Interni Magazine 630 - April 2013

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INdice/contents aprile/apri l 2013

INterNIews INitaly

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produzione production de sign pre stige Le T erre DeG LI uom In I DI/HUMAN LANDS BY S caccHe TTI de sign a t w ork Castig lioni a sorpre s a/by surpri se showroom

labora t orio c leaf /lab a lissone unopiù a/ in bre scia 46

project

confini spont

49 IN coper t ina: un’e laborazione grafic a apposit amente rea lizza ta da O MA per Interni, c he raffigura uno dei pezzi por tanti de lla nuo va co llezione di arredi per l’ufficio e per la c as a dise gna ta d allo s tudio o lande se per Knol l in occ asione de l 75° annivers ario de ll’aziend a americ ana . S i tra t ta di un ogget t o d alla funzione tra s vers ale c he può essere liberamente interpret at o d a c hi lo us a: come sc hermo , come tavo lo o come p anc a. Prevede una grande variet à di compor tamenti ne l modo di lavorare e ne lle diverse f orme di re lazione interpersona le. o n the co ver: gr aphic i llustr atio n spe ci ally pro duce d by O MA f or Inter ni, sho wi ng o ne of t he main pie ce s of t he new co llectio n of f ur nishing s f or t he office and t he ho me desig ned by t he Dut c h st udio f or Kn o ll, t o mark t he 75t h anniver sar y of t he f o unding of t he Americ an co mpany. An o bje ct ver sati le i n it s f unctio ns, ope n t o free i nterpret atio n by t he user: as a scree n, a table or a benc h. Th e desig n anticip ate s a wi de r ange of appro ac hes t o work and t o i nterper so nal re latio ns.

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anei/ Spo ntaneo us bo undarie s

INternational produzione production il nuo vo c he arriv a d al nord /new fro m t he nor t h apo logia de l lavoro /of labor

project

arc vision prize -w omen and arc hite cture fiere fairs st ock ho lm de sign week eventi events greek s treet ga ller y a/in milano INtertwined

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maestri masters G abrie le b asi lico Jame s Ir vine

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giovani designer young designers

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mostre Exhibitions

lavorare gioc

ando /playing at work

se gni e sogni di prima vera/ Sig ns and dre ams of spri ng soffi di cora llo e ceramic a/PUff s of cor al and cer amic s grande ar te d a/t he gr and ar t of hÔte llerie i cent’ anni di/ 100 year s of past o e 113

fragrance design

la c aric a de lle fra granze/ Th e c harge of

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t he fr agr ance brig ade

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INdice/CONTENTS II

food design

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corsia del

giardino , milano

sostenibile sustainable

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riuso e mod a per/ reuse & f ashion f or dream do wnt o wn buoni e anche bel li/ good and bea utiful t oo

fashion file

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arred are il corpo /furnishing the bod y dial oghi tra corpi e c api Dial ogues between bodies and cl othes 131 prospettive perspectives il brivido del l ’ibrido /T he hybrid thril l 135 in libreria in bookstores 140 info&tech te ch.it 166 interni hybrid architecture & design INservice 207 230

traduzioni translations indirizzi firms directorY 2

INtopics 1

editoriale editorial di/by gild a boj ardi

INteriors&architecture

spazi di contaminazione

spaces of contamination a cura di/ edited b y ant onel la boisi 2

saint denis, parigi, gli archivi nazionali di francia

Saint-Denis, Paris, the National Archives of France proget t o di/ design b y massimiliano e/ and doriana fuks as f ot o di/ pho t os b y philippe ru aul t te st o di/ text by mat te o vercel l oni

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bologna, cucinella’s way proget t o di/ design b y mario cucinel f ot o di/ pho t os b y s anti c ale ca te st o di/ text by ale ss andro rocc a

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nel piacentino, una casa-guscio

Near Piacenza, a shell-house proget t o di/ design b y wil liam s aw aya f ot o di/ pho t os b y s anti c ale ca te st o di/ text by ant onel la boisi 26 18

milano, una casa-diario

milan, A house-diary proget t o di/ design b y alber t o bia get ti & la ura b ald ass ari f ot o di/ pho t os b y alice fioril li te st o di/ text by ant onel la boisi

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são paulo, il ventre dell’architetto The belly of an architect proget t o di/ design b y ruy oht ake f ot o di/ pho t os b y ruy teixeira te st o di/ text by mat te o vercel l oni

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INtopics / 1

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EDiToriaLe

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n tema di Hybrid design, ci sarebbe davvero tanto da dire. Stiamo infatti parlando di una disciplina che nasce dall’incontro del Progetto con la Scienza e si fa portatrice di conquiste tecnologiche in grado di riscrivere confini tra natura e artificio. Ma stiamo al tempo stesso focalizzando un metodo che fa degli innesti una pratica elettiva. Perché le ibridazioni possono essere culturali, sperimentali, tipologiche, semantiche, esistenziali, ma non sono mai una cosa sola. L’abbiamo monitorato nella rassegna delle architetture presentate in questo numero: case d’autore e autobiografiche, da Bologna al piacentino, da Milano a São Paulo, firmate da progettisti linguisticamente lontani, da Mario Cucinella a William Sawaya, da Alberto Biagetti a Ruy Ohtake, che esplorano territori a cavallo tra design, arte e storia. Così come hanno fatto: Massimiliano e Doriana Fuksas nel loro ultimo progetto internazionale, gli Archivi nazionali di Francia; Michele De Lucchi per un luogo della memoria quale il Museo di Poltrona Frau che, a scala differente, restituisce la capacità nel tempo di interpretare l’artigianato e trasformarlo in una produzione seriale. Ma il Metissage è anche il filo conduttore delle pagine dedicate al design: progetti, prodotti e oggetti, sviluppati anche a quattro mani nella collaborazione ad esempio tra Luca Nichetto e Nendo, dove la contaminazione di idee diventa nuova forma espressiva. Resta, infine, il grande tema della mostra-evento Hybrid Architecture & Design, che anche quest’anno, durante la Settimana milanese del design, INTERNI organizza nei cortili dell’Università degli Studi di Milano, con una piccola appendice all’Orto Botanico di Brera. L’ulteriore invito a cogliere come le forme e le idee del progetto non siano più confinabili dentro schemi aprioristici. Gilda Bojardi la c as a-studio di ruy oht ake a s Ão paul o, s vil upp ata su due livel

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li. f ot o di ruy teixeira .

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lo scrigno della memoria progetto di Massimiliano e Doriana Fuksas foto di Philippe Ruault testo di Matteo Vercelloni

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A Pierrefitte sur Seine-Saint Denis, nella banlieue a nord di Parigi, il nuovo complesso degli Archivi Nazionali di Francia si offre come architettura di riferimento. una nuova ‘porta urbana’ che segna il rapporto tra cittĂ e territorio dal punto di vista monumentale e simbolico

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Vista d al l ’interno di uno dei vol umi ‘s atel lite ’ verso la f accia ta met al lic a del corpo de gli Archi vi N azionali. S ul vel o d ’acqu a la scul tura di Ant ony G ormley .

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Schizz o di proget ver so la cit tà.

t o del fronte riv

ol t o

una vi sta del comple sso dei N uo vi Archivi nazionali di F rancia ver so il centro di Parigi. nel la p agina a fianco , l o spazio di conne ssione tra il corpo de gli Archivi (a de stra) e la dinamic a sovrappo sizione de gli elementi ‘satel lite ’ conne ssi con p asserel le vol umetriche di spo ste a diver si livel li. Sul l ’acqu a ‘fl ut tu a’ la scul tura met al lic a di Ant ony G ormley .

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C

on la Rivoluzione Francese del 1789 nasce l’Istituzione degli Archivi Nazionali di Francia, luogo di raccolta di documenti della storia della civiltà; dai papiri merovingi ai processi dei templari, dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino alle tappe della storia francese (il diario di Luigi XVI, il testamento di Napoleone, il giuramento del Jeu de Paume le Costituzioni nazionali). Tutto raccolto in circa 320 chilometri lineari di scaffali che dalla nascita della Repubblica Francese raccontano la storia del Paese e dei suoi rapporti con le culture del mondo. Una tale mole di documenti, atti, dichiarazioni, pensieri, contiene in sé valori che oltre al carattere scientifico di testimonianza storica si rapportano alla dimensione più simbolica della memoria collettiva di un’intera

nazione, e l’edificio in grado di accogliere tale prezioso ‘tesoro’ non può certamente rispondere alle sole funzioni del ‘conservare e organizzare’, ma tendere anche alla rappresentazione urbana di valori nazionali. Una sede per tutto ciò, se rapportata all’utopica stagione degli “Architetti della Rivoluzione” (1789-1799), avrebbe trovato giusta cornice negli spazi pensati da Étienne-Louis Boullèe per la sua ciclopica Bibliothèque Nationale in cui la dimensione del ‘tempio laico della cultura e della memoria’ superava immagine e idea del ‘semplice’ edificio pubblico. Il progetto di Massimiliano e Doriana Fuksas per la nuova sede degli Archivi Nazionali che segna come un bastione metallico, uno scrigno architettonico monolitico, il frastagliato bordo della banlieue arrivando dall’esterno, per poi declinarsi in uno stretto rapporto compositivo verso la città, si rapporta a tale vettorialità nello sforzo di dare alle funzioni di tutela e organizzazione dell’importante patrimonio un aspetto emozionale.

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l ’immagine di b astione met al lico , scrigno architet t onico monolitico , cus t ode del la memoria e del l ’identit à col let tiv a che re stituisce la nuo va sede de gli archivi nazionali di francia nel rappor t o compositiv o con la cit tà. Il rive stiment o è realizza t o con una pel le di al l uminio incis a d a una trama romboid ale e interro t ta d a brani vetra ti.

Lo sforzo, abbandonando ogni retorica, è stato quello di configurare, come affermano gli autori: “un’opera custode della memoria e dell’identità collettiva e al contempo aperta a espressioni artistiche contemporanee. Pensata in un’ottica non contemplativa, ma di scoperta, ricerca e di partecipazione per il pubblico”. Il complesso architettonico, promosso da tre Presidenti della Repubblica Francese (Chirac che trovò i finanziamenti, Sarkozy che ne ha accompagnato la costruzione, Hollande che lo ha inaugurato lo scorso 11 febbraio) è composto da due episodi di riferimento: il volume monolitico del parallelepipedo custode dei documenti, rivestito da una pelle di alluminio incisa da una trama romboidale e interrotta da brani vetrati in corrispondenza della sala di lettura e del percorso d’ingresso e la parte dei “satelliti” ad esso connessa con passerelle sospese su un velo d’acqua organizzata come una studiata sommatoria di piani-spazi orizzontali vetrati, segnati da una trama strutturale a vista che riprende il motivo a rombo della facciata di alluminio del volume complementare prospiciente su cui si specchiano. Al bastione urbano degli archivi veri e propri (220 magazzini disposti su dieci livelli) rivolto verso il territorio risponde così la dinamica epifania dei volumi rivolti verso la città che digradano verso lo spazio urbano cercando un più stretto rapporto di scala e una morfologia scandita da elementi tra loro distinti e allo stesso tempo uniti in un’unica sintesi progettuale. Qui, fluttuanti sul velo d’acqua i volumi orizzontali vetrati e sovrapposti, che ricordano per analogia il progetto dell’Headquarters Ferrari a Maranello, accolgono gli uffici, la sala espositiva e la sala conferenze ‘colorata’ dal rosso delle poltroncine “Carla” su disegno per Poltrona Frau.

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Sopra al cune viste de gli spazi di let tura e di la voro e del la sala conferenze con la pol troncina Carla su di segno di doriana e ma ssimiliano fuk sas prodo t ta da Pol trona Fra u contra ct. nel la p agina a fianco , par ticolare del rappor t o architet t onico tra i due ‘mondi ’ che f ormano il nuo vo comple sso de gli Archivi N azionali di F rancia .

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Il confronto tra i due mondi che compongono l’edificio, l’unione tra ordine e ‘caos sublime’, per utilizzare una terminologia cara a Massimiliano Fuksas, si rafforza sia grazie all’intervento paesaggistico di Florence Mercier, sia per l’apporto dell’arte contemporanea declinata in tre operechiave. Sull’acqua, in quegli spazi vuoti di raccordo che, come nella Fiera di Milano, costituiscono il valore e l’importanza dell’architettura al pari di quelli costruiti, la scultura geometrica di Antony Gormley si appoggia al velo d’acqua, sviluppando la concatenazione di dodecaedri reticolari in metallo che ben si rapportano alle trame dell’edificio. Pascal Convert con la serie di “casseforti” di cemento incastonate nell’area prospiciente sottolinea, attraverso la riproduzione dei volti di protagonisti della cultura francese, le radici della memoria collettiva. Infine Susanne Fristscher unisce l’intervento artistico all’architettura realizzando i controsoffiti dei volumi satellite come fogli di acciaio sfumati di rosso che enfatizzano il gioco di profondità dei volumi distribuiti a diversa altezza. Un’opera pubblica di grande respiro, un’architettura che “da vita a un’identità che affonda le sue radici nella memoria del passato con lo sguardo rivolto alla contemporaneità e al futuro. Un’identità e una memoria che appartengono alla Francia, e all’intera umanità” (Massimiliano e Doriana Fuksas).

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Abitare liberi in un grande spazio ecologico insieme agli oggetti d’affezione: la Moto Guzzi della giovinezza, i tessuti etnici e i consumati divani di pelle. Immagini, oggetti, ricordi e frammenti di vita nel contesto postindustriale della Bolognina

Cucinella’s Way progetto di Mario Cucinella foto di Santi Caleca testo di Alessandro Rocca

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rande esperto di tecnoecologia, sostenibilità e fonti energetiche alternative, Mario Cucinella ha ricevuto numerosi premi e menzioni ma, soprattutto, ha realizzato edifici importanti come il palazzo uffici del comune di Bologna (2008), la sede della 3M a Pioltello (2010) e il complesso terziario in via Santander a Milano (2012). Il suo percorso di vita ha seguito la sua traiettoria professionale: ha studiato a Genova con Giancarlo De Carlo e poi è entrato nel Building Workshop di Renzo Piano, lavorando sia a Genova che a Parigi. È qui che, nel 1992, fonda il proprio studio di progettazione, MCA Architects, che nel 1999 si trasferisce a Bologna.

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Sul tavol o Arc , de sign di N orman F o ster per Mol teni , una c ampana di vetro di rara forma el lit tic a con un B ambin G esù in cera pro veniente da Ostuni, una statuet ta cele bra tiv a del la riv ol uzione cine se e un pre sepe napolet ano (di Ferrigno srl); al la p arete , un p anorama fot ogra fico di Istan bul del 1891.

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Una visita alla sua nuova residenza bolognese, un loft nel quartiere operaio della Bolognina, mette in evidenza un approccio di personalità, in cui si nota una certa allergia agli interni patinati e il piacere degli accostamenti imprevisti e del métissage. Abitata da oggetti raccolti in luoghi e tempi diversi, la casa si presenta fin da subito come uno spazio già intriso di quella stratificazione temporale che, di solito, i luoghi acquistano solo attraverso lo scorrere del tempo. In omaggio al credo della sostenibiltà, Cucinella adotta tutti quei sistemi energetici che consentono di

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produrre più energia di quanta se ne consumi: una pompa di calore alimentata da un impianto fotovoltaico (con pannelli di Fabbrica del Sole), un sistema di recupero dell’acqua piovana e a un efficientissimo cappotto isolante termo-robusto, 14 cm di lana di vetro, che la Saint-Gobain produce riciclando gli scarti di lavorazione. In questo caso però, a differenza che in altri progetti, l’estetica sostenibile resta sottotraccia perché Cucinella ha voluto riabilitare l’identità industriale del capannone anni ’70, con la spartana essenzialità dei suoi spazi e delle sue strutture.

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Lo sp azio centra le de l loft con una lampad a a s te lo di modernaria t o e una po ltrona sene ga lese ric avata dallo chassis di un’ aut omobi le. Al centro , palme in vasi di terra co t ta, l’Airone 250 di Mot o Guzzi , un c asset t ona t o (prob abi lmente d a ferrament a) illumina t o d alla lampad a a sospensione Action, de sign di Jean- Miche l Wilmot te per iguzzini ; a fianco , il bra ccio de lla c appa indus tria le. Alla parete è appe so un te lo mi lit are di 6 x4 metri.

Il tavo lo su dise gno con lampad a indiana in c ar t on-cuoio rea lizza ta ricic lando i fus ti de l lino; at t orno , le mitiche A C hair, sedie impi labi li in lamiera dise gna te d a X avier Pauchard ne l 1934 e prodo t te d a T olix ; la libreria indus tria le in a cciaio zinc at o è prodo t ta d a T ecno telai .

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La cucina e i serramenti in ferro a profi lo so t ti le sono rea lizza ti, su dise gno de ll’architet t o, dalla promo di G iu liano Proc accini. Oltre la c appa indus tria le si vede la parete di f ondo , con i ma t t oni origina li ripor tati in vis ta, il ritra t t o de lla nonna de ll’architet t o e un tavo lo madia de g li anni cinqu ant a. si no ta ancora la lampad a a sospensione a ction, de sign di jean miche l wi lmot te per iguzzini .

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Un p atio coper t o è tra sf orma t o in giardino d ’inverno con pol trone e div ani di modernaria t o; al la p arete , una f ot ografia di architet t ura di Eman uele Panzarini. Su l la por ta di ingre sso è appe s a una te sta di b uf al o imbal s amata.

La superficie del pavimento, sotto cui sono alloggiati i pannelli radianti del riscaldamento, è un cemento industriale al quarzo, alle pareti sono portati in vista i mattoni originali, ricoperti da una pellicola protettiva trasparente, e resta com’era anche il soffitto a volta di mattoni con costole di cemento e tiranti in ferro, un classico delle officine meccaniche del secolo scorso. In questa impostazione conservativa, un punto importante è il disegno degli infissi in cui bisogna conciliare il contenimento della dispersione termica e il mantenimento di quell’immagine, tipicamente industriale, delle vetrate sorrette da esili montanti di ferro. Perciò Cucinella ha preferito disegnare da sé i nuovi infissi, realizzati poi in modo artigianale, con profili in acciaio crudo, saldature a vista e vernice antiossidante trasparente.

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Una z ucc a sor ve glia l ’ingre sso al soggiorno – giardino d ’inverno; il tappet o rosso , acq uistat o a G erico , è un te ss ut o tradizionale che i bed uini utilizzano sia a p arete che a p aviment o. Uno scorcio del bagno , che è una s tanza vera e propria , con il la vabo appoggia t o s u un tavol o di le gno , la doccia in vis ta e la appliq ue up/do wn iR ol l , de iGuzzini .

Il soggiorno , con div ano C he sterfield e pol trone france si in c uoio nero di prod uzione ar tigianale , un tavolino ric avat o d a una radice d ’albero e tappet o del l ’Uzbekis tan; s ul l o sf ondo , una te ca ot t ocente sc a per col lezioni scientifiche e spone i model li dei proget ti di Mario Cu cinel la .

“Per me oggi è impensabile – spiega Cucinella – vivere in un appartamento tradizionale in cui a ogni funzione corrisponda un ambiente separato” e, in effetti, lo spazio abitabile è assolutamente unitario e fluido e anzi si estende al di fuori del perimetro del capannone per andare a occupare, con un soggiorno/ giardino d’inverno, un patio esterno. Negli elementi di arredo, selezionati con il contributo di Chiara Castelli Casa, si mescolano oggetti di modernariato, soprattutto divani e poltrone, frammenti da collezione, come i presepi o gli animali imbalsamati,

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oggetti d’affezione, come la Moto Guzzi acquistata in gioventù e mai abbandonata, e il ritratto a olio della nonna; e poi objet trouvé recuperati in giro per il mondo, come le statuette propagandistiche cinesi e il tappeto di Gerico, e come il telo militare appeso al muro che pare l’opera di un minimalista americano. Non manca il design d’autore, come il tavolo Arc di Norman Foster e pochi pezzi storici: l’intramontabile Lounge Chair degli Eames e le mitiche A Chair, che, dice Cucinella, sono le prime sedie impilabili nella storia del design moderno.

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Nel piacentino, una nobile residenza di campagna, casa di famiglia, come specchio dell’anima che, nel sapiente equilibrio di contenuti ibridi e progetto di architettura, assume la carica coinvolgente del racconto del proprietario

Una casa-guscio progetto di William Sawaya foto di Santi Caleca testo di Antonella Boisi

La t orre mer lata e i l se co lare a lbero di mandor lo vis ti d alla b alcona ta panoramic a su lla s trad a. su lla terrazza , coppia di sedie e tavo lino de lla serie wea ther di W illiam S aw aya per Saw aya & Moroni . pagina a fianco , N el parco , i co lori f luo de lle grafiche sedute mete o, de sign w . s aw aya per s aw aya & moroni, viv acizzano l’aura romantic a de l luogo .

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n tema di Hybrid/Metissage, ci sono innesti che si rivelano molto più che semantici, sperimentali, tipologici, perché appartengono nell’essenza all’anima, ne sono lo specchio più autentico e disegnano, forse inconsapevolmente, architetture che restituiscono quanto la vita ha offerto ai suoi abitanti. È il caso di questa antica e nobile casa di famiglia, sul confine sud del piacentino, fertile terra di castelli e di battaglie, oggi buen retiro di un imprenditore milanese. La sua grande fuga, parafrasando un celebre film del

1963 interpretato da Steve McQueen, si lascia vivere tutta in tre giorni, durante i fine-settimana, quando smessi abiti metropolitani e da globe-trotter, il nostro ritrova ossigeno all’ombra di quell’albero di mandorlo, piantato 500 anni fa, che ancora svetta oltre la balconata panoramica che circonda il severo edificio di probabile costruzione tardo secentesca sul cucuzzolo della collina, al quale si accedeva da un lungo e sinuoso viale, che passava in mezzo alle vigne, partendo dalla strada che ascende alla proprietà.

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Il l iv ing aff acc iat o sul parco , un mix mat ch r iusc it o di pre senze ibr ide sul l o sf ondo d i un inv ol ucro sobr io e l um inoso dom ina t o d al le boiseries in le gno de capat o. Il lamp ad ar io in bronz o dora t o è un pro t ot ipo di re cupero . S ul tavol ino F l o, due vas i in porcel lana bianc a ind ian i e una zupp iera in a cc iaio ino x a f or te spe ssore la vora t o interamente a mano d i francois e sido thevenin . Cactus Barb ar ie, S of à BLUE VELVET e pol trone -pro t ot ipo S HANG HAI di Wil l iam S awaya per S aw aya & Moroni . Appe s a al la p arete , la b and iera d’ital ia d i mirco marc hel l i e sopra il camino or ig inar io in marmo Cala cat ta nero , un qu adro d i Wil l iam Xerra .

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il moderno convive con il cla ssico , e L a sedia OLL WOOD in le gno la cc at o arancio e vel l ut o t on sur t on di Wil liam S awaya per Saw aya & Moroni at tu alizza l ’atmosfera del living nel la z ona di p ass aggio al la s ala d a pranz o. nel la p agina a fianco , L a s ala d a pranz o, do ve rit ornano le boiseires a tut ta al tezza , ma finite in nu ance verde a cqu a. Tavol o pro t otipo Punt o e sedie Diva di Wil liam S awaya per S awaya&Moroni.

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Con la consulenza dell’architetto William Sawaya, ha ‘sbiancato’ un passato foriero di ricordi e ristrutturato la casa conservandone l’identità, ma conferendole altresì un effetto di luminosità e di freschezza che ritrova l’etica contemporanea di un’art de vivre gioiosa. All’esterno la ‘conservazione fotografica’ dell’immagine incontrata, l’austera architettura a più corpi di impianto nobiliare, circondata da un grande parco, si rinverdisce con i toni chiari degli intonaci dati secondo tradizione locale alle facciate, che contrastano con i mattoni a vista delle mura del mastio confinante sviluppato su pianta quadrata caratterizzato da finestre a ogiva e finito da merlatura ghibellina. Negli interni la ristrutturazione osa invece di più: alla radicale bonifica degli impianti si accompagna la ridefinizione volumetrica degli spazi che, pur conservando una gerarchia classica, diventano funzionali a definire una qualità personale dell’abitare. Fluida e aperta. Commenta William Sawaya: “L’intervento architettonico, volutamente leggero e quasi invisibile, ha cercato di valorizzare gli ambienti, spogliandoli da tutto il superfluo accumulato durante gli ultimi decenni. In qualche maniera era come restituire la dignità originale ad un luogo che, con il passare del tempo, si era ingrigito, entrando in uno stato di torpore. Conoscendo bene la famiglia da lunga data, e specialmente le abitudini e le richieste dell’attuale proprietario, non mi è stato difficile modificare e ridistribuire gli ambienti, spostando pareti per ridimensionare, amplificare e fare posto a nuovi spazi necessari per un vivre contemporaneo. La mia costante preoccupazione è stata quella di ridurre al massimo l’impatto di qualsiasi traccia d’intervento, senza però creare falsi originali”. La nuova distribuzione ha previsto al piano terra l’ampio living vista parco, la cucina e un bagno; al primo piano della torre, due generose camere da letto con servizi dedicati; al secondo, un’altra zona notte ospiti e, ancora più su, accessibile da una botola chiusa ancora da rugginosi chiavistelli, la terrazza–belvedere sul paesaggio collinare. Il soggiorno open space comunicante con il parco resta il fulcro della composizione, of course. Segnato dalla presenza di un prezioso camino nero in marmo Calacatta e tappezzato di boiseries in noce scuro si alleggerisce adottando una finitura ovunque decapata dei pannelli lignei che, avanzati di circa 70 cm rispetto alle pareti perimetrali, occultano elementi disegnati ad hoc e alla vista tutto ciò che rimanda a una quotidianità esibita (bar, televisore, hi-fi, bicchieri, piatti, accessori), prestandosi, insieme al pavimento scelto in grandi lastre di pietra biancone fossile e alle travi everywhite del soffitto, alla configurazione di un involucro spoglio e sobrio.

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È il contraltare ideale, in bianco e nero, per la messa in scena dinamica degli arredi che mixano, al cospetto della simbolica bandiera bianca-verderossa di Mirco Marchelli, pezzi di famiglia, ricordi di viaggio e molti prototipi. “Si potrebbe aprire una disquisizione sul valore che i ‘fondi di magazzino’ hanno avuto in questa casa” spiega il proprietario “perché la scelta di circondarmi di presenze dense di imprecisione mi ha consentito di scoprirne altre potenzialità, contenuti e suggestioni, gli innesti ibridi, la possibilità di riadattamento, i risvolti antropomorfi. C’è, ad esempio, una poltroncina bianca messa in camera, che mi ricorda una zia paffutella e solare”. Dagli accenti pop e dissacranti allo svelarsi di progressive prospettive, un’apertura a lato del camino conduce dal

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soggiorno alla sala da pranzo e alla cucina, due involucri di asciutto gusto austriaco e slancio verticale, uniformi nella nuance verde acqua scelta per le boiseries a tutta altezza, sempre contenitive, assolute protagoniste insieme all’archetipa sfera di vetro opaco del lampadario appesa a una delle voltine in mattoni a vista riportate in luce sul soffitto. “È questo uno degli ambienti che sento come speciale, perché ha il sapore dei ricordi dell’infanzia, delle torte fresche fatte dalla mamma, anche imperfette ma indimenticabili”. La vena nostalgica si stempera nei piani superiori dedicati alla notte, dove ogni stanza ritrova un decor attualizzato, in una teatralità misurata di sofisticati letti a baldacchino, poltrone revival di stile coloniale in legno e tessuto, carte da

parati a righe con mood cromatici specifici, e altri oggetti d’affezione. “Alla fine, devo riconoscere che in queste stanze realizzate con quanto mi aggradava, ma senza portarvi un tono di vigilanza eccessiva, funziona tutto molto bene. Ma resta una casa-guscio che non mi appartiene: sono io che le appartengo. In tre giorni, vedo come sarebbe stata la mia vita se non avessi fatto il bellissimo lavoro che faccio, in un contesto che mi consente ancora di mangiare i cibi dell’orto, cullare l’ozio sotto il pergolato, coltivare piaceri semplici”.

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la c amera p adronale , al primo piano , sui t oni bianco e crema , domina ta dal la figura del let t o a b ald acchino (un pro t otipo riad at tat o nel le misure) , affianc at o d ai tavolini kino con t op arancio di chris tian ghion e d a due f ot ografie in bianco e nero di giorgio avigdor. in primo piano , Pouf rosso di T oni C ordero . sui tavolini rodion di paol o moroni, un Samo var di f amiglia . tut te edizioni sa waya & moroni. N el bagno dedic at o, arredi di re cupero e d avanti al muro bianco tra ccia di un’ aper tura originale , la p anc a neil l con sedut a bianc a di mat t sind al l per S aw aya & Moroni. qui so t t o, N el la c amera de gli ospiti, due sedie Z arina di W il liam S aw aya per Andreu W orld , tavolino Maxima di S aw aya & Moroni e due armadi Mc G uire del 1952, mobili di f amiglia , rivernicia ti in bordea ux. Appe so al la p arete , un qu adro di L uciano Bar t olini.

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Il centro del mondo pr ivat o, soc iale e profe ss ionale de i Biaget t i, l ’ampio sogg iorno open sp ace d iret tamente comun icante con la cuc ina d i Boffi , cuore pul s ante del l o scenar io dome st ico e, sul f ondo , la terrazza -g iard ino . Il t avo lo The Wire Table con base in o t t one opaco e p iano in le gno d i pino c anade se , di Al ber t o B iaget t i per Memphis/ Pos t Design (2012) s i aff ianc a a sed ie d i Al ch imia (1981). C entro- tavola T r istano d i Borek Si pek per Dria de e vaso Veronese Dis teso di Biaget t i per Venini (2008). Appe s i al le p aret i, una p it tura d i L aura Bald ass ar i e una Mar yl in d i And y Warhol . L o scr igno d ipint o a mano con col or i acr il ic i appogg iat o a terra app ar t iene al la col lez ione I Diaman ti di Atelier Biaget ti (2011).

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Una casa-diario

A Milano, la casa di Alberto Biagetti e Laura Baldassari concepita come un abito su misura di haute couture, esprime, con una varietà di accenti, nel territorio ibrido tra arte e design, un senso dell’ abitare come opera aperta di sintesi estetica e materica che ne restituisce il piacere raffinato progetto di Alberto Biagetti & Laura Baldassari foto di Alice Fiorilli testo di Antonella Boisi

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isegnare la propria casa è un esercizio che dovrebbero fare tutti, perché solo pensando al proprio spazio abitato si può capire qual è la qualità della nostra vita, come vogliamo relazionarci alle persone che ci stanno vicine o anche ospitare – è come progettare il proprio abito che è di per sé il primo luogo dove abitiamo. Curare la tua casa è come curare te stesso”.

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Alberto Biagetti, origini professionali che appartengono all’avanguardia del design italiano (Alchimia prima e Memphis dopo), dal 2003 deus ex machina di Atelier Biagetti, una fabbrica estetica che si occupa in modo trasversale di design, architettura e design interattivo (tra i suoi lavori più conosciuti, l’immagine di Yoox di cui è stato per 12 anni direttore creativo e le collaborazioni con Memphis Milano, Venini, De Vecchi) non ha dubbi: “È un esercizio bello ma è anche il più difficile perché restituisce paure, insicurezze, spontaneità trattenute – farlo con qualcun altro diventa più facile perché rende possibile il confronto”. Così quando il suo sguardo ha intrecciato quello della moglie Laura Baldassari, musicista e pittrice – autrice di una serie di ritratti enigmatici-liquidi e di paesaggi-frammenti di

natura interpretati con “occhio botanico” in suggestivi oli su tavola, anche lei romagnola (di Ravenna) e ottima cuoca – la storia di questa casa in zona Navigli a Milano ha avuto il privilegio di conoscere un’evoluzione diversa. Lontana anni luce da certe esibizioni muscolose dell’architettura e dal gusto ‘coordinato’ del product design serializzato. Al di là della nuova e dovuta rispondenza ai dati funzionali – al piano terra, il living comunicante con la cucina (il luogo elettivo più importante per dna degli ospiti), nel soppalco l’area relax con bagno dedicato, al piano superiore lo spazio notte e lo studio di Laura – è infatti diventata una visione, lo scenario condiviso di una coppia di creativi: “Una sorta di foresta che cambia in continuazione (anche perché per certi aspetti è un luogo di lavoro) o, se vogliamo, una

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specie di diario – dove gli oggetti sono i nostri appunti” spiega Biagetti. “Infatti tra il nostro corpo e la nostra casa ci sono gli oggetti che compongono lo spazio abitato – una ‘mappa’ che se costruita con passione è sempre una sorta di teatro reale di sé stessi. Perché l’oggetto è un’estensione del corpo. Abbiamo preso possesso di questo palcoscenico, scoperto qualche anno fa, in modo graduale e questo è un dato interessante. La casa aveva già sue potenzialità, una scansione aperta, fluida e luminosa degli ambienti. Abbiamo iniziato a lavorare sul piano terra e sul soppalco sottolineati dal ritmo di un aulico colonnato ad archi a tutta altezza, poi abbiamo acquisito lo spazio superiore dedicato alla zona notte, ma ci siamo misurati con una dimensione vissuta dall’interno che già ci apparteneva. E per me e per

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Laura la casa resta ancora un fondale bianco, un foglio di scrittura, un luogo privilegiato di confronto: ragioniamo continuamente sul come sistemare gli oggetti e i quadri nelle loro relazioni, sul calore e l’umanità dei materiali adottati, sulle dimensioni degli spazi già costruiti o da costruire”. Le sensibilità sono però differenti, riconosce Alberto: “Ho vissuto per tanti anni in 45 mq, il problema non era lo spazio, era dove mettere tutto quanto avevo accumulato. Io tendo infatti a disegnare, comporre e ridisegnare lo spazio partendo dal presupposto degli oggetti che lo popolano. Mi anima lo spirito del collezionista di immagini, situazioni, ricordi di incontri e viaggi, che mi servono per costruire un possibile progetto. Non necessariamente mi affeziono a un pezzo, ma mi appartiene.

Al tri angoli del living, do ve l a poetic a del fr amment o affid ata agli ogget ti cre a un armonico scen ario di sinte si e stetic a e materic a. Tappet o-pro t otipo in l an a annod at o a mano di Alber t o Biaget ti e libreri a in l amier a crud a di Ra ff ael l o Biaget ti per Memphis/ Pos t Design , div ano Mex di Cassina , Eames L ounge C h air, l ampada di Lighting Element s , vasi Memphis e Venini . Il par avent o venezi ano è un pezz o di f amigli a.

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La sc ala lineare in ro vere che co llega i tre live lli de ll’abit azione , se gno architet t onico ri lev ante su l piano compositiv o, si pre sta alla configurazione di un ango lore lax ne l sopp alco impreziosit o d alle murrine di Venini che de corano l’arco vetra t o, e d a una serie di vasi di Memphis che si offrono come scoper te progre ssive .

È una presenza densa: esprime la ricerca di una profondità formale e sentimentale, in grado di ricondurla a un funzionamento simbolico nel quotidiano, perché muove una tensione estetica. Certe memorie poi restano indelebili. Un oggetto molto bello, quale la poltrona di Charles Eames, ad esempio, protagonista nel living, una forma archetipa, porta in sé valori etici, antropologici, culturali, sociali insuperabili – perché restituisce un modo davvero innovativo di sedersi. Laura invece ha un atteggiamento diverso – per lei viene prima la casa e tende a capire l’oggetto muovendo dallo spazio e dal filo conduttore dei materiali impiegati per connessioni di qualità estetiche e intrinseche”. Sono due sguardi complementari di

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Lo s tudio di La ura a l live llo superiore In primo piano , due pit ture su tavo la.

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una riuscita sintesi compositiva corpo-quadro: se gli oggetti prevalgono infatti sull’architettura della casa, negli spazi si percepisce chiaramente anche il fil rouge dei materiali selezionati che legano la visione globale con il frammento: il legno di rovere – preesistente, ma anche nuovo e posato a spina di pesce, di sopra; il teak con cui è stato foderato interamente il piccolo bagno del mezzanino con l’oblò; l’onice scelto per oscurare la finestra della zona doccia nel bagno principale. Un punto forte della casa, quest’ultimo, prodotto da una suggestione: “Laura stava dipingendo dei quadri su onice, un materiale già di per sé straordinario”, ricorda Alberto. “Abbiamo pensato alle chiese di Ravenna con le piccole finestre di alabastro che

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Lo sp azio no t te comprende in un unicuum compositiv o f luido e aper t o anche le iso le b agno e gu ard arob a. Il let t o Vulcano dise gna t o da R odo lf o Dordoni ne l 2002 per Fl ou è so vra stat o d a due ritra t ti dipinti d a Laura Baldass ari. N ella zona doccia , una sugge stiv a parete in onice fi ltra la luce pro veniente dalla fine stra retros tante . R ubinet terie di Boffi. N ella pagina a fianco , La po ltroncina Selim dise gna ta da Et t ore Sot t sass per Cassina cara t terizza un’ area di p ass aggio .

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buie di notte si illuminano magicamente durante il giorno – e alla luce che trasforma la materia, rendendola trasparente, penetrabile, altro”. Come dire, che in questo scenario non esiste una stanza fine a se stessa confinata alla funzionalità: “Sarebbe una casa priva di vita. ‘Usa e getta’. Ci piace invece vederla unica e preziosa come un’opera d’arte. Il rinnovamento della cultura del progetto abitativo parte da qui. La domanda fondamentale infatti è: cosa è stato prodotto ad oggi e di cosa abbiamo veramente bisogno? Ecco perché il design resta così prorompente – con l’oggetto si instaura una sorta di legame psicologico, come per gli abiti, soltanto che questi si consumano più velocemente, mentre la casa sopravviverà a te stesso: è l’idea di un’estetica contemporanea fatta di innesti”.

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La casa studio di Ruy Ohtake a San Paolo in Brasile pensata come un laboratorio su due livelli tra loro integrati, affacciata dall’alto sulla scena della città sottostante assunta come riferimento continuo e mutevole scenario di riflessione

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Il Ventre dell’Architetto progetto di Ruy Ohtake

foto di Ruy Teixeira - testo di Matteo Vercelloni

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nel le p agine pre cedenti: Vista dal tavol o di la voro in cement o arma t o di R uy O ht ake verso l o sp azio unit ario del 17° li vel l o. S edie d ’aut ore affianc ano la p ar te terminale del mobile su dise gno Mul ti móvel in MDF . In senso orario , vista del l ’edificio re sidenziale a S an Paol o, che a ccoglie l o sp azio O ht ake . U n angol o del l o s tudio con un’opera a p arete di Carmela G ross . Caric atura di R uy O ht ake e ma tite sul tavol o di la voro . pagina A fianco , vista del l o sp azio a doppia al tezza in corrispondenza del la c amera s tudio , scul tura sospe s a di T omie O ht ake , tavol o di cement o arma t o su dise gno . In primo piano l o scrit t oio del mobile su dise gno Mul ti móvel in MDF .

L

uce, spazi unitari con generosi episodi a doppia altezza, una finestra a nastro continuo che incornicia il profilo dello skyline urbano dell’intorno, il tutto avvolto in un contenitore architettonico segnato dalla presenza figurativa del cemento armato, dell’arte e del colore. È questa la casa-studio di Ruy Ohtake a San Paolo, una sintesi d’interni che sembra ben rappresentare, anche nel suo alternarsi tra linea curva e geometrie regolari, la costante della lezione del modernismo brasiliano che, dai primi maestri, Lucio Costa e Oscar Niemeyer in testa, si tramanda come un motivo irrinunciabile. Di tale ricerca Ruy Ohtake, architetto brasiliano classe 1938, allievo di Niemeyer, è uno dei testimoni.

