and

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dialogue, where The New as Metamorphosis, Milan: Laboratory of the Modern and Italy: a contemporary landscape are organized in a clear, convincing installation lit by Artemide, extending outside with the metal gate Archimbuto (probably to become a permanent feature) and into the garden with the ‘Ribbon of the Virgins,’ a sinuous bench custom made by De Castelli with Lavazza. Zucchi approaches the history of Milan, his city, without complexes; as Savinio put it, listening to the heart of the city, its stories and its protagonists, “where a proud modernity is capable at the same time of adapting to the context, of making it its own and transfiguring it inside a new urban vision. The Milanese metropolis is therefore considered a case study of extreme interest, capable of revealing the particular character of Italian architectural culture of the last century.” A culture also seen in the selection of projects of the contemporary landscape, where in an ‘anonymous’ way each architecture is presented with a single image (the project credits can be seen only in the brochure), to emphasize in a subjective way the voyage in images proposed by the installation and the montage by Studio Azzurro of films from all over Italy. The hypotheses of possible futures for after EXPO Milano 2015 were less convincing, perhaps a bit too much like scholastic exercises, failing to narrate the true design experiences now in progress, such as the operation of the Cluster pavilions, a valid new exhibition model created by EXPO and the Milan Polytechnic with various universities around the world. This edition of the Biennale and its guru-curator Rem Koolhaas deserve praise for having avoided the path (seen to some extent in recent editions) of putting architects into the role of artists, with installations that end up not belonging to either field. The theme Absorbing Modernity has prompted each country to narrate its stories in terms of elements, cases, documents and comparisons (as in the South Korean pavilion, Crow’s Eye View: The Korean Peninsula curated by Cho Min-Suk, formerly of OMA and considered a promising talent on the international scene, winner of the Leone d’Oro for the best national contribution). The composite panorama offers many themes of great interest, such as that of prefabrication, illustrated by Chile (Leone d’Argento) with the exhibition Monolith Controversies on the precasting of cement panels for residential structures, and the French pavilion curated by Jean-Louis Cohen (special mention) featuring “Modernity: promise or menace?”, where the model of the hypermodern automated ‘Villa Arpel,’ the protagonist together with Jacques Tati of the film Mon Oncle (1958), is taken as a metaphor and threat of a modernism that is then approach in its specific components: from the experimental metal panel of Jean Prouvé to the heavy prefabrication that wavers between “economy of scale and monotony.” Russia proposes a sort of architecture fair with conceptual stands on real architects and real examples, ironically mixing history and contemporary developments, with stimuli such as (to cite just a few) Lissitzky and VKhUTEMAS (Constructivist avant-gardes); Chernikhov Creative Solutions or Shaping Inspiration. In the latter, abstract ‘architectural forms’ (based on interpretation of the period of the architectural avant-gardes in Russia) are lined up as models on the display shelves as if they were merchandise in a shop. Interiors are addressed in some interesting installations, like the sensorial rooms of Denmark; the bungalow of the Chancellor in Bonn reconstructed in the German pavilion, as a domestic representation of political power; the offices of the United States catalogued like an archive available to visitor-critics (no synthesis is offered by systemic interpretation); the two vertical microarchitectures of Finland, one built with the traditional techniques of wooden architecture of that country, the other, a twin, in bamboo, made by the Shenzhen Biennial in China, just to name a few. Nevertheless it is Belgium, already with a focus on interiors in recent editions, that stands out for the intensity of its research on living spaces. “Intérieurs. Notes et Figures” curated by Sébastien Martinez Bart, Bernard Dubois, Sarah Levy, Judith Wielander, approaches the theme of domestic interiors through a special campaign of photographs on the living spaces of that country. “Interiors are a fundamental notion of architectural conception […] A vision opposed to modern thinking as a phenomenon of absorption; the consideration of a heritage of interiors reveals a vernacular architecture that prompts reflection on how modernity itself gets absorbed [by the quotidian, by everyday life].” The catalogue, summing up the field research with the photographs of the interiors concealed behind modernist facades, is flanked in the Venetian installation by an abstract stylization of the elements encountered; white and minimal typological displays in relation to the photograph-document of reference. - pag. 44 The entrance gate to the Biennale Gardens; the Chinese gate from the late Qing dynasty (19th century), reconstructed by Xiegu Construction. - pag. 45 The marble column by the Albanian artist Adrian Paci, part of the installation Potential Monuments of Unrealised Futures, the contribution of Albania. The work, The Column, was part of the performance documented in the film shown in the exhibition space; a visionary narrative that describes the removal of a block of marble from a Chinese quarry and its subsequent crafting in the form of a Corinthian column. The work takes place at sea, done by workers who form a unit with the sculpture, with which they travel day after day in their floating workshop, towards an apparently uncertain destination. - pag. 46 View of the space of the French pavilion, Modernity: promise or menace? with experimental prefabricated metal panels by Jean Prouvé. Photos Luc Boegly. - pag. 47 View of the wall of windows, part of the collection of Charles Brooking, contained in the Fundamentals section at the Central pavilion in the Gardens. - pag. 48 View of the iridescent portal marking the threshold of entry to the Monditalia section at the Corderie dell’Arsenale. The portal was made with the support of Swarovski. The Archimbuto designed by Cino Zucchi for the entrance to Padiglione Italia, produced by De Castelli with the participation of Lavazza. Below, view of the room on the ‘rising city,’ a figurative and formal study of the skyscrapers of Milan. Lighting design by Artemide, main sponsor. On the facing page, the Moroccan pavilion; in the foreground, the ‘upside-down’ project by the studio Linna Choi & Tarik Oulalalou KILO for a

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housing model to be built in the Sahara Desert. Photos Luc Boegly. - pag. 50 The striking shelf of ‘products for sale’ of the Shaping Inspiration installation in the Russian pavilion. Like objects offered to the highest bidder, the architectural models from an interpretation of the period of the avant-gardes are lined up in an intense formal confrontation. - pag. 51 Two images of the minimal and typological installation of the Belgian pavilion, and a domestic interior that is part of the photographic research on private living spaces in that country. Photos Maxime Delvaux.

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DesIGn QuesTIons pag. 52 by Laura Ragazzola

Why? What? When? Where? Who? The ‘W’ words offer a pretext to get 30 designers to talk about design: Interni, for its 60th anniversary, explores the views of the protagonists of the field, finding out their opinions, plans and visions (and a few secrets as well)

WHY, in your view, after 60 years of design history that

have enriched our everyday scene with objects of all kinds, is it still necessary to design new products?

Edward Barber and Jay Osgerby We do not need a large number of new products, without considering the fact that many things we own become obsolete due to technological innovations (just consider the lighting sector). Materials also evolve and, in parallel, production becomes less costly. But design, the best design, that of quality, will stay with us forever. Ronan & Erwan Bouroullec We work almost exclusively with European companies (that also produce in Europe), so we always ask ourselves these questions: how can we make products competitive that are commercially and economically in dire straits due to the (very aggressive) competition of Made in China? How can we ‘legitimize’ production that is better made, of higher quality, that is also a vehicle of better cultural and social values? Here lies the true issue: we are surrounded by mediocre objects, of low quality in terms of materials and workmanship. Design offers itself as the (rational) antithesis to (uncontrolled) mass production. Stephen Burks The need to continue to define our world and our way of living with new products is typically human: it began with the start of civilization and it has marked its development, and therefore also its future. Antonio Citterio There are two fundamental reasons why. First, because technology has changed and with it our usage behaviors of objects and our ways of living in spaces have changed. Second, because our economy demands it, which is based on smallmedium businesses: crafted objects become increasingly expensive in terms of labor, while industrial products, on the average, have dropped in price over the last few years. We hear a lot of talk about the manufacturing excellence of Italian companies. But that is a mirage. Have you ever been to Switzerland, or Austria, or Germany? They also have extraordinary artisans. They have studied design, they know how to work with Autocad, they often speak three languages. And robotics make it possible to produce better, because numerical control works better than the hands. Claesson Koivisto Rune But design is invention and as such it belongs to human nature: if we stop designing we stop being human... Carlo Colombo For me design is a language, a way to express myself. To represent the pursuit of a constant dialogue between ourselves and society. The objects around us represent us and from this standpoint they reflect the fact that today the world is constantly changing, starting with living conditions in the home or public spaces, which are completely different. ‘Good design’ interprets these changes, which combined with the use of new materials and the direct interaction with companies make it possible to propose products with an innovative character. Odo Fioravanti Objects represent society in a three-dimensional way, its advances and retreats, its technical innovations and ongoing changes of human behavior. To design new products means conducting research at the margins of material reality, trying to push the envelope to explore the deeper meaning of life. Front Designing new products? Of course, because our way of living constantly changes: just twenty years ago who could have imagined the impact of the digital revolution on society and on our way of interacting with others? Konstantin Grcic Objects are part of our culture and represent the life we live. Martí Guixé Of course: our lifestyle changes continuously and products have to adapt to new contexts and attitudes. Ineke Hans There are always good reasons to design new products: evolving lifestyles and habits, changes in the area of materials. Design lets us make (beautiful) objects that adapt to our way of living today. Ferruccio Laviani Because man is an animal in ongoing evolution and therefore has to satisfy his stimuli in relation to the world around him. Mathieu Lehanneur I have two answers to this question. First: ever since human beings stood up straight, freeing their hands from their role in walking, man has felt the need to produce and construct. It is our essence: we adapt to the world by creating objects that connect us to the world itself. The second has more to do with today’s world.

