Interni 633 July - August 2013

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editoriale

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rriva l’estate e nasce la necessità di uscire, anche con la mente, dai confini fisici della nostra quotidianità domestica per abbracciare la dimensione del viaggio e del vivere ‘en plein air’. Iniziamo dunque a viaggiare in Puglia, cui è dedicata tutta la sezione delle architetture d’interni: un tuffo tra bianco e Mediterraneo, dove storia e modernità, tecnologia e sostenibilità trovano un rapporto di equilibrio armonioso nei progetti di recupero di antiche dimore. A raccontare come l’arte e l’architettura possano dialogare con il paesaggio, diventando poesia, sono poi le installazioni del Festival International des Jardins di Chaumont-surLoire, quest’anno dedicato alle ‘sensations’ infinite ed evanescenti di cui brulicano i giardini. Il viaggio nel mondo del progetto prosegue all’aperto, ai bordi di una piscina, sotto un ipotetico berceau: il tema è infatti quello dell’outdoor, che ci porta a pensare a piacevoli momenti di relax all’aria aperta ma anche a prodotti a elevati contenuti di progettualità. A dimostrarlo sono nuove tipologie d’arredo che portano le firme del miglior design contemporaneo e mettono a frutto le ricerche sui nuovi materiali per l’esterno, capaci di coniugare un’immagine naturale con avanzate prestazioni tecniche e un’elevata qualità estetica che cancella le distinzioni tra la ‘casa dentro’ e la ‘casa fuori’. L’estate del progetto esplode infine in superfici policrome, arredi polimaterici, rivestimenti geometrici e grafiche optical: l’energia caleidoscopica del design ci travolge anche in tempo di vacanze. Gilda Bojardi BORGO EGNAZIA A SAVELLETRI DI FASANO, PROGETTO DI ALDO MELPIGNANO E PINO BRESCIA.


2 / iNteriors&architecture LA CHIESA PROGETTATA A TARANTO DA GIO PONTI NEL 1970, UN’UNICA GRANDE NAVATA SORRETTA DA UN’IMPORTANTE STRUTTURA IN CEMENTO ARMATO A VISTA. UNO STRAORDINARIO ESEMPIO DI SINTESI TRA TRADIZIONE CLASSICA E MODERNITÀ.


gran madre di dio progetto di GIO PONTI foto di Henry Thoreau testo di Patrizia Catalano

la concattedrale di taranto, ultima opera realizzata dal maestro moderno Nel 1970, come simbolo e manifesto del suo amore per l’architettura, l’italia e le Nostre cittĂ


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L’ESTERNO DELLA CHIESA DI GIO PONTI: UN VIRTUOSISMO IN CEMENTO ARMATO. IL PROGETTO DELL’ESTERNO È INCOMPLETO: COMPRENDEVA ANCHE TRE VASCHE D’ACQUA IN CUI L’ARCHITETTURA AVREBBE DOVUTO RIFLETTERSI.

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na chiesa come nave, con una grande vela che si staglia contro il cielo, dove gli angeli possano sostare. Quando l’arcivescovo di Taranto propose all’architetto milanese, ormai giunto quasi alla ine della sua lunga e ricchissima carriera di autore, di progettare e realizzare la chiesa più importante della città, Ponti, dopo aver accettato con l’entusiasmo di sempre la sida di progettare una chiesa (ne aveva già realizzate alcune molto belle a Milano, negli anni del boom economico), proprio a questo aveva pensato, alla vocazione marina della città, alla sua particolare

conigurazione, i due mari, contigui ma separati, alla sua storia travagliata, alla sua vocazione di città greca, ostile al mondo latino. Un luogo di culto dunque che rilettesse il mare e dal mare venisse rilessa, circondato da un bosco di essenze mediterranee, un’isola aggrappata al mare di Taranto. La facciata, un delicato merletto baroccheggiante, avrebbe dovuto rilettersi nell’acqua delle tre grandi vasche antistanti, così da riprodurre l’effetto di una vela mossa dal vento. Gli interni invece sono caratterizzati da un’unica grande navata, sorretta da un’importante struttura in cemento armato a vista, chiusa dall’altare rivolto verso la platea e da due grandi pilastri anche in cemento che reggono alla sommità due ancore, altare cui pone alle spalle un accenno di coro e una balconata distinta da un gioco geometrico di inestrature goticheggianti. Suoi anche gli affreschi dell’angelo e della Vergine che sovrastano il coro. La prima cosa che colpisce entrando è l’uso del colore, la luminosità e la corposità di certi toni di verde intenso, in una tonalità che Ponti ha già sperimentato altrove, ma che qui assumono la caratteristica di un linguaggio formale che dà il la a tutta la composizione, contribuendo alla percezione, enfatizzata dalla luce intensa del meridione a certe ore del giorno, della struttura come di una grande grotta marina. A questo si

PAGINA A FIANCO, SI ISPIRA ALLE GEOMETRIE BIZANTINE IL GIOCO DI FINESTRE CHE COSTITUISCONO IL CORO DELLA CHIESA. L’ARCHITETTURA PER GIO PONTI ERA UN PROGETTO TOTALE CHE COMPRENDEVA IL DISEGNO STRUTTURALE, LE FINITURE, GLI ARREDI E L’ILLUMINAZIONE. PER LA GRAN MADRE DI TARANTO PONTI HA USATO I TONI FREDDI DEL MARE CHE SI ACCOMPAGNANO AL CEMENTO DELLA STRUTTURA E DEL TAVOLO DELL’ALTARE. DI CONTRASTO, TONI CALDI PER I LEGNI DELLE PANCHE E IL METALLO DORATO DELLE LUCI.

aggiungano certi dettagli, come i confessionali in legno chiaro, preziosamente incastrati nella struttura cementizia, i grandi lampadari in metallo dorato che pendono dal sofitto come gocce di luce, e le cappelle laterali, con i piccoli altari e gli accessori in bronzo. Fedele sino all’ultimo al suo pensiero, Ponti realizza una cattedrale che pur nel rispetto di una concezione ‘antica’, ne attualizza in modo dinamico la struttura, permeandola di modernità, riferendosi agli stili classici solo “… per conservare l’antica energia italiana di trasformarli continuamente…”.


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mediterraneo salentino

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uN’ampia masseria Nel cuore del salento diveNta uNa residenza iN cui memoria e modernità coNvivoNo iN armonia e si coNcedoNo il lusso della semplicità, alla riscoperta di un mediterraneo cosmopolita progetto di PAOLO CAPUTO strutture e impianti SC Engineering, Galatina foto di Enrico Colzani testo di Alessandro Rocca

VEDUTA DELLA CORTE PRINCIPALE CON IL FRONTE DELLA PARTE PIÙ ANTICA, RISALENTE AL ‘700, CON LA TEORIA DELLE QUATTRO STANZE PER GLI OSPITI E, AL FONDO, L’ARCHIVOLTO DI INGRESSO.


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architettura si può fare in tanti modi diversi ed è compito del progettista leggere e interpretare le occasioni professionali per svilupare approcci e strategie ad hoc. Un esempio di questa lessibilità, necessaria per cogliere le opportunità di ogni situazione, la troviamo nel modo di operare di Paolo Caputo, docente di progettazione del Politecnico di Milano ma anche professionista molto attivo che ha irmato, per esempio, parti consistenti del nuovo quartiere di Santa Giulia a Milano. A oggi l’ediicio più importante di Caputo è il grattacielo della regione Lombardia, disegnato insieme allo studio newyorkese Pei Cobb Freed & Partners, che rappresenta una sintesi tra l’high-tech anglosassone e il progetto urbano di matrice milanese. In questo caso, per l’appunto, passiamo dal downtown al cuore della penisola salentina dove Caputo recupera una masseria abbandonata da decenni. Formato da un corpo principale, ottocentesco, e dalle stalle costruite in anni più recenti, l’ediicio ha una forma a “F” con il lato maggiore affacciato sul giardino con piscina, cucina e sala da pranzo all’aperto, orto e uliveto. “Data la bellezza e la semplicità di questa architettura, spiega Caputo, mi sono limitato a rimettere in funzione gli ambienti utilizzando materiali locali, a ripristinare i sofitti a volta, che in parte erano crollati, e a ridisegnare porte e inestre riproducendo gli inissi, ormai inservibili, che ho trovato nella masseria”.

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LA VASCA DI CEMENTO DELLA CISTERNA DELL’ACQUA È TRASFORMATA IN PISCINA; SUL BORDO, RIVESTITO IN PIETRA DI SOLETO, LANTERNE MAROCCHINE E CHAISE LONGUE PRODOTTE DA UN ARTIGIANO LOCALE. PAGINA A FIANCO, L’ARCHIVOLTO DI INGRESSO ALLA MASSERIA CON IL PICCOLO GIARDINO DELLE ROSE E, AL FONDO L’ARCO CON LA PORTA FINESTRA DI UNA PARTE DEL VASTO SOGGIORNO CHE ACCORPA 4 STANZE DEL CORPO OTTOCENTESCO.


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SULLA MENSOLA DEL CAMINETTO DEL SOGGIORNO, TESTE DI BURATTINI DEL TEATRO CINESE, E SUL TAVOLINO CINESE UNA COLLEZIONE DI GALLI IN CERAMICA; TAPPETO YEMENITA E, ALLA PARETE, ARAZZO CECENO; IL TAVOLO È UN LETTO PACHISTANO, POLTRONE FRANCESI NOVECENTO. I PAVIMENTI INTERNI SONO TUTTI IN PIETRA DI LECCE. PAGINA A FIANCO, VEDUTA DEL SOGGIORNO VERSO LA SALA DA PRANZO, CON L’INFILATA DELLE VOLTE A STELLA E I DUE CAMINI ALLE ESTREMITÀ, TUTTI GLI INFISSI SONO STATI RIDISEGNATI A PARTIRE DALLE IMPOSTE TRADIZIONALI; DIVANO FLEXFORM E LAMPADE DA TERRA, GILDA, DI PALLUCCO.

Una strategia conservativa che mira a mantenere l’atmosfera dell’ediicio rurale, un obiettivo raggiungibile grazie alle dimensioni generose e alla tipologia semplice e ripetitiva, con i corpi di fabbrica formati dalla semplice enilade di grandi stanze ricoperte dalle volte in conci di tufo scialbato. “Ho seguito un’idea di domesticità e di naturalezza anche nel rapporto tra gli oggetti e la struttura”, dice Caputo, declinando un arredo composito che combina artigianato etnico e design contemporaneo, inserti d’arte e oggetti d’affezione. “Ho fatto largo uso di elementi prodotti in Marocco, spesso realizzati su mio disegno”, spiega Caputo, “che si inseriscono nella casa come

testimoni di un’idea di mediterraneità allargata che comprende anche il Nordafrica. D’altronde, il Salento è stato sempre un mondo aperto al mondo, una terra di transito, di incontri e di mescolanza etnica e culturale. Da qui partiva, ai tempi delle crociate, l’ultima tratta del viaggio verso Gerusalemme e qui il melting pot è un fatto profondo, radicato e naturale”. Incorniciati dai muri in blocchi di tufo e dai pavimenti in pietra di Lecce, materiali tipici della campagna salentina, gli arredi raccontano di mondi lontani che spaziano dal Marocco alla Cecenia, dallo Yemen all’Afghanistan, dall’Italia settentrionale alla Francia.


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IL TAVOLO DA PRANZO, SU CUI STANNO LE CERAMICHE SALENTINE DI GROTTAGLIE E TRICASE, È UN PEZZO DEL ‘600 DI FATTURA TOSCO-EMILIANA, INTORNO LE POLTRONCINE LOUIS GHOST DI PHILIPPE STARCK PER KARTELL; LAMPADARIO SICILIANO ‘900.


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IN CUCINA, TAVOLO EMILIANO ‘900 CON SEDIE VICTORIA GHOST, DI KARTELL, E CUCINA INDUSTRIALE DI ANGELO PO; ALLA PARETE, I “PESCI” SCOLPITI DALL’ARTISTA LIVORNESE FILIPPO GHERARDI. IN CAMERA, LETTO REALIZZATO SU DISEGNO, ARAZZO E ABAT-JOUR MAROCCHINI, TAPPETO YEMENITA E SEDIE KARTELL; ALLA PARETE, UN DISEGNO COLLAGE DI OLGIATI.

E di epoche lontane, con il tavolo da pranzo del ’600, di antiquariato tosco emiliano, che si circonda delle poltroncine Louis Ghost, in versione Black, disegnate da Philippe Starck per Kartell, mentre in cucina la grande lampada di Fontana Arte sormonta con delicatezza un tavolo di artigianato emiliano del ’900. Negli esterni, che qui sono altrettante stanze all’aperto, vince la tradizione, i muri in tufo, i pavimenti in pietra di Cursi e la piscina che recupera la vasca di raccolta dell’acqua racchiusa da un bordo in pietra di Soleto. Nelle corti e nel giardino si mantiene e si aiuta la presenza della vegetazione legata alle tradizioni locali: il gelsomino e le rose abbelliscono l’ingresso, le agavi sui cornicioni rafforzano l’effetto mediterraneo così come le palme della corte di ingresso. Dietro la piscina, oltre il prato, qualche ulivo su terra rossa anticipa il paesaggio dell’ininito uliveto che, oltre il muro di cinta, si estende sempre uguale e in ogni direzione, per chilometri e chilometri, a ricoprire per intero la penisola salentina.


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Nel salento, uN palazzo barocco del settecento, dopo deceNNi di degrado, diveNta uN sofisticato luogo per vacanze, prezioso scrigno di opere d’arte e design contemporaneo

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n palazzo monumentale, dalla facciata scultorea e barocca, impenetrabile. Siamo nel centro storico di Galatina, un vivace paese nel cuore del Salento, in una stradina davvero stretta, un silenzio assoluto, quasi denso durante la controra, un sole che definisce e taglia ogni geometria con le sue ombre nette, creandone di nuove. È qui che si erge l’imponente palazzo Gorgoni, edificato intorno al 1780 e implementato intorno all’Ottocento, tipica architettura signorile locale. I proprietari, Tiziana e Antonio, giovani e brillanti avvocati romani, affascinati dall’idea di casa marocchina, decidono di ristrutturare questo palazzo dopo un viaggio a Marrakech, vogliono creare il loro riad salentino, un luogo che si sveli solo penetrandolo, incanto dal tesoro celato, imprevedibile e inatteso. Attraversato il portone in legno ci si trova nella corte, spazio filtro tra interno ed esterno, e realmente nessuno dei due luoghi.

incanto polivalente progetto di MASSIMO FAMIGLINI, FRANCO MARIA RAO e DEBrA GARRA/ STUDIO SPACEPLANNERS foto di Think Puglia testo di Antonella Tundo


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LA CORTE D’ACCESSO DEL PALAZZO, TIPICA DEL SALENTO. È UNO SPAZIO FILTRO TRA ESTERNO ED INTERNO, INTORNO A CUI RUOTA TUTTA LA CASA. LA PAVIMENTAZIONE È A CHIANCHE, PIETRE LOCALI SQUADRATE, CHE FORMANO UN DISEGNO GEOMETRICO VIBRANTE.


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QUI SOTTO, L’AMPIA SALA DA PRANZO AL PIANO TERRA È INONDATA DI LUCE. PAVIMENTO IN RESINA DAI TONI NATURALI E PIETRA DI SOLETO. IL TAVOLO È STATO ACQUISTATO DA UN ANTIQUARIO FIORENTINO: CONSERVA ENORMI PIEDI ANIMALESCHI, MA IL PIANO E IL COLORE RENDONO LA SUA LINEA PIÙ GIOVANE. IL LAMPADARIO DI FERRO BATTUTO, TROVATO NELLA CASA PRIMA DEL RESTAURO, È STATO RIUTILIZZATO COME SEGNO DELLA VITA PASSATA. GLI INFISSI, IN ACCIAIO, DAL PROFILO SOTTILE E CON GRANDI SPECCHIATURE, SONO STATI RIVESTITI DI UNA PALETTE GRIGIA PER SMORZARE LA FREDDEZZA DELL’ACCIAIO.

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AL PIANO TERRA È STATO CREATO UN VERO E PROPRIO HAMMAM. IL RIVESTIMENTO È NELLA PIETRA LOCALE, QUELLA DI SOLETO. UN’AMPIA VASCA PRECEDE LA ZONA UMIDA VERA E PROPRIA, DOTATA DI CROMOTERAPIA E ZONA RELAX. IN QUESTI AMBIENTI, COME IN TUTTA LA CASA, È STATO PREDISPOSTO UN RAFFREDDAMENTO A PAVIMENTO PIÙ PIACEVOLE E SALUTARE DELL’ARIA CONDIZIONATA. LA GRANDE CAMERA DA LETTO PADRONALE AL PRIMO PIANO; DALLA FORMA ALLUNGATA, AFFACCIA SU UNA STRADINA ASSOLATA DEL CENTRO STORICO. LE TENDE SONO IN MUSSOLA DI LINO EPIPHANI SOCIETY LECCE, COME LE LENZUOLA. A TERRA IL TAPPETO PERSIANO AFFIANCA LA GRANDE VASCA FREESTANDING IN PIETRA NERA.

UN SALOTTO DI PASSAGGIO, LUMINOSO, RESO ANCORA PIÙ CHIARO DAL COLORE NEUTRO DELLA RESINA EPOSSIDICA DEL PAVIMENTO. DIVANI SPONGE DI EDRA. SULLO SFONDO UNA TELA DI VASCO BENDINO.

NELLA PAGINA A FIANCO, IL SALONE DELLA CASA, CHIAMATO DAI PROPRIETARI ‘SALA DA BALLO’. LE DECORAZIONI AL SOFFITTO SONO ORIGINALI. IL QUADRO SULLO SFONDO È DELL’ARTISTA ROMANA SILVIA MORERA, PARTE DELLO STUDIO LIvTICK DA LEI REALIZZATO. ALLE PARETI DUE APPLIQUE ACQUISTATE DA UN ANTIQUARIO FIORENTINO, CON DISCHI IN VETRO DI MURANO REALIZZATI INTERAMENTE A MANO INTORNO AGLI ANNI CINQUANTA. AL CENTRO DELLA SALA, IL DIVANO SCULTURA BOA DI EDRA.

Intorno a questo ruota vertiginosamente l’intero palazzo e danza lo spettacolo barocco della pietra leccese lungo le facciate e la scalinata che conduce al primo piano. Neanche qui è ancora rivelata la contemporaneità che, nascosta all’interno, ricopre tutto come nuova patina discreta. Al momento dell’acquisto la situazione dell’intero edificio era molto diversa dalla pulizia e dall’eleganza che ora sembra innata. La ristrutturazione ha richiesto un lavoro paziente e chirurgico. Il palazzo era corroso dall’incuria del tempo, diviso e spezzettato in dodici unità abitative, incastrate tra loro, con una distribuzione e un risultato surreale. Superfetazioni avevano stratificato la vecchia struttura, ricoprendola e incrostando l’antico palazzo di una pelle non sua. La decisione forte, una sfida quasi, è stata allora quella di spogliarlo, di denudarlo e riportarlo all’eleganza della sua forma originaria, renderlo scheletro da rivestire nuovamente, con abiti contemporanei e funzionali. Il risultato è un’architettura che diviene scena per opere d’arte e pezzi di design d’eccezione che prendono vita e luce, in una collocazione unica. Questa l’idea degli architetti Massimo Famiglini, Franco Maria Rao e Debora Garra, dello studio Spaceplanners di Roma, che decidono per un rinnovo che lasci intatto l’involucro, conservi l’essenzialità, rispetti la storia, ma guardi concretamente al presente, con una visione allargata verso l’intera tradizione mediterranea.


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LA PISCINA INTERNA È STATA RICAVATA UNENDO DUE CORTI. PRIMA DEI LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE QUI ERANO STATE COSTRUITE DELLE PICCOLE STANZE CHE AVEVANO SATURATO GLI SPAZI ESTERNI. ORA È UN PICCOLO PARADISO DAGLI ALTI MURI CHE ISOLANO DAL MONDO. PAGINA A FIANCO, SULLA COPERTURA A TERRAZZA, TIPICA DI QUESTA TERRA, SI TROVA LA SUPPINA, UN ALTRO LUOGO MERAVIGLIOSO. AL CENTRO DODICI GRANDI CUSCINI RIGIDI DI FATTURA LOCALE. ACCOSTATI L’UNO ALL’ALTRO, FORMANO UN LETTONE DOVE POSSONO STARE COMODAMENTE STESE 3 O 4 PERSONE.

“Abbiamo voluto ricostruire una casa padronale che negli ultimi anni aveva perso la sua originale identità di ‘casa patrizia’, trasformata in una miriade di appartamenti, questo è stato il nostro focus progettuale. Abbiamo poi ‘frullato’ il tutto e aggiunto il profumo e l’aria del Salento” raccontano gli architetti e proseguono: “Per gli infissi esterni, ad esempio, si è scelto di utilizzare il ferro, tinto di un grigio perla, con ampie vetrate. Per due ragioni: la prima per poter effondere all’interno la maggior luce possibile; la seconda per mantenere il contatto con i materiali locali di costruzione, pietra e, appunto, ferro: questa terra è stata sempre povera di legno ed un suo uso eccessivo sarebbe stato filologicamente sbagliato”. Per il pavimento di tutta la casa, all’interno, si è optato per mescolare e combinare la pietra di Soleto, una pietra locale, affiancandola ad una colata di resina grigia. Questo ha donato all’ambiente una mise contemporanea, garantendo però una palette

cromatica tono su tono. Nuance neutre e delicate ricoprono anche muri e infissi, esaltano e assecondano le vere protagoniste indiscusse, cioè le opere d’arte, l’arredo di design e la vita di chi può cullarsi in questi spazi, con uno stile e in una concezione che guardano dritto al contemporaneo, senza eccezioni e senza rinunce. Un’idea forte di ospitalità ha felicemente guidato la distribuzione: al piano terra, dove come tre piazze ideali si aprono le aree dedicate alla vita comune e al relax, alimentato dal piacere delle acque e del benessere dell’hammam; al piano superiore, dove si trovano le otto camere da letto, che si aprono a corona lungo la balaustra barocca che guarda il chiostro settecentesco, ognuna con ingresso indipendente. E infine la grande terrazza, arricchita da selezionate piante grasse, costituisce il luogo ideale per godere del sole primaverile e del fresco della sera, alla luce riflessa delle magnifiche chianche bianche di pietra leccese.


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Nell’alto salento, uN tuffo tra bianco e mediterraneo. l’ospitalità di uN restauro realizzato coN i principi della sostenibilità per dare vita a uNa casa aperta, iNedito laboratorio culturale e luogo di incontro fra il sapere locale e il mondo

PARTICOLARE DELLA STANZA PRINCIPALE DEL 1700 CON LE VOLTE A STELLA; A PARETE LIBRERIA COMPOSTA CON IL SISTEMA LAGOLINEA.


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appartamento lago progetto di ARCHSTUDIOLONGO foto di Giuseppe Di Viesto - testo di Virginio Briatore


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SOTTO, VISTA DEL CORTILE CON LE PIANTE DI AGRUMI E DELLA DEPENDANCE PER GLI OSPITI; L’INGRESSO È PROTETTO DA UNA MINI TETTOIA IN LAMIERA VERNICIATA, REALIZZATA SU DISEGNO. A DESTRA, CONTROCAMPO DELLE DUE AREE PRINCIPALI DISTINTE DAL PARQUET LISTONE GIORDANO PROVENIENTE DA FORESTE CERTIFICATE E TRATTATO CON PRODOTTI ECOLOGICI, FIRMATO DA MICHELE DE LUCCHI CON PHILIPPE NIGRO. IL MOTIVO È STATO RIPRESO NEL PAVIMENTO IN PIETRA DI MINERVINO DISEGNATO DA ANGELICA LONGO.

L’

appartamento è situato a San Vito dei Normanni, un nome che è di per sé un serbatoio geosemantico: terra di santi e di conquistatori, terra di Puglia, provincia di Brindisi, dove finisce la via Appia e iniziano il mare, il Salento, la Grecia, l’Oriente. Il progetto nasce dalle intuizioni di Angelica Longo, giovane architetto del luogo che, dopo essersi laureata a Ferrara, ha vinto una borsa di studio della Regione Puglia con cui si è pagata il master in Design degli Interni alla Domus Academy di Milano. Il bando prevedeva che dopo gli studi i vincitori reimpiegassero il loro know how nella regione d’origine. Il progetto Appartamento Lago è stato il modello di business che Angelica Longo ha presentato al suo rientro ed anch’esso ha vinto un finanziamento a fondo perduto della Regione di 25.000 euro.

L’appartamento di 120 mq ha sede in un’antica residenza di famiglia situata nel centro storico. Posto al piano terra, con accesso da una delle strade principali del paese, l’edificio settecentesco conserva tutti i caratteri originari delle architetture storiche della zona: una serie di ampie stanze si susseguono e si estendono in profondità per aprirsi su un cortile interno, tipico dell’architettura mediterranea. Muri spessi in pietra tinteggiati con calce bianca delimitano spazi sovrastati da volte a stella e a carrozza, L’intervento di ristrutturazione è opera di ArchstudioLongo, che oltre ad Angelica comprende il padre Enzo Longo, architetto di grande scuola e lunga esperienza negli edifici storici e monumentali e la sorella Danila Longo, anche lei architetto. I lavori consistono in opere murarie di consolidamento e ridefinizione delle aperture interne, predisposizione di impianti termoidraulici ed elettrici, opere di finitura e di falegnameria, realizzazione ex-novo dei servizi igienici; il tutto senza stravolgere l’impianto originario della struttura e senza intaccare la conformazione spaziale degli ambienti. Murature, volte, alcove, camini e cisterne antiche sono state recuperate e valorizzate per rispondere a uno stile di vita contemporaneo. La manodopera locale impiegata ha permesso di eseguire le opere secondo i dettami della tradizione costruttiva, impiegando per quanto possibile materiali del posto e a basso impatto ambientale, come le chianche del 1700 riutilizzate per lastricare i cortili. Arredato in collaborazione con il team Lago e con i prodotti modulari dell’azienda veneta,

l’appartamento si presenta come due infilate di volte stupende, con archi, nicchie, alcove, mezzanino, inattese finestrelle che guardano il cielo e porte finestra che introducono alla doppia corte e al giardino. Le due infilate sono segnate dal pavimento ligneo di Listone Giordano, disegnato da Michele De Lucchi e dal pavimento in pietra di Minervino progettato da Angelica Longo, riprendendo lo stesso disegno–formato di De Lucchi. La cucina a penisola, posta tra il giardino, il focolare e la sala da pranzo è una macchina perfetta, un ponte-tavolo di collegamento fra i mondi: acqua, fuoco, frigo, piatti e cibi sono tutti a portata di mano e disposti a dialogare con l’architettura. Il pranzo viene servito nella stanza d’ingresso collegata direttamente alla cucina anche in virtù di una finestrella passante. La sala da pranzo ha una bellissima volta, come spiega Angelica Longo: “Si chiama volta a carrozza, ha i muri portanti e la sua forma deriva dall’incrocio fra la volta a botte e quella a stella”. La luce degli dei e la luce degli umani convivono bene sotto questi archi bianchi, nella collana di stanze che porta nel piccolo giardino, con tre diverse piante di agrumi. Come scriveva Vittorio Bodini, poeta salentino: “Sbattevano i lenzuoli sulle terrazze, arancio limone mandarino”. In fondo al giardino una piccola stanza con bagno. Un nido per gli ospiti, un nido d’amore. Le porte finestra che si affacciano sul giardino sono protette da una garbata micro tettoia in lamiera disegnata da Angelica Longo, dipinta di bianco e integrata nella muratura.


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L’ALCOVA DEL FOCOLARE VISTA DALLA ZONA COTTURA, ARREDATA CON CUCINA LAGO 36E8 E SEDUTE ALTE LAGO STEv, DISEGNATE DA MONICA GRAFFEO, IN ALLUMINIO E FELTRO RICICLABILI 100%.


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IN ALTO: LA DOPPIA INFILATA CON LA SCALA CHE CONDUCE AL MEZZANINO DA UN LATO E IL VANO DEL CAMINO DALL’ALTRO. SOPRA, VISTA DELLO SPAZIO LIVING DESTINATO ANCHE A PICCOLI CONCERTI, READING DI POESIA, PRESENTAZIONI DI ARTE, ARREDATO CON DIVANO AIR LINO CANOVACCIO, TAVOLO BASSO AIR E POLTRONCINA LASTIKA, DISEGNATA DA VELICHKO VELIKOV, TUTTI DI LAGO E LAMPADA ARCO DI ACHILLE CASTIGLIONI PER FLOS. LE FOTO DI QUESTA PAGINA SONO DI MARTINA LEO.

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L’illuminazione è stata progettata con molta cura e circa 100 punti luce offrono tutto quel che serve: in cucina la luce intensa sul piano di lavoro aiuta a preparare i cibi; nel momento del relax piccole luci occhieggiano dalle nicchie e altre più precise permettono di leggere stando a letto o sul divano; conversando a ascoltando musica si colgono i tagli di luce inseriti direttamente nell’architettura in fase di restauro. Alte sul muro le librerie Lago sembrano una grande greca, semplice e al tempo stesso meravigliante. Dice Angelica Longo: “Questa libreria fatta di semplici mensole sistemate in maniera originale è come un libro di testo: le persone la guardano, imparano e capiscono che possono farsela anche loro, a modo loro!”. La biocalce Kerakoll è stata utilizzata per la finitura interna ed esterna delle pareti, conferendo all’edificio sostenibilità e contemporaneità. La presenza di pannelli fotovoltaici, ben integrati, assicura la fornitura di energia elettrica agli ambienti, dotati di apparecchi illuminanti a basso consumo. Ne deriva infine uno spazio abitabile speciale: casa privata, casa vacanza, casa eventi, casa sharing in cui i pensieri chiave sono ospitalità, vita mediterranea e rispetto per il pianeta.


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SOPRA, INQUADRATURA DELLA ZONA NOTTE CON IL LETTO ALCOVA E IL RADIATORE STONE, DISEGNATO DA JAMES DI MARCO PER CALEIDO. GLI APPARECCHI ILLUMINANTI INCASSATI NELLE PARETI E INSERITI NELL’ARCHITETTURA SONO FORNITI DA VIABIZZUNO. PIANTA DELL’APPARTAMENTO LAGO. DETTAGLIO DI UNO DEI TRE BAGNI, TUTTI ARREDATI CON ACCESSORI LAGO, SANITARI VITRA E GLASS E RUBINETTERIE HANSGROHE.


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ritorno alle origini progetto ALDO MELPIGNANO e PINO BRESCIA

a savelletri di fasano, briNdisi, la struttura ricettiva borgo egnazia, Nella cateNa the leading hotels of the world, racconta la magica terra di puglia, tra tradizione e innovazione, semplicitĂ e Nuove teatralitĂ foto courtesy di Borgo Egnazia testo di Antonella Boisi


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VEDUTA ESTERNA DEL BORGO CON LA PIAZZA SU CUI PROSPETTA LA TORRE DELL’OROLOGIO. ASSOLATO E VIBRANTE, È STATO COSTRUITO TUTTO EX NOVO IN PIETRA DI TUFO.


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ALL’INTERNO DELL’HOTEL LA CORTE, UNA ZONA LOUNGE E IN BASSO LO SCORCIO DI UNA SUITE. ARREDI, ACCESSORI E LAMPADE, TUTTO DI FATTURA ARTIGIANALE, SONO STATI INTERPRETATI CREATIVAMENTE DA UNO STUDIO DI ARCHITETTI PUGLIESI CAPITANATI DA PINO BRESCIA, NOTO SCENOGRAFO LOCALE. NELLA PAGINA A FIANCO, IL DOPPIO SCALONE CHE COLLEGA LA HALL ALLE CAMERE SVILUPPATE AL PIANO SUPERIORE. IL RIGORE CLASSICO DEL SUO DISEGNO È MITIGATO DALL’ ALLESTIMENTO SCENICO DI LUCI, CANDELE, GABBIE E VASI, CHE APPAIONO QUASI DEI NUMI TUTELARI DEL LUOGO.