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Flir t Double Chair sedute su dise in a cciaio di Ruy O ht ake .

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il g rande a rredo su dise gno in M DF Mul ti móvel nel l o sp azio unit ario del livel l o in ferio re.

Le sue architetture, a prescindere dalla scala d’intervento, contengono sempre la commistione tra la rigidità della lezione razionalista d’importazione europea e la sensualità della linea curva, che scaturisce da molteplici aspetti della cultura brasiliana: dall’eredità del barocco locale alla morbidezza del movimento dei corpi che danzano sui motivi delle melodie sudamericane. Anche questo ‘interno autobiografico’ può essere letto in tale vettorialità e rivelare nella soluzione compositiva d’insieme questo stimolante percorso progettuale. Sviluppato su due livelli, al 17° e 18° piano di un edificio residenziale, lo ‘spazio Ohtake’ più che una casa (mancano cucina e guardaroba) si propone come un ambiente di vita rapportato ‘a misura sartoriale’ con il suo fruitore e utente, che in questo caso è anche l’architetto della soluzione d’insieme. Un ambiente quindi fortemente autobiografico che rappresenta in chiave privata carattere e comportamenti del suo autore. Ad esempio il desiderio di un rapporto continuo con la città, testimoniato dall’enfatizzazione delle aperture continue che corrono sul fronte principale, si ritrova presumibilmente nell’assenza della cucina che ‘costringe’ ad uscire di casa e dall’ambiente di lavoro per gli appuntamenti del pranzo e della cena, cercando appunto nella città i luoghi dedicati alle pause della giornata.

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In senso orar io, l ibrer ie su d ise gno in cement o arma t o 45° Con crete shelf di col ore bl u, e R ound con crete shelf in ocra . Vista d i un angol o del sogg iorno con la triangule chair e l’ Ecol ogi cal Table su d ise gno . vedut a d al l ’ al t o verso la z ona so t t os tante del pianof or te . s i no ta il parapet t o ad ond a in cement o.

pag ina a la t o, il tagl io cur vil ine o a dopp ia al tezza e la sc ala interna d i col le gament o tra i due l ivel l i. S ul la mensola d i vetro contenut a d al l ’arco d i acc iaio, opere d i Vasco Prado; so t t o la sc ala una scul tura in a cc iaio d i Amil car de Castro . L ’uso de i col or i pr imar i este so su porz ion i di superf ic i murar ie e s trut tural i ins taura un rappor t o d ialet t ico con le opere d ’ar te distr ibu ite nel l o sp az io.

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Su una superficie complessiva di circa quattrocento metri quadrati, Ohtake distribuisce il percorso della scena dei suoi interni. Al piano inferiore il grande spazio unitario rapportato all’intera dimensione del fronte vetrato è affiancato sulle due estremità da un piccolo ufficio che annuncia la galleria espositiva alle sue spalle e da una zona soggiorno conviviale con bar attrezzato. Quello superiore, collegato con una scala interna a quello sottostante e a livello spaziale tramite un grande episodio d’angolo a doppia altezza e un taglio plastico in curva nella parte opposta, accoglie invece la zona più privata con la camera da letto, lo studio e la libreria, un piccolo terrazzo nascosto. Come in altri suoi progetti Ohtake assume gli elementi d’arredo come parte dell’architettura complessiva; il lungo arredo rettilineo che si

sviluppa per sedici metri rapportandosi al fronte vetrato come un’onda architettonica che funge da libreria per poi diventare scrittoio, si affianca con la stessa tensione compositiva ai ‘mobili fissi’ di cemento armato (le librerie geometriche colorate di blu e di ocra), ad arredi di acciaio su disegno chiamati a creare un confronto e un dialogo con pezzi di altri autori, maestri della modernità di un vicino passato e della sperimentazione contemporanea.

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Un’intervista a due voci, con l’architetto michele de lucchi che l’ha progettato e con il presidente franco moschini che fortemente l’ha voluto, per raccontare la dinamica epifania del museo di Poltrona Frau a Tolentino, nelle Marche, dove “la raccolta storica dell’intelligenza delle mani” restituisce il valore d’eccellenza del design made in Italy nel mondo

rchitetto De Lucchi, è un privilegio firmare il ‘luogo per la custodia dell’io’ di Poltrona Frau, ambasciatrice di una storia centenaria, da Torino (quando è stata fondata nel 1912 da Renzo Frau) a Tolentino, nelle Marche, dove si trasferisce all’inizio degli anni Sessanta. Quale concept ha ispirato il progetto? “Una premessa, doverosa: è il museo della Poltrona Frau, ha dunque tutte le promiscuità di un luogo, ritagliato in una porzione di 1400 mq., dentro lo spazio produttivo. Il fatto più positivo, su tutti, riguarda l’aspetto comunicativo: fa subito vedere che l’azienda crede in se stessa e nella sua storia. Poi c’è quello commerciale, perché attraendo un pubblico più ampio verso il museo lo veicola verso i propri prodotti. E, infine, quello culturale: ribadisce il valore, vissuto da dentro, della cultura aziendale, prioritario per lasciare nel tempo abilità e talenti”.

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Presidente Moschini, quali motivazioni hanno ispirato il progetto, quale il concept, e, di conseguenza, la scelta di Michele De Lucchi come ‘direttore d’orchestra’? “Riuscire a creare il museo di Poltrona Frau era un desiderio che rincorrevo da molti anni. La volontà era quella di rendere un omaggio a questo territorio, all’operosità e alla passione di quanti, ancora oggi, dedicano professionalità e competenze per tramandare e valorizzare una artigianalità colta. Con questo obiettivo in mente, Michele De Lucchi è stato il primo nome a cui abbiamo pensato. Michele ha una straordinaria sensibilità, oltre ad aver disegnato e lavorato per la Frau, associata alla capacità di decodificare i segni della tradizione e dell’artigianalità e di presentarli al pubblico con grande raffinatezza, semplicità formale e in un’atmosfera intima e calda. Il risultato del Poltrona Frau Museum è straordinario”. Nella sua visione, qual è il valore aggiunto di un

museo aziendale rispetto al prodotto che rappresenta? “Un museo aziendale, come il nostro, ha la capacità di fare immergere il visitatore nel mondo di Poltrona Frau, di comunicare il contenuto storico, artigianale dei prodotti. Se il prodotto è la sintesi estrema dei nostri valori – qualità, artigianalità, dettagli, ricerca – il museo, invece, racconta con un linguaggio universale e immediato e fortemente emotivo la nostra storia, una bella storia italiana che diventa quasi per magia anche una storia dell’evoluzione del costume e del design italiano, e non solo”. Stessa domanda per lei, architetto De Lucchi ... “In questa azienda, che i francesi chiamerebbero maison manufacture, soprattutto dimostra che il ‘saper fare manuale’ è fondamentale e tutto ha valore proprio perché è realizzato con cura artigianale, secondo modalità che si perpetuano nella storia, diventando una tradizione quasi di famiglia.

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schizz o di proget t o di michele de l ucchi e imma gine corrispondente del l ’edificio . si no ta la l unga p arete arancio d ’angol o, un element o di richiamo , insieme al por tale , che re stituisce a grande sc ala l ’applic azione di un col ore del brand e se gnala subit o l ’av vicinament o a un l uogo produt tiv o di riferiment o per il territ orio , l o s tabiliment o di pol trona fra u a t olentino . l ’area d ’ingre sso e il piccol o chios tro tut t o bianco , concepit o come uno sp azio fil tro e sterno /interno che anticip a, con effet t o nuv ola , qu ant o si vedrà dopo , domina t o d a un’imma cola ta vanity f air.

de lucchi vs moschini di Antonella Boisi

Emblematica la foto esposta all’ingresso, dove si vede un padre che insegna a un figlio la tecnica di cucitura della pelle. Questo museo traccia poi la storia, assai delicata in Italia, del rapporto tra artigianato e industria che negli anni si è modificato, evoluto nel bene e nel male, però è un argomento molto importante per chi vuole riflettere sulla capacità manifatturiera italiana. Si lega a nicchie di produzione specifiche per territori: la lavorazione della pelle e del cuoio nelle Marche, delle sedie nel Friuli, del marmo a Carrara, del vetro a Murano… Un fatto tipicamente italiano che si è declinato nel nostro Paese come in nessun’altra parte del mondo. Però, mentre in Francia, dove l’artigianato è diventato soltanto sinonimo di lusso, esiste la Sovrintendenza dei Beni Culturali Viventi – con l’obiettivo di mantenere animato il ‘saper fare a mano’, da coltivare e insegnare alle nuove generazioni, da noi purtroppo non è così: esistono molti talenti, ma nessuno si

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preoccupa di valorizzarli. Ci si affida all’iniziativa privata. Questo racconto si percepisce tutto nel museo di Poltrona Frau: si legge nel modo in cui si è presentata negli anni, restituendo valenze molto più pregnanti del mero formalismo del bel design, perché trovano relazioni con le competenze dell’artigianato”. Il progetto culturale del museo ha previsto il suo coinvolgimento nella messa a punto dei contenuti di attività future, quali mostre ed eventi di architettura e design? “Sono intervenuto soprattutto per capire ed equilibrare i rapporti tra dimensione culturale e commerciale del museo, tra cimeli storici ed esposizione di prodotti ancora sul mercato. Ci voleva una ragione in più per costruire un luogo di attrazione esterno/interno all’azienda. È stata quella di riflettere sul tema del confronto tra artigianatoindustria e in qualche modo di utilizzare il museo come competence center, un caveau nel quale conservare i tesori di Poltrona Frau, che non sono i pezzi, bensì la

capacità nel tempo di interpretare il mestiere dell’artigiano e di presentarlo come azienda”. Quali principi compositivi hanno guidato l’intervento? Quali i materiali e i colori utilizzati: in che modo e con quale intento? “Mi sono misurato con un’architettura industriale di stampo tradizionale: il classico capannone bianco all’esterno e tutto grigio in cemento dentro. Ho cercato di ascoltare un luogo silenzioso. Tant’è che la prima grande sala dell’accoglienza che si raggiunge, tramite una scaletta, è un’area speciale: una caffetteria e un bookshop che si affacciano sul piccolo cortile con le piante, un giardino-terrazzo nascosto da un muro rispetto allo stabilimento: una zona di relax inaspettata. Nell’area d’ingresso, si offre invece l’occasione di poter in un colpo solo ammirare tutta la grande competenza nella lavorazione e nella scelta dei materiali del brand. Ci sono la scritta Poltrona

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il percorso interno al muse o con le scenografiche t orri-lanterne in le gno grezz o e tel o e cru semitra sparente che ospit ano , come quinte–p al coscenico , la vit a di pol trona fra u sc andit a per ventenni e per prodo t ti iconici realizza ti d al 1912 ad oggi. la s ala de gli interiors in mo tion che a ccoglie gli inter venti nel set t ore dei tra spor ti e la s ala dedic ata ai grandi proget ti contra ct .

Frau e le sue parole-totem insieme a una sequenza di filmati. Le nove parole altro non sono che gli strumenti dell’azienda: l’ago curvo, i chiodini, il crine, la dima, il martello… oggetti che negli anni si sono trasformati per consentire al meglio le piegature, le cuciture, il fissaggio della pelle. I nove video sono invece racconti di gesti quotidiani: le fasi di lavorazione dei prodotti”. L’ alchimia di luce, trasparenze e fluidità che caratterizza quest’area di attrazione, comunicante con il piccolo chiostro interno tutto bianco, ritorna negli altri spazi del museo? “Il museo vero e proprio è stato pensato come un teatro, dove la scenografia si affida a una serie di torri di diverse altezze che utilizzano il sistema costruttivo delle quinte dei palcoscenici: un telo ecru semitrasparente teso su una struttura in legno grezzo. La torre più alta è di otto metri. Nell’insieme, tra grandi e piccole, diventano sei lanterne fuori scala, illuminate dall’interno, imponenti ed eteree al tempo stesso, che accolgono la vita di Poltrona Frau

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divisa in ventenni. Ciascuna ospita un pezzo emblematico del periodo, collocato su una pedana anch’essa fatta di un materiale elettivo per l’epoca e messo in luce da un lampadario d’antan. Ogni ventennio è poi circondato da una costellazione di altre icone, che riuniscono mobili scelti come interpreti dello spirito dei tempi. Affiancati da vetrinette espositive con documenti originali e inediti”. Quanti prodotti sono esposti nell’insieme? “Circa una sessantina, molti appartenenti alla collezione privata di Franco Moschini. La mostra storica si completa con due sale, una dedicata ai grandi progetti contract realizzati con archistar internazionali (che annoverano nove Premi Pritzker) e l’altra all’Interiors in motion, ovvero agli interventi nel settore dei trasporti – treni, aerei, yacht, automobili. Con la Ferrari in primis, oggetto di lunghe soste con irrinunciabili fotografie da parte dei più giovani”. Come si è declinato lo studio illuminotecnico per ‘accendere’ e potenziare le differenti scene?

“Si è tradotto in un gesto ‘quasi naturale’: ‘sparata’ dall’alto delle torri, la luce risulta quasi mistica, assolutamente impalpabile, preziosa, magica. Non cogli da dove arriva. Non riesci a mettere insieme con lo sguardo corpo illuminante ed effetto luminoso. Diventa apprezzabile per quella che è. Senza combinarla con nessuna razionalità e spirito di catalogazione. Perché, alla fine, per dirla come i poeti sufi, la luce è fatta della stessa materia di Dio”. Presidente Moschini, come viene articolata l’attività del museo (aperture, eventi, dibattiti, incontri) e a che pubblico si rivolge? “Il museo, uno dei pochissimi realizzati nel settore dell’arredamento, si rivolge a un pubblico molto vasto. Architetti e designer, studenti, appassionati di design e di costume, consumatori finali e tutti coloro che sanno apprezzare quell’eccellente artigianalità italiana riconosciuta in tutto il mondo. È per noi uno strumento di lavoro e sono felice che sia stato intitolato a mia madre Stella Moschini”.

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f anno p ar te del ra ccont o, la pol trona juliet , de sign benj amin huber t, 2012 (in al t o) e la pol trona l yra , 1934, (in b asso ) insieme al le imma gini rela tive al le f asi di la vorazione dei prodo t ti, che mixano competenze ar tigianali e un’ accura ta selezione dei ma teriali. la pel le è elev ata a materia di proget t o, nel l ’imbastitura di u n c h est er . f ot o gio vanni ga stel/cour te sy pol trona fra u archive s.

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Racconti superficiali

Il tema del Metissage interpretato come lettering, fusione di grafica & architettura, restituisce, nei progetti selezionati, la scrittura dell’espressività artistica, utilizzando i font quali texture e decorazione delle superfici

di Alessandro Villa foto courtesy 3ndy Studio, Andy Altmann, R2 Design

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Vedut a no t turna del so t tile ri vestiment o in a cciaio cor ten del la nuo va f accia ta di Palazz o Campiel l o, a vigono vo, inter vent o de gli architet ti di 3nd y studio e del l o scul t ore giorgio milani. Pagina a fianco , frammenti di poe sia dise gnano un traf oro minut o sul la su perficie del L e a per ture ric al cano la s agoma di quel le originali.

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a pulsione degli uomini a “graffiare” le pareti è ancestrale, molto più antica degli alfabeti tracciati sulla carta. Quando le lettere sono scolpite nella pietra o intagliate nel legno la scrittura si fonde con l’espressione artistica e le parole disegnano complessi pattern. Gli script custoditi dalle superfici sedimentano nel tempo e i grafemi sulla facciate degli edifici danno vita ad una

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miscela inseparabile di architettura e arte grafica. Questa antica consuetudine, che oggi preferiamo chiamare lettering, la ritroviamo ancora in molti progetti contemporanei. Gli architetti di 3ndy Studio hanno pensato che il progetto di riqualificazione del Palazzo Campiello a Vigonovo, un complesso di fine ’800, poteva essere un’occasione per riflettere sul tema della memoria. E non si tratta solo della collaudata – seppur raffinata – prassi di sovrapposizione di due scritture, “l’antico e il moderno”. I progettisti hanno voluto imprimere il segno del tempo sulla facciata dell’edificio con un messaggio esplicito, scritto, e hanno pensato di arricchire il progetto di un contributo artistico esterno. Per realizzare la

met al l o.

loro idea si sono rivolti al critico d’arte Philippe Daverio, artefice della selezione dei testi e suggeritore del nome dello scultore Giorgio Milani per l’esecuzione artistica dell’opera. Insieme hanno riportato a nuovo e forse inedito splendore il Palazzo di Vigonovo e l’intuizione iniziale di sostituire la facciata con la sua stessa silhouette ha reso il progetto assai più attraente dell’originale, ormai danneggiato in modo irreparabile. La nuova facciata è stata immaginata come un foglio smisurato, composto da 190 lastre di acciaio corten. Un bordo bianco delinea le aperture che ricalcano in modo inequivocabile il ritmo e il disegno di quelle originali. La superficie rugginosa dell’acciaio congela la disposizione di quelle che erano le macchie del tempo sull’intonaco e su di essa Giorgio Milani ha impresso Eco di passi nella memoria, una composizione di vuoti e pieni creati dai frammenti di 22 diversi alfabeti della stessa epoca di costruzione del palazzo.

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Vedut a aerea del la composizione tipografic a del Comed y Carpet . Il piccol o Ar turo si di ver te sul la p aviment azione crea ta d al nonno , l ’ar tis ta G ordon Young con cit azioni e af orismi del la commedia brit annic a. L e let tere sono in granit o di vari col ori anne ga te nel cement o bianco . il la yout grafico è opera del de signer and y al tmann del l o s tudio wh y no t associa te s. Pagina a fianco

, curiosit à e tempo di let

tura s tabiliscono la dura

Lettere, parole e simboli si sovrappongono come fogli lacerati attraverso cui si scorgono altri brani e altri frammenti. Di sera, l’effetto controluce della facciata retro illuminata rende la pagina sottile come una velina e la robusta rilegatura in cuoio/ corten che protegge l’edificio dalla luce del giorno svanisce come per incanto. Con un salto geografico e culturale ci portiamo sul lungomare di Blackpool a calpestare una gigantesca composizione tipografica, ben 2.200 metri quadrati di pavimentazione in cemento bianco in cui sono stati inseriti 160mila caratteri in granito di vario colore e proveniente da diverse parti del mondo. L’opera prende spunto da una serie di aforismi e citazioni di oltre 1000 comici e commediografi anglosassoni e abbina un

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ta del la visit a.

folgorante condensato di script umoristici ad una grafica “pop”, fatta di volantini, locandine e poster, distesi sul pavimento come fogli bagnati dalle onde. Il soggetto si sviluppa da una meticolosa ricerca guidata dall’artista Gordon Young per ricreare l’immagine che la “commedia” inglese ha messo in scena dagli esordi fino ai giorni nostri. The Comedy Carpet è uno spettacolo di entertainment – come dice anche il titolo – uno spazio urbano colto e divertente, una visione disincantata dell’arte pubblica, non meno impegnata ma di certo più ironica e pragmatica. Come a Vigonovo, anche questo progetto nasce da un sodalizio importante. Il layout grafico è opera del designer Andy Altmann dello studio di comunicazione visiva Why Not Associates, che da molti anni collabora alle installazioni artistiche

di Young. Le profonde radici nel luogo, i riferimenti ad avvenimenti storici e culturali convivono con le insegne dei fish and chips, i titoli chiassosi dei tabloid, ma soprattutto con azioni di coinvolgimento delle comunità locali. Tutto questo si riversa nella scrittura di racconti visivi immediati, oltre che nell’impagabile piacere estetico dello stile grafico. Per alcuni aspetti questa combinazione si ritrova anche nel lavoro di R2 Design, studio con sede a Porto fondato da Lizá Defossez Ramalho e Artur Rebelo. R2 si occupa di molte attività, dalla comunicazione alle installazioni artistiche e nei progetti si individua un’idea ricorrente: l’estensione del linguaggio tipografico a tutte le superfici. Il mondo scritto di R2 aggiunge specificità agli spazi, senza confusione di campo, anche in questo caso nel segno della miscela tra una pratica e l’altra.

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A de str a, Vai com Deus (2008), l ’al le stiment o in augur ale e sc ar amantico del l a parete di un a chie s a scons acr ata, adibit a a g al leri a d’ar te . un l avoro di r2 de sign, studio con sede a por t o f ond at o d a liz Á def ossez r amalho e ar tur rebel o. Pagin a a fi anco , Dois Tempos (2009), un a rifle ssione sul tempo con i tit oli dei quo tidi ani a let tere cubit ali. Di no t te l a vernice f osf ore scente accende le let tere per brevi is tanti qu ando le l uci vengono spente a sorpre s a.

Il recupero della Casa do Conto a Porto –un piccolo edificio dell’Ottocento trasformato in hotel – si contraddistingue proprio per le parole impresse nella solida fisicità del cemento con cui sono stati ricostruiti i solai. Nel 2009 un incendio ha distrutto quelli originali in legno, appena pochi giorni prima dell’inaugurazione di un precedente restauro e questa circostanza ha suggerito qualcosa di più che una didascalia, come recita il nome stesso dell’edificio, la “casa dei racconti”. Nel nuovo progetto i soffitti di ogni ambiente parlano di un frammento della storia dell’edificio e attraverso indizi e dettagli regalano un memorabile ricordo di viaggio. La stessa pratica si rivela perfetta anche per i progetti temporanei. “Vai com Deus” è un allestimento che riunisce sulla facciata di una piccola chiesa – ora trasformata in galleria – diverse espressioni evocative del divino a lettere cubitali. Il successo di questa prima opera ha portato R2 a concedere il bis l’anno successivo, nel 2009. “Dois tempos” è una riflessione sul tempo attraverso i titoli dei giornali scelti per ottenere messaggi ironici. Le frasi vengono riproposte a colori fosforescenti che di sera fanno sembrare le lettere illuminate di luce propria (in realtà la luce è proiettata dal lato opposto della stradina e quando si spegne per incanto le lettere rimangono “accese” per qualche attimo). L’approccio liberatorio alla tipografia si legge anche nel processo inverso, negli alfabeti composti da oggetti inusuali, come il celebre Font Found, il carattere ideato da Paul Elliman che ha “trovato” una serie innumerevole di sagome e silhouette di oggetti comuni per riscrivere le lettere dell’alfabeto. Ogni lettera è unica e tutti gli oggetti provengono dai grandi magazzini o dai negozi di ferramenta. La passione per gli alfabeti materici deve essere contagiosa. Una breve visita del web e troviamo una vasta rassegna di corpi umani, biscotti, utensili modellati per dare vita a innumerevoli font. Kitsch e design: alfabeti di pastafrolla convivono con il Clay Font, le lettere di argilla di Giulio Iacchetti. La contaminazione tra generi e linguaggi cede il passo ad una diversa interazione, una mescolanza dolce di forme espressive.

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Da Hans Knoll a Rem Koolhaas

testo di Alessandro Rocca

Una lunga e nobile storia che si rinnova all’insegna di una partnership d’eccezione: quella con lo studio Oma. Così Knoll festeggia a Milano i suoi 75 anni anni e presenta in anteprima i progetti per il suo prossimo futuro. Ce ne parla l’amministratore delegato del marchio, Andrew Cogan

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Pubblicit à del la celebre sedia T uli p di Eero Saarinen, prodo t ta d a Knol l dal 1958. N el la pagina a cc ant o, dal l ’al t o in senso orario: dise gni di s tudio di uno dei nuo vi proget ti realizza ti da OMA per Kn ol l ; la Pol trona Wo mb con poggia piedi, dise gna ta d a Eero S aarinen n el 1946; Pos ter del 1970 circ a sul la retros pet tiv a dei prodo t ti Knol l , Uno dei proget ti di i mmagine grafic a realizza ti d a Massi mo Vignel li per l ’aziend a americ ana a par tire d al 1966; C o mu n ica z io n e pubblicit aria del la pol trona W o mb, model l o 70, dise gna ta d a Eero S aarinen nel 1946.

P

er il grande rilancio, che avviene in occasione del suo settantacinquesimo compleanno, Knoll sceglie Milano. Dopo molti anni di assenza, la storica azienda americana torna infatti al Salone del mobile e lo fa alla grande, con una duplice presenza: in fiera, con uno stand progettato da Rem Koolhaas e dal suo Office for Metropolitan Architecture, e in città, nello spazio Prada di via Fogazzaro 36, con l’anteprima della collezione di arredi firmata sempre da OMA, che di fatto segnerà l’inizio dei nuovi 75 anni. Di passato, presente e futuro abbiamo parlato con il Ceo di Knoll, Andrew Cogan, a cui abbiamo chiesto quali sono le strategie e gli obiettivi di questo ritorno milanese. “Knoll è stata fondata 75 anni fa con l’idea di portare il progetto moderno sia nell’ambiente ufficio che in quello domestico. Questa duplice visione ha sempre contraddistinto la nostra visione culturale e la nostra strategia commerciale. In Europa, questa potenzialità non era stata sviluppata appieno. Per questo motivo abbiamo chiesto a Demetrio Apolloni, nel ruolo di presidente di Knoll Europa, di portare tutta la sua esperienza nel settore del design domestico per rafforzare la posizione del marchio, soprattutto in questo ambito. Questo approccio fa leva sui classici moderni del nostro catalogo, pezzi firmati da Mies van der Rohe, Saarinen, Bertoia e Schulz, per incremententare la nostra visibilità e la nostra presenza nel mercato europeo. Nello stesso tempo, vogliamo enfatizzare la nostra contemporaneità con prodotti disegnati da grandi talenti di oggi, come Rem Koolhaas e David Adjaye, perché non vogliamo restare legati alle icone del modernismo e, nello stesso tempo, intendiamo allargare la nostra produzione a tutte le tipologie dell’arredo domestico. Da qui la scelta di presentare a Milano la collezione di imbottiti Lounge disegnata da Barber Osgerby”.

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Quali altri progetti presenterete al Salone? “Il nostro ritorno al Salone del mobile, dopo molti anni di assenza, si realizza in stretta connessione con OMA (lo studio di Koolhaas), che firma sia l’allestimento del nostro stand sia alcune delle nuove collezioni. Sono almeno 15 anni che volevamo lavorare con Koolhaas ma la collaborazione si è avviata solo l’anno scorso quando, insieme al nostro chief designer Benjamin Pardo, abbiamo incontrato Rem, nel suo studio a Rotterdam, e abbiamo pianificato un’ampia collezione che vuole cambiare radicalmente lo spazio del lavoro. Il mio pezzo favorito è un oggetto che può essere trasformato da chi lo usa in qualsiasi cosa, da uno schermo a un tavolo a una panca, e che può prevedere una grande varietà di comportamenti nel modo di lavorare e nelle diverse forme di relazione interpersonale. Sono certo che questo pezzo, che sarà al centro del nostro stand, diventerà una nuova icona, per Knoll, e il simbolo del nostro impegno per un design veramente innovativo e moderno. Inoltre, nello stand portiamo anche altri prodotti, sia classici che inediti, raccolti attorno al tema ‘Modern always’, moderni per sempre, che è il nostro motto per il 75° compleanno di Knoll”. Quale posizione vi prefiggete di raggiungere in Europa? “Vogliamo semplicemente ripresentarci con la nostra identità e con le nostre capacità. Knoll è sempre stata globalmente riconosciuta come un esempio di leadership nella concezione del design. Negli anni Quaranta, con la guida di Florence Knoll, la nostra Planning Unit ebbe un ruolo fondamentale nell’evoluzione moderna dello spazio di lavoro. Oggi, stiamo di nuovo indicando le nuove prospettive per l’ambiente di lavoro con

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1. Hans e Fl orence Knol l , un sod alizio c he se gna gli anni d ’oro del la produzione modernis ta di Knol l . 2. Pol trone B arcel ona® e tavolino S aarinen. 3. una pu bblicit à del la sedia T ulip di Eero S aarinen, in produzione d al 1957. 4. L a col lezione di sedute proget tata da Fran k G ehr y, 1992. 5. Ch aise L ongue del la C ol lezione dise gna ta da Arc hite cture & Associé s , 2012.

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6. Immag ine pubbl icitar ia per la celebre sed ia in rete met al l ica d ise gna ta da Harr y Ber t oia, 1952. 7. Chaise L ongue del la Col lez ione 1966 dise gna ta d a Ri chard Schul tz . 8. Schizz o d i stud io d i Frank G ehr y 7. per la Cross Check Arm Chair, basata sul la te cnol og ia del le Str isce 10. d’acero cur vat o. 9. L a pol trona W ass il y, dise gna ta da Marcel Breuer nel 1925, è prodo t ta da K nol l dal 1969, in se gu it o al l ’acqu isiz ione del l ’az iend a d i Dino G avina . 10. Tavol o Fl orence K nol l e pol tronc ine Brno . 11. Dise gno d i stud io d i Warren Pla tner per la col lez ione del 1966. 12. Col lez ione d i tavol i e sed ie T ul ip dise gna te d a Eero Saar inen. 13. Col lez ione Fl orence K nol l .

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progetti come il sistema Antenna, la prima vera piattaforma globale che si indirizza agli stili di lavoro, sempre più simili, di europei, asiatici e americani. In Europa, la nostra offerta continua a crescere e possiamo competere con chiunque. Sul fronte domestico, i nostri classici sono un elemento centrale ma non sufficiente e perciò al Salone mostreremo come stiamo allargando la nostra offerta con nuovi prodotti, per esempio con la collezione di Barber Osgerby. Nei prossimi anni presenteremo tante altre iniziative, sul fronte domestico; questo è, secondo noi, il campo che promette maggiori margini di crescita. E non si tratta solo di arredi: il nostro brand KnollTextiles e i nostri marchi legati al cuoio, Spinneyback e Edelman, si impegnano sempre di più in questo settore e nel contract. L’anno scorso abbiamo acquisito un fantastico produttore di feltro, FilzFetl, che ci fornisce i migliori materiali per layout domestici e da ufficio, e alla fine di quest’anno apriremo un nuovo flagship store a

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New York, all’angolo con il MoMA. Tutto questo significa più visibilità nei confronti del pubblico e delle aziende”. Qual è l’essenza specifica, il carattere peculiare che identifica Knoll e la sua produzione? “Penso che sin dalla sua fondazione, 75 anni fa, Knoll si distingua per l’impegno nell’alta qualità e nel design innovativo, originale e senza tempo che risponde ai problemi e ai bisogni reali. Aborriamo decisamente ciò che è frivolo, trendy e non originale”. L’avventura di Knoll dunque continua, anche in presenza di un quadro economico non proprio rassicurante... “Negli ultimi dieci anni ci siamo tutti abituati a muoverci in un ambiente più incerto, più aleatorio, ma io guardo all’Europa come a una grande opportunità perché noi abbiamo un brand fortissimo e uno share ridotto. Se appena ci adeguiamo a quella che è la nostra reputazione, il nostro business raddoppia. Ma ho anche imparato

che dobbiamo affrontare il mercato europeo con un management che sia radicato e che operi sul territorio. Credo che le ultime scelte fatte in tal senso ci daranno grandi soddisfazioni”. Qual è il vostro rapporto di collaborazione con Prada? “Grazie a Rem abbiamo potuto avere un ruolo nella presentazione dell’ultima collezione uomo di Prada. Abbiamo una grandissima stima per la visione di Miuccia Prada e siamo davvero onorati che lei ci abbia concesso lo spazio di via Fogazzaro per presentare il nostro lavoro con Koolhaas che, ne sono certo, sarà uno dei punti culminanti del FuoriSalone”.

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Sopra: Col lezione di

tavoli e sedie di segna ti da Mark K ru sin, 2011.

Accant o: Pol trone per uffi cio G enera tion e L ife , 2009, disegna te d al l o studio ne ozelande se F or mw ay. Sot t o: Pol trona di segna ta d a Edw ard B ar ber & Jay Os ger by. N el la p agina a ccant o: ‘L a casa ideale ’, l ’al le sti ment o al l o studio AMO realizza t o l o scor so gennaio a Milano d per la Sfila ta Prad a U o mo A/I 2013. Per l ’o ccasione sono stati pre sent ati in antepri ma i pro t otipi del la col lezione di arredi che R em Koolhaa s svil upperà per K nol l .

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Nuovo sentimento romantico di Cristina Morozzi

Let t o matrimonia le Cora llo let t o, un gro vig lio casu ale di fi lo met allico dora t o che ha origine dalla ormai f amos a sedia Cora llo. Design F ernando e H umber t o Campana per Edra . N ella pagina a ccant o, da sinis tra: Ar madio de lla serie H erit age con ante rive stite d a classi che azu lejos por t oghe si, Produzione Boca do L obo; Vaso in cerami ca, de sign Pepa R ever ter per Bosa ; S eparĂŠ T elo, una s trut tura in legno che f a da oss atura ad un ogget t o d alle mo ltep lici de clinazioni, Design L orenz Kaz per Co lĂŠ.

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Il design accoglie il senso contemporaneo dell’indeterminatezza. Nascono così nuovi linguaggi che attingono alle forme della narrazione e della poesia per documentare una realtà multipla e mutante, non misurabile con la pura ragione

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n tempi di crisi, che non è mai solo economica ma, in qualche misura, esistenziale, alla ragione sfugge la composizione tra determinato e indeterminato. Essa si scopre inadeguata alla comprensione del mondo e della costellazione variegata delle sue immagini. Sorge allora un pensare altrimenti, privo di fede nel processo lineare del tempo, non nostalgico o regressivo, ma cosciente della inadeguatezza del linguaggio classico della filosofia alla comprensione del reale. Un pensare diverso che si esplica nelle forme della narrazione e della poesia e che si nutre di sentimenti, più che di ragione, aperto ad accogliere il difforme, il vago e il magico, inteso come qualcosa di indicibile che sfugge al controllo dell’intelletto. Sta in questa indeterminatezza e in questa tensione verso un modo altro di guardare (rispetto all’idealismo hegeliano) l’origine del romanticismo, con i suoi paesaggi sfumati, immersi nel pulviscolo solare, o nelle ombre crepuscolari.

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Lampad a a sospensione cos tituit a d a un leggera gabbia in fi lo met allico che ra cchiude i l diffusore in vetro lat timo . Design Ate lier O ï per Venini .

Al raggio della ragione che disegna con esattezza i confini, si sostituisce la luce tremula dell’immaginazione, che rischiara, senza fugare le ombre, adatta a cogliere le contraddizioni che abitano il mondo contemporaneo, inafferrabili al puro concetto. In questa prossimità alla tensione, al vacillare e al rischio dell’ignoto, si rivela, secondo i romantici, la verità dell’arte. Il romanticismo aspira agli “infiniti spazi e ai sovrumani silenzi”, quelli che Giacomo Leopardi, considerato un esponente della poesia romantica in Italia, sognava ad occhi aperti “al di là di quella siepe”, e che rappresentavano, metaforicamente, i limiti della pura ragione. Possono dirsi, genericamente, romantiche molte creazioni contemporanee. Non in senso stilistico, ma ‘esistenziale’, poiché non esistono nei manufatti odierni similitudini formali con quelli d’epoca romantica. Analoga appare, infatti, la disposizione di alcuni designer ad abbandonare il linguaggio esatto della disciplina classica per abbracciare un eloquio poetico/narrativo, in grado di accogliere le luci e le ombre di una realtà multipla e mutante, che sfugge a una misurazione razionale. Esiste oggi, in mancanza di certezze e di previsioni attendibili, un’attitudine personale a esporsi all’indeterminatezza e allo scarto romantico. Ne deriva una varietà espressiva, difficilmente riconducibile ad un’unica corrente formale. L’attributo romantico calza alla creatività odierna, anche nella sua originaria accezione linguistica. Quando il termine romantico entrò in uso in Inghilterra a metà del XVII secolo e in Italia, alla fine del medesimo secolo, fu usato come sinonimo di romanzesco/pittoresco. Il suo vero significato è, invece, informale, irregolare, eccentrico, finzionale. Le condanne etiche ed estetiche, sedimentate sulla parola, al pari di una patina degenerativa che ne hanno trasformato il significato in melenso e sdolcinato, dipendono dal suo carattere contraddittorio, inviso ai cultori della pura ragione. Fautore di un sentimento romantico, Friedrich Schlegel, invece, partendo dal frammento di Iperione di Friedrich Hölderlin (1794), affermava che la ragione “nulla può di fronte alla contraddizione: dal puro intelletto non è mai uscito nulla d’intelligente e dalla pura ragione nulla di ragionevole”.

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Acc ant o: Assiet te suspendue à l a guirl ande de rose s , un a del le opere in porcel l an a del l a serie ‘Mousse de S èvre s’ di José L év y per La Manuf acture de Sèvre s. S ot t o: mobile contenit ore G ood V ibr ations di Ferruccio La vi ani per F ra tel li Boffi . In b asso: Baut a del l a col lezione ‘Defor mazioni venezi ane ’ di Ga et ano Pesce per Venini , serie in edizione li mit ata di vasi in vetro so ffiat o.

L’attributo romantico, avulso dall’epoca storica di pertinenza e inteso come temperatura dello spirito, può essere considerato una di quelle parole che i filosofi chiamano ‘valigia’, adatta ad accogliere significati plurimi, anche conflittuali. Anche nella sua accezione originaria si rivela pertinente a molti progetti di design contemporaneo, non ascrivibili a una precisa tendenza, risultato d’ibridazioni disciplinari e d’incursioni in vari territori geografici ed in diversi intervalli epocali. A Colonia la mostra allestita al Makk Isn’t It Romantic, curata da Tulga Beyerle (14 gennaio/21 aprile 2013), ha proposto una selezione di opere ritenute romantiche, cogliendo un fermento diffuso e aprendo una strada percorribile. Su questa ci incamminiamo con un repertorio diverso, adatto a entrare in questa ‘capiente valigia’, nella convinzione che il sentimento romantico sia un’attitudine contemporanea.

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Design d’arte:

nato e cresciuto negli Stati Uniti, scarpitta (1919–2007) ha mostrato un fortissimo legame con le origini italiane, muovendo la carriera fra Usa ed Europa; il suo rapporto con l’Italia è consacrato nel 2005, quando l’Università degli Studi di Torino gli conferisce la Laurea Honoris Causa in Lettere e Letterature Straniere

Salvatore Scarpitta di Germano Celant

S

e l’arte dell’Ottocento chiude il ciclo di una ricerca contemplativa ed estetica, dove l’oggetto è strumento dell’osservare e del consumare attraverso lo sguardo, nel Novecento essa diventa una maniera del formare e del costruire, dove a contare non è più l’esperienza del piacere sensuale, ma il desiderio di sviluppare e di dare vita a un linguaggio poetico che si affermi per la propria autonomia. Un cambio di segno dall’osservare al produrre che fa trapassare l’oggetto da un’entità da contemplare a una cosa funzionale alla mente o allo sguardo, al tatto o all’uso. Un transito verso la presa di posizione responsabile dell’arte verso il mondo delle cose che la circondano e un procedere etico ed ermeneutico che porta la pratica dell’artista verso una produzione di cose, la cui presenza è dettata non più dal vedere ma dal ‘funzionare’, così da affermarle per gli effetti sul

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pensiero e sul gusto, sul decoro e sul mercato. Un trapasso dal disinteresse all’interesse per una presenza concreta ed effettiva nel contesto sociale che porta all’affermazione di un linguaggio visivo e plastico parallelo, se non coincidente con l’arte applicata. Di fatto, è un capovolgimento dalla ricerca pura al design, inteso come sintesi tra arte e vita. Qualcosa di virtuoso e utile che elimina le rappresentazioni tradizionali per far emergere un tutto che serva a far vedere, quanto a fruire le vere forme delle cose che riguardano il vivere quotidiano. Un percorso storico che parte dal Costruttivismo russo e continua con De Stijl e Bauhaus per approdare, dopo la Seconda guerra mondiale, all’affermazione di un’arte ‘interessata’ a tutte le pratiche del fare e dell’esistere arrivando con Warhol a una pluralità di manifestazioni che toccano dal

Vedute del la mos tra , Sal vat ore Sc arpit ta, al la Gam di T orino , fino al 3 febbraio 2013. Fot o Paol o R ubino .

