INdice/contents aprile/april 2011
INterNIews INitaly
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produzione production il bagno secondo/The bath according to jaime hayon design tricolore/Three-tone design minimaled i saloni
50 years young
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IN copertina: la lampada da terra Mimesi di Artemide, il risultato ultimo delle ricerche condotte da Carlotta de Bevilacqua sulla luce ecologicamente consapevole. I principi della smaterializzazione e del risparmio energetico sono rappresentati da un parallelepipedo a sezione quadrata di 180 cm di altezza, con base e testa in alluminio riciclato lucidato e diffusore in metacrilato trasparente inciso. L’apparecchio dispone di due sorgenti led: una interna e una posta sull’estremità superiore, che creano l’effetto di un’illuminazione morbida e continua. on the cover: On the cover: the Mimesi floor lamp by Artemide, the latest result of the research conducted by Carlotta de Bevilacqua on light with ecological awareness. The principles of dematerialization and energy savings generate a parallelepiped with a square section, 180 cm in height, with base and top in polished recycled aluminium and diffuser in engraved transparent methacrylate. The fixture has two LED light sources: one inside and one on the upper extremity, for a soft, continuous lighting effect. (Elaborazione 3D di/3D processing by Mozart Italia)
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INternational produzione production ACCIAIO, ESTETICA E FUNZIONALITà STEEL, AESTHETICS AND FUNCTIONAL QUALITY ispirazioni tessili/Textile inspirations forma del silenzio/the form of silence
project
custodire la cultura del legno Protecting the culture of wood magazine come legno/Newsprint as wood 67
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showroom
dupont corian® design studio saporiti italia network molteni & c e dada a/in singapore flos a/in miami fiere fairs imm e/and livingkitchen a/in kÖln stockholm design week
project stockholm
campana per/for bolon: uragano a nord/hurricane to the north biologiska design
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INdice/CONTENTS II
www.internimagazine.it/com FuorISaLone 2011 GuIDa FuorISaLone® Per iPHone
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Yoox DesIGn STore
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INtertwined concorsi COMPETITIONS WHY NOT TOGETHER? giovani designer YOUNG DESIGNERS CONCRETO/ASTRATTO/CONCRETE/ABSTRACT progetto città CITY PROJECT GROWING BY NUMBERS sostenibile SUSTAINABILITY PROVOCAZIONI URBANE/URBAN PROVOCATION L’ISOLA SCEGLIE IL VERDE/ISOLA GOES GREEN ritratto PORTRAIT ROSARIO MESSINA in libreria IN BOOKSTORES
food design
PG’S: IL MARE IN UNA STANZA/THE SEA IN A ROOM MILANO, APRILE: FOOD & BEVERAGE/MILAN, APRIL: FOOD & BEVERAGE 122 mostre EXHIBITIONS DA SISSI A MERANO 2000/FROM SISSI TO MERANO 2000 TAGLIAPIETRA: DA MURANO A SEATTLE/FROM MURANO TO SEATTLE L’AVVENTURA DEL VETRO/THE ADVENTURE OF GLASS GIO PONTI AL GRATTACIELO PIRELLI/AT THE PIRELLI TOWER 131 fashion file LA DANZA DEI COLORI/THE DANCE OF COLORS 135 info & tech IL COLORE ESATTO/EXACT COLOR 139 cinema IL WESTERN DA HATHAWAY AI COEN THE WESTERN, FROM HATHAWAY TO THE COEN BROTHERS 142 anniversari ANNIVERSARIES I COMPLEANNI DEL DESIGN ITALIANO THE BIRTHDAYS OF ITALIAN DESIGN 60 ANNI DI/YEARS OF EMU 1951-2011 50 ANNI DI/YEARS OF GRANITIFIANDRE 1961-2011 50 ANNI DI/YEARS OF SCAVOLINI 1961-2011 40 ANNI DI/YEARS OF TISETTANTA 1971-2011 90 ANNI DI/YEARS OF VENINI 1921-2011 188 interni mutant architecture&design INservice 233 261
traduzioni TRANSLATIONS indirizzi FIRMS DIRECTORY
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INdice/CONTENTS III
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INtopics 1
editoriale editorial di/by gilda bojardi
INteriors&architecture
in tema di mutant/ speaking of mutants a cura di/edited by antonella boisi 2
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pratolungo, terra-ae, la casa del “buon giardiniere”
The “good gardener’s house” progetto di/design by alessandro e/and francesco mendini con/with alex mocika foto di/photos by giacomo giannini testo di/text by francesco massoni 10
milano, l’arca di noè di italo rota e margherita palli
the Noah’s Ark of Italo Rota and Margherita Palli progetto di/design by italo rota - studio rota and partners con la collaborazione di/with the collaboration of carlo ferrari foto di/photos by paolo rosselli testo di/text by matteo vercelloni 18
connecticut, la casa-roccia di acciaio
the steel rock-house progetto di/design by daniel libeskind/d. libeskind architects foto di/photos by todd eberle testo di/text by matteo vercelloni
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cina, guangzhou opera house progetto di/design by zaha hadid architects foto di/photos by iwan baan, virgile simon bertrand testo di/text by davide giordano
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nell’appennino piacentino, il posto delle favole di foggini in the Apennines, The place of fables of foggini progetto di/design by jacopo foggini, alice nardi, roberto bergonzi foto di/ photos by andrés otero testo di/text by antonella galli
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alhóndiga bilbao progetto di/design by philippe starck/starck network foto di/ photos by francisco berreteaga testo di/text by antonella boisi
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INdice/CONTENTS IV
INsight INprofile 48
pier luigi nervi, la poetica del costruire