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l messaggio passa al primo sguardo. Alle pendici delle Murge e della valle d’Itria, tra trulli bianchi, muretti a secco, vigneti e uliveti secolari, Borgo Egnazia parla della Grande Casa Puglia, esprimendo la bellezza di un luogo, Savelletri di Fasano (Brindisi), in principio dimora di pescatori e di ricamatrici, a pochi passi dalle rive di scogli e sabbia fine dell’Adriatico, con ogni dettaglio racchiuso nei riflessi delle sue pietre di tufo, la materia locale per eccellenza, tagliate a mano e scolpite da una luce metafisica. La sua storia è quella delle persone che hanno contribuito a farlo nascere, per restituire a una struttura ricettiva contemporanea della catena The Leading Hotels of the world, il carattere di un’esperienza olistica che integra territorio, architettura e ospitalità, amore per la natura, per la tradizione rurale, per i sapori e la cultura locali. Il Borgo d’eccezione del XXI secolo – set anche del recente film Viaggio Sola interpretato da Margherita Buy – che stabilisce un dialogo sottile con l’esistente, rifiutando la mimesi, ma procedendo per evocazioni, l’ha disegnato uno studio di architetti

pugliesi – commissionati da Aldo Melpignano (deus ex machina di tutto il progetto Borgo Egnazia) – guidati da Pino Brescia, talentuoso scenografo pugliese di Fasano. “L’idea sottesa alla realizzazione, totalmente ex novo, la prima pietra nel 2007, è stata quella di un ‘ritorno alle origini’. Abbiamo cercato di dare un nuovo valore a quei codici essenziali che hanno formato nei secoli l’identità di un territorio, attraverso il lavoro di una squadra già ben collaudata” ha spiegato Aldo Melpignano proprietario di Borgo Egnazia e managing director di San Domenico Hotels, il genius-loci espresso anche

con le esclusive proposte di Masseria San Domenico, Masseria Cimino, oltre al noto San Domenico Golf che, con il suo percorso a 18 buche lungo un incantevole tratto di costa, separa ora dal mare Borgo Egnazia, nato dall’esigenza di soddisfare le esigenze di un pubblico diverso da quello delle Masserie di famiglia, con un’attenzione rivolta anche alle giovani famiglie con bimbi al seguito. Ecco, allora, che, su un’estensione complessiva di 16 ettari e mezzo, l’architettura in tufo de La Corte (l’ hotel 5 stelle con 63 camere di cui 10 suites vista mare) si ispira al ricordo delle masserie fortificate di cui restano traccia anche negli elementi decorativi, quali le antiche mangiatoie per gli animali antistanti l’area della corte d’ingresso o le feritoie d’avvistamento nella parte superiore della torre. Adiacente a questo edificio centrale, si sviluppa invece il Borgo vero e proprio che richiama l’immagine dei villaggi rurali pugliesi, con le sue casette bianche a due piani (93 camere, di cui 12 Town House, 20 appartamenti e 19 suites), intrise di echi spagnoli e moreschi (antiche dominazioni), che aprono su giardini arabi, verande private e terrazzi. I suoi vicoli, punteggiati di buganvillee, gelsomini, fichi d’India, agrumeti, zone d’incontro e di convivio, ristoranti e bar (differenti per atmosfera, menù e target), piscine e campi da tennis, formano il tessuto connettivo del complesso, completato da 28 esclusive Ville (di 250 mq ciascuna) che, contraddistinte da un’impronta più classica, rappresentano la tipologia ricettiva completa, declinata con diverse camere da letto, ampie zone living, piscina privata, giardini e belvedere panoramici.



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A DESTRA, LA PISCINA DELL’HOTEL LA CORTE CON LO SKYLINE DEL BORGO SULLO SFONDO. OLTRE LA BASSA CORTINA DEI MURI IN PIETRA A SECCO SI SVILUPPA LO SPAZIO-FILTRO DELL’AMPIO GIARDINO MEDITERRANEO CHE COMPRENDE L’ORTO BOTANICO. SOTTO, L’ESTERNO DI UNA DELLE 28 ESCLUSIVE VILLE (DI 250 MQ CIASCUNA) CARATTERIZZATA DA PISCINA PRIVATA, GIARDINO E BELVEDERE PANORAMICI. NELLA PAGINA A FIANCO, VEDUTA DEL BORGO CHE RICHIAMA UN IDEALE VILLAGGIO RURALE PUGLIESE NELLA COMPOSIZIONE DI CASE E CASETTE PRIVATE, ZONE DI SOSTA E CONVIVIO COLLETTIVE, PERGOLATI E TERRAZZI.

Se Villa, Borgo e Corte definiscono lo schema narrativo della composizione architettonica, il design degli interni riflette ovunque nel resort, con una cura ossessiva del dettaglio, il medesimo mood, sottolineato dalle onnipresenti volte a stella che scandiscono i passaggi tra le parti. I ricami delle chianche di tufo e della pietra corallina della Murgia si sposano a colori chiari, sottolineati da luci sempre indirette per ammantare il sogno total white di relax degli ospiti. Mobili, lampade, oggetti e accessori, tutti progettati appositamente e realizzati da artigiani locali, oppure provenienti da mercati rionali e botteghe dell’intorno, popolano spazi collettivi e privati. In un tripudio di segni di costume che corrispondono a ‘gesti antichi’ reinterpretati creativamente: dalle pile di giornali racchiuse in teche di cristallo e ferro che ricordano la necessità di combustibile dei camini alle saggine impaginate sui muri, dalle cascate rosse di peperoncini ai vasi di grano, noci, segale e fave che adornano le sale dei ristoranti, come elementi di una tradizione gastronomica che contempla l’excursus from the ground to the plate dell’ampio orto botanico, fino ai tessuti immacolati di lino e canapa adottati per vestire tavoli ma anche letti. È stato un lavoro di decor molto impegnativo considerata la dimensione del Borgo che si è accompagnato alla ricerca di un equilibrio privo di accenti naif e ogni volta generoso di effetti speciali. Come un abito su misura, ad esempio, nella scenografica hall dell’hotel le geometrie monocromatiche che esaltano forme più che colori culminano nella figura del doppio scalone

simmetrico, che mitiga il rigore classico della linea e del compasso con un allestimento scenico di luci e candele nel percorso verso le camere ai piani superiori. Senza dimenticare che nell’hotel trova posto anche una spa d’avanguardia, perché una volta rilassati e ritemprati da Borgo Egnazia si possa partire alla scoperta dei vicini villaggi di Cisternino, Ostuni, Locorotondo e Alberobello o dell’antica città romana di Egnazia, davvero poco distante. Quest’ultima con la rete dei suoi siti rupestri e le testimonianze storiche recuperate del Parco Archeologico sta oggi tornando pienamente alla luce grazie ad una convenzione tra la Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia e la Fondazione San Domenico Onlus presieduta da Marisa Lisi Melpignano: un ulteriore omaggio all’ospitalità corale della Grande Casa.

L’ANGOLO LIVING-PRANZO ALL’INTERNO DI UNA DELLE CASETTE BIANCHE DEL BORGO.


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in scena la pelle

Nel racconto di pasQuale Natuzzi, dalla prima bottega artigianale a taraNto ai siti produttivi modello di oggi, la vocazioNe alla ricerca e all’iNNovazioNe, dalla puglia al moNdo di Patrizia Catalano

A SANT’ERAMO L’HEAD QUARTER DEL GRUPPO NATUZZI. L’AZIENDA NOTA PER ESSERE IL PIÙ IMPORTANTE PRODUTTORE DI IMBOTTITI ITALIANO, PUNTA SULLA QUALITÀ DEL MADE IN ITALY E SULL’IMPORTANZA DI COMPRENDERE L’INTERO CICLO PRODUTTIVO. NELLA FOTO, PASQUALE NATUZZI A CAPO DEL GRUPPO NATUZZI, RITRATTO NEL CENTRO DI SVILUPPO PRODOTTO.


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uando nel 1972 Pasquale Natuzzi deinisce la sua attività di imprenditore iniziata nel 1959, fondando la Natuzzi Salotti srl, immaginava che avrebbe creato un colosso imprenditoriale? “Affermare che immaginassi già da allora quello che la Natuzzi sarebbe diventata è forse eccessivo. Tuttavia, che abbia sempre avuto lo sguardo rivolto alla crescita e all’allargamento dei conini all’interno dei quali la mia azienda operava è verissimo. Quando avviai la mia bottega artigianale a Taranto, nel 1959, ero un ragazzo. Ricordo che la preoccupazione più ricorrente era legata al timore di restare senza lavoro: “Che farò – pensavo– il giorno in cui avrò venduto i miei salotti a tutte le famiglie di Taranto?” La risposta me la diedi da solo, allargando da subito la vendita dei salotti alle regioni limitrofe e, da lì, al resto d’Italia. Da questa spinta interiore si sono sviluppate, negli anni, due caratteristiche della mia azienda: la propensione alla crescita e la vocazione all’esportazione. Oggi, a distanza di oltre 50 anni, il gruppo Natuzzi è il primo produttore italiano nel settore dell’arredamento e leader mondiale nel segmento dei divani in pelle. Gestisce due marche posizionate su fasce di prezzo differenti, destinate a target distinti e distribuite attraverso canali separati, una interamente realizzata in Italia (Natuzzi Italia) e l’altra realizzata all’estero (Leather Editions). Produce una Private Label rivolta alla grande distribuzione. Ha stabilimenti produttivi in Italia, Cina, Brasile, Romania; ufici commerciali in 12 Paesi; 619 punti vendita Natuzzi Italia in tutto il mondo e 6.740 collaboratori. Insomma, di strada ne abbiamo fatta”. Oggi il gruppo Natuzzi è certamente la più importante realtà produttrice di imbottiti del nostro Paese. Soprattutto, è un’industria con un ciclo produttivo controllato nei dettagli. Ci vuole parlare della ‘fabbrica Natuzzi’? “La ‘fabbrica Natuzzi’ oggi è un’azienda globale che realizza i suoi prodotti all’interno di siti produttivi ubicati in Italia, Cina, Brasile, Romania, tutti verticalmente integrati. Controlliamo direttamente il 92% delle materie prime e dei semilavorati destinati alla produzione, acquistandoli direttamente dai mercati di approvvigionamento e trasformandoli all’interno di stabilimenti produttivi

UN’IMMAGINE SIMBOLICA DELLA CAMPAGNA PUGLIESE: PER PASQUALE NATUZZI IL RAPPORTO CON IL PROPRIO TERRITORIO HA UN GRANDE VALORE SIMBOLICO, CULTURALE E AFFETTIVO. PAGINA ACCANTO. IL DIVANO PRELUDIO, CONTRADDISTINTO DA AMPI BRACCIOLI E DA UN DESIGN MODERNISTA, DISEGNATO DAL CENTRO STILE NATUZZI NEL 2012, QUI NELLA VERSIONE IN PELLE COLOR ROSSO SCURO.

specializzati nella lavorazione delle pelli, delle strutture portanti in legno o metallo, delle imbottiture e dei prodotti initi. L’integrazione verticale consente di ottenere eficienze e di conseguire livelli qualitativi ottimali a tutela dei consumatori. La produzione viene realizzata dalle mani di esperti artigiani. Un know-how che custodiamo e trasmettiamo ai collaboratori attraverso attività di formazione. Ma il nostro modello di impresa industriale non si ferma qui. C’è un ilo conduttore che unisce queste attività, rappresentato dal rispetto per l’ambiente a partire dalla rigorosa tracciabilità dei materiali ino all’uso di energia pulita e rinnovabile. Abbiamo installato 21.000 moduli fotovoltaici sui tetti dei nostri stabilimenti produttivi di Santeramo in Colle, Matera e Laterza. L’intera produzione made in Italy è realizzata attraverso energia solare. Il nostro Sistema di Qualità è certiicato secondo le norme ISO 9001, da quasi 20 anni. Dal luglio del 2003 abbiamo ottenuto la Certiicazione del nostro Sistema di Gestione Integrato Qualità/Ambiente ISO 9001/2000”. Quanto ha inluito il rapporto con il territorio pugliese nell’imprenditore Pasquale Natuzzi? “Di solito mi piace pensare alla mia azienda come ad un grande albero con le radici ben salde nel Sud Italia e i rami diffusi in tutto il mondo. Il luogo in cui vivo e lavoro – tra la Puglia e la Basilicata – è affascinante, ricco di storia e di arte. Un territorio

accogliente dove il tempo sembra essersi fermato, avendo trovato qui rifugio e ospitalità. Io sono affascinato dalle nostre meravigliose colline con i mandorli e gli ulivi secolari. I nostri prodotti sono il frutto dello speciale feeling tra il nostro lavoro e la nostra terra: i colori, il clima, il Mediterraneo sono le fonti della nostra ispirazione, insieme alle felici contaminazioni multiculturali di un gruppo globale come il nostro, dove lavorano insieme persone di diverse culture e tradizioni”. Local global: il gruppo è presente in tutti i continenti e in 123 stati: come intercettate le tendenze che proponete? “Siamo un’azienda globale che ha la possibilità di entrare subito in contatto con ciò che accade sui mercati grazie alle nostre sedi commerciali e alla nostra vasta rete distributiva. Abbiamo una struttura d’impresa basata sul dialogo continuo tra la ‘periferia’ ed il cuore pulsante della nostra azienda che è e resta a Santeramo in Colle, in provincia di Bari. Qui abbiamo 600 tra impiegati e manager, talenti che deiniscono le strategie di marketing in tutta la sua più ampia accezione: prodotto, prezzo, punto vendita, marca e comunicazione. Qui abbiamo anche il Centro Stile con architetti, interior designer, colorist, specialisti della pelle, dei tessuti e del legno. È il luogo dove prende forma il nostro “total living in total harmony”: un’armonia che sappia far convivere stili, materiali e colori differenti e che unisca il comfort al design, per portare armonia e bellezza nelle case e rendere la vita più piacevole.


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IN ALTO. IL CENTRO STILE NATUZZI HA UN TEAM DI ARCHITETTI, INTERIOR DECORATOR E DESIGNER CHE QUOTIDIANAMENTE SI CONFRONTA CON LE NUOVE TENDENZE DA SELEZIONARE E PROPORRE SUL MERCATO.

Quindi è qui che vogliamo restare a produrre, proprio per la qualità del made in Italy solo qui può continuare a essere, anche se siamo consapevoli delle dificoltà che il settore e il nostro distretto sta attraversando”. Quali sono gli elementi imprescindibili che compongono la ilosoia Natuzzi? “Da più di 50 anni seguo di giorno in giorno l’evoluzione della nostra azienda, per cui ritengo che i risultati della nostra impresa siano legati prima di tutto a un senso etico forte e molto presente nella nostra realtà. La fedeltà a valori come l’integrità, il rispetto per il cliente, per i collaboratori, i fornitori e

gli azionisti rappresentano una parte importante della nostra storia e, al tempo stesso, le basi su cui costruire il futuro”. L’azienda dichiara un fatturato al 31/12/2012 di 468,8 milioni di euro. Considerando il periodo di dificoltà che sta affrontando il mercato italiano, come vi muovete: state puntando e monitorando nuovi mercati? “Dal 2001 affrontiamo una delle più dificili congiunture che il nostro settore abbia mai incontrato. Noi stiamo investendo per continuare a innovare, a competere e promuovere il made in Italy nel mondo. Oggi la sida si vince su quei mercati che, a differenza dell’Europa e dell’Italia, mostrano

SOPRA. IL DIVANO TEMPO, PRESENTATO ALL’ULTIMO SALONE DI MILANO, NELLA VERSIONE IN PELLE NERA CON POLTRONA CHAISE-LONGUE. DI MEMO DESIGN. PAGINA ACCANTO. UNO STORE NATUZZI. UN DETTAGLIO DELLA FASE DI CUCITURA DELLA PELLE. IL DIVANO TENORE, CARATTERIZZATO DA BRACCIOLI ULTRA-SOTTILI E PENSATO PER SPAZI CONTENUTI. DESIGN STUDIO MEMO.


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segnali di crescita. Cina, Brasile, India e anche Russia sono i Paesi su cui stiamo puntando già da alcuni anni. In Cina abbiamo 34 Natuzzi Store, con l’obiettivo di raddoppiare la distribuzione nell’arco dei prossimi 2-3 anni. In India abbiamo già aperto 7 Natuzzi Store nelle più importanti città del Paese. Il Brasile è uno degli altri mercati emergenti su cui stiamo puntando. Qui è imminente il lancio del marchio Natuzzi Italia, attraverso l’apertura di negozi e gallerie monomarca, con l’obiettivo di offrire ai consumatori brasiliani il fascino, la qualità e la bellezza dei nostri prodotti made in Italy”. Pasquale Natuzzi ha sempre creduto nel valore dell’internazionalità, basti pensare la quotazione in borsa a New York del 1993. Questo ha portato il marchio Natuzzi a essere riconosciuto in tutto il mondo come un brand di altissimo valore e qualità: di quali strumenti di comunicazione vi siete dotati nell’arco di questi anni? “Già agli inizi del 2000 noi abbiamo elaborato una strategia d’impresa che prevedeva di realizzare all’estero quella parte di produzione destinata alla fascia di consumatori più sensibili al prezzo e contemporaneamente di avviare gli ingenti investimenti necessari a rendere sempre più “percepibile” il valore aggiunto dei prodotti made in Italy: innovando il prodotto, i processi produttivi e le fabbriche italiane, investendo nell’apertura di punti vendita Natuzzi nel mondo e nella comunicazione. In dieci anni abbiamo investito centinaia di milioni di euro sul brand Natuzzi Italia e oggi, secondo una ricerca indipendente commissionata a

Ipsos dal più grande gruppo editoriale francese, il nostro brand made in Italy è risultato essere – fra i consumatori di beni di lusso in Paesi come Spagna, Francia, Usa, Germania, Giappone e Regno Unito – il più noto nel settore del design e arredamento. I nostri sforzi quindi sono stati premiati”. Che valore hanno “ricerca & innovazione” per il gruppo Natuzzi? “Sono l’essenza del nostro lavoro. Senza ricerca, per esempio, non avremmo realizzato tutte quella innovazioni nello stile, nel design e nel colore della pelle che ci hanno fatto diventare leader mondiali nel nostro settore. Dietro tutte queste idee c’è stato un

lavoro che ci ha portato a reinventare e reingegnerizzare interamente la produzione dei divani. Nel corso degli anni abbiamo continuato ad innovare ogni area strategica dell’azienda, dalla produzione al prodotto, dalla gestione del marketing e delle vendite alla logistica. Oggi più che mai è sempre più vitale continuare a fare ricerca e noi lo stiamo facendo nelle nostre fabbriche, nei nostri nuovi prodotti, nei punti vendita e nella comunicazione, per essere innovativi nell’offerta, eficienti nella distribuzione e coerenti nella diffusione dei valori di marca”. Lo scorso aprile lo showroom milanese di via Durini

ha ospitato un intervento dell’artista Fabrizio Plessi. La sua passione per l’arte contemporanea è fatto noto: ce ne vuole parlare? “Per noi la cultura e l’arte sono motivo di ispirazione nel lavoro quotidiano. Disegnare un prodotto, immaginare un nuovo progetto sono un lavoro appassionante. Da più di 50 anni la nostra missione è ricercare la bellezza in tutte le sue forme e creare emozioni. Per questo confermiamo il nostro impegno a favore dell’arte e della valorizzazione delle eccellenze del nostro Paese. Il connubio tra lo stile Natuzzi e il mondo dell’arte è partito con la collaborazione di Arnaldo Pomodoro nel 2007.


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IL DIVANO BRIO, GRAZIE A UN COMODO SISTEMA RECLINER ELETTRICO, CONSENTE ALLA SEDUTA DI ALLUNGARSI TRASFORMANDOSI IN UNA CONFORTEVOLE CHAISE-LONGUE.

SOTTO, IL DIVANO FORMA, DESIGN CLAUDIO BELLINI, NOVITÀ APRILE 2013. DISPONIBILE SIA NELLA VERSIONE IN PELLE CHE IN TESSUTO (COME NELLA FOTO), SI COMPONE DI UN SISTEMA DI MODULI ASSEMBLABILI.

Nel 2009 abbiamo lanciato il progetto Natuzzi Open Art, con lo scopo di portare l’arte nei negozi Natuzzi e di renderla accessibile, “open”, a tutti. Abbiamo collaborato con artisti di diversa formazione ed esperienza (pittori, scultori, fotograi, ecc.), per creare opere d’arte prodotte in edizione limitata che diventano poi oggetti della collezione Natuzzi. Il primo protagonista è stato lo scultore Giacomo Benevelli. Sono seguite le collaborazioni con Nicola Del Verme e Gianni Basso. Nel 2013 il progetto si è arricchito della prestigiosa collaborazione di Fabrizio Plessi, uno dei più importanti e innovativi artisti contemporanei, di cui sono anche collezionista. The shape of energy è il titolo dato all’installazione che

Plessi ha realizzato per celebrare il dinamismo, il cambiamento e l’energia che da sempre animano l’azienda”. Quanto contano all’interno dell’azienda team e lavoro di squadra? “Sul mio Blackberry mi sono fatto inserire una frase che chiude tutti i miei messaggi email: TEAM – Together Everyone Achieves More. Sono convinto che in un’azienda sia possibile creare qualcosa di valido e duraturo solo se si impara a far parte di un team. I risultati arrivano quando si comprende di essere parte di qualcosa di più vasto del proprio orizzonte personale: è solo con il lavoro di squadra che si possono raggiungere grandi obiettivi”.

PAGINA ACCANTO. LO SCORSO APRILE IN OCCASIONE DEL FUORISALONE, PASQUALE NATUZZI PER LA RASSEGNA NATUZZI OPEN ART HA PRESENTATO PRESSO LO SHOWROOM DI VIA DURINI “THE SHAPE OF ENERGY”, UN’INSTALLAZIONE DEL VIDEOARTISTA FABRIZIO PLESSI. IL TEMA, UN’OPERA CHE AVEVA COME SOGGETTO LA LAVA VULCANICA, VOLEVA ESPRIMERE L’ENERGIA FLUIDA E CREATIVA DEL GRUPPO DI SANT’ERAMO. NELLA FOTO INSIEME A PASQUALE NATUZZI E FABRIZIO PLESSI, PASQUALE NATUZZI JR, CHE IN AZIENDA RIVESTE IL RUOLO DI BRAND PLANNER DEL GRUPPO.


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DALL’ALTO: COURIR POUR VOIR LA COULEUR DU VENT, DELL’ÉQUIPE ITALIANA COSTITUITA DA DANIELA BORRONI, SUSANNA ROSSELLINI E SIMONA VENTURELLI; CARRÉ & ROND (TERRE ET CIEL), GIARDINO PROGETTATO DAL CINESE YU KONGJIAN.


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IL CASTELLO DI CHAUMONT-SUR-LOIRE (LOIR-ET-CHER) CON THIRTEEN REDS, OPERA DEL GRANDE ARTISTA INGLESE DAVID NASH.

sul domaine del più defilato castello della loira, da maggio a ottobre soNo di sceNa i progettatissimi giardini dell’omoNimo e prestigioso coNcorso iNterNazioNale, meNtre iN ulteriori aree, aNche coperte, si stagliaNo le installazioni d’arte & design di celebri autori, iNvitati iN situ da fraNçois barré (ex pompidou) e chaNtal colleudumoNd (ex villa medici)

chaumont-sur-loire a cura di Olivia Cremascoli foto di Eric Sander

NELLE EX-SCUDERIE DEL DOMAINE DI CHAUMONT-SURLOIRE, L’OPERA AU PREMIER MATIN (A SINISTRA) DI KLAUS PINTER E UN GIARDINO VERTICALE DI PATRICK BLANC, CHE HA PROFESSIONALMENTE DEBUTTATO PROPRIO A CHAUMONT-SUR-LOIRE.


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IN QUESTA PAGINA DALL’ALTO: LE JARDIN DES NUÉES QUI S’ATTARDENT, OPERA DEL CINESE WANG SHU; LES SNIFFETTES, CASQUES À SNIFFS, OPERA FIRMATA DA ANNIETHI ED HERVÉ FOUGERAY; INFINE, IL PROTOTIPO DI XYLO, PANCA IN TRONCO D’ALBERO DI PATRICK JOUIN.

P

er la sua 22ª edizione annuale, il Festival International des Jardins di Chaumontsur-Loire (www.domaine-chaumont.fr, www. visaloire.com) – che, insieme a quello canadese dei Jardins de Métis, è il più importante al mondo – ha invitato paesaggisti-progettisti internazionali a evocare e magnificare il tema di quest’anno, cioè le Sensations infinite ed evanescenti di cui brulicano i giardini. Fondato nel 1992, il Festival International des Jardins in vent’anni è diventato l’appuntamento

d’obbligo per i progettisti di paesaggio e per quei visitatori colti che amano la bellezza. Quest’anno, tra i circa 300 progetti internazionali iscritti al concorso, una cosmopolita giuria internazionale – presieduta dal celeberrimo giornalista letterario e conduttore televisivo Bernard Pivot – ha selezionato una ventina di progetti, provenienti dalla Cina alla Russia all’Algeria, che hanno dato vita a un universo di ‘sensazioni’ costituite da colori, odori, materiali (vengetali e non ) e tecniche,

che s’intrecciavano con la poesia, il silenzio e la maestosità del paesaggio circostante (proclamato dall’Unesco “patrimonio mondiale dell’umanità”), cioè la Loira (1.012 chilometri) in un suo tratto ancora selvaggio e il sormontante e suggestivo castello-belvedere, edificato e modificato tra il XV e il XIX secolo (appartenuto tra le altre a Caterina de’ Medici, Diane de Poitiers, amante di suo marito Enrico II, e, in ultimo, alla principessa de Broglie, che, caduta in disgrazia, nel 1938 l’ha venduto allo Stato francese). Come ogni anno, il Festival International des Jardins ha previsto anche degli invitati fuori concorso, che hanno ricevuto una ‘carta verde’, come ad esempio il paesaggista cinese Yu Kongjian o il designer francese Patrick Jouin, che ha proposto una panchina fatta con un tronco di albero (ma il Tree-trunk di Jurgen Bey per Droog Design, del 1999, era più d’impatto). In toto a Chaumont, che è nel dipartimento Loir-et-Cher, ci sono oggi trenta nuovi giardini o opere vegetali, progettati da équipe multi-disciplinari (botanici, paesaggisti, designer, scenografi, artisti, tecnici del suono e degli odori). Aperto dal 24 aprile al 20 ottobre, il Festival International des Jardins accoglie tra il resto delle Conversazioni sotto l’albero, dei Notturni nelle sere di piena estate e si concluderà con una celebrazione di Splendori d’autunno. Ma il domaine di Chaumont-sur-Loire continua la sua muta, iniziata nel 2012 con la creazione, da parte del grande paesaggista Louis Benech, della nuova sistemazione del Parc des Prés du Goualoup: nel 2013 lo storico parco comincia la sua metamorfosi con numerosi alberi potati e riallocati sotto la vigilante egida del paesaggista stesso. Ma dal 6 aprile all’11 novembre, Chantal Colleu-Dumond – dal 2009 direttrice del domaine e con alle spalle plurime esperienze come addetta culturale di ambasciate francesi in Europa, di cui l’ultima è Villa Medici, l’Academie de France a Roma – ha anche voluto, sui trenta ettari della proprietà, Contemporary Art and Photography, mostra che raccoglie, all’aperto e al coperto (nel castello, nelle scuderie, nel maneggio, nel granaio, nelle stalle o nella torre che era il forno per le ceramiche), installazioni d’arte che esplorano le connessioni tra arte e natura di 11 tra artisti e fotografi, inclusi il celebre scultore inglese David Nash con la sua installazione dinnanzi ai principeschi appartamenti, il nostro Andrea Branzi con un poetico ‘spazio sacro’, l’artista giapponese Fujiko Nakaya con un’immateriale installazione costituita da un un ‘serpentone’ di bruma artificiale che sguscia tra le betulle, nonché le 72 finestre ‘a cattedrale’ (piombo su vetro) del turco Sarkis, create per alcuni interni del castello. Per informazioni logistiche e turistiche c’è il nuovo sito www.rendezvousenfrance.com.


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IN QUESTA PAGINA, DALL’ALTO E DA SINISTRA: LA RIVIÈRE DES SENS, GIARDINO DI COLINE GIARDI, THOMAS DALBY, CLÉO DESCHAINTRES, UGO ELZIERE, NICOLAS SUISSA, LÉONARD CATTONI; FORÊT DI EVA JOSPIN; OBJETS SPHÉRIQUES DI ARMIN SCHUBERT; GRAM(IN)OPHONE, DI ALEXANDRA ÉPÉE, FLORA RICH E OLIVIER BRICHET.


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IN QUESTA PAGINA, DALL’ALTO E DA SINISTRA: LE PARFUM DU CHAOS MAGNIFIQUE DI FRANCISCO GARAU, JOAQUIM CANO, AIDA LOPEZ; EN APESANTEUR DI MATHIEU BRISON, LUC VOISIN E JEANNE COUAILLIER; LA JETÉE, DI CÉSAR GOURDON E AMÉLIE BUSIN; UN PAYSAGE À GOÛTER, DI PASCALE MARQ, LAURENCE DU PLESSIX, BAPTISTE PIERRE, PIERRE-MARIE TRICAUD, EMMANUEL TAILLARD, YANN LE YONDRE.


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RECINTO SACRO, OPERA IN VETRO E CRISTALLO PROGETTATA DALL’ ITALIANO ANDREA BRANZI. HUALU, ERMITAGE SUR LOIRE, GIARDINO PROGETTATO DAL CINESE CHE BING CHIU.


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VEDUTA D’INSIEME DI WHEN ATTITUDES BECOME FORM; IN PRIMO PIANO: MARIO MERZ, ACQUA SCIVOLA [IGLOO DI VETRO], 1969; SULLO SFONDO, DA SINISTRA A DESTRA: GIOVANNI ANSELMO IL COTONE BAGNATO VIENE BUTTATO SUL VETRO E CI RESTA, 1969, E SENZA TITOLO, 1969, KUNSTHALLE BERN, 1969. FOTO: SHUNK KENDER © ROY LICHTENSTEIN FOUNDATION

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VISTA DELL’INSTALLAZIONE WHEN ATTITUDES BECOME FORM: BERN1969/VENICE 2013, DA SINISTRA A DESTRA:: GILBERTO ZORIO TORCE [TORCHES], 1969 MARIO MERZ ACQUA SCIVOLA (IGLOO DI VETRO) [WATER SLIv DOWN (GLASS IGLOO)], 1969 FONDAZIONE PRADA, CA’ CORNER DELLA REGINA VENEZIA, 1 GIUGNO – 3 NOVEMBRE 2013 FOTO: ATTILIO MARANZANO COURTESY: FONDAZIONE PRADA

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prodotto di scambio e di consumo, si nutre di osmosi con il contesto, dalla caverna al palazzo, dalle pareti al soffitto, e forma un unicum indivisibile. Tale dialogo si spezza quando nell’Ottocento, una volta scomparso il mecenatismo dei nobili, le opere si devono adeguare ad un mercato borghese che si nutre di artefatti disponibili alla circolazione, nel 1863 si creano i Salons. Sono queste le nuove ambientazioni degli artisti ‘non integrati’, vale a dire dei ‘refusés’ e degli ‘indipendenti’ in cui sono raccolti non più integrati, ma appesi ai muri i lavori artistici da mettere in vendita. Tale salto contestuale che sradica l’intervento dall’inserimento murario crea un altro tipo di relazione e di situazione, quella tra le opere stesse e il loro allestimento. È un passaggio che non è mai stato studiato completamente, perché mancano le tracce della logica con cui gli stessi artisti entravano in relazione tra di loro, ponendo i quadri sopra velluti o sculture su piedestalli, e le poche fotografie dell’epoca non permettono una tale ricostruzione. Tuttavia l’input dell’artista sul modo di vedere la sua opera doveva essere importante e controllato, non affidato al caso o ad altri, come mercanti. E se lo era, anche questo elemento può essere soggetto di studio. Tuttavia a partire dal Novecento, le esposizioni sono sempre più controllate dagli artisti stessi, che le adottano per lanciare i loro movimenti linguistici, da Der Blaue Reiter a Monaco nel 1911 a Les Peintres

la foNdazioNe prada preseNta when attitudes become form: bern 1969/venice 2013. germaNo celaNt ricostruisce, iN uN sorpreNdeNte rifacimeNto, la mostra curata

when attitudes become form

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ual è stato l’impianto teorico e storico che ha sostenuto la rivisitazione e la ricostruzione ,”così com’era”, della mostra curata da Harald Szeemann nel 1969 alla Kunsthalle di Berna? “È sempre la lettura della storia dell’arte a sostenere un progetto. Se si pensa alla logica che ha sostenuto la comunicazione artistica nel corso dei secoli passati si può verificare che – in generale – fino all’Ottocento gli interventi degli artisti erano eseguiti in relazione o in situazione, vale a dire rispondevano a una commissione o a un contesto che veniva loro suggerito od offerto. Quindi le opere erano messe in relazione o erano situate in un territorio ambientale o informativo che era scelto dialetticamente tra committente e artista stesso. Per un lungo periodo l’arte, che non aspira a circolare liberamente come

Futuristes Italiens a Parigi nel 1912. Sono momenti di installazione a cui gli artisti partecipano arrivando a creare insiemi dirompenti e sorprendenti, come The First International Dada Fair, a Berlino nel 1920 e Esposition Internationale du Surréalisme a Parigi nel 1938. Si potrebbe affermare che tali insieme diventano un dispositivo dove l’apparente confusione diventa una fusione visuale che argomenta la poetica del gruppo. Il fatto di organizzare le cose o gli oggetti, le fotografie o i materiali secondo un accadere, che sembra fuori di ogni aspettativa, suscita interrogativi e domande. È la stessa cosa successa con When Attitudes Become Form, dove le opere si devono considerare in funzione dell’insieme. Qui ogni entità singola sembra scomparire a favore di un intreccio tra le parti, qualcosa che lo spettatore deve sbrogliare da sé. La concettualità nasce prima delle opere, perché il discorso deriva dal dispositivo curatoriale. Qui sta l’importanza di Szeemann che abbandona la mostra a ‘composizioni’ curiose e caotiche, dense e aperte. Se si assume la mostra come un tutto, in maniera barocca, si capisce come la mostra sia riuscita nel 1969 ad allontanarsi dal display classico e museale, vigente allora nel mondo dell’arte moderna e contemporanea. Lavorando sulle attitudini e sui loro risultati improvvisati ed effimeri, ottiene infatti effetti poetici, inventati e scoperti in situ. In tal modo il piacere del concetto si traduce in conoscenza del

intervista a Germano Celant

da harald szeemaNN alla kunsthalle bern Nel 1969 e passata poi alla storia

piacere. Non si pone alcun criterio di convenienza solo di legame, che deriva da una reciproca familiarità tra gli artisti e il loro fare. Ricostruire questo campo di energia, con le sue varietà espressive, ha significato rivisitare un dispositivo che se anticamente era architettonico, come una cappella o una chiesa, qui era basato sulla varietà e sulla variabilità di una sintonia che non era concreta e muraria, ma basata su un’integrità esperienziale condivisa. Un intreccio di momenti lirici e drammatici che hanno prodotto un tutto dall’acutezza mirabile che commuove ancora oggi. E su tale ipotesi di insieme meravigliante che si è costruito il progetto, facendolo coincidere con un’assolutezza scientifica, capace di ricreare questo tempio effimero del fare arte nel 1969. Di fatto si è cercato di continuare lo studio degli ‘interventi’ globali degli artisti in un contesto che non è più la chiesa o il palazzo, ma la mostra che è diventata il luogo del nuovo splendore contemporaneo”.