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Sal Ardun Spe cial , 1964 -1983.

business alla pubblicità, dal cinema alla ristorazione, dal decoro alla performance. Un procedere che ingloba il reale e passa dalla passività dello sguardo all’attività della produzione che nel suo ‘design’ tende a fagocitare il tutto. In tale clima di transito dall’estetico al poetico, dal visuale al funzionale, va assunto il percorso di Salvatore Scarpitta che, dopo un avvio figurale dove a contare era il contenuto sociale, passa nel 1957 a un costruire, quale procedere funzionale all’essenza stessa della pittura, basata sul soggetto ‘superficie’ ritagliata e dipinta, che nell’artista prende la forma di bene e di fasce, intrecciate a cinghie e fibbie. È un lavorare sulla logica interna della cosa artistica che, sulla traccia di Alberto Burri e di Lucio Fontana, lo avvicina al procedere in parallelo di Piero Manzoni ed Enrico Castellani, di Robert Ryman e di Frank Stella, così da portarlo a riflettere sulla logica del costruire un’entità artistica. Il passo successivo è allora la definizione, se non l’attuazione, di una costruzione d’arte che sia cosa e scultura al tempo stesso. L’oggetto che legittima questa osmosi è la macchina da corsa, proveniente dagli autodromi frequentanti nell’infanzia dall’artista stesso. Pertanto non meraviglia che il passaggio dalla pittura aggettante degli anni Cinquanta si traduca, nel 1964, nella costruzione di Rajo Jack Spl, una cosa non solo da osservare, ma potenzialmente da usare, tanto che a questo rifacimento plastico l’artista farà seguire negli anni ricostruzioni totalmente funzionanti. Il trapasso dal luogo neutro, ma attivo, delle opere con bende e tubi a un luogo dell’incontro con la motivazione personale non è una rottura, ma un transito armonico perché spinge la tecnicità del suo fare verso un oggetto o un’immagine di riconoscimento. Questa lascia trasparire l’istanza del costruire, vincolandola al costruttore e ai sui valori e ai suoi piaceri. È importante sottolineare che nel 1961 Scarpitta espone, tramite Leo Castelli, presso la

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Dwan Gallery di Los Angeles per cui si presume venga a conoscenza degli interessi di Virginia Dwan e della sua attività espositiva. Tra questa, oltre a Yves Klein, Jean Tinguely e Niki de Saint-Phalle, emerge la presenza di Edward Kienholz, artista californiano famoso per i suoi tableau altamente realisti, da Roxy’s, 1961-1962, a Back Seat Dodge 38, 1964. L’esposizione di Scarpitta si apre nel 1961, anno in cui Walter Hopps dedica, nel Pasadena Art Museum, sempre a Los Angeles, un’antologica a Kienholz, per cui la sua attitudine a rappresentare veristicamente dalla chiesa al bordello, dall’aborto alla comunione sacrale attraverso assemblage di manichini e di mobili, porzioni di ambienti e di arredi, dev’essere pervenuta all’attenzione di Scarpitta. Rispetto all’artista californiano, la sorgente iconica a cui attinge Scarpitta non è il simulacro mediatico, ma l’immagine reale di eroi e di miti che hanno segnato la sua infanzia e la storia dell’automobilismo veloce. L’effige che è recuperata per dare corpo a una sindone meccanica è la raffigurazione del veicolo da corsa, costruito – come un quadro o una scultura – per compiere un altro viaggio nello spazio e nel tempo, secondo parametri estetici, plastici e cromatici: “Mi sono messo a fare automobili, perché mi sembrava di correre

direttamente alla sorgente di quelli che erano i contenuti dei miei quadri. Invece di applicare il tubo di scappamento ai quadri, l’ho messo dove stava prima”. Se prima l’intesa tra veicolo e guidatore (Scarpitta) era sottesa e nascosta sotto un disordine plastico, in Rajo Jack Spl, 1964, completamente ricostruita in legno, vetroresina, cuoio, metallo e gomma, così da apparire una copia dell’originale, visto dall’artista in California, il segreto viene svelato. Il dispositivo dinamico si esprime, e costruisce un discorso pieno che esclude ogni evocazione. L’oggetto compare in modo diretto: “l’automobile da corsa era, secondo me, il modo più preciso di arrivare ad un dialogo al di fuori di qualsiasi considerazione del mito newyorkese, era cercare di entrare in dialogo con se stessi”. L’urgenza di dare visibilità reale al veicolo stesso, per cercarne una significato originario, rientra nella strategia linguistica di lavorare sulla struttura di rappresentazione del fare e del costruire, dove l’arte è insieme fatto e tradizione. La tensione verso la creazione di una copia, in assenza di un originale, oscilla tra il desiderio di andare all’origine, ma al tempo stesso di simularlo, come prodotto popolare e culturale. Un intreccio tra post-realismo e pop, dove il primo trova le sue fonti nei primi lavori pittorici di Scarpitta, dal 1933 al 1953 la cui

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Cot and L o ck Step n. 2 Cargo , 1989-2000.

R acing C ar , 1990.

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Senza Titol o , 1958.

Bend ato , 1960.

componente politica riemerge nella scelta della macchina pilotata da Rajo Jack, in realtà l’afroamericano Dewey Gatson, che per ragioni razziali venne escluso dalle grandi competizioni: “La prima auto in assoluto, Rajo Jack del 1964, non era una vera macchina da corsa ma rappresentava un personale atto di contestazione verso la discriminazione di un pilota di colore a cui fu vietato di correre sulle piste ufficiali degli Stati Uniti”. Rispetto a Kienholz e a Segal, che alimentano la loro ricerca dei frammenti o dei calchi tratti dal reale, l’attitudine di Scarpitta è per un’assoluta somiglianza del veicolo artistico con la realtà stessa. In tal senso la sua costruzione si colloca nella scia di un procedere pop, nutrito dal ‘reale’ pubblicitario che fa del segno o dell’immagine un valore d’uso, dove l’apparenza diventa sostanziale. La Rajo Jack Spl anticipa quindi un iperrealismo, dove l’arte si avvicina in maniera allucinatoria al reale. Materializza un originale immaginario che non esiste più: realizza il prototipo di una simulazione tecnologica, esagerata ed ossessiva, del mondo, tanto da confondersi con esso.

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Tra il 1965 e il 1969, le motivazioni innocenti e specifiche della passione per i motori e della memoria per le gare automobilistiche portano allo svelamento di altri feticci, sia che la loro immagine sia mnemonica, sia perché legata al ritrovamento di frammenti originali di macchina: nasce una scuderia assemblata nel suo studio-garage che va da Hal Special, 1964-1965 poi modificata nel 1983, a Sal Cragar, 1969, passando attraverso S.A.L. Haist -Railduster Spl, 1966, ed Ernie Triplett Special (S.A.L. Ernie Triplett Spl), 1968-1969. Qui il raddoppiamento di appartenenza dal pilota all’artista è indicato dall’iscrizione dei S.A.L., come Salvatore, che sottolinea la relazione intersoggettiva tra il veicolo e il suo guidatore estetico e plastico. L’ordine personale che era palese nelle opere realistiche riemerge con un grado di parentela diretto, per cui da questo momento l’integrazione tra arte e vita ritorna in scena, non più nel senso di un autoritratto o dei ritratti di amici e parenti, come negli anni quaranta e cinquanta, ma dal 1985 con la costruzione di un veicolo funzionante, Sal Scarpitta Special, e, dal 1986, attraverso la discesa in pista professionale e la creazione di una sua squadra automobilistica con cui competere nei track, piste di terra battuta, dal Maryland alla Pennsylvania: “Essere artisti è avere riflessi pronti, in questo senso siamo vicini ai corridori”. L’affermazione esagerata del carattere iperreale della macchina che spinge la cosa costruita ad apparire quale immagine, in modo che finiscano di confondersi l’una con l’altra, appartiene ancora all’universo della simulazione che viene dalla pubblicità e dalla comunicazione visiva, perché si nutre di figure, tratte dalla memoria e dalla riproduzione su giornali e riviste, tanto che tale processo pop viene scelto intorno al 1966 da un altro artista, Pino Pascali, nella realizzazione visualmente fittizia, delle sue scenografie televisive, e dei suoi strumenti di guerra: dal siluro alle bombe a mano, dal cannone alla mitragliatrice, Contraerea, 1965. Al contrario, Scarpitta non è disponibile a figurare artificiosamente un’immagine o un oggetto, vuole ‘ricostruirlo’, così da mettere in evidenza, come negli oggetti a muro degli anni 1958-1963, il costruire dell’immagine in quanto immagine. Nel 1973 infatti si impegna, come per alcune macchine da corsa di cui aveva trovato i frammenti, nella ricostruzionerestauro di un originale, Lince (1943-44), 1973. La captazione del veicolo che era stato perduto e cancellato, dalle frantumazioni e dai tagli, e la sua riproposta si traducono in un’altra costruzione segnica, perché il veicolo viene mostrato, a Milano, in un territorio ambientale che funziona da superficie portante: viene esposto imbragato e immobilizzato tramite cinghie e circondato da involucri acquei, teloni marcati dal simbolo della Croce Rossa. Non è solo un veicolo, quindi, ma un frammento di un’ambientazione e di una zona di sospensione quasi scenografica, quella di un desiderio di immobilità e di silenzio. Un qualcosa che si integra alla storia di Scarpitta e alla sua posizione pacifista, dove gli oggetti compiono un periplo, tendono a sottrargli un peso concreto per sublimarsi in immagine, come era successo con le prime macchine da corsa o con le sue raffigurazioni appiattite Racing Car 21 e Racing Car 51, 1967-1968. Anche il Lince (1943-44), 1973, rientra

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Race r Rol le r (Rol le r Bo ard), 1963.

infatti nel sistema visuale dell’arte, è ridipinto di rosa e fissato sulla superficie del cortile milanese, come parte di una scena puramente plastica: “After I finished it, I belted it to the ground, covered with grease, so one would get near it, spayed water on it, filled the tarps around with water. After I built it, I had to chatch it. You can build something, but it can escape you, it can go beyond or be less. My problem was that I was going beyond me so I had to immobilize it”. È ripensato come un tubo di scappamento o una cintura di sicurezza inserita nei veicoli-quadri a parete, non più raddoppiando il reale, ma come componente di una figura “costruita”, e richiama in orizzontale le costruzioni verticali, da Diogenes (X Member), 1961, a Body Press, 1963, e Race Roller (Roller Board), 1963. Quindi, un’operazione di appropriazione, ma al tempo stesso di estraniazione, così che entri in un campo di referenti, l’acqua, la croce rossa, i teloni, il rosa, che le sono estranei e servono a confermarle una ridistribuzione semantica del suo significato. Non più strumento di guerra, ma veicolo di sensibilità carnale e passionale, che viene integrato nell’universo dinamico e linguistico di

Scarpitta. Lince (1943-44), 1973, rientra allora nel processo di assemblage dell’artista fino a perdersi in un insieme che, pur sottraendosi allo spazio del quadro entrando nel contesto architettonico, ne adotta la costruzione e la logica. A partire dal 1974, la configurazione della macchina da corsa lascia campo ad un altro strumento da competizione, la slitta la cui identità costruttiva si richiama alla produzione di veicoli della tribù Inuit, popolazione antica del Dorset. È quasi un ritorno all’artigianato, dove il design industriale lascia campo a quello antropologico, pur mantenendo il tema della corsa ora l’interesse è per il primitivo e l’arcaico. Tuttavia, il tema è sempre quello della velocità soltanto che riguarda una cultura indifesa ed estinta: un’ulteriore prova dell’interesse di Scarpitta per un vivere dinamico che si nutre di innocenza quanto di energia, entrambe forze scatenanti.

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La fine dell’eurocentrismo di Andrea Branzi

esportati in tutto il mondo, i codici del movimento moderno a breve non saranno più codici universali, in quanto l’eurocentrismo sta declinando, mentre i Paesi del Brics stanno ascendendo. e la nostra cultura del progetto, così auto-referenziale, per salvarsi dovrà ben comprendere la svolta epocale e aprirsi ai nuovi scambi culturali

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utti sanno che il Movimento Moderno è nato in Europa (salvo le avanguardie russe) e i suoi codici sono stati esportati in tutto il mondo, non solo come stile, ma come verifica dell’emancipazione dei diversi Paesi e del loro ingresso nel nobile consesso della civiltà. Questo processo espansivo è stato una parte non secondaria della politica colonialista, non solo economica ma soprattutto culturale, del Vecchio continente nei riguardi dei nuovi continenti (che, a volte, sono più antichi dell’Europa…). Con l’inizio della globalizzazione, l’Europa ha perduto la sua centralità e ha iniziato un processo inverso, costituito dall’influsso dalle culture e delle economie dei Paesi emergenti del Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica); le filosofie di questi lontani imperi stanno modernizzando la nostra vecchia e stanca modernità. L’euro-centrismo sta lentamente declinando.

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In que ste p ag ine: Andrea Branz Fot o di Anna Serena Vit ale

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i, Unité de Medit ation , 2013.

Le immigrazioni, la pressione industriale, l’influenza di nuove religioni, sembrano violare l’antico focolare della nostra ipotetica supremazia ebraico-cristiana. L’ibridazione di cui stiamo parlando, infatti, non consiste soltanto in un nuovo eclettismo stilistico, ma nell’avvento di logiche e filosofie totalmente lontane dal razionalismo del XX secolo e delle sue fragili certezze; eventi, cioè, in grado di inaugurare una nuova stagione nella cultura del progetto in tutto il mondo. Se, infatti, l’Europa subisce l’influsso dell’estremo Oriente e del profondo Sud, è anche vero che questi territori importano oggi frammenti e segmenti della nostra cultura. Questo è, forse, l’unico aspetto positivo della globalizzazione, che è fallita come portatrice di un ordine mono-logico: non ha prodotto l’omologazione dei cervelli, ma, al contrario, ha aperto uno spazio nuovo della conoscenza tra gli uomini e degli uomini. Questa sorta di ibridazione del genere umano non ne appiattisce le diversità, ma produce una nuova definizione delle certezze antropologiche, che

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non garantiscono più certezze oggettive, ma uno stato di opacità sulle nostre stesse radici, che non ci garantiscono più l’accesso ad antiche eredità. Radici che, nel tempo, ci hanno dato l’illusione che fuori dall’Occidente esistesse un deserto dove, come si diceva un tempo, hic sunt leones... Non posso dimenticare che nel lontano 1969 partecipammo, come gruppo radical, alla Triennale di Milano con un allestimento in stile islamico: dopo tanti decenni, quell’intuizione si è dimostrata profetica: esiste un’altra faccia della Luna. La guerra santa, non dichiarata ma già in corso, dimostra che le diversità teologiche ancora esistono e che sono in grado di spaccare il mondo… Quando il nostro Paese si presenta sui mercati internazionali come made in Italy, patria dell’eleganza e del buon gusto, ottiene soltanto il risultato di isolarsi, specializzarsi, e non riuscire a rinnovarsi a contatto con altre civiltà. Questi sono alcuni degli aspetti che caratterizzano il XXI secolo, così diverso dal precedente: ibridazioni, contaminazioni, sincretismo

e insieme risveglio delle diversità, delle specificità locali, degli assolutismi religiosi. La nostra cultura del progetto si muove dunque con grande difficoltà tra queste complessità e queste nuove opportunità: sostanzialmente auto-referenziale e calvinista, continua a contemplare se stessa, ma al contempo avverte che il suo percorso sta arrivando a una svolta epocale. I giochi si stanno dunque riaprendo per il design e per l’architettura, ma, anche e soprattutto, per i diversi comparti produttivi. Le questioni teoriche di cui ho parlato non sono che lo specchio riflesso di una nuova rivoluzione industriale, impegnata da una parte ad affrontare la concorrenza internazionale, a conservare le proprie identità territoriali e, contemporaneamente, a uscire progressivamente da queste, per aprirsi a nuovi scambi culturali. La fine dell’euro-centrismo è una sfida che investe complessivamente la nostra società: questa sfida apre una difficile stagione di transizione, il cui esito è ancora tutto da capire.

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Un incontro a Parigi nello studio dei due designer bretoni mentre definiscono i dettagli dell’installazione che, in occasione del FuoriSalone di Milano, racconterà i nuovi valori del trasporto su quattro ruote

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on è un’operazione per promuovere l’ultimo modello di macchina elettrica. Dell’auto neppure la traccia. Ronan e Erwan Bouroullec progettano un’installazione per BMW all’interno di un chiostro della Facoltà Teologica di Milano. Non è tanto, o soltanto, un’iniziativa di comunicazione durante la kermesse del FuoriSalone, quanto un metaprogetto sulla mobilità del futuro. È un puro momento concettuale, evocazione della materia e dell’esperienza dell’utente all’interno di un’auto elettrica. I fratelli Bouroullec hanno avuto carta bianca nella progettazione dell’opera e hanno scelto un linguaggio nuovo per il settore dell’auto. Ne parliamo con loro e Benoit Jacob, Head of Design di BMW i. Bouroullec: “Non eravamo sicuri di essere interessati alla proposta perché non troppo affascinati dal settore dell’auto. Ma ci ha convinto il poter ragionare su nuove idee. Non parliamo infatti di velocità né di ‘virilità’ dell’auto, ma di questioni più ampie come la mobilità in città o il suono che la macchina emette. Vogliamo concentrarci sull’emotività, la bellezza. Sul rapporto con il paesaggio esterno. Sono occorsi due anni per sviluppare quest’idea con BMW. Non volevano realizzare una concept car ma trovare una possibilità per parlare di movimento in modo poetico.

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la bottega dei bouroullec testo di Valentina Croci foto di Kira Bunse

Dise gni, schizzi e c ampioni di materiali: R onan ed Er w an Bouroul le c met t ono a punt o il proget t o Quiet Motion per BMW, un’ins tal lazione che rile gge il concet t o di mo bilit à sos teni bile B MW i. In al t o, da sinis tra: Benoit Jaco b, H ea d of Design B MW i, Er w an Bouroul le c e il fra tel l o R onan.

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Model li in sc ala del l ’ins tal lazione che verrà ospit ata nei chios tri del la F acol tà T eol ogic a di Milano , dal 9 al 14 aprile . I model li ra ccont ano l ’ev ol uzione del proget t o, na t o d al l ’idea del parco te matico e poi approd at o a una serie di pia t tafor me ro tanti cia scuna dedic ata a un concet t o qu ale il co mfor t o la condivisione . Il materiale prev alente è il sughero che s arà finit o con i col ori bril lanti del le vernici per aut o. Strisce di te ssut o w aterproo f deli mit ano l ’area senza chiuderla .

Aprendoci a caratteri più umani e a domande più ontologiche che vanno al di là della semplice guida. E cambiando il punto di osservazione: per esempio, domandandoci cosa fa una famiglia con l’auto, anziché fermarci all’analisi del mezzo stesso. È un approccio quasi femminile, che investiga l’emozione ed è più centrato sull’uomo e la narrazione che sulle prestazioni del veicolo”. Jacob: “BMW e i Bouroullec fanno mestieri differenti ma entrambi realizzano prodotti che si relazionano con l’utente e mostrano una visione. C’è una ricerca affine sui temi della riduzione e della semplicità. Ci serviva un approccio diverso perché, come è un errore impiantare la tecnologia elettrica nel vecchio mondo produttivo, così per parlare di vetture elettriche è necessario fondare un nuovo linguaggio. È fondamentale affrontare il tema della leggerezza, intesa come eliminazione di complessità e sovrastrutture, e alleggerimento sia in termini fisici che funzionali. La leggerezza è il punto di inizio che individua non soltanto una macchina ma le qualità del movimento. Leggerezza e silenzio, fibra di carbonio e nuova energia propulsiva sono i presupposti qualitativi e i materiali che introducono alla rivoluzione nel mondo dell’auto”.

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Bouroullec: “Nell’ultimo decennio c’è stato un cambiamento enorme nel concepire gli ambienti. Come il mondo dell’ufficio che si è domesticizzato e il web ha aperto le frontiere dell’ibridazione dei settori, così l’auto si sta muovendo velocemente in territori inesplorati. Per questo è importante trovare un approccio ‘primitivo’ e immediato, come quello dei bambini, ben predisposto alla sorpresa. La complessità dell’auto deve lasciare spazio all’uso: le macchine, sempre più automatiche, devono diventare più collettive e vicine ai valori del mondo. Nella progettazione dell’auto, lo stesso utilizzatore deve essere reinterpretato. Quindi, non bisogna parlare tanto di sostenibilità legata alle prestazioni del veicolo, quanto di comportamenti che influiscono più della tecnologia applicata”. Jacob: “Questioni tecniche come l’utilizzo di internet, la qualità dell’abitacolo e il rumore sono già state risolte. Tuttavia non si è lavorato molto sui comportamenti degli utenti. Se i programmi di ‘cruising’ (guida automatica) sono più sofisticati, allora la mera guida sarà secondaria alla percezione dello spostamento. Oppure, se nella megalopoli si trascorrono molte ore negli spostamenti in auto, la qualità dell’ambiente

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interno diventa cruciale. Bisogna aggiungere valore a questi momenti di pendolarismo rendendo la macchina un piccolo loft su quattro ruote. È in questa analisi dei comportamenti che l’auto deve aprirsi al product design, perchè le persone, che oggi hanno più accesso alla cultura del design, sono più pronte al nuovo. Il progetto che verrà presentato alla Facoltà Teologica di Milano ragiona in questo senso e lancia un messaggio aperto alle personali interpretazioni dei visitatori”. Bouroullec: “Il silenzio è la vera identità della macchina elettrica. E la qualità che deve essere mostrata: non sentire il motore e percepirsi dentro il paesaggio, in modo più simbiotico. Per rendere tangibili i valori legati alla nuova idea di mobilità, inizialmente avevamo pensato a un parco tematico come Disneyland, che poi ha preso la forma di piattaforme rotanti – la poesia del progetto sta proprio nel movimento – che rimandano a concetti come il comfort e la condivisione. Successivamente abbiamo optato per uno spazio centrale che evoca l’esperienza dell’interno dell’auto, ma insolitamente collettiva. Inoltre abbiamo cercato il dialogo con gli spazi della Facoltà Teologica, che è un monastero e una scuola di preghiera e teologia,

al fine di rimandare a idee di quiete e rispetto per l’uomo. La nuova macchina elettrica è ricordata anche attraverso la citazione di materiali quali la fibra di carbonio. Li abbiamo scelti considerando sia l’interno che l’esterno dell’auto, ma usati in modo alternativo e opposto rispetto alla consuetudine. Ad esempio, impieghiamo all’esterno il sughero, materiale prevalente nell’installazione, e tessuti estremamente resistenti. Questi ultimi ridotti in strisce per non rendere l’ambiente chiuso. Anche il tetto della piattaforma rotante, 20x20 metri, è resistente e protettivo ma al contempo leggero. Vogliamo costruire un’atmosfera calma rispetto alla frenesia che ci sarà intorno e conferire un’idea di lentezza. E soprattutto non essere ovvi. Ci auspichiamo che il visitatore sia incuriosito sul perché di quest’installazione per BMW e che sia portato a informarsi senza imporre messaggi o slogan predefiniti”.

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Trap Ligh t di Mike Tho mpson e Giona ta Gatto , un proge tto sponsorizza to d a Gl otech In terna tional . La lampad a è f ond ata su ll’uso di pigmen ti f oto lumine scen ti che re cuperano l’energia dispers a d alle f on ti luminose e la rieme ttono come luce visibi le. N ella pagina a cc an to: un Dettag lio dei pigmen ti lumine scen ti ing lob ati ne l ve tro con un proce sso tra sferi to d alle lavorazioni di Murano .

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l design al tempo della crisi sceglie di guardare avanti verso le scienze più avanzate per cercare nuovi stimoli, nuove estetiche ma anche nuove forme di rigore e di efficienza. L’incontro con la scienza si profila come una nuova opportunità di avvicinare la dimensione del design al progredire del mondo e delle sue conoscenze, colmando il divario tra gli oggetti della nostra vita quotidiana e l’evoluzione della ricerca scientifica. Il risultato dell’intersezione è un nuovo universo di oggetti e progetti generati dal trasferimento di principi e concetti scientifici definito Hybrid Design perché abitato da entità che sono ibride non solo perché generate dalla sintesi di diversi saperi, ma anche perché appartenenti ad una dimensione intermedia tra natura e artificio. I designer si spingono nel tentativo di accogliere i flussi evolutivi dei complessi fenomeni

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scientifici sintetizzandoli in progetti dal forte contenuto concettuale e immaginifico che aprono varchi nella turbolenza della velocissima evoluzione scientifica, per estrapolare punti di vista, interpretazioni e visioni. Uno scenario vivace e stimolante in cui il progetto si fa tramite dell’innesto tra scienza e società, dissolvendo le barriere allo scopo di suscitare l’interesse delle persone riguardo ai temi più attuali della scienza, affinché tutti possano conoscere e dunque partecipare al cambiamento. In Italia l’Hybrid Design è nato nel 2006 nell’ambito di un laboratorio di sperimentazione progettuale della Seconda Università degli Studi di Napoli che si propone di analizzare il fenomeno dell’ibridazione con le scienze e, in particolare, con la biologia contemporanea, e di proporre un “codice progettuale ibrido” adeguato alla complessità della attuale società bio-tecnologica.

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hybrid design

Dall’incontro del progetto con la scienza nasce un nuovo universo di oggetti che riscrivono i confini tra natura e artificio e delineano scenari avveniristici. Anche nel mondo della casa di Carla Langella

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Lampad a Sti ll Light di Cyga lle S hapiro per lo s tudio d-Vision . ibrid a un sis tema di illuminazione a Led con un circuit o e let trico ed e lementi organici. Il concept intende sensi bilizzare rigu ardo le risorse na tura li richie ste per produrre anche picco le qu antit à di energia uti lizza te ne lle at tivit à quo tidiane ( F ot o: G u y H echt; C op yright: d-V ision) .

WAT, Manon Leb lanc . Pro t otipo di lampad a aliment ata d a una bat teria idroe let tric a at tiv ata d al calcio contenut o ne ll’acqu a. L’utente p ar te cip a alla produzione di luce aliment ando la lampad a con l’acqu a.

In questo nuovo ambito di progettazione, il designer può intervenire a diverse scale e spingersi a diversi livelli di complessità nelle infinite declinazioni della scienza contemporanea. Può scegliere di applicare modalità di trasferimento più semplici e immediate che usano come riferimenti estetiche, strutture o morfologie codificate dalla scienza, come avviene nel progetto Clouds di Ronan e Erwan Bouroullec che traducono la logica con cui si formano le nuvole in sistemi modulari di configurazione variabile per spazi interni. Ma il design ispirato alla scienza può anche inoltrarsi in trasferimenti di logiche, principi e fenomeni che delineano scenari avveniristici, come quello in cui gli utenti, seguendo protocolli di design ibrido, ‘allevano’ i loro oggetti come se fossero creature semi-viventi. La lampada Latro, progettata da Mike Thompson, ad esempio, contiene alghe luminescenti nano-modificate che, per poter fornire luce, richiedono di essere alimentate, mediante una sorta di ‘rituali’ quotidiani, con acqua, anidride carbonica e radiazione solare. Analogamente, gli Elements di Mathieu Lehanneur sono concepiti come oggetti quasi-biologici, belli e misteriosi, che agiscono sul ‘sistema fisiologico’ della casa piuttosto che limitarsi ad arredarla.

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Blood Light , Mike Tho mpson . Per entrare in funzione la lampad a in vetro ha bisogno di qu alche goccia di s angue che , grazie a l ferro contenut o nei g lo bu li rossi, at tiv a una sos tanza blu lumine scente in grado di i lluminare l’ampo lla. L’esperienza , dal f or te contenut o emo tiv o, diviene veico lo di un me ss aggio etico che mira a porre l’at tenzione su lla ne ce ssit à di ridurre g li spre chi di energia .

Latro , Mike Tho mpson , concept di lampad a che incorpora i l po tenzia le di energia na tura le de lle a lghe interpret ando le ricerche su lle nano te cno logie de g li scienzia ti de lla Yansei U niversit y e de lla Stanf ord U niversit y. L’utente p ar te cip a alla vit a de ll’ogget t o re spirando vi dentro per f ornire CO 2, rif ornendo la di a cqu a ed e sponendo la alla radiazione so lare per consentire la f ot osinte si.

Il design interseca la matematica attraverso il trasferimento di logiche, algoritmi e codici parametrici che generano nuove forme progettuali definite algorithmic design, generative design, computational design, parametric design. Il codice viene utilizzato come strumento di gestione di flussi informativi nel processo progettuale e in quello realizzativo, ottenendo strutture assai prossime alla complessità morfologico-strutturale della natura. Tra natura e codice si muovono i progetti di Neri Oxman, di Ben Aranda e Chris Lasch e degli italiani Co-de-iT.

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Light T oMe di Nahue l Matia s Vega per ILIDE. È u na lampad a d a tavo lo a L ED che i ng lob a il s ale valorizza ndo le c apacit à co ndut ti ve e rif let te nti dei suoi cris talli.

L’intersezione tra design e biologia nella dimensione contemporanea assume le molteplici declinazioni che rispondono alle definizioni di biomimetic design, biomimicry, bionic design. L’ispirazione alla natura può essere esteticoformale o strutturale, come quella della seduta Bone Chair di Joris Laarman che trasferisce i principi di ottimizzazione strutturale e i modelli di crescita delle ossa, fino all’implementazione di principi biologici che generano prodotti multifunzionali, autonomi, auto-organizzati, autoadattivi, interattivi, reattivi e mutevoli, sempre più vicini alla dimensione biologica. Nella relazione tra design e fisica le leggi e i principi fisici, così astratti e indecifrabili per molti, sembrano prendere forma, concretizzarsi divenendo visibili e dunque quasi comprensibili, come avviene nello sgabello Gravity Stool dell’olandese Jolan van der Wiel, frutto della sperimentazione delle forze magnetiche e di gravità nel processo di realizzazione. L’interazione del design con la chimica e con la scienza dei materiali sono molteplici ed hanno spesso lo scopo di riabilitare la chimica agli occhi delle persone o di renderla semplice e vicina. È il caso della lampada LightToMe to me di Ilide progettata da Nahuel Matias Vega, che utilizza semplicissimo sale come conduttore elettrico. Ha invece un valore concettuale il tavolo-lampada Still Light di d-Vision, un sistema che può essere definito ibrido perché connette elementi organici e metallici. L’intersezione tra design e scienza è un fenomeno in crescita che sta configurando nuovi paesaggi evolutivi nel mondo del lavoro e nuove professionalità: l’esperto in design per la comunicazione e visualizzazione della scienza; il designer di strumenti scientifici o medici evoluti; il designer di arredi e accessori science-inspired. Uno degli scenari più avveniristici che si prospetta è dato da una visione che interseca il design con la biologia sintetica, secondo cui nelle case del futuro le persone potrebbero generare, nutrire e crescere i propri oggetti intervenendo artificialmente nei codici biologici di sistemi naturali, che, in questo modo, diventano ibridi, semi-biologici, con proprietà più estese ma più controllabili della natura stessa. Lampade che seguono la luce solare perché utilizzano la luminescenza di alghe o batteri derivata da processi biochimici, tessuti realizzati mediante fermentazione di materia organica, sistemi intelligenti di produzione e rilascio dei farmaci fondati sull’evoluzione della fitologia, fino ad arrivare ad accessori personalizzati prodotti da colture cellulari di cellule proprie o di persone care. Sembrerà strano e in un certo senso anche inquietante, ma tutto questo esiste già e sta rapidamente valicando le frontiere tra scienza e design, tra i laboratori e le nostre case.

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di Valentina Croci

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ella lezione di Droog Design Jurgen Bey prosegue, con la partner Rianne Makkink, la ricerca nell’ibridazione delle discipline e della morfologia degli oggetti. Niente è mai scontato. Un continuo effetto sorpresa, a tratti surreale, porta l’utente a interrogarsi sull’origine delle forme e sui rituali che instaura con le cose. Il designer diventa una sorta di alchimista, capace di mischiare riferimenti culturali e contestuali, dando vita a prodotti che travalicano la mera funzione pur essendo oggettivamente funzionali. La serie per l’azienda olandese Prooff nasce proprio da studi sul movimento del corpo e sull’interazione dell’utente in spazi pubblici e lavorativi. I prodotti dello studio Makkink & Bey mostrano continue citazioni. Elementi della tradizione sono decontestualizzati e

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Convivenza di opposti Jurgen Bey e Rianne Makkink fanno dell’ibridazione di discipline e forme il presupposto dei loro progetti. Per svelare ambiti inesplorati

accoppiati in mix postmoderni che li rendono atemporali. Come la serie Kokon in cui il rivestimento in fibra sintetica ed elastica da un lato trasforma due pezzi disgiunti, dall’altro ne svela i contorni familiari. Spesso queste alchimie sono ottenute attraverso la negoziazione tra opposti. Come in uno dei pezzi più celebri di Jurgen Bey, la panca a tronco d’albero, nella quale l’inserimento di sedie di differenti epoche simboleggia l’interazione tra natura e cultura. Dalla scala urbana ai pezzi unici da galleria, lo studio Makkink & Bey paragona il design alla corsa nell’atletica: molte e differenti discipline trovano oggi una sempre più forte specializzazione, ma proprio grazie alla loro comparazione è possibile scorgere nuovi campi di ibridazione e trovare nuovi sbocchi per la pratica progettuale.

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Sot t o: Di Rianne Makkink e Ju rgen Bey pe r l ’azien da olan dese Prooff , SideSeat mischia rife rimenti tipol ogici – la sedia, il tavol o e il contenit o re – pe r utilizzi i bridi (F ot o Pim T op) .

N el la p agina a cc ant o, in sen so o rario: Di Ju rgen Bey pe r Droog De sign , Kok onfu rnitu re (1999) a ccoppia sedute di riu so con una fi bra ela stic a e sintetic a (f ot o Bo b G oe dew aagen) . Per la G ale rie de Pierre Be rgé & associé s di Bruxel le s (2008), l o stu dio Makkink & Bey realizza la sedia in fel t ro ricope rt o con un la vo ro a maglia (f ot o Alain Spel t doo rn) . L a Tr ee Tr unk Bench di Ju rgen Bey pe r Droog De sign (1998) t rasf o rma i t ronchi di Or anien bau m con sedute in bronz o (f ot o Ma rsel L oe rman s). Rit rat t o di Ju rgen Bey e Rianne Makkink (f ot o Jeroen H of man) .

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L’alto col basso

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il design anonimo che ha ispirato il progetto. O meglio l’operato strettamente funzionale, privo di velleità artistiche, degli operai brasiliani che lavorano nei cantieri di Marcio Kogan, l’architetto brasiliano dello studio MK27. Strutture provvisorie e ausiliarie, costruite ad hoc per le varie fasi di costruzione, hanno suggerito al designer l’idea dell’integrazione, dell’innesto formale, materico e funzionale. Costruiti con materiali trovati sul sito, i pezzi sono modificati con elementi aggiuntivi, spesso di alto artigianato, in un contrasto tra grezzo e sofisticato che conferisce poeticità alla materia e soprattutto pone l’accento sul saper-fare dell’uomo. Rappresentano anche la cristallizzazione del tempo, della progressione del lavoro sottesa al prodotto finito,

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Marcio Kogan, con Manuela Verga e Paolo Boatti, trova l’equilibro tra pragmatismo di cantiere e alto artigianato nel progetto Prostheses & Innesti

che rimane per lo più sconosciuta e negletta. Il progetto Prostheses & Innesti, presentato dalla galleria londinese Fumi, raccoglie un lavoro di quattro anni a cui si sono aggiunte opere nate dal restauro del castello cinquecentesco di Vigevano, seguito dagli architetti Manuela Verga e Paolo Boatti. Queste ultime, denominate Made in Italy, sono state concepite e realizzate in Italia, rappresentando l’eccellenza del nostro artigianato, come il vetro di Murano. Per sottolineare il riferimento al luogo del restauro, gli architetti hanno cercato contaminazioni con materiali locali quali il travertino e la seta comasca. Dal cantiere alla galleria, questi oggetti ‘innestati’ ricompaiono trasformati nel significato e nella funzione originari e con una nuova prospettiva di vita. (V.C.)

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Sot t o: Da un f oro pra tic at o nel piano na sce il vaso realizza t o dal la Vetreria Gio Al cuni pezzi del la col lezione i realizza ta Segu so di V enezia . L a strut tura ben evi denzia la sua pro venienza di c antiere . Prostheses & Innest da Marcio K ogan/S tu dio MK27 Proget t o di Manuela V erga e Paol o Boat ti. con Manuela V erga e Paol o Boat ti, pre sent ata dal la gal leria Fumi di L on dra l o scor so set te mbre . N el la p agina a cc ant o, da sini stra: l o sgabel l o con ga mbe a diver sa al tezza e inne sti di mo saico Bisazza , realizza t o con Manuela V erga e Paol o Boat ti; Proget tati da Marcio Kogan, il Bar T rilili e il contenit ore Mesa Dรก Hora , co struiti con pezzi di scar t o di c antiere; Il piccol o tavol o con la mpada inte gra ta Me sa L uzlino di Marcio K ogan.

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Tra natura e artificio

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orme che sembrano ribellarsi alla loro costruzione geometrica e mostrano un guizzo che vivifica l’oggetto inanimato. In questa particolarità risiede il design del giovane francese Benjamin Graindorge, selezionato dal VIA e posto all’attenzione internazionale dalla galleria parigina Ymer&Malta nel 2011. Per quest’ultima ha realizzato cinque arredi sul tema del sogno che sottolineano la ricerca sull’espressività della materia. Spesso i riferimenti sono al mondo naturale, come la rugiada cristallizzata in una lampada in vetro, o le curve orografiche tridimensionali che svettano sulla superficie di un tavolo o che mutano nelle pieghe di una seduta. Segni e richiami simbolici sono resi astratti dal cambio di scala e dalla decontestualizzazione.

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Dal principio della contaminazione nascono i progetti di Benjamin Graindorge, concepiti come microcosmi di relazione tra oggetto e utilizzatore

Nel descrivere i suoi prodotti Graindorge utilizza spesso la parola “paesaggio”, sottolineando come essi siano microcosmi di relazione tra utente e oggetto e passaggi osmotici tra natura e artificio. Analogamente, la scelta dei materiali, dal Corian policromo all’imbottito, dal legno alla ceramica e al vetro, gli consente di trasfigurare i riferimenti visivi e conferire all’utente un effetto sorpresa con un lieve senso di smarrimento. Un tocco quasi dadaista che ha reso il design di Graindorge affine agli oggetti prodotti dall’azienda francese Moustache, con cui ha iniziato una collaborazione. “La contaminazione è l’essenza del design – ci racconta – perché il progettista non crea ma assembla l’esistente. Per accostarsi alla vita, alla delicatezza e renderci più vicini a ciò che è umano”. (V.C.)