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Interni settembre 2014 Design over the last 60 years has contributed to create the comfort we enjoy today, but it has also produced the so-called ‘seventh continent,’ namely the gigantic expanse of plastic floating in the middle of the ocean. So we say yes to new products, but it is indispensable to manage to keep our ‘hunger’ for more and more production under control! Arik Levy Design is a lot more than 60 years old, but it is still young... We need to create the new and to continue to explore what will constitute our lifestyle in the future… the way we interact with objects and space. Lievore Altherr Molina Objects, with respect to time, are like water that flows in a river: it is never the same. The needs of people change over time, like their ways of using products. For example: the living area of a house in the past represented an image zone. Today that is not the case: the living room is a place to relax, it is more spontaneous, and that changes the type of furnishings. Piero Lissoni Designing new products? I have no doubt that it is necessary. But the question is another one: if design goes on as it has been doing, it has no future. The reason is simple. Design will exist as long as industries exist, and companies will continue to exist if they manage to factor in risk, creativity, a desire to raise the bar. They have to go back to thinking big and thinking small, in the most exposed and least exposed parts of the market. They have to go back to thinking, to imagine themselves in a new way, to reposition themselves strategically on the market, which has clearly changed. In short, what is needed is thought, original thinking, but instead we see an offering of products that is always the same: there is a total lack of an updated capacity to take risks and to nurture creativity. In other words, Italian design is going where the companies are taking it. Who is still ready to take the intellectual risk of doing an important project? Ross Lovegrove Design is a philosophy that comes from incessant research, the result of imagination that glimpses possibilities where they were never seen before. This places it at the highest point of human progress and makes it a vital form of enrichment of life in all its aspects, from industrial design to fashion. So there is nothing more natural that creating and considering the object of this creation as a form of progress and deeper research… It is an infinite process, without predictable limits. Jean-Marie Massaud It is a natural form of evolution and progress. New contexts (social, cultural, technological, ecological, economic) produce new design. The challenge of contemporary civilization is to blend natural and artificial, intelligence and sensitivity, individual and collective. The goal is to reach a better life experience. We need to take the path of reduction, synthesis, expertise, qualitative growth for a new holistic ‘economy.’ Ingo Maurer We still need to design new lights that take us all closer to the world of enlightenment. Alberto Meda The most important characteristic of a project is if it has meaning: it has to resolve unfulfilled desires and needs. This involves at least one small difference with respect to what already exists, because this is the minimum condition to legitimize a new idea, constituting its deeper reason for being. Solutions can be provided for specific problems by developing, case by case, new constructive modes, often with unexpected results. Paola Navone Every object has its own materic, technical and of course aesthetic value. For certain objects the form is more important, for others it is less so. This is design: working on the form of things. Nendo I am not sure we need new products, but I believe creative thinking is necessary for our lives. Luca Nichetto Over the last 60 years, especially in Europe, all kinds of things have been designed, and this is why it is interesting today to move in other countries, other situations, where they need what we already have. This is an ideological viewpoint, but from a practical viewpoint I would respond: because being a designer is a job and I have to eat! Phlippe Nigro One of the characteristics of human beings is that they search, invent and reinvent, transform and reinterpret: even when it seems as if everything has already been done, there is always a small possibility of adding something new. The important thing is to do it in a conscious, responsible way. Because thinking up new objects means somehow narrating the period in which we live, making a contribution to our cultural history or, perhaps, more simply, helping to move forward. Patrick Norguet There is always a need for new objects, but today the time has also come for ethics, the need to design ‘correct’ objects. Responsible, visionary production, with a political and cultural ambition to achieve a more equitable future. Jorge Pensi The world evolves (though not always in a positive way) and in the case of design the need to create new objects is connected with changing habits, the discovery of new materials, the extraordinary development of technology and, above all, the (very human) desire to create something that goes beyond what already exists. Marc Sadler Designing new objects? Of course, because the technologies have changed, and the objects of everyday life change with them. And because due to mass consumption many products of questionable taste have been made, and it wouldn’t hurt to replace them with other more aesthetically gratifying things. Sawaya&Moroni It is written in our genes... Man has always wanted to change, to renew, always ready to betray if it means experiencing new things. It is also because our everyday world is constantly evolving, developing new needs and new technology that needs to be humanized through the objects that surround us. Matteo Thun New products? Of course, but they will be dematerialized, they will become services. Above all, the new ‘objects’ will follow the dematerialized aesthetic canons of my kids, i.e. of the next generation… this is why it is still necessary to design things! Tokujin Yoshioka Because doing design means creating the future. - pag. 54 The ‘Rassen Chopsticks’ designed by Nendo that ingeniously transform into a single stick when not in use.

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WHAT

is really necessary to design today, in your opinion? Edward Barber and Jay Osgerby Everything that has longevity and/or contains innovation regarding use and the means of production. Ronan & Erwan Bouroullec Everything! And design has a fundamental role to play in the productive phase: it can define that ‘correct relationship’ between those who produce and those who use. In fact, the designer by nature is the one who loves both these subjects with a passion: who produces and who uses. This passage is indispensable, to listen to the consumer and at the same time to listen to the producer, trying to find the best balance between the two. Stephen Burks It is impossible to determine what we need: there are so many things we think are ‘needs’ when they are really just ‘desires’... and maybe that is just fine. If there is demand for a product, it will inevitably find a way of existing. Antonio Citterio We need products that are increasingly integrated with architecture: ‘industrial’ kitchens, baths or closets, but of quality, as part of the home; and then lamps, objects that are going through a metamorphosis thanks to the introduction of LEDs. The international market demands this. Today we are struggling to stay credible. There is an economic situation that does not offer the possibility of making big investments in research and development. Design can be the last mirage, the swan song. When the product no longer exists it becomes color, skin, limited editions. But it cannot regenerate the sector. We see a triumph of aesthetic visions, fake technical information, lots of intellectual rationalization. We are looking at an elderly industry. We make products that seem democratic but do not correspond to perceived value. There is a need to redesign a scale of values in which the three factors in play – product + cost + distribution – become clear and comprehensible on a plane of reality. Claesson Koivisto Rune Everything that improves life and elevates our mind and our thinking. Carlo Colombo We need to design products that are intelligent, paying closer attention to the environment and the use of materials and technologies that permit total (or at least partial) recycling; objects that bring emotions but are also useful and functional in everyday life. Odo Fioravanti I’d say honest products, without tricks, that know how to help people in everyday life with a discreet presence. Many people feel a need to get back to building deeper relationships with objects, recouping an affective aspect. So we need a design that can be embraced, not just purchased. Front Everything we use on an everyday basis. And, upon closer thought, also what we do not use every day. The great myth of design is that there are things that are not subject to being designed. Even in the preindustrial era, utensils and furniture were designed. The only difference is that the profession of the designer did not exist back then, so there was no term to indicate that specific activity. Konstantin Grcic Anything: design is a process in continuous evolution. Martí Guixé The structure of the perception of things and of food. Ineke Hans It is important to ‘do’ by thinking ‘how,’ because today we need to be aware that we can no longer afford waste. Many innovations are happening in the world of textiles, lighting, mobility and communication, that will make it interesting to work in these sectors. In particular, I would like to emphasize that the latter two sectors will undoubtedly have a great impact on our social life. Mathieu Lehanneur I ask myself this question every time I sit down to think about a new product. An object born today should not have been invented yesterday: due to the evolution of behaviors, of the world or of the available technologies, what is designed now should correspond to the world of today. Arik Levy There is no need to produce design at all costs. We need to make responsible projects. Lievore Altherr Molina More than products, we need to reformulate our way of living, of using habitat space, seen as interior, exterior, home, work, etc. There are too many ‘tired’ schemes, at this point, which continue to acritically reproduce themselves in different spaces. Can I think of a different way of living in the home? Piero Lissoni Everything. I do not agree with Enzo Mari, who says nothing more should be designed… We can design everything and we should continue to do so, we have endless prairies to design... Ross Lovegrove Everything can be reinvented or reinterpreted. Without exceptions. Jean-Marie Massaud Just for starters: our project of life, societies, the economy, education, companies. Objects and services are just consequences. Ingo Maurer Something that unites peoples and nations; in short, anything that can make people more united and close. Alberto Meda For example, there is that ‘little problem’ of hydric resources, which impacts about one billion people who do not have access to potable water: this is a theme that deserves some attempts to fix it! Paola Navone What is needed. And what those who produce need to produce. Nendo Everything around us. Design exists only to make things better. Luca Nichetto I wonder the same thing myself. I think that at a certain point, with respect to ‘what to design,’ that it becomes more important to look at the process that prompts you to do it, the way of creating something, that does not necessarily have to be an object... One sector in which design has great potential for expression is the social side: but we need to create a chain, which in the design sector is usually designed to make a profit. Though profit can also be achieved in the social sector: honesty and transparency are needed, however.

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Philippe Nigro ‘Rich’ objects, i.e. objects capable of creating an affective relationship: in this way they also become more lasting in time, because people get attached to them. Reassuring but also courageous objects. Useful for the body and the mind. Patrick Norguet We need to produce less, but with greater intelligence and responsibility. There are fundamental challenges to be met for our future: we designers should be the first to ask ourselves about a mass production that at this point no longer makes sense, to analyze the consequences and to reorganize priorities. Jorge Pensi We have to think about everything that makes life difficult, generating tension. In general, we should design less banal, more useful objects, that do not react to the passing fashions of the moment. Marc Sadler Anything: industrial design should have to do with everything made by industry, from a heart valve to the divan in the living room, combining aesthetic and functional solutions in the best way with needs of affordability and environmental compatibility. Sawaya&Moroni In the distant future only technological products will have a reason for being, the rest will end up in museums. Today, on the other hand, and in the near future, those who think up products will have to already consider their possible recycling to respect the environment, energy savings, natural resources, all the issues connected with renewable energy. There should be less space for frivolous things. Matteo Thun Everything that can simplify everyday life. Tokujin Yoshioka It is important to be aware that whatever era we are talking about, the perfect product cannot exist. Because in design there is always a margin of growth. - pag. 56 ‘In tensione’ LED lamp, self-produced in 3D nylon, designed by Alberto Meda.

WHERE

(in what contexts, in what countries) should design culture direct its energies in the near future? Edward Barber and Jay Osgerby This is a very difficult question: there are many countries, but design anywhere should have the goal of utilizing sustainable and recyclable materials. Stephen Burks Without trying to predict the future, I think it is important for design to set the goal of penetrating new territories, markets and sectors. Innovation should always be the driving force hidden behind the future of design: there is not much innovation, in my view, in the sector of furnishings for the home. Antonio Citterio Design culture is an integral part of the industrial process: where it goes, industry will follow. The areas of interest are all those that have to do with the making of true products, not strategic obsolescence induced by the market and competition. We are seeing – and this is just the beginning – movements of industrial areas on the world market, unthinkable thirty years ago, that create incredible phenomena on an economic level. The real problem is that much of our industry has not understood what has happened in the world: it has survived by producing 70% for Italy. Now that this market no longer exists, distribution has to be rethought in a strategic way. To defend a position of leadership means reinventing the dimension of the companies of Italian furniture design. Our small and medium businesses have to apply distribution that is capable of meeting the challenges of a global market: otherwise they will vanish. And they have to ‘systematize,’ as the French have done in the fashion sector. Claesson Koivisto Rune There are no spheres in which design culture can ‘relax.’ This said, Africa seems to have been overlooked – a continent so full of history, culture and entrepreneurial energy. And in North America it is time to revive a design that has identity and autonomy. Carlo Colombo Design culture is international. There are rapidly growing countries that were once poor, India, in Africa, Asia, where remarkable changes have happened in recent years. Today, when we develop a new project, we should not think of it as being only for Italy or Europe: we have to consider the fact that it will be used on a global market. Odo Fioravanti As always in the history of design, the effort of innovation has its roots in certain countries where there is a solid ‘design system,’ but it branches out towards cultural areas and countries where design still has a lot to say, coming to grips with the burning issues of the contemporary world. In this perspective, I believe that many of the countries we have learned to think of as the ‘Third World’ could become the ‘First World’ for design today. Front The main goal of all the activities of design is to improve living conditions, and we think this ambition should certainly not be reduced in geographical terms. Martí Guixé For me design is transnational, every area is fine. One just has to avoid fashions. Ineke Hans We have to be able to produce in Europe. Also in the Far East or in developing countries, people will be able to achieve a just salary, guaranteeing more fair competition. Maybe the challenge is to concentrate more on quality than on cost. Ferruccio Laviani Of course the world turns towards emerging markets, but I don’t think this means we have to necessarily change our way of thinking and designing, just because the economy is moving in different directions. Mathieu Lehanneur Where? In America! I’ve been waiting for the reawakening of American design for some time now. American culture is made of artists, engineers and scientists, among the best in their respective sectors. All the conditions are there for the birth of a new design... Arik Levy I believe we need to educate, to explain what design is, what designers do, how design becomes a part of everyday life: the general public is still far from understanding these things, anywhere in the world!