The poetics of construction foto di/photos by Mario Carrieri - di/by matteo vercelloni INtoday 56
nuovo business social housing New social housing business di/by Maddalena Padovani INarts
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michelangelo pistoletto di/by germano celant
120
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INscape 66
nemo propheta in patria
di/by andrea branzi 70
il design e la pratica del dubbio
Design and the practice of doubt a cura di/edited by Maddalena Padovani
INdesign INcenter 80
100 best seller del nuovo millennio
100 bestsellers of the new millennium testi di/texts by Francesco Morace e/and Vanni Codeluppi
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mutant vision di/by Nadia lionello - foto di/photos by miro zagnoli
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effetti speciali/Special effects di/by nadia lionello - visual location DI mozart italia INproject
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carlotta de bevilacqua, nuovi paradigmi di luce
Carlotta de Bevilacqua, new light paradigms testo di/text by Francesco Massoni 124
paolo rizzatto, modus odierno/Just now, in a certain way di/by Cristina Morozzi
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le forme duttili della pelle tessile
Ductile forms of textile skin di/by Cristina Morozzi 130
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sedie dinamiche/Dynamic chairs di/by Stefano Caggiano INview
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sensibili e reattivi/Sensitive and responsive di/by Antonella Galli INproduction
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morphing
di/by katrin cosseta illustrazioni di/illustrations by studio la tigre
INservice 138
indirizzi firms directorY di/by adalisa uboldi
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traduzioni translations
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Interni aprile 2011
INtopics / 1
EDiToriaLe
I
NTERNI di aprile è davvero un numero speciale, dedicato in toto al tema MUTANT nel significato di progressione, evoluzione, trasformazione. Cosa è già cambiato e cosa sta cambiando sotto i nostri occhi? Mutano le architetture, le funzioni, le imprese, le coordinate estetiche dei designer, gli arredi e i complementi, la tecnologia, i materiali, l’illuminazione. È una dimensione progettuale che, avendo come fondamento sostenibilità, riutilizzo e cambio d’uso, coinvolge e trasforma ogni cosa: la casa, la città, il paesaggio e il territorio. Mutant vision sono pertanto gli scenari proposti in scala architettonica, pubblica e privata, dai progetti di Zaha Hadid, Daniel Libeskind, Italo Rota, Jacopo Foggini, Philippe Starck, Alessandro e Francesco Mendini per Alberto Alessi. Ma, anche le prospettive di un maestro dell’innovazione quale è stato, con il cemento armato, Pierluigi Nervi negli anni Cinquanta. O il modello abitativo del social housing che si sta affermando con interessanti risvolti anche in Italia. Le riflessioni dei designer ci aiutano a fare il punto sull’idea di progetto mutante: dal modo di sentire il rapporto tra forma, materia e funzione alla logica stessa dell’industrial design in termini di serializzazione e produzione su misura dell’oggetto. Cambiando registro, mutant vision si ripropongono anche le figure in movimento o quelle in divenire, transgeniche, degli arredi di design selezionati. Il tema è stato anche lo spunto per parlare degli anniversari delle imprese e dei prodotti “storici” italiani (e non), delle icone del design. Insieme ai 50 anni de iSaloni di Milano. Anche quest’anno INTERNI ad aprile si declina poi nelle varie iniziative editoriali che ormai storicamente lo caratterizzano. Una per tutti: l’edizione di INTERNI Panorama che tratta il tema delle mutazioni con una serie di interventi, di interviste e di articoli, per un pubblico più allargato. Come ne parla INTERNI MUTANT ARCHITECTURE & DESIGN, la mostra-evento di quest’anno, all’Università degli Studi di Milano, il vettore propulsivo da cui è partito tutto il nostro lavoro. Perché il casa nel connecticut, progetto daniel libeskind, foto todd eberle. futuro prossimo è di chi lo sa vedere! Gilda Bojardi Connecticut house, daniel libeskind architect, todd eberle image.
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aprile 2011 INTERNI
2 / INteriors&architecture
INteriors&architecture
Terra–ae È IL NOME DEL sogno DIVENUTO realtà DI ALBERTO ALESSI: UN’azienda agricola e vitivinicola, UNA casa-manifesto, UN INTERVENTO DI recupero architettonico E riqualificazione ambientale, CONDOTTO SECONDO I principi DEL feng shui, DELLA SOSTENIBILITÀ E DELLA BIODINAMICA. UN PROGETTO DI VITA, UNA VISIONE PER IL FUTURO
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La casa DeL
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progetto di Alessandro e Francesco Mendini con Alex Mocika foto di Giacomo Giannini testo di Francesco Massoni
“buon giardiniere�
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aprile 2011 Interni
4 / INteriors&architecture
Nella doppia pagina precedente: il soggiorno open space, con il grande tavolo da pranzo in legno di castagno ‘riciclato’, sul quale spiccano oggetti delle collezioni Alessi. Le sedie d’autore sono programmaticamente spaiate. I tappeti, in fibra naturale, sono di Tisca Italia. Le lampade a sospensione sono le Sonora di Vico Magistretti per Oluce. A fianco e in basso, due scorci della tenuta Terra –ae, a Pratolungo, con vista sul Lago d’Orta, e il proprietario, Alberto Alessi, intento a degustare uno dei suoi vini con un calice Glass Family, disegnato da Jasper Morrison per A di Alessi.