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Sot t o: La lampad a in ceramic a Cave per Mous tache (2012) vuo le richiamare i p ar tico lari effet ti de lla luce radente su lle pareti di una gro t ta. In b asso: Soft Wild Sof a è un proget t o di ricerc a per Kvadra t (2012) su l tema de ll’imbo t tit o. N on si ricerc a la tipo logia funziona le qu ant o l’ad at tament o de l corpo li. alle cur ve de lla sedut a in po sizioni non convenziona N ella pagina a cc ant o, dall’alt o: F allen T ree è la panc a prodo t ta dalla ga lleria Ymer&Mal ta che rappre sent a il moment o di tra sf ormazione de l legno di quercia da ramo a ogget t o ar tificia le, 2011. Da un proget t o di ricerc a di Mous tache con Corian DuPont , Pyrénée s (2012) è un un tavo lo anima t o da cur ve orografiche mode llate in 3 D, che divengono e lementi funziona li.

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Le creazioni di José Lévy sono il punto di convergenza di moda, design, arte, artigianato e architettura e il risultato di un talento versatile applicato a realizzazioni virtuose

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Designer insaziabile di Cristina Morozzi

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Sopra: due det tagli del l ’in stal lazione Oasis: Luc o Noctambu le , una p ar tit a a scacchi ai G iardini del L u ssemburgo , realizza ta da Jo sé L év y ed e spo sta per la prima vol ta nel 2009 al la gal leria parigina Emmanu el Perro tin . L e pedine del la scacchiera sono realizza te con t opi imb al samati. N el la p agina a cc ant o: un R itra t t o di Jo sé L ev y (credit Stephane Manel) e una vi sta d’in sieme del l ’in stal lazione che At tu almente è in mo stra al la gal leria p arigina Ne xt Le vel .

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osé Lévy abita a Parigi in un piccolo appartamento fine secolo vicino al Jardin des Plantes (5 Arrondissement), dove sovente si reca per nutrire la sua immaginazione: è la natura cittadina, più di quella campestre, a stimolarlo. Lavora in casa, in soggiorno, con un MacBook Air sistemato su un tavolo di Eero Saarinen. Racconta del suo lavoro, conversando pacatamente, accomodato in poltrona e offre cioccolata calda, profumata ai fiori d’arancio. Considera il non possedere uno studio una condizione di libertà, della quale è insaziabile, che lo stimola ad abbeverarsi a tutte le possibili fonti d’ispirazione e a sperimentare tutte le arti: design, moda, arte, artigianato, architettura, scenografia. La stessa insaziabilità la dimostra nel fare. È chiamato “Monsieur Plus”: la Manufacture de Sèvres nel 2009 gli chiese una serie di 18 statuine, ne fece 36!

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Classificarlo è impossibile. Le sue creazioni sono il punto di convergenza di un insieme di discipline e il risultato di un talento versatile, che mette alla prova con realizzazioni virtuose. Traspare dal suo approccio l’intenzione di disorientare, pizzicando tutte le corde della sua multiforme creatività e dando forma a progetti ibridi, che sempre lascino porte aperte all’interpretazione. Si adopera a far leva sulle emozioni, dando forma a oggetti nei confronti dei quali sia possibile un’adesione istintiva, anteriore alla comprensione razionale. Con le cose cerca di stabilire un rapporto di complicità per esporsi alle emozioni che suscitano. Le considera creature, dotate di una propria vita, con le quali avviare un sodalizio, che può durare a lungo, ma anche, d’improvviso, interrompersi, come accade con le persone. Ha iniziato con la moda. “L’abito” afferma “è l’oggetto che ha il rapporto più intimo con il corpo”. Per 13 anni ha gestito con successo una propria collezione uomo, rivelando una capacità fuori del comune, sia nel taglio, sia nelle scelte cromatiche.

Parallelamente ha collaborato come direttore dello stile per Nina Ricci, Cacharel, Emanuel Ungaro, Holland&Holland, ma anche con Monoprix, La Redoute e André per sperimentare il rapporto con il grande numero. Per non farsi fagocitare dalla propria griffe, che era cresciuta troppo in fretta, ha deciso di abbandonarla, per riconquistare una condizione di libertà che gli consentisse di aprirsi a nuove esperienze. Stimolato dalla sua curiosità, quasi ossessiva, ha cominciato a collaborare come artista e designer con gallerie d’arte (Tools, Perrotin, Next Level) e aziende, mettendosi alla prova con le tecniche più diverse. Tra i suoi progetti: biancheria da bagno per Garnier Thiebaut, cristalli per Saint-Louis, porcellane per la Manufacture de Sèvres e per Astier de Villatte, ceramiche per Asiatides, arredi per Roche Bobois, tappeti per la Manufacture de Moroges, specchi per Domestic… “Mi piace sfidare” afferma “il saper fare, per raggiungere risultati inediti. L’eccessivo rispetto della tradizione penalizza la libertà creativa”. Da questo suo forzare il limite e da una cura, quasi maniacale, di ogni dettaglio deriva la magia dei suoi oggetti. La serie di statuine in candida porcellana per la Manufacture de Sèvres, giocate su imprevisti innesti formali, sorprende, non solo per la scelta dei soggetti, ma per il fine ricamo dei dettagli.

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Grandi ma schere , realizza te con la te cnic a del tatami e utilizzabili come sedute: sono i pezzi ispira ti al so ggiorno giappone se di José L év y a vil la Ku joyama a Ky ot o, realizza ti per la mos tra Judogi al le stit a l o scorso set tembre pre sso la gal leria pari gina Next Leve l. In b asso: Statuine in porcel lana bianc a del la serie ‘Mousse de S èvre s’ realizza ti da Manuf acture de Sèvre s.

Pur nel rispetto delle forme classiche e delle tradizioni esecutive, riesce a disorientare, cogliendo sempre un imprevisto, grazie a uno sguardo che unisce lo stupore romantico al nitore scientifico. Esempio calzante di questo sottile scarto è Ma Pharmacie in rue de Tournelle (premio della Camera di Commercio di Parigi 2012), una normale farmacia di quartiere. Eppure vi si coglie un’atmosfera diversa: una quotidianità inedita, offerta dai dettagli: l’effetto di profondità, un diverso ritmo degli scaffali, le piante rampicanti, il riflesso luminoso della griglia dei neon sulla vetrina e la grande croce verde pixelata. José rivela la rara capacità d’essere ibrido, senza clamore, quasi in sordina, regalando alle sue creazioni un inatteso, delicato sussurro.

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Copp a Chardon, in cri stal l o col ora t o int aglia t o, su b ase in cri stal l o bian co con motiv o t or chon. Appar tiene al la Col lezione Corol laire , serie li mit ata di 29 e semplari di segna ta per Cris tal lerie S aint -L ouis .

Sopra e a de stra: il nuo vo ri st orante L es Cl o che s, in rue Mazarine a Parigi, cara t terizza t o d al gio co di rifle ssi crea t o da spe cchi e d al soffit t o dora t o. Sot t o a de stra: l ’interno di Ma Phar macie in rue de T ournel le a Parigi, do tata di una griglia di ne on a soffit t o che sot t olinea il rit mo del le scaff ala ture .

Sopra: un Det taglio del tappet o ‘Mare ’ realizza t o manu al mente in edizione li mit ata da Manuf acture de Moroge s . Sot t o: un R endering del tappet o realizza t o e ‘scolpit o’ manu al mente in lana .

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Oggetti bipolari di Stefano Caggiano

La collisione tra la dimensione dell’ordine e quella del caos genera creazioni ibride, metafore di un’epoca in cui non è più possibile contenere il prorompere della creatività all’interno di forme ordinate e ben definite

In al t o: Un pezz o del la ser ie Hy-breed del l ’ingle se Charl ot te Kingsnor th , incroc io d i tela i di mob il i d’epoc a con f orme c arnose b iomorfe . S ot t o: At O ne , di Charl ot te Kingsnor th , ra ccont a il le game d i f us ione tra una persona e il s uo sof à, tram ite la ‘carne ’ del l ’ogget t o c he s i gonf ia int orno al la corn ice in le gno .

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designer sanno bene che la definizione formale del progetto è sempre frutto di un compromesso tra esigenze contrastanti. Per questo l’oggetto di design è per sua natura un’entità metastabile, avvinta da polarità divergenti che vanno dal versante pragmatico (funzione, uso) al quello cognitivo (estetica, significato). Alcune delle manifestazioni progettuali più ‘estreme’ portano deliberatamente allo scoperto questa ambiguità, come la seduta Vincent dell’olandese di origini asiatiche Ka-Lai Chan, oggetto perfettamente razionale sfregiato da una ferita che immette nella struttura ‘apollinea’ dell’archetipo un elemento caotico, ‘dionisiaco’. I concetti di apollineo e dionisiaco, introdotti in ambito estetico dal filosofo Friedrich Nietzsche, incarnano la contrapposizione tra i valori solari dell’ordine e della ragione (rappresentati dal dio greco Apollo) e quelli oscuri del disordine e dell’ebbrezza (rappresentati da Dioniso), di cui l’arte tenta, senza mai riuscirci, una sintesi riconciliante. È la collisione fra queste due polarità a dare corpo a oggetti come il tavolo in legno Brindille, del francese Félix Lapierre, ed Experimental Hybrid Storage Furniture, della giovane designer ungherese Kata Mónus, ibridazione tra la forma ordinata dell’oggetto razionale e la confusione organica del tissulare.

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Acc ant o: ‘T he O rdin ar y Famil y’ è un a col lezione di mobili dise gn ati da Ka-Lai Chan ispir andosi al le s t orie del l a su a famigli a e di famiglie int orno a lei. La sedut a Vincent par te d al l a riel abor azione del model l o per l a serie ‘N o S ign o f Design’ di R ich ard H ut ten. S ot t o: Il tavol o Brindil le è re alizz at o d al l ’ar tis ta eb anis ta fran cese F élix Lapierre mescol ando l a form a l avor ata a strut tur a del le gno con un fascio di r ami l asci at o a vista. In b asso: Il proget t o Experiment al H ybrid St or age Furniture , pre sent at o se per l a prim a vol ta come te si di l aure a dal l a de signer unghere Kata Mónus , ri assume gr an p ar te dei suoi intere ssi, che vanno dal le te cniche te ssili tr adizion ali al l a passione per le s trut ture , dai tatu aggi al ricicl aggio .

Il termine ‘ibridazione’ viene del resto dal greco hýbris, che significa ‘tracotanza’, ‘eccesso’, ‘prevaricazione’, crescita di una sostanza oscura, ma vitale, che prorompe dall’interno spezzando la forma che dovrebbe contenerla. Anche le sedute At One e Hy-breed dell’inglese Charlotte Kingsnorth esibiscono lo stesso scontro ‘ibrido’ tra ordine e crescita, contenimento ed eccesso, struttura e vita. Secondo Nietzsche, il contrasto tra apollineo e dionisiaco è chiaramente esemplificato dall’opposizione “fra l’arte dello scultore, l’apollinea, e l’arte non figurativa della musica, quella di Dioniso: i due impulsi così diversi procedono l’uno accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio fra loro e con un’eccitazione reciproca” che ne perpetua l’antitesi. E invero, l’oggetto di design può essere paragonato proprio a uno strumento musicale, la cui struttura materiale e funzionale, pur necessaria alla produzione del suono, non coincide con la musica. Così come nel design la struttura materiale e funzionale, indispensabile alla determinazione dell’oggetto, non ne esaurisce il senso, che rinvia alla sua capacità di attingere al tempo che sta vivendo per scollinare verso un prossimo futuro – come fanno questi oggetti ibridi, ‘bipolari’, metafore di un’epoca in cui è diventato impossibile contenere il prorompere delle energie creative all’interno di forme nette e ben definite.

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La lampad a Cont ainer dise gna ta da Benj amin Hu ber t per Ligne Roset è rea lizza ta in due p ar ti cerami che tenute insieme da un e lement o in si licone , senza l’uti lizz o di co lle o viti.

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parti a parte

Con la pratica dell’innesto, che non amalgama le componenti ma le conserva nella loro distinzione, il design ricostituisce la grammatica degli oggetti ed esprime il bisogno di una nuova limpidezza estetica e costruttiva

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a corrispondenza tra forma e funzione – asse concettuale attorno a cui si organizzano le diverse teorie del design – è stata messa fortemente in discussione dall’avvento della meccanica digitale, che ha reso possibile concepire oggetti dall’aspetto perfettamente ‘opaco’ (si pensi a un iPhone spento) dotati di una ‘trasparenza’ funzionale scivolosissima (telefonare, accedere ad internet, fare foto, video, ecc.). L’esperienza-utente felicemente inedita di questi prodotti quasi ‘magici’ è però di recente entrata in congiuntura con un’altra dimensione della smaterializzazione, quella della finanza rispetto all’economia reale, all’origine della profonda crisi di sistema che sta interessando le economie occidentali. Da questo cortocircuito del reale e del suo segno sta emergendo un bisogno di nuova limpidezza che il design traduce in configurazioni formali articolate sui costituenti elementari dell’oggetto. Un esempio è rappresentato dalle composizioni a vista di lampade quali Container di Benjamin Hubert per

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di Stefano Caggiano

Ligne Roset, Scooby Doo di Giorgio Bonauguro per la brasiliana La Lampe, Kurk del giovane Craig Foster, e Olab disegnata da Grégorie de Laforett per Galerie Gosserez, tutte esperienze accomunate dal tentativo di provvedere a una ricostituzione della grammatica degli oggetti che, pur nella leggerezza dei linguaggi attuali, riporti la relazione utente a un livello di ‘sostenibilità cognitiva’ analogo a quello che si ha nei confronti della bicicletta, oggetto di cui ‘ci si fida’ perché caratterizzato da evidenza costruttiva e logica nuda, articolata alla luce del sole. Abbiamo quindi a che fare con progetti che, esibendo l’intima dialettica costruttiva delle parti, si allineano alla generale tendenza al ‘tangible smart’ riscontrabile non solo nel design ma in molti altri settori, come quello dei servizi. In un mondo che sta diventando opaco per eccesso di trasparenze che tendono a stratificarsi, la presenza di oggetti dalla concezione tersa assume un valore quasi terapeutico, una sorta di ‘design therapy’ che (in

analogia alla ‘art therapy’, che aiuta a rimettere ordine nella psicologia tramite la pratica della creazione artistica) favorisca il disboscamento di ogni forma di elucubrazione estetica e ‘rumore semiotico’ fine a se stesso e contribuisca a ripristinare una dimensione di limpidezza nell’orizzonte cognitivo delle persone. Non è quindi un caso che, oltre alle lampade (che ben si prestano ad assumere il ruolo di sculture domestiche ‘terapeutiche’) anche altre tipologie, come i tavolini Gilda di Eric Jourdan e Fewer Than 3 di Jonathan Sabine, il vaso Minimal disegnato da Ding 3000 per Discipline, e persino la trappola per topi Sweet Anticipation di Mark Sturkenboom (che trasforma la percezione di uno sgradito topo catturato in casa in quella di un grazioso roditore scelto e voluto), procedano nella direzione di questa ri-grammaticalizzazione dell’oggetto tramite l’esibizione della sua anatomia costruttiva, facendo leva sull’innesto quale punto di giunzione reso evidente e semanticamente connotato.

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sopra: La sedut a Stuck de llo s tudio o lande se Oat o per Kuperus & Gardenier è ot tenut a ricomponendo in maniera a lterna tiv a g li elementi di una sedia archetipic a, assemb lati con ‘schiet tezza ’ cos trut tiv a in una s trut tura che non ne ce ssit a di u lteriori suppor ti. (f ot o: Oat o Design O ffice) acc ant o, da sinis tra: Met a, di S amue l Accoceberr y per i l marchio france se Al ki, è una sedut a di e co-concezione impi labi le, rea lizza ta in ma sse llo di ro vere e tappezza ta in lana ( F ot o: Mit o); La sedia Eriz , dise gna ta da Moritz S chmid , è rea lizza ta d a Atelier Pfis ter in legno ma ssiccio di fra ssino . Lo schiena le è cur vat o a vapore e i l sedi le funziona come punt o di incontro de g li elementi, lasciando a vis ta i det tag li di conne ssione .

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aprile 2013 Interni A sinis tr a: S weet Anticip ation, di Mark S turkenboo m, è un a tr appol a per t opi che tr asf orm a l a percezione di uno sgr adit o t opo c at tur at o in c as a in quel l a di un gr azioso anim ale dome stico . S ot t o: La l ampada O l ab di G ré goire de La ff ore st per Galerie Gro sserz è compos ta da un bulbo in vetro bianco con un interrut t ore che funzion a ad ari a: qu ando si preme l a ‘per a’ di gomm a l ’ari a soffi ata accende l a l uce . In b asso a sinis tr a: Il vaso Minim al dise gn at o d a Ding 3000 per Discipline si pre sent a come un a strut tur a qu asi tant o più evidente l a l ogic a filif orme che rende cos trut tiv a del l ’ogget t o qu ant o più que st o è assente come corpo .

L’innesto, infatti, che non amalgama le parti ma le conserva nella loro distinzione, si rivela la cifra linguistica ideale per dare corpo alla coincidenza oggettuale di logica e semiotica. Sedute come Donald di Philipp Hermes e Dustin Jessen, Eriz di Moritz Schmid, Meta di Samuel Accoceberry per il francese Alki e Stuck dello studio Oato sembrano così composte di ‘parti senza un tutto’, di costituenti elementari assemblati in configurazioni prive di qualsiasi ‘adulterante’ allineamento formale, che anzi marcano, attraverso l’uso di colori diversi per parti diverse, la loro non riducibile alterità. Ciò che questi oggetti traducono è, oltre che il senso di impossibilità di ricomposizione globale in un mondo paradossalmente pieno di ‘connessioni’, il bisogno di rendere nuovamente visibile la ratio delle cose, esibendone la logica costruttiva in qualità di valore estetico. Si tratta di un bisogno antitetico rispetto alle vecchie strategie di marketing, spesso orientate a dopare l’aura del prodotto fino a sganciarla dal ‘sottostante’ reale. Ma le persone hanno ormai mangiato la foglia e reagiscono meglio di fronte a verità imperfette tenute insieme da cuciture a vista (segno di onestà non solo costruttiva) piuttosto che a luccicanti gusci vuoti. In questa direzione non è escluso che il design cominci, in un prossimo futuro, a collaborare persino con la divulgazione scientifica, attività impegnata in un’analoga ‘schiarita’ del nostro rapporto con la vera struttura della realtà: culturale nel caso del design, naturale nel caso della scienza.

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La sedia Dona ld di Phi lipp H erme s e Dus tin Jessen, s vi lu ppata in co llaborazione con Becker Brakel , è com pos ta d a due e lementi in legno conne ssi tramite ve lcro indus tria le, che riduce i cos ti di mont aggio e f aci lit a lo smont aggio rendendo l’ogget t o interamente e co logico .

La lampad a Scoob y Doo di G iorgio Bona uguro per i l marchio bra si liano L a L ampe limit a al minimo i l numero di com ponenti. Il diffusore in vetro soffia t o s abbia t o poggia su una s trut tura in tubo di rame che cur va fino a divent are la b ase de lla lamapad a. S ot t o: Il tavo lino G ilda di Eric Jourd an per Super-et te ha una s trut tura b asic a, talmente e ssenzia le d a assumere una conf ormazione che va o ltre i l suo s te sso archeti po di riferiment o, senza dimentic are i valori de ll’eb anis teria tradiziona le. S ot t o a de stra: Il tavo lino F ewer T han 3 di Jona than Sa bine , con una gamb a in rame placc at o e l’altra in tubo d ’acciaio , pre sent a una f orma a simmetric a che ne modific a l’as pet t o a se cond a de l punt o di vis ta.

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Mix & Match di Nadia Lionello - foto di Miro Zagnoli

GaudĂ­, tavol o semio vale s agomat o con b ase in le gno ma ssel l o e piano in ro vere , tint o nero o la cc at o op aco o l ucido; Di Ferruccio L aviani per Misurae mme. HEEL , sedia IMPILABILE IN LE GNO MASSELLO la cc at o o in pla stic a col ora ta; di nendo per Moroso . sopra e nel la p agina a cc ant o, Pavimenti in pia strel le 30 x30 cm in gre s porcel lana t o del la linea S istem T prodo t te d a marazzi te cnica in qu at tro col ori.

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assemblare tipologie diverse per inventare oggetti ENIGMATICI, fantastici e provocatori, protagonisti di un racconto di unioni tra progetti recenti e dell’ultima ora

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Tatou , lamp ad a d a terra al ogena a l uce diffus a con diffusore in polic arbona to e a sta in a cciaio; Di Patricia U rquiola per Fl os . Mandra gue , pol trona con s tru ttura in tubolare d ’acciaio schiuma ta a freddo e rive stimen to in tessu to o pel le sf oderabili; Di ferruccio L aviani per Mol teni&C . S undial , orol ogio in lamiera vernicia ta bianc a; Di F ron t per Porro .

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Mak , sgabel l o girev ole ad al tezza re golabile con s trut tura e poggiapiedi in a cciaio vernicia t o e sedut a imbo t tit a e rive stit a in te ssut o o pel le , di Patrick N orguet per lap alma . new york , sedia con s trut tura a slit ta in met al l o col ora t o con piedini in go mma tra sparente , schienale e sedile i mbo t titi e rive stiti con te ssut o microfibra a ccoppia ta a pel le sc amoscia ta, in cinque varianti di col ore; di l upo de sign per cal ligaris . sopra e nel la p agina a fianco , Pavi menti in pia strel le di gre s porcel lana t o del la linea S iste m T prodo t te da marazzi te cnica in qu at tro col ori.

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CAPRI, POLTRONA con Stru ttu ra in mu ltistrato fe nolico ed e ssenz a di abe te, Imbottitu ra in poliu retano espanso, rive stita in Nabu ck G ree n con prof ilo Extra Opal o in altre tonalitÀ a rich iesta; DI PAOLA NAVONE PER baxter . notre dame, tavolino con base in polietilene stampato in rotaz ionale, protez ione UV , 100% riciclabile con piano in MDF ve rniciato e laminato e cablaggio con presa per connessione alla rete e lettrica; di raff aella mangiarotti per serral unga .

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gil liam, pol trona con s trut tura in met al l o, imbo t titura in poliuret ano ignufugo e trapuntino in piuma d ’oc a, rive stiment o sf oderabile in te ssut o o pel le e b ase in le gno ma ssel l o cur vat o; Di rodolf o dordoni per Mino t ti . Air St ora ge , casset tiera in la stre di cris tal l o tra sparente e casset ti in le gno la cc at o col ora t o con front alini in vetro l ucido; di Daniele la go per la go . sopra e nel la p agina a fianco , Pavimenti in pia strel le 60 x 60 cm sil ver grey del la col lezione trek in gre s porcel lana t o te cnico a tut ta mass a. prodo t te da atla s concorde in sei f orma ti e sei col ori.

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T-GONG, TAVOLINO c on piano, nel diametr o cm 98, e b as amento in acc iaio ver nic iato br onz o metallizz ato s atinato o in acc iaio inox f initur a Peltr ox. Inser ti metallic i in ottone s atinato; di giuseppe b avus o per ALIVAR. MIA, sed ia impilabile per e ster no o inter no c on stru ttur a in tub olare d i acc iaio e sedu ta in lamier a di allum inio tagliata al laser e f initur a ver nic iata opaca in qu attr o c olor i; di je an nou vel per EMU. su llo sf ondo, CAR TA DA PAR ATI Luc i e Ombre d i Daniele Lago per Lago c on Jann elli&Vo lpi.

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a sinis tra , t ol o, sedia in te cnopolimero mul ticol ore e gambe in a cciaio; di adriano t ol omei per gaber . no ta, sedia in tubolare di a cciaio ino x na turale o vernicia t o in qu at tro col ori con sedut a e schienale in le gno mul tis tra t o con finitura ro vere o noce c analet t o; di s tudio charlie per atipico . sopra e nel la p agina a fianco , Pavimenti in pia strel le 60 x 60 cm sil ver green del la col lezione trek in gre s porcel lana t o prodo t te d a atla s concorde in sei f orma ti e sei col ori.

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St one river, Tavolino model l o sasso grande b asso in MDF L acc at o e gambe in Acciaio L acc at o e C ur vat o, di rober t o lazzeroni per former . l un- R , lamp ad a d a terra in PMMa vernicia ta al la b ase con piedini in met al l o svit abili per variare l ’inclinazione , ad at ta anche per e sterno; di a� ssa l ogero t per ligne roset . sul l o sfondo , CARTA DA PARATI C ur tain s, di Daniele L ago per L ago con j annel li& volpi .

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Transluce di Nadia Lionello - foto di Efrem Raimondi

L’intesità della luce illumina e scorge cose e ambinte. nella penombra, una persona. si fa chiamare La Stryxia e la sua ambiguitÀ si manifesta attraverso fonti luminose di lampade inedite

PLASTICITÀ E LEGGEREZZA PER rituals, lampada a so spen sion e SIN GO LA, O PPU RE A 3 O 9 LAMPADE, a lu ce DIFFU SA in v etro S ATIN ATO SO FFIATO CON DECO RO IN CISO. di ludo v ica+Rob erto palomb a per foscarini . abiti e accesso ri di aber gazzi.

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i canoni architet t onici tra sferiti nel proget t o di Avia , laM Pada al ogena a sospensione co mpos ta da 52 differenti la yers di OpalflexÂŽ (te cnopoli mero brevet tat o Sla mp) neri o bianchi, mont ati sul corpo centrale in L entiflexÂŽ. Ăˆ disponibile in due di mensioni piccole e due grandi. de sign di zaha hadid per

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slamp .

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ESsENZIALITA’ f orm ale e r ic erc atezza Tec no log ica, Asc ent, lampada a luc e led co n calotta in allum inio tor nito, anod izzato e v er nic iato scorr evo le lu ngo lo stelo in termop lastico d a estru sio ne co n integr ato c ircu ito elettro nico . dispo nibile nelle v er sio ni co n base in acc iaio o p er no f isso d a tavo lo. desig n di Daniel R yb akk en per l uceplan . abiti e acc essor i di de tom aso.

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ispira ta al le f orme del le piante tipiche del le f ore ste pl uviali, MIa, lamp ad a d a tavol o a l uce led con s e diffusore in vetro soffia t o. de sign di nicola grande sso per de majo .

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trut tura in met al l o vernicia t o verde o bianco

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ispira ta d agli s trumenti utilizza ti nei labora t ori chimici, L abo , lamp ad a al ogena d a terra d a let tura del la col lezione di lamp ade in vetro borosilic at o e b ase in met al l o. Design di Daniel Debia si, Federico S andri per pent a. T he o, pol trona con s trut tura in a cciaio croma t o l ucido o nero oppure vernicia t o nickel bronza t o, rive stiment o fisso in te ssut o o pel le . de sign di V incent Van Duy sen per B&B Ital ia. abiti e a cce ssori di TS hir terie .

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funzione e stetic a e te cnol ogic a unite nel la f orma fl oreale di FLORENSIS , L ampad a d a terra al e b ase in zama vernicia ti. de sign di R oss L ove gro ve per ar temide .

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ogena con diffusore in e

struso di al

l uminio , stel o in a cciaio

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da gioco a possibile metodo di progetto. una “corrispondenza di creativi sensi” tra due giovani e noti designer diventa un serio divertissement e una collezione no brand

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toccolma, febbraio. In un caffè del centro si incontrano un allampanato ragazzo giapponese e un giovane trafelato che ordina un caffè in svedese, ma con la inconfondibile ‘r’ arrotata dei veneziani. Strano. Quest’ultimo posa sul tavolo, con fare circospetto, una valigia metallica (“come un vero 007!” dirà in seguito) e inizia a disporre minuscoli mobili da casa di bambole e a sparpagliare disegni simili a fumetti. Sono due designer, Oki Sato, fondatore dello studio Nendo, e Luca Nichetto. Ora si spiega tutto. È questo uno degli estemporanei incontri tra i due per definire il progetto Nichetto=Nendo che sarà presentato al FuoriSalone di Milano: sette pezzi creati a quattro mani, in una sorta di ping-pong a distanza, con il supporto realizzativo di alcune aziende partner, Casamania, Glas Italia, Discipline, Foscarini, Vertigo Metals, Ogeborg, Innofa, Ochiai-Seisakusho, Taniguchi Washi.

disegni di Oki Sato/Nendo e Luca Nichetto testo di Katrin Cosseta

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Un progetto ibrido per genesi, metodologia, riferimenti culturali. E con un divertente mangastoryboard che graficamente mette in dialogo rigore giapponese ed esuberanza creativa italiana (“ho pure cercato di essere ordinato” chiosa Nichetto). Come vi siete ‘scelti’? È una coincidenza questo ‘matrimonio’ tra due dei più prolifici giovani designer? Ridono –lo fanno spesso durante l’intervista– e si lanciano sguardi complici come una coppia a cui si chiede chi dei due abbia fatto il primo passo. Nendo: “Io credo nelle coincidenze. Ho incontrato per la prima volta Luca lo scorso ottobre, durante la Tokyo Design Week. Parlando, ci siamo subito accorti di avere qualcosa in comune, l’attitudine al lavoro, l’approccio al design, l’idea di non volere imporre una firma, ma di essere flessibili nel dialogo con le aziende. Questo ci rende prolifici. Ci siamo poi rivisti a Stoccolma poco prima di Natale. Alla domanda ‘cosa fai per Milano?’ ....” Nichetto: .... “Ovviamente ho risposto ‘non lo so!’. Da lì la proposta, naturale e all’unisono, ‘perché non facciamo qualcosa insieme?’. Non nel senso di esporre i nostri pezzi nello stesso spazio, ma fare design. Ed è stata una cosa bellissima. Sono fortunato a essere designer, e sì, sono prolifico. Non concepisco

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2. 1. dise gno di nendo

, rispos ta grafic a di nichet t o e risul tat o proget tu ale: shel ve s in a comic , mensole a p arete ispira te ai fumet ti, pro t otipo realizza t o d a gla s it alia .

2.3. oki s at o/nendo , e l uc a nichet t o, ritra t ti con i model lini del la col lezione , compos ta d a set te pezzi, dise gna ta insieme . f ot o di Alexander L agergren. 4. le mensole ambient

ate con la pol

trona bridge

s f or islands 3.

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che un progettista crei una sedia ogni due anni. È giusto lavorarci intorno, correggere errori, provare a farla in un altro modo, fare esperienza. Essere prolifici serve anche a imparare di più, confrontandosi con diverse aziende e su diverse tipologie di progetto, non solo a guadagnare”. Questo progetto è come un inno al ‘design libero’. Come nasce e come si sviluppa? Nendo: “Luca aveva un’idea precisa dell’essere designer oggi: indipendente, ma aperto a collaborazioni. Mi sono subito venuti in mente Sottsass e Kuramata, due individualità ben distinte, ma capaci di duetti sublimi. Ovvio, il livello è diverso. E poi loro avevano un manifesto, noi no”. Nichetto: “Forse quando saremo più vecchi! Più che un urlo di libertà, questa collaborazione è un’esplorazione di quello che il design potrebbe essere. Qui è puro divertimento, privo di pressioni esterne a disegnare qualcosa. È semplicemente accaduto. L’aspetto interessante è che, iniziando per gioco, abbiamo sperimentato una metodologia inedita, in cui il processo prevale sul risultato”. Una breve cronaca di questa ‘partita doppia’. Nendo: “In Giappone c’è un antico metodo poetico, il Tan-Ka, che consiste in una lirica di cinque

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1. 1. dise gni (a sinis tra nendo , a de stra nichet t o) e rendering del sis tema di sedute bridge s f or islands . pro t otipo di Casamania , te ssuti di innof a. 2. rendering del tappet o fish on the roof , ispira t o ai tet ti a te gole e al le squ ame dei pe sci. realizza t o d a ogeborg .

righe elaborata come dialogo tra due poeti; il primo scrive le prime tre righe, il secondo completa il componimento con gli ultimi due versi. Abbiamo traslato lo stesso metodo nel design, dicendo: ‘facciamo partire la reazione chimica e vediamo cosa succede!’. Ho quindi inviato a Luca un primo schizzo con l’idea di un sistema di mensole componibili di diverse dimensioni, come una libreria a parete”. Nichetto: “E io ne ho completato la forma, disegnando le mensole come un fumetto con del testo inserito, una sorta di nuvola di pensieri”. Nendo: “Poi gli ho mandato lo schizzo di un sistema di sedute concepite a cuscini indipendenti e variamente assemblabili”. Nichetto: “Visto che lui ha chiamato le sedute Islands, mi sono detto: ‘ok, sono di Venezia, perché non collegare le isole con dei ponti, come nella mia città?’. Poi è stato il mio turno di mandare le prime tre righe: l’idea di una lampada, ispirata alla forma del ghiacciolo, con cupole di varie altezze e colori a richiamare diversi gusti”. Nendo: “Luca pensava di realizzare queste forme in vetro, ma a me è subito venuta in

mente l’antica tradizione della carta giapponese washi, plasmabile in forme sinuose. Vi si accordava benissimo una sottile struttura in legno, sagomata proprio come uno stecco di gelato. Poi sono seguite le proposte incrociate per un paravento, un candelabro, uno sgabello, un tappeto”. Voi esprimete culture progettuali e linguaggi differenti. In questa collezione dove si riconosce la mano di Nendo, e dove la personalità di Nichetto? Nendo: “Io sinceramente vedo i nostri due caratteri fusi in ogni singolo prodotto. All’inizio pensavo che l’autore delle prime tre righe avrebbe impresso maggiormente la sua personalità al prodotto, ma mi sono ricreduto. Io ho iniziato l’idea del divano, ma alla fine c’è più Luca in quel progetto”. Nichetto: “Non si deve riferire la collezione a due designer separati, non si può dire: ‘questo è per il 60% Oki e per il 40% Luca’. Credo che la percezione globale del progetto sia di un unicum, di un mix ben riuscito, grazie alla stima, alla comprensione reciproca e alla comune passione per il processo”. Nendo: “Il segreto di questo mix è l’apertura alle idee

dell’altro. Tutto è proceduto in maniera positiva, senza rifiuti come progressivo accrescimento delle intuizioni scambiate. Non so cosa succederà, il divano potrà essere rosso o blu, di pelle o tessuto, non mi interessa. È molto più importante il processo che ha portato Luca a costruire i ponti per le mie isole! È una questione di ‘output’. Il carattere del designer dipende dal modo di risolvere i problemi, dato che ci sono diversi modi di agire su un oggetto. È questo che ci diverte, il chiedersi ‘chissà come lo farebbe l’altro?’. Anche il confronto con le aziende si basa sul concetto di processo. Che io lavori per Cappellini, Moroso o Offecct, cerco di interpretare e rispettare l’identità aziendale, ma il processo è 100% Nendo”. Le aziende in questo progetto ricoprono un ruolo quasi di mecenariato. Perché non avete privilegiato una produzione industriale seriale? Nendo: “Noi abbiamo chiesto alle aziende di realizzare i prototipi. Alla fine saremo felici se questi prodotti entreranno nella loro collezione, ma non era questo lo scopo iniziale. Sono brand con i quali già collaboriamo, quindi ci conoscono bene e si fidano”. Nichetto: “Questo progetto non è per le aziende. È per noi! Non volevamo vincoli da parte delle industrie che, certo, si sobbarcano i costi del prototipo, ma hanno un ritorno in comunicazione”.

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1. dise gni (a sinis tra nichet t o, a de stra nendo ) e rendering del la lamp ad a paper ice cream, realizza ta da foscarini e d al l ’aziend a giappone se taniguchi w ashi spe cializza ta nel la la vorazione del la c ar ta w ashi. 2. por table po t, sgabel l o in sughero realizza t o d a discipline .

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Nichetto=Nendo nasce da una particolare triangolazione Tokyo-Stoccolma-Italia. Ha ancora senso per voi oggi parlare di design made in....? Come conciliate il rapporto locale/globale? Nichetto: “Un conto è l’origine e la cultura del designer, un conto è la produzione, il suo dna. Non credo nella superglobalizzazione, sarebbe troppo pericolosa per l’industria del design italiano. È interessante l’esempio della lampada che abbiamo disegnato, che sarà in carta, lavorata in Giappone, ma l’azienda che la realizzerà, Foscarini, sarà in Italia. Dunque edizione italiana con know how giapponese. Questo potrebbe essere il futuro. Immettere sul mercato un oggetto prodotto da un’azienda svedese o italiana, ma usando tecniche locali possibili solo in un determinato luogo nel mondo”. Voi stessi siete un caso di contaminazione geografica... Nichetto: “Per me, designer italiano che passa buona parte della sua vita a Stoccolma e viaggia molto, tutto diventa contaminazione e ispirazione. Introietto qualsiasi stimolo, e questo diventa parte delle mie conoscenze e del mio processo creativo”. Nendo: “Anche per me è una cosa simile. Sono influenzato da tutto e niente allo stesso tempo. Quando viaggi è come se tu ti annullassi, diventi come aria o acqua, perché hai talmente tanti colori intorno a te che inizi a mescolarli tutti. Ovviamente sono un designer giapponese, ma divento open e free minded su tutto, quindi flessibile alle esigenze delle aziende per cui lavoro nel mondo”. Vista la propensione ludico-creativa dei due, al provocatorio invito a delineare un designer ideale, fondendo le caratteristiche di loro colleghi passati e presenti, tornano seri. A fatica compongono un ‘superdesigner’ che ibrida la funzionalità di Rams e Castiglioni, l’innovazione di Joe Colombo e Issey Miyake, il linguaggio iconico di Starck e dei Bouroullec, il senso della materia di Scarpa e Tokujin. Ma alla voce ‘sense of humour’ non hanno esitazioni: “Nichetto+Nendo”! E ridono. Di nuovo.

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Simple solo di nome. La nuova applique di Francisco Gomez Paz per Luceplan nasce da un complesso processo di riduzione e da un’innovazione nella tecnologia produttiva: è piatta ma la sua luce è tridimensionale

Luce illusionista testo di Valentina Croci

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La lampad a Simple di Franci sco Gomez Paz per Lucep lan ha corpo in a lluminio pre sso fuso, diffusore in po licarbona t o op alino , lente Fre sne l in po licarbona t o tra sparente , sor gente L ED . La sua c ara t teri stic a è que lla di creare un e ffet t o lumino so tridimen siona le pur a vendo un minimo spessore . Acc ant o: la fase di pro t otip azione rea lizza ta con fre sa CNC pre sso lo studio Gomez Paz .