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VISTA DELL’INSTALLAZIONE WHEN ATTITUDES BECOME FORM: BERN 1969/VENICE 2013. DA SINISTRA A DESTRA: LAVORI DI ALAN SARET, KEITH SONNIER, GARY B. KUEHN, WALTER DE MARIA, FONDAZIONE PRADA, CA’ CORNER DELLA REGINA, VENEZIA, 1 GIUGNO – 3 NOVEMBRE 2013. FOTO: A. MARANZANO. COURTESY: FONDAZIONE PRADA

VEDUTA D’INSIEME DI WHEN ATTITUDES BECOME FORM. DA SINISTRA A DESTRA: OPERE DI GARY B. KUEHN, KEITH SONNIER, ALAN SARET, RICHARD TUTTLE, BILL BOLLINGER, EVA HESSE, KUNSTHALLE BERN, 1969. COURTESY THE GETTY RESEARCH INSTITUTE, LOS ANGELES (2011.M.30). FOTO: BALTHASAR BURKHARD © J. PAUL GETTY TRUST

VISTA DELL’INSTALLAZIONE WHEN ATTITUDES BECOME FORM: BERN 1969/VENICE 2013. DA SINISTRA A DESTRA: LAVORI DI GARY B. KUEHN, EVA HESSE, ALAN SARET, REINER RUTHENBECK, RICHARD TUTTLE . FONDAZIONE PRADA, CA’ CORNER DELLA REGINA VENEZIA, 1 GIUGNO – 3 NOVEMBRE 2013. FOTO: ATTILIO MARANZANO COURTESY: FONDAZIONE PRADA.

Si può dire che When Attitudes Become Form rappresenti l’ultimo anelito dello sconvolgimento e della trasgressione modernista, per cui cristallizzarlo in una situazione fuori del suo contesto storico, politico e culturale non rischia di dissolvere la radicalità dell’originale? Se al tempo le immagini di tale operazione hanno avuto un effetto sulla realtà e sull’articolarsi del linguaggio dell’arte, oggi non rischiano di trasformarsi in feticizzazione nostalgica di un’illusione, quindi di una debolezza? “È evidente che la mostra organizzata da Szeemann nel 1969 è stata un’apertura verso un’immaginazione libera quanto politicamente inutile: un buon proposito di un fare rappresentativo che si connetteva alle avanguardie del modernismo. Si può assumere quale gesto morale e critico verso le proposte tradizionali del fare arte, che respingeva la realtà solo per rappresentarla e sottoporla ad un processo mimetico. Le ricerche mostrate a Berna, come in Op Losse Schroeven, realizzata in contemporanea allo Stedelijk Museum di Amsterdam, che presero il nome di Land art, Process art, Arte povera, Conceptual art, erano un ulteriore tentativo di rivalutare la dimensione pragmatica del vedere e del sentire. Vale a dire un cambio di segno espresso nell’attenzione alle tecniche e ai materiali, per esaltare una concezione poetica rispetto a una contemplativa, in cui l’essere umano è spinto a immergersi e non semplicemente guardare. Basta osservare la documentazione che riguarda l’arrivo in scena del pubblico, per capire come tale arte tendesse a un

coinvolgimento fisico e corporale. Naturalmente, tale porsi è stato visto, allora, come un eccesso di negatività e di trasgressione rispetto all’istituzione. Qualcosa di ingovernabile e senza regole, che spingeva verso una demitizzazione della sacralità della pittura e della scultura: un rifiuto delle forme classiche per un’esaltazione della dimensione informe – all’epoca definita anche anti-form – della marginalità artistica. Con il suo interesse per il carattere insignificante e concreto delle materie e delle cose l’esposizione del 1969 solennizzò il carattere fortuito e caotico dell’arte, la sua permeabilità a tutti i possibili linguaggi e a tutte le possibili materie, dal piombo all’acqua, dal fuoco alla cera, dalla margarina al tubo fluorescente, dal cuoio al feltro, dai vetri rotti al ghiaccio, dalla cenere al cotone, così come a tutti gli strumenti utili, non privilegiati, dalla pala al caterpillar, dal giornale al cartellone, dalla lettura al camminare… Da cui la de-sacralizzazione di una cultura visiva che si era identificata solo con il dipingere e lo scolpire come con la dislocazione o lo spiazzamento linguistici dell’oggetto trovato. È una celebrazione del significato dell’insignificante, della realtà che si pone in sintonia proprio con il carattere effimero e temporaneo di un esistere sociale e culturale: un doppio senza valore da contrapporre a una catastrofe dei valori passati. E la sanzione prima della presenza di fare rovinoso e frammentario, dissolto e fluido, contrario ad ogni uni-dimensionalità dell’arte”.

ALIGHIERO BOETTI CON IO CHE PRENDO IL SOLE A TORINO IL 19 GENNAIO 1969, 1969, WHEN ATTITUDES BECOME FORM, KUNSTHALLE BERN, 1969. FOTO: SHUNK KENDER © ROY LICHTENSTEIN FOUNDATION


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Di fatto, il reenacting di WABF rischia di tramutare l’effetto di trasgressione in una proposta rassicurante. All’epoca, l’esibizione di scarti industriali e di materie performative e mutanti che bruciavano o si scioglievano per dare corpo ad altre entità tendevano a mettere in discussione la staticità quanto la sacralità dell’artefatto, quanto del luogo espositivo, la Kunsthalle Bern, tanto da sollevare le reazioni dei conservatori che costrinsero Szeemann a dimettersi. Oggi questo non può succedere, anzi questo strappo curatoriale ed artistico viene sacralizzato. Quello che era stato proposto come elusione della fissità e delle regolarità classica ora viene fissato e dissolto in un’accettazione senza riserve: un simulacro privo di effetti. Si può affermare che oggi la radicalità e la trasgressione legate al percorso del modernismo hanno trovato un luogo ed un posto, compresa il display catastrofico e caotico della mostra di Szeemann? Il remake veneziano è l’ultimo atto sublimante di una radicalità che è ormai obsoleta? “La messa in discussione, e la conseguente azione trasgressiva, esistono perché si pone un punto di partenza e di possibile alternativa rispetto ad una condizione preesistente. L’aspetto utopico di tale fare, che implicava un mondo linguistico altro, opposto o quanto meno diverso dal precedente, va ancorato alla situazione storica del momento, il biennio 1968-1969, quando ci si accorge che l’arte si è tramutata in una atto puramente decorativo. Seppure le ricerche sviluppatesi dal 1945 al 1964, dall Espressionismo astratto alla Pop art, avessero tentato di prendere in considerazione la dimensione solitaria e disperata dell’artista, la sua angoscia esistenziale e l’esperienza drammatica del vivere, travolto dalla tragedia della seconda guerra mondiale, come il dissolvimento del valore morale e rappresentativo dell’arte ormai scalzata e fagocitata dall’immaginario mediatico, dalla pubblicità al cartoons, tali proposizioni non erano riuscite a scalzare il valore decorativo

VISTA DELL’INSTALLAZIONE DI WHEN ATTITUDES BECOME FORM: BERN 1969/VENICE 2013. DA SINISTRA A DESTRA: LAVORI DI BARRY FLANAGAN, RICHARD ARTSCHWAGER, ALIGHIERO BOETTI, MARIO MERZ, FONDAZIONE PRADA, CA’ CORNER DELLA REGINA VENEZIA, 1 GIUGNO – 3 NOVEMBRE 2013 FOTO: ATTILIO MARANZANO COURTESY: FONDAZIONE PRADA

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dell’artefatto. Si ponevano come duplicati di un immaginario individuale e industriale, senza indebolire e screditare minimamente la pratica del fare, del mostrare, del comunicare e del consumare l’arte. Le attitudini prodotte e mostrate a Berna sottintendevano una scena espositiva che, occupando non solo i musei, ma le strade e gli spazi pubblici, riflettesse un’azione politica in cui tutti fossero coinvolti, artisti e spettatori, e di cui tutti dovevano prendere consapevolezza. È stata questa la vera illusione che rivela ancora il desiderio di una rivoluzione illuminista intrecciata al sogno di proseguire il discorso radicale delle avanguardie del modernismo. Certamente il remake di tale evento rischia, nella sua ripetizione, di esaltare un momento ideale ma al tempo stesso serve a far percepire, mediante l’avvicinamento al suo stato ‘originale’, la realtà di un mito che non è affidabile solo alla documentazione fotografica, ma all’esperienza di un entusiasmo e di un fervore artistico che chiedeva coinvolgimento. La resurrezione di When Attitudes Become Form mette in circolazione lo spettro di una radicalità che oggi non ha più effetto, perché l’arte non è più un’arma politica rispetto alle lotte reali. Affidandosi allo sguardo dell’oggi, tali proposte appaiono forse facili e irreali ma bisogna sottolineare che questa ipotetica sconfitta ha portato ad una nuova dimensione dell’immaginario artistico. Ad un’analisi retrospettiva, si può dire che la sua effettualità sul mondo sia stata infinitesimale, ma rimane in ogni caso un’influenza sul dissolvimento delle strutture tradizionali del sistema dell’arte. Se tutto questo oggi si è trasformato in business, per cui l’arte ha perso qualsiasi identità sociale per diventare merce simbolica ed economica, significa che il tentativo di scollamento dal compromesso consumistico è fallito. L’arte si è posta a rimorchio del mercato ed è arrivata al punto estremo di inefficacia nel suo rapporto critico e poetico con la società e la cultura. Di fatto, a contare nella costruzione di When Attitudes Become Form sono stati anche gli aggiustamenti spaziali che ogni artista ha attuato per convivere con gli altri. È un muoversi interattivo, piuttosto che la creazione di uno spazio privato ed indipendente. Non si poneva infatti alcuna ‘proprietà’ ambientale, ma la semplice territorialità dell’opera stessa. Era il lavoro a cercarsi linkage con gli altri, così da stabilire un rapporto empatico e condiviso. Simile legame ha un carattere comunitario, ampiamente documentato dalle fotografie in cui diversi artisti lavorano in contemporanea, nella stessa stanza, quasi fossero una ‘comune’, ed è tipico del momento storico, basato su una pratica di socialità che è politica quanto creativa. È qualcosa di simile ad un incontro casuale che produce al tempo stesso una confusione e una fusione. La mostra di Berna è stata quasi una formazione di proposizioni che, come in un incavo terrestre, hanno trovato il loro sviluppo scendendo dai soffitti o arrampicandosi alle pareti o trovando

una dimensione gravitazionale a pavimento. Il senso vero della mostra di Szeemann è stato quello di mettere insieme un divenire indeterminato dell’arte così che si percepisse un continuo transito tra le opere, in modo che non fosse possibile isolare le caratteristiche individuali, ma l’energia d’insieme. È un momento interattivo e un mettersi ‘in rete’ che evidenzia il passaggio da uno all’altro, in piena attualità: la simultaneità e la coesistenza del presente artistico, che è anche sottolineata dal messa in mostra di gesti e di azioni corporali, dalla stesura di margarina di Joseph Beuys alla distesa di piombo fuso di Richard Serra all’accensione dei giunchi di Gilberto Zorio e alla rimozione fotografica di Ger van Elk. Per non parlare dell’arte come processo ed operazione in situ che cerca di superare il senso del prodotto confezionato e fabbricato a favore dell’operazione linguistica relativa ad una specifica collocazione e situazione, che non è all’interno dell’istituzione ma si immerge nel contrasto urbano, da Michael Heizer a Daniel Buren. Nasce una mostra che funziona come un vortice capace di travolgere lo spettatore, per metterlo in relazione diretta con il processo creativo. È un modo di sottoporre il pubblico a una forza vertiginosa che ne alteri la visione, così da perdersi in essa”. Prima di arrivare ad una soluzione che integrasse la ricostruzione di una vicenda radicale in un contesto attuale, completamente dominato da altri valori non solo linguistici, ma economici come si è proceduto per acquisire tutti i dati scientifici su cui lavorare ad una mappatura completa e precisa di quanto era avvenuto a Berna? “La ricerca si è sviluppata su diversi livelli, che includevano le fonti primarie dall’archivio di Szeemann, ora presso il Getty Institute di Los Angeles, e le testimonianze dirette degli artisti o i documenti reperibili nelle loro fondazioni, quanto le tracce fotografiche e scritte nella biblioteca della Kusthalle di Berna. Attraverso la raccolta dei diversi dati, che spesso hanno portato a conferme, quanto a sorprese, è iniziata la possibile mappatura delle opere in ogni singola stanza. A questo risultato ha contribuito enormemente la collaborazione con il Getty Institute, diretto da Thomas Gaehtgens, che attraverso l’attento studio condotto da Glenn Philips con il suo team su documenti, lettere e fotografie relative a Sezeemann e a When Attitudes Become Form ha permesso l’identificazione delle opere sia in mostra che non. Accanto a questa preziosa indagine sulle fonti curatoriali si è affiancata la ricerca nell’archivio della Kunsthalle, dove si sono trovati riscontri ed informazioni utili per ampliare la visione totale dell’evento, incluse le recensioni e le polemiche sollevate. Infine un ultimo arricchimento è venuto dagli artisti e dalle loro fondazioni che hanno fornito precisazioni sulle opere esposte e non. In generale la ricostruzione ha potuto contare su oltre un migliaio di fotografie, provenienti dagli archivi di Claudio Abate, Leonardo Bezzola, Balthasar Burkhard, Siegfried Kühn, Dölf Preisig, Harry Shunk e Albert Winkler, una raccolta quasi completa, e per la maggior parte inedita, di tutto quanto è stato registrato attraverso le immagini fotografiche. Queste sono state sottoposte ad un’accorta analisi e sono diventate fonti di scoperte e di novità, che hanno spesso arricchito la conoscenza anche degli stessi protagonisti, ampliandone i ricordi e le visioni. Sono venute alla luce opere e installazioni, mai menzionate


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né registrate sia nel catalogo di Berna sia nelle successive ricerche fatte da studiosi internazionali”. Una volta tracciata la mappa di tutte le opere in mostra e non, come si è proceduto per averle? Quali problemi hanno comportato i prestiti, una volta scoperto che l’opera è andata distrutta o dispersa ? Quale metodo espositivo è stato adottato per evidenziare le assenze? “Essendo una mostra che ha rappresentato un momento di rottura rispetto alla staticità e alla fissità del lavoro d’arte, immettendo un fattore performativo, per cui a volte l’opera mutava nel corso del tempo arrivando a distruggersi, è apparso immediatamente chiaro che a Venezia la possibilità di una ricostruzione totale e originale sarebbe stata impossibile. Tuttavia si è proceduto cercando di avvicinarci al massimo risultato con la consapevolezza che il revisiting avrebbe dovuto basarsi su due realtà: la prima consistente nel reperimento delle opere originali già acquisite da raccolte private e pubbliche, ad esempio i rintracciabili lavori di Carl Andre, Claes Oldenburg, Bruce Nauman, Eva Hesse, Giovanni Anselmo, Hanne Darboven, Reiner Ruthenbeck, Marinus Boezem e Richard Tuttle, che insieme ai rifacimenti – la seconda realtà – da attuarsi invece con la collaborazione degli artisti o delle loro fondazioni che nel loro insieme avrebbero permesso la ricostruzione dell’impatto visivo nelle singole stanze, con la relazione tra volumi e materie. Il primo compito è stato assolto nella maniera tradizionale con richieste a musei e collezionisti, mentre la seconda ha richiesto un ritorno alla fonte, in questo caso l’autore stesso o il suo archivio per chiedere se era possibile una riproposta, sorta di copia espositiva o replica del lavoro: quest’ultimo caso ha sollevato diverse problematiche che hanno coinvolto gli artisti quanto i musei e i collezionisti. Tuttavia alcuni artisti non riconoscono oggi il valore di certi lavori del 1969 o li ritengono ancorati nel loro passato e non più esponibili. Se addirittura non li rinnegano come errori di gioventù o idee che non condividono più. È cambiata così tanto l’arte dal 1969? E quale approccio ha seguito in questi casi ? Nel ricostruire questa mostra ha più peso il documento storico o il rispetto del volere soggettivo dell’artista oggi a quaranta anni di distanza? “La traslazione da un momento all’altro significa un trasporto nel tempo, è una resurrezione di cariche espressive ed emotive che sono passate. Siccome non avvengono attraverso la memoria ma mediante il remake si riproducono concretamente e diventano azioni presenti, quindi una carica che era trascorsa viene riproposta come attuale. Per alcuni è difficile riproporre impulsi e motivazioni già provate, per altri non c’è alcunché di nuovo né di differente, perché il fattore attivo dell’opera è tuttora in corso ed è ancora effettiva. In un caso la rievocazione riflette acquisizioni già elaborate, ma troppo sperimentali o giovanili, per altri è già una definizione di un percorso che è testimonianza di una dichiarazione linguistica anticipatrice ma già matura. Certamente la rielaborazione odierna non corrisponde più ad un’attitudine che tendeva ad oltrepassare il linguaggio tradizionale, ma rischia di essere un ritorno al passato. Tuttavia per capire il presente bisogna far riferimento alle trasformazioni già attuate, anche se appaiono o sono errori. Dopo il 1969 l’arte si è lentamente adeguata alla società dei consumi e dell’informazione di massa, per cui la

primarietà delle materie e dei gesti ha lasciato campo alla processualità industriale e mercantile. Lentamente l’operazione artistica si è tramutata in un prodotto prefabbricato ed apparente: una costruzione speculare e narrativa del reale. Si è attuata una moltiplicazione dell’esistente che ha appiattito le forme e il discorso visivi radicali e trasgressivi. Si è creato uno spettacolo dell’arte per riproporne una dimensione decorativa ed esibizionista, mentre l’arte scaturita dal 1968 aspirava ad essere de-realizzante ed iconoclasta. Di fatto l’aspirazione di When Attitudes Become Form è stata quella di abolire il rituale tradizionale del mostrare un’opera a favore di un’esperienza del suo processo di costruzione e di transito dinnanzi allo sguardo dell’osservatore. Qual è il ruolo del curatore in una ripetizione, quasi identica come ambienti e opere, di una mostra in origine curata da un altro? Esiste una sorta di ‘copyright’ nel concepire la curatela di una mostra ? Se sì quanto la mostra

fissarsi su una struttura rigida, ordinata e armonica in cui le relazioni tra le componenti formava un sistema chiuso. Pertanto, il ritrovamento dei residui ha quale fine di ricomporre e mettere insieme il ‘testo’ narrativo steso da Szeemann in collaborazione con gli artisti stessi, immesso tra le ‘pagine’ architettoniche, bianche, della Kunsthalle di Berna. La raccolta di queste parti, spesso effimere e disperse, insieme ai residui che sono entrati nei musei e nelle collezioni, è tesa a ricreare un puzzle o una costellazione identificabile come una totalità, all’epoca pensata quale un nuovo sistema di fare, di mostrare e di pensare l’arte. Tale processo è coinciso, quindi, con un vero e proprio restauro di un prodotto dell’attività creativa. Innanzitutto si è dovuto riconoscere il valore dell’intera operazione, come è stato ammesso da tutti gli studiosi d’arte contemporanea, poi si è identificata la sua materia cioè la sua consistenza fisica, seguita dal riconoscimento estetico e storico che ha contribuito alla necessità di trasmetterla nel

VEDUTA D’INSIEME DI WHEN ATTITUDES BECOME FORM, SCHULWARTE BERN, 1969. FOTO: DÖLF PREISIG © DÖLF PREISIG / FOTOSTIFTUNG SCHWEIZ / PRO LITTERIS

intesa come progetto autoriale s’avvicina ad un’opera d’arte? Nel rifare la mostra come WABF è necessario assumere lo stesso ruolo del curatore, che incontrò artisti e protagonisti oppure la rivisitazione si può fare in modo automatico, puramente tecnico, ripetendo azioni e decisioni? “Se si assume When Attitudes Become Form come un oggetto d’uso storico e linguistico, confezionato nel 1969, innalzando l’insieme a unità compatta e definita, la prima operazione curatoriale è quella di restaurarne la totalità, mettendo insieme i frammenti (i singoli lavori d’arte) dislocati e dispersi. È un processo che inizialmente è indifferente alle parti che compongono il tutto. L’intento non è suscitare nuove associazioni o assegnare nuove collocazioni, ma praticare una ricostruzione senza ridisegnarla né modificarla, usando solo gli smembramenti. È un

futuro, quale fatto fondante di una vicenda primaria. Tale molteplice consistenza è data dall’intreccio tra architettura, opere, relazioni e tutte queste componenti sono state studiate attraverso un metodo scientifico, prima in relazione al tempo ed al luogo in cui è stata realizzata, a Berna, e poi in rapporto al presente storico e alla sua nuova collocazione a Venezia. È fondamentale indagare l’unità dell’esposizione, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo cercando di avvicinarci al suo intero. Il passaggio successivo è stato di verificare fino a che punto fosse possibile la ricostruzione di tale unità. Ciò è avvenuto mettendo insieme tutte le informazioni possibili sui singoli tasselli del mosaico espositivo, capendo anche dove ci sarebbero le lacune e i vuoti che potevano riguardare il materiale che


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un testo di un altro curatore. Questa spersonalizzazione è un tentativo di far sì che relazione oggettiva e soggettiva con la cosa esposta non siano più considerati antinomici. Il compito finale è stato quello di evocare un sorprendente prodotto d’epoca, d’identificarsi con esso, senza assumerlo come romantica e nostalgica rovina dell’altrui e proprio tempo passato. Una volta ricostruito come significante privilegiato di una serie di significati instabili e aleatori, entrare in rapporto diacronico con esso per suscitare una sensibilità attuale. E siccome questo oggetto del 1969, ricostruito e restaurato, necessitava nel 2013 di un nuovo rapporto con l’attualità, lo si è inserito in una zona di sospensione, un territorio estraneo alla sua storia e alla sua cronologia – Ca’ Corner della Regina – con l’idea di rilanciare la geografia e la storia del suo immaginario. Di fatto, inserirlo come un corpo irritante in un dentro che potesse provocare una secrezione di difesa: la sua nuova perla”. Ora che When Attitudes Become Form si è aperta a Venezia, in Cà Corner della Regina, cosa è cambiato nel suo percorso di storico e di curatore? “Rivisitare dal vero un evento che avevo vissuto in diretta a Berna e ricostruirlo, mi ha confermato la potenza del momento storico sia sul piano del linguaggio artistico che del procedere del curatore. Essendo una rivisitazione condotta in occasione della Biennale di Venezia 2013, quindi da collocarsi in un contesto non neutro, ma definito da altre proposte curatoriali – quella di Massimiliano Gioni, con il suo Palazzo Enciclopedico, e quelle delle decine e decine di curatori che sono intervenuti nelle mostre collaterali – ho capito che il pericolo dell’arte contemporanea e del suo modo di comunicare sta nel ridursi a un’immagine sottile e senza peso, capace di scorrere fluidamente, senza ancoraggio sulla parete bianca, la quale può essere metafora di un museo, di una galleria e di una fiera. Si è perso il contatto e, diciamo, il dialogo con il contesto, e l’arte si è ridotta ad un prodotto senza peso e energia, fondamentalmente un decoro temporaneo di un possibile cubo bianco, simbolico di qualsiasi contesto abitativo ospitante. Sento quindi sempre più l’esigenza di ancorare l’arte a un luogo o un territorio, invitandola a mettere le radici, senza dimenticare la storia. Ad esempio la cancellazione dell’architettura cinquecentesca dell’Arsenale, condotta attraverso la costruzione di VEDUTA D’INSIEME DI WHEN ATTITUDES BECOME FORM, SCHULWARTE BERN, 1969. percorsi dalle bianche pareti in legno o in cartongesso, FOTO: DÖLF PREISIG © DÖLF PREISIG / FOTOSTIFTUNG SCHWEIZ / PRO LITTERIS è indice di un’astrazione ambientale, legata alla messa in un limbo dell’arte. When Attitudes Become Form era invece un tutto che il mercato ha parimenti spezzato, ma si capisce la sua forza ricomponendolo. I frammenti architettonico altera ed è alterato dall’innesto tra Venezia un dialogo tra il curatore-restauratorenon formano una statua o un vaso, sono rovine, e qui Kunsthalle, Schulwarte e Ca’ Corner della Regina. ricostruttore delle cose d’arte e l’architetto Rem sta il rischio del presente contemporaneo di Koolhaas e l’artista Thomas Demand, al fine di creare Non si è tentato di realizzare alcun falso criterio di continuità o di integrazione stilistica, ma si è lavorato trasformarsi in rovina. All’epoca l’istanza di fare arte una prospettiva multipla e plurilinguistica capace di affrontare le diverse risposte architettoniche e visuali. per contrasto, immettendo in modo eclatante gli spazi non era tesa ad una pratica edonistica né didattica né economica, per cui le cose potevano andare distrutte o moderni di Berna dentro il contenitore storico di Insieme si sono cercate e trovate soluzioni sul disperse, essere inutili e non funzionali. A contare era raccordo temporale e spaziale tra l’evento del 1969 e la Venezia. E, a ben vedere, entrambe le situazioni di la prova di un’energia mentale e fisica, fatto fanno parte della trasmissione dell’opera When decisione di un suo remake e di un suo reenacting. comportamentale ed emotiva che portava alla Attitudes Become Form. Una volta trovata la cornice È sorto qui il problema della cornice che ospitava nel costruzione di ‘figure’ immaginarie senza alcun fine se corretta per evidenziare la complessità di una 1969 la mostra, totalmente diversa da quella non il piacere di esprimersi. L’aspirazione all’idea e ricostruzione, s’è passati al recupero e alla veneziana nel 2013: la necessità di definire un ricostruzione, quando necessario, delle figure – cioè le della sua soddisfazione cercava di avere effetto sul trapasso tra lo spazio fisico in cui era immersa nella reale, non solo in cambio della sopravvivenza, ma opere – che componevano il ‘racconto’ per immagini Kunsthalle e nella Schulwarte a Berna e quello del dell’azione sul pubblico, che allora si definiva ‘politica’: di Szeemann. Il lavoro del curatore a Venezia è stato palazzo settecentesco di Ca’ Corner della Regina a rifiuto del diletto e del decoro a favore di un produrre Venezia. Due spazialità diverse che avrebbero dovuto dunque quello di negare la propria soggettività di energetico che sollecitasse domande”. assemblatore di mostre per ricostruire e restaurare interagire con l’oggetto When Attitudes Become Form. componeva la mostra. Che tipo di intervento sarebbe stato necessario per colmarle? Si sarebbero ripristinate con un inserimento di simulazioni contemporanee, oppure si sarebbe lasciato un vuoto, cercando di segnalare un’assenza? O ancora in maniera più radicale sarebbe stato necessario costruire immagini in vitro, molto vicine ad un ‘falso’, quasi sempre fallimentare? Quale sarebbe stata la legittimità di un tale intervento sostitutivo o informativo? Si sarebbe lavorato caso per caso o sulle singole accumulazioni, stanza per stanza? Come risolvere tutte queste problematiche che avrebbero riguardato la visione del curatore, passata e presente, con la consapevolezza che il ruolo del curatore che non è solo quello di assemblatore di nuovi insiemi, ma anche di un ricostruttore di contesti, ambientali e culturali, dove ricostruire da buon conservatore della storia le tracce passate? A tali problematiche sollevate dal remake o dal revisiting di When Attitudes Become Form si è tentato di rispondere creando a

Quale possibile raccordo o disaccordo si deve trovare tra le due temporalità e le due spazialità? Inventarne un terzo che riguarda il godimento attuale dell’intera opera, così che risulti facile da percepire ad un pubblico attuale, oppure lavorare su uno strappo ambientale e temporale? La differenza è sostanziale e riguarda il rapporto con l’osservatore, il pubblico. Siccome qualsiasi architettura ha un valore spaziale diverso, rimuovere quella di Berna per utilizzare quella di Venezia sarebbe stata un’operazione di estrinsecazione diversa dalla formulazione storica. Annullare invece la presenza storico-muraria di Venezia a favore di una sequenza di stanze white cube avrebbe significato immettere l’insieme curato da Szeemann in un limbo, senza ancoraggi o referenze visive ed esperienziali alla situazione presente. Si è optato per una spazialità che non risolvesse il discorso a favore di una o dell’altra architettura, forzando la frattura temporale e spaziale. Il risultato è stato di creare un continuum dove il problema


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separati in casa

di Nadia Lionello foto di Efrem Raimondi

Nati come riparo dalle correNti d’aria, impersoNali ma pratici, esteticameNte margiNali, i séparé soNo stati sottoposto Nel tempo a modifiche d’utilizzo, trasformaNdosi iN elementi ameni e decorativi, utile aNche per dividere spazi oppure nascondere ciò che NoN si vuol vedere

OPTO, PARAVENTO A GEOMETRIA IRREGOLARE CON CORNICE IN MASSELLO DI ROVERE E PANNELLO IN METALLO VERNICIATO IN DIVERSI COLORI O IN FERRO BATTUTO NATURALE. DISEGNATO DA CATHARINA LORENZ E STEFFEN KAZ PER COLÈ. TINA XXL, PANCHETTA IN NOCE CANALETTO CON SEDUTA IMBOTTITA E RIVESTITA IN TESSUTO NEL COLORE DELLA STRUTTURA OPPURE PELLE O ECO PELLE. DISEGNATA DA ZAVEN PER MINIFORMS. MAD CHAIR, POLTRONA CON BRACCIOLO SINGOLO CON STRUTTURA IN POLIURETANO FLESSIBILE STAMPATO. RIVESTIMENTO IN TESSUTO O PELLE. GAMBE IN LEGNO MASSELLO FINITURA ROVERE SPESSART. DISEGNATA DA MARCEL WANDERS PER POLIFORM.


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PAPER PATCHWORK, PARAVENTO COMPONIBILE CON PANNELLI IN LEGNO NATURALE E RIVESTITI CON FOGLI DI CARTA,NELLA NUOVA VERSIONE COLORATA. FA PARTE DELLA PAPER COLLECTION DI STUDIO JOB PER MOOOI. STACK, POLTRONCINA CON STRUTTURA IN MASSELLO DI FRASSINO E METALLO, SEDUTA E SCHIENALE CON CUSCINI IN POLIURETANO AD ALTA DENSITÀ E RIVESTIMENTO IN TESSUTO, PELLE E, SU RICHIESTA, IN MIX DI MATERIALI E COLORI. DI STEFAN KRIVOKAPIC, STUDIO SKRIVO PER CONTEMPO. NIPPON, LAMPADA A SOSPENSIONE CON SUPPORTO IN METACRILATO E PARALUME IN POLICARBONATO ANTIRIFLESSO CON DECORO MULTICOLORE OPPURE BIANCO O NERO. DI ROBERTO GIACOMUCCI PER EMPORIUM LIGHT.


INTERNI luglio-agosto 2013

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SIMBOLO, SÉPARÉ DELLA COLLEZIONE DREAM, IN ALLUMINIO LACCATO NELLE VERSIONI A RIGHE BIANCHE E NERE O CON STAMPE E AFORISMI DEDICATI AL TEMA DEL SOGNO OPPURE PERSONALIZZABILE CON COLORI E STAMPE SU RICHIESTA, DI GARILAB BY PITER PERBELLINI PER ALTREFORME. CERVA, POLTRONA CON SCHIENALE ALTO CON STRUTTURA IN MASSELLO DI FAGGIO TINTO VENGÈ E RIVESTIMENTO IN TESSUTO CON RETRO SCHIENALE IN PELLE O INTERAMENTE IN PELLE, DELLA COLLEZIONE FENDI CASA. DISEGNATA DA TEAM FENDI CASA E PRODOTTA DA CLUB HOUSE ITALIA. DALLA COLLEZIONE ELEMENT, TAVOLINO ALTO IN METALLO VERNICIATO NERO, BIANCO O ROSSO. DI TOKUJIN YOSHIOKA PER DESALTO.


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luglio-agosto 2013 INTERNI

METROPOLIS, TAVOLO CON GAMBE IN FAGGIO ED ELEMENTI DI RACCORDO IN PRESSOFUSIONE DI ALLUMINIO NATURALE, PIANO ELLITTICO IN VETRO TEMPERATO TRASPARENTE, IN DIVERSE MISURE. DESIGN CENTRO STILE SCAB. VASO DALLA COLLEZIONE IN THE AIR IN VETRO SOFFIATO CON BASE IN CEMENTO. DI FX BALLÉRY PER SECONDOME. SÉPARÉ IN MASSELLO DI OLMO NATURALE E BASE IN METALLO LACCATO, DELLA COLLEZIONE FONTE, ADATTO ANCHE PER AMBIENTI BAGNO. DI MONICA GRAFFEO PER REXA DESIGN. OWENS, SEDIA CON GAMBE STAMPATE IN ALLUMINIO E VERNICIATE COLOR PELTRO. SEDUTA E SCHIENALE IMBOTTITI E RIVESTITI IN TESSUTO O PELLE IN DIVERSI COLORI. DI RODOLFO DORDONI PER MINOTTI.