T
he Times They Are A-Changin’, canta Dylan il bardo. E la sua voce sembra sorvolare, come la colonna sonora di un film, il pacifico e verdeggiante lembo di terra situato in località Pratolungo, frazione di Pettenasco, che declina dolcemente verso il lago d’Orta, affacciandosi sull’isola di San Giulio, custode della storia di questo territorio collinare e montuoso, a nord del Piemonte. È qui che Alberto Alessi, presidente della Alessi spa, ha scelto di restaurare un’antica tenuta agricola denominata Villa Fortis, le cui origini risalgono al XVII secolo, quando la proprietaria, una certa Eugenia Fortis, diede il nome alla Cascina detta Eugenia, preesistenza documentata ai tempi della dominazione austriaca nei rilievi del catasto dell’imperatrice Maria Teresa del 1723. La primitiva cascina è stata
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poi incorporata in un complesso di fabbricati la cui configurazione definitiva risale più o meno agli inizi dell’Ottocento. Solo i terreni di pertinenza hanno subito qualche rimaneggiamento e occupano attualmente una superficie di circa 6 ettari. “Quando ho acquistato la proprietà – ricorda Alessi – gli edifici erano in stato di abbandono e i terreni inselvatichiti”. Così, nel 2001, ha avuto inizio la lunga e laboriosa messa a punto del progetto di recupero del complesso, con il proposito di destinarlo in parte a residenza e in parte alla produzione e all’invecchiamento del vino, riqualificandone i terreni annessi mediante il ripristino della viticoltura, realizzata secondo i principi della biodinamica, e dando così un segnale forte in ordine alla valorizzazione del territorio in chiave sostenibile. Per la parte architettonica, il progetto è stato affidato ad Alessandro e a Francesco Mendini con Alex Mocika, che ne ha seguito direttamente le varie tappe, affiancati da Eduardo Hess e Paivi Viiki, esperti di feng shui. Per quella vitivinicola, all’agronomo Patrizio Gasparinetti con la consulenza del francese Jacques Mell, responsabile per la biodinamica. “Si è trattato di un restauro quasi filologico. Peraltro, possiamo parlare di una filologia molto complessa, perché questo gruppo di edifici ha subito nei secoli molte modifiche e adattamenti che ci hanno indotti a compiere una rilettura più libera”, spiega Francesco Mendini. Tra le varie raccomandazioni delle sovrintendenze coinvolte vi era anche quella di “mantenere il più possibile dei muri originali”. Ma, non essendovi fondazioni, si è dovuto scavare tutto intorno per costruirle. E, scavando, le pareti, fatte di terra, sassi e un po’ di calce, si sgretolavano inesorabilmente.
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la cantina interrata per l’invecchiamento dei vini, con pavimento in resina rossa e pareti con mattoni ‘traspiranti’ a vista: l’ambiente è stato progettato per conservare le bottiglie ad una temperatura compresa tra 11 a 16 gradi centigradi, con umidità pari al 70-80%.
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6 / INteriors&architecture
Sopra, l’angolo cucina del grande soggiorno open space, con l’isola de LaCucinaAlessi, in versione acciaio extra-large, progettata da Alessandro Mendini e Gabriele Centazzo e prodotta da Valcucine con rubinetterie Oras. Sullo sfondo, la Bubble Chair di Eero Aarnio per Adelta. A fianco: l’ingresso dello studio di Laura, moglie di Alberto Alessi, incorniciato da un disegno a intarsio di Alessandro Mendini realizzato in legno di Tabu, la plafoniera è la Helios 35 di ABS Studio per Egoluce. l’area libreria, al primo piano, con affaccio a balaustra sul soggiorno, illuminata da lampade a sospensione Brera di Achille Castiglioni per Flos. Nella pagina a fianco, un altro scorcio del soggiorno. In primo piano, la poltroncina E45 di Alvar Aalto per Artek, la preferita di Alberto Alessi. Sul tavolo da pranzo, vasi Tronco di Mario Botta e Crevasse di Zaha Hadid per Officina Alessi, cestini della Peneira Collection di Fernando e Humberto Campana per Alessi. Sullo sfondo, armadiatura con vetrine di Valcucine.
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“Tutte le pietre originarie della costruzione – puntualizza Alessandro Mendini – sono state scrupolosamente recuperate. La gran parte di esse è stata riutilizzata per la realizzazione dei muretti di cinta del giardino, dei davanzali e della scalinata”. Il briefing di Alberto Alessi era molto chiaro e telegrafico: “Semplicità, funzionalità, feng shui, vista sull’isola di San Giulio, comunicazione visiva e acustica tra tutte le parti della casa”. E così è stato. “Noi, qui, non abbiamo usato uno stile – conferma Mendini – abbiamo assecondato un’antropologia di semplicità. Potremmo definirlo come un progetto di estrema calma che, pur distaccandosi dalle nostre consuetudini, ci ha dato grande soddisfazione”. Dal portale d’ingresso della proprietà si discende la stradina fiancheggiata da castagni che conduce al complesso e subito si vedono i vigneti, che occupano una superficie di circa 20.000 mq., tra filari di chardonnay e pinot noir. Costeggiando l’edificio della foresteria, si arriva all’ingresso principale dell’abitazione, articolata su due livelli
più mansarda (circa 400 mq di superficie totale), varcato il quale, sulla destra, si incontra un grande pannello in legno di Tabu con disegno ad intarsio geometrico di Alessandro Mendini che incornicia la porta dello studio della moglie Laura, maître de chais: ruolo svolto con la complicità e l’entusiasmo della giovane e brava enologa Monica Rossetti. Scendendo pochi gradini si accede al grande soggiorno open space a pianta rettangolare, con camino in pietra e in legno di castagno ricavato, come il lungo tavolo da pranzo centrale – un’idea di Alberto Alessi – il tavolo esterno e la libreria al piano superiore, dal taglio di alcuni alberi giunti a fine vita e cresciuti nella proprietà. La parete di sinistra, quella a monte, è occupata da un’armadiatura in cristallo e legno di rovere di Valcucine. Di fronte, si aprono le finestre con vista sul terrazzamento a giardino. Dalla parte opposta è situata l’area deputata alla preparazione e alla cottura dei cibi, con l’isola a mezza luna di LaCucinaAlessi in versione tailor made.
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qui sopra, il bagno turco, rivestito con piastrelle in mosaico di vetro Bisazza, come la piscina (pagina a fianco), decorata su disegno di Alessandro Mendini. A fianco, la scala a chiocciola rossa, in ferro battuto, che conduce alla torretta, posta sulla sommità della casa.