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embra fatta di niente. Un quadrato ridotto ai minimi termini da spenta; una palla tridimensionale che pare fuoriuscire dalla cornice quando accesa. È Simple, la nuova applique disegnata da Francisco Gomez Paz per Luceplan. Nasce grazie a un’innovazione tecnologica e alla continuità della collaborazione del designer con l’azienda. Simple è la diretta conseguenza di Hope, la famiglia di lampade a sospensione caratterizzata dalle sottili lenti Fresnel, la cui microprismatura impressa su film di policarbonato moltiplica la luce della sorgente luminosa. Anche Simple impiega il principio della lente di Fresnel. Ce lo spiega il designer. Perché questa applique è nata soltanto adesso? Quando abbiamo sviluppato la Hope non era possibile stampare una lente di Fresnel a iniezione a causa della difficoltà di conseguire un’adeguata precisione ottica. La microprismatura, infatti, ha denti di dimensioni decimali, a cui si deve quel particolare effetto ottico tridimensionale sulla superficie piana. Per poter stampare a iniezione una lente, la plastica deve essere molto fluida e lo stampo altrettanto caldo. Condizioni difficili e costose. Ma adesso Luceplan ha trovato chi può eseguire questo stampaggio. La forma è il risultato diretto della tecnologia? In un certo senso sì, è un’estetica che nasce da

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un lavoro di sintesi. L’applique prende spunto dalla precedente Metropoli di Luceplan (Compasso d’Oro 1994), una plafoniera semplicissima, quasi elementare. Simple scaturisce dall’innovazione tecnologica che le dà il carattere. La stampa a iniezione su piano orizzontale consente alla lampada di mantenersi molto bassa, appena 4 cm di sporgenza, e di sembrare a incasso. Ma non lo è! E quel lieve ‘scuretto’ tra la fine della cornice e la parte di appoggio rende l’applique galleggiante. Mentre la forma è il risultato di un processo, la sua personalità è data dal racconto: la palla che compare attraverso la lente. Un effetto illusionista. La sorgente luminosa a Led acquisisce una sembianza bombata che non è soltanto ottica, conferita dalla lente di Fresnel, ma anche portata dalla riflessione della luce: diretta, aperta e tridimensionale. Quali sono i vantaggi di questa applique? Grazie alla fonte a Led consuma 16 W anziché 150 W, quasi un decimo della media. La lampada è adatta anche all’esterno perché è realizzata in plastica e, nella parte posteriore, in alluminio. Simple dà forma alla non forma del Led che mai, nel caso di un’applique, avrebbe avuto queste dimensioni di spessore. Il Led sta crescendo esponenzialmente nelle performance, oggi ci sono tecnologie Led a 220 W senza alimentatore. E questo consente di realizzare forme sempre più piatte e svincolate dalla

sorgente luminosa. In Luceplan c’è l’idea di fare una famiglia: applique rettangolare e quadrata fino a quattro volte la dimensione attuale. Ovvero sino a dove la tecnologia dello stampo a iniezione consente di spingersi. Che tipo di rapporto c’è con Luceplan e quale apporto il designer può dare in questo momento di crisi? Simple nasce dalla continuità della ricerca e dalla facilità d’interazione sviluppata con Hope. L’alimentazione reciproca tra impresa, designer e fornitori consente di trasmettersi conoscenze. Molta ricerca è ancora condotta dai designer, ma la relazione continuativa con l’azienda consente di correggere il tiro e accedere a investimenti più consistenti. La crisi comporta maggiore sforzo e concretezza di idee. E il mercato premia la qualità. Tuttavia, siamo di fronte a un momento di svolta portato dalla diffusione delle tecnologie digitali e dal cambiamento di paradigma nell’accesso alla conoscenza. Le dinamiche di progettazione opensource non si fondano sulla protezione della proprietà intellettuale, né sul protezionismo delle invenzioni industriali. La ricerca diventa un sistema aperto, foriero di interessanti prospettive. L’industria tradizionale deve però capire come rapportarsi a questo cambiamento. E anche noi designer, perché i ritmi e le modalità della ricerca non coincidono con la prassi consolidata. Tutto questo è molto stimolante.

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Una complessa operazione di industrial design che combina l’anima glamour della plastica con le alte prestazioni di una ceramica innovativa. Nasce cosÏ il progetto bagno Kartell by Laufen, sviluppato in sinergia dai due brand e progettato da Ludovica e Roberto Palomba

Al cuni de gli elementi che compongono l a col lezione Kar tel l by L aufen . La vasc a e il l avabo free s tanding sono do tati di rubinet teri a con vassoio miscel at ore , uno de gli elementi car at terizz anti del proget t o.

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Condividere per innovare di Maddalena Padovani

due del le varianti dei la vabi, realizza ti con il nuo vissimo ma teriale S aphirKerami k che riduce l o spe ssore del la ceramic a a 9 mm. S ono pre sent ati a ssieme al l o sgabel l o/tavolino in ma teriale pla stico tra sparente , qui nel la finitura ambra .

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artiamo dalla notizia principale: Kartell approda al settore bagno con un’intera e ricchissima collezione sviluppata insieme a Laufen su progetto di Roberto e Ludovica Palomba. Passiamo alle tante implicazioni che questa operazione comporta in termini di design, ovvero alla portata innovativa che il progetto presenta nel suo insieme. La prima considerazione, sicuramente la più immediata, è che l’azienda capitanata da Claudio Luti aggiunge con questo episodio un nuovo e importante tassello al progetto di espansione del suo catalogo, che, grazie a un’offerta di prodotto sempre più eclettica e trasversale, si prefigge di raggiungere mercati sempre più ampi e internazionali. Tenuto conto degli importanti risultati ottenuti sinora da Luti con questa strategia e dei contenuti, sicuramente interessanti, espressi dalla nuova collezione bagno, viene da pensare che quella della differenziazione – in questo caso realizzata mediante un’importante partnership industriale – rappresenti effettivamente una delle strade possibili percorribili dalle imprese del design per superare la situazione di ristagno in cui versa attualmente il mondo dell’arredo. “Differenziare la proposta” commenta Claudio Luti “e ampliare la gamma di prodotti guardando anche a comparti merceologici diversi (come ha fatto Kartell con le lampade e adesso con il bagno) è senz’altro una strategia vincente.

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Offrire più stimoli e proposte consente di andare incontro a più esigenze e dunque di rendere più appettibile la proposta dell’azienda. Inoltre ne beneficia la comunicazione del marchio. È molto importante, tuttavia, che vi sia una profonda coerenza e lungimiranza in questo tipo di operazioni. Il mercato è sempre più congestionato, saturo di proposte e i clienti sempre più esigenti su tanti fattori (la qualità, il giusto prezzo, l’innovazione e funzionalità del prodotto di design). Occorre dunque affrontare queste operazioni di differenziazione e brand extension con grande concretezza, rispettando la filosofia dell’azienda e dando vita a progetti concreti, possibilmente con una prospettiva a lungo termine”. La seconda riflessione riguarda il ruolo dei progettisti che al loro attivo hanno una lunga serie di progetti di successo nel settore bagno ma che in questo caso si fanno carico di un compito ben più complesso e ambizioso: fare da trait d’union tra due mondi tra loro molto differenti che nella visione industriale del prodotto trovano però il loro punto di convergenza e la possibilità di una collaborazione costruttiva. Da una parte Kartell, italiana, creativa, colorata, ironica; dall’altra Laufen, svizzera, rigorosa, affidabile. La prima è

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Sopra: a sini stra , spe cchio ro t ondo con cornice a effet t o pli sset tat o nel la variante arancio tangerine , abbina t o al la vabo ro t ondo d a appoggio in S aphirKerami k; a de stra , vasca free standing con effet t o o verfl o w in Solid Surf ace e men sola polifunzionale in ma teriale pla stico tra sparente .

Sot t o: sanit ari in S aphirKerami k, por ta sal viet te e mobilet t o contenit ore in ma teriale pla stico .

conosciuta nel mondo per avere dato un’identità glamour alle materie plastiche nell’ambiente domestico, la seconda per avere portato ai massimi livelli qualitativi la produzione della ceramica nell’ambiente bagno. Roberto e Ludovica Palomba diventano il perno di un progetto corale che non intende amalgamare e omogeneizzare le personalità in gioco, ma esaltarne le singole qualità in un concetto di architettura integrata (così i due designer descrivono il concept della collezione) dove ogni elemento si integra agli altri ma può anche vivere di vita propria. Da valore idealistico la condivisione diventa un metodo di lavoro in cui il designer gioca un ruolo nuovo e fondamentale: quello di arbitro super partes, capace di esprimere il meglio della cultura e delle capacità di tutti gli attori in gioco in un disegno complessivo che abbia una sua propria e caratteristica riconoscibilità ma sappia anche interpretare esigenze e personalità specifiche. Arriviamo così alla terza, imprescindibile considerazione che scende alla scala dei singoli prodotti. Il bagno Kartell by Laufen non è solamente un’innovativa idea imprenditoriale ma è anche, e soprattutto, un grande progetto di industrial design che esprime negli elementi in ceramica il suo più alto livello d’innovazione. Con questa collezione

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viene infatti introdotta per la prima volta la SaphirKeramik, ovvero la ceramica al quarzo, un materiale tutto nuovo che permette di ridurre a 9 millimetri lo spessore dei lavabi e a 1-2 millimetri il raggio di curvatura dei loro angoli. Una grande opportunità per Roberto e Ludovica Palomba, che nelle forme esili e squadrate dei lavabi arrivano a raggiungere una pulizia di segno e una leggerezza, sia fisica e visiva, impensabili fino a poco fa. SaphirKeramik è infatti un materiale che pesa la metà della normale ceramica ma presenta le stesse caratteristiche prestazionali: non si scalfisce, resiste agli urti, agli agenti chimici e al calcare. La sua messa a punto ha richiesto anni di ricerca che Laufen, azienda dalla mentalità ecologista, ha sostenuto per individuare una soluzione alternativa alla ceramica tradizionale, che riducesse l’impiego del materiale, quindi quello dell’energia, la produzione di scarti e che, in un’ottica di ciclo completo di vita, avesse un minore impatto ambientale. Anche la plastica di Kartell viene utilizzata in una veste innovativa assieme a vetro, metallo, pietre e laccati. L’idea dei designer è quella di farne lo strumento progettuale per attribuire emozionalità e personalizzazione a un ambiente solitamente caratterizzato da un’immagine severa e rigorosa. Da qui il lungo studio sui colori che

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diventa un progetto nel progetto. Nasce così una nuova palette, dove escono i colori primari e diventano protagoniste le tinte che parlano di mondi diversi e culture lontane: il blu cinese, le tinte delle terre, gli aranci marocchini, il nero fashion, la trasparenza assoluta… La geometria severa dei pezzi in ceramica si stempera nella leggerezza variopinta degli elementi in policarbonato che fanno da contenitori, arredi, luci e accessori, e che, nel gioco delle relazioni complesse instaurate con le componenti più ‘hard’ della collezione (sanitari, rubinetterie, vasche e piatti doccia), individuano vari codici stilistici. A ciascuno il compito (e il piacere) di scegliere quello che più gli aggrada.

Schizzi di studio del proget t o svil upp at o da L udo vic a + R ober t o Pal omb a. Sopra a sini stra , un moment o di la voro condivi so. da sini stra: R ober t o Pal omb a; Marc V iardo t, R espon sabile Marketing e S vil uppo Prodo t t o L aufen; Alber t o Magran s, Ammistra t ore Dele ga t o L aufen; C la udio L uti, Pre sidente K ar tel l .

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telefono senza fili

Da una parola e un concetto, “To open”, nasce il progetto in progress di un oggetto a cui partecipano cinque note firme del design. Un gioco in sequenza di segni, anziché di parole, che ibrida forme e pensieri anche distanti tra loro a cura di JoeVelluto (JVLT)

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joevelluto (JVLT)

Aprire gli occhi per trasformare il gesto in oggetto. Questo può essere uno dei tanti modi per tradurre il pensiero (e l’osservazione) in azione. “To be open” è anche questo: essere sempre ricettivi non per ‘rubare’ qualcosa dalla realtà, ma per poter condividere tutto quello che puoi sentire o intuire. L’apertura per chi fa questo lavoro è continuare a chiedersi cos’è questo lavoro e come lo si sta facendo. Se continui a chiedertelo vuol dire che la risposta sta nel tuo percorso. “To be open” significa anche essere ‘free’: liberi, però anche gratis. Le cose che valgono sono per tutti e sono gratis come la poesia, l’arte e il ‘sacro’.

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Gemme , lamp ad a componibile a parete di JVLT per Ver tigoBird , ispira ta al le la vorazioni . del le pietre preziose

4pezzi, S edia compos ta da qu at tro elementi di le gno massel l o che si giunt ano ad inc astro . Di JVLT per DesignBo t te ga .

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werner aisslinger

“To be open” per me significa prevalentemente “aprire la mente” ed essere aperti verso il mondo in generale, ma anche “open source”, ossia condividere la conoscenza con tutti. Collego il termine “aprire” all’idea di una società aperta, disposta ad ammettere qualsiasi tendenza religiosa e culturale. Mi sembra che il nazionalismo e la dissociazione politica non generino mai creatività in una società: è la diversità a creare nuove idee, progetti, concetti, visioni e idee. Quindi dal punto di vista evolutivo l’umanità progredisce, anche a livello economico, quando una società aperta e libera consente alle persone di creare qualcosa, di pensare senza pressioni politiche e di interagire a diversi livelli con un ampio numero di persone diverse.

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Joep van Lieshout

Quando penso alla parola “aprire”, penso al vino, aprire bottiglie, bere, ubriacarsi, banchettare, fumare, versare e coccolarsi; penso anche ad aprire il cibo, le noccioline, i teschi; penso a mangiare, cenare, rimpinzarsi di ricchezza, abbondanza, una lussuriosa cornucopia, la soddisfazione; penso a consumo, produzione, razionalismo; ad agricoltura, lavoro, fatica, sporco e sudore; penso al sesso.

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Bikini Island di Werner Aisslinger per Moroso , un’isola modulare che invit a cia scuno a tro vare la composizione ideale in base agli sp azi e al le a t tivit à.

Inse ct Farm sono unit à mo bili realizza te al l ’interno di un proget t o più ampio con cui Atelier Van L ieshout ipo tizza scenari al terna tivi di s vil uppo per il futuro . L ’idea , in que st o c aso , è che gli inset ti possono produrre ci bo nutriente , economico e a basso imp at t o am bient ale (f ot o K ris t of Vranken) .

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GamFratesi

4 La parola “aprire”, ci comunica in un primo momento la necessità di creare uno spazio chiuso. Una sorta di spazio astrattamente limitato, piuttosto solido, probabilmente morbido, non angusto e comunque non indistruttibile. Uno spazio pensato come piacevole, ma chiuso... Quando poi la fortezza espugnabile è stata coscientemente definita, entra in gioco la possibilità di “aprire”. Con attenzione si rimuovono piccoli elementi, creando ingressi, passaggi, incontri. L’apertura non sarà necessariamente intesa come un’uscita dallo spazio chiuso, ma più come un ingresso, speriamo invitante, in uno spazio intimo.

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Lorenzo Damiani

Essere aperti al ‘nuovo’ ma anche al ‘vecchio’ per scoprire quanto il ‘diverso’ possa essere fondamentale per la nascita di un’idea. Nel mio lavoro considero di vitale e assoluta importanza la possibilità di essere continuamente aperto, ricettivo e disponibile ad intraprendere nuove strade di progetto. Essere aperti, per me, significa avere anche la possibilità di cambiare idea rimanendo in uno stato di eterna indecisione: un aspetto, questo, non vissuto in modo negativo ma, al contrario, come fonte di continui cambi di direzione, convinto che, come ha detto qualcuno i cui lavori sono conosciuti da tutti per qualità e ingegno, l’oggetto sia solo un momentaneo stop del processo. Essere “to open” significa, dal mio punto di vista, continuo confronto con il mondo circostante senza mai dare niente per scontato e, magari, riflettere anche su quanto di più ovvio ci accompagna.

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La sc ala C omp ass , di GamFra te si per Casamania , na sce d alla ri-pro get tazione de l det taglio te cnico funziona le in e lement o gra fico , creando un’e stetic a ina spet tata ed iconic a.

dall’osser vazione de l conte st o na sce l’idea: uti lizzare la paviment azione a pia stre lline bianche e nere de l bagno per gioc are a d ama . Bastano pochi dischi di legno e una cornice da s tacc are a ll’occorrenza d alla parete . la ‘Dama d a Bagno’ è s tata idea ta d a Lorenz o Damiani per la mos tra Lorenz o Damiani: Senza Sti le, Fond azione Achi lle Casti glioni, Milano .

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To open/aprire

Aprire una porta, una valigia, una lettera; aprire una bottiglia, stapparla con un cavatappi ‘informale’ da indossare come anello, brindare per aprire il gioco. Aprire, dolce stordire; come ad aprile – Milano, Salone del mobile 2013 – dopo il quale ritorna dolce il dormire. Dalla città (Milano) al cucchiaio, dall’anello al martello; aprire una via che ti fa aprire gli occhi, con un arnese, quello della creatività; fare anziché dire, to be ‘open source’ per condividere la conoscenza. Dal martello al cervello; aprire la mente per essere aperti, aprire la testa con un ‘apritore di teschi’ per mettere in fuga proprio

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quello, il cervello; destinazione: la libertà senza pudori dove il sesso è normalità, non un tabù. A tu per tu in uno spazio a ‘T’ per incontrarci lì, vis-à-vis, dove il bello è aprire il proprio animo a qualcuno, come se l’entrata coincidesse con l’uscita: una via d’entrata per aprirsi all’intimità. Intimité, liberté, égalité. Vive la révolution. Peace and love. Aprire le trattative senza aprire il fuoco perché qualcosa, ora, cambi davvero. Apriti cielo!

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1. Febo , dal la Apt a Col le ction di Ant onio cit terio per Maxal t o , pol trona a s chienale al t o rive stit a in te ssut o o pel le , con b as ament o in le gno ma ssel l o di ro vere . 2. Col leret te , di L es M per Casa mania , pol trona due pos ti con s chienale ‘sro t olabile ’. G ambe in met al l o, sedut a in mul tis tra t o, rive stiment o in te ssut o. 3. Pasha S o ft, di Cla udio Dondoli e Mar co Po cci per Pedrali , pol trona in poli carbona t o tra sparente nel la nuo va versione con cus cino rive stit o in te ssut o. PAGINA A LATO. 1. Mate , di a+b ( Annalis a Dominoni e Benedet t o Qu aquaro ) per L iving Divani , sedia mul ti funzione con s chienale a s calet ta utilizzabile per appli care diversi a ccessori. Strut tura in tubolare quadra t o. 2. 435, di Yahoon Kim per S elet ti , lamp ad ario che interpret a l ’immagine cla ssi ca del l o chandelier tramite una cas cata di pos ate in cerami ca. 3. Col la ge , di Ferru ccio L aviani per Fra tel li Bo ffi, div ano- assembla ge compos t o d a tre s trut ture diverse: un che ster field , un modul o contemporane o e una chaise l ongue s tile L uigi XV. 4. Boo ken, di R aw Edge s per L ema, consol le -libreria con s trut tura in le gno . S ono gli s te ssi libri, sospe si, a comporre il ripiano . 5. V entura L ounge , di Jean- Marie Mass aud per Poli for m, pol trona a s chienale al t o complet a di pou f, con s trut tura in ro vere , S edut a in poliuret ano fle ssibile s tampat o, rive stiment o in pel le o te ssut o.

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classic remix di Katrin Cosseta

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Ibridazioni creative tra presente e passato. Il design rilegge stilemi classici nell’attualità della produzione industriale di serie. Un revival dissacratorio ricco di innesti figurativi, collage materici, mÊtissage linguistici

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1. Manoj , di ed w ard van vliet per it alamp , la mpad ario co mpos t o d a una gabbia in met al l o vernicia t o e d a sfere in vetro e cris tal l o riflet tente . f onte led . 2. s amurai, di baro vier & t oso , la mpad a d a tavol o con b ase in vetro , realizza ta su un dise gno di angel o b aro vier del 1966. 3. sl oo , di kari m ra shid per vondom , pol troncina indoor/ outdoor in polietilene , disponibile in diverse finiture . 4. tavol o in c ar t one s tampat o d al la col lezione l uigi XVI di cor vasce . de sign s avino cor vasce . 5. passion, di philippe s tarck per ca ssina , sedia nel la nuo va versione con scocc a in nyl on su cui è model la t o co me un abit o s ar t oriale un rive sti ment o in te ssut o. G ambe in fra ssino o noce , oppure nere o cro mate . 6. TRE z , di Z anini de Z anine per cappel lini , sedut a scul t orea in al l u minio taglia t o a la ser e s ald at o, V ernicia ta op aca a spruzz o in tre col orazioni.

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1. chandelier di lamur , lamp ad a d a parete in met acrila t o int aglia t o al la ser, disponibile anche con finitura a spe cchio e f oglia d ’oro . 2. sip ario , dal la col lezione new renaiss ance di ferruccio la viani per eg o , mobile contenit ore con ante a ond a in le gno tint o moka o rive stite d a un arazz o. 3. cyborg, di marcel w anders per magis , sedia con scocc a in polic arbona t o abbinabile a differenti schienali: in polic arbona t o, midol lino o ma ssel l o di fra ssino cur vat o e t ornit o. 4. TWAYA, di ferruccio la viani per emmemobili , tavol o scul tura in le gno ma ssel l o di ro vere pla smat o con ma cchine a control l o numerico a ev oc are i drappe ggi di una t ovaglia . 5. CHIAVARINA MAXI SEDIA , di Mat te o T hun e Ant onio R odriguez per baxter , con Strut tura in le gno vernicia t o nero op aco , sedut a in pel le R iver N el son.

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1. s al sola , dise gna ta d a marco p agnoncel li per icone , lamp ad a a sospensione realizza ta con riccioli di al l uminio s ald ati tra l oro , vernicia ti bianco op aco . 2. C er va di Fendi Casa , pol trona con schienale al t o in le gno cur vat o ricoper t o in pel le . R ive stiment o in vel l ut o j acqu ard ar tigianale e in pel o di mont one a vorio . 3. MOBIUS , de sign U mber t o Asna go per Gior get ti , bergère con b as ament o in noce c analet t o, rive stiment o in pel le o te ssut o con profili a contra st o. 4. mad ame , di opera de sign per porad a, spe cchio d a parete realizza t o con taglio ad a cqu a. 5. R o, di J aime H ayon per fritz hansen , bergère a sedut a ampia , con gambe in met al l o e rive stiment o in te ssut o, diverso tra scocc a e cuscini, in no ve col ori. 6. T oi, di S al vat ore Indriol o per Z ano t ta, tavolino con s trut tura in poliuret ano rigido . Il piano , in mul tis tra t o pla cc at o al l uminio , ruo tando di 360 gradi s vela un vano contenit ore . 7. arper, di miria Montel s per visionnaire , lamp ad a d a tavol o con s tel o e b ase in met al l o croma t o l ucido e Paral ume in sc aglie d ’al l uminio .

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1. icona , dise gna ta d a G iorgio S ore ssi per erb a it alia , pol trona a schienale al t o in met al l o vernicia t o in vari col ori, sedut a in poliuret ano e spanso rive stit a in pel le o te ssut o. 2. onkel , di S imon L egald per normann copenha gen , div ano due pos ti con piedi in le gno la cc at o e rive stiment o in te ssut o disponibile in qu at tro col ori. 3. bohÊmien, di c astel l o la gra vine se per busnel li , panc a con rive stiment o in pel le o te ssut o a la vorazione c apit onnÊ . 4. mis tral , dise gna t o d a borek sipek per la col lezione Barock ’n R ol l di sa w aya&moroni , tavolino in vetro .

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1. mirror s t ool , di nendo per gla s it alia , spe cchio a p arete con sgabel l o inte gra t o, in cris tal l o extralight 10 mm, tempera t o e argent at o. 2. s al on, di s am b aron per l ’abb ate , div ano che ibrid a il cla ssico C he sterfield , l o s tile L uigi XVI e gli anni set tant a. rive stiment o in pel le o te ssut o. 3. chez philippe , di cla udio bitet ti per mogg , tavolino in le gno la cc at o, con det tagli fl uo e inne sti contemporanei met al lici. 4. harcour t our fire , di philippe s tarck per baccara t , lamp ad a d a tavol o in cris tal l o, ispira ta al bicchiere icona del la maison, nel la nuo va versione nera o bianc a. 5. one fl o, di Edo ardo G herardi per de sirÊe , pol troncina su b ase met al lic a a razze , rive stiment o sf oderabile in pel le o te ssut o.

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1. Apol l o 15, dise gn at o d a G odefro y de Virieu e Stef ani a Di Petril l o per saint - l ouis , l ampadario a sospensione con e sile s trut tur a in met al l o e diffusori in cris tal l o. 2. veyron, dal l a col lezione bey ond di Ale ss andro La S pada per smania , pol tron a R ivestit a in plissĂŠ di vel l ut o, disponibile in numerose vari anti col ore , o in pel le . 3. Arbore scence , di or a-Ă?t o per chris t ofle , tavolino con s trut tur a in acci aio l ucido e pi ano in vetro . 4. l ace screen, di s tef ano piro vano per bysteel , Par avent o re alizz at o in al l uminio sm al tat o bi anco op aco .

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EnGLIsH TexT INtopics

INteriors&architecture

editorial pag. 1

The treasure chest of memory pag. 2

So many different things can be said about the theme of Hybrid Design. It is a discipline that stems from the meeting of Design and Science, a channel of technological achievements that revise the boundaries between nature and artifice. But at the same time, it puts a method into focus, in which grafting is the favored praxis. Because hybrids can be cultural, experimental, typological, semantic, existential, but they are never just one thing. We have tested this in the series of works of architecture presented in this issue: signature and autobiographical homes, form Bologna to Piacenza, Milan to São Paulo, created by linguistically distant designers, from Mario Cucinella to William Sawaya, Alberto Biagetti to Ruy Ohtake, who explore territories that span design, art and history. The same approach taken by Massimiliano & Doriana Fuksas in their latest international project, the National Archives of France; by Michele De Lucchi for a place of memory, the Poltrona Frau Museum, which on a different scale traces back in time to interpret crafts and transform them into industrial production. But Metissage is also the leitmotiv of the pages on design: projects, products and objects, also developed by duos, in the collaboration, for example, between Luca Nichetto and Nendo, where the contamination of ideas leads to new forms of expression. Finally, there is the major theme of the exhibition-event Hybrid Architecture & Design, during Milan Design Week, once again organized by INTERNI in the courtyards of the Università degli Studi of Milan, with a small annex at the Botanical Garden of Brera. Another chance to observe how the forms and ideas of design can never be shut up inside a priori schemes. Gilda Bojardi The home-studio of Ruy Ohtake in São Paulo, on two levels. Photo Ruy Teixeira.

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project MASSIMILIANO & DORIANA FUKSAS photos Philippe Ruault text Matteo Vercelloni

At pierrefitte sur seine-saint denis, in the banlieue north of paris, the new complex of the national archives of france is a true landmark. a new ‘gate to the city’ that underlines the relationship between the city and the territory in a monumental, symbolic way With the French Revolution in 1789, the institution of the National Archives was born, a place to gather documents on the history of civilization; from Merovingian papyrus deeds to the trials of the Knights Templar, the Declaration of the Rights of Man to the phases of French history (the diary of Louis XVI, the last will and testament of Napoleon, the Jeu de Paume oath, the national Constitutions). All collected in about 320 kilometers of shelving, that since the birth of the French Republic narrate the history of the country and its relationships with world cultures. Such a huge collection of documents, acts, declarations and thoughts contains values that go beyond scientific evidence and historical documentation, entering the most symbolic dimension of collective memory of an entire nation. The building that contains such a treasure can certainly not just respond to the functions of conservation and organization. It also has to represent national values. A home for all this, if seen in relation to the utopian period of the “Architects of the Revolution” (1789-1799), might resemble the spaces conceived by Étienne-Louis Boullèe for his gigantic Bibliothèque Nationale, in which the dimension of the ‘secular temple of culture and memory’ went beyond the image and idea of the ‘simple’ public building. The project by Massimiliano & Doriana Fuksas for the new facility of the National Archives is like a metal bastion, a monolithic architectural treasure chest, standing at the jagged edge of the banlieue, and establishing a close compositional relationship towards the city. The effort, without rhetorical excess, has been to configure, as the architects put it: “a work that conserves memory and collective identity, while remaining open to contemporary artistic expression. Not a perspective of contemplation, but one of discovery, research and participation”. The architectural complex, promoted by three Presidents of the French Republic (Chirac found the financing, Sarkozy monitored the construction, Hollande presided at the opening ceremony on 11 February), is composed of two main episodes: the monolithic volume of the parallelepiped that contains the documents, covered with an aluminium skin etched by a rhomboid pattern and interrupted by glass portions corresponding to the reading room and

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Interni aprile 2013 the entrance route, and the part of the “satellites”, connected by raised walkways over a veil of water, organized as a careful sum of horizontal glazed floor-spaces marked by a visible structural grid that reprises the rhomboid motif of the aluminium facade of the complementary volume. The urban bastion of the archives proper (220 storerooms on ten levels) facing the territory is thus countered by the dynamic revelation of the volumes facing the city that slope down towards the urban space, seeking a closer relationship of scale and a morphology paced by distinct elements that are nevertheless part of an overall design synthesis. Here, floating over the veil of water, the stacked glazed horizontal volumes, not unlike the project for the Ferrari headquarters at Maranello, contain the offices, the exhibition space and the conference room, ‘colored’ by the red of the Carla chair, designed for Poltrona Frau. The confrontation between the two worlds of the building, the union between order and ‘sublime chaos’, to use a term much appreciated by Massimiliano Fuksas, are reinforced thanks to the landscape design by Florence Mercier, and the contribution of contemporary art, consisting of three key works. Over the water, in the connecting voids that – as in the Milan Fair – represent the value and importance of the architecture on a par with the constructed parts, a geometric sculpture by Antony Gormley develops a concatenation of reticular dodecahedrons in metal, establishing an apt relationship with the structure of the building. Pascal Convert, with the series of concrete ‘safes’ set into the adjacent area, underlines – through the reproduction of the faces of protagonists of French culture – the roots of collective memory. Finally,

CucIneLLa’s WaY pag. 10 project MARIO CUCINELLA photos Santi Caleca text Alessandro Rocca

Living free in a large ecological space, together with beloved objects: the moto guzzi of youth, ethnic fabrics, worn leather sofas. images, objects, memories, fragments of live in the postindustrial context of bolognina An expert on technoecology, sustainability and alternative energies, Mario Cucinella has won many prizes and honors, but above all he has created important buildings, like the office building of the City of Bologna (2008), the 3M headquarters at Pioltello (2010) and the office complex on Via Santander in Milan (2012). His path of life has followed his career: he studied in Genoa with Giancarlo De Carlo and then worked in the Renzo Piano Building Workshop, both in Genoa and Paris. Which was where, in 1992, he founded his own studio, MCA Architects, which moved to Bologna in 1999. A visit to his new home in that city, a loft in the working-class district known as Bolognina, sheds light on his personality, demonstrating that he is rather allergic to polished spaces, and enjoys unexpected combinations and métissages. Inhabited by objects gathered in different places and times, the house immediately seems like a space already filled with the layers of time, a sensation usually reserved for places that have been lived in at length. In keeping with his belief in

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Susanne Fristscher unites artistic intervention and architecture, making suspended ceilings for the satellites like leaves of red shaded steel, to emphasize the play of depths of the volumes, organized at different heights. A public work of great breadth, a work of architecture that “gives rise to an identity whose roots lie in memory of the past, with a gaze aimed at the contemporary world and the future. An identity and a memory that belong to France, and to all of humankind” (Massimiliano & Doriana Fuksas). - pag. 3 View of the inside of one of the ‘satellites’ through the metal facade of the National Archives. Over the veil of water, the sculpture by Antony Gormley.- pag. 4 Design sketch of the facade towards the city. View of the complex of the new National Archives of France, looking towards the center of Paris. On the facing page, the space of connection between the volume of the Archives (right) and the dynamic overlay of ‘satellites’ connected by walkways on different levels. The metal sculpture by Antony Gormley seems to float over the water. - pag. 7 The image of a metal bastion, a monolithic architectural treasure chest, repository of collective identity and memory; this is the new headquarters of the National Archives, in its compositional relationship with the city. The cladding is an aluminium skin, etched by a rhomboid pattern and interrupted by glazed portions. - pag. 9 Above, views of the reading and work areas, and of the conference room with the Carla chairs, designed by Doriana & Massimiliano Fuksas, produced by Poltrona Frau Contract. Facing page, detail of the architectural relationship between the two ‘worlds’ that form the new complex of the National Archives of France.

sustainability, Cucinella uses all the energy systems that make it possible to produce more than you consume: a heat pump powered by a photovoltaic system (panels by Fabbrica del Sole), a rainwater recovery system, and very efficient insulation – 14 cm of glass wool – produced by Saint-Gobain by recycling work scrap. In this case, unlike other projects, the sustainable aesthetic is concealed, because Cucinella wanted to restore the industrial identity of this 1970s building, the terse essence of its spaces and structures. The surface of the floor, below which radiant heating panels are hidden, is made with industrial quartz cement, while the walls expose their original bricks, covered with a protective transparent film, while the ceiling also remains as it was, in brick with cement ribbing and iron ties, for a classic factory look from the last century. In this conservative approach one important point is the design of the casements, which have to reconcile thermal sealing with the original image of glass panes held in place by slender iron posts. Cucinella decided to design the new casements himself, having them made by hand, with steel sections, visible welding and a transparent coat of rustproofing. “For me, today, it is unthinkable – Cucinella explains – to live in a traditional flat where each function corresponds to a separate room”, and in effect the living spaces is absolutely unified and fluid, even extending beyond the perimeter of the building to occupy an external patio with a lounge/winter garden. The furnishings, selected with the help of Chiara Castelli Casa, blend modern vintage, especially the sofas and armchairs, with collectable fragments, like nativity scenes or stuffed animals, objects of affection like a Moto Guzzi bought when the architect was a youngster, and an oil painting of his grandmother; then there are found objects gathered around the world, like Chinese propaganda statuettes and a Jericho rug, or a military tarp hung on the wall that looks like a work by an American minimalist. Signature pieces include the Arc table by Norman Foster and a few historic items: the timeless Lounge Chair by the Eameses, and the legendary A Chair, which Cucinella says was the first stackable chair in the history of modern design. - pag. 10 On the Arc table designed by Norman Foster for Molteni, a bell jar with a rare elliptical form with a wax baby Jesus from Ostuni, a statuette in honor of the Chinese revolution, and a Neapolitan nativity scene (by Ferrigno srl); on the wall, photographic panorama of Istanbul in 1891. - pag. 13 The central space of the loft with a modern vintage lamp and a chair from Senegal made from a car chassis. Center, palms in terracotta pots, the Airone 250 by Moto Guzzi, a drawer unit (probably for hardware) lit by the Action hanging lamp designed by Jean-Michel Wilmotte for iGuzzini; to the side, the arm of the industrial hood. On the wall, a military tarp, 6 x 4 meters. The drawing table with Indian lamp in cardboard and cowhide, made by recycling linen shafts; the legendary A Chairs, stackable sheet-metal chairs designed by Xavier Pauchard in 1934 and produced by Tolix; the industrial shelving in galvanized steel is produced by Tecnotelai. - pag. 14 The kitchen and the slender steel casements designed by architect, made by Promo of Giuliano Procaccini. Beyond the industrial exhaust hood, the back wall with original exposed bricks, the portrait of the architect’s grandmother, and a table-cupboard from the 1950s. Note the Action hanging lamp, designed by Jean-Michel Wilmotte for iGuzzini. - pag. 15 A covered patio has been transformed into a winter garden, with modern vintage chairs and sofas; on the wall, an architectural photograph by Emanuele Panzarini. On the entrance door, a stuffed buffalo head. - pag. 16 A pumpkin guards the entrance to the living area/winter garden; the red carpet, purchased in Jericho, is a traditional fabric used on walls and floors. View of the bath, a true room, with the washstand resting on a wooden table, an open shower and the iRoll up-down applique by iGuzzini. The living room, with the Chesterfie d sofa, French armchairs in black cowhide, produced by hand, a table made from tree roots, and a carpet from Uzbekistan; in the background, a 19th-century display case for scientific col ections contains models of projects by Mario Cucinella.

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A shell-house pag. 18 project WILLIAM SAWAYA photos Santi Caleca - text Antonella Boisi

Near piacenza, a noble country residence, a family home, a mirror of the soul whose poised balance of hybrid content and architectural design narrates the character of its owner On the theme of Hybrid/Metissage, certain grafts turn out to be more than semantic, experimental, typological, because they belong in essence to the soul, as its most authentic mirror, perhaps unwittingly generating works of architecture that replicate what life has offered to the inhabitants. This is the case of this antique, noble country home to the south of Piacenza, a fertile land of castles and battles, now the buen retiro of a Milanese entrepreneur. His great escape, to borrow a phrase from a famous film from 1963 with Steve McQueen, happens three days at a time, during weekends, when he doffs his metropolitan globetrotter garb and finds some air in the shade of an almond tree planted 500 years ago, that still looms over the panoramic balcony of the severe building that was probably built in the late 1600s. The house stands on a hilltop, accessed by a long, winding drive that passed in the midst of vineyards. The architect William Sawaya has dusted off a past full of memories, restructuring the house while conserving its identity, but also making it more luminous and fresh, in keeping with contemporary precepts of joyful living. Outside, the ‘photographic conservation’ of the image encountered, the austere multivolume architecture of the original structure, surrounded by a large park, is updated thanks to the pale tones of the stucco, in a contrast with the exposed brick of the wall of the nearby service structure with a square plan, set off by ogival windows and finished with swallowtail battlements. The restructuring is more daring on the inside: the radical updating of the physical plant systems is accompanied by volumetric reorganization of the spaces, conserving a classic hierarchy but making them more functional for the development of a personal, fluid, open approach to living. William Sawaya comments: “The architectural project, intentionally light and almost invisible, has attempted to bring out the virtues of the spaces, stripping them of superfluous additions made over the last decades. It was somehow like restoring the original dignity of a place that with the passing of time had gone gray, entering a state of torpor. Since I have known the family for a long time, and the habits and requirements of the present owner, it was not hard for me to resize, expand and create the new spaces needed for a contemporary way of living. My con-

A house-diary pag. 26 project ALBERTO BIAGETTI & LAURA BALDASSARI photos Alice Fiorilli - text Antonella Boisi

In milan, the home of alberto biagetti and laura baldassari is like a custom haute couture garment, to express – with a variety of accents, in the hybrid territory between art and design – a sense of living as an open work of aesthetic and materic synesthesia that generates refined pleasure

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aprile 2013 Interni stant concern has been to reduce the impact of an trace of intervention, though without creating false originals”. The new layout puts the large living area with park view on the ground floor, along with the kitchen and a bath; the first floor of the tower contains two large bedrooms with baths; the second floor has another bedroom zone, for guests. Further up, through a hatch, one reaches the terrace–belvedere. The open-plan living area communicating with the park remains the fulcrum of the composition, of course. With a precious black fireplace in Calacatta marble and dark walnut paneling, the space is made lighter thanks to the pale finish of the wood, which extends about 70 cm away from the walls to conceal custom features and the accouterments of everyday life (bar, television, stereo, glasses, dishes, accessories), combining forces with the floor made with large sheets of biancone fossil stone and the white ceiling beams to configure a spare, sober enclosure. This is the ideal counterpart, in black and white, of the dynamic setting of the furniture, which mixes family heirlooms, travel souvenirs and many prototypes, along with the symbolic white-green-red banner of Mirco Marchelli. “We could write a paper on the value of ‘job lots’ in this house”, says the owner, “because the choice of surrounding myself with presences packed with imprecision has allowed me to discover new potential, content and suggestions, hybrids, possibilities of adaptation, anthropomorphic overtones. For example, there is a white armchair placed in the bedroom, that reminds me of my plump, cheerful aunt”. From Pop accents to the revealing of perspectives, an opening beside the fireplace leads from the living area to the dining-kitchen zone, enclosures of terse Austrian taste, uniform with aqua green nuances for the full-height paneling, which again offers storage, and becomes the absolute protagonist together with the archetypal sphere of opaque glass of the chandelier hung from one of the exposed brick vaults of the ceiling. “This is one of the zones I think is special, because it has the taste of childhood memories, of cakes baked by my mother, imperfect but unforgettable”. The nostalgia softens on the upper levels, where every room has an updated decor, a theatrical charm made of sophisticated canopy beds, colonial revival armchairs in wood and fabric, striped wallpaper with specific chromatic moods, and objects of affection. “In the end, I must admit that these rooms, made with whatever caught my eye, without excessive rigor, seem to work very nicely. But it remains a shell-house, that does not belong to me: I belong to it. In three days, I see what my life would have been like had I not chosen to do the fantastic job I do, in a context that still lets me eat food from the garden, relax under a pergola, cultivating simple pleasures”. - pag. 18 The crenelated tower and the age-old almond tree seen from the panoramic balcony on the street. On the terrace, pairs of chairs and a table from the Weather series by William Sawaya for Sawaya & Moroni. Facing page: in the park, the fluo co ors of the graphic Meteo seats, designed by W. Sawaya for Sawaya & Moroni, liven up the romantic aura of the place. - pag. 21 The living area facing the park, a successful mixture of hybrid presences, against the backdrop of a sober, luminous enclosure with wood paneling. The gilded bronze chandelier is a salvaged prototype. On the Flo table, two Indian white porcelain vases and a soup tureen in thick stainless steel, entirely made by hand, by Francois and Sido Thevenin. Cactus Barbarie, Blue Velvet sofa and Shanghai armchair-prototypes by William Sawaya for Sawaya & Moroni. On the wall, the Italian flag y Mirco Marchelli and, above the original fi eplace in black Calacatta marble, a painting by William Xerra. - pag. 22 Modern coexists with classic, and the Ollwood chair in orange painted wood and ton-sur-ton velvet by William Sawaya for Sawaya & Moroni updates the atmosphere of the living area in the zone of passage to the dining room. Facing page: the dining room, again with full-height boiseries, but finished in a shade f aqua green. Punto prototype table and Diva chairs by William Sawaya for Sawaya & Moroni. - pag. 25 The master bedroom, in the foreground, in white and cream tones, dominated by the fi ure of the canopy bed (a prototype, adapted for size), together with Kino tables with orange tops by Christian Ghion and two black and white photographs by Giorgio Avigdor. In the foreground, red hassock by Toni Cordero. On the Rodion tables by Paolo Moroni, a family samovar. All editions by Sawaya & Moroni. In the bath, recycled furnishings and, in front of the white wall with the outline of an original opening, the Neill bench with white seat by Matt Sindall for Sawaya & Moroni. Below, in the guestroom, two Zarina chairs by William Sawaya for Andreu World, Maxima table by Sawaya & Moroni and two McGuire wardrobes from 1952, family pieces, repainted in bordeaux. On the wall, a painting by Luciano Bartolini.