INTERNI luglio-agosto 2013

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ZEBRA, PARAVENTO COMPOSTO DI PICCOLE DOGHE IN ALLUMINIO LACCATO, COLORATO DA UN LATO E CON LISTE A SPECCHIO DALL’ALTRO, SNODABILE GRAZIE AL TESSUTO CHE LE COLLEGA. DESIGN MAURIZIO GALANTE PER OPINION CIATTI. TERRAZZA, CASSETTIERA IN LEGNO LAMELLARE IMPIALLACCIATO FRASSINO NATURALE, GAMBE IN MASSELLO DI FRASSINO E FRONTALI CASSETTI LACCATI OPACO NELLE SFUMATURE DEL ROSSO. DI EMILIANA DESIGN STUDIO PER VALSECCHI 1918. PULCE, LAMPADA DA TAVOLO A LUCE DIFFUSA CON SFERA IN VETRO OPALINO BIANCO E BLU O BIANCO E GIALLO E BASE IN ALLUMINIO VERNICIATO NEI DUE COLORI. DISEGNATA DA EMILIANA MARTINELLI PER MARTINELLI LUCE.


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luglio-agosto 2013 INTERNI

DIVA, PARAVENTO CON PANNELLI IN DIFFERENTI ALTEZZE LIBERAMENTE COMPONIBILI E PERSONALIZZABILI CON RIVESTIMENTI IN TESSUTO. PRODOTTO DA ARFLEX. LC17, PANCHETTA CON STRUTTURA DISPONIBILE IN NOCE CANALETTO VERNICIATO NATURALE, LACCATO BIANCO O GRIGIO E SEDUTA IMBOTTITA IN POLIURETANO ESPANSO CON RIVESTIMENTO SFODERABILE. DISEGNATA DA PAOLA NAVONE PER LETTI&CO.


INTERNI luglio-agosto 2013

separati iN casa / 59

ALFRED, PICCOLO SÉPARÉ COMPOSTO DA UN PANNELLO RIVESTITO DI FELTRO E DA TELAIO IN ROVERE. DISEGNATO DA NUMERÒ111 PER LIGNE ROSET. HIVE, POUF A CON SEDUTA ESAGONALE E RIVESTIMENTO COMPOSTO DA PICCOLI PETALI DI PELLE, RITAGLI DI LAVORAZIONE, ASSEMBLATI E BASE IN TONDINO D’ACCIAIO CROMATO NERO CON MONTANTI RIVESTITI IN PELLE E TAVOLINO CON PIANO IN FOGLIO METALLICO RIPIEGATO VERNICIATO NICHELATO BRONZATO OPACO. DISEGNATI DA ATELIER OÏ PER B&B ITALIA. CHESHIRE, LAMPADA DA TERRA CON DIFFUSORE IN POLICARBONATO VERDE, BIANCO O NERO, STELO IN METALLO E BASE IN ZAMA VERNICIATI. DISEGNATA DA GAMFRATESI PER FONTANAARTE.


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fantastico benessere

l’evoluzioNe delle abitudiNi Nel vivere all’aperto prevede sempre Nuove soluzioni tecnologiche e formali, iN siNtoNia coN l’ambiente. elemeNti louNge e tappeti, lettiNi da sole e sdraio, resistenti ai raggi uv e all’umidità, i protagoNisti dei nuovi paesaggi della convivialità e del relax all’aria aperta di Nadia Lionello illustrazioni di Filippo Protasoni

INFINITY, MODULO LOUNGE DELLA LINEA DI IMBOTTITI COMPONIBILI PER ESTERNO REALIZZATA CON STRUTTURA IN ALLUMINIO E INTRECCIO IRREGOLARE IN FIBRA LIGHTWICK NEI COLORI WARM GREY E WARM ; CUSCINI RIVESTITI IN TESSUTO ACRILICO GRIGIO O BIANCO. DISEGNATO DA UFFICIO STILE ETHIMO.


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RAYN, DOPPIA LOUNGE CON STRUTTURA IN ALLUMINIO VERNICIATA GRIGIO CHIARO CON UN PARTICOLARE SISTEMA ELETTROSTATICO E INTRECCIO CON CINGHIE PIATTE E ROTONDE. GAMBE E BRACCIOLI IN ALLUMINIO VERNICIATO A POLVERE STAMPATO. CUSCINI IN SCHIUMA RICOPERTA IN SOLOTEX E RIVESTIMENTO IN LINO. DISEGNATA DA PHILIPPE STARCK PER DEDON. LAWRENCE, ELEMENTO CHAISE LONGUE DELLA COLLEZIONE DI SEDUTE COMPONIBILI, POLTRONE, POUF E TAVOLO, CON STRUTTURA IN FUSIONE DI ALLUMINIO COLORATO GRAFITE E INTRECCIO A MANO IN FIBRA SINTETICA DI WAPROLACE. CUSCINATURA SFODERABILE IN TESSUTO ACRILICO 100% TEMPOTEST BIANCO O TORTORA MELANGE. DISEGNATO DA UFFICIO STILE UNOPIÙ.


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luglio-agosto 2013 INTERNI

COSMO, TAPPETO PER INTERNI ED ESTERNI COMPOSTO DA ELEMENTI TONDI DI DIMENSIONI E LAVORAZIONI DIVERSE REALIZZATE A MANO CON CORDA IN FILATO ROPE IN TINTA UNITA O BICOLORE. DISEGNATO DA CRS PAOLA LENTI. ORSON 008, LETTINO DA SOLE IN TEAK NATURALE CON DOGHE ERGONOMICHE E SCHIENALE RECLINABILE. DISEGNATO DA GORDON GUILLAUMIER PER RODA. MIRTO, LETTINO CON SCHIENALE RECLINABILE MANUALMENTE CON STRUTTURA IN ALLUMINIO PRESSOFUSO E RETE IN POLIESTERE BIANCO O TORTORA. DISEGNATO DA ANTONIO CITTERIO PER B&B ITALIA. LISA, STUOIA IN FILO PLASTICO TESSUTO A TELAIO IN DIVERSI COLORI E DISEGNI, LAVABILE IN LAVATRICE. DISIGNATO DA LINA RICKARDSSON PER PAPPELINA.


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LOOPING, TAPPETO RETTANGOLARE O TONDO REALIZZATO CON UN’UNICA CORDA IN POLIPROPILENE ATTORCIGLIATA E UNITA CON1600 PUNTI DI FISSAGGIO. È DISPONIBILE IN QUATTRO COLORI. DISEGNATO DA UFFICIO STILE LIMITED EDITION IN COLLABORAZIONE CON MELENE DASHORST. ARENZANO, LOUNGER PIEGHEVOLE CON STRUTTURA IN LEGNO DI ROVERE NATURALE E SEDUTA LEGGERMENTE IMBOTTITA E RIVESTITA IN TESSUTO COSTITUITO DA 70% DI CARTA E 30% DI COTONE, TRAPUNTATO, LAVABILE, IN DIECI DIVERSI COLORI. FINITURA CON CERA NATURALE. DISEGNATA DA RAFFAELLA MANGIAROTTI E ILKKA SUPPANEN PER WOODNOTES. PALIN AIR, SDRAIO CON STRUTTURA TUBOLARE OVALE IN ACCIAIO CON SCHIENALE REGOLABILE IN DUE POSIZIONI, CON TRATTAMENTO ALTISSIMA PROTEZIONE PER USO ESTERNO E VERNICIATA CON POLVERI ANTI-UV E TELO SEDUTA NELLA NUOVA VARIANTE RIGATA. IDEATA DA STUDIO FERMOB.


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luglio-agosto 2013 INTERNI

JAKARTA, LETTINO DA SOLE, CON STRUTTURA IN METALLO IMBOTTITA E RIVESTITA IN TESSUTO DI POLIESTERE IN DIVERSI COLORI. DISEGNATO DA CLAESSON KOIVISTO RUNE PER BERGA. DOZEQUINZE, POLTRONCINA A DONDOLO CON STRUTTURA IN TUBOLARE D’ACCIAIO ZINCATO VERNICIATO, ELASTICI PER SEDUTA E SCHIENALE. DISEGNATA DA FRANCESCO SILLITTI PER GANDIA BLASCO.


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DAYDREAM, LETTINO DA ESTERNO CON SCHIENALE REGOLABILE CON RIVESTIMENTO FISSO IN ROPE CORDA 06, IN TINTA UNITA O BICOLORE, INTRECCIATA A MANO DIRETTAMENTE SULLA STRUTTURA. DISEGNATO DA FRANCESCO ROTA PER PAOLA LENTI. ARLES, TAPPETO IN FIBRA SINTETICA PER USO ESTERNO, RESISTENTE AI RAGGI UV, DISPONIBILE NERO, GRIGIO, ECRU. DISEGNATO DA PAOLO ZANI PER WARLI. BAHAMA, SDRAIO PIEGHEVOLE IN TUBOLARE D’ACCIAIO TRATTATO CON IL SISTEMA DI PROTEZIONE “EMU COAT” E TELO IN TESSUUTO DA ESTERNI EMU-TEX. REALIZZATA DA EMU IN DIVERSE COMBINAZIONI CROMATICHE TRA STRUTTURA E TELO.


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DESERT SNOW, TAPPETO TONDO DELLA COLLEZIONE OUTDOOR PRODOTTO IN wC DI BATYLINE® DA TAI PING. ALURA ALR 195T, LETTINO RELAX IN ALLUMINIO CON FINITURA NERA TEXTURIZZATA, BIANCA O SABBIA E TESSUTO BATYLINE® NERO. GRAZIE AD UN PULSANTE SI ATTIVA UN MECCANISMO BREVETTATO, NASCOSTO NEL TELAIO, CHE ABBASSA LA SEDUTA E SOLLEVA CONTEMPORANEAMENTE LO SCHIENALE E LA PARTE D’APPOGGIO DELLE GAMBE. FA PARTE DELLA COLLEZIONE OUTDOOR LUXURY DISEGNATA DA KRIS VAN PUYVELDE PER ROYAL BOTANIA. O/K, LETTINO CON RUOTE, FISSO O CON SCHIENALE RECLINABILE, CON BASE IN TECNOPOLIMERO TERMOPLASTICO TRASPARENTE IN QUATTRO COLORI ABBINATO A TESSUTO PLASTILEX. DISEGNATA DA RODOLFO DORDONI PER KARTELL. PARK LIFE, LETTINO DA SOLE CON RUOTE, CON STRUTTURA IN ALLUMINIO ELETTROVERNICIATO IN DUE COLORI STANDARD O A RICHIESTA E TESSUTO IN wC CHENILLETEX. SCHIENALE RECLINABILE CON CUSCINO. DISEGNATO DA JASPER MORRISON PER KETTAL.


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AGRA SUNBED, LETTINO CON SCHIENALE RECLINABILE CON STRUTTURA IN ACCIAO INOX RIVESTITA CON TRECCIA SINTETICA, CUSCINI AMOVIBILI RIVESTITI CON TESSUTI ACRILICI SFODERABILI, IN DIVERSE VARIANTI COLORE. DISEGNATO DA ENRICO FRANZOLINI PER ACCADEMIA. WEST DELLA COLLEZIONE LOOP, TAPPETO ULTRASOTTILE IN JUTA TESSUTA SU TELAI MANUALI. DISEGNATO DA DEANNA COMELLINI PRODOTTO DA GT DESIGN.


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il design sopra le righe

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LAMPADA CUORE IN PLAINFLEX® DELLA SERIE ILLUMINATI, UNO DEGLI ULTIMI PROGETTI DI NIGEL COATES PER SLAMP. SOPRA, UN RITRATTO DEL DESIGNER INGLESE (FOTO GUILLAUME DE LAUBIER).

igel Coates riassume in sé le qualità che consentono agli inglesi d’essere anticipatori di tendenze: una vena romantica e sensuale che l’ha condotto a visitare i giardini barocchi italiani – e quindi, nel 1987, a farsi casa in Toscana, dove tuttora “fa salti” almeno otto volte l’anno – e un atteggiamento punk, antinostalgico e destabilizzante, che lo porta a vivere nel presente. Il suo ottimo italiano, venato da una leggera nota dialettale, è la spia di quell’antico amore per l’Italia degli inglesi appassionati d’arte; la sua formazione, però, non si è nutrita di memorie rinascimentali, ma di architettura radicale, che ha frequentato assiduamente nelle prime incursioni italiane. Il suo nutrito catalogo di prodotti, realizzati soprattutto per aziende italiane, è sempre immaginato in un contesto, in un ‘interior’, che deve essere specchio dell’anima dell’abitante, “fluttuante tra la terra e il cielo”, e accompagnato sempre da una colonna sonora melodica: musica italiana, brasiliana, portoghese, inglese, sopratutto David Bowie...


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NoN uNa disciplina, ma uN fenomeno iN grado di stabilire uN’alchimia coN le persoNe. Questa l’idea del desigN di Nigel coates, progettista inglese di poliedrica formazioNe, che Negli oggetti esprime la sua visione narrativa dell’architettura testo di Cristina Morozzi

SOPRA: LAMPADA DA PARETE CROCCO IN LENTIFLEX® E ACCIAIO INOSSIDABILE, PRODUZIONE SLAMP. ACCANTO: LAMPADARIO ANGEL FALLS CON FIGURE IN CRISTALLO E BASE IN ACCIAIO INOSSIDABILE, PRODUZIONE TERZANI. LAMPADA DA PARETE CORONA, PROTOTIPO REALIZZATO IN OCCASIONE DELL’ALLESTIMENTO CASA REALE REALIZZATO A MILANO NEL 2012 SOTTO, DA SINISTRA: DUE VASI IN VETRO BOROSILICATO DELLA COLLEZIONE CARRY ARDITS PER LA GALLERIA SECONDOME; MAXI BOTTIGLIA FIASCONE IN VETRO SOFFIATO, DECORATA CON UNA LITOGRAFIA RAPPRESENTATE IL FUOCO (EDIZIONE DI OTTO ESEMPLARI); VASO FLAME, SERIE DI DUE PEZZI UNICI IN VETRO SOFFIATO CON FORMA DI SPIRALE.


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UN’IMMAGINE DELL’ICONICO CAFFÈ BONGO DI TOKYO, REALIZZATO NEL 1986 SU PROGETTO DI NIGEL COATES.


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UOMO, APPARECCHIO D’ILLUMINAZIONE IN PLANIFLEX® DELLA SERIE ILLUMINATI, PRODUZIONE SLAMP. SOTTO: SPECCHI AVIATOR, AUTOPRODUZIONE.

SPECCHIO DA ANGOLO PUNCTUM IN ACCIAIO LUCIDATO, RETROILLUMINATO A LED, PRODUZIONE SLAMP. A DESTRA: DIVANO, BACK TO BACK, CON STRUTTURA IN LEGNO DI NOCE, PRODUZIONE FRATELLI BOFFI.

“L’interior” dichiara Nigel “deve essere extra e sempre un po’ sopra le righe. È un linguaggio che deve parlare in modo inatteso. La sola funzionalità non m’interessa. Il design deve raccontare, stimolare, costruire un rapporto di tipo istintuale e creare una speciale alchimia”. “Le idee” prosegue “vanno tradotte in un’esperienza sensoriale, capace di catturare gli utenti, senza filtri teorici. Il rapporto tra abitante e interior deve essere regolato, come nel mondo animale, dai feromoni”. Le analogie con il mondo animale percorrono, da sempre, le sue produzioni. Dalla base del tavolo del 2009 in serie limitata di 12 pezzi, costituita da un gruppo di panda, alle gambe degli sgabelli per Fratelli Boffi simili a quelle delle giraffe, o quelle del tavolo Pointer che riprendono le zampe dell’omonimo cane, alla seduta-sella da cavalcare... Nel suo lavoro riesce a riassumere in modo accattivante la sua multiforme formazione: dall’avvicinamento al mondo radicale fiorentino che l’ha stimolato a sperimentare un’architettura e un design visionario alla docenza all’Architectural Association; dal periodo giapponese, in cui ha proposto, con il sorprendente Caffè Bongo, una visione del futuro come bricolage del presente che pare discendere per via diretta dagli scenari di Blade Runner (1982), all’incontro con Poltronova, che nel

1989 gli chiese di disegnare una collezione; per arrivare all’esperienza con Swarovski Crystal Palace (2002) e alla collaborazione con Fornasetti (2002). Non considera il design una disciplina, ma un fenomeno, dotato di un’aura regale. Ritiene che il progetto, lontano dall’idealismo egalitario del Bauhaus, possa diventare un potente mezzo di auto-espressione e funzionare da talismano. “Nell’interior” afferma “ogni pezzo deve possedere un’anima portatrice di poesia ed esprimere, in modo istintivo e semplice, emozioni forti”. Le sue visioni abitative, ‘Casa Reale’ (2011) e ‘Baroccabilly’ (2012), sono una miscela di oggetti speciali, di dettagli sensuali, di linee voluttuose, di materiali opulenti abbinati a forme essenziali, pensata per produrre fascinazioni, quasi sciamaniche. L’abitante ideale delle sue figurazioni domestiche è quel Jean Des Esseintes, protagonista del racconto À rebours di Joris-Karl Huysmans (1884), ritiratosi in un mondo artistico di sua creazione, popolato di ossessioni e di feticci. “Abitare” conclude “è una sorta di viaggio voyeuristico, pieno di curve pericolose”. La pericolosità di Nigel è giocosa, mai dannosa, anche se talvolta scabrosa. Il suo ampio repertorio, che spazia dagli arredi, all’illuminazione, agli oggetti, è un catalogo di fantasie antropomorfe e zoomorfe, di simbologie, mai aggressive, ma sempre benevoli, facili da comprendere e da amare, anche per quel loro essere in bilico tra modernità e tradizione, tra consueto e imprevisto. Nel percorso progettuale di Nigel, autonomo dalle richieste del mercato ed esente dalle influenze degli stili, sempre fedele a quel DNA romantico/punk che sa esprimere con levità, un capitolo speciale è rappresentato dall’art direction di Slamp, l’azienda d’illuminazione specializzata nell’utilizzo di materiali di nuova generazione. “Operare come art director” argomenta “significa lavorare insieme, in modo umile, con l’impresa e con i designer. Roberto Ziliani, titolare dell’azienda, mi dice che siamo complementari: lui la pasta e io il sugo”. Da questa ben calibrata ricetta nascono prodotti speciali e accessibili, come le lampade a sospensione della serie Avia e Aria, composte da 50 layers di Cristalflex®, disegnate da Zaha Hadid e presentate all’Euroluce del 2013. I materiali lo affascinano e ne sa toccare con perizia le corde, esaltandone la potenziale ricchezza. Al vetro è dedicata la sua recente mostra londinese Handblown che propone due diversi approcci alla lavorazione, entrambi eseguiti da maestri vetrai con i quali Nigel è solito collaborare, sia in Italia, sia in Inghilterra: la tradizionale soffiatura e la modellatura del vetro borosilicato. Nella collezione di vasi e lampade Carry Ardits, Nigel esalta la fluidità della materia vitrea, regalando ai vasi esili braccia che sostengono in precario equilibrio sottili dischi. Mentre nella serie Flame rende il vetro più corposo per riprodurre il guizzo delle fiamme. Nei vasi Tulip, infine, esalta la fragilità della materia, rendendola palpitante, come i petali dei fiori.



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I PUNTI VENDITA ‘ESPACE’ PUNTANO ANCHE SULLE VETRINE. A MILANO È STATO UTILIZZATO UN GRIGLIATO E SCHERMI IN VETRO SEMITRASPARENTE CON GRAFICHE CHE FANNO DA SFONDO SENZA NASCONDERE LO SPAZIO RETROSTANTE. (FOTO FRANCESCO DE MONTE)

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ANCORA UNA VEDUTA DEL NEGOZIO DI MILANO. PER MUOVERE LA PARETE DI FONDO, BERGHINZ HA CREATO DEI ‘GLICINI’: BASSORILIEVI A CASCATA REALIZZATI CON PEZZETTI DI LEGNO. L’IDEA PRENDE SPUNTO DALLA WIENER SEZESSION E RICHIAMA IL TEMA DEL RAMPICANTE. PEDANE IN LEGNO DAI TONI NEUTRI CIRCOSCRIVONO LE AREE ESPOSITIVE. (FOTO FRANCESCO DE MONTE)

Infatti ne abbiamo di tre tipologie: i piccoli negozi nei centri della città (‘Espace’), gli spazi da 4-500 metri quadri e le grandi superfici extraurbane da oltre duemila. Perché tutto possa comunicare con lo stesso linguaggio c’è bisogno di un format flessibile, adatto anche al franchising, da cui il progetto di Martino Berghinz”. Il concept deve quindi adattarsi a differenti esigenze, come la visibilità su strada, nel caso dei negozi nei centri cittadini, o la capacità di mettere ordine nella presentazione di un vasto numero di prodotti, nel caso dei grandi spazi espositivi. Berghinz risponde con pochi e versatili elementi: i rack, i grigliati e gli espositori per l’area tecnica. Sono componenti realizzate su misura da Unopiù con le medesime tecnologie con cui si fabbricano i

prodotti. I rack presentano nicchie sporgenti e rientranti e possono essere usati da entrambi i lati anche come pareti freestanding, mentre i grigliati disegnano quinte trasparenti o diventano essi stessi dei rack. Il dispositivo per l’area tecnica risponde all’esigenza di mostrare il grande catalogo di pergole e coperture. Lo concentra in pochi metri grazie a una serie di pannelli posti a zig zag su pedane quadrate. A complemento, i pavimenti in legno di Unopiù sono utilizzati in pedane che circoscrivono aree espositive, oppure il teak viene a disegnare dei tappeti valorizzando la sua versatilità. “Era necessario” prosegue Dolcino “rinfrescare l’immagine. La comunicazione del catalogo rimane tuttavia più tradizionale.


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I TAVOLI E LE SEDIE PIEGHEVOLI FOLDY DI UNOPIÙ SONO REALIZZATI IN FERRO ZINCATO VERNICIATO A POLVERI. REINTERPRETANO UN CLASSICO DELL’ARREDO OUTDOOR, DECLINATO CON COLORI INEDITI COME IL BORDEAUX, IL CELESTE ANTICO E IL VERDE FORESTA O SALVIA.

Questo perché i tempi tecnici della trasformazione sono più lunghi, ma anche per non disorientare i consumatori fedeli – un indirizzario di 500mila persone, consolidato nei vent’anni, che non sono ‘design oriented’. La comunicazione deve esprimere un delicato bilanciamento tra rinnovamento e conservazione dell’eredità e dei valori aziendali. Non vogliamo cambiare target di consumatori, ma recuperare la capacità di rappresentare il lusso borghese. Negli spazi esterni non c’è un’esigenza tanto spinta di design, quanto di vedere l’oggetto che si combina con la natura. Bisogna, piuttosto, offrire una gamma vasta di stili e materiali che trasmettano qualità e sostanza”.

I prodotti Unopiù non portano la firma dei designer, nonostante progettisti importanti ne disegnino intere collezioni da anni. “Il marchio è sufficientemente famoso per richiamare firme di valore assoluto, come Michele de Lucchi con cui stiamo iniziando una collaborazione. Vogliamo che il progettista ci aiuti nel fare un percorso di qualità in coerenza con l’identità dell’azienda e consentendo ai prodotti in catalogo di essere combinati tra di loro. Abbiamo bisogno di aumentare la qualità percepita, mischiando i materiali in modo inedito e rinnovando le tecniche correnti e l’estetica di materie tradizionali”. I prossimi obiettivi per Unopiù sono il punto

vendita di Lugano, i franchising in Inghilterra, Grecia e Turchia e un progetto per Belgio e Olanda, in cui verranno realizzati cinque franchising supportati da un catalogo per il mercato locale. In questi Paesi, come in tutta Europa, la distribuzione parte dall’Italia direttamente ai privati, grazie all’allenamento più che ventennale in questo tipo di servizio. Dal design, alla comunicazione, al punto vendita, Unopiù sta perseguendo un equilibrio tra tradizione e contemporaneità.


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SOTTO: LA COLLEZIONE LAWRENCE COMPRENDE SEDUTE COMPONIBILI, POLTRONE, POUF E TAVOLINO BASSO. TUTTI GLI ELEMENTI SONO RIVESTITI CON FIBRA SINTETICA INTRECCIATA A MANO WAPROLACE; I CUSCINI POSSONO ESSERE SCELTI IN TRENTA TIPI DI COLORI E TEXTURE DIFFERENTI. IN BASSO: LA COLLEZIONE LES ARCS È COMPOSTA DA POLTRONA, DIVANO E TAVOLO BASSO REALIZZATI IN TEAK E TUBOLARE DI ALLUMINIO RIVESTITO IN FIBRA ACRILICA 100% TEMPOTEST. MATERIALI TRADIZIONALI RILETTI IN UN INEDITO MIX.



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ALCUNE DELLE SFUMATURE CROMATICHE PROPOSTE DALLA COLLEZIONE DI VASI ALBA, REALIZZATA DA SERRALUNGA IN POLIETILENE BICOLORE. SOPRA, ALCUNE FASI DELLO STAMPAGGIO ROTAZIONALE. NELLA PAGINA ACCANTO: UN DETTAGLIO DEL BORDO IRREGOLARE DI UN VASO E UNO SCHIZZO DI MASSIMILIANO ADAMI CHE PRENDE SPUNTO DA UN CAMPIONE DI MATERIALE RECUPERATO IN AZIENDA.

esigner, artigiano, artista e demiurgo, Massimiliano Adami ha sempre rappresentato una figura di grande contemporaneità nella sua identità sfaccettata, molto amata dalle gallerie di art design ma più difficilmente compresa dalle aziende in cerca di disegnatori di belle forme. Con il progetto Alba per Serralunga, Massimiliano dimostra di avere messo a fuoco un ruolo tutto suo anche all’interno delle logiche della produzione industriale. Un ruolo strettamente legato alla materia del progetto che Adami ha la capacità di osservare, manipolare e reinventare secondo un punto di vista diverso da quello consolidato. Era successo con l’Alcantara, poi con il grès porcellanato di Refin, di recente con il poliuretano della collezione autoprodotta Gommapiuma Décor, adesso è la volta del polietilene che Serralunga utilizza per realizzare prodotti in stampaggio rotazionale. Ancora una volta, il progetto nasce tra le mani, nel laboratorio di Adami, dove il designer torna con uno scatolone di materiale in polvere dopo avere visto il processo con cui vengono realizzati vasi, lampade e arredi. “Essendo tutti realizzati in un unico stampo” racconta Adami “questi oggetti sono accomunati da un aspetto uniforme, monocromatico, monolitico, che subito mi ha fatto pensare all’idea di

caratterizzarli nella loro identità materica”. Detto fatto: Massimiliano si attrezza di fornellino elettrico, stampini per dolci, pistola a caldo; a scala ridotta e in modo molto elementare, riproduce i meccanismi e le fasi dello stampaggio rotazionale per poi studiare la possibilità d’intervenire su queste. Modificando il sistema di rotazione del braccio che sorregge lo stampo e frazionando in più momenti la fase di colorazione, il designer arriva a un interessante risultato espressivo: il piccolo vaso che prima risultava cromaticamente uniforme assume una suggestiva sfumatura di colore che lo fa sembrare molto più leggero; la stessa superficie perde la sua compattezza materica, si assottiglia e si dirada in un bordo irregolare che assume la delicatezza di un moderno pizzo. Ce n’è quanto basta, per Marco Serralunga, amministratore delegato dell’azienda, e Raffaella Mangiarotti, art director, per capire che questa invenzione di processo apre allo stampaggio rotazionale un panorama tutto nuovo in termini di potenzialità estetiche. La collezione di vasi Alba, presentata all’ultimo Salone del mobile, volutamente adotta una forma archetipica. È il materiale, con le sue vibrazioni cromatiche e il suo particolare aspetto tattile, a dare significato a questo progetto che ha il pregio di svelare la maestria artigianale nascosta dietro la produzione seriale degli oggetti in polietilene e segna il punto di partenza di una nuova ricerca sul prodotto.


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ALCUNI DEI PRIMI PROTOTIPI DELLA COLLEZIONE PRODUZIONE IMPROPRIA PRESENTATI IN OCCASIONE DELLA DESIGN WEEK 2013 DI MILANO. A SINISTRA: ALCIDE, FRIGORIFERO ANALOGICO BASATO SUL PRINCIPIO FISICO DELLA CONVENZIONE TERMICA, DESIGN GIADA LAGORIO E JASMINE PILLONI.

di Chiara Alessi

dall’ipotesi di uN ‘designer impresa’ NascoNo i progetti di sedici studenti del politecnico di milano e uNa collezione di oggetti peNsati per dimostrare le poteNzialità dell’autoproduzione come alternativa coNtemporaNea al modello classico di produzioNe iNdustriale

produzione impropria

SOPRA: ESTRATTO, INCHIOSTRO DI ORIGINE VEGETALE RICAVATO DAI MATERIALI DI SCARTO, DESIGN LUDOVICA CANZUTTI.

P

rogettazione, produzione e distribuzione nella storia hanno sempre vissuto fasi alterne di aggregazione e disgregazione. Ci sono però indizi del fatto che l’autoproduzione oggi non occupi più il posto di predecessore del modello industriale standard, ma sia una sua alternativa contemporanea. Una prima novità rispetto alle esperienze aggregative passate è costituita dalle

premesse, tecnologiche, sociali e politiche su cui poggia lo scenario attuale dell’autoproduzione: innanzitutto l’idea di un design diffuso, accessibile, in cui aumenta la massa di detentori degli strumenti di fabbricazione avanzata mentre i mercati di massa mostrano la loro fragilità; ma anche la disponibilità di tecnologie software basate sull’open source; il modello di peer to peer production; e, sul piano della distribuzione, l’affermarsi dei mercati a coda lunga che vedono nell’e-commerce un canale fondamentale. L’altra importante novità è la nuova consapevolezza – che ha raggiunto anche l’Italia –


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ACCANTO: SESTETTO, SISTEMA DI RIPRODUZIONE AUDIO A CANALI SEPARATI, DESIGN STEFANO IVAN SCARASCIA E SHYAM ZONCA. SOTTO A SINISTRA: MUSICINK, GIOCO MUSICALE CHE PERMETTE AI BAMBINI DI COLORARE LE PROPRIETÀ DEL SUONO, DESIGN GILDA NEGRINI E RICCARDO VENDRAMIN. IN BASSO: OPLON, CHITARRA ACUSTICA CON FASCE E FONDO AMPLIFICATORE IN ALLUMINIO, DESIGN PIERLUIGI CHIARELLO E FRANCESCO TARANTINO.

che mira a soluzioni produttive più sostenibili e immediate, in cui il progettista non smette di disegnare per produrre, ma inizia a disegnare anche la costruzione e la distribuzione del prodotto. È l’affacciarsi dell’ipotesi di un “designer impresa” (Stefano Maffei e Massimo Bianchini) che gli studenti del secondo anno della Scuola di Design del Politecnico di Milano hanno dovuto affrontare alla fine dell’anno accademico 2012/2013, sviluppando non un manufatto ma l’idea di un progettista globale secondo la quale essi stessi si sono immaginati autoproduttori. Dai risultati di questo laboratorio è nata una collezione di oggetti che confluiranno in Produzione Impropria (produzione impropria.com): un progetto manifesto che raccoglie, per ora, sedici giovani creativi italiani con l’intento di dimostrare che anche nel nostro Paese è possibile “ridare un valore all’autoproduzione e divincolarsi dalle dinamiche della progettazione e produzione classica”. Le tipologie spaziano dagli sci in legno realizzati con gli artigiani delle principali località sciistiche italiane, al torchietto per trafilare la pasta, passando per un inchiostro di origine naturale realizzato con gli scarti, un frigorifero analogico, un sistema di riproduzione audio a canali separati e un gioco educazionale ‘sinestesico’ con cui i bambini possono disegnare e colorare le proprietà del suono. Pur nella diversità, i dieci oggetti condividono senza stonature la partecipazione a un catalogo dinamico al quale un marketing tradizionale non darebbe grandi chance di sopravvivenza nel mercato, ma che invece, proprio fuori da un sistema classico di produzione/distribuzione, può trovare un nuovo senso. Molti sono il risultato del lavoro di una coppia, tutti prevedono l’abbinamento di un sito

internet dedicato. Ciascuno in sé condensa ed esibisce consapevolezza e responsabilità di un processo molto più ampio, dal quale ormai nessun operatore nel design può prescindere. Intervistati, i sedici progettisti hanno raccontato che le maggiori problematiche sono emerse proprio nella fase di costruzione materiale, poi nella progettazione e in ultimo nella distribuzione. Rispetto a quest’ultima, quasi tutti immaginano di utilizzare un sistema di e-commerce, cercando parallelamente di entrare nel mercato delle fiere e dei negozi di settore. Per quanto riguarda i processi, la collezione esibisce tutte o molte delle facce anche ibride e contraddittorie che rientrano sotto il cappello dell’autoproduzione: la realizzazione completamente analogica e quella che mischia componenti digitali, la produzione manuale e quella affidata a terzisti, quella di prodotto e quella di software, quella di bene finito e bene intermedio. E di fronte alla domanda più provocatoria “venderesti il tuo progetto a un’azienda interessata?”, si

polverizza la qualità delle risposte: meno della metà dichiara un no categorico (“ciò significherebbe essersi serviti del concetto di autoproduzione solo come canale per proporre ad un’azienda la propria idea”), mentre gli altri danno segnali di possibilismo (“se un brand importante che riteniamo possa rispecchiare la natura del progetto ci facesse una proposta valida, non potremmo che considerarla molto seriamente”). Al di là della natura, compatibile ma non esclusiva, di questa nuova dimensione processuale dell’autoproduzione, si tratta di risultati di grande nota, non tanto per la qualità degli oggetti (che pure in qualche caso sono davvero speciali), ma soprattutto per il fatto che sono stati realizzati in una scuola, in cui finalmente si può imparare facendo.