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Da qui, attraverso una porta a vetri, si raggiunge la luminosissima spa con piscina, di circa 200 mq. Sempre dall’angolo cucina, varcando un’altra porta, è possibile accedere direttamente alla retrostante cantina, lo chais, di invecchiamento dei vini, dove c’è la barricaia, circa 300 mq., e, uscendo da questa, all’annesso cuvier, dotato di soppalco per la diraspatura e la pigiatura dell’uva. Al piano superiore dell’abitazione si giunge salendo una scalinata in pietra riciclata che conduce dapprima ad una libreria, affacciata a corte sul livello inferiore, quindi, alle camere da letto. Salendo ancora, si accede alla mansarda, dove spiccano mobili d’autore della collezione personale del padrone di casa. Infine, inerpicandosi su una scaletta a chiocciola in ferro battuto, si raggiunge la torretta, dalla quale si può godere di una vista mozzafiato sul paesaggio circostante. La potremmo definire un’architettura “a chilometro zero”, considerato che parte del materiale impiegato per il restauro è stato ricavato dai resti del vecchio complesso agricolo, e parte proviene, comunque, dalla tradizione costruttiva locale: un esempio virtuoso di edilizia a basso impatto ambientale. I lavori non sono ancora del tutto ultimati, manca ancora qualche dettaglio da completare, ma i pensieri di Alberto Alessi sono tutti per il suo Domaine. Entro quest’anno dovrebbe aggiungersi un terzo ettaro vitato. Ed entro il 2012, anno in cui è prevista la presentazione ufficiale dei vini di Terra–ae, la produzione dovrebbe essere pari ad almeno 8000 bottiglie. Ma che succede a questo innovatore per eccellenza, non sarà mica diventato un conservatore, seppur illuminato? “Qui, come in fabbrica – risponde Alessi – mi sento come un buon giardiniere: sensibile attento e paziente. Il buon giardiniere semina, sì, quello che crede utile, ma soprattutto prepara bene il suo campo per accogliere le nuove messi e se ne prende attenta cura quando cominciano a spuntare i primi germogli… E sa di poter contare molto anche sui semi inaspettati che gli porterà il vento…”. Una metafora efficacemente illustrata nella nuova interpretazione del Triennale Design Museum di Milano, curata dall’imprenditore piemontese e dedicata alle “fabbriche del design italiano”.
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VEDUTE DELL’ABITAZIONE DAL GIARDINO INTERNO RICAVATO TRASFORMANDO UN CORTILE CHIUSO. QUI SI APRONO LE GRANDI VETRATE SEGNATE DA UN INFISSO DI FERRO DAL SAPORE INDUSTRIALE. ALL’INTERNO DELL’AMBIENTE LIVING, APERTO E CONTINUO, TRA I CLASSICI DEL DESIGN, SI RICONOSCONO LE SEDUTE DI HARRY BERTOIA DELLA COLLEZIONE BERTOIA SIDE CHAIR (1950) DI KNOLL INTERNATIONAL. LA LAMPADA CON IL DIFFUSORE IN ROSSO È IL MODELLO DA TAVOLO AGGREGATO DI ENZO MARI E GIANCARLO FASSINA PER ARTEMIDE (1976). L’ ALTRA CON PARALUME BIANCO, FISSATA ALLA PARETE, SU DISEGNO DI ITALO ROTA È STATA PRODOTTA DA CALABRESE PER IL BOSCOLO PALACE HOTEL DI ROMA.
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INteriors&architecture / 11
L’Arca
A Milano, LA casa di ITALO ROTA e MARGHERITA PALLI. UNA wunderkammer abitabile, UNA MODERNA ARCA DI NOÈ PRIVATA, UNO spazio domestico continuo E ALLO STESSO TEMPO suddiviso, APERTO VERSO UN cortile interno TRASFORMATO IN giardino
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DI Noè progetto di Italo Rota sviluppo progetto per Studio Italo Rota & Partners - Carlo Ferrari foto di Paolo Rosselli testo di Matteo Vercelloni
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12 / INteriors&architecture
LA SEQUENZA NARRATIVA DELLE IMMAGINI RESTITUISCE LA RICCHEZZA DI CONTENUTI VISIVI E SENSORIALI DEL PAESAGGIO ABITATIVO PRIVATO DI ITALO ROTA E MARGHERITA PALLI. LA GRAMMATICA VOLUMETRICA PRIVILEGIA INCASTRI CALIBRATI E PRECISI CHE SEMBRANO RICHIAMARE IL MERZBAU DI KURT SCHWITTERS (1933). TRA GLI ARREDI: IN PRIMO PIANO, TAVOLO A SCACCHI SU DISEGNO DI ITALO ROTA REALIZZATO DA ARIANESE. SUL FONDO, CLASSICO TAVOLO ‘NORDICO’ DI ALVAR AALTO PRODOTTO DA ARTEK.
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aramente il loro appartamento sarebbe in ordine, ma proprio quel disordine ne costituirebbe il maggior fascino. Non se ne occuperebbero quasi: si limiterebbero a viverci. La sua comodità sembrerebbe loro un fatto acquisito, un dato di partenza, uno stato della loro natura. La loro vigilanza sarebbe volta altrove: al libro da aprire, al testo da scrivere, al disco da ascoltare, al dialogo quotidianamente ripreso. Lavorerebbero a lungo, senza febbrile impazienza,
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senza acrimonia. Poi pranzerebbero in casa o fuori; ritroverebbero gli amici; passeggerebbero con loro. Talora avrebbero l’impressione che tutta una vita potrebbe armoniosamente trascorrere fra quelle pareti ricoperte da libri, fra quegli oggetti così perfettamente familiari che finirebbero per ritenerli creati da sempre per il loro esclusivo consumo, fra quelle cose belle e semplici, dolci, luminose. Ma non se ne sentirebbero vincolati: certi giorni, se ne andrebbero alla ventura. Nessun progetto sarebbe
loro impossibile. Non conoscerebbero il rancore, l’amarezza, l’invidia, dato che i loro mezzi e i loro desideri si accorderebbero su ogni punto, in ogni tempo. Quest’equilibrio lo chiamerebbero felicità. E saprebbero, in virtù della libertà, della saggezza, della cultura, preservarla, scoprirla in ogni momento della loro vita comune”. Questo breve scritto di Georges Perec, estrapolato dall’inizio del suo famoso romanzo Le Choses (1965), aiuta a comprendere il progetto di un interno domestico
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14 / INteriors&architecture
L’OCCHIO SI PERDE NEL QUADRO INFINITO DI OGNI AMBIENTE PER RITROVARE PRECISI OGGETTI E SEGNI ARCHITETTONICI: LA COLLEZIONE DI STATUINE AFRICANE, UOMINI E DONNE DI FATTURA E SEMBIANZE ANTICHE, E POI PAPPAGALLI IMBALSAMATI, LIBRI TANTISSIMI LIBRI, ORDINATI NELLE LIBRERIE A TUTT’ALTEZZA. LA SCALA IN METALLO VERNICIATA DI BIANCO, IN PRIMO PIANO, CONDUCE A UNO DEI SOPPALCHI SOSPESI SULLA ZONA LIVING.