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Lievore Altherr Molina Well, the Earth is a single continent: today, more than ever, everything is interconnected, even the biggest distances can be spanned. As a result, we could identify a sort of global responsibility, involving everyone. The goal? To design only what is really necessary and, I might add, sustainable. It doesn’t matter where you do it. Piero Lissoni I’d start from Italy, where there are extraordinary companies, productive realities with spectacular intellectual potential, which means simultaneously possessing commercial, industrial, technological and creative knowledge. This is where I want to concentrate my energies in the near future. Because we have had (and still have!) that extra something: we have been able to construct a quality of manufacture that does not exist elsewhere. We have managed to call forth ideas and productive quality in a single blow: and this has launched Italian design into another dimension. This is what we need to work on. Together. Ross Lovegrove Design has to approach new collective and planetary issues that represent challenges to our quality of life. The progress made in scientific fields, in physics and quantum information science, bring radically new knowledge that will influence our approach, while the concept of ‘complexity’ seen as a factor that nurtures lack of comprehension is destined to attenuate. So we will see the rationalization of systems of distribution and use of resources, leading to a revolution in the industrial sector (of which I too am a part), from mechanical to biological aspects. Everything is ready to come together: Digital Design, Sequencing, 3D printing, materials used on a nanoscopic or pixel scale, ‘Nature’ and ‘Human Instinct’... all this will come together to increase the potential of fantasy and to create new automobiles, architectures, products... Jean-Marie Massaud There are undoubtedly places where ‘enlightened’ people live, study and work, and these places, more than others, become the catalysts of progress: Silicon Valley, for example, or the Tel Aviv area. There are also important, historic European capitals where constant, interesting cultural changes take place, and large new cities that become high-density laboratories, but where the conditions of life are not on a human scale, like Dubai and Shanghai. We can learn and improve from these extreme situations, at least for the generations to come. But getting back to the question: where should we direct design energies? I would respond: anywhere, because by now the world is a village and we are all interconnected. Ingo Maurer Apart from the cultural area or the country, I believe in authentic growth. Alberto Meda Simply by starting with the spheres where it is possible to improve wellbeing: for example, the acoustics of public places, where the impossibility of communicating often threatens interpersonal relations. Paola Navone In every productive unit, wherever it is. Design serves the craftsman, small production companies, large industry. The ‘where’ is not important. Nendo In all those areas that are closely connected with the emotions of people. Luca Nichetto Not in Europe: the fact that today everything is in stasis here is connected with an achievement of wellbeing of which we are not even conscious any longer. I would keep an eye on the BRIC countries (Brazil, Russia, India, China and South Africa) or the MINT countries (Mexico, Indonesia, Nigeria and Turkey, the next emerging nations): they are countries that can be useful for us designers to understand what we are doing and where we are going. Philippe Nigro Anywhere it is necessary: it is useful to always question yourself, even when you think you are ahead of the others, or you possess a ‘certain design culture.’ Anywhere it is important: and it is always necessary to cultivate good sense and awareness that everything we do can have a positive or negative impact. Naturally we work to achieve a positive outcome. Patrick Norguet Europe is definitely a wealthy continent, but the European countries have not been capable of intercepting the most important changes, of evaluating the rise of countries that used to be poor. It will be necessary to challenge things, to rethink our often aggressive and self-serving policies. Above all, it is urgent to transmit teachings and behaviors to future generations. This means education and culture, to restore man’s dimension in role in society: more intelligence for greater freedom! Jorge Pensi I believe in individual talents, not nationalities. The near future will be the realm of the energies of designers and companies that believe in the force of design, in its capacity to change the society and to improve the quality of life, notwithstanding the country where they live and work. Marc Sadler I would say across the board. In the emerging nations, those of the socalled economic boom of the XXI century, design culture should be necessary to transmit that sense of balance between functional quality and aesthetics, where consumption often prevails, with a focus on quantity instead of quality. In the more developed countries, those that saw the birth of industrial design starting in the 1940s and 1950s, design culture needs renewal, or to rediscover its deepest roots, rethinking industrial production in the light of needs and the specific economic situation. Sawaya&Moroni I think we should help the emerging nations to move towards a correct, not corrupt path of creativity and production. From this viewpoint design can make an important contribution. Matteo Thun We need to invest in software more than hardware: that is, to focus on the design of services, on everything that creates new gestures and habits. Tokujin Yoshioka Globalization means that every country can freely express its values and have esteem for its own culture. So I would respond: anywhere. - pag. 58 The ‘Mantaray’ seat is by Zaha Hadid for Sawaya & Moroni, in a limited edition.

WHEN AND HOW were the ideas born that have inspired your new projects?

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Interni settembre 2014 Edward Barber and Jay Osgerby Every project is different. At times companies provide indications and demands; in other cases the project emerges directly from an observation or a theme we are studying, such as a focus on color, materials or production processes. Ronan & Erwan Bouroullec By drawing! And lots of discussions... Stephen Burks If I get one idea every day I am happy: it could take concrete form, or not... In design terms, I try to begin with the activity that is done in the space, or that gravitates around the product. Antonio Citterio Ideas always come from the dialogue with companies: they come from analysis of the market, of needs, of typologies. It is not a question of drawing, intuition, formal expression. The design is the solution of the theme. Claesson Koivisto Rune In unimaginable ways! Some people may be surprised, but ideas often come from good old hard work. Perhaps right before the deadline... Carlo Colombo Ideas come from the cultural background every person constructs for themselves over time: I’m thinking of the years at the university and, above all, the ‘school of life’ that happens day by day; traveling also leads to a higher degree of professional development. But inspiration also comes from dialogue with companies: at times the best projects emerge from a discussion, an exchange, a sketch on a scrap of paper, made right there, without a computer, just as people did in the old days... Odo Fioravanti Usually ideas come from little sparks in very different moments and places. The place they share is not physical, it is a sort of opening, a window to an inner dimension. The place of my ideas is not outside but inside, somewhere. Front It is hard to say, it always happens in a different way! What we can say is that for us it is always important to work as a team in the ideation phase. It is unusual to start projects simply from topics that interest us: we always start with the client briefing, with their needs. Then the project takes on concrete form, from a material or a technique… in practice from anything that attracts our interest. Konstantin Grcic Behind ‘ideas’ there is a lot of work. Thinking produces the best ideas. Martí Guixé When I analyze the fundamental elements of the project, my ideas arrive. Ineke Hans I often observe the habits and behaviors of people, the places where things happen that were not ‘supposed’ to happen. Often these ‘strange’ and amusing habits are closer to a concept of beauty and practicality, even without the involvement of socalled ‘design.’ Ferruccio Laviani As I have always said, my design philosophy does not exist. Things can happen in an instinctive or a thoughtful way, it depends on the sensibility of the moment and the context in which I am working: all this gets sifted in a professional way. Mathieu Lehanneur My studio works on an average of twenty to twenty-five projects at the same time. To move forward with all of them, I am used to thinking about each one for ten minutes a day, ten very intense minutes. In the time that remains, my brain keeps on thinking and works on its own. The next day it gives me the results and I feed it again… Arik Levy Every day something arises and every day I get ‘pregnant’ with new ideas… the only problem is where, how and when to put them to use... Lievore Altherr Molina Every idea appears for different reasons. They all share observation, dialogue, the encounter with the identity of the brand with which we are working. Obviously my design vision, my experience, play a role. Piero Lissoni In the shower... no, just kidding! Everything comes from everyday discussion: projects take form from sharing. And from real, concrete needs. Indeed, constructing needs is another particular feature of Italian design. The beauty of designing, actually, is resolved in a debate that is not necessarily friendly, in thorny conversations: it is discussion that wins out. Always. Is a new chair needed? I start to study. I discuss, talk, and everything starts from there… Ross Lovegrove I refer to a ‘way of thinking,’ a set of ideas in which I believe. It took concrete form about sixteen years ago and now it is beginning to find expression with aesthetic and philosophical consistency that is reflected in the projects of my studio. Jean-Marie Massaud Two typical situations. Alone, relaxed: in the morning, after having taken the kids to school, I rest a bit and ‘dream’ for a half hour. My mind is clear, free of stress, thoughts flow naturally. All I need are a notebook and a pencil. Or in interaction with others: discussions full of enthusiasm from which the objectives in play, the synthetic solutions, suddenly appear clearly. It all happens very quickly. Ingo Maurer I would love to be able to explain it to you, but after all these years it is still a miracle to me! Alberto Meda In the moment in which an idea that previously did not exist appears, a little piece of knowledge is added, in whatever field, and it takes on value. To innovate you have to take a look at what exists: it would be foolish and presumptuous not to make reference to the real, but one has to use what we might call a ‘cross-eyed’ gaze, an unconventional, not conservative viewpoint. The innovator is a bit of a heretic, perhaps a scamp who has the habit of contradicting existing things, of finding new connections: the desire is to go beyond, with the imagination, because being innovative also involves an aspect of pleasure and challenge. In the great storehouse of the possible one moves from one suggestion to another through a series of thoughts and lines of reasoning. You follow a path though you do not know where it will take you. You glimpse something and make a small move. This, as confirmation of your intuition or utterly by chance, is what produces more than the act in itself. In short, it is a question of intuition, of chance and coincidences. I would like to underline the fertile encounter with chance, with completely unpredictable factors, because I do not believe in an absolutely programmed act of design. Ideas arise unconsciously, they cannot be planned, though they can be stimulated by an experimental attitude, by curiosity about technologies and materials, by the capacity to transfer, contaminate and graft types of knowledge that may be very distant from each other, integrating them. It is the knowl-