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A SINISTRA: LA LAMPADA BAKE ME A CAKE DI MORTEN & JONAS PER NORTHERN LIGHTING, CHE VERRÀ PRODOTTA DAI DETENUTI DI UNA PRIGIONE NORVEGESE VICINO A BERGEN. (FOTO: TOM GUSTAVSEN, NORWAY) SOTTO: ETICA DI DANIELE GUALENI PER ILIDE (ITALIAN LIGHT DESIGN), NEONATA AZIENDA DI ILLUMINAZIONE CHE SI PREFIGGE DI VALORIZZARE L’ARTIGIANATO MADE IN ITALY CONTRO L’ANONIMATO DELLA PRODUZIONE DI MASSA.

oggetti dentro l’interno e l’esterno delle cose: uN rapporto che trova uNa Nuova espressione estetica iN uNa serie di prodotti dal corpo doppio che, attraverso la loro trasparenza, iNvitaNo a guardare e toccare le loro intime logiche strutturali di Stefano Caggiano



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LE CARAFFE UPLIFTING DI DEAN BROWN E FABRICA PER SECONDOME ESPRIMONO LA METAFORA DEL “SOLLEVARE GLI SPIRITI” QUANDO SI BEVE INSIEME. CONTENGONO CHIANTI, PROSECCO, ACETO BALSAMICO E OLIO D’OLIVA, CHE SEMBRANO LEVITARE SULLA SUPERFICIE DEL TAVOLO. (FOTO: SECONDOME)

A SINISTRA: MELTDOWN DI JOHAN LINDSTÉN PER CAPPELLINI È UNA LAMPADA DI VETRO FINE SOFFIATO A MANO IN UNO STAMPO, NATO CON L’INTENTO DI CREARE QUALCOSA DI BELLO DALL’INCIDENTE NUCLEARE DI FUKUSHIMA. IL PROCESSO DI FUSIONE DEL VETRO È ‘CONGELATO’ E MOSTRATO IN CORSO, CON IL BULBO IN PROCINTO DI ATTRAVERSARE LA BOLLA. A DESTRA: LA LAMPADA FOSSIL DI NEIL CONLEY È INTESA COME CONSERVAZIONE ‘MUSEALE’ DELLA LAMPADINA INVENTATA DA THOMAS EDISON NEL 1880, SIMILE A UN FOSSILE INDUSTRIALE CONSERVATO NELL’AMBRA CHE, TRAMITE UN DIMMER, ‘RESPIRA’ AL TOCCO DELL’UTENTE.

Ciò che questi oggetti mettono in scena attraverso la loro estetica strutturalmente trasparente è l’esperienza stessa della ‘verità’, dell’’accesso’ a una dimensione interiore percepibile, verificabile. Non si tratta di cosa viene reso visibile, ma del fatto stesso che una interiorità è esibita, mostrata, sottratta all’opacità e accolta nella dimensione dell’esperibile. Perché in un mondo pieno di tecno-misteri (cosa succede dentro a uno smartphone, a un tablet, a un lettore mp3?) la messa in evidenza delle logiche interne assume di per sé un connotato valoriale, adottato come idioletto estetico da oggetti che, come questi, da un lato accordano il proprio linguaggio sulle armoniche visuali della sparizione delle cose (driver semantico estremamente hot in questi tempi), dall’altro attuano questa accordatura utilizzando le grammatiche materiali del design, e

mettendone a nudo il cuore vivo, come dimostra il progetto Fossil del giovane designer inglese Neil Conley, in cui una lampada viene fatta ‘respirare’ al tocco dell’utente grazie a un filamento a incandescenza del tipo inventato da Edison connesso a un dimmer sensibile al tatto. Un analogo principio di messa a nudo della verità informa anche progetti più orientati al mercato, come la lampada Bruno di Karim Rashid per Verreum e Gaia&Gino, Etica di Daniele Gualeni per Ilide, e la lampada a sospensione Knot prodotta da Vitamin, in cui la verità funzionale esibita consiste in un cavo annodato a sostegno dell’oggetto, soluzione, questa, caratterizzata da una perspicua ‘tangibilità cognitiva’, se si pensa a quanto sia difficile spiegare a parole come si fa un nodo e a quanto appaia invece evidente non appena si mostra come si fa.

In questi oggetti (che non a caso sono, in molti casi, lampade, tipologia che per sua stessa vocazione funzionale implementa un cuore luminoso) la logica interna non è opposta a quella esterna; il rigore estetico non va a discapito del senso interiore; ma l’interno e l’esterno lavorano insieme per sublimare l’impalpabilità di derivazione digitale nella poesia materiale del progetto, traducendola in un’architettura di prodotto interamente organizzata sull’esperienza dell’accesso a dimensioni – o interiorità – successive. Così, in Bake Me a Cake di Morten & Jonas per Northern Lighting basta sollevare il ‘copritorta’ per cambiare la lampadina. E poi Deriva di Cristina Celestino per Attico, collezione di vasi e piccoli acquari domestici in vetro borosilicato dal corpo interno visibile; i vasi


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ACCANTO: NELLA SERIE 28 DI OMER ARBEL PER BOCCI NON È STATA PROGETTATA LA FORMA, MA UN SISTEMA CHE PRODUCE FORMA E CHE GENERE OGNI PEZZO DIVERSO DAGLI ALTRI, GRAZIE A UNA COMPLESSA TECNICA DI SOFFIATURA DEL VETRO IN CUI L’ARIA VIENE INTRODOTTA IN MODO INTERMITTENTE. SOTTO: FLASK DI TOM DIXON È UN ‘MISTERIOSO ESPERIMENTO CHIMICO’ COMPOSTO DA DUE ELEMENTI IN VETRO SOFFIATO A MANO LA CUI CARATTERIZZAZIONE INCRESPATA DIFFONDE UNA LUCE MORBIDA.

Dewar di David Derksen, ispirati alle doppie pareti dei thermos; quelli per la raccolta concettuale dei colori Preserves, disegnati da Mathias Kahn; come anche le caraffe Uplifting di Dean Brown e Fabrica per Secondome e i vasi ‘ambivalenti’ Roots di Giorgio Bonaguro (utilizzabili come solifleur da un lato e come vasi dall’altro): sono tutti progetti che sfidano l’opacità del contemporaneo nel modo in cui essa si forma in noi ogni giorno, per sovrapposizione di trasparenze, incastonando oasi di tangibilità cognitiva all’interno di uno scenario produttivo in cui la sempre più spinta accelerazione crossmediale genera scorie percettive che vanno a depositarsi tra gli occhi e le dita degli utenti, finendo per offuscare – nonostante le superfici terse, riflettenti, cristalline – lo spazio mentale di decodifica degli oggetti.

oggetti deNtro / 85


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intarsi policromi e polimaterici, illusioNi 3d, grafiche optical, rivestimeNti patchwork, esplosioNi di colore. l’eNergia caleidoscopica del desigN

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1.2. EARTHQUAKE 5.9, DI PATRICIA URQUIOLA PER BUDRI. INSTALLAZIONE A INTARSIO ARTISTICO E COLLEZIONE DI MOBILI E COMPLEMENTI REALIZZATI CON FRAMMENTI DI MARMO E PIETRE SEMIPREZIOSE RECUPERATI IN SEGUITO AL SISMA IN EMILIA DEL 2012 CHE HA COLPITO L’ARCHIVIO MATERIALI DELL’AZIENDA DI MIRANDOLA. IL TAVOLO HA PIANO A DISEGNI GEOMETRICI IN MARMI POLICROMI E RESINA. 3. NOTO, DI GIULIO IACCHETTI PER INTERNOITALIANO, MOBILE CONTENITORE IN MDF LACCATO. QUATTRO LEMBI SI APRONO E SI RICHIUDONO COME QUELLI DI UNA SCATOLA. REALIZZAZIONE GALIMBERTI & C. 4. CAUSEWAY DI PEDRO SOUSA, MOBILE CONTENITORE CON STRUTTURA IN LEGNO MASSELLO E CORPO RIVESTITO DA UNA IMPIALLACCIATURA IN VARIE ESSENZE CON UN PATTERN TRIDIMENSIONALE. EDIZIONE LIMITATA REALIZZATA DA PEDRO SOUSA STUDIO. 5. TRIANGLES, DI BERTJAN POT PER GOLRAN, COLLEZIONE DI 4 MODELLI DI TAPPETI KILIM IN DIVERSE VARIANTI DI COLORI, CON PATTERN BASATI SUL MOTIVO GEOMTRICO DEL TRIANGOLO.


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geometrie mobili di Katrin Cosseta

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1. QUADRO, DI ALESSIO BASSAN PER CAPODOPERA, MOBILE CONTENITORE PENSILE CON FRONTALI LACCATI ARRICCHITI DA UNA TEXTURE 3D SCACCO. 2. DEAR DISASTER, DISEGNATO E PRODOTTO DA JENNY EKDAHL, MOBILE CONTENITORE IN LEGNO DI FAGGIO, CON ANTE RIVESTITE DA OLTRE 2000 ‘SCAGLIE’ MOBILI DI LEGNO, VERNICIATE SU UN LATO, PER CREARE PATTERN PERSONALIZZATI. 3. WINDBENCH, DALLA COLLEZIONE WINDWORKS DISEGNATA E PRODOTTA DA MEREL KARHOF, REALIZZATA IN OLANDA UTILIZZANDO MACCHINARI ALIMENTATI DA FORZA EOLICA PER TAGLIARE IL LEGNO, TINGERE, FILARE E TESSERE IL TESSUTO DI RIVESTIMENTO.


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1. DAL PROGETTO RE-IMAGINED CHAIRS DI NINA TOLSTRUP PER 19 GREEK STREET, TALL CHAIR E ORIGINAL CHAIR RISPETTIVAMENTE RIVESTITE CON TESSUTI ANNABELLE SATIN E MOLLY CHECK DI MARC JACOBS. EDIZIONI LIMITATE. 2. PATCHWORK TABLE, DI ARIK LEVY PER ESTABLISHED&SONS, TAVOLINO CON PIANO IN LEGNO LACCATO IN DIVERSI COLORI. 3. OTTOWAY DI MISSONI HOME, POUF RIVESTITO IN TESSUTO DI POLIESTERE, ACETATO E SETA. 4. WING DI BOLON STUDIO, COLLEZIONE DI PAVIMENTI VINILICI BASATA SU 5 DIVERSI MODULI CHE CONSENTONO DI CREARE PATTERN GEOMETRICI COMBINANDO DIVERSE LINEE DELL’AZIENDA.

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1. STARGATE NERO ASSOLUTO, DALLA NATURA COLLECTION DI ANTOLINI. DECORO SU MATERIALE LAPIDEO DISPONIBILE IN LASTRE DELLA MISURA DI 130 CM DI ALTEZZA E LUNGHEZZA VARIABILE A SECONDA DEL BLOCCO, SPESSORE 2 O 3 CM. 2. INFINITY, DI MENEGHELLO PAOLELLI PER HORM, MOBILE CONTENITORE COMPOSTO DA MODULI QUADRATI CON STRUTTURA LACCATA E ANTE IMPIALLACCIATE IN FAGGIO TINTO. LE ANTE SONO RIVESTITE DA TRE ELEMENTI DECORATIVI DI LAMINATO LACCATO, APPLICATI CON MAGNETI, CHE CONSENTONO DI CREARE VARI MOTIVI GRAFICI. 3. INK, DI EMILIO NANNI PER ZANOTTA, TAVOLINI CON GAMBE IN ACCIAIO VERNICIATO E PIANO CON FINITURA REALIZZATA CON TESSUTO DECORATO, STAMPATO CON TECNICA DIGITALE E RICOPERTO DI RESINA.


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1. LOGENZE, DI PATRICIA URQUIOLA PER RUCKSTUHL, TAPPETO REALIZZATO CON LA TECNICA SUMAK (TRADIZIONALE TESSITURA A TRAME AVVOLGENTI, ORIGINARIA DEL CAUCASO) CON EFFETTO TRIDIMENSIONALE DELLA SUPERFICIE. DISPONIBILE IN TRE COLORI. 2. SLIDE, DI ALESSANDRO DUBINI PER I4MARIANI, MADIA CON CORPO CONNOTATO DA FASCE ALTERNATE IN LEGNO DI TEAK, ZEBRANO E LOURO PRETO, SU PIEDE IN ACCIAIO BRONZATO. 3. SENECA, DI FERRUCCIO LAVIANI PER EMMEMOBILI, MOBILE CON TRE TIPI DI APERTURA (FRONTALE, LATERALE, SUPERIORE), FINITURA A MOSAICO DI 10 DIVERSE ESSENZE LIGNEE, BASAMENTO A TRONCO DI PIRAMIDE IN OTTONE BRUNITO. 4. AZIZA, DI ROMEO SOZZI PER PROMEMORIA, POLTRONA RIVESTITA IN VELLUTO, STAMPATO SUL RETRO CON UN SOGGETTO A CUBI CON ILLUSIONE TRIDIMENSIONALE. 5. BOOLEANOS, DI JOEL ESCALONA PER NONO, MOBILE CONTENITORE IN MDF. LE DIVERSE FINITURE LIGNEE CREANO UN EFFETTO DI TRASPARENZA E DECOSTRUZIONE.

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1. BUILD RUG DI JACOB+MACFARLANE PER CHEVALIER EDITIONS, TAPPETO IN LANA ANNODATO A MANO, COMPOSTO DA SAGOME IRREGOLARI ASSEMBLABILI IN UNA SORTA DI ARCHITETTURA EVOLUTIVA. 2. FISHBONE TABLES, DI PATRICIA URQUIOLA PER MOROSO, TAVOLINI CON PIANO CIRCOLARE, QUADRATO O RETTANGOLARE IN ALICRITE FINITURA LUCIDA A EFFETTO INTARSIO POLIMATERICO. 3. K2, DI ALESSANDRO MENDINI, RILETTURA PER A LOT OF DEL DIVANO KANDISSI DISEGNATO NEL 1979, RIVISTO NELLE PROPORZIONI E NEI MATERIALI, TRA CUI MDF LACCATO E POLIURETANO RICICLATO. 4. VICTOR, DI LUIGI GORGONI PER ROCHE BOBOIS CREDENZA CON PIEDINI IN LEGNO LACCATO E FRONTE DELLE ANTE IN DAQUACRYL BICOLORE. 5.DALLA COLLEZIONE MULTIVERSE DI KARIM RASHID PER GLAMORA, CARTA DA PARATI MIRAGE DISPONIBILE IN QUATTRO VARIANTI DI COLORE. 1.

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iNtopics

editorial pag. 1 Summer comes and we feel the need to go out, also with our minds, from the physical conines of everyday domestic life, to embrace the dimension of travel and living ‘en plein air.’ So we start with a trip to Apulia, to produce this issue’s section on Interior Architecture: a dive into the Mediterranean, a plunge into white cityscapes, where history and modernity, technology and sustainability ind a relationship of harmonious balance in projects for the revitalization of age-old estates. The narrative of how art and architecture can establish a dialogue with landscape, becoming poetry, comes from the installations of the Festival International des Jardins of Chaumont-sur-Loire, dedicated this year to the ininite and evanescent ‘sensations’ found in gardens. Our journey in the design world continues outdoors, by a swimming pool, under a hypothetical berceau: the theme is outdoor living, pleasant moments of relaxation in the open air, thanks to products with a high level of design content. New furnishing typologies bearing the signatures of the most outstanding talents in contemporary design, applying research on new materials for outdoor use to combine a natural image with advanced technical performance and lofty aesthetic quality that erases the distinction between ‘home inside’ and ‘home outside.’ The summer of design explodes, inally, in multicolored surfaces, polymateric furnishings, geometric coverings and optical graphics: the kaleidoscopic energy of design is overwhelming, even when we’re on vacation. Gilda Bojardi Borgo Egnazia at Savelletri di Fasano, a project by Aldo Melpignano and Pino Brescia.

iNteriors&architecture

gran madre di dio pag. 2 project GIO PONTI - photos Henry Thoreau - text Patrizia Catalano the co-cathedral of taranto, the last work completed by the modern master iN 1970, as a symbol aNd manifesto of his love for architecture, italy aNd our cities

A church like a ship, with a big sail standing out against the sky, where angels can linger. When the archbishop of Taranto asked the Milanese architect, approaching the end of a long and glorious career, to design and build the city’s most important church, Ponti – after accepting with enthusiasm (he had already done some very beautiful churches in Milan, in the economic boom years) – thought precisely about this image, the city’s seagoing history, its particular coniguration with two contiguous but separated seas. He also thought about its troubled history, its status as a Greek city, hostile to the Latin world. So he pondered a place of worship that would relect the sea and be relected in it, surrounded by a forest of Mediterranean trees, an island gripping the sea of Taranto. The facade, a delicate baroque-toned work of lace, would relect in the water of the three large pools in front of the church, reproducing the effect of a sail moved by the wind. The interiors have a single large nave, supported by a hefty structure in exposed reinforced concrete, closed by the altar facing towards the seating and by two large pillars, also in concrete, that support two anchors, altars behind which there is the hint of a choir and a balcony set apart by a Gothic-like geometric game of windows. Ponti also created the frescoes of the angel and the Virgin over the choir. The irst thing that strikes those who enter is the use of color, the luminosity and the body of certain tones of intense green, a shade Ponti had already used elsewhere, but one that takes on the characteristic of a formal language here that launches the whole composition, contributing to our perception of the structure as a large marine cavern, emphasized by the intense light from the south during certain periods of the day. Certain details emerge, like the confessionals in pale wood set into the concrete structure, the large chandeliers in gilded metal hanging from the ceiling like drops of light, or the lateral chapels with small altars and accessories in bronze. Faithful to the tenets of his thinking, Ponti creates a cathedral that respects an ‘ancient’ concept while updating its structure in a dynamic way, permeating it with modernity, referencing classical styles only “to conserve the antique Italian energy that continuously transforms them.” - pag. 2 The church designed in Taranto by Gio Ponti in 1970, a single large nave supported by a solid structure in exposed reinforced concrete. An extraordinary example of synthesis between classical tradition and modernity. - pag. 4 Exterior of the church by Gio Ponti, a virtuoso work in reinforced concrete. The project for the exterior is incomplete: it also included three pools of water in which the architecture would have been reflected.On the facing page, Byzantine geometries lie behind the game of windows that form the choir of the church. For Gio Ponti, architecture was a total project that included structural design, furnishings and lighting. For the Gran Madre of Taranto, Ponti used the cool tones of the sea to accompany the concrete of the structure and the altar. As a contrast, the wooden pews and gilded metal of the lamps provide warm tones.

salento/mediterranean pag. 6 project PAOLO CAPUTO structures and physical plant SC Engineering, Galatina photos Enrico Colzani - text Alessandro Rocca a big ‘masseria’ iN the heart of salento becomes a residence

iN which memory aNd modernity coexist iN harmony aNd iNdulge iN the luxury of simplicity, to rediscover a cosmopolitan mediterranean atmosphere

Architecture can be done in many different ways, and the job of the designer is to interpret work opportunities, developing individual approaches and strategies. This lexibility is part of the way of working of Paolo Caputo, a professor at the Milan Polytechnic but also a very active professional who has created, for example, large parts of the new Santa Giulia complex in Milan. The most important building he has designed to date is the tower of the Lombardy Region, done together with the New York studio Pei Cobb Freed & Partners, a synthesis of American high-tech and Milanese urban planning. The project shown on these pages is in Salento, where Caputo has renovated a rural house that had been abandoned for years. Formed by a main volume from the 1800s, and by stables built more recently, the building has an F-shaped layout, with the long side facing the garden with a swimming pool and outdoor dining area, a vegetable garden and an olive grove. “Given the beauty and simplicity of this architecture – Caputo explains – I simply made the spaces function again, using local materials, repairing the vaulted ceilings where they had collapsed, redesigning doors and windows and replacing their casements, based on what I found at the site.” A conservative restoration that maintains the atmosphere of a rural building, thanks to the large spaces and the simple, repetitive typology, with volumes formed by elementary rows of large rooms sheltered by vaults of tuff stone. “There is an idea of domestic life and natural ease, also in the relationship between objects and structure,” Caputo says, describing furnishings that combine ethnic and contemporary pieces, art and objects of affection. “I made use of many things produced in Morocco, often based on my designs – Caputo continues – bringing an idea of Mediterranean character that also includes Northern Africa. After all, Salento has always been a world open to the world, a place of transit, of encounters, of ethnic and cultural mingling.” Framed by walls made with blocks of volcanic stone and loors in Lecce stone, the typical local materials, the furnishings narrate distant lands, from Morocco to Chechnya, Yemen to Afghanistan, northern Italy to France. The also speak of distant times, with a 17th-century dining table, surrounded by Louis Ghost chairs in the black version, designed by Philippe Starck for Kartell, while in the kitchen a large Fontana Arte lamp delicately looms over a crafted Emilian table from the 1900s. The outdoor spaces relect the tradition, with tuff walls, paving in Cursi stone and a swimming pool that recycles a basin for collecting rainwater, with a Soleto stone border. The courtyards and garden are illed with local vegetation: jasmine and roses at the entrance, agave on the cornices to reinforce the Mediterranean aura, palms in the entrance court. Behind the pool, beyond the lawn, olive trees on red earth forecast the passage into what seems like an ininite olive grove, extending in all directions beyond the outer walled enclosure. - pag. 7 View of the main courtyard with the front of the oldest part, dating back to the 1700s, with the four rooms for guests and, in the back, the entrance archway. - pag. 9 The concrete cistern transformed into a swimming pool; at the edge, in Soleto stone, Moroccan lanterns and a chaise longue by a local artisan. Facing page: the entrance archway with the small rose garden and the arch with the glass door of part of the vast living area, incorporating four rooms of the 19th-century volume. - pag. 10 On the mantle in the living room, Chinese puppet heads; on the Chinese table, a collection of ceramic roosters; carpet from Yemen and, on the wall, a tapestry from Chechnya; the table is a bed from Pakistan, with 20th-century French chairs. The floors are all in Lecce stone. Facing page: view of the living area towards the dining room, with the sequence of stellar vaults and two fireplaces. All the casements have been redesigned, based on the remnants of traditional parts; Flexform divan and Gilda floor lamps by Pallucco. - pag. 12 The dining table, with Salentine ceramics from Grottaglie and Tricase, is a 17thcentury piece made in Tuscany-Emilia, joined by Louis Ghost chairs by Philippe Starck for Kartell; 20th-century Sicilian chandelier. - pag. 13 In the kitchen, a 20th-century Emilian table with Victoria Ghost chairs by Kartell, and an industrial kitchen by Angelo Po; on the wall, the ‘fish’ sculpted by Livorno-based artist Filippo Gherardi.In the bedroom, a custom bed, Moroccan lamps and tapestry, carpet from Yemen and Kartell chairs; on the wall, a collage by Olgiati.

versatile enchantment pag. 14 project MASSIMO FAMIGLINI, FRANCO MARIA RAO and DEBORA GARRA/ STUDIO SPACEPLANNERS photos Think Puglia - text Antonella Tundo iN salento, aN 18th-century baroque building, after decades of neglect, becomes a sophisticated vacation facility, a precious trove of artworks aNd contemporary design

A monumental building with a sculptural, baroque, impenetrable facade. We are in the historical center of Galatina, a lively town in the heart of Salento, on a very narrow street, in absolute silence. The strong sunlight sculpts geometric forms with sharp shadows, creating new interlocks. The building is the impressive Palazzo Gorgoni, built around 1780, a typical local work of patrician architecture. The owners, Tiziana and Antonio, young Roman lawyers fascinated by Moroccan houses, decided to renovate the palace after a trip to Marrakech, with the idea of creating their own ‘riad’ in Salento, a place that becomes evident only when you enter, an unpredictable and unexpected experience. After the big wooden door one enters the courtyard, an indoor-outdoor ilter. The whole building is organized around it, a baroque spectacle in Lecce stone, along the facades and the steps leading to the irst loor. The contemporary character is not yet revealed even here, but hidden inside, covering everything like a discreet new patina. At the time of purchase the condition of the building was very different from the clean elegance that now seems to be its natural birthright. The renovation called for patient, precise work. The building had been eroded by neglect, split up into 12 housing units interlocking with


INTERNI luglio-agosto 2013 each other, with a rather surreal layout. Additions had been layered over the old structure, covering it, weighing the original structure down with extraneous overlays. The challenge was to strip everything away, to reveal the elegance of the original form, making a skeleton ready for a new raiment, in contemporary, functional garb. The result is a work of architecture that becomes the setting for exceptional design pieces and artworks. This was the idea of the architects Massimo Famiglini, Franco Maria Rao and Debora Garra, of the studio Spaceplanners in Rome, who have opted for a renovation that leaves the enclosure intact, conserving its essence, respecting its history, but with a pragmatic look at the present, a wider vision that extends to the whole Mediterranean tradition. “We wanted to reconstruct an estate that in recent years had lost its original ‘patrician’ identity and been transformed into lots of apartments. This was our design focus. We then ‘blended’ everything and added the aroma and the air of Salento,” the architects say. “For the external casements, for example, we decided to use iron in a pearl gray version, with large glazings, for two reasons: to bring as much light as possible inside, and to keep in touch with the local construction materials, namely stone and iron. This zone has always been lacking in wood, and excessive use of that material would have been a philological error.” For the loors Soleto stone, a local material, has been combined with gray resin. This gives the spaces a contemporary look, while ensuring a tonsur-tone color range. Neutral, delicate shades are used to cover walls and casements, to enhance the true protagonists of the settings, the artworks, the design pieces and the life that unfolds inside these spaces, with a style and conception that are very contemporary, without exceptions or compromises. The layout is based on a forceful idea of hospitality: on the ground loor, three areas are set aside, like ideal plazas, for community life and relaxation, enhanced by the pleasure of water and the wellbeing of the hammam; on the upper level, containing the eight bedrooms, around the baroque balustrade of the 18thcentury cloister, each room has an independent entrance. Finally, the large terrace, with succulents, becomes the ideal spot to enjoy spring sunshine or cool summer evenings, with the light relecting off the magniicent blocks of white Lecce stone. - pag. 15 The access courtyard, typical of Salento, is a buffer between exterior and interior, around which the whole structure is organized. The floors are made with chianche, the local hewn stones, forming a vibrant geometric design. - pag. 17 On the ground floor a true hammam is faced in local Soleto stone. A large pool comes before the steam bath, with color therapy and a lounge. In these spaces, and throughout the building, a floor-based cooling system offers a healthful alternative to normal air conditioning. The large master bedroom on the first floor has an oblong form, facing a sunny street in the historical center. The drapes are in linen muslin from Epiphany - Society Lecce, like the sheets. On the floor, a Persian carpet is joined by a large freestanding tub in black stone. A luminous walk-through living area is brightened further by the epoxy resin floor. Sponge divans by Edra. In the background, a painting by Vasco Bendino. On the facing page, the zone of the house the owners call the ‘ballroom,’ with original ceiling decorations. The painting in the background is by the Roman artist Silvia Morera, part of her Lipstick series. On the walls, two appliques purchased from an antique dealer in Florence, with disks of Murano glass, made entirely by hand in the 1950s. At the center of the room, the Boa sculptural divan by Edra. - pag. 18 The indoor swimming pool has been created by joining two courtyards. Prior to the renovation, small rooms had been built here that filled up the external spaces. Now it is a little paradise with high walls, isolating it from the world. Facing page: on the roof terrace typical of this zone, the suppina is another marvelous place. At the center, twelve large cushions made by local craftsmen are combined to form a large bed, for 3 or 4 persons.

appartamento lago pag. 20 project ARCHSTUDIOLONGO photos Giuseppe Di Viesto - text Virginio Briatore iN upper salento, a pluNge iNto whiteness aNd the mediterranean. the hospitality of a restoration doNe accordiNg to tenets of sustainability to create aN open house, aN origiNal cultural workshop, a meeting point betweeN local knowledge aNd the world

The apartment is located at San Vito dei Normanni, a name that is already a geo-semantic reservoir in its own right: land of saints and conquerors, Apulia, province of Brindisi, where the Appian Way ends and the sea, Salento, Greece, the Orient begin. The project comes from the intuitions of Angelica Longo, a young local architect who after taking a degree in Ferrara won a study grant from the Apulia Region for a master’s program in Interior Design at Domus Academy in Milan. The grant called for winners to apply their know-how in their region of origin. The project of Appartamento Lago was the business model Angelica Longo presented after graduation, again winning a grant from the Region for 25,000 euros. The 120-sq-meter apartment is in an old family residence in the historical center, on the ground loor with access from one of the main streets of the town. The 18th-century building conserves all the original characteristics of the architecture of the zone: large rooms in a sequence to reach an internal courtyard typical of Mediterranean houses, thick stone walls with limewash inish, vaulted spaces. The restructuring is by ArchstudioLongo, where Angelica works along with her father Enzo Longo, an architect with extensive experience in the ield of historical and monumental buildings, and her sister Danila Longo, also an architect. Structural consolidation, reorganization of the internal openings, inishings and carpentry, and new bathrooms; all without disturbing the original layout of the structure, and without altering the spatial form of the rooms. Masonry, vaults, alcoves, original chimneys and cisterns have been renovated and enhanced for a contemporary lifestyle. Local workmen have made it possible to operate according to the local construction tradition, using materials found close at hand for low environmental impact. Furnished in collaboration with the Lago team using the modular products of the Venetobased company, the apartment has two sequences of beautiful vaults, with arches, niches, alcoves, a mezzanine, unexpected windows that look to the sky, and glass doors

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leading to the double courtyard and garden. The wooden loors are by Listone Giordano, designed by Michele De Lucchi, while the Minervino stone looring has been designed by Angelica Longo, using the same formats. The peninsula kitchen between the garden, the hearth and the dining area is a perfect machine, a bridge-table connecting worlds: water, ire, refrigeration, dishes and food are all within easy reach and ready to establish a dialogue with the architecture. Meals are served in the entrance room, directly connected to the kitchen also by an internal window. The dining area has a very beautiful vault, as Angelica Longo explains: “It is called a ‘carrozza’ vault, with loadbearing walls, and its form is a cross between the barrel vault and the stellar vault.” The light of the gods and that of men coexist under these white arches, in the garland of rooms leading to the small garden, with different citrus trees. As Vittorio Bodini, a poet from Salento, wrote: “The sheets lapped on the terraces, orange, lemon, tangerine.” At the back of the garden there is a small guestroom with a bath. The glass doors facing the garden are protected by a discreet micro-awning in sheet metal, designed by Angelica Longo, painted white and built into the masonry. The lighting has been designed with great care, and about 100 lamps offer all the light that is required: in the kitchen there is intense light on the worktop, for the preparation of food; for moments of relaxation small lights peer out of niches, and precisely oriented lamps permit reading in bed or on the sofa; conversing or listening to music, one notices the openings for light inserted directly in the architecture during the restoration phase. High on the walls, the Lago bookcases seem like large fretwork, simple and marvelous at the same time. Angelica Longo: “This bookcase made of simple shelves organized in an original way is like a textbook: people look at it, learn and understand that they can do it themselves, in their own way.” Kerakoll natural lime has been used for the internal and external inishing of the walls, making the building sustainable and contemporary. The presence of photovoltaic panels, perfectly integrated, provides electrical energy for the spaces, with lowconsumption lighting ixtures. The result is special space for living: a private home, a vacation home, a place for events, a house to share where the key ideas are hospitality, Mediterranean living and respect for the planet. - pag. 20 Detail of the main room from the 1700s, with stellar vaults; on the wall, a bookcase made with the Lagolinea system. - pag. 22 Below, view of the courtyard with the citrus trees and the guesthouse; the entrance is protected by a small custom awning in painted sheet metal. Right, counter-view of the two main areas, with wood floors by Listone Giordano from certified forests, treated with ecological products, designed by Michele De Lucchi with Philippe Nigro. The same motif is seen in the Minervino stone flooring designed by Angelica Longo. - pag. 23 The alcove of the hearth seen from the cooking area, furnished with the Lago 36e8 kitchen, and high Lago Steps seating, designed by Monica Graffeo, in aluminium and felt, 100% recyclable. - pag. 24 Top: the double perspective with the staircase leading to the mezzanine, on one side, and the fireplace on the other. Above: view of the living area, also organized for small concerts, poetry readings and art events, furnished with the Air linen sofa, the low Air table and the Lastika chair designed by Velichko Velikov, all by Lago, and the Arco lamp by Achille Castiglioni for Flos. The photos on this page are by Martina Leo. - pag. 25 Above: the bedroom zone with the alcove bed and the Stone radiator designed by James Di Marco for Caleido. The lighting fixtures built into the walls and inserted in the architecture are by Viabizzuno. Plan of the Appartamento Lago. Detail of one of the three bathrooms, all furnished with Lago accessories, fixtures by Vitra and Glass, faucets by Hansgrohe.