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NELLA PAGINA A FIANCO, AL CENTRO, L’ AMBIENTE BAGNO, CON IL MOBILE BIANCO E NERO SU DISEGNO DI ITALO ROTA CHE È STATO REALIZZATO DA MARZORATI RONCHETTI. QUI SOTTO, L’ANGOLO DELLA LIBRERIA ILLUMINATA DA UNO CHANDELIER IN VETRO DI MURANO CON APPLICAZIONI DI SFERE INDIANE SPECCHIANTI.
che, superando il tradizionale approccio progettuale, intende rivelarsi come “una casa che deve sapere contenere in se stessa non solo gli oggetti della nostra vita, ma anche la nostra stessa vita”, così come Italo Rota scrive in un suo recente scritto “INTERNI di INTERNI”. Le ‘cose’ in questa casa assumono il ruolo non solo di presenze volumetriche (arredi e oggetti, libri e collezioni), ma diventano parte di un unicum spaziale, protagoniste insieme a Italo e
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Margherita di una sorta di moderna e privata Arca di Noè pronta a traghettare in un vicino futuro frammenti e memorie di una storia personale che diventa anche testimonianza del nostro secolo, per qualità delle collezioni, spessore culturale e instancabile curiosità dei suoi ricercatori. In questa sorta di “caverna energetica”, così come Rota descrive analizzandoli alcuni interni improbabili quanto reali, lo spazio diventa continuo; l’originale magazzino assume il
ruolo di contenitore aperto ad accogliere stanze fluttuanti e sospese che come capsule compiute si aprono con diverse angolazioni sull’ambiente complessivo. Una grammatica volumetrica scandita di incastri calibrati e precisi che in qualche modo ci fa ricordare il Merzbau di Kurt Schwitters (1933), ma che non intende proporsi come ambiente scultoreo, quanto piuttosto come interno domestico propositivo. All’idea di ‘capsula’, che ritroviamo in vari episodi sospesi
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16 / INteriors&architecture
NELLO SPAZIO APERTO DELLA ZONA GIORNO SI INTEGRANO I PICCOLI PADIGLIONI SOSPESI, CHE ACCOLGONO AMBIENTI DIVERSI E LE ZONE STUDIO. NEL SEGNO DELLA CONTINUITÀ VISIVA TRA LE VARIE FUNZIONI ABITATIVE, ANCHE IL BAGNO SI APRE CON LA GRANDE VETRATA TRASPARENTE VERSO LA ZONA GIORNO.
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NELLA MISCELLANEA DEGLI ARREDI: POLTRONA NERA DI DRIADE, TAVOLI BASSI E POLTRONA IN LEGNO CHIARO CURVATO DI ALVAR AALTO PER ARTEK, LAMPADA DA TERRA LUMINATOR DEGLI ANNI TRENTA, SERIE DI CONTENITORI DI ETTORE SOTTSASS PER POLTRONOVA, DIVANO GLI AMICI DI GAETANO PESCE PER MERITALIA.
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nello spazio principale, si riconducono anche il bagno, aperto con una grande vetrata rosa e trasparente verso la zona giorno e le due addizioni volumetriche che alle estremità opposte della casa si aprono verso il giardino interno, ricavato trasformando un cortile chiuso. Camera da letto e cucina diventano così due piccoli padiglioni compiuti che chiudono la sequenza delle grandi vetrate aperte verso il giardino
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segnate da un infisso di ferro dal sapore industriale. Così la casa disegna in pianta una sorta di forma a ‘U’ uscendo dal filo di facciata dello stabile di ringhiera che alzando gli occhi si rivela con i suoi ballatoi e i panni stesi, ricordando di essere a Milano, in un tessuto urbano d’altri tempi che la città del presente, alla rincorsa di modelli propri di una modernità globalizzata, sembra volere cancellare.
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Tra i boschi di querce del Connecticut, in America, una casa sperimentale firmata da daniel libeskind che sovverte le tradizionali gerarchie tra le componenti di ogni costruzione, unendo in un’unica stridente sintesi compositiva pareti e copertura, per definire un volume dinamico e scultoreo che emerge come una roccia geometrica dal paesaggio
La roccia di acciaio
progetto di Daniel Libeskind/ Daniel Libeskind Architects foto di Todd Eberle testo di Matteo Vercelloni
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UNA VISTA SERALE DEL VOLUME COMPLESSIVO RIVESTITO ESTERNAMENTE CON LASTRE DI ACCIAIO INOX TRATTATE CHIMICAMENTE CON UN EFFETTO BRUNITO, CHE RISULTA CANGIANTE SECONDO LE DIVERSE ANGOLATURE DI LUCE ARTIFICIALE E NATURALE.
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Sopra, l’inserimento del volume geometrico della casa nel paesaggio. a fianco sezione trasversale; sotto particolare dell’arrivo a terra delle pareti inclinate rivestite di acciaio. A fianco, l’ingresso principale della casa verso la zona giorno. L’interno del nastro di riferimento che compone l’intera costruzione è rivestito con tavole di legno.
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a ricerca di Daniel Libeskind copre senza flessioni di riuscita espressiva e con la stessa passione progettuale ogni scala d’intervento; torri e grattacieli, musei e grandi strutture pubbliche, sono affrontati dall’architetto vincitore del concorso per la ricostruzione di Ground Zero a New York con la stessa intensità
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riservata a progetti di scala minore come nelle opere di design, o come in questa sorprendente costruzione domestica calata nel paesaggio del Connecticut. Non si tratta per Libeskind di ripercorrere in senso ideologico lo slogan modernista “dal cucchiaio alla città”, ma di estendere una ricerca progettuale all’intero ambiente che ci circonda da quello privato a quello pubblico, dallo spazio museale a quello urbano. All’interno di questa propensione a pensare al progetto in chiave globale si inserisce il disegno di questa casa privata che denuncia l’idea di superare la tradizionale serialità e sommatoria delle componenti dello spazio architettonico (pavimenti orizzontali, pareti verticali e copertura) per rileggere la lezione delle avanguardie artistiche del ‘900 sullo ‘spazio totale’ che è stata più volte ripercorsa e interpretata sia in campo artistico, sia architettonico per oltre un secolo.