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edge contained in the material that inspires the idea. You just have to recognize it, interpret and apply it, revealing its intelligence… Paola Navone All my projects come from an encounter. For example, the very special encounter with Christina Ong has led to my two latest projects: one in Thailand and the other in Miami. And the inspiration and aesthetic of the single projects are linked to places: the landscape of Thailand and its infinite reservoir of crafts products, for the project of Point Yamu, and Deco architecture for the project in Miami. Nendo Everyday life. Always: taking the dog for a walk, eating pasta, drinking a nice cup of coffee... The little ideas are always the best, and are concealed in the everyday dimension. Luca Nichetto The fact that I travel often has led me to ‘look at’ the object to understand the context where it will be used. In the past perhaps I started designing, thinking about what the object would look like and what function it would have. Now, instead, I try to start with the context, which allows me to give more precise responses with projects that are not connected with the ‘wow effect,’ honest works that are the result of ‘small’ intuitions. Philippe Nigro Sometimes ideas appear after lots of effort, thinking, research (and despair). In other cases the arise in a very natural way, after having seen a good exhibition, for example, or after a visit to an interesting place. Sometimes good ideas are the continuation of reasoning that began in previous works. There is no precise rule: let’s say ideas come from a set of things from the past and from everyday experience. Patrick Norguet My ideas come from an encounter, from knowing the history of a company, from the performance of a production technology… Drawing, designing for its own sake makes no sense for someone working as a designer. Jorge Pensi Ideas happen at any time, even when you are not sitting in front of a drawing board with a pencil in your hand. One important factor is the personal relationship you have with the client. If you are in tune, the winning idea can come right away, during the briefing. Many of the objects I have designed are the result of experiences of this type, almost magical, I’d say. Marc Sadler At times ideas are ‘bolts out of the blue’ because they can happen at any time. The sources of inspiration vary widely, but nature, for me, is one of the richest and most fertile. Sawaya&Moroni Our projects come from an innate cultural curiosity, but also from the needs of the market; they take on consistency from the swapping of ideas, conversations, even ‘clashes’ with the designers with whom we work... In short, discussion plays a very important role. Matteo Thun Inspiration is an everyday thing, potentially in every moment. Each year I try to make more time for ‘free thinking,’ which I like to jot down in watercolors and sketches. Tokujin Yoshioka First of all by asking a question: “Does this object cause emotions or not?” Then the idea gradually takes form and becomes a strong, well-defined image. - pag. 60 Drawing from the book ‘Drawing’ by Ronan & Erwan Bouroullec, published by RP Ringier.

who&WHICH

, in your view, is the most representative product of the last 60 years of design? Edward Barber and Jay Osgerby Probably the office chair in leather and aluminium by the Eameses, the Eames Aluminium Group Chair. Today it has the same meaning it had at the time of its debut on the market, and it is still one of the most widespread chairs in the world. Erwan & Ronan Bouroullec I’m not sure how to answer this. But I think that in the end, the answer is children and all the wealth they carry inside. Also in the hope that the new generations will know how to have more mental openness, with more conscious respect for differences. Children can set a good example for us... Stephen Burks But how can a single product represent 60 years of design? There are so many. From the TGV (the French high-speed train) to the iPhone, the 606 Universal Shelving System by Dieter Rams to the Lounge Chair by the Eameses, the Space Shuttle to the Personal Computer: each of these products is a declaration of culture in its own right, and embodies a profound meaning. Antonio Citterio The iPad or the iPhone. Because besides changing the lives of millions of people, they have clarified very well just what design is: research, technology, innovation, use, expression, all in one! Not a problem of language, but one of synthesis. Claesson Koivisto Rune The Personal Computer. Odo Fioravanti The Juicy Salif citrus squeezer by Philippe Starck for Alessi: the definitive sign of a paradigm shift that challenges every traditional approach to design, with narrative taking over from everything else. Design definitively becomes a language. Carlo Colombo I think not of a product but of a designer: Joe Colombo, who was one of the greatest protagonists of the 1960s. Though he died young, he left us many very beautiful and still very timely pieces. Joe Colombo had something extra, he was fifty years ahead of his colleagues, with a truly extraordinary vision of the future! Like Mies van der Rohe, who for me was one of the greatest architects of the last century, so Joe Colombo stands out in the field of design. Konstantin Grcic Anything that has to do with mobility. Martí Guixé The monocoque chair. Ineke Hans The Knotted Chair by Marcel Wanders from 1997. Everything was new: the aesthetic, the material, the technique, the approach.

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Ferruccio Laviani It is hard to make choices in such a vast field, and above all to make a selection in that infinity of projects that have been accomplished. From anonymous design to ‘signature’ design, the products I think have the most substance are those that have become ‘follow me’ things across the years, that are still used in the way in which they were originally conceived. Mathieu Lehanneur The Cloud. It is much more than a product: the Cloud is a digital divinity! Arik Levy The transformation of society and its modus operandi. I don’t think of a particular object, but instead of the persons who invent, make and use objects. Lievore Altherr Molina It is hard, but I’ve chosen one. Probably the most representative because it has created a vision that is still valid today. We could say it invented a contemporary typology of office chairs: the Eames Aluminium Group Chairs. Piero Lissoni I think not of a product but of a company, and it is Olivetti. Why? Because inside this company there was an extraordinary cosmic coincidence: we find the humanistic vision of industry, but also absolute creativity and a vision of the future that would arrive thirty years later, with Apple. In parallel, I would choose Brionvega as well. Both these companies took the technology of the era to extremes, but they looked at it as if it was already closed up in a box of the past, ready to imagine a new world. Take the Olivetti store in Venice: out of context it is an extraordinary sculpture by Carlo Scarpa, but contextualized it is the Apple Store of 2014! There is a marvelous farsighted quality about Olivetti: to make its shops, it explored city after city, place after place, choosing the best designers: BBPR in Milan, Carlo Scarpa in Venice. When I go to Venice I look at that store and say: wow! Ross Lovegrove The most representative design product of the last 60 years, a true icon, has to be a non-electronic product: I’ll say the Panton chair by Werner Panton. It expresses everything in a single holistic gesture… material, form and humanity. Jean-Marie Massaud I think of two symbols. The Citroën 2CV (1948): mobility, convenience, intelligence, synthesis, reduction. And the iPhone ecosystem: access, linkage, services, mobility. It represents a true revolution because each of us becomes a true connected ‘neuron,’ with an impact on the nervous system of humanity. Steve Jobs is definitely the best designer of the last 60 years. Ingo Maurer Sorry, I cannot answer that: there are so many beautiful projects. It would be too hard to have to choose my favorite flower. Alberto Meda The iPhone. Paola Navone I don’t think I can choose just one object. In the last 60 years so many great masters have worked on the form of things, giving history unique objects: from Ponti to Mollino, Scarpa to Munari. Then Mendini, Sottsass, Magistretti... the list is very long. How to choose? Nendo The Sony Walkman. Luca Nichetto The Arco by the Castiglioni brothers. Philippe Nigro If we are talking about an aesthetic/functional object there are many, but I would mention one that was created about 60 years ago and remains a very modern icon even today: the Eames Aluminium Group Chairs by Charles and Ray Eames. Or the Parentesi by the Castiglioni brothers. Jorge Pensi Not a product, but a designer, two of them in fact. And here I have no doubts: the creative work of Charles and Ray Eames. Marc Sadler I truly wouldn’t know what to define as ‘the best,’ but I think the Bic pen is a very apt example of good design. Sawaya&Moroni Where our collection is concerned I have no doubts: the Maxima chair by William Sawaya, for its technological and formal newness. But I also think of many other products that have written the ‘genome’ of worldwide design. Perhaps, though, no design has yet surpassed the simplicity, classic character and brilliance of the Ant Chair by Arne Jacobsen. Matteo Thun What is the most representative design object of the last 60 years? I think of many, but I’ll say the first that comes to mind: the Post-it. An idea more than a design, a concept, a gesture. It has been copied widely, and for me it represents a sort of precursor of Twitter: quick, to the point, few words. In this sense it is a symbol of our times, which are quick, with an accent on the disposable, colorful and irreverent, not too engaging or committed. Its use knows no age groups, no background. It is found all over the world, it is global, in fact: another characteristic of the development over the last decades. Tokujin Yoshioka I think of the LED, which has revolutionized the world of lighting. - pag. 62 The ‘Luminophor’ LED lamp designed by Till Armbrüster for Ingo Maurer (photo David Zanardi).

Interpretations of Italian character pag. 64 by Valentina Croci

How can we restore the value of a heritage of know-how that has inspired entire generations? Is focusing on young Italian designers a strategy that pays off? Here are some brands that are wagering on Italian names, including unknown quantities, all capable of interpreting our manufacturing culture Local supply, global markets

Lago Objects powered by Lovli is a selection of small Italian businesses selling exclu-

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sive products at the web portal and in the stores of Lago in Italy, France and Germany. The selected companies are Acquaefuoco, I Love Legno, Habits, Serafino Zani, Ceramiche Calcaterra and Marmi 1948. “The initiative,” says Daniele Lago, CEO of Lago, “was the result of the need to give our own sales network tools that would have a positive impact on traffic in the stores, while at the same time we were moving more decisively onto the web, which is essential to meet global challenges. On the other hand, Lovli needed to expand the distribution of the companies in its network. The cooperation between the two firms has led to Lago Objects Powered by Lovli, a selection of over 40 products for the home, 100% made in Italy, found only at points of sale that display Lago. Dealers order the products of the Objects line directly from the portal, which takes care of delivery (under our supervision). The system has been up and running since 15 June. The choice of products starts with a Lago brief followed by a proposal by Lovli, which based on its experience with consumers presents concepts to develop with the companies of the network. Then the most promising names are chosen and guidelines are developed for the fine-tuning of the product. After two prototype phases we reach the final product, which in a few weeks is made available to the sales network. The goal is to supply dealers with a constant flow of new items, as in fashion. Furnishing complements, with very high turnover, can be an ideal tool for generating store traffic. The Objects line is also an opportunity to bring new Italian designers to the fore, such as the talented Studio Habits or Marmi1948, a young company that brings design into the world of marble”. - pag. 64 From left: Lago Objects powered by Lovli presents the 7 Minuti seat produced by Ilovelegno in a workshop at Vigliano Biellese; the Nero fireplace by Acquaefuoco Wellness Mood, the brand of Giovanni Crosera and Mario Mazzer; two complements from the Filodolce collection in metal wire by Giovanni Casellato for Lago.

In praise of everyday life

Founded in 2008 and run by Gianluca Corbari, the brand Atipico looks for a path away from the routine, expressed by objects and complements with a minimal aesthetic and a language that lasts in time, quality materials and fine workmanship, 100% made in Italy. Behind this there has to be talent scouting and a fertile dialogue with young designers like Federico Angi, Fabio Meliota, Antonino Sciortino, Carlo Trevisani and Zaven. Corbari explains: “We stand out for continuous research on materials, also traditional ones like wood, iron and ceramics, reinterpreted with contemporary languages but within the tradition of making. We experiment with the physical nature of the object and production processes, trying to bring out the soul of the materials. Up to this point it has been the designers who choose Atipico. They know about historical techniques and Italian productive culture. Many come from family manufacturing firms and have direct knowledge of Italian fabrics. Generally we find a good reservoir, at a good level of training. With some we have established a relationship of mutual consulting, beyond the definition of an individual product. I ask them to find that detail, that extra stroke that makes the difference, but without making a product that is over-designed. I mostly work with Italian designers, though they are not the only ones in our range, because it makes it easier for us to understand each other, thanks to a shared culture. But there are also many foreigners who want to learn about our way of living and our know-how. In the future we will explore furnishing areas that have not been developed, like small furnishings, armchairs, desks or display cases. It is a market that still has space, but only for well-made things that stand out and are not too commercial. And things must be affordable, because it is important to recoup that middle band of the market that is vanishing.” - pag. 65 Products by Atipico, the Arca and Slitta trays in Carrara marble by Carlo Trevisani; the Badess table lamp in black annealed wire, designed by Antonio Sciortino; the Prisionier aluminium centerpiece by Mist-o.