back to the roots pag. 26 project ALDO MELPIGNANO and PINO BRESCIA photos courtesy of Borgo Egnazia - text Antonella Boisi at savelletri di fasano, briNdisi, the borgo egnazia hospitality structure, part of the leading hotels of the world, narrates the magical land of apulia, betweeN tradition aNd innovation, simplicity aNd New theatrical impact

The message arrives at irst glance. Amidst white trullo cottages, stone walls, vineyards, age-old olive trees, Borgo Egnazia speaks of the “Grande Casa Puglia” and the beauty of a place, Savelletri di Fasano (Brindisi), once a town of ishermen and embroiderers, close to the ine sand of the Adriatic, with every detail captured in relections on tuff stone, the local material par excellence, cut by hand and sculptured by a metaphysical light. The story is that of the people who have contributed to create a contemporary hospitality facility, one of the Leading Hotels of the World, generating a holistic experience that combines territory, architecture and a warm welcome, love of nature and rural traditions, local lavors and culture. An exceptional 21st-century village –recently used as a set for the ilm “Viaggio Sola” starring Margherita Buy – establishes a subtle dialogue with the existing context, rejecting imitation and opting for the evocative, in the work of a studio of architects from Apulia – commissioned by Aldo Melpignano (deus ex machina of the whole Borgo Egnazia project) – guided by Pino Brescia, the talented set designer from Fasano. “The idea behind this completely new construction, whose irst stone was laid in 2007, was a return to the roots. We have tried to give new value to the essential codes that have formed the identity of a territory for centuries, through the work of a proven team of experts,” says Aldo Melpignano, owner of Borgo Egnazia and managing director of San Domenico Hotels. This genius loci is also expressed in the exclusive offerings of Masseria San Domenico, Masseria Cimino, as well as the well-known San Domenico golf course, 18 holes on a beautiful stretch of the coast, that separates Borgo Egnazia from the sea, created to satisfy the needs of different clients with respect to those of the family’s rural facilities that focus on young families with children. On an overall area of 16.5 hectares, the tuff stone architecture of La Corte (the 5-star hotel with 63 rooms, including 10 seaview suites) is based on the memory of the fortiied farmhouses, whose memory remains in the decorative details, including feeding troughs for livestock in front of the entrance court, and observation loopholes


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in the upper part of the tower. Adjacent to this central building stands the Borgo itself, a reminder of the image of rural villages in the region, with two-storey white cottages (93 rooms, including 12 Town Houses, 20 apartments and 19 suites), with echoes of Spanish and Moorish architecture, opening onto Arabian gardens, private patios and terraces. The small streets lined with lowering plants, citrus groves, places for gathering and socializing, restaurants and cafes (with a range of different atmospheres and offerings), swimming pools and tennis courts, for the complex’s connective tissue, completed by 28 exclusive Villas (250 m2 each) that have a more classical style, to provide a complete range of hospitality offerings including different bedrooms, large living areas, private pools, gardens and belvederes. While Villa, Borgo and Corte set out the narrative scheme of the architectural composition, the interior design relects the mood of the resort, with obsessive attention to detail, emphasized by the omnipresent stellar vaults that mark the passages between the parts. The patterns of the tuff and coralline stones are matched with pale colors, always bathed in indirect light for the total white relaxation areas. Furniture, lamps, objects and accessories, all custom designed and made by local artisans, or items from local markets and workshops, are used in the collective and private spaces. Signs and signals that belong to a world of ancient gestures, creatively reinterpreted: from the stacks of newspapers in iron and glass display cases, reminders of the need for fuel for ireplaces, to the broomcorn stalks on the walls, the red cascades of hot peppers and jars of grain, walnuts and beans in the restaurants, items from a gastronomical tradition based on the journey from the ground to the plate, thanks to a large vegetable garden. The tables and beds are adorned with immaculate linen and hemp fabrics. This interior decor was a very intense task, considering the size of the facility, and the need to ind a balance free of naive accents yet full of special effects. Like a tailor-made garment, in the theatrical hall of the hotel the monochrome geometries that bring out forms more than colors culminate in the igure of a symmetrical double staircase, attenuating the classical rigor of the line with a striking installation of lights and candles in the route to the rooms on the upper levels. The hotel also contains an avant-garde spa, where guests relax and revitalize before setting off from Borgo Egnazia to discover the nearby villages of Cisternino, Ostuni, Locorotondo and Alberobello, or the ancient Roman city of Egnazia, all very close by. The latter site, with its archaeology park, is now being explored and brought to light thanks to an agreement between the Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia and Fondazione San Domenico Onlus, headed by Marisa Lisi Melpignano: another tribute to the choral hospitality of the “Grande Casa.” - pag. 27 Exterior view of the Borgo with the square faced by the clocktower. Sunny, vibrant, the place has been newly constructed using tuff stone. - pag. 28 Inside Hotel La Corte, a lounge area and a view of a suite. The furnishings, accessories and lamps, all made by local craftsmen, have been creatively interpreted by a studio of Apulia-based architects led by Pino Brescia, the well-known set designer. Facing page: the double staircase that connects the hall to the rooms on the upper level. The classical rigor of the design is attenuated by the theatrical installation of lights, candles and vases. - pag. 31 Right: the swimming pool of Hotel La Corte with the Borgo in the background. Beyond the low stone walls, a large Mediterranean garden includes a vegetable garden. Below: exterior of one of the 28 exclusive Villas (250 m2 each) with private pools, gardens and belvederes. Facing page: view of the Borgo, like a rural village in its composition of private houses and cottages, gathering places, pergolas and terraces. The living-dining area inside one of the white houses of the Borgo.

iNsight/ iNtoday

leather on stage pag. 32

by Patrizia Catalano

iN the story of pasquale Natuzzi, from the first crafts workshop iN taraNto to today’s model production facilities, a vocation for research aNd innovation, from apulia to the world

In 1972 Pasquale Natuzzi, after starting to operate as an entrepreneur in 1959, founded Natuzzi Salotti srl. Did you imagine you were creating a business giant? “It would be too much to say I really imagined it. But I was focused on growth. When I launched my crafts workshop in Taranto in 1959 I was a young man. I remember that my biggest worry was to ind myself out of a job: ‘what will I do – I wondered – once I have sold a living room to every family in Taranto?’ I came up with my own answer, branching out into nearby regions, and then the rest of Italy. Over the years two characteristics of my company have come out of this inner drive: the tendency to grow and the vocation for export. Today, over 50 years later, the Natuzzi group is the largest Italian producer in the furnishings sector, and a worldwide leader in the segment of leather sofas. The company manages two brands positioned in different price ranges, for separate targets, distributed through separate channels, one entirely made in Italy (Natuzzi Italia), the other made abroad (Leather Editions). We produce a private label for large retailers. The irm has production plants in Italy, China, Brazil, Romania; sales ofices in 12 countries; 619 Natuzzi Italia outlets all over the world, and 6740 employees. So we have come a long way.” Today the Natuzzi group is certainly the biggest producer of upholstered furniture in our country. Above all, it is an industrial irm with a production cycle controlled down to the smallest details. Could you tell us about the ‘Natuzzi factory’? “The ‘Natuzzi factory’ is now a global company that makes products in Italy, China, Brazil and Romania, with full vertical integration. We directly control 92% of the raw materials and semi-inished parts, purchasing them directly from supplier markets and transforming them in production plants that specialize in working with leather, load-bearing structures in wood or metal, upholstery iller and inished products. Ver-

luglio-agosto 2013 INTERNI tical integration permits eficiency and optimum quality levels, for the beneit of consumers. The production is done by hand, by expert craftsmen. This know-how is passed on to new employees through training programs. But our model of industrial enterprise doesn’t stop there. There is a red thread that joins all these activities, namely respect for the environment, starting with the certiied origin of all the materials, to the use of clean and renewable energy sources. We have installed 21,000 photovoltaic modules on the rooing of our production plants at Santeramo in Colle, Matera and Laterza. All the production done in Italy is made with solar energy. Our Quality System has been certiied according to ISO 9001 standards, for almost 20 years. Since July 2003 we have had Certiication for our Integrated Management System of Quality/Environment ISO 9001/2000.” What has been the inluence of the Apulia territory on the activity of the entrepreneur Pasquale Natuzzi? “I like to think of my company as a big tree with its roots irmly planted in southern Italy and branches spreading all over the world. The place where I live and work – in Apulia and Basilicata – is fascinating, full of history and art. A hospitable territory where time seems to have stopped, since it has found a pleasant place to linger. I am fascinated by our marvelous hills with age-old almond and olive trees. Our products are the result of the special relationship between our work and our land: the colors, the climate, the Mediterranean are the sources of our inspiration, together with the positive multicultural contaminations of a global group like ours, where people from different cultures and traditions work together.” Local global: your group operates on many continents and 123 nations: how do you keep pace with trends? “We are a global company so we have a chance to immediately come into contact with what is happening on markets, thanks to our sales and distribution network. Our corporate structure is based on ongoing dialogue between the ‘periphery’ and the heart of our company, which is still in Santeramo in Colle, in the province of Bari. Here we have 600 staffers and managers, talented people who develop marketing strategies in the widest sense of the term: products, prices, points of sale, brands, communication. We also have a Styling Center with architects, interior designers, color experts, specialists in leather, fabrics and wood. This is where our ‘total living in total harmony’ philosophy gets its foundations: a harmony that makes different styles, materials and colors coexist, combining comfort and design to bring harmony and beauty to homes and to make life more enjoyable. So it is here that we want to remain with our production, precisely due to the quality of Made in Italy. Only here can that continue to exist, in spite of the dificulties impacting our sector today.” What are the indispensable elements of the Natuzzi philosophy? “For over 50 years I have watched over the evolution of our company from day to day, so I think the results we achieve are connected above all to a very strong sense of ethics. We keep faith with values like integrity, respect for clients, staff, suppliers and stakeholders, who are an important part of our history and of our future as well.” Your company reported sales for 2012 of 468.8 million euros. Considering the situation on the Italian market at the moment, what’s your plan? Are you focusing on other markets, new markets? “Since 2001 we have been trying to cope with one of the worst slumps that has ever happened in our sector. We are investing to continue with innovation, to compete and to promote Made in Italy in the world. Today the challenge can be met on markets that are showing growth signals. China, Brazil, India and Russia are the countries where we have been concentrating our efforts for several years now. In China we have 34 Natuzzi Stores, with the goal of doubling distribution over the next 2-3 years. In India we have already opened 7 Natuzzi Stores in the most important cities. Brazil is one of the other emerging markets where we are working. We are also about to launch the trademark Natuzzi Italia, opening stores and galleries, with the aim of offering Brazilian consumers the charm, quality and beauty of our products made in Italy.” Pasquale Natuzzi has always believed in internationalism, and has been listed on the New York stock exchange since 1993. The Natuzzi trademark is known all over the world for its very high value and quality: what tools of communication have you developed over the years? “Already at the start of 2000 we had developed a business strategy that called for the production in foreign countries of the part of our offerings aimed at consumers most concerned with price, while at the same time we launched major investments to make the added value of products Made in Italy more ‘perceptible’: through innovation, improved production processes and Italian factories, the opening of Natuzzi outlets in the world, and communications. In ten years we have invested hundreds of millions of euros on the brand Natuzzi Italia, and today – according to an independent survey commissioned to Ipsos by the largest French publishing group – our brand Made in Italy, among consumers of luxury goods in countries like Spain, France, USA, Germany, Japan and the UK, is the best known in the sector of design and furnishings. So our efforts have paid off.” What is the value of “research & innovation” for the Natuzzi group? “They represent the essence of our work. Without research, for example, we would not have made all the innovations in style, design and color of leather that have made us a worldwide leader in our sector. Behind all these ideas lies work, leading us to completely reinvent and re-engineer the production of sofas. Over the years we have continued to update every strategic area of the company, from production to product range, marketing to sales to logistics. Today more than ever, it is vital to continue to conduct research, and we are doing so in our factories, in our new products, in our points of sale and in communications, to make innovative offerings, eficiently distributed, consistent with the spread of the values of the brand.” In April the showroom in Milan, on Via Durini, hosted a project by the artist Fabrizio Plessi. You are known for your passion for contemporary art: could you tell us more? “For us, culture and art are part of our inspiration for everyday work. To design a product, to imagine a new project, is a matter of passion. For over 50 years our mission has been to seek beauty in all its forms, to create emotions. This is why we conirm our commitment to promote art and the outstanding characteristics of our country. The part-


INTERNI luglio-agosto 2013 nership between Natuzzi style and the world of art began with our collaboration with Arnaldo Pomodoro in 2007. In 2009 we launched the project Natuzzi Open Art, with the aim of bringing art into Natuzzi stores and making it accessible, “open” to all. We have worked with artists from different backgrounds (painters, sculptors, photographers, etc.) to create limited editions that become objects in the Natuzzi collection. The irst protagonist was the sculptor Giacomo Benevelli. Then came collaborations with Nicola Del Verme and Gianni Basso. In 2013 the project also included Fabrizio Plessi, one of the most important and innovative contemporary artists, whose works I collect. The shape of energy is the title of the installation Plessi has made as a tribute to the dynamism, change and energy that have always driven our company.” How important is teamwork for your company? “I have had a phrase inserted on my Blackberry as a sign-off for every email message: TEAM – Together Everyone Achieves More. I am convinced that in a company it is possible to create something valid and lasting only if you learn to be part of a team. The results arrive when you understand that you are part of something bigger than your own personal horizons: only through teamwork can big goals be achieved.” - pag. 33 The headquarters of the Natuzzi group, in Sant’Eramo. The largest producer of upholstered furniture in Italy wagers on the quality of Made in Italy and the importance of understanding the entire production cycle. In the photo, Pasquale Natuzzi, at the helm of Gruppo Natuzzi, in the Product Development Center. - pag. 34 A symbolic image of the Apulia countryside: for Pasquale Natuzzi, the relationship with the territory has great emblematic, cultural and emotional value. Facing page: the Preludio divan stands out for its large armrests and modern design, created by the Natuzzi styling division in 2012, and seen here in the dark red leather version. - pag. 36 Top: the Natuzzi styling division has a team of architects, interior decorators and designers who focus every day on new trends to select and propose on the market. Above: the Tempo divan presented at the latest Salone del Mobile in Milan, in the black leather version with chaise longue. By Memo Design. On the facing page: a Natuzzi store. Detail of the phase of stitching of the leather. The Tenore sofa with ultraslim armrests, for limited spaces. Design Studio Memo. - pag. 38 The Brio sofa, thanks to its convenient electric recliner system, can be extended to create a comfortable chaise longue. Below: the Forma divan, designed by Claudio Bellini, a new entry for April 2013. Available in leather or fabric (as in the photo), it is made with a system of modular components. FAcing page: in April, during the FuoriSalone in Milan, for the series Natuzzi Open Art, the showroom on Via Durini presented “The shape of energy,” an installation by the video artist Fabrizio Plessi. The work, with volcanic lava as its subject, expresses the fluid and creative energy of the company from Santeramo. In the photo, together with Pasquale Natuzzi and Fabrizio Plessi, Pasquale Natuzzi Jr, the group’s Brand Planner.

iNsight/ iNscape

chaumont-sur-loire pag. 40 by Olivia Cremascoli - photos Eric Sander

oN the domaine of the most out-of-the-way loire chateau, from may to october visitors caN see the very desigNed gardens from the prestigious iNterNatioNal competitioN of the same Name, while iN other areas, iNcludiNg iNdoor spaces, art aNd design installations are oN display by famous creative taleNts, iNvited by fraNçois barré (formerly of ceNtre pompidou) aNd chaNtal colleu-dumoNd (formerly of villa medici)

For its 22nd annual edition, the Festival International des Jardins of Chaumont-surLoire (www.domaine-chaumont.fr, www.visaloire.com) – the most important of its kind in the world, together with the Canadian Jardins de Métis – invited international landscape designers to address this year’s theme, namely the ininite and evanescent Sensations of gardens. Founded in 1992, the Festival International des Jardins has become the main appointment for landscape designers and erudite visitors who love beauty. This year, from about 300 submitted international projects, a cosmopolitan jury – chaired by the famous literary journalist and television host Bernard Pivot – selected about twenty, arriving from China, Russia, Algeria and other countries, giving rise to a universe of ‘sensations’ composed of colors, fragrances, materials (plants and others) and techniques, intertwining with the poetry, silence and majesty of the surrounding landscape (protected by UNESCO), namely the Loire (1012 km) Valley in a zone that is still quite wild, in the shadow of the striking chateau-belvedere built and modiied from the 15th to the 19th century (the property once belonged, among others, to Catherine de’ Medici, and to Diane de Poitiers, lover of the former’s husband Henry II; inally, it belonged to the Princesse de Broglie, who sold it to the French State in 1938). As happens every year, the Festival International des Jardins also included invitations outside the competition, such as the Chinese landscape designer Yu Kongjian and French designer Patrick Jouin, who proposed a bench made with a tree trunk (though the Tree-Trunk by Jurgen Bey for Droog Design, in 1999, had greater impact). As a whole, at Chaumont, in the department of Loir-et-Cher, about thirty new gardens or botanical works have been created by multidisciplinary teams (botanists, landscapers, designers, set designers, artists, experts on sound and aromas). Open from 24 April to 20 October, the Festival International des Jardins also features the Conversations Under a Tree, evening events in the summer, and a celebration of the splendors of autumn. The domaine of Chaumont-sur-Loire is continuing its transformation that began in 2012 with the creation, by the great landscape designer Louis Benech, of a new organization of the Parc des Prés du Goualoup: in 2013 the historic park begins its metamorphosis with many trees pruned and repositioned under the watchful eye of the landscape designer himself. From 6 April to 11 November Chantal Colleu-Dumond – director of the Domaine since 2009, with many years of experience as a cultural envoy to French embassies in Europe, including Villa Medici, the Academie de France in Rome – has

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also organized, on thirty hectares of the estate, Contemporary Art and Photography, an exhibition that presents, both outdoors and indoors (in the chateau, the stables, the barn, the stalls or the tower that contained the kiln for ceramics), art installations that explore the connections between art and nature, by 11 artists and photographers, including the famous English sculptor David Nash, the Italian designer Andrea Branzi with a poetic ‘sacred space,’ the Japanese artist Fujiko Nakaya with an immaterial installation composed of a big ‘serpent’ of artiicial mist that snakes through the birches, and the 72 ‘cathedral’ windows by the Turkish artist Sarkis, created for several interiors of the chateau. For information see the new website www.rendezvousenfrance.com. - pag. 40 Carré & Rond (terre et ciel), the garden by the Chinese landscape designer Yu Kongjian. - pag. 41 The Chateau of Chaumont-sur-Loire (Loir-et-Cher) with Thirteen Reds, by the great English artist David Nash. In the former stables of the domaine of Chaumont-surLoire, the work Au premier matin (left) by Klaus Pinter and a vertical garden by Patrick Blanc, who made his professional debut precisely at Chaumont-sur-Loire. - pag. 42 On this page, from top: Le Jardin des nuées qui s’attardent, by the Chinese architect Wang Shu; Les sniffettes, casques à sniffs, by Anniethi & Hervé Fougeray; finally, the prototype of Xylo, a tree-trunk bench by Patrick Jouin. - pag. 43 On this page, from upper left: La Rivière des Sens, garden by Coline Giardi, Thomas Dalby, Cléo Deschaintres, Ugo Elziere, Nicolas Suissa, Léonard Cattoni; Forêt by Eva Jospin; Objets Sphériques by Armin Schubert; Gram(In)ophone, by Alexandra Épée, Flora Rich and Olivier Brichet. - pag. 44 On this page, from upper left: Le parfum du chaos magnifique by Francisco Garau, Joaquim Cano, Aida Lopez; En Apesanteur by Mathieu Brison, Luc Voisin and Jeanne Couaillier; La Jetée by César Gourdon and Amélie Busin; Un paysage à goûter by Pascale Marq, Laurence du Plessix, Baptiste Pierre, Pierre-Marie Tricaud, Emmanuel Taillard, Yann Le Yondre. - pag. 45 Sacred enclosure, a work in glass and crystal by the Italian designer Andrea Branzi. Hualu, Ermitage sur Loire, the garden by the Chinese landscape architect Che Bing Chiu.

iNsight/ iNarts

when attitudes become form pag. 46 interview with Germano Celant

foNdazioNe prada preseNts when attitudes become form: bern 1969/venice 2013. germaNo celaNt recoNstructs, iN a surprisiNg remake, the historic exhibitioN curated by harald szeemaNN at kunsthalle bern iN 1969

What theoretical and historical justiication is there for the reconstruction “as it was” of the exhibition curated by Harald Szeemann in 1969 at Kunsthalle Bern? “A project is always sustained by the interpretation of art history. If we think about the logic behind artistic communication in past centuries we can see that in general, until the 1800s, artists acted in relation to a situation, a commission, a context suggested or an opportunity offered. So works were put into relation or located in an environmental or information territory that was chosen in dialogue between client and artist. For a long period art, which did not aspire to free circulation as a good to be traded and consumed, fed on this osmosis with the context, from the cave to the palace, the walls to the ceiling, forming an indivisible whole. The dialogue was interrupted in the 1800s, with the demise of noble patronage, when works had to adapt to a bourgeois market that feeds on merchandise available for circulation. In 1863 the Salons were created. These were the new settings for artists who were not ‘integrated’, i.e. the ‘refusés’ and the ‘independents’ where works did not it into a context, but were simply hung up for sale. This conceptual leap uproots art and creates another kind of relationship and situation, that of the works themselves and their installation. It is a passage that has never been completely studied, because we lack the traces of the logic with which the artists themselves established inter-relations, putting paintings on velvet or scultures on pedestals. There are few photographs from the time that help us to reconstruct things. Yet the input of the artist about how his work would be seen must have been important and controlled, not left up to chance or to others, like the dealers. Even if it were left up to chance and dealers, this too could be a subject for study. Starting in the 1900s exhibitions are increasingly controlled by the artists themselves, and they use them to launch their linguistic movements, from Der Blaue Reiter in Munich in 1911 to Les Peintres Futuristes Italiens in Paris in 1912. These are moments of installation where the artists take part, achieving groundbreaking and surprising results, like the First International Dada Fair in Berlin in 1920 and the Exposition Internationale du Surréalisme in Paris in 1938. We might say that together, these shows became a device in which apparent confusion becomes visual fusion that conveys the group’s poetics. The organization of things or objects, photographs or materials in keeping with a happening that seems to be outside any expectations, raised questions. The same thing happens with When Attitudes Become Form, where the works have to be seen as parts of a whole. Here every individual entity seems to vanish in an intertwining of the parts, something the viewer has to disentangle for himself. The conceptual framework starts prior to the works themselves, because the discourse comes from the curatorial device. Here lies the importance of Szeemann, who abandons the exhibition to curious and chaotic, dense and open ‘compositions.’ If we take the exhibition as a whole, in a baroque manner, we can understand how in 1969 it managed to get away from classic museum display typical of modern and contemporary art. Working on attitudes and their improvised and ephemeral results, poetic effects are achieved, invented, discovered on site. The pleasure of the concept is translated into knowledge of pleasure. There is no criterion of correctness, just one of connectedness, based on the mutual familiarity between the artists and their way of doing things. To reconstruct this ield of energy, with its expressive varieties, has meant reviewing a device that was originally architectural, like a chapel or a church, but here is based on the variety and variability of a harmony that was not concrete, not


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made of walls, but based on a shared experiential integrity. An intertwining of lyrical and dramatic moments that have produced a whole of admirable sharpness that is still moving today. The project is built around this hypothesis of a marvelous whole, making it coincide with a scientiic absoluteness capable of re-creating this temporary temple of art making in 1969. We have attempted to continue the study of the global ‘interventions’ of the artists in a context that is no longer the church or the palace, but the exhibition, which has become the place of new contemporary splendor.” If When Attitudes Become Form represents the last urge towards modernist disruption, doesn’t crystallizing it in a situation outside its historical, political and cultural context run the risk of dissolving the radical nature of the original? While at the time the images of this operation had an effect on the reality and language of art, might they not be seen today as nostalgic fetishism of an illusion, and therefore a weakness? “Clearly the show organized by Szeemann in 1969 was an opening towards a free and politically useless imagination: the good intentions of a way of representing things that was connected to the avant-gardes of modernism. It can be seen as a moral and critical gesture regarding the traditional ways of doing art, which rejected reality to simply represent it and subject it to a mimetic process. The research on display in Bern, as in Op Losse Schroeven, done at the same time at the Stedelijk Museum in Amsterdam, which took on the names of Land Art, Process Art, Arte Povera, Conceptual Art, were an ulterior attempt to reassess the pragmatic dimension of seeing and feeling. A change of sign expressed in the focus on techniques and materials, to bring out a poetic conception with respect to one of contemplation, in which the human being is urged towards immersion, not simple observation. Just look at the documentation on the arrival of the audience on the scene to understand how this art tended towards physical, bodily engagement. Naturally this way of presenting things was seen at the time as an excess of negativity and transgression with respect to the institution. Something that could not be governed, without rules, urging a demythologizing of the sacral quality of painting and sculpture: a rejection of classical forms to bring out an informal dimension – also called anti-form at the time – of artistic marginality. With its focus on the non-signifying and concrete character of materials and things, the show in 1969 asserted the fortuitous and chaotic character of art, its permeability to all possible languages and materials, from lead to water, ire to wax, margarine to luorescent tubes, cowhide to felt, broken glass to ice, ashes to cotton, and to all useful tools, from the spade to the caterpillar, the newspaper to the poster, reading to walking… Hence the de-sacralization of a visual culture that had identiied only with painting and sculpture, or with the linguistic dislocation of the found object. It is a celebration of the meaning of the insigniicant, of the reality that puts itself in tune with the ephemeral and temporary character of a social and cultural existence: a double without value, used to counter a catastrophe of past values. It sanctions, prior to presence, the ruin and fragmentation, dissolving and luidity, to counter any one-dimensional take on art.” Actually the re-enacting of WABF threatens to shift its shocking effects into a reassuring proposal. At the time, the display of industrial scrap and performing, mutant materials that burned or melted to give rise to other entities seemed to challenge the static and sacral character of the artifact, as well as the place of display, the Kunsthalle Bern, so much so that Szeemann was forced to resign. Today that cannot happen, and in fact this curatorial breakthrough is being re-sacralized. What arose as a way of challenging the static, regular character of the classical is now being made static and regular in a situation of total acceptance: a simulacrum with no impact. Can we say that today the radicalism and transgression connected with the path of modernism have found their place, including the catastrophic and chaotic display of the exhibition of Szeemann? Is this Venetian remake the ultimate sublimating act of a radicalism that is obsolete at this point? “The challenge, the transgressive action, exist because a starting point and a possible alternative to an existing situation have been identiied. The utopian aspect of this, implying a different linguistic world, opposed to or at least different from the existing world, has to be seen in the historical situation of the moment, 1968-1969, when there was a realization that art had turned into a purely decorative act. Though the research conducted from 1945 to 1964, from Abstract Expressionism to Pop Art, had attempted to take the solitary, desperate dimension of the artist into account, his existential anguish and the dramatic experience of living, overwhelmed by the tragedy of World War II, and the dissolving of the moral and representative value of art as it was absorbed by the media imaginary, from advertising to cartoons, these intentions had failed to shake off the decorative value of the artifact. They were like duplicates of an individual and industrial imaginary, unable to weaken or discredit the practice of making, showing, communicating and consuming art. The attitudes produced and shown in Bern implied a scenario of display that occupied not just museums but also public streets and spaces, relecting a political action in which everyone, artists and viewers, were involved, which everyone had to become aware of. This was the true illusion that still reveals the desire for an Enlightenment revolution intertwined with the dream of pursuit of the radical discourse of the avant-gardes of modernism. Undoubtedly the remake of such an event runs the risk, in its repetition, of exalting an ideal moment, but at the same time it serves to make us perceive, through our approach to its ‘original’ state, the reality of a myth that cannot be entrusted only to photographic documentation, but requires the experience of an enthusiasm and fervor that demand engagement. The resurrection of When Attitudes Become Form puts the shade of a radicalism into circulation, which today no longer has any effect, because art is no longer a political weapon with respect to real struggles. Relying on today’s perspective, such goals seem facile and unreal, but we should emphasize the fact that this hypothetical defeat has led to a new dimension of the artistic imaginary. In retrospect, we can say that its impact on the world has been very small, but in any case it remains an inluence for the dissolving of traditional structures of the art system. If all this has been transformed into business today, so that art has lost any social identity to become symbolic and economic commodity, means that the attempt to separate from the compromise of consumption has failed. Art has let itself be driven by the market and has reached an extreme point of ineficacy in its critical and poetic relationship with society and culture. In the con-

luglio-agosto 2013 INTERNI struction of When Attitudes Become Form, the spatial adjustments each artist made in order to coexist with the others were very important. It is an interactive way of moving, instead of the creation of a private and independent space. There was no idea of ‘property’ but a simple territoriality of the work itself. The work itself sought linkage with the others, establishing a relationship of shared empathy. Such a link has a communitarian character, widely documented by the photographs showing different artists working at the same time, in the same room, almost like a ‘commune’ typical of that historical moment, based on a social practice that is both political and creative. It is something like a chance encounter that produces both confusion and fusion. The exhibition in Bern was almost a formation of propositions that ind development descending from ceilings or climbing walls, or seek a gravitational dimension on the loor. The true sense of Szeemann’s show was to put together an indeterminate becoming of art so one can perceive an ongoing transmit between the works, making it hard to isolate individual characteristics, conveying only the energy of the whole set. It is an interactive moment, a way of making a ‘network’ that brings out the passage from one to another, in a very timely way: simultaneity and coexistence of the artistic present, also underlined by the inclusion of bodily actions and gestures, from the spreading of margarine of Joseph Beuys to the molten lead of Richard Serra, or the works of Gilberto Zorio and Ger van Elk. Not to mention art as a process of on-site operation that tries to get beyond the sense of the packaged product, opting for a linguistic operation with respect to a speciic position or situation, not inside the institution but inside the urban contrast, from Michael Heizer to Daniel Buren. What emerges is an exhibition capable of functioning as a vortex that overwhelms the viewer, putting him into direct contact with the creative process. A way of subjecting the audience to a dizzying effort that alters vision, so they get lost in it.” Prior to reaching a solution that brings the reconstruction of a radical episode into a contemporary context completely dominated by other values that are not just linguistic but economic in character, how did you get all the scientiic data required to do a complete, precise mapping of what happened in Bern? “The research took place on different levels, which included the primary sources from the Szeemann archives, now at the Getty Institute in Los Angeles, and the direct accounts of artists or documents found in their foundations, as well as photographs and writings in the library of the Kusthalle of Bern. Gathering the information, including conirmations and surprises, we began to make a possible map of the works in each room. Here the collaboration with the Getty Institute, directed by Thomas Gaehtgens, was very important. The careful study done by Glenn Philips and his team of the documents, letters and photographs on Szeemann and When Attitudes Become Form enabled us to identify the works in the show and others. This precious investigation of curatorial sources was joined by research in the archives of the Kunsthalle, which brought out information useful to expand the overview of the event, including reviews and controversies from the time of the original show. Finally, the artists and their foundations provided valuable help, with information on the works. In general, the reconstruction relied on over one thousand photographs from the archives of Claudio Abate, Leonardo Bezzola, Balthasar Burkhard, Siegfried Kühn, Dölf Preisig, Harry Shunk and Albert Winkler, an almost complete collection, most of which has never been published, of what was recorded through photographic images. The pictures were analyzed and revealed discoveries that often brought new knowledge even to the protagonists of the show, alongside memories. Works and installations came to light that were never mentioned or recorded in the catalogue or in subsequent international scholarly research.” Once the map of all the works in and out of the show had been traced, how did you get them? Were there problems obtaining loans, or had any of the works been destroyed or lost in the meantime? What did you do in the show to account for absent works? “Since this was an exhibition that represented a break with the static, ixed character of the artwork, allowing for a performative factor, meaning that works could change over time or even self-destruct, it was immediately clear that in Venice a total reconstruction would be impossible. Nevertheless, we proceeded by trying to achieve the best results, in the awareness that the revisiting would have to be based on two realities: the inding of original works acquired by private and public collections, such as those of Carl Andre, Claes Oldenburg, Bruce Nauman, Eva Hesse, Giovanni Anselmo, Hanne Darboven, Reiner Ruthenbeck, Marinus Boezem and Richard Tuttle, and remakes done with the collaboration of the artists or their foundations, to reconstruct the visual impact of the individual rooms, the relationships of volumes and materials. The irst part was done in a traditional way, with requests to museums and collectors, while the second called for a return to the source, in this case the artists themselves or their archives, to see if it was possible to make a sort of copy or replica for display: this aspect raised a long of problematic issues, involving artists, museums and collectors. Certain artists no longer acknowledge the value of certain works from 1969, or think the works are rooted in their past and should no longer be shown. They might even reject them as errors of youth or ideas they no longer agree with. Has art changed so much since 1969? What was your approach in these cases? Reconstructing the exhibition, did you lean towards the historical documentation or respect for the desires of the artist today, forty years later? “The shift from one moment to another means transport in time, a resurrection of expressive and emotional things from the past. Since this does not happen through memory, but through a remake, the things are concretely reproduced and become present actions. The force of the past is updated. For some people it is hard to go back to impulses and motivations already experienced, while for others there is nothing new or different, because the active factor of the work is still in progress, still effective. In one case the evoking relections already processed gains, but too experimental or too youthful, while for others it is already a deinition of a path that bears witness to a linguistic declaration, in advance but already mature. Certainly the remaking of works today no longer corresponds to an attitude that tried to get beyond the traditional language, and it runs the risk of a return to the past. But to understand the present you have to make reference to transformations that have already happened, even if they seem like or actually are errors. After 1969 art slowly adapted to the society of consumption and mass information, so the focus on materials and gestures gave way to industrial and mercantile processes. The