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Sopra, una vista della zona pranzo, alle spalle del divano bifronte su disegno che divide dal living, verso il blocco centrale multifunzionale che ospita la grande nicchia libreria. Sotto pianta della costruzione. pagina a fianco vista del blocco cucina attrezzato su disegno.
In questo progetto ciò che risolve lo scarto concettuale è l’idea generale di pensare al volume abitabile come a uno spazio interno ottenuto da una serie di studiate torsioni di un nastro di riferimento ripiegato su se stesso e chiamato a disegnare la complessa geometria d’insieme. Il ‘nastro’, rivestito all’esterno da lastre di acciaio inox trattate chimicamente in modo da risultare brunite e di offrire dei riflessi cangianti secondo le ore del giorno e l’angolazione della luce del sole, si
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sviluppa dal prato, proponendosi come piattaforme d’ingresso, per poi piegarsi in verticale secondo diverse e stridenti angolature, per disegnare pareti e copertura che risultano una superficie unitaria e continua, scandita però da un dirompente susseguirsi di incastri che ne fanno una sorta di cristallo geometrico simile a quelle rocce spigolose che emergono nei boschi come contrappunti naturali, parte di un ambiente complesso. Lo sviluppo del nastro di acciaio compone nell’interno un grande ambiente unitario cui si affianca, tra una piega e l’altra della ‘pelle architettonica’, la stanza da letto padronale in posizione angolare. Alle porzioni piene dei fronti inclinati, superfici in scaglie d’acciaio, che ricordano in chiave contemporanea la tradizionale tecnica di rivestimento shingle style, corrispondono le parti aperte e vetrate che riempiono i vuoti disegnati dall’andamento avvolgente del nastro di riferimento rivestito all’interno da tavole di legno.
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Sotto, tra una piega e l’ altra della ‘pelle architettonica’ si affianca la stanza da letto padronale, in posizione angolare. il rivestimento ligneo dell’involucro che richiama la calda atmosfera del cottage americano e ne definisce il carattere monomaterico è interrotto dalla pietra chiara del pavimento, illuminato da strisce di luce radente che sottolineano gli andamenti geometrici dei mobili su disegno e dei setti architettonici inclinati.
pagina a fianco, un blocco multifunzionale in posizione centrale isola la camera da letto dall’ampia zona giorno, accogliendo anche una vasca d’acqua su disegno.
Questa scelta materica richiama a livello domestico la calda atmosfera del cottage americano rendendo monomaterico l’intero spazio abitabile ad eccezione del pavimento in pietra chiara, illuminato da strisce di luce radente che sottolineano gli andamenti geometrici dei mobili su disegno. Questi si affiancano ai setti inclinati che definiscono la soluzione planimetrica e diventano parte integrante del progetto architettonico; arredi che ‘disegnano lo spazio’, come il grande divano a zig zag bifronte che separa la zona living da quella pranzo in cui si sviluppa anche il bancone cucina attrezzato. Per isolare la sola camera da letto dall’ampia zona giorno, un blocco multifunzionale insiste in posizione centrale, accogliendo al suo interno il wc, un grande bagno con vasca su disegno e una cabina
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armadio. Verso la zona pranzo la parete lignea di questa piccola architettura accolta all’interno di quella principale si trasforma in una grande nicchia libreria. Il forte andamento geometrico della costruzione si estende dalla configurazione esterna nell’ambiente della casa stemperandosi a diverse scale, dall’involucro agli arredi, accogliendo porzioni del nastro di acciaio che interrompono le vetrate entrando con forza, come scaglie architettoniche, nello spazio privato. Per ricordare il carattere d’insieme e per sottolineare il rapporto, non solo visivo, tra casa e paesaggio.
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la guangzhou opera house, primo progetto realizzato di zaha hadid architects in cina. un complex formato da due edifici di segno organico, affacciati sul pearl river, che ricordano grandi pebbles, declinando performance di alto livello negli spazi interni e un riuscito innesto urbano
Asimmetrie armoniche
progetto di Zaha Hadid Architects foto di Iwan Baan, Virgile Simon Bertrand testo di Davide Giordano
Visione d’insieme del complesso. a destra il volume che accoglie l’ auditorium principale, a sinistra l’edificio polifunzionale. tutto intorno, il grande parco lineare di zhujiang new town.
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pianta del piano terra.
immagini del foyer multilivello, un canyon sui toni del bianco, del grigio e del nero che dall’ingresso introduce all’ auditorium principale. la rete strutturale a maglie triangolari e il trattamento delle superfici in gfrg (glass fiber reinforced gypsum) enfatizzano la fluidità dello spazio.