Wagering on personalities

With his debut as art director in 2013, Giorgio Biscaro changes the direction for FontanaArte, in a philological operation that pays homage to the historic designers of the lighting company now in its eighties, such as Ponti or Chiesa, but also looks at Italian contemporary design culture, based on irony and typological innovation. Biscaro explains: “I have worked with GamFratesi (half Italian), Emmanuel Babled (who has worked a lot in Italy, inheriting certain particulars of our way of doing design), Studio Klass and Zaven to get back to basic concepts like emotion, experimentation and warmth. My main effort goes into analysis of the great quantity of projects that arrive at the company every day. Nevertheless, I prefer to communicate a brief to one specific designer, chosen on the basis of their way of doing things, and to develop the project together with them, respecting their professionalism. It is risky work, with little margin for error in my judgements. Research represents, on its own, a large part of my work. Ferréol Babin, for example, was contacted after I saw his thesis project on a French blog. The panorama of Italian design under 35 is varied. On the one hand, there is a generation of professionals, trained and gifted, with a specific attitude that offers hope for a positive future. On the other, there is a group of designers that pay little attention to the discipline and know little about the cultural processes that have led to the birth of what we call design today, which cannot be separated from an understanding of our sociocultural past. It takes a lot of commitment and a certain amount of self-critique.” - pag. 66 The Cloche suspension lamp is a reissue of a product from 1995, that interprets the image of the pudding mold. Right, from top: the Igloo modular ‘spot light’ made of

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Interni settembre 2014 technopolymer, designed by Studio Klass; the Bonnet LED applique whose form recovers and maximizes light emission, designed by Odoardo Fioravanti. All produced byFontanaArte.

Talent incubator

Pedrali, the Bergamo-based brand in the contract sector, stands out for its wide range of products and its mixture of more ‘structured’ designers and young Italian talents. This was the firm that wagered on the still unknown Odoardo Fioravanti, who has now won the Compasso d’Oro for his Frida chair. Giuseppe Pedrali, CEO of the company, explains: “In the new collection we have underlined the central role of wood and upholstery alongside plastic materials. Solutions that come from experimentation with materials and technologies: like the graft of the legs of the Babila stool, designed by Fioravanti, without added supports, or the system of attachment of the arms of the Flag coat rack by Pio and Tito Toso. We like to work with people with whom we have a good relationship, sharing ideas and dreams. Collaborations come from different paths and sensibilities, sharing the desire to interpret our production approach, which thanks to in-house handling of most of the work translates into quality products at competitive prices. We pay attention to the work of certain designers we admire, and we meet regularly with some of them to swap ideas. Or we receive and evaluate proposals from designers we don’t know. Odoardo Fioravanti arrived in 2007 with the prototype of a polypropylene chair that used gas air molding technology. He knew we were working with that. We didn’t know him. It was a wager for both parties. Young Italian designers know they can draw on a historical repertoire of great value. With respect to their foreign colleagues, they also have the good luck to be close to many excellent manufacturing firms. Their best contribution lies in design ideas that mix memory, technical know-how and creativity.” - pag. 67 From left: from the new Pedrali collection, Flag, designed by Pio and Tito Toso, is a freestanding coat rack with arms in polypropylene and a support tube in steel; the Babila stool in ash wood by Odoardo Fioravanti stands out for its slender legs; the Tivoli chair by Michele Cazzaniga, Simone Mandelli and Antonio Pagliarulo returns to the theme of traditional wooden chairs.

Small objects for talent scouting

Giulio Cappellini has always been interested in discovering young talents in the world. For many, this encounter has been like a launching pad. For the Progetto Oggetto collection of the Cappellini brand the designer-entrepreneur has chosen certain Italian creative talents under 30 (Antonio Facco, Antonio Forteleoni, Mist-O and Leonardo Talarico) to create a group of furnishing complements with an accent on crafts and Italian manufacturing, as opposed to Chinese plastic molded items. Giulio Cappellini: “Usually when I start a relationship it is not to do just one project, but to construct a story that can last in time. The right feeling is fundamental. I have to respect the expressive freedom of the designer, and he has to know what Cappellini can do. Small items are often the first step, often proposed by the designers themselves. I may be struck by a sketch, a prototype or just the person. The choice is instinctive, from the heart. To create a product today requires lots of time and effort: both parties have to want to narrate something new for the market, to make an object that is better than the one from ten years ago. It is important to know how to use technology to design, but also how to make models, prototypes, monitoring the progress of products step by step, independently or with the development division of companies. I see the increase in self-production among young Italian designers as a positive development. Our young designers have to come to terms with a great history and culture of design, with immense personalities famous around the world. The confrontation can and must be a stimulus to work on innovation and contemporary languages. Young designers need to have patience: if they are good, sooner or later someone will notice.” - pag. 68 Above, from left: from the Progetto Oggetto collection by Cappellini, for pieces by Italian designers under 30, the Duo ceramic vase by Antonio Facco; the Jana black clay ceramic vase by Antonio Forteleoni; the Atlantis model in ceramic and glass by Mist-O. Below, the Voir aluminium flower holder by Leonardo Talarico.

Analog-digital creativity

A Trent-based brand and pioneer of industrial 3D printing in Italy, .Exnovo has made a name for itself with a collection of lamps by young Italian designers – Alessandro Zambelli, Gio Tirotto and Stefano Rigolli, 4P1B and Lanzavecchia + Wai – that showcase the unlimited formal potential of this process, and the craftsmanship typical of Made in Italy. Giulia Favaretto, marketing director of the brand, explains: “We have wagered on young Italian designers, already known on the scene, to give us a distinctive character summed up in objects that make design culture their forte. We work with young people because they are more familiar with digital technologies as production processes and design tools. The collaborations start with workshops at the company, where we explain our vision of technology. Digital printing offers almost infinite creative freedom, but it should not be an end in itself. It has to be integrated with the manufacturing culture from which it draws. All the 3D printed products are finished by hand, with an attention to detail that makes them closer to one-offs than to industrial products. The output of .Exnovo comes from a hybrid of expertise, between the digital and the crafts spheres, which the designers then emphasize. Materic contrasts like wood or glass with the 3D printing material, and the know-how reflected in the objects, represent the quintessence of Made in Italy. The designers have proven they can make unique things, and are willing to take risks: the compositional freedom of 3D

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printing can be bewildering in the initial phase of creation. In the future we will involve other young designers and artisans, to take the materic and design contamination further. We will be focusing on fine crafts and models that are capable of communicating the innovation of 3D printing.” - pag. 69 Made by .Exnovo with digital printing (sintered polyamide) and traditional materials like wood and glass, the Rhizaria table lamp by Lanzavecchia + Wai. Below, the Voltaire tableware series by Gio Girotto and Stefano Rigolli, and the Afillia suspension lamp by Alessandro Zambelli.

Strategies through design

From an importer of Chinese objects Seletti has become a manufacturer of furnishing complements known around the world for its variegated collections that share irony, originality and reinterpretation of existing things. The creative director and sales manager Stefano Seletti owes the firm’s success to his intuitions, but also to the contributions of young designers like Alessandra Baldereschi, CtrlZak, Marcantonio Raimondi Malerba and Alessandro Zambelli, leading to a market breakthrough. “The collaboration with Alessandro Zambelli, the first designer of the Seletti team, started due to geographical proximity and the personal need to translate my ideas into projects, since I don’t have those skills,” Stefano Seletti explains. “With the Estetico Quotidiano line there was a breakthrough, and we opened up to more collaborations. They happened to be with Italians, because our company was mostly known in Italy, but we haven’t ruled out working with foreign designers. These contributions have been important to create a more mature, well-defined product, with greater attention to detail, which for a company that comes from the world of large retailers meant a commercial repositioning, a higher target. While ten years ago about 80% of sales came from larger retail stores, today the figure is just 5%, while the rest is accounted for by retailers specializing in design. We have conducted important experiments with designers: the Wire models by Zambelli – metal gym lockers transformed, with a few details, into domestic furnishings – allow a ready-made to change its positioning and its distribution network. With Marcantonio Raimondi Malerba we are rethinking the classic, with an operation that is closer to art than to design. We don’t want to be like the Nordic companies in this field, we want to be more colorful, systematic and creative. More Italian, that is.” - pag. 70 To the side, from left: from the new Seletti collection, the Inception dish drain (based on the film of the same name by Christopher Nolan) by Luca Nichetto, the Wire lockers by Alessandro Zambelli and the Export series of bedside units by Marcantonio Raimondi Malerba. Below, the Woodspot lamp by Alessandro Zambelli.

Materic and generational contaminations

On sale starting this fall, the Code project by Calligaris ushers in a series of lamps and furnishing complements that round out the offerings of the Friuli-based firm while existing independently, with its own brand and sales network. The objects are designed by Stefano Claudio Bison, Busetti Garuti Redaelli, Matteo Cibic, Michele Menescardi, Mr Smith Studio, Pio and Tito Toso, selected by the brand agency Nascent, the artistic director of Code, and Massimo Cian, director of the Calligaris research and development division. Andrea Bocchiola, in charge of marketing for the company, comments: “Code is a talent incubator for young Italian designers with characteristics of originality and strong image. The products can be combined with the Calligaris collection because they have common finishes and lines, as well as coordinated colors. It is an ‘in-management,’ namely integrated with the productive logic of Calligaris, with the same consumer target. It is ‘smart’ in the sense of simplicity, functional quality and practicality at a competitive price. Thanks to the independent sales network, Code can help us to create different contacts with the public. Furnishing complements represent an important business opportunity, because with respect to sofas or beds there is much more sales turnover. We have chosen Italian designers to restore value to a legacy of know-how that has inspired entire generations, and to underline our Italian character. Calligaris is once again 100% Italian, now that Alessandro Calligaris has bought back the company shares. We want to increase our patronage of young talents. We turn to designers with experience, but in the future, perhaps in a project parallel to Code, we want to work with even younger people, offering the chance to come into contact with a structured company, while being distributed all over the world with our network of 480 stores in 90 countries.” - pag. 71 Clockwise: the Code project of Calligaris includes the Pom Pom lamp with cement base by Matteo Cibic; the lamp by Michele Menescardi featuring a game of scale; the Marocco carpet by Matteo Cibic; the Moss wall-mounted mirror-cabinet by Busetti Garuti Redaelli.