“Designing your own home is an exercise everyone should try, because only by thinking about your living space can you understand the quality of your life, how you want to relate to others. It is like designing your own clothing, which after all is the first space in which we live. Taking care of your home means taking care of yourself”. Alberto Biagetti, with professional roots in the avant-garde of Italian design (Alchimia first, then Memphis), deus ex machina of Atelier Biagetti since 2003, an aesthetic factory that focuses on design, architecture and interaction (outstanding works include the image of Yoox, where he has been creative director for 12 years, and collaborations with Memphis Milano, Venini, De Vecchi), has no doubt about it: “It is an interesting exercise, but a very difficult one, because it dredges up fears, insecurities, repressed spontaneous things – doing it with someone else makes it easier, because you can talk things over”. So when his gaze met that of his wife, Laura Baldas-

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In tern i aprile 2013 sari, musician and painter – creator of a series of enigmatic-liquid portraits and landscape-fragments of nature, interpreted with a ‘botanical view’ in evocative oil paintings – the story of this house in the canal zone of Milan had a chance for a different evolution. Light years away from the ostentation of certain architecture and the ‘coordinated’ taste of standardized product design. Beyond the new functional features – on the ground floor, the living area communicates with the kitchen (the most important part of the home, for this couple), while a loft level contains a separate bath, below the bedroom area and Lauraìs studio on the upper level – the house has become a vision, a shared scenario of two creative people: “A sort of forest that constantly changes (also because in some ways it is a place of work) or, if you will, a kind of diary, in which the objects are our notes”, Biagetti explains. “In fact, between our bodies and our home there are objects, that make up the inhabited space – a ‘map’ that can be constructed with passion, always a sort of theater of ourselves. Because the object is an extension of the body. We have taken over this stage, which we discovered a few years ago, in a gradual way, and that is an interesting part of the story. The house already had potential, an open, fluid layout, plenty of light. We started on the ground floor and the loft level, underscored by the rhythm of a courtly colonnade with full-height arches. Then we took over the space upstairs, for the bedroom zone, but had to come to grips with the lived-in dimension of the interior that was already ours. For me and for Laura, the house is still a white backdrop, a page on which to write, a favorite place of discussion: we continue to think about how to organize the objects and paintings, their relationships, the warmth and humanity of the materials, the measurements of spaces already built or yet to be built”. But the two sensibilities do differ, as Alberto acknowledges: “I lived for many years in 45 square meters, the problem was not the space, but where to put all the things I had accumulated. I tend to design, compose and redesign space, starting with the premise of the objects inside it. I have the spirit of a collector of images, memories, trips, which I can use to construct a possible project. I do not necessarily become fond of pieces, but they belong to me. A dense presence, expressing the pursuit of formal and emotional depth, charged with everyday symbolism, driving an aesthetic tension. Certain memories are indelible. A very beautiful object, like that chair by Charles Eames, for example, in the living area, is an archetypal form, conveying ethical, anthropological, social values that cannot be surpassed – because it grants us a truly innovative way of sitting. Laura, on the other hand, has a different attitude – for her the house comes first, and she tends to see objects starting with the space, and the leitmotiv of the materials used for connections between aesthetic and intrinsic qualities”. Two complementary ga-

The belly of an architect pag. 34 project RUY OHTAKE photos Ruy Teixeira - text Matteo Vercelloni

The home-studio of ruy ohtake in sao paulo, brazil, conceived as a laboratory on two integrated levels, overlooking the city below, taken as an ongoing, mutable point of reference for thought Light, unified spaces with two-storey areas, a ribbon window that frames the urban skyline, all wrapped in an architectural container marked by the figurative presence of reinforced concrete, art and color. This is the home-studio of Ruy Ohtake in Sao Paulo, a synthesis of interiors that is an apt representation, in its alternation of curved lines and regular geometric forms, of a constant in the legacy of Brazilian modernism, from the first masters like Lucio Costa and Oscar Niemeyer to the present. Ruy Ohtake, a Brazilian architect born in 1938, and a student of Niemeyer, has continued this research. His works of architecture, on any scale, always contain the mixture of the rigidity of the rationalism imported from Europe with the sensuality of curves, drawn from multiple aspects of Brazilian culture: from the local Baroque heritage to the softness of the movement of bodies dancing to South American melodies. This ‘autobiographical interior’ can also be interpreted along these lines,

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zes, a successful compositional synthesis of body and setting: while the objects may prevail over the architecture, it is also easy to sense a fil rouge in the materials, which link a global vision to the fragments: oak, already there, but also new oak flooring, laid in a herringbone pattern, upstairs; teak for the small bathroom on the mezzanine, with porthole; onyx to darken the window in the shower zone of the main bath. A strong point produced by a suggestion: “Laura was painting on onyx, a material that is already extraordinary in its own right”, says Alberto. “We thought about the churches in Ravenna with the little alabaster windows, dark at night, magically illuminated during the day – and about light that transforms material, making it transparent, penetrable, something else”. As if to say that in this scenario no room is an end in itself, limited to functional performance: “It would be lifeless. ‘Disposable’. We like to see it as unique and precious, like a work of art. The renewal of residential design culture starts here. The fundamental question is: what has been produced to date, and what do we really need? This is why design is still a disruptive force – we establish a sort of psychological relationship with objects, as with clothing, only clothes are consumed more quickly, while the house will survive you: it is the idea of a contemporary aesthetic based on grafts”. - pag. 26 The center of the private, social and professional world of the Biagettis, the large open living area communicates directly with the Boffi ki chen, the heart of the domestic scenario and, in the background, the garden-terrace. The Wire Table with base in matte brass and top in Canadian pine, by Alberto Biagetti for Memphis/ Post Design (2012), joins the Alchimia chairs (1981). Tristano centerpiece by Borek Sipek for Driade, Veronese Disteso vase by Biagetti for Venini (2008). On the wall, a painting by Laura Baldassari and a Marilyn by Andy Warhol. The chest hand-painted with acrylic colors on the floor belongs to the I Diamanti collection of Atelier Biagetti (2011). - pag. 29 Other parts of the living area, where the poetics of the fragment reflected in the objects creates a harmonious setting of aesthetic and materic synthesis. Carpet prototype in hand-tufted wool by Alberto Biagetti, bookcase in raw sheet metal by Raffaello Biagetti for Memphis/Post Design, Mex divan by Cassina, Eames Lounge Chair, lamp by Lighting Elements, Memphis and Venini vases. The Venetian screen is a family heirloom. - pag. 30 The linear oak staircase that connects the three levels of the house, an important architectural sign in the composition, lends itself to form a relaxation corner on the loft level, enhanced by the Venini murrine that decorate the glazed arch, and by a series of Memphis vases that appear as gradual discoveries. - pag. 31 Laura’s studio on the upper level. In the foreground, two paintings on panels. - pag. 32 The bedroom zone is a fluid open whole, also open to the bathroom and closet. The Vulcano bed designed by Rodolfo Dordoni in 2002 for Flou, with two portraits painted by Laura Baldassari. In the shower area, an evocative onyx wall fil ers the light from the window behind it. Faucets by Boffi Facing page: the Selim chair designed by Ettore Sottsass for Cassina in a zone of passage.

revealing a stimulating design path in its overall compositional solution. On two levels, the 17th and 18th floors of a residential building, the ‘Ohtake space’, rather than a home (it lacks a kitchen and a closet) is more like a living environment custom tailored for its user, who in this case is also the architect of the overall solution. The environment represents, in a private way, the character and behavior patterns of its maker. For example, the desire for an ongoing relationship with the city, seen in the continuous openings that run along the main facade, and perhaps in the lack of a kitchen, which ‘forces’ him to leave the house and workplace for appointments at lunch and dinner, finding places for the pauses of the day outside, in the city. In an overall area of about 400 square meters, Ohtake organizes the route through the interiors. On the lower level the large unified space is flanked at two ends by a small office that is a prelude to the gallery space behind it, and by a lounge area with a wellequipped bar. Upstairs, connected by a staircase and a large two-storey corner zone, we find a more private dimension, with a bedroom, a study and a library, as well as a small, hidden terrace. As in other projects, Ohtake uses the furnishings as part of the overall architecture; the long rectili-

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near piece that extends for sixteen meters, in relation to the glass facade, like an architectural wave, functions as a bookcase and then becomes a desk, reflecting the compositional tension of the ‘fixed furnishings’ in reinforced concrete (geometric shelving in blue and ochre hues), alongside custom steel furnishings that create a dialogue with pieces by other designers, modern masters of the recent past, and contemporary experimentation. - pag. 36 On the previous pages: view of the work table in reinforced concrete of Ruy Ohtake, towards the open space of the 17th floor. Designer chairs flank the end po tion of the custom Multimóvel furniture in MDF. Clockwise: view of the residential building in Sao Paulo, containing the Ohtake space. Corner of the studio with a work on the wall by Carmela Gross. Caricature of

INsight/ INtoday

De LuccHI vs MoscHInI pag. 42 by Antonella Boisi

An interview with the architect michele de lucchi, who designed it, and the president franco moschini, who supported the idea forcefully, to narrate the dynamic epiphany of the museum of poltrona frau at tolentino, in the marches, where “the historic collection of the intelligence of the hands” narrates the values of excellence of design made in italy in the world Architect De Lucchi, it is a privilege to create the ‘place for the safekeeping of the identity’ of Poltrona Frau, ambassador of a century of history, from Turin (where the firm was founded in 1912 by Renzo Frau) to Tolentino, in the Marches, where it moved at the start of the 1960s. What is the concept behind the project? “First we should say one thing: it is the museum of Poltrona Frau, so it has all the transverse identity of a place, a portion of 1400 m2, inside the production space. The most positive part of all has to do with communication: it immediately shows that the company believes in itself and its history. Then comes the commercial side, because by attracting a larger audience to the museum, the firm orients them towards its products. Finally, there is the cultural aspect: to emphasize the value, experienced from within, of the corporate culture, a priority to pass down abilities and talents over time”. President Moschini, what were the motivations of the project, the concept and, as a result, the choice of Michele De Lucchi as the ‘orchestrator’? “Creating the museum of Poltrona Frau was a desire I had been trying to fulfill for many years. It sets out to be a tribute to this territory, to the dedication and passion of all those who contribute their professionalism and skills to pass on and enhance a culture of craftsmanship. With this goal in mind, Michele De Lucchi was our first choice. Michele has an extraordinary sensibility. He has designed and worked for Poltrona Frau, and he is able to decode the signs of tradition and crafts, presenting them to the public in a very refined way, with simple forms and a warm atmosphere. The result, the Poltrona Frau Museum, is quite extraordinary”. In your view, what is the added value of a corporate museum with respect to the product it represents? “A company museum, like ours, has the capacity to immerse the visitor in the world of Poltrona Frau, to communicate historical content, the crafting of products. While the product is the extreme synthesis of our values – quality, craftsmanship, details, research – the museum, on the other hand, narrates with a universal and immediate, highly emotional language, our history, a fine Italian story that almost by magic becomes a history of the evolution of Italian lifestyle and design, and more”.

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aprile 2013 Interni Ruy Ohtake and pencils on the work table. Facing page: view of the two-storey space at the position of the bedroom and study, hanging sculpture by Tomie Ohtake, custom reinforced concrete table. In the foreground, the desk of the custom Multimóvel unit in MDF. - pag. 38 To the side: the Flirt Double Chairs, designed in steel by Ruy Ohtake. The large unit in MDF, Multimóvel, in the unified space f the lower level. - pag. 40 Clockwise: custom bookcases in reinforced concrete, the 45° Concrete Shelf, in blue, and the Round Concrete Shelf in ochre. View of a corner of the living area with the triangular chair and the Ecological Table, custom designs. View from above towards the zone with the pianoforte. Note the wavy concrete parapet. Facing page: the curved two-storey opening and internal staircase connecting the two levels. On the glass shelf in the steel arch, works by Vasco Prado; below the staircase, a steel sculpture by Amilcar de Castro. The use of primary colors extended to walls and structural surfaces establishes a dialectic relationship with the artworks positioned in the space.

The same question for you, Arch. De Lucchi ... “This company demonstrates, above all, that ‘manual know-how’ is fundamental, and everything has value precisely because it is made with great care, using methods perpetuated in history, becoming almost a family tradition. The photograph at the entrance is emblematic, showing a father teaching his son the technique of leather stitching. This museum retraces the very delicate story, in Italy, of the relationship between crafts and industry, which has changed over the years, evolving for better or worse; but this is a very important topic for those who want to reflect on Italian manufacturing. It is connected to specific production niches, by territories: the working of leather and cowhide in the Marches, chairs in Friuli, marble in Carrara, glass in Murano… A typically Italian aspect, developed in our country as in no other part of the world. Whereas in France craftsmanship has become a synonym for luxury, and there is a Department of Living Cultural Assets, with the aim of conserving handicrafts and teaching them to new generations, that is not, unfortunately, the case in our country: there are many talents, but no one thinks about nurturing them. It is all left up to private initiatives. This story can be perceived in the Poltrona Frau Museum: in the way the company has presented itself over the years, conveying values that go well beyond good design, because they establish a relationship with the skills of the craftsman”. Has the cultural project of the museum included your involvement in developing the content of future activities, like exhibitions or architecture and design events? “I have intervened above all to understand and balance the relationships between the cultural and commercial aspects of the museum, between historic exhibits and the display of products that are still on the market. There had to be more than one reason to construct a place of attraction, outside and inside the company. The ulterior reason was to think about the theme of the crafts-industry relationship, to somehow use the museum as a center of expertise, a vault in which to store the treasures of Poltrona Frau, which are not the pieces, but the capacity, over time, to interpret the job of the artisan, presenting it as a company”. What are the compositional principles that have gone into the project? What materials and colors are used, how, and with what objectives? “I came to terms with a traditional work of industrial architecture: the classic shed, white on the outside, all gray concrete inside. I tried to listen to a silent place. The first large room you reach, by means of steps, is a special area: a cafe and bookshop overlooking a small courtyard with plants, a garden-terrace hidden by a wall, with respect to the plant: an unexpected zone of relaxation. In the entrance area, you can take in, with a single glance, all the great expertise of the brand in the working and selection of materials. You seen the Poltrona Frau logo and its totemic words, together with a series of films. The nine words are simply the names of the company’s tools: the curved needle, nails, horsehair, the hammer… objects that have been transformed over the years, to facilitate folding, stitching, attachment of the leather. The nine videos narrate everyday gestures: the phases of workmanship of the products”. Does the alchemy of light, transparency, fluidity of this area of attraction, communicating with the small internal cloister, all in white, return in other spaces of the museum? “The museum proper has been conceived like a theater, where the set design relies on a series of towers of different heights that use the construction system of theatrical wings: a semitransparent ecru canvas stretched on a rugged wood structure. The tallest tower is eight meters. Together, the towers become six off-scale lanterns, lit from within, simultaneously imposing and ethereal, representing the life of Poltrona Frau in twenty-year chunks. Each one contains an emblematic piece from its period, positioned on a platform made of a material typical of that era, with a vintage chandelier. Each twenty-year period is then surrounded by a constellation of other icons, gathering furnishings selected to convey the spirit of the time. These are joined by display cases with original documents”. How many products are on display? “About sixty, many of which belong to the private collection of Franco Moschini. The historical exhibition also includes two rooms, one on the major contract projects done with leading international architects (including nine Pritzker Prize winners) and one on Interiors in Motion, namely spaces for the transport sector – trains, airplanes, yachts, automobiles. First of all with the Ferrari, which everyone wants to pho-

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Interni aprile 2013 tograph, especially the younger visitors”. How did you design the lighting, to enhance the various settings? “It became an ‘almost natural’ gesture: ‘shot’ from the top of the towers, the light becomes almost mystical, absolutely impalpable, precious, magical. You can’t tell where it’s coming from. You cannot put together, in one gaze, the light source and its effect. It becomes enjoyable for what it is. Without combining it with any rationality or attempt at cataloguing. Because, in the end, to use the idea of the Sufi poets, light is made of the same stuff as God”. President Moschini, what about the activities of the museum (openings, events, debates, encounters) and its target audience? “The museum, one of the very few created in the furnishings sector, is for a very vast audience. Architects and designers, students, lovers of design and decor, consumers, everyone capable of appreciating excellent Italian crafts. For us it is a working tool, and I am happy it is named after my mother, Stella Moschini”.

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- pag. 43 Design sketch by Michele De Lucchi and a corresponding image of the building. Note the long orange corner wall, together with the portal that conveys on a large scale the application of color of the brand, indicating the approach to a production site of reference for the territory, the Poltrona Frau plant in Tolentino. The entrance area and the small white cloister, conceived as an outdoor/indoor buffer zone that forecasts, with its cloud effect, what is seen afterwards, dominated by an immaculate Vanity Fair. - pag. 44 The internal itinerary of the museum with the dramatic tower-lanterns in rough wood and semitransparent ecru canvas that contain, like stage wings, the life of Poltrona Frau divided into twenty-year chunks, displaying iconic products made from 1912 to the present. The Interiors in Motion room, with projects for the transport sector, and the room on major contract projects. - pag. 45 Part of the narrative, the Juliet chair designed by Benjamin Hubert in 2012 (above) and the Lyra chair, 1934 (below), together with images of the phases of manufacture of the products, which mix fine c aftsmanship with careful selection of materials. Leather becomes design material in the preparation of a Chester. Photos by Giovanni Gastel/courtesy of Poltrona Frau Archives.

SuPerficial stories pag. 46 by Alessandro Villa photos courtesy 3ndy Studio, Andy Altmann, R2 Design

The theme of metissage interpreted as lettering, a fusion of graphics and architecture. Selected projects to convey the writing of artistic expression, using fonts as textures and decoration of surfaces The impulse of human beings to “scratch” walls is ancestral, far older than the tradition of alphabets traced on paper. When letters are sculpted in stone or cut into wood, writing blends with artistic expression and words take on complex patterns. The scripts conserved on surfaces settle in time, and the signs on the facades of buildings give rise to an inseparable combination of architecture and graphics. This ancient habit, which we prefer to call lettering today, can be seen in many contemporary projects. The architects of 3ndy Studio have approached the upgrade of Palazzo Campiello in Vigonovo, a late 19th-century complex, as a chance to reflect on the theme of memory. Not just the well tested – and refined – praxis of overlapping of two forms of writing, “antique and modern”. The designers have decided to imprint the sign of time on the facade of the building with an explicit written message, calling in external help for an artistic contribution. To achieve their goal they called on art critic Philippe Daverio, who has selected the texts and suggested the name of the sculptor Giorgio Milani for the artistic making of the work. Together, they have brought a new, original splendor to the Palazzo, with the initial intuition of replacing the facade with its own silhouette, making the project much more attractive than the original, which had been irreparably damaged. The new facade has been imagined as a boundless page composed of 190 Cor-ten sheets. A white border traces the openings that clearly imitate the rhythm and design of the original windows. The rusty surface of the steel congeals the arrangement of what were the marks of time on the stucco. Giorgio Milani has imprinted “Echo of steps of memory”, a composition of full and empty zones created by the fragments of 22 different alphabets of the same era as the construction of the building. Letters, words and symbols overlap like torn leaves, through which to glimpse other segments, other fragments. In the evening the effect against the light of the backlit facade makes the page seem as thin as a veil, and the sturdy cowhide/Corten binding protects that protects the building from daylight vanishes as if by magic. With a geographical and cultural leap, we find ourselves on the waterfront at Blackpool, walking on a gigantic typographical composition, 2200 sq meters of white concrete pavement with insertion of 160,000 characters of granite in different colors, from different parts of the world. The work makes us of a series of aphorisms and quotations from over 1000 English-language comedians and playwrights, combining a striking concentrate of humorous scripts with “pop” graphics of posters and flyers, spread on the ground like pages wet from the waves. The project is based on painstaking research guided by the artist Gordon Young to recreate the image English “comedy” has staged, from its beginnings to the present. The Comedy Carpet is entertainment in a cultured and amusing urban space, a disenchanted vision of public art, no longer monumental or commemorative, but certainly ironic and pragmatic. As in Vigonovo, this project too comes from an important collaboration. The graphic layout is by the designer Andy Altmann of the Why Not Associates studio of visual communications, active for many years in the creation of Young’s art installations. The deep roots in the place, the references to historical and cultural events, coexist with signs for fish and chips, loud tabloid headlines, and actions that get the local community involved. All this finds its way into the writing of immediate visual narratives, as well as the priceless aesthetic pleasure of the graphic style. In some ways, this same combination is also found in the work of R2 Design, a studio with headquarters in Oporto, founded by Lizá Defossez Ramalho and Artur Rebelo. R2 works in many fields, from communication to artistic installation, in projects that

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reflect a recurring idea: the extension of typographical language to all surfaces. The written world of R2 adds specificity to spaces, without confusion, again in the approach of mixing different kinds of practices. The renovation of the Casa do Conto in Oporto – a small 19th-century building transformed to make a hotel – stands out precisely for the words imprinted in the solidity of the concrete used to reconstruct the slabs. In 2009 a fire destroyed the original wooden structures, just a few days before the planned opening of an earlier restoration, suggesting something more than just a caption, as seen in the name of the building itself, the “house of stories”. In the new project the ceilings of all the spaces tell a fragment of the story of the building, with clues and details for a memorable narrative. The same practice is also perfect for temporary projects. “Vai com Deus” is an installation that combines, on the facade of a small church – now transformed into a gallery – different expressions that evoke the divine in big block letters. The success of this first work led to an encore the following year, in 2009. “Dois tempos” is a reflection on time through the headlines of newspapers, chosen to make ironic messages. The phrases are reproduced in phosphorescent colors that light up in the evening (the light is projected from the opposite side of the street, and when it is turned off the letters remain magically “lit up” for a short while). The free approach to typography can also be seen in an inverse process, in alphabets composed of unusual objects, like the famous Font Found, the character created by Paul Elliman who has “found” a long series of silhouettes of common objects to rewrite the letters of the alphabet. Each letter is unique and all the objects come from department stores or hardware stores. The passion for materic alphabets must be contagious. A quick trip through the web suffices to find a vast range of human bodies, cookies and utensils shaped to give rise to many fonts. Kitsch and design: alphabets of pastry coexist with the Clay Font by Giulio Iacchetti. The contamination of genres and languages gives way to a different interaction, a gentle mixture of expressive forms. - pag. 47 Nocturnal view of the slender Cor-ten steel cladding of the new facade of Palazzo Campiello, in Vigonovo, a project by the architects of 3ndy Studio and the sculptor Giorgio Milani. Facing page, poetry fragments in minute perforations on the metal surface. The openings reflect the position of the original windows. - pag. 48 Aerial view of the typographical composition of the Comedy Carpet. Young Arturo plays on the pavement created by his grandfather, the artist Gordon Young, with quotations from British comedy. The letters are in granite of different colors, inserted in white concrete. The graphic layout is by the designer Andy Altmann of Why Not Associates. Facing page, curiosity and reading time set the duration of the visit. - pag. 51 Right, Vai com Deus (2008), the opening installation for the wall of a deconsecrated church now converted as an art gallery. A work by R2 Design, the Oporto-based studio founded by Lizá Defossez Ramalho and Artur Rebelo. Facing page: Dois Tempos (2009), a reflection on time using newspaper headlines. At night the phosphorescent paint lights up the letters when the lights are suddenly turned off.

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From Hans KnoLL to Rem KooLHaas pag. 52 text Alessandro Rocca

A long, noble history is renewed thanks to an exceptional partnership with the studio oma. in milan, knoll celebrates its 75th anniversary and presents a preview of projects for the near future. we talked it over with the president of the brand, andrew cogan

For the main event of its 75th birthday, Knoll chooses Milan. After many years of absence, the historic American company is back at the Salone del Mobile, doing it in style, with a dual participation: at the fair, with a booth designed by Rem Koolhaas and his Office for Metropolitan Architecture, and in the city, at the Prada space at Via Fogazzaro 36, with a preview of furnishings collections, again by OMA, marking the start of the next 75 years. We talked about past, present and future with the president of Knoll, Andrew Cogan, asking about the strategies and objectives of this return to Milan. “Knoll was founded 75 years ago with the idea of bringing modern design into the office and the home. This dual vision has always been part of our cultural vision and our commercial strategy. In Europe, this potential has still not been fully developed. So we asked Demetrio Apolloni, as president of Knoll Europe, to apply all his experience in the domestic design sector to reinforce the brand’s position in that area. Here we are focusing on the modern classics of our catalogue, pieces by Mies van der Rohe, Saarinen, Bertoia and Schulz, to increase our visibility on the European market. At the same time, we want to emphasize our contemporary research, with products created by today’s great talents like Rem Koolhaas and David Adjaye, because we don’t want to remain tied to the icons of modernism. We want to expand our production to cover all types of furnishings for the home. Thus the choice of showing in Milan, with the Lounge upholstered furniture collection designed by Barber Osgerby”. What other projects will be seen at the Salone? “Our return to the Salone del Mobile after many years of absence happens in close collaboration with OMA (the studio of Koolhaas), which has created our booth and some of our new collections. We have wanted to work with Koolhaas for at least 15 years, but our collaboration began only last year, when together with our chief designer Benjamin Pardo we met with Rem, at his studio in Rotterdam, and planned a large collection that attempts to radically change the idea of workspace. My favorite piece is an object that can be transformed by the user into anything, from a screen to a table to a bench, spanning a wide variety of behavior modes for work, and different forms of interpersonal relations. I am confident that this piece, which will be at the center of our booth, will become a new icon for Knoll, the symbol of our commitment

aprile 2013 Interni to truly innovative, modern design. There will also be other products on display, both classics and new entries, gathered around the theme ‘Modern Always’, our motto for the 75th anniversary of Knoll”. What position would you like to achieve in Europe? “We want to simply reintroduce ourselves, with our identity and our capacities. Knoll has always been recognized worldwide as an example of leadership for its conception of design. In the 1940s, under the guidance of Florence Knoll, our Planning Unit played a fundamental role in the modern evolution of workspace. Today, once again, we are indicating new perspectives for the working environment, like the Antenna system, the first true global platform focusing on styles of work and their growing similarities in Europe, Asia and America. In Europe our offerings continue to grow, and we can compete with anyone. On the home front, our classics are a central element, but that is not enough, so at the Salone we will demonstrate how we are expanding our offering with new products, like the collection by Barber Osgerby. In the next few years we will present many other initiatives for the home furnishings market; we think this is the field with the biggest margins for growth. And we are not talking only about furnishings: our brand KnollTextiles and our brands connected with cowhide, Spinneyback and Edelman, are getting more intensely involved in this sector and in contract. Last year we acquired a fantastic maker of felt, FilzFetl, that supplies us with the best materials for home and office layout, and at the end of this year we will open a new flagship store in New York, on the corner by MoMA. All this means more visibility with respect to the public and companies”. What is the specific essence, the particular character that sets Knoll and its production apart? “I think that since its founding, 75 years ago, Knoll has stood out for its commitment to high quality and innovative, original, timeless design that responds to real problems and real needs. We hate everything that is frivolous, trendy and not original”. So the Knoll adventure continues, even in what isn’t the most optimistic economic situation... “Over the last ten years we have all gotten used to operating in a situation of uncertainty, but I look at Europe as a major opportunity because we have a very strong brand and a small market share. If we manage to balance the share to our reputation, our business should double. But I have also learned that we have to approach the European market with management that has roots in the territory. I believe the latest choices made, in this sense, will lead to great results”. What is your relationship of collaboration with Prada? “Thanks to Rem, we were able to play a role in the presentation of the latest Prada menswear collection. We have great respect for the vision of Miuccia Prada and we were truly honored that she granted us the space at Via Fogazzaro to present our work with Koolhaas. I am sure it will be one of the high points of the FuoriSalone”. - pag. 53 Advertisement for the famous Tulip chair by Eero Saarinen, produced by Knoll since 1957. On the facing page, clockwise from top: working drawings and one of the new projects by OMA for Knoll; the Womb chair with footrest, designed by Eero Saarinen in 1946; poster from 1970 circa for the retrospective of Knoll products, one of the graphic image projects done by Massimo Vignelli for the American company starting in 1966; advertisement for the Womb chair, model 70, designed by Eero Saarinen in 1946. - pag. 54 1. Hans and Florence Knoll, a partnership of the golden age of modernism at Knoll. 2. Barcelona® chair and Saarinen table. 3. Advertisement for the Tulip chair by Eero Saarinen, in production since 1957. 4. The seating collection designed by Frank Gehry, 1992. 5. Chaise longue from the collection designed by Architecture & Associés, 2012. - pag. 55 6. Advertising image for the famous metal screen chair designed by Harry Bertoia, 1952. 7. Chaise longue from the 1966 collection designed by Richard Schultz. 8. Sketch by Frank Gehry for the Cross Check Armchair, using curved maple. 9. The Wassily chair designed by Marcel Breuer in 1925, and produced by Knoll since 1969, following acquisition of the company of Dino Gavina. 10. Florence Knoll table and Brno chairs. 11. Study sketch by Warren Platner for the collection of 1966. 12. Tulip collection of tables and chairs designed by Eero Saarinen. 13. Florence Knoll collection. - pag. 57 Above: collection of tables and chairs designed by Mark Krusin, 2011. To the side: Generation and Life office hairs, 2009, designed by the New Zealand-based studio Formway. Below: armchair designed by Edward Barber & Jay Osgerby. Facing page: ‘The Ideal Home’, the installation done in January in Milan by the studio AMO for the Prada menswear show, F/W 2013, with preview of the prototypes of the furnishings collection Rem Koolhaas has designed for Knoll.

NEw romantic sentiment pag. 58 by Cristina Morozzi

Design grasps the contemporary sense of indeterminacy. new languages appear that use the forms of narrative and poetry to document a multiple, mutant reality that cannot be measured by pure reason In times of crisis, never just economic but also existential crisis, to some extent, reason loses its grip on the determinate and the indeterminate. It realizes it is inadequate to comprehend the world and the variegated constellation of its images. Another kind of thinking thus emerges, without faith in the linear process of time, not nostalgic or regressive, but aware of the shortcomings of the classical language of philoso-

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In tern i aprile 2013 phy to understand the real. A different thinking that takes the forms of narrative and poetry and feeds on sentiments rather than reason, open to things that don’t conform, to the vague and magical, to that which eludes expression and the control of the intellect. This indeterminacy and this tension towards another way of looking at things (with respect to Hegelian idealism) are at the root of romanticism, with its blurry landscapes, immersed in dusty sunlight or dusky shadow. Instead of the ray of light of reason that reveals precise contours, we have the trembling light of imagination that brightens without banishing shadows, a light capable of embracing the contradictions that dwell in the contemporary world, which cannot be grasped in terms of pure concepts. In this proximity to tension, wavering, the risk of the unknown, the truth of art is revealed, according to the romantics. Romanticism seeks out the “infinite spaces and superhuman silences”, the metaphorical limits of pure reason. Many contemporary creations have their romantic side. Not in stylistic but in ‘existential’ terms, because today’s objects have little in common with the formal tenets of the romantic era. What is similar is the attitude of certain designers who abandon the precise language of the classical discipline to embrace a poetic/narrative form of speech, capable of gathering the lights and shadows of a multiple, mutant reality that eludes rational measurement. Today, with the lack of reliable forecasts and certainties, there is a personal attitude of openness to the indeterminate and the romantic. The result is expressive variety, hard to trace back to a single formal current. The adjective romantic fits today’s creativity, even in its original etymological sense. When the term arose in England in the mid-17th century, and in Italy at the end of that century, it was used as a synonym for the picturesque. Its true meaning, instead, is informal, irregular, eccentric, fictional. The ethical and aesthetic critiques of the term, along with that degenerate patina that has transformed its meaning into something cloying, depend on its contradic-

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tory character, despised by lovers of pure reason. A champion of romantic sentiment, Friedrich Schlegel, on the other hand, starting with the fragment of the Hyperion of Friedrich Hölderlin (1794), stated that reason “can do nothing in the face of contradiction: nothing intelligent has ever emerged from pure intellect, nothing reasonable from pure reason”. The romantic attribute, taken away from its historical epoch and seen as a temperature of the spirit, can be considered one of those terms philosophers call a ‘suitcase’, ready to take on multiple, even conflicting meanings. Even in its original sense, it is pertinent to many works of contemporary design that do not fit into a precise trend, the result of disciplinary hybrids and incursions into different geographical territories, different temporal intervals. In Cologne the exhibition at the MAKK “Isn’t It Romantic?”, curated by Tulga Beyerle (14 January/21 April 2013), offers a selection of works considered romantic, picking up on widespread ferment and opening up a new path. We can walk down it with a different repertoire, ready to enter this ‘spacious suitcase’, in the conviction that the romantic sentiment is a contemporary attitude. - pag. 58 Coralloletto double bed, a tangle of gilded metal wire that originates with the famous Corallo chair. Designed by Fernando & Humberto Campana for Edra. Facing page, from left: wardrobe from the Heritage series with doors covered with classic Portuguese azulejos, produced by Boca do Lobo; ceramic vase, designed by Pepa Reverter for Bosa; Telo divider, a wooden structure that forms the framework of an object in multiple versions, designed by Lorenz Kaz for Colé. - pag. 60 Hanging lamp composed of a light cage of metal wire that encloses a milk-glass diffuser. Designed by Atelier Oï for Venini. - pag. 61 To the side: “Assiette suspendue à la guirlande de roses”, one of the porcelain works of the “Mousse de Sèvres” series by José Lévy for La Manufacture de Sèvres. Below: Good Vibrations cabinet by Ferruccio Laviani for Fratelli Boffi Below: Bauta from the collection “Deformazioni Veneziane’ by Gaetano Pesce for Venini, limited-edition series of blown glass vases.