INTERNI luglio-agosto 2013 artistic operation has slowly changed into a prefabricated and showy product: a specular and narrative construction of the real. A multiplication of what exists that has lattened out radical and transgressive visual discourse and forms. A spectacle of art has been created to re-propose a decorative, exhibitionist dimension, while the art triggered by 1968 wanted to be de-realizing and iconoclast. The aspiration of When Attitudes Become Form was to abolish the traditional ritual of display of works in favor of an experience of their process of construction and transit before the gaze of the observer. What is the role of the curator in an almost identical repetition of spaces and works of a show originally curated by someone else? Is there a sort of ‘copyright’ for the conception of a show? If so, is the project for an exhibition something like a work of art? Remaking WABF, was it necessary to play the role of the curator who meets the artists, or can the remake be done in an automatic, purely technical way, repeating actions and decisions? “If we take When Attitudes Become Form as an object of historical and linguistic use, made in 1969, as a compact, deinite unit, the irst curatorial operation is to restore it as a whole, putting the pieces back together (the single artworks). It is a process that is initially indifferent to the parts that make up the whole. The goal is not to trigger new associations or assign new positions, but to make a reconstruction, without modiication, using only what has been scattered. A rigid, orderly, harmonious structure in which the relationships of the parts form a closed circuit. Tracking down the surviving parts means putting the narrative ‘text’ prepared by Szeemann back together, in collaboration with the artists, as it was put into the white architectural ‘pages’ of the Kunsthalle in Bern. The gathering of the parts, often scattered or ephemeral, together with the remaining examples now in museums or collections, was like putting a puzzle together, a constellation that can be identiied as a whole, which was seen at the time as a new system of doing, displaying and thinking about art. This process coincided, then, with a true restoration of a product of creative activity. First of all, we had to recognize the value of the whole operation, as acknowledge by all the scholars of contemporary art; then we had to identify its material, its physical consistency, followed by aesthetic and historical recognition that contributes to the need of transmitting it to the future, as a founding factor of an important experience. This multiple consistency is granted by the interaction of architecture, works, relations, and all these components have been studied in a scientiic way, irst in relation to the time and place of the original, in Bern, and then in relation to the historical present and the show’s new positioning in Venice. It was fundamental to investigate the unity of the exhibition, in qualitative and quantitative terms, trying to get closer to its entirety. The next passage was to understand to what extent the reconstruction of that unity was possible. This happened by putting together all the possible information on the individual parts of the mosaic, also to understand where there would be gaps and voids that might involve the material of the show. What kind of intervention would be needed to ill the gaps? Could they be ixed with contemporary simulations, or should empty space be left to indicate absences? Or, in an even more radical approach, would it be necessary to construct images in vitro, coming very close to a ‘fake’ and nearly always failing? What would be the legitimacy of such an intervention of substitution or information? Should we work case by case, or on individual accumulations, room by room? How could we resolve all these issues that had to do with the vision of the curator, past and present, the awareness of the role of the curator which is not just to assemble new sets, but also to reconstruct environmental and cultural contexts, like a conservator, evoking traces of the past? We tried to respond to these problematic questions raised by the remake of When Attitudes Become Form by creating, in Venice, a dialogue between the curator-restorer-rebuilder of the things of art and the architect Rem Koolhaas and the artist Thomas Demand, to create a multiple, multilingual perspective capable of approaching the various architectural and visual responses. Together, we tried to ind solutions for the temporal and spatial connection between the event in 1969 and the decision to re-enact it. This is where the problem presented itself of the frame that contained the show in 1969, totally different from that of Venice in 2013: the need to deine a passage between the physical space in which the Kunsthalle and the Schulwarte in Bern were immersed, and that of the 18th-century palazzo of Ca’ Corner della Regina in Venice. Two different spatial contexts that would have to interact with the object When Attitudes Become Form. What possible connection or contrast would have to be found between the two time and space frames? Should we invent a third option that had to do with present enjoyment of the whole work, making it easy to perceive for today’s audience, or should we work in terms of an environmental and temporal rift? The difference is substantial and has to do with the relationship with the observer, the audience. Since any work of architecture has a different spatial value, putting aside that of Bern to use that of Venice would have been an operation that differed strongly with respect to the historical formulation. At the same time, erasing the historical presence of the walls in Venice in favor of a sequence of white cube rooms would have meant inserting the whole of what was curated by Szeemann in a limbo, without moorings or visual and experiential reference points in the present situation. We opted for a spatial solution that does not lean towards one architecture or the other, forcing a temporal and spatial break. The result is a continuum where the architectural problem alters and is altered by the grafting together of Kunsthalle, Schulwarte and Ca’ Corner della Regina. We have not attempted to achieve any false criterion of continuity or stylistic integration, and we have worked through contrast, inserting the modern spaces of Bern into the historical container of Venice in a clearly evident way. If you think about it, both the situations are part of the transmission of the work When Attitudes Become Form. Once we had found the right frame to bring out the complexity of a reconstruction, we then had to recover and reconstruct, where needed, the igures – that is, the works – that made up the ‘story’ in images told by Szeemann. The job of the curator in Venice, then, was to deny his own subjectivity as an assembler of exhibitions, to reconstruct and restore the text of another curator. This depersonalization is an attempt to make the objective and subjective relationship with the thing displayed no longer be considered a set of opposites. The inal task was to evoke a surprising product of the past, to identify with it, without approaching it as a

iNservice traNslatioNs / 99

romantic and nostalgic ruin of our past. Once reconstructed as the primary meaning of a series of unstable and random meanings, to enter into a diachronic relationship, to bring out a sensibility of the present. Since the project dates back to 1969, reconstructed and restored, in 2013 it needed a new relationship with the present, inserted in a zone of suspension, a territory extraneous to its history and its chronology – Ca’ Corner della Regina – with the idea of relaunching the geography and history of its imaginary. It is inserted like an irritating body in an inside, causing a secretion of defense: its new pearl.” Now that When Attitudes Become Form is open in Venice, at Cà Corner della Regina, what has changed in your path as a historian and a curator? “Revisiting a real event I had experienced directly in Bern and reconstructing it conirmed for me the power of the historical moment, on the plane of artistic language and on that of the procedures of the curator. Since this is a revisitation done for the Venice Biennale 2013, a non-neutral context, deined by other curatorial proposals – that of Massimiliano Gioni, with his Palazzo Enciclopedico, and those of dozens and dozens of curators in pavilions and shows – I have understood that the danger of contemporary art and its way of communicating lies in its reduction to a slender, weightless image capable of lowing rapidly, without being anchored, on the white wall, which can be the metaphor of a museum, a gallery, a fair. We have lost the contact and the dialogue with the context, and art is reduced to a product without weight and energy, fundamentally a temporary decoration of a possible white cube, symbolizing any host context. So I feel a growing need to anchor art to a place or a territory, asking it to put down roots, without forgetting history. For example, the erasure of the 16th-century architecture of the Arsenale, done by building routes of white walls in wood or plasterboard, is a sign of an environmental abstraction connected with the way art is put into a limbo. When Attitudes Become Form, on the other hand, was a whole that the market broke up into pieces, in the same way, but its force can be understood if you put it back together. The fragments do not form a statue or a vase, they are ruins, and here lies the risk of the contemporary present to transform itself into ruins. At the time, the claim of making are was not directed towards a hedonistic or didactic or economic practice, so things could be destroyed or dispersed, they could be useless and non-functional. What counted was proof of mental and physical, behavioral and emotional energy that led to the construction of imaginary ‘igures’ without any goal other than the pleasure of expression. The aspiration of the idea and its satisfaction tried to have an effect on the real, not only in exchange for survival, but in terms of the action on the audience, which was deined as ‘political’ back then: rejection of decorative enjoyment in favor of production of energy that would raise doubts and questions.” - pag. 46 Overall view of When Attitudes Become Form; in the foreground: Mario Merz, Acqua scivola [Igloo di vetro], 1969; in the background, left to right: Giovanni Anselmo, Il cotone bagnato viene buttato sul vetro e ci resta, 1969, and Untitled, 1969, Kunsthalle Bern, 1969. photo: Shunk Kender © Roy Lichtenstein Foundation - pag. 47 View of the installation of When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013, left to right: Gilberto Zorio Torce [Torches], 1969. Mario Merz Acqua scivola (Igloo di vetro) [Water Slips Down (Glass Igloo)], 1969. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina. Venice, 1 June – 3 November 2013. Photo: Attilio Maranzano. Courtesy: Fondazione Prada - pag. 48 Overall view of When Attitudes Become Form. Left to right: works by Gary B. Kuehn, Keith Sonnier, Alan Saret, Richard Tuttle, Bill Bollinger, Eva Hesse, Kunsthalle Bern, 1969. Courtesy: The Getty Research Institute, Los Angeles (2011.M.30). foto: Balthasar Burkhard © J. Paul Getty Trust. View of the installation of When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013. Left to right: works by Alan Saret, Keith Sonnier, Gary B. Kuehn, Walter De Maria, Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice, 1 June – 3 November 2013. Photo: A. Maranzano. Courtesy: Fondazione Prada. View of the installation of When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013. Left to right: works by Gary B. Kuehn, Eva Hesse, Alan Saret, Reiner Ruthenbeck, Richard Tuttle. Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice, 1 June – 3 November 2013. Photo: Attilio Maranzano. Courtesy: Fondazione Prada. Alighiero Boetti with “Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969,” 1969, When Attitudes Become Form, Kunsthalle Bern, 1969. foto: Shunk Kender © Roy Lichtenstein Foundation - pag. 49 View of the installation of When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013. Left to right: works by Barry Flanagan, Richard Artschwager, Alighiero Boetti, Mario Merz, Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina, Venice, 1 June – 3 November 2013. Photo: Attilio Maranzano. Courtesy: Fondazione Prada - pag. 50 Overall view of When Attitudes Become Form, Schulwarte Bern, 1969. Photo: Dölf Preisig © Dölf Preisig / Fotostiftung Schweiz / Pro Litteris. - pag. 51 Overall view of When Attitudes Become Form, Schulwarte Bern, 1969. Photo: Dölf Preisig © Dölf Preisig / Fotostiftung Schweiz / Pro Litteris.

iNdesign/iNcenter

separated at home pag. 52 by Nadia Lionello - photos Efrem Raimondi

created as protection from drafts, impersoNal but practical, aesthetically margiNal, over time the screen has chaNged its uses, becomiNg aN important decorative feature to divide spaces or to hide thiNgs that shouldN’t beeN seen - pag. 52 Opto screen with irregular geometry, frame in solid oak, panel in metal painted in different colors, or natural wrought iron. Designed by Catharina Lorenz and Steffen Kaz for Colè. Tina XXL bench in Canaletto walnut with padded seat, covered in fabric in the same color as the structure, in leather or eco-leather. Designed by Zaven for Miniforms. Mad Chair with single armrest, structure in flexible moulded polyurethane. Covered in fabric or leather. Legs in solid wood with Spessart oak finish. Designed by Marcel Wanders for Poliform. - pag. 53 F22 Clove floor lamp in galvanized and powder-coated steel, in white, anthracite or red. Low-consumption light bulb. By Dompieri&Pisoni for Fabbian. Miro screen composed of MDF panels, with mirrors on both sides. On the front, a transparent film bears a photographic image. By Francesco Bolis for Driade. Claire chair with natural ash structure, also available with smoke finish, seat and back covered with Teflon treated waterproof and stainproof


luglio-agosto 2013 INTERNI

100 / iNservice traNslatioNs fabric in three colors, or cotton fabric in four colors. By Orlandini Design for Calligaris. - pag. 54 Nippon hanging lamp with methacrylate support and shade in anti-reflection polycarbonate with multicolored decoration, or in black and white. By Roberto Giacomucci for Emporium light. Paper Patchwork component screen with panels in natural wood and covered with paper, in the new colored version. Part of the Paper Collection by Studio Job for Moooi. Stack chair with structure in solid ash and metal, seat and back with high-density polyurethane cushions, covered in fabric, leather or – by request – a mixture of materials and colors. By Stefan Krivokapic, Studio Skrivo for Contempo. - pag. 55 Simbolo screen from the Dream collection, in painted aluminium in the versions with white and black stripes, or with prints and aphorisms on the theme of dreams, or personalized with selected colors and prints, from Garilab by Piter Perbellini for Altreforme. Cerva chair with high back, structure in wenge-stained solid beech, covered with fabric with leather back or entirely in leather, from the Fendi Casa collection. Designed by the Fendi Casa team, produced by Club House Italia. From the Element collection, high table in metal painted black, white or red. By Tokujin Yoshioka for Desalto. - pag. 56 Metropolis table with beech legs and natural die-cast aluminium connectors, elliptical top in transparent tempered glass, in different sizes. Design by the Scab in-house styling center. Vase from the In the Air collection, in blown glass with cement base. By FX Balléry for Secondome. Screen in solid natural elm, base in painted metal, from the Fonte collection, also suitable for the bathroom. By Monica Graffeo for Rexa Design. Owens chair with moulded aluminium legs painted with pewter-tone finish. Padded seat and back covered in fabric or leather in a range of colors. By Rodolfo Dordoni for Minotti. - pag. 57 Zebra screen composed of small strips of painted aluminium, colored on one side, with mirror finish on the other, connected with fabric joints. Design Maurizio Galante for Opinion Ciatti. Terrazza drawer unit in natural ash veneer lamellar wood, legs in solid ash, matte painted drawer fronts in shades of red. By Emiliana Design Studio for Valsecchi 1918. Pulce table lamp for diffused lighting with sphere in white and blue or white and yellow opaline glass, base in aluminium painted in two colors. Designed by Emiliana Martinelli for Martinelli Luce. - pag. 58 Diva screen with panels of different heights for free compositions, customized with cover fabrics. Produced by Arflex. LC17 bench with structure in natural varnished Canaletto walnut, white or gray lacquer finish, padded seat in polyurethane with removable cover. Designed by Paola Navone for Letti&Co. - pag. 59 Alfred, a small screen composed of a panel clad in felt and an oak frame. Designed by Numéro 111 for Ligne Roset. Hive hassock with hexagonal seat, covering composed of small leather petals, assembled work cuttings and base in black chrome steel rod, posts covered in leather, small table with top in painted bent sheet metal, matte nickel-bronze finish. Designed by Atelier Oï for B&B Italia. Cheshire floor lamp with diffuser in green, white or black polycarbonate, metal stem and base in painted zama. Designed by Gamfratesi for FontanaArte.

fantastic wellness pag. 60

by Nadia Lionello - illustrations Filippo Protasoni

the evolutioN of outdoor living habits triggers New technological and formal solutions, iN tuNe with the eNviroNmeNt. louNge elemeNts, carpets, suN cots, all resistant to uv radiatioN aNd humidity, are the protagoNists of new landscapes of socializiNg aNd relaxation iN the opeN air - pag. 60 Infinity lounge module from the line of upholstered components for outdoor use, made with aluminium structure and irregular woven Lightwick fiber in warm gray and warm white; cushions covered in gray or white acrylic fabric. Designed by the Ethimo styling division. - pag. 61 Rayn double lounge with light gray aluminium structure painted with a particular electrostatic system, woven with flat and round belting. Legs and armrests in powder-coated aluminium. Cushions in foam covered with Solotex and linen. Designed by Philippe Starck for Dedon. Lawrence chaise longue from the seating component collection, including armchairs, hassocks and a table, with structure in graphite-color cast aluminium and hand weaving in WaProLace synthetic fiber. Removable cushion covers in 100% Tempotest acrylic, in white or dove gray melange. Designed by the Unopiù styling division. - pag. 62 Cosmo indoor-outdoor carpet composed of round parts of different sizes and kinds of workmanship, made by hand with solid-color or two-tone Rope. Designed by CRS Paola Lenti. Orson 008 sun cot in natural teak with ergonomic slats and reclining back. Designed by Gordon Guillaumier for Roda. Mirto cot with manual reclining back, structure in die-cast aluminium, white or dove gray polyester cover. Designed by Antonio Citterio for B&B Italia. Lisa mat in plastic loom-woven thread, in different colors and designs, machine washable. Designed by Lina Rickardsson for Pappelina. - pag. 63 Looping rectangular or round carpet made with a single polypropylene cord, twisted and joined with 1600 stitches. Available in four colors. Designed by the Limited Edition styling division in collaboration with Melene Dashorst. Arenzano folding lounger with natural oak structure and lightly padded seat covered in fabric made of 70% paper and 30% cotton, quilted, washable, in ten different colors. Natural wax finish. Designed by Raffaella Mangiarotti and Ilkka Suppanen for Woodnotes. Palin Air lounge chair with structure in oval steel tubing, adjustable in two positions, with Very High Protection treatment for outdoor use, coated with anti-UV powders, and seat canvas in the new striped version. Created by Studio Fermob. - pag. 64 Jakarta sun cot with structure in metal, padded and covered in polyester fabric in a range of colors. Designed by Claesson Koivisto Rune for Berga. Dozequinze rocking chair with galvanized painted tubular steel structure, elastics for seat and back. Designed by Francesco Sillitti for Gandia Blasco. - pag. 65 Daydream outdoor cot with adjustable back, covered in Rope 06, in solid or two-tone versions, directly woven on the structure by hand. Designed by Francesco Rota for Paola Lenti. Arles synthetic fiber carpet for outdoor use, resistant to UV rays, in black, gray or ecru. Designed by Paolo Zani for Warli. Bahama folding lounge chair in steel tubing treated with the “Emu Coat” protection system, featuring Emu-Tex outdoor fabric. Produced by EMU in different color combinations of structure and canvas. - pag. 66 Desert Snow round carpet from the outdoor collection, produced in Batyline® PVC by Tai Ping. Alura ALR 195T relaxation cot in aluminium with finish in texturized black, white or sand, and Batyline® black fabric. The button activates a patented mechanism hidden in the frame that lowers the seat and raises the back and the footrest at the same time. Part of the Outdoor Luxury collection designed by Kris Van Puyvelde for Royal Botania. O/K cot on wheels, fixed or with reclining back, with base in transparent thermoplastic technopolymer, in four colors, combined with Plastilex fabric. Designed by Rodolfo Dordoni for Kartell. Park Life sun cot with wheels, with electro-painted aluminium structure in two standard colors or other shades by request, and Chenilletex PVC fabric. Reclining back with cushion. Designed by Jasper Morrison for Kettal. - pag. 67 Agra Sunbed with reclining back, structure in stainless

steel covered with synthetic weave, removable cushions with acrylic fabric slipcovers in a range of different colors. Designed by Enrico Franzolini for Accademia. West, from the Loop collection, ultrathin carpet in jute woven by hand on looms. Designed by Deanna Comellini, produced by GT Design.

iNdesign/iNprofile

over-the-top design pag. 68 text Cristina Morozzi

Not a discipline, but a phenomenon capable of triggeriNg a chemical reaction with people. this is the idea of the desigN of Nigel coates, the english designer with a versatile backgrouNd who expresses his narrative vision of architecture iN objects

Nigel Coates sums up the qualities that help the English to forecast trends: a romantic, sensual bent that led him to visit Italian baroque gardens and then, in 1987, to get himself a home in Tuscany, where he still “drops by” at least 8 times a year. He also has a punk attitude, against nostalgia, destabilizing, that makes him live in the here and now. His excellent Italian, with some regional inlections, bears witness to the age-old love story with Italy of English art buffs; yet his training was not based on Renaissance memories, but on radical architecture, which he has assiduously studied since his irst trips to our country. His proliic portfolio of products, made mostly for Italian irms, contains items that are always imagined in a context, an interior that has to be the mirror of the soul of its inhabitants, “loating between earth and sky” and accompanied, always, by a melodic soundtrack: Italian, Brazilian, Portuguese music and, above all, David Bowie. “The interior,” Nigel says, “should be extra, always a bit over the top. It is a language that has to be spoken in an unexpected way. I am not interested in mere functional quality. Design should narrate, stimulate, construct a relationship of an instinctual nature, creating a special alchemy. Ideas,” he continues, “can be translated into sensorial experience, capable of captivating people without theoretical ilters. The inhabitant-interior relationship has to be regulated, as in the animal kingdom, by pheromones.” Links to the world of animals are always there in his production. From the base of the table in 2009, a limited edition of 12 pieces, composed of a group of pandas, to the legs of the stools for Fratelli Bofi, similar to those of giraffes, or those of the Pointer table that are like those of the dog of the same name, or the saddle-seat, made for riding... His work is like a compendium of his varied training: from the approach to the Florentine world of radical design, which led him to experiment with visionary architecture and projects, to his teaching experience at the Architectural Association; from the Japanese period, in which with the surprising Bongo Cafe he proposed a vision of the future as bricolage of the present, something straight out of the sets of Blade Runner (1982), to the encounter with Poltronova, which asked him to design a collection in 1989; all the way to the experience with Swarovski Crystal Palace (2002) and the collaboration with Fornasetti (2002). He doesn’t think of design as a discipline, but as a phenomenon with a regal aura. He believes the project, far from the egalitarian idealism of the Bauhaus, can become a powerful medium of self-expression and work as a talisman. “In the interior,” he says, “every piece should have a soul that conveys poetry and expresses strong emotions in a simple, instinctive way.” His habitat visions, ‘Casa Reale’ (2011) and ‘Baroccabilly’ (2012), are a mixture of special objects, sensual details, voluptuous lines, opulent materials combined with essential forms conceived to produce fascination, almost in a shamanic way. The ideal inhabitant of his domestic igurations is Jean Des Esseintes, protagonist of the story À rebours by Joris Karl Huysmans (1884), who retreated into an artistic world of his own creation, illed with obsessions and fetishes. “To dwell,” he concludes, “is a sort of voyeuristic voyage full of dangerous curves.” The danger of Nigel is playful, never damaging, though at times it can be a bit slippery. His wide range of creations, from furniture to lighting to objects, forms a catalogue of anthropomorphic and zoomorphic fantasies, of symbols that are never aggressive, always benevolent, easy to understand and to love, also for their way of balancing between modernity and tradition, the commonplace and the unexpected. A special chapter in Nigel’s career away from the demands of the market and the inluences of styles, keeping faith with his romantic/punk DNA expressed with lightness, is represented by the art direction of Slamp, the lighting manufacturer specializing in new-generation materials. “Operating as an art director,” he reasons, “means working together, in a humble way, with the company and with the designers. Roberto Ziliani, the owner, says we are complementary: he’s the pasta and I’m the sauce.” This well-balanced recipe leads to special and affordable products, like the suspension lamps of the Avia and Aria series, composed of 50 layers of Cristallex®, designed by Zaha Hadid and presented at Euroluce 2013. Coates is fascinated by materials and he knows how to expertly bring out their best. Glass was the theme of his recent exhibition in London, Handblown, which featured two different working approaches, both done by the master craftsmen with whom Nigel usually works, both in Italy and in England: traditional glass blowing, and the shaping of borosilicate glass. In the Carry Ardits collection of vases and lamps Nigel focuses on the luidity of the material, giving the vases slender arms that support thin disks in a delicate balance. In the Flame series he makes the glass have more body, to reproduce the leaping of lames. The Tulip vases, inally, bring out the fragile nature of the material, making it palpitate, like the petals of lowers. - pag. 68 Cuore lamp in Plainflex® from the Illuminati series, one of the latest projects by Nigel Coates for Slamp. Above, portrait of the English designer (photos Guillaume De Laubier). - pag. 69 Above: Crocco wall lamp in Lentiflex® and stainless steel, produced by Slamp. To the side: Angel Falls chandelier with crystal figures and stainless steel base, produced by Terzani. Corona wall lamp, a prototype made for the Casa Reale installation in Milan in 2012. Below, from left: two vases in borosilicate glass from the Carry Ardits


iNservice traNslatioNs / 101

INTERNI luglio-agosto 2013 collection for the Secondome gallery; Fiascone maxi-bottle in blown glass, decorated by a lithograph depicting fire (edition of eight pieces); Flame vase, a series of two one-offs in blown glass with a spiral form. - pag. 70 Image of the iconic Bongo Cafe in Tokyo, designed in 1986 by Nigel Coates. - pag. 71 Uomo lighting fixture in Planiflex® from the Illuminati series, produced by Slamp. Below: Aviator mirrors, self-produced. Punctum corner mirror in polished steel with LED backlighting, produced by Slamp. Right: Back to Back divan with walnut structure, produced by Fratelli Boffi.

powder-coated galvanized iron. They reinterpret an outdoor furnishings classic, in unusual colors like bordeaux, antique sky blue, forest and sage green. - pag. 77 Below: the Lawrence collection includes seating components, hassocks and a low table. All the pieces are covered with handwoven WaProLace synthetic fiber; the cushions come in thirty different textures and colors. Below: the Les Arcs collection is composed of an armchair, sofa and low table in teak and aluminium tubing covered in Tempotest 100% acrylic fiber. Traditional materials reinterpreted in an unusual mixture.

iNdesign/iNproject

roto-lace pag. 78

Nature-world pag. 72 text Valentina Croci

martino berghinz has created the New coNcept for the moNobraNd aNd fraNchise stores of unopiù. a coNtemporary image aNd a flexible format, a new chapter for this outdoor furNishiNgs compaNy, with aN eye oN internationalism

Wooden sticks create 3D wings, while dividers with full and empty zones and off-scale graphics display the furnishings in an original dialogue with an abstract nature. The colors of the space are neutral, like the cool shades of the patterns, t bring out the materials and tones of the Unopiù products. This sums up the concept by Martino Berghinz for the new stores of the company from Soriano nel Cimino. After the irst test in Brescia and the two ‘Espaces’ in the centers of Milan and Rome, the remaining 34 stores will be transformed with the same approach, while an equal number of franchises will be opened in Europe and the world over the next three years. The strategic program of Marco Dolcino, CEO of the company for one year now, is ambitious: to consolidate the sales formula that has always been applied by Unopiù, while opening to the contract sector and boosting image perception. “The company,” Dolcino explains, “was founded in 1978 with the idea of direct sale to consumers, developing mail order services (now online). Over time key markets have emerged – Italy, France, Spain and Germany – in which the irm has opened 31 exclusive stores and six franchising outlets. In 2012 this ‘BtoC’ formula has been opened up to dealers, adding the ‘BtoB’ model. This has led to confusion regarding displays, which have been stratiied. In fact we have three types: small shops in city centers (‘Espaces’), spaces of 400 to 500 square meters, and large facilities outside city centers, with areas of over 2000 square meters. Everything has to communicate with the same language, so we needed a lexible format also suitable for franchises. Hence the project by Martino Berghinz”. So the concept has to adapt to different needs, like visibility from the street, in the case of urban stores, or the capacity to organize the display of a vast number of products, as in the large suburban facilities. Berghinz responds with a few versatile elements: racks, grilles and display ixtures for the technical area. These are components custom made by Unopiù with the same technologies used to make the company’s products. The racks offer protruding and recessed niches and can be used on both sides, also as freestanding partitions, while the grilles form transparent wings or become racks in their own right. The device for the technical area responds to the need to display the large catalogue range of pergolas and shelters. It is concentrated in a few meters thanks to a series of panels arranged in a zigzag layout on square platforms. The Unopiù wooden decks are used in platforms around the display areas, while teak is applied to create carpet-like zones, emphasizing its versatility. “We needed to renew the image,” Dolcino continues. “Our catalogue communications, however, are still quite traditional. This is because the technical timing for the transformation is longer, but it is also because we do not want to disorient loyal customers – a list of over 500,000 persons, developed over twenty years, who are not ‘design-oriented.’ The communication has to express a delicate balance between renewal and conservation of the heritage and values of the company. We do not want to change our consumer target, but we do want to recover the ability to represent a kind of middle-class luxury. In outdoor spaces there is no need for too much design, people want to see the object as it combines with nature. What is required is to offer a vast range of styles and materials, that transmit an idea of quality and substance.” Unopiù products are not signed by designers, though outstanding talents have been designing entire collections for years. “Our brand is famous enough to attract excellent designers, like Michele De Lucchi, with whom we are beginning a project. We want the designer to help us along a path of quality, consistent with the corporate identity, allowing the products in the catalogue to be combined with each other. We need to increase perceived quality, mixing materials in an original way, updating current techniques and aesthetics in traditional materials.” The next goals for Unopiù are the store in Lugano, franchises in England, Greece and Turkey, and a project for Belgium and Holland, with ive franchises supported by a catalogue for the local market. In these countries, and all over Europe, the distribution starts from Italy directly to private customers, thanks to the company’s two decades of experience in providing this type of service. From design to communication to point-of-sale, Unopiù is striving to balance tradition and contemporary innovation. - pag. 72 Images of the Unopiù store on Via Pontaccio in Milan, part of the ‘Espace’ typology: small outlets in urban centers, focusing on furnishing products more than larger structures. For the dividers, Martino Berghinz (facing page) has used racks, a freestanding display system with niches for use from both sides. The rack is decorated with off-scale patterns of natural elements, that can be changed from season to season (photo Francesco De Monte). - pag. 74 The ‘Espace’ outlets also focus on shop windows. In Milan a grille has been used, along with semi-transparent glass screens with graphics to form a backdrop without concealing the space behind them (photo Francesco De Monte). - pag. 75 Another view of the store in Milan. To add dynamism to the back wall, Berghinz has created ‘wisterias’: cascading bas-reliefs made with pieces of wood. The idea comes from the Wiener Secession and evokes the theme of climbing plants. Wooden platforms in neutral tones border the display areas (photo Francesco De Monte). - pag. 76 The Foldy tables and chairs by Unopiù are made with

photos Federico Villa - text Maddalena Padovani with the alba collectioN of vases produced by serraluNga, massimiliamo adami develops a new constructive process that revolutioNizes the aesthetic potential of rotomoulding

A designer, artist and demiurge, Massimiliano Adami has always been a very contemporary igure with his many facets of identity, appreciated by art-design galleries but more challenging for companies in search of creators of beautiful forms. With the Alba project for Serralunga, Massimiliano demonstrates that he has found a place inside the logic of industrial production as well. A role closely linked to the project material, which Adami observes, manipulates and reinvents from a new vantage point. This already happened with Alcantara, then with the porcelain stoneware of Rein, and more recently with the polyurethane of the self-produced Gommapiuma Décor collection. Now the material is polyethylene, which Serralunga uses to make roto-moulded products. Once again the project comes to life in the hands and the workshop of Adami, where he returned with a big box of powdered material after having seen the production process for vases, lamps and furnishings. “Since everything is made with a single mould,” Adami says, “these objects share a uniform, monochrome, monolithic look that immediately triggered the idea of working on their materic identity.” No sooner said than done: Massimiliano geared up with an electric kiln, cake moulds, heat pistol; on a small scale, and in a very basic way, he reproduced the mechanisms and phases of rotomoulding to explore its possibilities. Modify the rotation system of the arm that holds the mould and separating the coloring into multiple phases, the designer has achieved an interesting expressive result: a small vase that was previously uniform in color takes on an evocative shading that makes it seem much lighter; the surface loses its compact image, trimming down in an irregular border that takes on the delicacy of modern lace. All this suficed to make Marco Serralunga, CEO, and Raffaella Mangiarotti, art director, understand that this invention of the process can open up a new panorama of aesthetic potential for rotomoulding. The Alba collection of vases shown at the latest Salone del Mobile has an intentionally archetypal form. The material, with its chromatic vibrations and particular touch, gives meaning to this project which has the virtue of unveiling the craftsmanship that lies behind the serial production of polyethylene objects, creating a starting point for new product research. - pag. 79 Some of the shadings of the Alba collection of vases, produced by Serralunga in two-tone polyethylene. Above, phases of the rotomoulding process. Facing page: detail of the irregular border of a vase, and a sketch by Massimiliano Adami that starts with a material sample found at the factory.

produzione impropria pag. 80 by Chiara Alessi

from the hypothesis of a ‘designer-company,’ projects by sixteen students of the milan polytechnic aNd a collection of objects coNceived to demoNstrate the poteNtial of self-production as a coNtemporary alternative to the classic model of industrial production

Design, production and distribution, in history, have always gone through phases of grouping and dispersing. There are clues, however, that self-production today no longer ills the place of the predecessor of the standard industrial model, but has become its contemporary alternative. One initial novelty with respect to past experiences has to do with the technological, social and political premises of the present self-production scene: irst of all, the idea of a widespread, affordable design, with an increase in the number of people in possession of advanced tools of fabrication. At the same time, mass markets are demonstrating their fragility, while open source software helps to spread technological know-how. The peer-to-peer production model is joined by e-commerce as a fundamental distribution channel. Another important new development is a greater awareness – even in Italy – that seeks more sustainable and immediate production solutions, where designers do not stop designing for production, but also begin to design the construction and distribution of products. The hypothesis of a “designer-company” (Stefano Maffei and Massimo Bianchini) has prompted the students of the second year of the School of Design of the Milan Polytechnic to approach, at the end of the 2012/2013 school year, not a product but the idea of a global designer, thinking of themselves as self-producers. The results of the workshop form a collection of objects that converge in “Produzione Impropria” (produzione impropria.com): a project-manifesto involving – for the moment – sixteen young creative Italians, with the aim of demonstrating that in our country too it is possible to “restore the value of self-production and get away from the dynamics of classic design and manufacturing.” The typologies range from wooden skis made by local craftsmen to equipment for making pasta, as well as a natural ink made with refuse, an analog refrigerator, an audio playback system with separate channels, and an synesthetic educational game in which children can draw and color the properties of sound. In spite of their diversity, the ten objects


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harmoniously share a dynamic catalogue which traditional marketing might not recommend, but which takes on new meaning precisely outside the classic system of production and distribution. Many of the pieces are done by duos, and they all have their own website. Each item condenses and displays awareness and responsibility of a much wider process, pointing the way for all people operating in the ield of design. When interviewed, the sixteen designers say the biggest problems come precisely in the phase of material construction, while design and distribution are less critical. In the latter area nearly all of them imagine using an e-commerce system, while also approaching the market through fairs and shops. As for processes, the collection relects nearly all the even hybrid and contradictory facets of self-production: completely analog creation and digital-analog mixtures, manual production or outsourced work, products and software, inished and semi-inished goods. When asked the provocative question “would you sell your project to an interested company?” the students offered different replies: less than half made categorical denials (“that would mean exploiting the self-production concept simply as a channel to propose your idea to companies”), while others were more open to suggestion (“if an important brand we think can relect the nature of the project were to make a valid proposal, we would take it into serious consideration”). Apart from the compatible but not exclusive nature of this new design dimension of self-production, the results are truly noteworthy, not so much for the quality of the objects (though some of them are truly special), but above all for the fact that they were made in a school, where students are inally learning by doing.

luglio-agosto 2013 INTERNI opacity as it takes form inside us day by day, applying overlaid transparencies, interlocking oases of cognitive tangibility in a productive scenario in which cross-media acceleration generates perceptive slag that is deposited on the eyes and ingers of users, winding up – in spite of terse, relecting, crystalline surfaces – by obscuring the mental space of decoding of objects.