BeYonD LImITS pag. 72 text Danilo Signorello

Lightness and fun, originality and quality, value and reliability are the tenets with which Meritalia interprets design. To offer a concrete response to an increasingly demanding market that wants to be constantly astonished

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“Two roads diverged in a wood, and I /
I took the one less traveled by / And that has made all the difference.” The verses by Robert Lee Frost, the American poet who lived in the 1800s and 1900s, seem to apply to a number of aspects of the history of Meritalia. A young company founded in 1987 thanks to the initiative of Giulio Meroni, with a recent but already very recognizable history thanks to unconventional design products, Meritalia has made and is still making a difference in the furnishings sector. The choice made 27 years ago of opening up a new path to interior design amidst the many furniture producers of Brianza has always paid off, immediately piquing the curiosity of clients with original products, beyond limits yet always well-balanced. From the Cesare sofa designed by Tobia Scarpa, still a very timely historic piece, to the 6 a Tavola table (2011) by Italo Rota, luxurious but simple, voluptuous and tactile; from La Michetta (2005) by Gaetano Pesce, which reinvented the concept of modularity, being always different, without limits and very colorful, to the Snake (2006) table by Carlo Contin, based on the compositional fantasy of always different positions and heights. The history of Meritalia is full of products packed with design content, the result of the work of people with something to say, to communicate, the pass down in history, as in the case of the Libertà chair (1989), also by Scarpa, now part of the permanent collection of the Museum of Contemporary Art of the Louvre in Paris. “Design from the beginning” says the slogan at the company’s homepage (www.meritalia.it), reflecting the pride of working with prestigious designers (Alessandro Mendini, Fabio Novembre, Marc Newson, Karim Rashid, Marc Sadler, Toshiyuki Kita) who combine creativity and production in every piece, keeping the spirit with which Giulio Meroni founded Meritalia alive, and confirming that progress is always the result of the encounter between the designer and the entrepreneur. In keeping with this philosophy, Innovation (in ideas) and Research (on materials) have led to the production of the Cubo armchair (2013), an original piece by the Castiglioni brothers from 1957 never previously produced, or the Newcastle divan (2013) by Giulio Iacchetti with its unusual Duraform covering, an artificial cellulose fiber materials usually used for labels on jeans and never applied before in the world of furnishings. The creators do not necessarily have to be designers and architects… they can also be personalities who have interesting ideas to develop and put on the market, as in the case of the Fiat 500 Design Collection (2011) invented by Lapo Elkann, composed of the Pic Nic table, the Cin Cin console and the Panorama sofa. Tradition, innovation, experimentation, going beyond limits, always surprising. As at the latest Salone del Mobile, where the new developments kept faith, in terms of surprise, with the history of Meritalia. In the showroom on Via Durini in Milan, more like an art gallery than a store due to the pieces on display and the striking architectural design by Mario Bellini, brilliant ideas included the Eye-Eye mirror by Lapo Elkann, the Lierna based on a design by the Castiglioni brothers, the Freud sofa and Opera table by Mario Bellini. The Milanese architect, with this important table in solid wood whose structure intertwines under a glass top, has reworked the very concept of the table, giving it a ‘double life’ above and below the top, making it into a true ‘work’ composed of 24 parts assembled with 40 interlocks. And there is not just Meritalia. Today the company is at the helm of a group active in the production and management of projects through two companies, Me.le and Me.me. The first (which stands for Meritalia legno, or wood), founded in 1992, specializes in working with wood. Fine cabinet making and avant-garde technologies permit the creation of any type of furnishings, made to measure or in standard production. The offerings range from tables to paneling, for use in the halls or the suites of hotels. There is also a division for the creation of large yachts, which monitors the entire progress of each project. Me.me (Meritalia metals), founded in 1995, focuses on works in metal, as the name indicates: tables, chandeliers, staircases made with a wide variety of metals. The craftsmanship and finishes are done by qualified personnel, technical experts and skilled artisans. Realities that sum up the various commercial approaches of Meritalia in one word, Contract, for a group now capable of turnkey projects for hotels, restaurants or any other commercial facility, going beyond the design of individual objects in pursuit of a total look that fully expresses the corporate philosophy: that of approaching design, in this case on a large scale, with a sense of levity and fun. Francesca Meroni, Press&Communication Manager of Meritalia, tells us about Meritalia today, revealing future projects and products. Your characteristic is to be daring, with originality and balance, to be different, off the page of the competition. Will this continue to be a winning strategy in the near future? I think so. This characteristic has always been what set us apart from the others: Meritalia is a relatively young company and it didn’t seem useful to offer the public only products that other companies already had in their catalogues. Also to attract dealers, you have to offer original things, and often you also have to suggest the way they can be deployed in different decor solutions, all without losing a sense of measure and balance. This is why in our catalogue there are both original and conventional, simpler products, to offer a complete choice to those who want to furnish their whole house with our products, as often happens. So our range has to be complete. A young company, but famous for its unique creations and unconventional design. Is there one iconic piece in your philosophy, or is the entire output an icon? The answer is actually ambiguous. The consumer recognizes the finished product, and from this viewpoint I have no doubts about indicating La Michetta as the icon of our production, though often for many products in the collection there are stories and experiences, shared in the company, that make each item an icon in its own way. Personally I feel close ties with a number of products, precisely for this reason. There are many designers on the market… how do you choose? These choices almost never happen in exactly the same way. We might have a particular need, and in that case we think about who can interpret it best. Or maybe we believe

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a proposal that arrives directly from a design can be right for us. What is certain is that working on Research and Innovation, we collaborate with people we think have something to say, with products that have the force of an idea, and of content. Do great designers and great entrepreneurs still exist today? Is it the designer who makes a company great, or is it the entrepreneur who helps the designer to become great? The experience and intuitions of my father prove that absolutely great entrepreneurs do exist; great designers also exist, but I think the two categories are complementary. The idea of the designer cannot be put into practice without the entrepreneur who develops it, and without the designer the serious entrepreneur could never develop innovation in products. What makes a product a good product? First of all the design. Then, undoubtedly, the quality of the materials and the workmanship. Entering the showroom on Via Durini is like entering an art gallery. By now the borderline between design and art is increasingly blurred. What do you think about this? I think it is true that the borderline is shakier. In our case, in the Meritalia collection there are several product-sculptures, but what we try to communicate is that these are also affordable products that can be utilized within different decor styles. In the Contract sector, what are the most important projects you have completed, and what projects are now under way? Contract is the most important of our activities, and precisely for this reason Meritalia heads a holding company that includes Me.le and Me.me, the companies of the group that concentrate, respectively, on working with wood and with metal. Structured in this way, we are capable of supplying turnkey projects, made 100% by us, without third parties being involved: this aspect allows us to control and guarantee all the aspects of our quality. Today everyone is talking about Contract, but in practice there is quite a difference between a large order for standard products and the creation from scratch of a finished project in all its parts. Working for clients on a high level, the problem we often encounter is that of discretion, which does not permit us to display our finished works, and thus to communicate our potential. Among our most important projects are the first 6-star hotel in the world, in Borneo, several residences for Emirs and Sultans in the Emirates, the Boscolo Hotel in Milan, the Lever House restaurant in New York designed by Marc Newson, prestigious yachts over 60 meters, and many others. Today we are working on a number of private residences in the Orient and Russia. What are your markets of reference today? In general terms, Russia and the Arab Emirates. We are presently developing our operations in the Orient and the United States, with special attention to the emerging nations as well. One last question: could you tell us about an important product now in the development phase? We are evaluating different things. This year at the Salone the Opera table designed by Mario Bellini was our main product, through which we demonstrated our ability in working with wood, starting with a brilliant project by the architect. Surely Opera demonstrates that it is the result of a lot of research and hard work: we are proud of this, and this is the spirit we want to maintain, also for future products. - pag. 73 The Opera table by Mario Bellini has a structure in solid wood in the finishes natural or gray stained maple, natural oak, teak, and birch plywood painted matte in a range of colors. On the facing page, portrait of Giulio Meroni, the founder of Meritalia, who passed away last year. - pag. 74 The Libertà chair is considered a symbol of the Meritalia brand. Designed by Afra and Tobia Scarpa, it has an aluminium structure, an anodized or painted finish, and also comes in 24k gold leaf. Below, Cubo is the armchair designed by the Castiglioni brothers, developed by Meritalia in 2013. The polyurethane seat yields to the weight of the body and lowers, permitting the arms to rest comfortably on the armrests. Below, the Cesare armchair designed by Tobia Scarpa, covered in leather or fabric in a range of colors. The front swivel wheels and back feet are standard equipment. - pag. 75 Phases of the making of the Freud sofa and La Michetta (below, a composition). At the center, the furnishing of a Stuart Weitzman store with the Air Lounge System by Fabio Novembre. - pag. 76 The Snake table by Carlo Contin, the Nubola divan by Gaetano Pesce and the Panorama sofa by Lapo Elkann. Below, 6 A Tavola by Italo Rota, with matte black painted metal structure, top with polyester lacquer finish, also available in red, white and black. On the facing page, the Boscolo Hotel in Milan designed by Italo Rota. Meritalia has covered all the aspects of the production: from the column with the colored glass to the suspended cages, and the bar counter in steel and LEDs. Below, view of the showroom on Via Durini in Milan.

Multiforms pag. 78 by Nadia Lionello - photos Simone Barberis

The prince of the living room, the divan is a synonym for relaxation. Versatile in concept and form, it changes when needed, assembling or combining fixed parts or mechanisms. Or it stands out for an original compact, welcoming structure, or for the practicality and variety of its compositions, far from the realm of the ordinary - pag. 79 (love me) Tender is a modular system of upholstered furnishings with aluminium frame structure and legs in turned wood, on which cushions covered in elasticized wool jersey can be assembled in various ways, along with horizontal surfaces and different tops.

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Interni settembre 2014 Design by Patricia Urquiola for Moroso. - pag. 81 Undercover divan with steel structure, seat with quilted covering in thermobonded polyester fiber, back formed by removable cushions filled with goosedown and covered in fabric, attached with zippers; two-tone removable cover in fabric or leather. Feet in polished aluminium alloy. Design by Anna von Schewen for Zanotta. Facing page: KNP divan with plywood structure, variable-density polyurethane foam pad with reversible and removable two-tone cover in technical fabric, joined by zippers. Design by Jean Nouvel for Arflex. - pag. 82 Collar seating system for a range of configurations, with movement of armrests and backs in three different positions. Back and seat cushions filled with goosedown, channeled with expanded polyurethane inserts; completely reversible seat cushions covered in removable fabric or leather. Design by Rodolfo Dordoni for Minotti. Facing page: Zeus divan/chaise longue with structure in rigid polyurethane and polyurethane foam, seat cushion padded with down and shape-fast insert; cushions with added down upon request. Covered in fabric or leather, with aluminium feet. Design by Antonio Citterio for Flexform. - pag. 85 Freud modular component divan with structure in solid wood and flexible polyurethane filler; seat with multiposition manual mechanical movement. Covered in removable leather and/or fabric in a range of colors. Design by Mario Bellini for Meritalia. Facing page: Mariposa divan with metal frame, padded with polyurethane, with adjustment mechanism for the armrests and back filled with polyurethane and goosedown. Removable fabric cover. Design by Barber&Osgerby for Vitra.