INsight/ INarts

Art DesIGn: SaLvaTore ScarPITTa pag. 62 by Germano Celant

Born and raised in the united states, scarpitta (1919–2007) had strong ties to his italian roots, shifting his career between the us and europe; his relationship with italy was consecrated in 2005 when the università degli studi of turin gave him an honorary degree in letters and foreign literature If the art of the 1800s concluded a cycle of contemplative and aesthetic research, where the object was a tool of observation and consumption through the gaze, in the 1900s it becomes a manner of forming and constructing, where what counts is no longer sensual pleasure, but the desire to develop and give life to a poetic language that asserts its own independence. A change of sign, from observing to producing, that shifts the object from an entity to look at into a thing that functions for the mind and the gaze, for the touch and for use. A move towards a position of responsibility of art regarding the world of things that surround us, an ethical and hermeneutic procedure that leads the practice of the artist towards a production of things, whose presence is no longer dictated by seeing but by ‘functioning’, through their impact on thought and taste, decor and market. A shift from lack of interest to interest in a concrete and effective presence in the social context that leads to the rise of a parallel visual and plastic language, almost coinciding with applied art. It is a turning point from pure research to design, seen as the synthesis between art and life. Something virtuous and useful that eliminates the traditional representations to bring out a whole that helps us to see, as well as to use the true forms of things that have to do with our everyday life. A historical path that starts with Russian Constructivism and continues with De Stijl and Bauhaus in order to reach, after World War II, the assertion of an art that is ‘interested’ in all the practices of doing and existing, arriving with Warhol at a multiplicity of manifestations that touch on business and advertising, cinema and dining, decor and performance. A procedure that encompasses the real and shifts from a passive gaze to an active production, which in its ‘design’ tends to consume everything. In this atmosphere of transit from the aesthetic to the poetic, from the visual to the functional, the career of Salvatore Scarpitta can be interpreted, after a figurative outset where what counted was the social content, as a way of constructing, starting in 1957, a procedure that would function for the very essence of painting, based on the ‘surface’ that was cut up and painted, taking the form of bandages, interwoven with belts and buckles. It is a way of working on the internal logic of the artistic thing, which in the wake of Alberto Burri and Lucio Fontana brings Scarpitta closer to the parallel development of Piero Manzoni

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and Enrico Castellani, Robert Ryman and Frank Stella, leading him to think about the logic of construction of an artistic entity. The next step is then the definition, if not the implementation, of a construction of art that is a thing and a sculpture at the same time. The object that legitimizes this osmosis is the racing car, as seen on the dirt tracks frequented by the artist himself since childhood. So it should come as no surprise that the passage from the protruding paintings of the 1950s is translated, in 1964, into the construction of the Rajo Jack Spl, a thing not only to observe but also potentially to use, so much so that this sculptural reworking was followed, over the years, by totally functional reconstructions. The move from a neutral but active place, of works with bandages and tubes, to a place of encounter with personal motivation is not a clean break, but a harmonious passage because it pushes the technical side of doing towards an object or image of recognition. This allows the claim of construction to emerge, constraining it to the builder, his values and pleasures. It is important to emphasize that in 1961 Scarpitta showed, through Leo Castelli, at the Dwan Gallery in Los Angeles, meaning that he became aware of the interests of Virginia Dwan and her activity of exhibitions. Among them, besides Yves Klein, Jean Tinguely and Niki de Saint-Phalle, the presence of Edward Kienholz stands out, the Californian artist famous for his highly realistic tableaux, from Roxy’s, 1961-1962, to Back Seat Dodge ‘38, 1964. Scarpitta’s show opened in 1961, the year in which Walter Hopps, at the Pasadena Art Museum, organized a retrospective on Kienholz, whose attitude of realistic representation, from churches to brothels, from abortion to holy communion, through the assemblage of dummies, furnishings and portions of spa-

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ces, must have come to Scarpitta’s attention. With respect to Kienholz, the iconic sources of Scarpitta are not media simulacra, but the real image of heroes and legends from his childhood and from the history of racing. The effigy that is recovered to give form to a mechanical shroud is the depiction of the racing car, constructed – like a painting or a sculpture – to make another voyage in space and time, according to aesthetic, plastic and chromatic parameters: “I began to make cars, because it seemed like running straight to the source of those that were contained in my paintings. Instead of putting an exhaust pipe on the paintings, I put it back where it was before”. If first the rapport between vehicle and driver (Scarpitta) was implied and concealed beneath plastic disorder, in Rajo Jack Spl, 1964, completely reconstructed in wood, fiberglass, cowhide, metal and rubber, like a copy of the original seen by the artist in California, the secret is revealed. The dynamic device is expressed, and constructs a full discourse that excludes an evocative hints. The object appears in a direct way: “the racing car, in my view, was the most precise way to get to a dialogue, outside any consideration of the New York myth, it was trying to establish a dialogue with ourselves”. The urgency of granting real visibility to the vehicle itself, to seek its original meaning, is part of the linguistic strategy of working on the structure of representation of making and building, where art is both fact and tradition. The tension towards the creation of a copy, in the absence of an original, wavers between the desire to return to the roots, but at the same time to simulate them, as a popular and cultural product. A hybrid between Post-Realism and Pop, where the former finds its sources in the first painted works of Scarpitta, from 1933 to 1953, whose political component resurfaces in the choice of the car driven by Rajo Jack, who was actually the Afro-American Dewey Gatson, who for racial reasons was excluded from the major competition: “The first car, the Rajo Jack in 1964, was not a real racing car but represented a personal act of protest about the racial discrimination inflicted on a black driver who was prevented from racing on the official tracks in the United States”. With respect to Kienholz and Segal, who nourish their research on fragments and castings of the real, Scarpitta opts for an absolute resemblance of the artistic vehicle to reality itself. In this sense, his construction can be seen in the wake of a Pop procedure, which feeds on the ‘real’ of advertising, making sign and image into a usage value, where appearance becomes substance. The Rajo Jack Spl is thus a forebear of a hyperrealism, where art approaches the real as in a hallucination. It materializes an imaginary original that no longer exists: it achieves the prototype of a technological simulation, exaggerated and obsessive, of the world, to the point of blending with it. From 1965 to 1969 the innocent and specific motivations behind the passion for cars and the memory of races led to the surfacing of other fetishes, both because their image is mnemonic, and because it is linked to the rediscovery of original fragments of cars: a team is put together in his studio-garage, ranging from the Hal Special, 1964-1965, later modified in 1983, to the Sal Cragar, 1969, passing through the S.A.L. Haist-Railduster Spl, 1966, and the Ernie Triplett Special (S.A.L. Ernie Triplett Spl), 1968-1969. Here the double belonging, from driver to artist, is indicated by the inscription S.A.L., like Salvatore, which underlines the intersubjective relationship between the vehicle and its aesthetic and plastic driver. The personal order that was evident in the realistic works re-emerges with a direct relationship, so from this moment on the integration between art and live returns, no longer in the sense of a selfportrait or portraits of friends and relatives, as in the 1940s and 1950s, but since 1985 with the construction of a functioning vehicle, the Sal Scarpitta Special, and from 1986 through participation in professional races, with the organization of a racing team with which to compete on the dirt tracks, from Maryland to Pennsylvania: “Being artists means have good reflexes, in this sense we are close to racing drivers”.

The exaggerated statement of the hyperreal character of the car that forces the constructed thing to appear as image, so that the two are mingled, again belongs to the universe of simulation that comes from advertising and visual communications, because it is based on figures taken from memory and from the reproduction in newspapers and magazines, so much so that this Pop process is chosen, around 1966, by another artist, Pino Pascali, in the visually fake creation of his sets for television, and in his war gear: from the torpedo to the hand grenade, the cannon to the machine gun, Contraerea, 1965. On the other hand, Scarpitta is not willing to artificially depict an image or an object; he wants to ‘reconstruct’ it, to bring out, as in the wall-mounted objects of 1958-1963, the construction of the image as image. In 1973, in fact, for certain racing cars of which he had found fragments, he gets involved in the reconstructionrestoration of an original, the Lince (1943-44), 1973. The finding of the vehicle that had been lost or erased, by breakage and cuts, and its reconstruction translate into another semantic construct, because the vehicle is shown in Milan, in an environmental territory that functions as a load-bearing surface: it is harnessed and immobilized by belting and surrounded by tarps marked with the symbol of the Red Cross. Thus it is not just a vehicle, but a fragment of a setting and of a zone of suspension that is almost like a set design, that of a desire for immobility and silence. Something that fits in with Scarpitta’s history and his position of pacifism, where the objects perform a circumnavigation, tending to remove a concrete weight to sublimate themselves in image, as happened with the first racing car or with its flattened depictions Racing Car 21 and Racing Car 51, 1967-1968. The Lince (1943-44), 1973, is also part of the visual system of art, it is painted pink and attached to the surface of a Milanese courtyard, like part of a purely plastic setting: “After I finished it, I belted it to the ground, covered with grease, so one would get near it, and I sprayed water on it, filled the tarps around with water. After I built it, I had to catch it. You can build something, but it can escape you, it can go beyond or be less. My problem was that it was going beyond me so I had to immobilize it”. It is rethought as an exhaust pipe or a safety belt inserted in the vehicle-paintings on the wall, no longer doubling reality, but as a component of a ‘constructed’ figure, horizontally evoking vertical constructions, from Diogenes (X Member), 1961, to Body Press, 1963, and Race Roller (Roller Board), 1963. Thus it is an operation of appropriation, but at the same time of alienation, entering a field of referents, water, the red cross, the tarps, the pink, which are extraneous to it and serve to confirm a semantic redistribution of its meaning. No longer an instrument of war, but a vehicle of carnal sensitivity and passion, inserted in the dynamic and linguistic universe of Scarpitta. Lince (1943-44), 1973, thus becomes part of the process of assemblage of the artist, losing itself in a whole that leaves the space of the painting to enter the architectural context, while adopting its construction and logic. Starting in 1974 the configuration of the racing car gives way to another instrument of competition, the sled whose constructive identity makes reference to the production of vehicles by Inuit tribes, the original population of Dorset. It is almost a return to crafts, where industrial design leaves room for anthropological design, conserving the theme of the race while shifting the focus to the primitive and the archaic. Nevertheless, the theme is always speed, but now it has to do with an undefended and extinct culture: further proof of Scarpitta’s interest in a dynamic way of living that feeds on innocence and energy, both as triggering forces.

INsight/ INscape

With the start of globalization, Europe has lost its centrality and begun to backtrack, under the pressure of the cultures and economies of the emerging BRICS nations (Brazil, Russia, India, China and South Africa); the philosophies of these distant empires are modernizing our old, weary modernity. Eurocentrism is slowly declining. Immigration, industrial pressure, the influence of new religions all seem to violate the antique hearth of our hypothetical Judeo-Christian supremacy. The hybridization we are talking about, in fact, does not consist only of a new stylistic eclecticism, but in the advent of logics and philosophies that are totally distant from the rationalism of the 20th century and its evidently fragile certainties; events, that is, capable of ushering in a new period of design culture all over the world. If Europe is subjected to the influx of the Far East and Deep South, it is also true that these territories now import fragments and segments of our culture. This is perhaps the only positive aspect of globalization, which has failed as a conveyor of a mono-logical order: it has not produced a standardization of brains but, instead, it has opened up a new space of knowledge between men and about men. This sort of hybridization of the human race does not iron out differences, but produces a new definition of anthropological certainties, no longer guaranteeing objective parameters, but a state of opacity regarding our very roots, blocking access to what seemed like ancient birthrights. Roots that over time have given us the illusion that outside the Occident there was just a desert, where – as we used to say – hic sunt leones... I cannot forget

The end oF EurocenTrIsm pag. 68 by Andrea Branzi

Exported all over the world, the codes of the modern movement will soon cease to be universal, because eurocentrism is on the wane, while the brics are on the rise. our overly selfabsorbed design culture will have to grasp this epochal turning point and open up to new cultural exchanges in order to save itself Everyone knows the Modern Movement started in Europe (except for the Russian avant-gardes) and that its codes have been exported all over the world, not just as style, but as a standard of emancipation of different countries and their entry in the noble assembly of the civilized. This expansion process has been an important part of colonialism, not just economic but above all cultural in nature, of the Old Continent with respect to the new ones (which, at times, are actually older than Europe…).

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- pag. 62 Views of the exhibition “Salvatore Scarpitta” at the GAM in Turin, until 3 February 2013. Photo Paolo Rubino. - pag. 64 Sal Ardun Special, 1964-1983. - pag. 65 Cot and Lock Step n. 2 Cargo, 1989-2000. Racing Car, 1990. - pag. 66 Untitled, 1958.Bandaged, 1960. - pag. 67 Racer Roller (Roller Board), 1963.

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that way back in 1969 we participated, as the Radical group, at the Milan Triennale with an installation in Islamic style: many decades later, that intuition seems prophetic: another side of the moon really does exist. The holy war, not declared by already in progress, demonstrates that theological diversities still exist and are capable of pulling the world apart… When our country presents itself on international markets as Made in Italy, the homeland of elegance and good taste, it manages only to isolate itself, to specialize, rather than renewing its contacts with other civilizations. These are some of the aspects that characterize the 21st century, so different from its predecessor: hybrids, contaminations, syncretism and, at the same time, a reawakening of diversities, local specificities, religious absolutes. Our design culture, then, operates with great difficulty in the midst of this complexity and these new

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opportunities: it is substantially self-absorbed and Calvinist, continuing to contemplate itself, while somehow realizing that its path is about to reach an epochal turning point. It’s a new game for design and architecture, and above all for the various production sectors. The theoretical issues I have raised are simply the reflection of a new industrial revolution, striving on the one hand to cope with international competition, and on the other to conserve territorial identities and, at the same time, gradually get away from them, to open up to new cultural exchanges. The end of Eurocentrism is a challenge that impacts our whole society: this challenge opens up a difficult period of transition, and the results have yet to be understood. - pag. 69 On these pages: Andrea Branzi, Unité de Meditation, 2013. Photos by Anna Serena Vitale

INdesign/INpeople

BourouLLec workshop pag. 70 text Valentina Croci photos Kira Bunse

An encounter in paris in the studio of the two breton designers, while they polish the details of the installation that will narrate new values of four-wheeled transportation during the fuorisalone in milan It is not an operation to promote the latest electric car model. In fact, there is no trace of a car. Ronan & Erwan Bouroullec create an installation for BMW inside a cloister at the School of Theology of Milan. Not just an initiative of communication during the FuoriSalone, but a un metaproject on future mobility. A pure conceptual moment, evoking material and the experience of users inside an electric car. The Bouroullec brothers had carte blanche, and they have chosen a new language for the automotive sector. We talked it over with them and with Benoit Jacob, Head of Design at BMW i. Bouroullecs: “We were not sure we were interested in the proposal, because we are not particularly fascinated by the automotive sector. But we were convinced by the offer to be able to think about new ideas. In fact, we don’t talk about speed or the ‘virility’ of the car, but about bigger issues like mobility in the city and the sounds cars make. We want to concentrate on emotions and beauty, the relationship with the landscape. It took two years to develop this idea with BMW. We didn’t want to make a concept car, but to find a possibility of talking about movement in a poetic way. Opening to more human characteristics, more ontological questions that go beyond mere driving. And changing the vantage point: for example, asking what a family does with a car, instead of simply analyzing the

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vehicle itself. With an almost feminine approach, that investigates emotions and focuses more on human beings and narrative than on automotive performance”. Jacob: “BMW and the Bouroullecs do different jobs, but both make products that relate to users and display a vision. There is similar pursuit of reduction and simplicity. We needed a different approach because just as it is a mistake to put electrical technology into the old world of production, to talk about electric cars you need to create a new language. It is fundamental to approach the theme of lightness, seen as elimination of complexity and superstructure, lightening things in both physical and functional terms. Lightness is the starting point to identify not just a car but the quality of movement. Lightness and silence, carbon fiber and new propulsive energy are the qualitative premises and the materials that lead to the revolution in the automotive world”.

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Bouroullecs: “Over the last decade there has been an enormous change in our conception of environments. Just as the world of the office has become more domestic, and the web has opened up frontiers of hybridization of sectors, so the car is quickly moving into uncharted territories. This is why it is important to find a ‘primitive’ and immediate approach, like kids, ready to be surprised. The complexity of the car has to make room for use: cars are increasingly automatic, they have to become more collective, closer to the values of the world. In the design of a car the user needs to be reinterpreted. So we shouldn’t talk so much about sustainability connected with performance, but about behavior that has more influence than applied technology”. Jacob: “Technical questions like the use of the Internet, the quality of the car interior and noise have already been solved. Nevertheless, little work has been done on user behavior. If the cruising programs are more sophisticated, then mere driving will be secondary to the perception of movement. Or, if in the big city many hours are devoted to movement in a car, the quality of the interior becomes crucial. We need to add value to these moments of commuting, making the car into a little loft on four wheels. This analysis of behavior can open up cars to product design, because people, who have more access to design culture today, are ready for new things. The project that will be presented in Milan follows this kind of reasoning and sends an open message for the personal interpretations of visitors”. Bouroullecs: “Silence is the true identity of the electric car. It is the quality that has to be demonstrated: not hearing the motor, feeling like you are part of the landscape, in a more symbiotic way. To make the values connected with the new idea of mobility more tangible, at first we thought about a theme park like Di-

INdesign/INcenter

HYBrID DesIGn pag. 74 by Carla Langella

The encounter of design with science leads to a new universe of objects that revise the borderlines between nature and artifice and outline futuristic scenarios. also in the world of the home Design in times of crisis looks ahead to the most advanced sciences to find new stimuli, new aesthetics but also new forms of rigor and efficiency. The encounter with science emerges as a new opportunity to bring the design dimension closer to the progress of the world and its knowledge, bridging the gap between the objects of everyday life and the evolution of scientific research. The result of this crossing is a new universe of objects and projects generated by the transfer of scientific principles and concepts, known as Hybrid Design, because its entities are hybrids, not just because they are generated by the sum of different types of knowledge, but also because they belong to an intermediate dimension between nature and artifice. Designers venture into attempts to grasp evolutionary thrusts of complex scientific phenomena, summing them up in projects of force-

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aprile 2013 In tern i sneyland, which then took on the form of a rotating platform – the poetry of the project lies precisely in movement – linking back to concepts like comfort and sharing. Later, we opted for a central space that evokes the experience of being inside a car, but in an unusually collective way. We have also tried to establish a dialogue with the spaces of the School of Theology, which is a monastery and a school of prayer, to bring in ideas of calm and respect for human beings. The new electric car is also evoked through the use of materials, like carbon fiber. We chose them by considering both the inside and the outside of the car, using them in an alternative way, the opposite of habit. For example, we use cork on the outside, one of the main materials of the installation, and very strong fabrics. The latter are reduced to strips, so as not to close off the space. The roof of the rotating platform, 20x20 meters, is also strong and sheltering, but light at the same time. We want to construct a calm atmosphere with respect to the surrounding frenzy, conveying an idea of slowness. And above all, we don’t want to be obvious. We hope visitors will be intrigued about what lies behind this installation for BMW, so they will ask questions, instead of having pre-set messages and slogans imposed upon them”. - pag. 71 Drawings, sketches and materials: Ronan and Erwan Bouroullec develop the Quiet Motion project for BMW, an installation that reinterprets the concept of BMW i sustainable mobility. Above, from left: Benoit Jacob, Head of Design of BMW i, Erwan Bouroullec and his brother Ronan. - pag. 72 Scale models of the installation that will be shown in the cloisters of the School of Theology of Milan, from 9 to 14 April. The models narrate the evolution of the project, starting with the idea of a theme park and then arriving at a series of rotating platforms, each on one concept, such as comfort or sharing. The prevalent material is cork, finished with the brig t colors of automotive paint. Strips of waterproof fabric border the area without closing it off.

ful conceptual and image content that open breaches in the turbulence of highspeed scientific evolution, drawing out points of view, interpretations and visions. A lively and stimulating scenario in which design mediates the relationship between science and society, dissolving barriers to raise awareness of the most timely themes of science, so everyone can know about and therefore participate in change. In Italy Hybrid Design began in 2006 in the context of a design experimentation workshop of the Seconda Università degli Studi of Naples, that set out to analyze the phenomenon of hybridization with the sciences and, in particular, with contemporary biology, proposing a “hybrid design code” suitable for the complexity of today’s bio-technological society. In this new field, the designer can intervene on different scales and move to different levels of complexity in the infinite facets of contemporary science. He can choose to apply very simple and immediate transfer modes that take structures or morphologies encoded by science as their aesthetic reference points, as happens in the Clouds project by Ronan & Erwan Bouroullec, who translate the logic of the formation of clouds into modular systems of variable configuration for interior spaces. But design inspired by science can also venture into transfer of logic, principles and phenomena that outline futuristic scenarios, like the one in which users, following the protocols of hybrid design, can ‘raise’ their objects as if they were semi-living creatures. The Latro lamp designed by Mike Thompson, for example, contains nanomodified luminescent algae that provide light but require nourishment, in everyday ‘rituals’, with water, carbon dioxide and sunlight. Likewise, the Elements by Mathieu Lehanneur are conceived as semi-biological objects, beautiful and mysterious, that act on the ‘physiological system’ of the home, rather than just furnishing it. Design intersects with mathematics through the transfer of algorithms and parametric codes that generate new design forms, known as algorithmic design, generative design, computational design, parametric design. The code is used as an instrument of management of information flows in the design and production processes, obtaining structures that are very close to the morphological-structural complexity of nature. Between nature and code there are also the projects of Neri Oxman, Ben Aranda and Chris Lasch, or the Italians Code-iT. The intersection between design and biology in the contemporary dimension takes on multiple aspects that take the names of biomimetic design, biomimicry, bionic design. Natural inspiration can be aesthetic-formal or structural, like that of the Bone Chair by Joris Laarman, which transfers principles of structural optimization and models of growth of bones, all the way to implementation of biological principles that generate multifunctional, independent, self-organized, self-adapting, interactive, reactive and mutable products, increasingly close to the biological dimension. In the relationship between design and physics the laws and principles of the latter, which seem so abstract and mysterious to many, take on form and become more concrete, visible and therefore understandable, as happens with the Gravity Stool by Dutch designer Jolan van der Wiel, the result of experimentation with magnetic forces and gravity during the making process. The interactions of design with chemistry and the science of materials are many, often having the purpose of restoring the tarnished image of chemistry, making it seem more simple and useful. This happens with the Light to Me lamp by ILIDE

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Interni aprile 2013 designed by Nahuel Matias, which uses simple salt as an electrical conductor. Conceptual value goes into the Still Light by d-Vision, a system that can be called a hybrid because it connects organic and metal elements. The intersection between design and science is a growing phenomenon that is giving for to new evolutionary landscapes in the world of work and the new professions: the expert in design for communication and visualization of science; the designer of evolved scientific or medical instruments; the designer of science-inspired furnishings and accessories. One of the most futuristic scenarios is that of a vision that crosses design with synthetic biology, imagining that in the homes of the del future people will be able to generate, nourish and raise their own objects, intervening artificially in the biological codes of natural systems, which thus become hybrids, semi-biological, with more extensive but also more controllable properties than nature itself. Lamps that follow the sunlight because they use the luminescence of algae or bacteria derived from biochemical processes, fabrics made by fermentation of organic matter, intelligent systems of production and release of pharmaceuticals based on the evolution of phytology, all the way to personalized accessories produced by cultivation of our own cells or those of loved ones. It may seem strange and disquieting, but all this already exists, and its is rapidly proceeding beyond the boundaries of science and design, moving from laboratories to enter our homes.

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- pag. 74 Trap Light by Mike Thompson and Gionata Gatto, a project sponsored by Glotech International. The lamp is based on the use of photoluminescent pigments that recover scattered energy from light sources and reissue it as visible light. Facing page: detail of the luminescent pigments contained in glass thanks to a process transferred from the crafting of Murano glass. - pag. 76 WAT, Manon Leblanc. Lamp prototype powered by a hydroelectric battery activated by calcium contained in water. The user takes part in the production of light by filling the lamp with water. Still Light by Cygalle Shapiro for the studio d-Vision, a hybrid of an LED lighting system with an electrical circuit and organic elements. The concept raises awareness regarding the natural resources needed to produce even small quantities of energy used for everyday activities (photo: Guy Hecht; copyright: d-Vision). Blood Light, Mike Thompson. To function, the glass lamp needs a few drops of blood, which thanks to the iron contained in the red globules activates a blue luminescent substance. The highly emotional experience becomes a vehicle for an ethical message that shifts the focus to the need to reduce the wasting of energy. Latro, Mike Thompson, a lamp concept that uses the natural energy potential of algae, interpreting the research on nanotechnologies of the scientists at Yansei University and Stanford University. The user participates in the life of the object, breathing into it to provide CO2, supplying it with water and exposing it to sunlight to permit photosynthesis. - pag. 77 LighToMe, Nahuel Matias, ILIDE. An LED table lamp that contains salt, taking advantage of the reflecting and conductive properties of the crystals.

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Coexistence of opposites pag. 78 by Valentina Croci

Jurgen bey and rianne makkink make the crossing of disciplines and forms the main orientation of their projects. to reveal uncharted zones After Droog Design Jurgen Bey continues, with partner Rianne Makkink, to conduct research on the crossing of disciplines and the morphology of objects. Nothing is taken for granted. A continuous surprise effect, surreal at times, makes users wonder about the origin of forms and the rituals we develop with things. The designer becomes a sort of alchemist, capable of mixing cultural and contextual references, giving rise to products that go beyond mere function, though they are objectively functional. The series for the Dutch company Prooff comes precisely from studies on the movement of the body and the interaction of users in public spaces and workplaces. The products of the studio Makkink & Bey are full of citations. Elements of tradition are taken out of context and blended in postmodern mixtures that make them timeless. Like the Kokon series, in which the covering in synthetic fiber and elastic transforms two separate pieces, while revealing their familiar contours. Often these effects are achieved by negotiation between opposites. As in one of the most famous pieces by Jurgen Bey, the tree-trunk bench in which the insertion of chairs from different eras symbolizes interaction between nature and culture. From the urban scale to one-offs for galleries, Makkink & Bey compare design to running events in sports: many different disciplines, more and more specialization, but also new possibilities for hybrids, leading to new outlets for design practice.

- pag. 79 Below: by Rianne Makkink and Jurgen Bey for the Dutch company Prooff, SideSeat mixes typological references – the chair, the table, the cabinet – for hybrid uses (photo Pim Top). Facing page, clockwise: by Jurgen Bey for Droog Design, Kokonfurniture (1999) combines reused seating with synthetic, elastic fiber (ph to Bob Goedewaagen). For the Pierre Bergé & Associés gallery in Brussels (2008), Makkink & Bey has made a chair in felt, covered with knitwork (photo Alain Speltdoorn). The Tree Trunk Bench by Jurgen Bey for Droog Design (1998) transforms logs using bronze chair backs (photo Marsel Loermans). Portrait of Jurgen Bey and Rianne Makkink (photo Jeroen Hofman).

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The high with the low pag. 80 Marcio Kogan, with manuela verga and paolo boatti, finds the balance between worksite pragmatism and great craftsmanship in the prostheses & innesti project A project inspired by anonymous design. Or, more precisely, by strictly functional operations, free of artistic posturing, done by Brazilian workers on the construction sites of Marcio Kogan, the Brazilian architect of the studio MK27. Temporary and auxiliary structures, made for different phases of the worksite, suggest the idea of integration, the formal, materic and functional graft. Built with materials found on site, the pieces are modified with additions, often requiring great skill, in a contrast between the rugged and the sophisticated that adds poetry to material and, above all, puts the accent on the know-how of man. These works also represent the crystallization of time, the progressive effort that goes into a finished product, yet remains unknown, overlooked. The project Prostheses & Innesti, presented by the Fumi Gallery in London, is based on four years of labor, to which works were added from the restoration of the 16th-century castle of Vigevano, supervised by the ar-

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chitects Manuela Verga and Paolo Boatti. The latter works, called Made in Italy, were conceived and produced in this country, and represent the excellence of our crafts, like Murano glass. To underscore the reference to the place of the restoration, the architects have sought contaminations with local materials like Travertine stone and silk from Como. From the worksite to the gallery, these ‘grafted’ objects resurface, transformed in meaning and function, with new prospects for life. (V.C.)

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Between naTure and arTIFIce pag. 82 The projects of benjamin graindorge come from a principle of contamination, like microcosms of relation between object and user

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Insatiable DesIGner pag. 84 by Cristina Morozzi

The creations of josé lévy are a meeting point of fashion, design, art, crafts and architecture, the result of a versatile talent applied to virtuoso inventions José Lévy lives in Paris in a small turn-of-the-century flat at Jardin des Plantes (5th Arrondissement). He often goes to the garden to nourish his imagination: urban nature, rather than the countryside, can be stimulating. He works at home, in the living room, with a MacBook Air on a table by Eero Saarinen. He talks about his work in a quiet way, sitting in an armchair, after serving up hot chocolate with aroma of orange blossoms. He sees not having a studio as a condition for freedom, which is an insatiable desire, stimulating him to pillage all possible sources of in-

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- pag. 81 Pieces from the Prostheses & Innesti collection done by Marcio Kogan/Studio MK27 with Manuela Verga and Paolo Boatti, presented at the Fumi Gallery in London in September. On the facing page, from left: the stool with legs at different heights and grafts of Bisazza mosaic, made with Manuela Verga and Paolo Boatti; designed by Marcio Kogan, the Trilili bar and the Mesa Dá Hora cabinet are made with worksite scrap; the small Mesa Luzlino table with built-in lamp by Marcio Kogan. Below: from a hole in the top, a vase made by Vetreria Giovanni Seguso of Venice. The structure reveals its worksite origin. Project by Manuela Verga and Paolo Boatti.

Forms that seem to rebel against their geometric construction, with a thrust that animates inanimate objects. This is the design twist of the young French talent Benjamin Graindorge, selected by VIA and brought into the international spotlight by the Parisian gallery Ymer&Malta in 2011. For the gallery, he has made five pieces on the theme of dreams, focusing on the expressive qualities of materials. His references are often to the natural world, such as dew crystallized in a glass lamp, or 3D topographical curves on the surface of a table, or adapting in the bends of a seat. Signs, symbolic connections, made abstract by a shift of scale and by taking them out of context. When describing his products, Graindorge often uses the word ‘landscape’, underlining the fact that they are microcosms of relation between user and object, osmotic passages between nature and artifice. Likewise, the choice of materials, from multicolored Corian to upholstery, wood to ceramics to glass, lets him transfigure visual references and give the user a surprise effect, with a wee bit of disorientation. An almost Dada touch that has made Graindorge’s design attuned with the objects produced by the French company Moustache, with which he has started to work. “Contamination is the essence of design – he says – because the designer does not create, he assembles things that already exist. To get closer to life, to delicacy, to all that is human”. (V.C.) - pag. 83 Below: the Cave ceramic lamp for Moustache (2012) evokes the particular effects of light grazing the walls of a cavern. Below: Soft Wild Sofa is a research project for Kvadrat (2012) on the theme of upholstered furniture. The research is not on functional typology, but on adaptation of the body to the curves of the seat, in unconventional positions. On the facing page, from top: Fallen Tree is the bench produced by the gallery Ymer&Malta, representing the moment of transformation of oak from a branch to a crafted object, 2011. From a Moustache research project with DuPont Corian, Pyrénées (2012) is a table enlivened by topographical curves shaped in 3D, which become functional elements.

spiration and to experiment with all the arts: design, fashion, art, crafts, architecture, set design. He is just as insatiable when it comes to doing. He is called “Monsieur Plus”: the Manufacture de Sèvres, in 2009, asked him to make a series of 18 statuettes: he made 36! He is impossible to classify. His creations are the tip of an iceberg of disciplines, the result of a versatile talent he likes to test with virtuosic feats. In his approach we can see the desire to disorient, plucking all the strings of his multiform creativity and giving form to hybrid projects that always leave the door open to interpretation. He works on emotions, giving form to objects you can only approach instinctively, prior to rational comprehension. He tries to establish a relationship of complicity with things, thinking of them as creatures with their own life, with which to invent a partnership that may last a long time but can also be brusquely interrupted, just as happens with people. He started with fashion. “The garment”, he says, “is the object that has the most intimate relationship with the body”. For 13 years he successfully managed his own menswear collection, revealing uncommon talent in tailoring and color choices. At the same time, he worked as style director for Nina Ricci, Cacharel, Emanuel Ungaro, Holland&Holland, but also with Monoprix, La Redoute and André, to experiment with big numbers. To avoid getting swallowed up by his own brand, which grew too fast, he decided to abandon it, to get back the freedom that lets him try out new experiences. Stimulated by his almost obsessive curiosity, he began to work as an artist and designer with art galleries (Tools, Perrotin, Next Level) and companies, getting involved with a wide range of techniques. His projects include: linens for the bath for Garnier Thiebaut, crystal for Saint-Louis, porcelain for Manufacture de Sèvres and Astier de Villatte, ceramics for Asiatides, furnishings for Roche Bobois, carpets for Manufacture de Moroges, mirrors for Domestic… “I like challenges”, he says, “regarding know-how, to achieve unusual results. Too much respect for tradition hampers creative freedom”. This way of pushing limits, and the almost maniacal attention to detail, make his objects magical. The series of statuettes in pale porcelain for Manufacture de Sèvres, based on unexpected formal grafts, is surprising not just for the choice of subjects but also for the fine embroidery of the details. Though respecting classical forms and traditions of craftsmanship, he manages to disorient, always conveying something unexpected, thanks to a gaze that combines romantic wonder with scientific clarity. One good example of this is Ma Pharmacie on Rue de Tournelle (award of the Chamber of Commerce of Paris 2012), a normal neighborhood pharmacy, but with a different atmosphere. An original everyday milieu, generated by

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Interni aprile 2013 details: an effect of depth, a different rhythm for the shelves, climbing plants, the luminous reflection of a neon grid on the window, the big green cross with its pixels. José reveals a rare capacity to be hybrid, without showing off, almost understated, giving his creations an unexpected, delicate whispering tone. - pag. 84 Above: two details of the Oasis installation: Luco Noctambule, a chess game at the Luxembourg Gardens, created by José Lévy and shown for the first time in 2009 in the Parisian gallery of Emmanuel Perrotin. The chess pieces are made with stuffed mice. Facing page: portrait of José Levy (credit Stephane Manel) and overall view of the installation now on display at the Parisian Next Level gallery. - pag. 86 Large masks made

INservice TRAnslations / 143 with the tatami technique that function as seats: pieces inspired by José Lévy’s stay in Japan at Villa Kujoyama in Kyoto, made for the exhibition Judogi held in September at the Next Level gallery in Paris. Below: white porcelain statuettes from the series ‘Mousse de Sèvres’ made by Manufacture de Sèvres. - pag. 87 Chardon cup in cut colored crystal on white crystal base with torchon motif. From the Corollaire Collection, a limited series of 29 pieces designed for Cristallerie Saint-Louis. Above and right: the new Les Cloches restaurant, on Rue Mazarine in Paris, with a game of reflections created by mirrors and a gilded ceiling. Lower right: interior of Ma Pharmacie on Rue de Tournelle in Paris, with a neon grid on the ceiling that underlines the rhythm of the shelving. Above: detail of the ‘Mare’ carpet made by hand in a limited edition by Manufacture de Moroges. Below: rendering of the carpet, made and ‘sculpted’ by hand in wool.

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Bipolar objects pag. 88 by Stefano Caggiano

The collision between the dimension of order and that of chaos generates hybrid creations, metaphors of an epoch in which it is no longer possible to constrain the disruptive force of creativity inside orderly, well-defined forms Designers are well aware that formal definition is always the result of compromise between conflicting needs. This is why a design object, by nature, is a metastable entity, tugged by diverging extremes that range from the pragmatic side (function, use) to the cognitive plane (aesthetics, meaning). Some of the most ‘extreme’ design manifestations deliberately bring this ambiguity to light, like the Vincent seat by the Dutchwoman of Asian origin Ka-Lai Chan, a perfectly rational object spoiled by a wound that contaminates the ‘Apollonian’ structure of the archetype with a chaotic, ‘Dionysian’ element. The concepts of the Apollonian and the Dionysian, introduced in aesthetic philosophy by Friedrich Nietzsche, embody the opposition between the solar values of order and reason (represented by the Greek god Apollo) and the dark values of disorder and inebriation (Dionysius), which art attempts, without ever succeeding, to put into synthesis. It is the collision between these two polarities that gives rise to objects like the Brindille wooden table by the French designer Félix Lapierre, or the Experimental Hybrid Storage Furniture by the young Hungarian designer Kata Mónus, a hybrid between the orderly form of the rational object and the organic confusion of living tissue. The term ‘hybrid’, after all, comes from the Greek hubris, meaning ‘arrogance’, ‘excess’, ‘abuse of power’, the growth of a dark but vital substance that breaks out from within, rupturing the form that is supposed to contain it. The At One and Hy-breed seats by the English designer Charlotte Kingsnorth also display the same ‘hybrid’ clash between order and growth, containment and excess, structure and life. According to Nietzsche, the contrast between Apollonian and Dionysian is clearly portrayed by the opposition between “the art of the sculptor, Apollonian, and the non-figurative art of music, which is of Dionysius: these two impulses, so different from each other, proceed side by side, mostly in open disagreement, with mutual stimulation” that perpetuates the antithesis. Truly enough, the design object can be compared precisely to a musical instrument, whose material and functional structure, though necessary for the production of sound,

does not coincide with the music. Just as in design the material and functional structure, indispensable to determine the object, does not exhaust its meaning, which comes from its ability to draw on the time in which it exists, to go beyond the crest towards a near future – which is just what these hybrid, ‘bipolar’ objects do, metaphors of an epoch in which it has become impossible to constrain the disruptive force of creative energies inside clear, well-defined forms. - pag. 88 Above: piece from the Hy-breed series by English designer Charlotte Kingsnorth, a cross between frames from period furniture and biomorphic fleshy forms. Below: At One by Charlotte Kingsnorth narrates the relationship of fusion between a person and a sofa, through the ‘flesh’ of the object that swells around the wooden frame. - pag. 89 To the side: ‘The Ordinary Family’ is a furniture collection designed by Ka-Lai Chan based on the stories of her family and neighboring families. The Vincent seat starts with the reworking of the model for the series ‘No Sign of Design’ by Richard Hutten. Below: the Brindille table is made by the French artist and cabinet maker Félix Lapierre, mixing the form of the wooden structure with a bundle of branches left visible. Below: the Experimental Hybrid Storage Furniture project, presented for the fi st time as a degree project by the Hungarian designer Kata Mónus, sums up a large portion of her interests, which range from traditional weaving to a passion for structures, tattoos to recycling.

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ParTS apart pag. 90 by Stefano Caggiano

With the practice of grafting, which does not mix parts but conserves their identity, design reconstructs the grammar of objects and expresses the need for a new aesthetic and constructive clarity The correspondence between form and function – the conceptual axis around which various design theories are organized – has been forcefully challenged with the advent of digital mechanics, which make it possible to think of objects with a perfectly ‘opaque’ appearance (just consider an iPhone when it’s off) equipped with a very slippery functional ‘transparency’ (telephone calls, Internet access, photography, video, etc.). The unprecedented user experience of these almost ‘magical’ products, however, has recently met up with another dimension of dematerialization, that of finance with respect to the real economy, which lies at the root of the serious systems crisis now happening in the Occident. This short circuit between the real and its sign is translating into the need for a new

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clarity, which design shifts into formal configurations organized around the basic parts of the object. One example: the visible compositions of lamps like Container by Benjamin Hubert for Ligne Roset, Scooby Doo by Giorgio Bonauguro for the Brazilian company La Lampe, Kurk by the young Craig Foster, and Olab designed by Grégorie de Laforett for Galerie Gosserez, all experiences that share an attempt to reconstitute the grammar of objects, which in spite of the lightness of today’s languages can put the user relationship back on a level of ‘cognitive sustainability’ similar to what happens in relation to a bicycle, an object we ‘trust’ because of the clear visibility of its construction and its nude logic. So we are looking at projects that display the inner constructive dialectic of their parts, joining up with the general trend of the ‘tangible smart’ found not only in design but also in many other sectors, such as services. In a world that is becoming opaque due to an excess of transparencies that tend to overlap, the presence of objects with a clear conception takes on an almost therapeutic value, a sort of ‘design therapy’ which (like ‘art therapy’, which brings order to the psyche through the practice of creativity) favors removal of any aesthetic concoctions and ‘semiotic noise’ as an end in themselves, dusting off a condition of purity in the cognitive horizons of users. So it is no coincidence that along with the lamps (which lend themselves to the role of ‘therapeutic’ domestic sculptures) we also find other typologies, like the tables Gilda by Eric Jourdan and Fewer Than 3 by Jonathan Sabine, the Minimal vase designed by Ding 3000 for Discipline, and even the Sweet Anticipation mousetrap by Mark Sturkenboom (which transforms the perception of an unpleasant mouse captured in the home to that of a cute rodent, selected and desired), move in the direction of this re-grammaticizing of the object through display of its constructive anatomy, using the graft as a joint that is made clear, with a semantic connotation. The graft, in fact, does not blend the parts but keeps them distinct, and as such it is the ideal linguistic code to give rise to a coincidence between logic and semiotics. Seats like the Donald by Philipp Hermes and Dustin Jessen, Eriz by Moritz Schmid, Meta by Samuel Accoceberry for the French company Alki, and Stuck by the studio Oato seem to be composed of ‘parts without a whole’, basic members assembled in configurations without any ‘adulterating’ formal alignment, even using different colors for different parts. What these object convey, beyond the sense of impossibility of global recomposition in a world paradoxically full of ‘connections’, is the need to make

the rationale of things visible again, displaying constructive logic as an aesthetic value. These need is antithetical to the old strategies of marketing, which often try to boost the aura of the product, detaching it from the ‘substrate’ of reality. But people have changed, and they react better when they can see the imperfect truth, held together with visible stitching (a sign of honesty, and not just in constructive terms) instead of glistening empty shells. Moving in this direction, we cannot rule out the idea that design may begin, in the near future, to even collaborate with scientific explanation, an activity engaged in a similar ‘clarification’ of our relationship with the true structure of reality: cultural, in the case of design, natural in the case of science.