- pag. 80 Some of the first prototypes of the collection Produzione Impropria presented during Design Week 2013 in Milan. From left: Alcide, an analog refrigerator based on the physical principle of thermal convection, designed by Giada Lagorio and Jasmine Pilloni. Above: Estratto, an ink of botanical origin made with scrap materials, designed by Ludovica Canzutti. - pag. 81 To the side: Sestetto, an audio playback system with separate channels, designed by Stefano Ivan Scarascia and Shyam Zonca. Lower left, Musicink, a musical game that allows children to color the properties of sound, designed by Gilda Negrini and Riccardo Vendramin; below, Oplon, an acoustic guitar with sides and back in aluminium, designed by Pierluigi Chiarello and Francesco Tarantino.

- pag. 82 Left: the Bake Me a Cake lamp by Morten & Jonas for Northern Lighting, which will be produced by the inmates of a Norwegian prison near Bergen (photo: Tom Gustavsen, Norway). Below: Etica by Daniele Gualeni for Ilide (Italian Light Design), the new lighting company that intends to promote crafts Made in Italy, as opposed to anonymous mass production. - pag. 83 Above: Deriva by Cristina Celestino for the self-produced brand Attico is a collection of contemporary totems based on the geometric forms of fishing floats (photo: Mattia Balsamini). The Roots vases by Giorgio Bonaguro are ambivalent objects that can be used in two ways: as solifleurs on one side, or vases for bouquets on the other. Presently on view at Galleria Luisa Delle Piane in Milan (photo: Andrea Basile Studio). Above: the Knot hanging lamp produced by Vitamin is composed of a cable with a knot that supports the handmade blown glass shade (photo: Vitamin). Below: the vases by David Derksen are based on the experiments of James Dewar, the Victorian scientist who invented the insulating double-walled vessel known today as the thermos. - pag. 84 The Uplifting carafes by Dean Brown and Fabrica for Secondome use a metaphor of “uplifting spirits” when drinking together. They contain Chianti, Prosecco, balsamic vinegar and olive oil, that seem to float over the surface of the table (photo: Secondome). Left: Meltdown by Johan Lindstén for Cappellini is a fine blown glass handcrafted lamp, made with the intention of creating something beautiful from the nuclear accident of Fukushima. The process of fusion of the glass is ‘frozen’ and displayed in progress, with the bulb about to cross the bubble. Right: the Fossil lamp by Neil Conley is seen as the ‘museum’ conservation of the light bulb invented by Thomas Edison in 1880, like an industrial fossil conserved in amber, which thanks to a dimmer ‘breathes’ at the touch of the user. - pag. 83 To the side: in the 28 series by Omer Arbel for Bocci the form has not been designed, but a system that produces form and generates each individual piece, which is different from the others, thanks to a complex technique of glassblowing in which the air is introduced intermittently. Below: Flask by Tom Dixon is a ‘mysterious chemical experiment’ composed of two parts in handmade blown glass, with rippled surfaces to spread soft light.

objects inside pag. 82

iNdesign/iNproduction

by Stefano Caggiano

the in and out of thiNgs: a relatioNship that fiNds New aesthetic expression iN a series of double-bodied products, whose transparency eNcourages us to observe aNd touch their innermost structural logic

The design scene today is like an extremely varied range, from bodiless digital apparitions to opaque products full of hidden added functions. The resulting objectual phrasing, as a whole, seems intrinsically contradictory, a mobile congeries of transparencies and opaque surfaces that generate fewer traditional containing forms (design that deines the material) and more diaphanous hyper-forms that transcend the material nature of things, transforming the physical boundaries of the object into thresholds of access to other dimensions. Paying attention to these ‘augmented depths’ becomes a usage value even in ordinary items, free of special effects, as demonstrated by a recent trend towards products that are ‘doubled’ inside, and open to the gaze, encouraging us to touch their innermost logical structure. This is what happens in the clusters of lamps from the 28 series by Omer Arbel for Bocci, or in the Meltdown lamp by Johan Lindstén for Cappellini (discovered by Giulio Cappellini at the Salone Satellite 2012 and put into production in record time), or with the Flask hanging lamp by the English designerbrand Tom Dixon, presented as a ‘mysterious chemical experiment’ formed by two blown glass parts whose ripples spread a soft, caressing light. Through their structurally transparent appearance, these objects stage the experience of ‘truth’ itself, of ‘access’ to a perceptible inner dimension. It is not a question of what is made visible, but of the very fact that an inner core is displayed and made available to experience. Because in a world full of techno-mysteries (what is going on inside a smartphone, a tablet, an mp3 player?) the display of internal logic becomes a value, used as an aesthetic idiolect by objects that tune their language to the visual harmonics of the vanishing of things (an extremely hot semantic driver of late), while doing so by applying the material grammars of design, exposing the core, as in the Fossil project by the young English designer Neil Conley, in which a lamp is allowed to ‘breathe’ by the touch of the user, thanks to an incandescent ilament of the type invented by Edison connected to a touchsensitive dimmer. A similar principle of baring of truth also informs more market-oriented projects, like the Bruno lamp by Karim Rashid for Verreum and Gaia&Gino, Etica by Daniele Gualeni for Ilide, and the Knot hanging lamp produced by Vitamin, in which the displayed functional truth consists of a cable knotted to the support of the object, a solution marked by great ‘cognitive tangibility’ if we consider how hard it is to explain how to make a knot, in words, and how clear the task is once it has been demonstrated. In these objects (which are often lamps) the internal logic is not the opposite of the external appearance; aesthetic rigor does not remove inner meaning; in and out work together to sublimate the impalpable character of digital origin in the material poetry of the object, translating it into an product architecture entirely organized around the experience of access to ulterior dimensions. So in Bake Me a Cake by Morten & Jonas for Northern Lighting it sufices to raise the ‘cake cover’ to change the bulb. And then Deriva by Cristina Celestino for Attico, a collection of vases and small aquariums in borosilicate glass with a visible inside; or the Dewar vases by David Derksen, inspired by the double walls of a thermos; or the pieces for the conceptual color collection Preserves, designed by Mathias Kahn; and the Uplifting carafe by Dean Brown and Fabrica for Secondome, or the ‘ambivalent’ Roots vases by Giorgio Bonaguro (for use as a solileur on one side, and a full vase on the other): all projects that defy contemporary

mobile geometry pag. 86 by Katrin Cosseta

multicolored aNd polymateric inlays, 3d illusioNs, optical graphics, patchwork faciNgs, explosioNs of color. the kaleidoscopic eNergy of desigN - pag. 86 1.2. Earthquake 5.9 by Patricia Urquiola for Budri. Installation with artistic inlays and a collection of furniture and complements made with fragments of marble and semi-precious stones salvaged after the earthquake in Emilia in 2012, which damaged the materials archive of the company from Mirandola. The table has a top with geometric designs in multicolored marble and resin. 3. Noto by Giulio Iacchetti for internoitaliano, cabinet in painted MDF. Four parts that open and close like a box. Made by Galimberti & C. 4. Causeway by Pedro Sousa, cabinet with solid wood structure, volume covered with veneer of different types of wood, in a 3D pattern. Limited edition made by Pedro Sousa Studio. 5. Triangles by Bertjan Pot for Golran, collection of 4 models of kilim carpets in different color variants, with patterns based on the geometric motif of the triangle. - pag. 88 1. Quadro by Alessio Bassan for Capodopera, hanging cabinet with lacquer fronts enhanced by 3D Scacco texture. 2. Dear Disaster, designed and produced by Jenny Ekdahl, beech cabinet with doors covered with over 2000 mobile wooden ‘scales’ painted on one side to create personalized patterns. 3. Windbench, from the Windworks collection designed and produced by Merel Karhof, made in Holland using wind-powered machinery to cut the wood, and to dye, spin and weave the fabric covering. - pag. 89 1. From the Re-imagined Chairs project by Nina Tolstrup for 19 Greek Street, Tall Chair and Original Chair, respectively covered with Annabelle Satin and Molly Check fabrics by Marc Jacobs. Limited editions. 2. Patchwork Table by Arik Levy for Established&Sons, with top painted in different colors. 3. Ottoway by Missoni Home, hassock covered in polyester, acetate and silk fabric. 4. Wing by Bolon Studio, collection of vinyl floors based on 5 different modules for the creation of geometric patterns, combining different lines by the company. - pag. 90 1. Stargate absolute black, from the Natura Collection by Antolini. Decoration on stone material available in sheets measuring 130 cm in height with length varying according to the block, thickness 2 or 3 cm. 2. Infinity by Meneghello Paolelli for Horm, cabinet composed of square modules with lacquered structure, doors veneered in stained beech. The doors are covered with three decorative elements in painted laminate, applied with magnets, to permit creation of different graphic motifs. 3. Ink by Emilio Nanni for Zanotta, tables with legs in painted steel, top with finish in decorated fabric printed with a digital technique and covered with resin. - pag. 91 1. Logenze by Patricia Urquiola for Ruckstuhl, carpet made with the Soumak technique (a traditional wrapped weave from the Caucasus) with 3D surface effect. Available in three colors. 2. Slide by Alessandro Dubini for I4Mariani, cupboard with alternating bands of teak, zebra and louro preto wood, on bronze-plated steel base. 3. Seneca by Ferruccio Laviani for Emmemobili, cabinet with three types of openings (frontal, lateral, upper), mosaic finish with 10 different types of wood, truncated pyramic base in burnished brass. 4. Aziza by Romeo Sozzi for Promemoria, chair covered in velvet, printed on the back with a cube motif with 3D illusion. 5. Booleanos by Joel Escalona for Nono, cabinet in MDF. The different wood finishes create an effect of transparency and deconstruction. - pag. 92 1. Build Rug by Jacob+MacFarlane for Chevalier Editions, handmade wool carpet composed of irregular parts assembled in a sort of evolving architecture. 2. Fishbone Tables by Patricia Urquiola for Moroso, tables with circular, square or rectangular top in Alicrite, with shiny finish for a polymateric inlay effect. 3. K2 by Alessandro Mendini, reinterpretation for A Lot Of of the Kandissi sofa designed in 1979, revised in terms of proportions and materials, including lacquered MDF and recycled polyurethane. 4. Victor by Luigi Gorgoni for Roche Bobois, credenza with painted wooden feet, door fronts in two-tone Daquacryl. 5. From the Multiverse collection by Karim Rashid for Glamora, Mirage wallpaper available in four color variations.


INTERNI luglio-agosto 2013 19 GREEK STREET UK LONDON W1D 4DT Tel. +442077345594, www.19greekstreet.com, hello@19greekstreet.com A LOT OF A. Gabriel Monteiro da Silva 256 Jardim America, BRA SAO PAULO 01442-000 Tel. +51130688891-30689370, www.alotof.com.br, alotof@alotof.com.br ACCADEMIA - POTOCCO spa Via Indipendenza 4, 33044 MANZANO UD Tel. 0432745111, Fax 0432937027, www.accademiaitaly.com, info@accademiaitaly.com ALTREFORME FHOME srl V.le Alcide de Gasperi 16, 23801 CALOLZIOCORTE LC Tel. 03416381, Fax 0341638493, www.altreforme.com, info@altreforme.com ANGELO PO GRANDI CUCINE spa S.S. Romana Sud 90/F, 41012 CARPI MO Tel. 059639411, Fax 059642499, www.angelopo.it ANTOLINI LUIGI & C. spa Via Marconi 101, 37010 SEGA DI CAVAION VR Tel. 0456836611, Fax 0456836666, www.antolini.it, al.spa@antolini.it ARFLEX - SEVEN SALOTTI spa Via Pizzo Scalino 1, 20833 GIUSSANO MB Tel. 0362853043, Fax 0362853080, www.arflex.com, info@arflex.it ATTICO Via Marcona 80, 20129 MILANO Tel. 3407056875, info@designattico.com B&B ITALIA spa Strada Provinciale 32, n.15, 22060 NOVEDRATE CO Tel. 031795111, Fax 031791592, www.bebitalia.com, info@bebitalia.com BERGA AB Jarnvagsgatan 45, SW 4SE 579 30 HOGSBY Tel. +4649128010, Fax +4649128025, www.bergaform.se, info@bergaform.se BOCCI Tel. +16046395185, Fax +16043571425, www.bocci.ca, info@bocci.ca BOLON AB Industrivägen 12, SE-523 22 Ulricehamn Tel. +46321530400, Fax +46321530450, www.bolon.com, info@bolon.com Distr. in Italia: LIUNI spa, Via G.Stephenson 43, 20157 MILANO Tel. 0230731, Fax 023073221, www.liuni.com, info@liuni.com BUDRI srl Via di Mezzo 65, 41037 MIRANDOLA MO Tel. 053521967, Fax 053526713, www.budri.com, info@budri.com CALEIDO by CO.GE.FIN. srl Via Maddalena 83, 25075 NAVE BS Tel. 0302530054, Fax 0302530533, www.caleido.it, caleido@caleido.it CALLIGARIS spa Via Trieste 12, 33044 MANZANO UD Tel. 0432748211, Fax 0432750104, www.calligaris.it, calligaris@calligaris.it CAPO D’OPERA srl Via Fornaci 23, 31020 REVINE LAGO TV Tel. 0438524179, Fax 0438524189, www.capodopera.it, capodopera@capodopera.it CAPPELLINI CAP DESIGN spa Via Busnelli 5, 20821 MEDA MB Tel. 03623721, Fax 031763322, www.cappellini.it, cappellini@cappellini.it CHEVALIER EDITIONS 20, rue Saint Claude, F 75003 PARIS Tel. +33143078744, www.chevalier-edition.com, commercial@chevalier-edition.com COLÉ Via Cesare Da Sesto 11, 20123 MILANO Tel. 0222228454, Fax 0222227702, www.coleitalia.com, info@coleitalia.com CONTEMPO N.E.W.S. srl S.S. 96 Km. 96+800 - Z.I. 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Statale Regina km 6,500, 62018 POTENZA PICENA MC Tel. 0733671747, Fax 0733870081, www.emporium.it, emporium@emporium.it EMU GROUP spa Z.I. Marsciano, 06055 MARSCIANO PG Tel. 075874021, Fax 0758743903, www.emu.it, info@emu.it EPIPHANY SOCIETY LECCE Via degli Ammirati 6 ang. via Petronelli, 73100 LECCE Tel. 0832300902, www.epiphanysociety.com, info@epiphanysociety.com ESTABLISHED & SONS 5-7 Wenlock Road, UK LONDON N1 7SL, Tel. +44 20 76080990 Fax +44 20 76080110, www.establishedandsons.com, info@establishedandsons.com ETHIMO WHITESSENCE srl Via Canova 6, 01100 VITERBO Tel. 0761300400, Fax 0761300450, www.ethimo.it, info@ethimo.it F.LLI BOFFI srl V.le Industria 5, 20823 LENTATE SUL SEVESO MB Tel. 0362564304, Fax 0362562287, www.fratelliboffi.it, info@fratelliboffi.it FABBIAN ILLUMINAZIONE spa Via Santa Brigida 50, 31023 CASTELMINIO DI RESANA TV Tel. 04234848, Fax 0423484395, www.fabbian.com, comunicazione@fabbian.com FENDI CASA CLUB HOUSE ITALIA spa Via Balzella 56, 47122 FORLÌ, Tel. 0543791911 Fax 0543725244, www.clubhouseitalia.com, info@fendicasa.it, clubhouse@clubhouseitalia.com FERMOB Parc Actival, F 01140 THOISSEY Tel. +33 0 474697911, Fax +33 0 474040931, www.fermob.com Distr. in Italia: CARGO HIGH TECH, Via A. Meucci 39, 20128 MILANO Tel. 022722131, Fax 0227221320, www.cargomilano.it, info@cargomilano.it FLEXFORM spa Via L. Einaudi 23/25, 20821 MEDA MB Tel. 03623991, Fax 0362399228, www.flexform.it, info@flexform.it FLOS spa Via Angelo Faini 2, 25073 BOVEZZO BS Tel. 03024381, Fax 0302438250, www.flos.com, info@flos.com FONTANAARTE spa Alzaia Trieste 49, 20094 CORSICO MI Tel. 0245121, Fax 024512560, www.fontanaarte.com, info@fontanaarte.com G.T. DESIGN srl Via del Barroccio 14/a, 40138 BOLOGNA Tel. 051535951, Fax 051531112, www.gtdesign.it, info@gtdesign.it GALIMBERTI VINCENZO & C. Via Aldo Moro 24, 22066 MARIANO COMENSE CO, Tel. 0314053646 GANDIA BLASCO sa c/Músico Vert 4, E 46870 ONTINYENT-VALENCIA Tel. +34962911320, Fax +34962913044, www.gandiablasco.com Distr. in Italia: DESIGN D’OCCASIONE, Via Machiavelli 1, 40069 RIALE DI ZOLA PREDOSA BO Tel. 051758908, Fax 0516167090, www.designdoccasione.com commerciale@designdoccasione.com GLAMORA Via Radici in Monte 109, 42014 ROTEGLIA REGGIO EMILIA Tel. 0536076403, Fax 0536076404, hwww.glamora.it, contact@glamora.it GLASS IDROMASSAGGIO srl Via Baite 12/e, 31046 ODERZO TV Tel. 04227146, Fax 0422816839, www.glassidromassaggio.it, info@glassidromassaggio.it GOLRAN srl Via Pietro Panzeri 11, 20123 MILANO Tel. 0289405725, Fax 0258104114, www.golran.com, info@golran.com HANSGROHE srl S. Statale 10 km 24,400, 14019 VILLANOVA D’ASTI AT Tel. 0141931111, Fax 0141946594, www.hansgrohe.it, info@hansgrohe.it HORM Via San Giuseppe 25, 33082 AZZANO DECIMO PN Tel. 0434640733, Fax 0293664079, www.horm.it, horm@horm.it

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Viale del Lavoro 88, 33050 PAVIA DI UDINE UD Tel. 0432656600, Fax 0432656612, www.lettiandco.com, info@lettiandco.com LIGNE ROSET ROSET ITALIA srl C.so Magenta 56, 20123 MILANO Tel. 0248514007, Fax 0248022388, www.ligne-roset.it, info@ligne-roset.it LIMITED EDITION 284, Chaussée d’Aalbeke, B MOUSCRON Tel. +3256843450, Fax +3256852798, www.limitededition.be LISTONE GIORDANO - MARGARITELLI spa Fraz. Miralduolo, 06089 TORGIANO PG Tel. 075988681, Fax 0759889043, www.listonegiordano.com, info@listonegiordano.com MARC JACOBS 2142 Fillmore Street, USA SAN FRANCISCO CA 94115 Tel. +1 415 447 9322, www.marcjacobs.com MARTINELLI LUCE spa Via T. Bandettini, 55100 LUCCA Tel. 0583418315, Fax 0583419003, www.martinelliluce.it, info@martinelliluce.it MINIFORMS srl Via Ca’ Corner 4, 30020 MEOLO VE Tel. 0421618255, Fax 0421618524, www.miniforms.com, miniforms@miniforms.com MINOTTI spa Via Indipendenza 152, 20821 MEDA MB Tel. 0362343499, Fax 0362340319, www.minotti.com, info@minotti.it MISSONI HOME /T&J VESTOR spa Via Roma 71/b, 21010 GOLASECCA VA Tel. 0331950311, Fax 0331959011, www.missonihome.it, info@tjvestor.it MOOOI Minervum 7003, NL 4817 ZL BREDA Tel. +31 765784444, Fax +31 765710621, www.moooi.com, info@moooi.com MOROSO spa Via Nazionale 60, 33010 CAVALICCO UD Tel. 0432577111, nr. verde 800016811, Fax 0432570761, www.moroso.it, info@moroso.it NATUZZI spa Via Iazzitiello 47, 70029 SANTERAMO IN COLLE BA Tel. 0808820111, Fax 0808820534, www.natuzzi.com, relazioni.esterne@natuzzi.com NONO Gobernador Protasio Pérez de Tagle 41, San Miguel, Chapultepec, Miguel Hidalgo MEX 11850 D.F. México, Tel. +525562373995, www.nono.mx, nono@nono.mx NORTHERN LIGHTING Østre Elubakke 7, N 0182 OSLO, Tel. +4740007037 Fax +4722115159, www.northernlighting.no, contact@northernlighting.no OPINION CIATTI srl Via Di Prato 80, 50041 CALENZANO FI Tel. 055887091, Fax 05588709237, www.opinionciatti.com, info@opinionciatti.com PALLUCCO srl Via Azzi 36, 31038 CASTAGNOLE DI PAESE TV Tel. 0422438600, Fax 0422438555, www.pallucco.com, infopallucco@pallucco.com PAOLA LENTI srl Via Po 100/a, 20821 MEDA MB Tel. 0362344587, Fax 036271204, www.paolalenti.com, info@paolalenti.it PAPPELINA AB Krontallsvagen 26, SW 79155 FALUN, Tel. +4623711150, Fax +4623711104 www.pappelina.com, info@pappelina.com, distribution@pappelina.com PEDRO SOUSA STUDIO www.pedrosousastudio.com POLIFORM spa Via Montesanto 28, 22044 INVERIGO CO Tel. 0316951, Fax 031699444, www.poliform.it, info.poliform@poliform.it PRODUZIONE IMPROPRIA www.produzioneimpropria.com PROMEMORIA - SOZZI ARREDAMENTI srl Via per Como 84/a, 23868 VALMADRERA LC Tel. 0341581021, Fax 0341210054, www.promemoria.com, info@promemoria.com REXA DESIGN Via XX Settembre 272, 33080 ROVEREDO IN PIANO PN Tel. 0434593182, www.rexadesign.it, info@rexadesign.it ROCHE BOBOIS 18, rue de Lyon, F 75012 PARIS Tel. +33 1 53461000, Fax +33 1 46289375, www.roche-bobois.com RODA srl Via Tinella 2 , 21026 GAVIRATE VA Tel. 03327486, Fax 0332748655, www.rodaonline.com, info@rodaonline.com ROYAL BOTANIA Elzendonkstraat 146, B NIJLEN 2560 Tel. +32 34112285, Fax +32 34112286, www.royalbotania.com, info@royalbotania.com Distr. in Italia: 2M GARDEN, Via Statale 133, 23807 MERATE LC Tel. 039508731, Fax 0399909298, www.duemmegarden.it, info@duemmegarden.it RUCKSTUHL ITALIA srl Via Cerva 23, 20122 MILANO Tel. 0276009294, Fax 0276009282, www.ruckstuhl.com, ruckstuhl-it@ruckstuhl.com SCAB DESIGN SCAB GIARDINO spa Via G. Monauni 12, 25030 COCCAGLIO BS Tel. 0307718611, Fax 0307718777, www.scabdesign.com, acquisti@scab.it SECONDOME DESIGN GALLERY Via degli Orsini 26/27, 00186 ROMA Tel. 0645505750, www.secondome.eu, info@secondome.eu SERRALUNGA srl Via Serralunga 9, 13900 BIELLA Tel. 0152435711, Fax 01531081, www.serralunga.com, info@serralunga.com SLAMP spa Via Tre Cannelle 3, 00040 POMEZIA RM Tel. 069162391, Fax 0691623933, www.slamp.com, info@slamp.it TAI PING CARPETS Hotel de Livry - 23, Rue de L’Université, F 75007 PARIS Tel. +33153459065, Fax +33140209071, www.taipingcarpets.com, tpce@taipingcarpets.com TERZANI srl Via Castelpulci int.9, 50018 SCANDICCI FI Tel. 055722021, Fax 0557311161, www.terzani.com, terzani@terzani.com UNOPIU Via Pontaccio 9, 20121 MILANO Tel. 0272094197, Fax 0286762838, www.unopiu.it, unopiu.milano@unopiu.it UNOPIÙ spa S. Statale Ortana km 14,500, 01038 SORIANO NEL CIMINO VT Tel. 07617581, Fax 0761758555, www.unopiu.it, info@unopiu.it VALSECCHI spa Via Bergamo 1286, 24030 PONTIDA BG Tel. 035796156, www.valsecchi1918.com, info@valsecchispa.it VIABIZZUNO srl Via Romagnoli 10, 40010 BENTIVOGLIO BO Tel. 0518908011, Fax 0518908089, www.viabizzuno.com, viabizzuno@viabizzuno.com VITRA Via Baite 12/e, 31046 ODERZO TV Tel. 04227146, Fax 0422816710, www.vitra.co.it, info@vitra.co.it WARLI Via Morimondo 26, 20143 MILANO Tel. 0293888811, Fax 1782748393, www.warli.it, info@warli.it WOODNOTES OY Tallberginkatu 1 B, FI 00180 HELSINKI Tel. +358 9 6942200, Fax +358 9 6942221, www.woodnotes.fi, woodnotes@woodnotes.fi Distr. in Italia: FINN FORM, V.le Monte Santo 4, 20124 MILANO Tel. 02653881, Fax 0229003625, www.finnform.it, info@finnform.it ZANOTTA spa Via Vittorio Veneto 57, 20834 NOVA MILANESE MB Tel. 03624981, Fax 0362451038, www.zanotta.it, sales@zanotta.it


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N. 633 luglio-agosto 2013 July-August 2013 rivista fondata nel 1954 review founded in 1954

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direttore responsabile/editor GILDA BOJARDI bojardi@mondadori.it art director CHRISTOPH RADL caporedattore centrale central editor-in-chief SIMONETTA FIORIO simonetta.fiorio@mondadori.it consulenti editoriali/editorial consultants ANDREA BRANZI ANTONIO CITTERIO MICHELE DE LUCCHI MATTEO VERCELLONI

NELL’IMMAGINE: COTTAGE PLACE, LONDRA, RESIDENZA PRIVATA, PROGETTO DI DAVID CHIPPERFIELD ARCHITECTS. IN THE IMAGE: COTTAGE PLACE, LONDON, PRIVATE RESIDENCE, DESIGNED BY DAVID CHIPPERFIELD ARCHITECTS. (FOTO DI/PHOTO BY SIMON MENGES)

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the New ideNtity of italiaN desigN un primato che si rinnova: opinioni a confronto reNewed leadership: opiNioNs compared dal/ from salone 2013: sfide, visioni e progetti i nuovi protagonisti challeNges, visioNe aNd projects the New protagoNists design: sedie e sedute chairs aNd seats pieghe e onde folds aNd waves luci a sospensione suspeNsioN lamps

redazione/editorial staff MADDALENA PADOVANI mpadovan@mondadori.it (vice caporedattore/vice-editor-in-chief) OLIVIA CREMASCOLI cremasc@mondadori.it (caposervizio/senior editor) LAURA RAGAZZOLA (caposervizio/senior editor) DANILO SIGNORELLO (caposervizio/senior editor) ANTONELLA BOISI boisi@mondadori.it (vice caposervizio architetture/ architectural vice-editor) KATRIN COSSETA internik@mondadori.it produzione e news/production and news NADIA LIONELLO internin@mondadori.it produzione e sala posa production and photo studio rubriche/features VIRGINIO BRIATORE giovani designer/young designers GERMANO CELANT arte/art CRISTINA MOROZZI fashion ANDREA PIRRUCCIO produzione e/production and news DANILO PREMOLI hi-tech e/and contract MATTEO VERCELLONI in libreria/in bookstores TRANSITING@MAC.COM traduzioni/translations grafica/layout MAURA SOLIMAN soliman@mondadori.it SIMONE CASTAGNINI simonec@mondadori.it STEFANIA MONTECCHI internim@mondadori.it segreteria di redazione editorial secretariat ALESSANDRA FOSSATI alessandra.fossati@mondadori.it responsabile/head ADALISA UBOLDI adalisa.uboldi@mondadori.it assistente del direttore assistant to the editor PATRIZIA BORRONI internir@mondadori.it FEDERICA BERETTA internir@mondadori.it contributi di/contributors CHIARA ALESSI VIRGINIO BRIATORE STEFANO CAGGIANO PATRIZIA CATALANO VALENTINA CROCI FILIPPO PROTASONI ALESSANDRO ROCCA ANTONELLA TUNDO fotografi/photographs ENRICO COLZANI GIUSEPPE DI VIESTO EFREM RAIMONDI THINK PUGLIA HENRY THOREAU FEDERICO VILLA progetti speciali ed eventi special projects and events CRISTINA BONINI MICHELANGELO GIOMBINI

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ARNOLDO MONDADORI EDITORE 20090 SEGRATE - MILANO INTERNI The magazine of interiors and contemporary design via D. Trentacoste 7 - 20134 Milano Tel. +39 02 215631 - Fax +39 02 26410847 interni@mondadori.it Pubblicazione mensile/monthly review. Registrata al Tribunale di Milano al n° 5 del 10 gennaio1967. PREZZO DI COPERTINA/COVER PRICE INTERNI € 8,00 in Italy PUBBLICITÀ/ADVERTISING Mondadori Pubblicità 20090 Segrate - Milano Pubblicità, Sede Centrale Divisione Living Direttore: Simone Silvestri Responsabile Vendite: Lucie Patruno Coordinamento: Silvia Bianchi Advertising Manager: Stefania Ghizzardi Agenti: Margherita Bottazzi, Ornella Forte, Mauro Zanella Tel. 02/75422675 - Fax 02/75423641 e-mail: direzione.living@mondadori.it www.mondadoripubblicita.com Sedi Esterne/External Offices: LAZIO/CAMPANIA CD-Media - Carla Dall’Oglio Corso Francia, 165 - 00191 Roma Tel. 06/3340615 - Fax 06/3336383 mprm01@mondadori.it PIEMONTE/VALLE D’AOSTA/LIGURIA Luigi D’Angelo Cell. 346/2400037 e-mail:luigi.dangelo@mondadori.it TRIVENETO Mondadori Pubblicità Padova Tommaso Gentile, Elfi Sartori, Paola Zuin Galleria Borromeo, 4 - 35137 Padova Tel. 049/8752025 - Fax 049/8751461 monpubpd@mondadori.it VERONA F.C.G. Pubblicità / Enzo Filippini Via Alberto Mario, 10 - 37121 Verona Tel. 045/8000868 - Fax 045/591081 mpvr01@mondadori.it EMILIA ROMAGNA/SAN MARINO Marco Tosetti / Irene Mase’ Dari Via Pasquale Muratori, 7 - 40134 Bologna Tel. 051/4391201 - Fax 051/4399156 irene.masedari@mondadori.it TOSCANA/UMBRIA Marco Marucci - Gianni Pierattoni M.Grazia Vagnetti Piazza Savonarola, 9 - 50132 Firenze Tel. 055/500951 - Fax 055/577119 mondadoripubblicita.fi@mondadori.it ABRUZZO/MOLISE Luigi Gorgoglione Via Ignazio Rozzi, 8 - 64100 Teramo Tel. 0861/243234 - Fax 0861/254938 monpubte@mondadori.it PUGLIA/BASILICATA Media Time - Carlo Martino Via Diomede Fresa, 2 - 70125 Bari Tel. 080/5461169 - Fax 080/5461122 monpubba@mondadori.it CALABRIA/SICILIA/SARDEGNA GAP Srl - Giuseppe Amato Via Riccardo Wagner, 5 - 90139 Palermo Tel. 091/6121416 - Fax 091/584688 email: monpubpa@mondadori.it ANCONA Annalisa Masi, Valeriano Sudati Via Virgilio, 27 - 61100 Pesaro Cell. 348/8747452 - Fax 0721/638990 email:amasi@mondadori.it; valeriano.sudati@mondadori.it

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