Absolute metal pag. 86 by Katrin Cosseta - photos Enrico Suà Ummarino

We’re in the new Iron Age. Design explores unprecedented aesthetic and structural expressions of metals and alloys – aluminium, steel, copper, titanium, brass – in furniture with a strong materic and emotional presence, between the two extremes of the primordial and the industrial - pag. 86 Left: detail of the Officina table by Ronan & Erwan Bouroullec for Magis. The original forged iron leg supports tops of different sizes and materials, like steel, wood and glass. Facing page: Diatom by Ross Lovegrove for Moroso, indoor/outdoor stackable chair in 100% aluminium. Made entirely by computer, it uses molding technologies borrowed from the automotive sector. - pag. 89 Diesys by Giuseppe Bavuso for Alivar, component bookcase with structure in brushed steel, shelves in heat-treated oak with walnut or matte lacquer finish. Accessories include drawers, shelves and boxes covered in cowhide. Above: Tangram by Massimo Castagna for Henge, wall bookcase components with four different modules in burnished brass. Facing page: Thinking Man’s Chair Limited by Jasper Morrison for Cappellini. The 2014 edition of the famous lounge chair, the first product by the English designer for the brand, now available in brass-plated metal in a limited edition of 99 pieces. - pag. 92 Left: Pylon by Tom Dixon, dining table and small table in smoked glass, and coat rack with structure in copper-plated steel rod. Below: Vases by José Manuel Ferrero – Estudihac for Vondom, indoor/outdoor chair in metallized painted polypropylene. Facing page: Hexagonal table designed by Alexander Girard in 1967 and reissued by Vitra, in painted aluminium. Su by Nendo for Emeco, stool in recycled aluminium, with seat (also available in wood, polyethylene and cement) that evokes the classic navy chair. - pag. 93 Above: Brooklin by Paola Navone for Baxter, table with structure in copper tubing, top in tempered extraclear glass. Left: Masters by Philippe Starck for Kartell, chair in polypropylene using a process of metallization for new copper, gold, chrome and titanium finishes. Facing page: Oxymore by Xavier Lust for De Castelli, bookcase in oxidized iron with shelves anchored to the external ‘guitar’ structure thanks to wedge-ties to ensure stability. Eva by Carlo Colombo for Giorgetti, chair with external structure in titanium or bronze-finish metal, seat covered in leather or fabric.

INdesign/INprofile

In praise of shadows pag. 94 by Cristina Morozzi

According to DAVIDE GROPPI, the mystery and wonder of light arise in relation to shadow, which brings out quality and defines, with its density, the contours of things Davide Groppi is a special person, an individual and a trinity, producer, designer and, first of all, a poet. Ready to be honest about himself, he says he likes to talk about design from a humanistic viewpoint. “I believe everything is there, inside words... And then images are important... It is good to talk about meanings and aesthetics. It is the crux of our work.” The catalogue of the company that bears his name, a choice that underlines his direct commitment, has a sober, mysterious image: it is a sort of book of shadows, like the famous one by the Japanese writer Junichiro Tanizaki. The fixtures stand out against dark backgrounds, thanks to the rays of emitted light that show their contours with great precision, conveying silhouettes with a three-dimensional effect. “Things exist,” Davide says, “if they narrate and depict themselves. I think photography is a fundamental part of design, because it expresses the truth of things. Objects have to be photogenic. Through images I understand the progress of a project, I realize the changes that need to be

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made. But at the start there are always words, even prior to the ideas.” “When I design,” he continues, “I always start with the name with which I try to identify the poetics of the object I have in mind. The form is always the inevitable consequence of the concept the name expresses.” Flanked by his brother Michele, head of sales, by Omar Carraglia, who has designed many of the fixtures, and by Alessandra Dalla Giovanna, in charge of communication, Davide Groppi plays a direct role in the definition of a tailor-made vision of lighting. He calls his production “fitted light.” His goal is to provide clients with lightweight, simple and poetic things, capable of “prompting wonder with less.” Wonder with less might by the motto of his company, which now employs 20 persons and in 2014 actually won two Compasso d’Oro awards, one for the Nulla model, the other for the Sampei lamp. His role is like that of a filmmaker, who tries to bring consistency to the screenplay, while reserving the right to surprise people. He was born on a summer day in 1963; he learned from his father, an electrical engineer, a man of humble origins, with a taste for beauty and for things well made. He started working in 1985 as a mechanical draftsman, and then began to construct and sell lamps in 1988, from a small workshop in the center of Piacenza. “In 1994,” he adds, “I had the good luck to meet Maddalena De Padova, who inexplicably decided to buy 40 units of my Baloo model, a paper lamp, and to display them all together in the showroom on Corso Venezia in Milan, during the Salone del Mobile. That was a very important moment, when I realized I might really be able to achieve what I had been struggling to do. The other person to whom I owe a lot is Roberto Gavazzi, who put my fixtures in the Boffi catalogue and hosted me in his showroom in Cologne during the annual furniture fair, introducing me to major worldwide distributors.” His production has an understated language. “I prefer not to disturb,” he says, “I always think lamps should have qualities that seduce, in an elegant, discreet way.” He believes that light is to space as punctuation is to phrasing, the part that determines the rhythm. That has masculine and feminine qualities, corresponding to different moments, capable of coexisting in harmony, through adjustment of intensity. “Oscar Wilde,” he remarks, “said that when the light is stronger the shadow is blacker. Shade is the other face of light, it belongs to its poetics and permits knowledge, as Plato said in the story of the cave, thanks to the projection of the contours of things onto the walls.” He thinks the icon of his catalogue is the Nulla lamp, close to the idea of light without a source, a model capable of accentuating sensations of mystery and disquiet, sensations like those of the tenth, unfinished symphony of Ludwig Van Beethoven. He also mentions Miss, designed by Omar Carraglia, which produces a lighting situation like that of Caravaggio; Moon, a suspension lamp in paper that sends out soft, very feminine light; and Neuro, a graphic revisitation of old systems. Crafts and industry coexist in his company. Conflict is a favorite theme for Davide, who believes it generates beauty, as Heraclitus said. He does not believe that design is an exact science, but a service capable of bringing added value, “to improve the world with beautiful things made with as little as possible.” - pag. 94 Edison’s Nightmare wall lamp, produced by Davide Groppi and designed by Harry Thaler in 2014. “We hung the lamp from a nail,” Davide Groppi says about this project that embodies a gesture, full of irony and nostalgia. On the facing page: the Imu wall lamp designed by Omar Carraglia, 2013, with LEDs and a metal structure, a fixture designed to light a threshold. Davide Groppi seen beside the Movie floor lamp designed by Omar Carraglia in 2005, a tool which thanks to an RGB system can create all the light of the world. - pag. 96 An image of the Esperienze space, a place open to designers and anyone who wants to approach the light of Davide Groppi, opened in Piacenza in 2012, at Via Trento 24. Another space like this exists in Milan, at Via Medici 13. 1. On floor lamp in cement and metal, designed by Marco Merendi in 2009. 2. The Light My Fire suspension lamp designed by Omar Carraglia and Davide Groppi in 2014, a glass bulb containing fire. 3. The Light to Drink LED wall module in metal and polycarbonate, designed by Alessandra Dalla Giovanna, 2010. 4. Moon suspension lamp with Japanese paper shade, made by hand, designed by Davide Groppi, 2005. 5. The LED is More suspension lamp in metal and methacrylate, designed by Davide Groppi in 2011. 6. Q2 floor lamp in cement and metal, designed by Alberto Zattin, 2000. 7. The Nulla lamp designed by Davide Groppi, 2010 (Compasso d’Oro 2014). The designer defines it as “an extreme work on subtraction. The pursuit of a sourceless light has led me to make an invisible, magical, illusory project. A very simple idea: an 18 cm opening in the ceiling and a special optical system.” 8. The Sampei floor lamp designed by Davide Groppi and Enzo Calabrese in 2011 (Compasso d’Oro 2014), which Davide Groppi describes as a “fishing pool with a tiny adjustable light source.”

Born of matter pag. 98 by Maddalena Padovani

Two contemporary projects that reinterpret the ancient art of glass. Done by PIO AND TITO TOSO, Venetian designers who came up in the workshops of Murano, getting inspiration for industrial innovations from the techniques of the master glassmakers When they were young they dreamed of being architects in Australia, leaving Venice to find new ground for the creativity they had inherited from a family whose name has been linked for generations to the art of glass. A name to live up to, since even today Fratelli Toso – the company founded by their great-great-grandfather back in 1854 – is known as the main force of artistic renewal, in the mid-1900s, that revived the

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fortunes of Murano and the many glassworks that had found themselves in a state of crisis after the fall of the Republic of Venice. Maybe due to their unruly heads of curly hair, a family trademark of sorts, the brothers Pio and Tito Toso still have plenty to do with glass in their activity as designers based in the province of Treviso. Though design is an almost chance discovery that is now taking them, with success, along different paths. “Our grandfather,” they say, “blew and designed objects and chandeliers, in glass. Our father also worked on glass, as a draftsman. From our childhood we have spent time in glassworks, so the material has entered our hearts and minds in a perfectly natural way. At the glassworks you come to terms with five centuries of history, research, intelligence and experimentation, leading to maximum development of the techniques, ready to immediately express transparency, colors, reflections in this magical material.” After the two took their architecture degrees in Venice and had already done projects inside and outside of Italy, Pio and Tito found themselves operating in the world of design, first by creating glass objects for their father, then by designing furnishings for small companies based in the Veneto. “We ended up falling in love with the job of the designer,” they explain, “especially the possibility of intervening in the process that leads from the idea to the making of the product.” The desire to apply their knowledge of glass in this sector came quite spontaneously, so at the start of the 2000s they did their first projects for Foscarini and Artemide, paving the way for other collaborations with Italian design firms. In the area of domestic design, the two brothers have a winning card to play: unlike many other designers, they think of projects as being in glass from the start; this means optimizing use of the material for greater feasibility, lower costs, easy industrialization and poetic results. But behind the rigorous research there is always a goal that goes beyond the pure technical aspects, namely that of updating the language of the materials, or giving contemporary meaning to ancient methods and ways of working. Just consider the two new products they presented in April in Milan: the Meteorite lamp produced by Artemide and the Grace collection of objects for the table from Guzzini. The former comes from the search for a new expressive meaning of blown glass in the field of lighting; in particular, from the passion for Venetian ‘beaten’ glass and the ‘unfinished’ effect grinding can give to the material. “Meteorite,” the designers say, “has a very fascinating value, a content of empathy in its DNA, that of the perception of time. The time to think of the project, the time used by the craftsmen to make it by hand, to blow the glass and work it. We want the lamp to convey these things, to talk about care and love. This is why we have developed a particular blowing and grinding procedure that generates interesting luminous depth effects when the object is lit, making this beauty accessible to all, in a democratic way.” The secret lies in a special multiple opening mold used for the blowing phase, followed by sand blasting, taping and etching. The result is a particular surface effect full of lights and shadows, while production time is reduced: an innovation based on a logic of industrialization that reduces production costs to make it possible to offer the lamp at a reasonable price. Glass is back, but this time as a source of inspiration and innovation, in the Grace project. The collection comes from a love affair with the plastic materials of Guzzini, especially their qualities of transparency, color and shine, which Pio and Tito immediately associate with art glass. “The initial brief,” they explain, “was to find a new expressive language using the technique of two-tone molding. We tried to do it in a simpler, more immediate way.” This time the techniques behind the idea are rigadin (which gives glass a typical pattern of parallel ribbing) and filigree (using the insertion of colored glass reeds to achieve an embroidered effect inside the material). “The technical research Guzzini has developed in co-injection molding,” the designers say, “permits bonding of different types of plastic to have a perfect fusion of colors and effects. In the Grace project the experimentation focuses on cutaways that make it possible to perceive the transparent tone coupled with white, and to create an evocative play of colored reflections on the surface where the objects are placed.” The project comes from the material, not vice versa. “We look for the synthesis in forms and colors to emphasize the quality of this precious plastic. And the use of this material makes objects affordable for a vast range of consumers.” Not only glass inspires Pio and Tito Toso. The products presented this year with their signature, like the Flag coat rack for Pedali, the Wind and Tab hoods for Falmec, the MyFrame chair for Segis, demonstrate the acquisition of a new professional maturity that is taking them onto a wide range of different paths, where what counts is not the image but the methodological approach. Works in progress including a collaboration with Hausbrandt for an object connected with the world of coffee; the project of an interactive frame that updates the use of the iPad in the office and home automation sector; collaboration with a company that produces cannons to destroy dust; and a project for a company that focuses on environmental fragrances. “Maybe a time comes,” the two brothers say, “when a designer no longer wants to see his own reflection in his products. The aim of the job shifts from personal satisfaction to service, from an aesthetic vision to an ethics regarding companies and end-users. A sort of ‘magic’ that makes the design horizon less ‘personal’ and more ‘universal.’ If we are working a lot today, maybe it is because of this turnaround, and our humble, pragmatic research.”