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sei anni dalla posa della prima pietra, la Guangzhou Opera House – primo progetto di Zaha Hadid Architects completato in Cina – si è mostrata al pubblico internazionale in occasione dell’architectural review dello scorso febbraio, dopo alcune performances inaugurali che hanno avuto luogo l’estate scorsa, in concomitanza con gli Asian Games. Lo studio londinese si è aggiudicato il progetto dopo aver vinto il concorso indetto nel 2002 dalla municipalità di Guangzhou – o Canton – 120Km a nord-ovest di Hong Kong, terza città della Cina per
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numero di abitanti e tra i principali “motori” della prodigiosa crescita del Paese. Tra i progetti di Zaha Hadid, la Guangzhou Opera House è probabilmente quello che più si palesa come il frutto della sua attenta ricerca nei campi della geologia e dei sistemi naturali. Affacciati sul Pearl River, i due edifici che compongono l’Opera House – il teatro, che può accomodare fino a 1800 spettatori, e la struttura multifunzionale dalla capienza di 400 persone – ricordano due grandi ciottoli, due pebbles, di quelli che si trovano appunto sul letto dei fiumi, la cui forma è scolpita dalla forza erosiva della corrente che ne lambisce la superficie – nello stesso modo in cui le persone circolano in modo fluido nello spazio circostante l’Opera House, accessibile da quattro
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differenti direttrici. Un progetto totalmente embedded nel contesto che lo accoglie, una moderna agorà all’interno di un’area che si propone come nuovo polo culturale della città. Simon Yu, il giovane Associate che ha seguito i lavori di realizzazione, spiega: “Dal nostro punto di vista, progetti come questo devono avere una funzione inclusiva – non si tratta soltanto di luoghi dove le persone possono assistere ad un determinato spettacolo, all’interno di una struttura che ben si presti a questa funzione – bensì debbono fungere anche da spazi di aggregazione, a cui si può accedere e di cui si può fruire indipendentemente dalle varie manifestazioni in programma”. Woody Yao, Associate Director responsabile del progetto conferma come questo sia effettivamente il trend dello
studio, attraverso un confronto con il design della Cardiff Bay Opera House – mai costruita, nonostante Zaha Hadid si fosse aggiudicata il primo premio nel concorso indetto nel 1994: “Anche la soluzione che presentammo all’epoca prevedeva che gli spazi esterni fossero pienamente sfruttabili, per manifestazioni e spettacoli all’aperto soprattutto, ma certamente anche come luoghi di incontro e interazione”. Il design della Guangzhou Opera House ha rappresentato una sfida soprattutto in termini strutturali: più di 10.000 tonnellate di acciaio sono state utilizzate per sostenere i volumi di un progetto caratterizzato da un grado di complessità formale molto elevato. Entrando, il foyer multi-livello si presenta come un canyon sui toni del bianco, del grigio
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qui sopra, una suggestiva veduta della sala destinata all’auditorium principale (per 1800 posti), un involucro fluido color champagne costellato di piccoli fari led. le fessure laterali nascondono gli speakers del suono. il tessuto delle sedute è stato prodotto appositamente da kvadrat. pagina a fianco, la scalinata che collega i diversi livelli della lobby d’ingresso all’ auditorium.
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e del nero – colori che dialogano alla perfezione con il vetro e il granito della facciata, oltre all’acciaio della struttura a vista. Dalla lobby si accede all’auditorium, dove la superficie color champagne – tutto cartongesso rinforzato con fibra di vetro – avvolge senza soluzione di continuità lo spazio, assumendo le sembianze di un drappo di seta cangiante alla luce dei piccoli fari LED che letteralmente costellano la grande sala. L’impatto visivo è fortissimo: il soffitto e i muri digradano e si increspano, creando un continuum di rilievi e avvallamenti le cui forme fluide sembrano essere scolpite direttamente dalle onde sonore che si propagano dal palcoscenico e dai patterns di fessure laterali che, lungi dal proporsi come elemento puramente decorativo, nascondono potenti speakers – strumento indispensabile nel contesto operistico orientale, che enfatizza l’aspetto sonoro molto più di quello scenografico, che è invece un elemento imprescindibile nell’opera di produzione europea. Preziosa in questo frangente, la collaborazione con i consulenti di Marshall Day Acoustics, studio ingegneristico leader nel campo dell’ottimizzazione del suono, che hanno saputo suggerire sapientemente le soluzioni per combinare al meglio il riverbero, la nitidezza e la pressione sonora – i tre parametri più
importanti in termini di acustica – in uno spazio fortemente asimmetrico. Per il pubblico questo ensemble si traduce in uno spettacolo nello spettacolo: un’esperienza visiva e acustica che va ben al di là dell’ordinario e culmina in un trionfo di armonia. Il “ciottolo” più piccolo, alias l’edificio polifunzionale, completa il quadro: le dimensioni ridotte e il layout interno configurabile a seconda delle esigenze, lo rendono adatto ad ospitare vari tipi di eventi, anche non strettamente culturali, come conferenze o eventi di carattere commerciale. La soddisfazione di Simon Yu è palpabile: “Portare il progetto a compimento ha comportato grandissimo impegno e dedizione: ci sono stati momenti in cui abbiamo avuto quasi duemila operai in cantiere, ma è stato anche divertente… e poi continuiamo a ricevere dei feedback entusiastici, soprattutto dal pubblico più giovane, e questo sicuramente è l’aspetto più gratificante!”. Zaha Hadid, un tempo nota come architetto del non-costruibile, ci ha stupito ed emozionato ancora con un suo progetto. Viene spontaneo chiedersi cosa ci riserverà il futuro… e questo mi fa ricordare una cosa che la Hadid mi disse un paio di anni fa: “There is no end to invention”. Questo è rassicurante, grazie Zaha!
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la sala prove per la danza all’interno dell’edificio polifunzionale che ospita vari tipi di eventi.
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Sopra: il living della casa di Jacopo Foggini, con il camino in pietre del fiume Trebbia, il divano Boa di Fernando e HUmberto Campana per edra, una scultura luminosa Gomitolo di Foggini e i due cani del proprietario, il setter Vanni e Gughi, incrocio tra uno spinone e un husky. A destra: il complesso della casa su un rilievo panoramico della Valtrebbia, nell’Appennino piacentino.
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Una casa nell’alto APPENNINO piacentino per Jacopo foggini, torinese di nascita e milanese d’adozione, esploratore di un universo di metacrilato in grado di dar vita a un mondo poetico mutante e vibrante fatto di filamenti di luce, miscele di colori, labirinti e forme sinuose. alias: come portare in un luogo-rifugio un’esperienza coinvolgente e multisensoriale che evoca territori fantastici
Il posto delle favole
progetto di Jacopo Foggini, Alice Nardi, Roberto Bergonzi foto di Andrés Otero testo di Antonella Galli
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a visione che ha ispirato la casa di Jacopo Foggini in alta Valtrebbia, sull’Appennino piacentino, nasce nel tempo, dalla ricerca, durata alcuni anni, di un luogo deputato alla libertà di espressione e immaginazione. Un’abitazione-rifugio nata per lasciare spazio alla creatività e alla sfera privata, progettata insieme agli architetti Alice Nardi, la sua fidanzata, e a Roberto Bergonzi, collaboratore di mille avventure. Foggini, artista e designer che realizza in metacrilato installazioni, corpi luminosi e sculture dalle forme organiche, fluide e fantastiche, ha scelto per la casa un’area elevata e in posizione panoramica, sopra Bobbio, con vista sul corso del Trebbia.