MIx & MaTcH pag. 94

To assemble different typologies, inventing enigmatic, fantastic and provocative objects, protagonists of a narrative of union between recent and very recent works

by Nadia Lionello photos Miro Zagnoli

- pag. 90 The Container lamp designed by Benjamin Hubert for Ligne Roset is made with two ceramic parts held together by a silicone piece, without glue or bolts. - pag. 91 Above: the Stuck seat by the Dutch studio Oato for Kuperus & Gardenier is made by putting the pieces of an archetypal chair back together in an alternative way, assembled with constructive ‘honesty’ in a structure that requires no other supports (photo: Oato Design Office . Left: Meta by Samuel Accoceberry for the French brand Alki is an stackable ecological seat, made with solid oak and covered in wool (photo: Mito); the Eriz chair designed by Moritz Schmid is produced by Atelier Pfi ter in solid ash. The back is curved with steam, and the seat functions as the meeting point of the parts, leaving the connections visible. - pag. 92 Left: Sweet Anticipation by Mark Sturkenboom is a mousetrap that transforms our perception of an unwelcome mouse caught in the home into that of a cute pet. Below: the Olab lamp by Grégoire de Lafforest for Galerie Grosserz is composed of a white glass bulb with a switch that works by means of air: when you press the rubber ‘pear’ the air turns the light on. Lower left: the Minimal vase designed by Ding 3000 for Discipline is almost a string structure that reveals the constructive logic of the object due to the absence of a body. - pag. 93 The Donald chair by Philipp Hermes and Dustin Jessen, developed in collaboration with Becker Brakel, is composed of two wooden parts connected with industrial velcro, reducing assembly costs and facilitating knockdown of the entirely ecological object. The Scooby Doo lamp by Giorgio Bonauguro for the Brazilian brand La Lampe limits the number of parts to a minimum. The blown glass diffuser rests on a structure in copper tubing that curves to become the base of the lamp. Below: the Gilda table by Eric Jourdan for Super-ette has a basic structure, so essential that it takes on a form that goes beyond its archetype of reference, without overlooking the values of traditional cabinet making. Lower right: the Fewer Than 3 table by Jonathan Sabine, with one plated copper leg and another in steel tubing, has an asymmetrical form that alters its image depending on the vantage point.

- pag. 94 Gaudí semi-oval table, with base in solid wood and top in oak, stained black or with matte or glossy paint finish by Ferruccio Laviani for Misuraemme. Heel stackable chair in solid painted wood or colored plastic; by Nendo for Moroso. Above and on the facing page, flooring in 30x30 cm porcelain stoneware tile from SistemT, produced by Marazzi Tecnica in four colors. - pag. 95 Tatou halogen floor lamp for diffused light, with polycarbonate shade and steel post; by Patricia Urquiola for Flos. Mandrague chair with tubular steel structure, padded with coldprocess foam, covered in removable fabric or leather; by Ferruccio Laviani for Molteni&C. Sundial in white painted sheet metal, by Front for Porro. - pag. 96 Mak height-adjustable swivel stool with painted steel structure and footrest, padded seat covered in fabric or leather, by Patrick Norguet for Lapalma. New York chair with runner structure in colored metal, feet in transparent rubber, padded back and seat covered in microfiber abric bonded with suede, in fi e color variations; by Lupo Design for Calligaris. Above and on the facing page, porcelain stoneware tile floors from SistemT produced by Marazzi Tecnica in four colors. - pag. 97 Capri chair with structure in phenolic plywood and fi , expanded polyurethane fil er, covered in Nabuk Green with Extra Opal border or in other tones upon request; by Paola Navone for Baxter. Notre Dame table with rotomoulded polyethylene base, UV protection, 100% recyclable with top in painted and laminated MDF, wired with electrical socket; by Raffaella Mangiarotti for Serralunga. - pag. 98 Gilliam chair with metal structure, flamep oof polyurethane padding and goosedown quilt, removable cover in fabric or leather, based in curved solid wood, by Rodolfo Dordoni for Minotti. Air Storage chest of drawers in transparent glass, drawers in colored painted wood with shiny glass fronts, by Daniele Lago for Lago. Above and on the facing page: floors in 60x60 cm Silver Grey tiles from the Trek collection in technical full-body porcelain stoneware, produced by Atlas Concorde in six sizes and six colors. - pag. 99 T-Gong table with top – in the diameter 98 cm – and base in metallized satin-finish bronze painted steel or Peltrox-finish stainless steel. Metal inserts in brushed brass; by Giuseppe Bavuso for Alivar. Mia stackable chair for indoor or outdoor use, structure in steel tubing, seat in laser-cut aluminium sheet, matte painted in four colors; by Jean Nouvel for Emu. In the background, Luci e Ombre wallpaper by Daniele Lago for Lago with Jannelli&Volpi. - pag. 100 Left, Tolo chair in multicolored technopolymer, with steel legs; by Adriano Tolomei for Gaber. Nota chair in tubular stainless steel, natural or painted in four colors, seat and back in plywood with oak or Canaletto walnut finish by Studio Charlie for Atipico. Above and on the facing page, floors in Silver Green 60x60 cm tile from the Trek collection, in porcelain stoneware, produced by Atlas Concorde in six sizes and six colors. - pag. 101 Stone River table, Sasso Grande Basso model in painted MDF, legs in painted and curved steel, by Roberto Lazzeroni for Former. Lun-R floor lamp in PMMA painted at the base, with adjustable metal feet to vary the angle, also suitable for outdoor use; by Aïssa Logerot for Ligne Roset. In the background, Curtains wallpaper by Daniele Lago for Lago with Jannelli&Volpi.

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TransLIGHT pag. 102 by Nadia Lionello photos Efrem Raimondi

The intensity of light brightens and reveals things and spaces. in the dusk, a person. she calls herself la stryxia and her ambiguity is manifested in the light sources of original lamps - pag. 102 Sculptural lightness for Rituals, the single hanging lamp, or with 3 or 9 bulbs, for diffused light, in satin-finish b own blass with etched decorations. By Ludovica+Roberto Palomba for Foscarini. Garments and accessories by Aber Gazzi. - pag. 103 Architectural canons are transferred in the design of Avia, the halogen hanging lamp composed of 52 different layers of Opalflex® (Slamp’s patented technopolymer) in black or white, mounted on a central body in Lentiflex®. Available in two small and two large sizes. Design Zaha Hadid for Slamp. - pag. 104 Formal essence and technological refinemen . Ascent, the LED lamp with turned aluminium top, anodized and painted, with a sliding touch sensor along the extruded thermoplastic stem with built-in electronic circuit. Available in the versions with base or table attachment bolt. Design Daniel Rybakken for Luceplan. Clothes and accessories by De Tomaso. - pag. 105 Based on the forms of the typical plants of the rain forest, Mia is an LED table lamp with a metal structure, painted in green or white, and a blown glass diffuser. Design Nicola Grandesso for De Majo. - pag. 106 Inspired by chemical laboratory instruments, Labo is a halogen floor lamp for reading, from the collection of lamps in borosilicate glass with metal bases. Design Daniel Debiasi and Federico Sandri for Penta. Theo chair with structure in shiny chrome or black steel, or with nickel bronze finish fi ed covering in leather or fabric. Design Vincent Van Duysen for B&B Italia. Clothes and accessories by TShirterie. - pag. 107 Aesthetic and technological functions are combined in the floral form of Florensis, the halogen floor lamp with extruded aluminium diffuser, steel stem, base in painted zama. Design Ross Lovegrove for Artemide.

INdesign/INproject

Nichetto = Nendo pag. 108 drawings Oki Sato/Nendo and Luca Nichetto text Katrin Cosseta

From play to a possible method of design. a “correspondence of creative meanings” between two well-known young designers becomes a serious divertissement and a no-brand collection Stockholm, February. In a cafe in the city center, a young Japanese guy meets another young man who orders a coffee in Swedish, but with a clearly Venetian accent. Strange. The latter, with a furtive air, puts a metal briefcase on the table (“like a real spy”) and starts to arrange tiny dollhouses, while the other scatters drawings that look like comics. They are two designers, Oki Sato, founder of the Nendo studio, and Luca Nichetto. And that explains everything. This was one of the impromptu encounters to develop the project Nichetto=Nendo, to be presented at the FuoriSalone in Milan: seven pieces created by the duo, in a sort of long-distance dialogue, with the support of a number of partner companies, including Casamania, Glas Italia, Discipline, Foscarini, Vertigo Metals, Ogeborg, Innofa, Ochiai-Seisakusho, Taniguchi Washi. A hybrid project in its genesis, methods and cultural references. With an amusing manga-storyboard that graphically combines Japanese rigor and Italian creative verve (“I even tried to be a bit more orderly”, Nichetto says). How did they ‘choose’ each other? Was it just a coincidence?

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They laugh – which happens often during this interview – and look like a pair of accomplices. Nendo: “I believe in coincidences. I met Luca for the first time last October, during Tokyo Design Week. Talking, we realized we have something in common, a working attitude, an approach to design, the idea of not wanting to put a signature, but of being flexible, in dialogue with companies. That makes us prolific. Then we met up again in Stockholm, shortly before Christmas. To the question ‘what are you doing for Milan?’ ....” Nichetto: .... “Obviously the answer was ‘I don’t know’. Thus the proposal, made in unison, to do something together. Not showing our things in the same space, but doing design together. And it has been amazing. I am lucky to be a designer and yes, I’m prolific. I don’t understand the idea that a designer should make one chair every two years. Of course you have to work on things, correcting mistakes, trying other ways of doing them, gaining experience. But being prolific also helps you to learn more, coming to grips with different companies, different types, not just earning more money”. This project is like an ode to ‘free design’. How did it progress? Nendo: “Luca had a precise idea of being a designer today: independent but open to collaborations. I was immediately reminded of Sottsass and Kuramata, two distinct individualities, capable of sublime duets. Of course the level is different. And they had a manifesto, we don’t”. Nichetto: “Maybe when we’re older! More than a cry of freedom, this collaboration is an exploration of what design could be. Here it is pure fun, without external pressures. It just happens. The interesting thing is that by starting in a playful way, we have developed an original method, where the process means more than the results”. So let’s do a quick rundown… Nendo: “In Japan there is an ancient poetic method, Tan-Ka, a five-line poem developed as a dialogue between two poets; the first writes the first three lines, the second completes the poem with the last two. We have shifted that method to design. I sent Luca an initial sketch of an idea for a shelving system”. Nichetto: “And I completed the form, drawing the shelves like comics with text, a sort of cloud of thoughts”. Nendo: “Then I sent him the sketch of a seating system with independent cushions, to be assembled in different ways”. Nichetto: “Since he was calling the seats Islands, I said to myself: ‘OK, I’m from Venice, why not connect the islands with bridges?’ Then it was my turn to send the first three lines: the idea of a lamp based on the form of an popsicle, with domes of different heights and colors to evoke different flavors”. Nendo: “Luca thought about making the forms in glass, but I immediately thought of the ancient Japanese tradition of washi paper, which can be shaped into sinuous forms. It went perfectly with a slender wooden structure, shaped just like a popsicle stick. Then we developed intersecting ideas on a screen, a candlestick, a stool, a carpet”.

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You express different design cultures and languages. In this collection where can we recognize the touch of Nendo, the personality of Nichetto? Nendo: “Honestly, I see our two characters fused into a single product. At first I thought the author of the first three lines would have more influence, but then I changed my mind. I started the idea of the sofa, but in the end there is more of Luca in that project”. Nichetto: “You shouldn’t see the collection as being by two separate designers. You can’t say: ‘this is 60% Oki and 40% Luca’. I believe the overall perception is of something whole, a functional mix, thanks to our mutual esteem and love of process”. Nendo: “The secret is openness to each other’s ideas. Everything happened in a positive way, without rejections, but in progressive growth of swapped intuitions. I don’t know what will happen, the sofa can be red or blue, leather or fabric, I don’t care. What counts is the process that led Luca to build the bridges for my islands! It’s a question of ‘output’. The character of the designer depends on his way of solving problems, since there are different ways of acting on an object. We have fun with that. The relationship with companies is also based on the concept of process. Whether I work for Cappellini, Moroso or Offecct, I try to interpret and respect the firm’s identity, though the process is 100% Nendo”. The companies in this project are almost like patrons of the arts. Why haven’t you focused on mass industrial production? Nendo: “We asked the companies to make prototypes. In the end, we would be happy if the products enter collections, but that wasn’t the initial purpose. These are brands with which we already work, so they know us and trust us”. Nichetto: “This project is not for the companies, it’s for us. We didn’t want constraints. The companies cover the prototyping costs, but they get a return on investment in terms of communication”. Nichetto=Nendo comes from a particular Tokyo-Stockholm-Italy triangle. Does it still make sense, for you, to talk about design made in....? How do you handle the local/global relationship? Nichetto: “The origin and culture of the designer is one thing, the production is another, its DNA. I don’t believe in superglobalization, it would be too dangerous for the Italian design industry. The lamp we have designed is an interesting example, since

Lighting ILLusIons pag. 112 text Valentina Croci

Simple only by name. the new applique by francisco gomez paz for luceplan comes from a complex process of reduction and an innovation of production technology: it is flat, but its light is three-dimensional It seems to be made of nothing. A square, reduced to a minimum, when off; a three-dimensional ball that seems to break out of its frame, when on. It is Simple, the new applique designed by Francisco Gomez Paz for Luceplan. Created thanks

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aprile 2013 Interni it will be in paper, made in Japan, but the company that will issue the product, Foscarini, will be in Italy. So it is an Italian edition made with Japanese know-how. This might be the future. Putting an object on the market that is produced by a Swedish or Italian company, but using local techniques that are possible only in a given place in the world”. You yourselves are a case of geographical contamination... Nichetto: “For me, an Italian designer who spends a large part of his life in Stockholm and travels a lot, everything becomes contamination and inspiration. I absorb all stimuli, and they become part of my knowledge and my creative process”. Nendo: “It is similar for me. I am influenced by everything and nothing at the same time. When you travel it is as if you were erased, you become like air or water, because you have so many colors around you, and you start to mix them all together. Obviously I am a Japanese designer, but I become open and free-minded about everything, flexible to meet the needs of the companies with which I work in the world”. In spite of the playful-creative side of both of them, a provocative urging to outline the profile of an ideal designer, combining the characteristics of past and present colleagues, leads to a serious reply. They make an effort to assemble a ‘superdesigner’, a hybrid of the functionalism of Rams and Castiglioni, the innovation of Joe Colombo and Issey Miyake, the iconic language of Starck and the Bouroullecs, the sense of material of Scarpa and Tokujin. But when it comes to ‘sense of humor’ there is no hesitation: “Nichetto+Nendo”! - pag. 109 1. Drawing by Nendo, a graphic response by Nichetto, and the design result: Shelves in a Comic, prototype by Glas Italia. 2.3. Oki Sato/Nendo and Luca Nichetto, portraits with models from the collection, composed of seven pieces, designed together. Photo Alexander Lagergren. 4. The shelves in a setting with the Bridges for Islands seating. - pag. 110 1. Drawings (left, Nendo; right, Nichetto) and rendering of the Bridges for Islands seating system. Prototype by Casamania, fabrics by Innofa. 2. Rendering of the Fish on the Roof carpet, inspired by tiled roofs and fish sca es. Made by Ogeborg. - pag. 111 1. Drawings (left, Nichetto; right, Nendo) and rendering of the Paper Ice Cream lamp, made by Foscarini and the Japanese Taniguchi Washi company, specialized in work with washi paper. 2. Portable Pot, cork stool, made by Discipline.

to technological innovation and the ongoing collaboration between the designer and the company. Simple is the direct consequence of Hope, the family of suspension lamps that uses thin Fresnel lenses, whose microprisms on polycarbonate film multiply the rays from the light source. Simple also makes use of the Fresnel lens principle. As the designer explains. Why was this applique created just now? When we developed Hope it was not yet possible to injection-mould a Fresnel lens with suitable optical precision. The microprism structure, in fact, has teeth with decimal sizing, leading to the particular three-dimensional optical effect on the flat surface. To injection-mould a lens, the plastic has to be very fluid and the mould has to be very hot. Difficult, costly operations. But now Luceplan has found someone capable of doing it. So the form is the direct result of the technology? In a certain sense, yes, it is an aesthetic that comes from a work of synthesis. The applique takes its cue from the earlier Metropoli by Luceplan (Compasso d’Oro 1994), a very simple ceiling lamp, almost elementary. Simple is triggered by technological innovation, which shapes its character. The injection moulding on a horizontal plane keeps the lamp very low, just 4 cm of overhang, so it looks builtin. But it is not! And that slight ‘shutter’ between the end of the frame and the part on the wall makes it seem to float. While the form is the result of a process, its personality comes from a story: the ball that appears through the lens. A magic effect. The LED light sources takes on a rounded look that is not just optical, caused by the Fresnel lens, but also caused by the reflection of the light: direct, open and three-dimensional. What are the advantages of this wall lamp? Thanks to the LED source it consumes 16 W instead of 150 W, almost one tenth of the average. The lamp is also good for outdoor use, because it is made of plastic and, for the back part, aluminium. Simple gives form to the non-form of the LED, which in the case of an applique could never have had this thickness before. LEDs are making great advances in terms of performance; today there are 220 W LED technologies without power supplies. This allows the making of increasingly flat forms, not constrained by the light source. At Luceplan there is the idea of making a family: rectangular and square wall lamps, up to four times the present size. Namely as far as one can go with the technology of injection moulding. What kind of relationship do you have with Luceplan, and what is the contribution designers can make in this moment of crisis? Simple comes from ongoing research and the ease of interaction developed with Hope. Mutual support between the company, the designer and the suppliers makes it possible to share knowledge. Much of the research is still conducted by the designers, but the ongoing relationship with the company makes it possible to

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Interni aprile 2013 adjust aims and to have more substantial investments. The crisis leads to greater efforts and concreteness of ideas. And the market rewards quality. Nevertheless, we are at a turning point caused by the spread of digital technologies and the paradigm shift in access to knowledge. The dynamics of open source design are not based on protection of intellectual property, nor on the protection of industrial inventions. Research becomes an open system, leading to interesting prospects. But traditional industry has to understand how to relate to this change. Just as we

Sharing for Innovation pag. 114 by Maddalena Padovani

A complex industrial design operation that combines the glamour of plastic with the high performance of innovative ceramic materials. the kartell by laufen bath project, the collaboration of two brands, with design by ludovica & roberto palomba The main news item: Kartell enters the bath sector with an entire collection developed together with Laufen based on a project by Roberto & Ludovica Palomba. Then the many implications of the operation, in terms of design and innovation. The first consideration, of course, is that the company helmed by Claudio Luti has now added an important step in the expansion of its catalogue, with more eclectic and versatile offerings, to reach far-flung international markets. So far

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do, as designers, because the rhythms and modes of research no longer coincide with our established praxis. All this is very stimulating. - pag. 113 The Simple lamp by Francisco Gomez Paz for Luceplan has a body in die-cast aluminium, a diffuser in opaline polycarbonate, a Fresnel lens in transparent polycarbonate, and an LED light source. Its characteristic is the creation of a three-dimensional luminous effect, in spite of its very small thickness. To the side: the prototyping phase done with a CNC milling machine at the Gomez Paz studio.

Luti’s strategy has been a great success, and the undoubtedly interesting content of the bath collection would seem to indicate that diversification – in this case thanks to an important industrial partnership – is effectively a good path for design companies during this period of doldrums in the furnishings sector. “Differentiating our offerings”, Claudio Luti says, “and expanding our product range, also in different sectors (first with lamps, now with bath furnishings) is clearly a winning strategy. Offering more stimuli lets you respond to more needs and make the company’s production more appealing. It is also good for communications. Nevertheless, there has to be something very coherent and farsighted in this type of operation. The market is crowded, full of proposals, and customers are more demanding about many factors (quality, the right price, innovation, functional excellence of design products). So these operations of differentiation and brand extension call for concrete steps, respecting the company’s philosophy, with an eye on the long term”. The second reflection has to do with the role of the designers, who have created many successful products for the bath, though in this case their job was more complex: to connect two very different worlds, making them converge in a constructive collaboration. On the one hand Kartell, Italian, creative, colorful, ironic; on the other Laufen, Swiss, rigorous, reliable. The first is known for having brought glamour to plastic in the home, the second for having taken ceramic products for the bath to new levels of quality. Roberto & Ludovica Palomba become the pivot of a coordinated project that does not try to amalgamate the personalities involved, but brings out individual qualities in a concept of integrated architecture, where each element blends with the others, but can also exist on its own. Sharing thus becomes a working method in which the designer plays a new, fundamental role: that of the referee, capable of expressing the best of the culture and capacity of the two companies, in an overall design that is recognizable by also interprets specific needs and personalities. This brings us to the third consideration, shifting to the scale of the single products. The Kartell by Laufen bath is not just an innovative business idea, but also and above all a major industrial design project that takes ceramics to new innovative heights. The collection introduces, for the first time, SaphirKeramik, a quartz ceramic, a new material that permits reduction of the thickness of washstands to just 9 mm, with a curvature radius at the corners of just 1-2 mm. A great opportunity for Roberto & Ludovica Palomba, who with the slender, squared forms of the washstands add a clean sign to the bath, a lightness in physical and visual terms that would have been unthinkable in the past. SaphirKeramik is a material that weighs half as much as normal ceramics but offers the same performance: it does not scratch, resists impact, and stands up to chemical agents and deposits. Its development required years of research on the part of Laufen, an ecological company that was seeking an alternative to traditional ceramics, to reduce the use of materials and consumption of energy, producing less waste and having less impact at end of life cycle. Kartell’s plastic is also used in an innovative way, together with glass, metal, stones and lacquer. The idea of the designers is to make a tool that grants emotional impact and personalization to a room that usually has a rather severe, sober image. Colors therefore become a project inside the project. A new palette, where primary colors are set aside in favor of hues that speak of different worlds and faraway cultures: Chinese blue, earth tones, orange from Morocco, fashion black, absolute transparency… The severe geometric design of the ceramic pieces is countered by the colorful lightness of the polycarbonate pieces used for storage, lighting and accessories, which in the game of complex relationships installed with the ‘harder’ components of the collection (fixtures, faucets, tubs, shower platform), identify a range of stylistic codes. - pag. 114 Some of the pieces in the Kartell by Laufen bath collection. The tub and the freestanding washstand come with a faucet with mixer tray, one of the characteristic features of the project. - pag. 115 Two washstand variants, made with the very new material SaphirKeramik, reducing the thickness of the ceramic to just 9 mm. Shown together with the stool/table in transparent plastic, seen here in the amber finish - pag. 116 Above: left, round mirror with pleated effect frame in the tangerine hue, combined with the round countertop washstand in SaphirKeramik; right, freestanding tub with overflow effect in Solid Surface and multifunctional shelf in transparent plastic. Below: fixtu es in SaphirKeramik, towel rack and cabinet in plastic. - pag. 117 Working sketches of the project developed by Ludovica + Roberto Palomba. Upper left, a moment of work. From left: Roberto Palomba; Marc Viardot, Marketing and Product Development Manager of Laufen; Alberto Magrans, CEO of Laufen; Claudio Luti, President of Kartell.

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Chinese whispers pag. 118

aprile 2013 In tern i

coordinated by JoeVelluto (JVLT)

- pag. 119 Bikini Island by Werner Aisslinger for Moroso, a modular island that encourages everyone to find the ideal composition based on their spaces and a tivities.

From a word and a concept, “to open”, a project in progress of an object, with the participation of five well-known design signatures. a game in a sequence of signs, instead of words, making hybrids of even distant forms and thoughts

JoeP Van LIesHouT When I think about the term “to open”, I think about wine, about opening bottles, drinking, boozing, feasting, smoking, spilling and spoiling; I also think about opening food, nuts, skulls; about eating, dining, gorging oneself on richness, abundance, a luxurious cornucopia, satisfaction; about consumption, production, rationalism, about agriculture, labor, toil, dirt and sweat; about sex.

JoeVeLLuTo (JVLT) To open the eyes, to transform gesture into object. This can be one of the many ways to translate thought (and observation) into action. “To be open” is also this: to always be receptive, not to ‘steal’ something from reality, but to be able to share everything you feel or intuit. Openness, for those who do this job, means continuing to wonder what the job is and how to do it. If you continue to wonder, it means the answer lies along your path. “To be open” also means being ‘free’: free to do things, but also free of charge. The things that have value are for everyone and are free, like poetry, art and the ‘sacred’. - pag. 118 Gemme, a component wall lamp by JVLT for VertigoBird, based on the working of precious stones. 4pezzi, chair composed of four parts in solid wood, joined by interlocking. By JVLT for DesignBottega.

Werner AIssLInGer “To be open”, for me, mostly means “to open the mind” and to be open to the world in general, but it also means “open source”, sharing knowledge with everyone. I connect the term “to open” with the idea of an open society, ready to tolerate any religious or cultural tendency. It seems to me that nationalism and political posturing do not ever generate creativity in a society: it is diversity that creates new ideas, projects, concepts, visions. So from an evolutionary viewpoint humankind progresses, also on an economic level, when an open and free society lets people create something, to think without political pressures and to interact on different levels with a wide range of different people.

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- pag. 119 Insect Farms are mobile units created inside a larger project with which Atelier Van Lieshout hypothesizes alternative scenarios of development for the future. The idea, in this case, is that insects can produce nourishing, economical food with low environmental impact (photo Kristof Vranken).

GamFraTesI The word “open” communicates, at first, the need to create a closed space. A sort of abstractly limited, rather solid, probably soft space, not cramped and in any case not indestructible. A space conceived to be pleasant, but closed... When the pregnable fortress has been consciously defined, the possibility of “opening” comes into play. You carefully remove little parts, creating entrances, passages, encounters. Openness will not necessarily be seen as an exit from closed space, but more like an entrance, hopefully an inviting one, into an intimate space. - pag. 120 The Compass by GamFratesi for Casamania, based on the re-design of the functional technical detail in a graphic element, creating an unexpected and iconic aesthetic.

Lorenzo DamIanI Being open to the ‘new’ but also the ‘old’, to discover how what is ‘different’ can be fundamental for the birth of an idea. In my work I think it is of vital and absolute importance to be able to stay continuously open, receptive, available, to take new project paths. Being open, for me, also means having the possibility to change your mind, staying in a state of eternal indecision: an aspect that need not be ex-

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Interni aprile 2013 perienced in a negative way, but instead can be seen as a source of continuous changes of direction, in the conviction – as someone said whose works are known to all for their quality and ingenuity – the object is just a momentary stop in the process. Being “open” means, from my viewpoint, continuous interaction with the surrounding world, without ever taking anything for granted, even thinking about the most obvious things around us. - pag. 120 The idea comes from observation of the context: to use the black and white tiles of a bathroom floor in order to play checkers. Just a few wooden disks and a frame to take down from the wall when needed. The ‘Dama da Bagno’ was created by Lorenzo Damiani for the exhibition “Lorenzo Damiani: Senza Stile”, Fondazione Achille Castiglioni, Milan.

To oPen/aPrIre. To open a door, a suitcase, a letter; to open a bottle, remo-

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ving the cork with an ‘informal’ corkscrew to wear like a ring, a toast to open the game. To open, perchance to daze; as in April – Milan, Salone del Mobile 2013 – after which gentle slumber resumes. From the city (Milan) to the spoon, the ring to the hammer; opening a way that makes you open your eyes, with a tool, that of creativity; to do instead of to say, to be ‘open source’ to share knowledge. From the hammer to the brain; to open the mind to be open, to open the head with a ‘skull opener’ to release the brain itself. Destination: freedom without false modesty, where sex is normal, not a taboo. Two by two in a T-shaped space to meet, vis-à-vis, where the best part is opening one’s heart to someone, as if entrance coincided with exit: a way in, to open ourselves to intimacy. Intimité, liberté, égalité. Vive la révolution. Peace and love. Open the negotiations without opening fire because something, now, is really starting to change. Open the floodgates!

INdesign/INproduction

CLassIc remIx pag. 122 by Katrin Cosseta

Creative hybrids of present and past. design reinterprets classic stylemes in terms of mass industrial production. an irreverent revival full of figurative crossings, materic collages, linguistic métissages - pag. 122 1. Febo from the Apta Collection by Antonio Citterio for Maxalto, high-back chair covered in fabric or leather, base in solid oak. 2. Collerette by Les M for Casamania, two-seat chair with ‘unrolling’ back. Metal legs, plywood seat, fabric cover. 3. Pasha Soft by Claudio Dondoli and Marco Pocci for Pedrali, chair in transparent polycarbonate, in the new version with fabric-covered cushion. Facing page: 1. Mate by A+B (Annalisa Dominoni and Benedetto Quaquaro) for Living Divani, multifunctional chair with ladder back used to apply different accessories. Structure in square tubing. 2. 435 by Yahoon Kim for Seletti, lamp that interprets the classic image of the chandelier with a cascade of ceramic fl tware. 3. Collage by Ferruccio Laviani for Fratelli Boffi divan-assemblage composed of three different structures: a Chesterfie d, a contemporary module and a chaise longue in Louis XV style. 4. Booken by Raw Edges for Lema, bookcase-console with wooden structure. The books themselves are suspended to form the shelf. 5. Ventura Lounge by Jean-Marie Massaud for Poliform, high-back chair complete with hassock, oak structure, flexible polyurethane seat, covered in fabric or leather. - pag. 124 1. Manoj by Edward van Vliet for Italamp, chandelier composed of a painted metal cage and spheres of glass and reflecting crystal. Uses LEDs. 2. Samurai by Barovier & Toso, table lamp with glass base, based on a design by Angelo Barovier from 1966. 3. Sloo by Karim Rashid for Vondom, indoor/outdoor chair in polyethylene, available in different finishe . 4. Table in printed cardboard from the Luigi XVI collection by Corvasce. Design Savino Corvasce. 5. Passion by Philippe Starck for Cassina, chair in the new version with nylon chassis, on which the fabric covering is shaped like a tailor-made garment. Legs in ash or walnut, or with black or chrome finish 6. Trez by Zanini de Zanine for Cappellini, sculptural seat in laser-cut, welded aluminium, matte spray paint finish in th ee colors. - pag. 125 1. Chandelier by Lamur, wall lamp in laser-cut methacrylate, also available with mirror and gold leaf finish 2. Sipario from the New Renaissance collection by Ferruccio Laviani for Ego, cabinet with wave doors in mocha-stained wood or tapestry finish 3. Cyborg by Marcel Wanders for Magis, chair with polycarbonate chassis, matched with different backs: polycarbonate, wicker or curved and turned solid ash. 4. Twaya by Ferruccio Laviani for Emmemobili, table sculpture in solid oak shaped by numerically controlled machines to imitate the draping of a tablecloth. 5. Chiavarina maxi-chair by Matteo Thun and Antonio Rodriguez for Baxter, structure in matte black painted wood, seat in River Nelson leather. - pag. 126 1. Salsola, designed by Marco Pagnoncelli for Icone, hanging lamp made with welded curls of aluminium, painted matte white. 2. Cerva by Fendi Casa, high-back chair in curved wood clad in leather. Covering in Jacquard velvet and ivory shearling. 3. Mobius, designed by Umberto Asnago for Giorgetti, daybed with Canaletto walnut base, covered in leather or fabric with contrasting borders. 4. Madame by Opera Design for Porada, wall mirror made with water-jet cutting. 5. Ro by Jaime Hayon for Fritz Hansen, daybed with large seat, metal legs, fabric cover, diversified or chassis and cushions, in nine colors. 6. Toi by Salvatore Indriolo for Zanotta, table with structure in rigid polyurethane. The top, in plywood with aluminium finish rotates 360 degrees to reveal a storage compartment. 7. Arper by Miria Montels for Visionnaire, table lamp with stem and base in shiny chromiumplated metal, shade made with aluminium scales. - pag. 127 1. Icona, designed by Giorgio Soressi for Erba Italia, high-back chair in metal, painted in a range of colors, seat in expanded polyurethane, covered in leather or fabric. 2. Onkel by Simon Legald for Normann Copenhagen, two-seat divan with painted wooden feet, fabric cover available in four colors. 3. Bohémien by Castello Lagravinese for Busnelli, bench with capitonné covering in leather or fabric. 4. Mistral glass table designed by Borek Sipek for the Barock’n’Roll collection of Sawaya&Moroni. - pag. 128 1. Mirror Stool by Nendo for Glas Italia, wall mirror with built-in stool in extralight 10 mm tempered glass. 2. Salon by Sam Baron for L’Abbate, divan that crosses the classic Chesterfie d, Louis XVI and the 1970s. Covered in leather or fabric. 3. Chez Philippe by Claudio Bitetti for Mogg, table in painted wood with fluo d tails and contemporary metal inserts. 4. Harcourt Our Fire, by Philippe Starck for Baccarat, crystal table lamp based on the maison’s iconic glasses, in

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the new black or white version. 5. One Flo by Edoardo Gherardi for Desirée, chair on spoked metal base, removable cover in leather or fabric. - pag. 129 1. Apollo 15 designed by Godefroy de Virieu and Stefania Di Petrillo for Saint-Louis, suspension chandelier with slender metal structure and crystal diffusers. 2. Veyron, from the Beyond collection by Alessandro La Spada for Smania, chair covered in pleated velvet, available in a range of colors, or in leather. 3. Arborescence by Ora-Ïto for Christofle, table with polished steel structure and glass top. 4. Lace Screen by Stefano Pirovano for Bysteel, screen in matte white coated aluminium.

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ALIVAR srl Via Leonardo da Vinci 118/14, 50028 TAVARNELLE VAL DI PESA FI Tel. 0558070115, Fax 0558070127, www.alivar.com, alivar@alivar.com ALKI www.alki.fr, info@www.alki.fr ANDREU WORLD S.A. C/Los Sauces 7, Urb. Olimar, E 46370 CHIVA - VALENCIA Tel. +34 96 1805700, Fax +34 96 1805701 www.andreuworld.com, aworld@andreuworld.com Distr. in Italia: DESSIÈ srl, Via di Tiglio 1735 - Loc. San Filippo, 55100 LUCCA Tel. 058394102, Fax 058394266, www.dessie.it, info@dessie.it ARTEMIDE spa Via Bergamo 18, 20010 PREGNANA MILANESE MI Tel. 02935181, Fax 0293590254, www.artemide.com, info@artemide.com ATELIER BIAGETTI Via Autari 27, 20143 MILANO, Tel. 0283241694, Fax 0283200693 www.biagetti.net, info@biagetti.com ATELIER PFISTER www.atelierpfi ter.ch ATIPICO by LA PIACENTINA spa V.le J.F. Kennedy 20, 46019 VIADANA MN, Tel. 0375833124, Fax 0375833141 www.atipiconline.it, info@atipiconline.it ATLAS CONCORDE spa Via Canaletto 141, 41042 SPEZZANO DI FIORANO MODENESE MO Tel. 0536867811, Fax 0536867985, www.atlasconcorde.it, info@atlasconcorde.it BAROVIER & TOSO srl Fondamenta Vetrai 28, 30141 MURANO VE Tel. 041739049, Fax 0415274385, www.barovier.com, barovier@barovier.com BAXTER srl Via Costone 8, 22040 LURAGO D’ERBA CO Tel. 03135999, Fax 0313599999, www.baxter.it, info@baxter.it BMW ITALIA spa Via Dell’Unione Europea 1, 20097 SAN DONATO MILANESE MI Tel. 0251610111, Fax 0251610222, www.bmw.it, www.mini.it BOCA DO LOBO Trav. Marques de Sá, P RIO TINTO 435-324, Tel. +351 224 881669 Fax +351 224 887170, www.bocadolobo.com, info@bocadolobo.com BOFFI spa Via Oberdan 70, 20823 LENTATE SUL SEVESO MB Tel. 03625341, Fax 0362565077, www.boffi com, boffimar et@boffi com BOSA DI ITALO BOSA srl Via Molini 44, 31030 BORSO DEL GRAPPA TV Tel. 0423561483, Fax 0423542200, www.bosatrade.com, info@bosatrade.com BOUTIQUE CHRISTOFLE srl C.so Venezia 6, 20121 MILANO, Tel. 02781948, Fax 02782591 www.christofle.com, pavillon.milano@christofle.com BUSNELLI GRUPPO INDUSTRIALE spa Via Kennedy 34, 20826 MISINTO MB Tel. 0296320221, Fax 0296329384, www.busnelli.it, gruppo@busnelli.it BYSTEEL srl Via Balzella 32/A , 47122 FORLI’ Tel. 0543725275, Fax 0543722039, www.bysteel.it, info@bysteel.it CALLIGARIS spa Via Trieste 12, 33044 MANZANO UD Tel. 0432748211, Fax 0432750104, www.calligaris.it, calligaris@calligaris.it CAPPELLINI CAP DESIGN spa Via Busnelli 5, 20821 MEDA MB Tel. 03623721, Fax 031763322, www.cappellini.it, cappellini@cappellini.it CASAMANIA DIV. FREZZA spa Via Ferret 11/9, 31020 VIDOR TV Tel. 04236753, Fax 0423819640, www.casamania.it, casamania@casamania.it CASSINA spa POLTRONA FRAU GROUP Via Busnelli 1, 20821 MEDA MB Tel. 03623721, Fax 0362340758, www.cassina.com, info@cassina.it COLÉ Via Cesare Da Sesto 11, 20123 MILANO Tel. 0222228454, Fax 0222227702, www.coleitalia.com, info@coleitalia.com CORVASCE Via dell’Economia 40, 76121 BARLETTA Tel. 0883531042, Fax 0883536122, www.corvasce.it CRISTALLERIES DE SAINT-LOUIS Rue Coëtlosquet, F ST LOUIS LES BITCHE 57620 Tel. +33 387064004, Fax +33 387068137, www.saint-louis.com DE MAJO ILLUMINAZIONE srl Via G. Galilei 34, 30035 MIRANO VE, Tel. 0415729611, Fax 04157029533 www.demajoilluminazione.com, demajo@demajomurano.com DÉSIRÉE spa Via Piave 25, 31028 TEZZE DI PIAVE TV, Tel. 04382817, Fax 0438488077 www.divani-desiree.com, desicen@gruppoeuromobil.com

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N. 630 aprile 2013 April 2013 rivista fondata nel 1954 review founded in 1954

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direttore responsabile/editor GILDA BOJARDI bojardi@mondadori.it art director CHRISTOPH RADL caporedattore centrale central editor-in-chief SIMO NETTA FIORIO simonetta.fiorio@mondadori.i consulenti editoriali/editorial consultants ANDREA BRA NZI ANTO NIO CITTERIO MICHELE DE LUCCHI MATTEO VERCELLO NI

Nel l ’immagi ne: vis ta aerea del roosevel t memorial a new york city , il monume nt o al pre side nte fra nkli n dela no roosevel t, un paesaggio /architet tura cos truit o come pru a di u na nave , su proget t o incompiut o di l ouis kah n e di re ce nte complet at o. In the image: aer ial view of the R oosevel t Memor ial in N ew York C it y, the monument t o Pres ident F rankl in Delano R oosevel t, a lands cape/ar ch ite cture bu il t l ike the pro w of a sh ip, re centl y constru cted b ased on an unf in ished proje ct by L ou is Kahn. (FOTO DI/ph OTO BY paul warchol)

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Speciale: la cultura italiana in America Special: Italian culture in America I luoghi del progetto made in Italy: design, arte, moda, food The places of design Made in Italy: design, art, fashion, food Protagonisti: italiani in Usa, americani in Italia Protagonists: Italians in the USA, Americans in Italy Gli Stati Uniti raccontati attraverso l’obiettivo dei fotografi di Interni The United States narrated through the work of the photographers of Interni

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