plastic by Guzzini, the Grace collection takes its cue from two venerable glassmaking techniques: rigadin and filigrana, the latter seen in the famous Fazzoletti vases by Venini (below and on the facing page, below). The collection includes containers in three different sizes, salad utensils and a bread basket, in three chromatic variations. - pag. 101 Above: the collection is made with the co-injection technique that permits the combination of different types of plastic. The transparent cuts make it possible to perceive the combination of the colors and the effects. Below, the Fazzoletti Zanfirico of Venini.

INdesign/INproject

Behind kitchens pag. 102 text Andrea Pirruccio - photos Maurizio Marcato

Presidents and CEOs of companies, designers and technical directors: these are the people who like concerned parents pay attention to all the phases of development of kitchens, with an eye on the judgement that counts most: the reaction of the audience at EUROCUCINA - pag. 102 Giuseppe Bavuso poses with Icon, the kitchen he has designed for Ernestomeda. Featuring the Bay washing block and the Medley system (to furnish the kitchen and living areas), Icon uses a new finishing technology, Nanoceramic NTE, with excellent mechanical properties of abrasion resistance. - pag. 103 Andrea Lupi, CEO of antoniolupi, with LaCucina, designed by Archea Associati/Marco Casamonti: made in Corian, LaCucina has a single support, the extrusion of a C section that contains the exhaust hood and the lighting system in the upper part, with sinks built into the counter and the housing for an induction range in the lower part. - pag. 104 Silvio Fortuna, CEO of Arclinea, with the new version of the Italia model, designed by Antonio Citterio: a large multifunctional island whose stainless steel doors are treated with PVD (Physical Vapor Deposition, a technology that bonds steel and titanium on a molecular level to make surfaces more resistant to wear, corrosion and scratching) in a bronze finish. Michele Cattai, an interior designer and Product Manager for doimocucine, with the Aspen kitchen in the new Fenix finish: a material developed using nanotechnologies and resins of the latest generation, to resist fingerprints, scratching and abrasion, static electricity, molds, bacteria and water. - pag. 105 Designed by Nendo for Scavolini, Ki stands out for the presence of a series of cabinets that can function as hanging units or be deployed for sinks and ranges. The opening of the doors and large drawers of the bases is done with a groove grip. In the photograph, Andrea Federici, the company’s project manager for this product. - pag. 106 Andrea Molteni (Product Development & Design Director of Dada) in front of the updated version of the Vela model by Dante Bonuccelli. In this reinterpretation the thickness of the doors is reduced to 12mm and the handles become a graphic sign. The tops are the result of the overlay of slender lines, while the thin aluminium shelves generate a seamless horizontal arrangement in which the ergonomic openings of the Futura hanging cabinets stand out. - pag. 107 Renato Giunta, Technical Director of Aster, with Contempora Factory, a model with a metropolitan mood that combines technological and natural materials, special treatments and compositions geared to contemporary use. The designer G.V. Plazzogna with the reinterpretation of Kalea, designed for Cesar: in this composition, the new doors (with aluminium frame, 10mm thick) are in wood and Neolith ceramic. - pag. 108 Mauro Giacomini, CEO of Arrital, and the Ak_04 (design Franco Driusso – Driusso Associati Architects) in the new Fenix version. A wide-ranging, flexible project, Ak_04 is based on a patented extruded aluminium frame that permits reduced thickness and improved finishing of the doors. Edi Snaidero, President of Snaidero, next to Code_Evolution (design Michele Marcon), a kitchen with an industrial look underlined by the use of materials like cement, Peltrox steel and smoked glass (for the doors of the cabinet modules), and by the back that simulates the three-dimensional image of a brick wall. - pag. 109 Giovanni Anzani, CEO of Poliform, next to Trail (design Carlo Colombo and CR&S Varenna), a kitchen with a central island, embossed rock lacquer doors, 6mm steel top, hood in steel and glass with multi-LED lighting, hanging display cabinets with mocha anodized aluminium borders and reflecting smoked glass. - pag. 110 Massimo Castagna with the kitchen he has designed for Rossana: HT50, in the central island version with snack table, cappuccino marble top and doors in stained olive finish. - pag. 111 Dario Presotto, President of Modulnova, photographed with Float (design Andrea Bassanello), a kitchen featuring a pantry zone in which to conserve wines and foods at controlled levels of temperature and humidity. The door is made by combining vertical boards with a width of 15 cm connected by graphite aluminium borders, while the two worktops in Piasentina stone (cooking and washing) are placed on the bases of the kitchen itself.

- pag. 99 The Meteorite lamp produced by Artemide and designed by Pio and Tito Toso (on the facing page, the designer brothers) brings the ‘unfinished’ effect of Venetian ‘beaten’ glass into the lighting sector. Below, images and details of vases made with this technique. The Meteorite collection includes four types of lamps, all with a double-layer artistic glass diffuser done with the technique of blowing in molds and grinding. - pag. 100 Made in

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Interni settembre 2014 ABS GROUP Via Dell’Industria 30/32, 31029 VITTORIO VENETO TV Tel. 0438509030, Fax 0438568177, www.absgroupsrl.it, info@absgroupsrl.it ACQUAEFUOCO Via Friuli 71, 31020 SAN VENDEMIANO TV Tel. 0438777103, Fax 0438405702 www.acquaefuoco-mood.it, info@acquaefuoco-mood.it ALDABRA srl Via Europa 12, 20863 CONCOREZZO MB Tel. 0396908062, Fax 0396908659, www.aldabra.it, aldabra@aldabra.it ALIAS spa Via delle Marine 5, 24064 GRUMELLO DEL MONTE BG Tel. 0354422511, Fax 0354422590, www.aliasdesign.it, info@aliasdesign.it ALIVAR srl Via Leonardo da Vinci 118/14, 50028 TAVARNELLE VAL DI PESA FI Tel. 0558070115, Fax 0558070127, www.alivar.com ANTONIO LUPI DESIGN spa Via Mazzini 73/75 - Loc. 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Kennedy 20, 46019 VIADANA MN Tel. 0375833124, Fax 0375833141, www.atipiconline.it, info@atipiconline.it B.R.F. srl Loc. S. Marziale 21, 53034 COLLE DI VAL D’ELSA SI Tel. 0577929418, Fax 0577929648, www.brfcolors.com, info@brfcolors.com BAXTER srl Via Costone 8, 22040 LURAGO D’ERBA CO Tel. 03135999, Fax 0313599999, www.baxter.it, info@baxter.it BONALDO spa Via Straelle 3, 35010 VILLANOVA DI CAMPOSANPIERO PD Tel. 0499299011, Fax 0499299000, www.bonaldo.it, bonaldo@bonaldo.it CALLIGARIS spa Via Trieste 12, 33044 MANZANO UD Tel. 0432748211, Fax 0432750104, www.calligaris.it, calligaris@calligaris.it CAPPELLINI CAP DESIGN spa Via Busnelli 5, 20821 MEDA MB Tel. 03623721, Fax 031763322, www.cappellini.it, cappellini@cappellini.it CERAMICA FLAMINIA spa S. 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Einaudi 23/25, 20821 MEDA MB Tel. 03623991, Fax 0362399228, www.flexform.it, info@flexform.it FONTANAARTE spa Alzaia Trieste 49, 20094 CORSICO MI Tel. 0245121, Fax 024512560, www.fontanaarte.com, info@fontanaarte.com FRATELLI GUZZINI spa C.da Mattonata 60, 62019 RECANATI MC Tel. 0719891, Fax 071989260, www.fratelliguzzini.com, info@fratelliguzzini.com GIORGETTI spa Via Manzoni 20, 20821 MEDA MB Tel. 036275275, Fax 036275575, www.giorgetti.eu, giorspa@giorgetti.eu HENGE Via Monte Grappa 90/b, 31010 MOSNIGO DI MORIAGO TV Tel. 0438890622, Fax 0438890644, www.henge07.com, info@henge07.com IGUZZINI ILLUMINAZIONE Spa Via Mariano Guzzini 37, 62019 RECANATI MC Tel. 07175881, Fax 0717588295, www.iguzzini.com, iguzzini@iguzzini.it KARTELL Spa Via delle Industrie 1, 20082 NOVIGLIO MI Tel. 02900121, www.kartell.it, kartell@kartell.it KREON CATERA CIRO Via Forcella 5, 20144 MILANO Tel. 0289420846, Fax 0289428785, www.kreon.com, mailbox@kreon.it

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N. 644 settembre 2014 September 2014 rivista fondata nel 1954 review founded in 1954

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Nell’immagine: il nuovo Conservatorio di musica e danza Darius Milhaud, ad Aix en Provence, in Francia, progetto di Kengo Kuma and Associates. In the image: the new Darius Milhaud Conservatory of Music and Dance at Aix-en-Provence, France, designed by Kengo Kuma and Associates. (foto di/photo by Roland Halbe)

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Interiors&architecture poli didattici culturali: poles of cultural education 5+1AA, Odile Decq Kengo Kuma, Lacaton &Vassal Ines Lobo, Modus Architects

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