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Il living con al centro la Bubble Chair di Eero Aarnio prodotta da adelta, due sculture luminose Gomitolo e un Fiore di Jacopo Foggini in metacrilato, cosÏ come i tre Dischi sulla parete di fondo. Le porte sono state realizzate su misura in giappone dall’artista giapponese masakatsu tsumura, utilizzando vecchio legno di conifera asiatica. Sulla destra, appesa al muro, rispecchiamento (2009), una scultura di stefano medaglia in ceramica ispirata da una maschera africana.
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Sopra: la cucina con un grande tavolo conviviale, piastrelle di recupero dipinte a mano a lucca, un Globo in metacrilato come lampadario e la stufa antica in ghisa. In alto a destra: il Piano-Forna, pianoforte creato per Jacopo Foggini da Barnaba Fornasetti, con sopra una scultura Fiore. A destra: una delle stanze degli ospiti con il lampadario Candeliere di Jacopo Foggini. Nella pagina a fianco: il letto matrimoniale a castello realizzato con travi di recupero dall’amico falegname davide arlaud, appliques Crisalidi e una sospensione Globo in metacrilato; nell’angolo un’opera dell’artista greco Gregos Psychoyos.
Il fiume, che in quella parte di vallata compie spettacolari anse scavate tra ripide coste verdeggianti, è stato l’elemento naturale che più lo ha conquistato, forse per un’implicita assonanza estetica con il filo luminescente di metacrilato, materiale d’elezione per le sue opere, forse per un richiamo esplicito alla dimensione del mare e dei suoi ampi orizzonti. L’abitazione, sorta sulle ceneri di un vecchio fienile, di cui è stata recuperata la volumetria, risulta articolata in più corpi aggregati liberamente, in base alle esigenze di disposizione degli spazi interni. La composizione, in una cornice lineare di carattere rurale, integra elementi
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stilistici di diversa provenienza, dai moduli abitativi con tetto spiovente in pietra tipici delle abitazioni di montagna, alla casa cubica con terrazzo sulla sommità (e scala esterna per raggiungerlo) tipica del Mediterraneo, e in particolare della Grecia, molto amata da Foggini. Da queste suggestioni deriva anche la scelta dell’intonaco finito a calce bianca accostato agli infissi rossi, che donano all’insieme un tono fiabesco “ricordano la casa di Hansel e Gretel” racconta Foggini. A queste suggestioni, libere e personali, corrisponde una ricerca accurata sui materiali e sugli arredi, che un fil rouge collega ai ricordi e al mondo poetico del proprietario. Gli spazi interni sono volutamente rarefatti, fortemente caratterizzati dagli elementi d’arredo e decorazione, con l’effetto complessivo di un contenitore arioso e ampio, predisposto sia per riunire gli amici, sia per abbandonarsi a momenti di relax in solitudine. La scelta delle finiture nasce da una ricerca sul riuso, uno scavo in profondità sulla materia e sulla sua possibilità di rinascita: sono di recupero le travi in larice e le pietre dei pavimenti (queste ultime provenienti da un’antica chiesa seicentesca), le piastrelle dei bagni e della cucina dipinte a mano e scovate presso il grande emporio di materiale di riuso del toscano Guido Frilli (Recuperando).
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Sopra: la stanza da letto del proprietario con un disco giallo al centro della parete e il ‘baldacchino’, composto da moduli di metacrilato assemblati e agganciati al soffitto. A sinistra, la stanza da bagno con piastrelle di recupero dipinte a mano in marocco e scovate presso il grande emporio dell’amico toscano guido frilli (recuperando). Sotto: Jacopo Foggini e la fidanzata Alice Nardi. pagina a fianco: la stufa in ceramica veneziana dell’Ottocento nella stanza da letto principale, con in primo piano il ‘baldacchino’ giallo-verde, opera di Jacopo Foggini.
Le porte provengono dal Giappone, opera dell’artista Masakatsu Tsumura, realizzate impiegando antichi legni di conifera asiatica, così come più che centenaria è la stufa in ghisa della cucina, posizionata accanto a un grande tavolo conviviale. Foggini l’ha trovata e acquistata da un antiquario torinese, ancor prima che esistesse la casa, come a comporre nel tempo un puzzle immaginario che via via ha preso forma. Di grande personalità anche il camino in ceramica dell’Ottocento veneziano, che ricorda la forma di un fungo, posizionato nell’angolo della camera da letto principale. Le creazioni artistiche del proprietario abitano ogni stanza: i Fiori dal lungo
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stelo che abbracciano lo spazio del soggiorno, i Dischi mono e multicolore apposti alle pareti, i Globi, i sontuosi Candelieri e i Gomitoli, sospesi e illuminati dal basso. Presenze che aprono lo spazio a percorsi meditativi e ludici al contempo, proiezioni immaginifiche magistralmente accordate a elementi di design di forte carattere, come il divano Boa di Edra, la Bubble Chair di Eero Aarnio o il pianoforte di Barnaba Fornasetti, pezzo unico appositamente creato per Jacopo Foggini. Un insieme armonioso e giocosamente provocatorio, che polarizza lo spazio verso un mondo poetico gelosamente custodito, collocato in un contesto paesaggistico di ardita bellezza.
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una sorta di viaggio mutante nel tempo e nello spazio, tra le icone delle culture di tutto il mondo in tutte le epoche, per il cuore del centro culturale-wellness della città basca, che mette in scena 43 colonne nel foyer d’ingresso. All’opera, insieme, il noto architetto francese, Philippe Starck e il noto scenografo italiano, Lorenzo Baraldi progetto di Philippe Starck/Starck Network capo-progetto Stefano Robotti foto di Francisco Berreteaga a cura di Antonella Boisi
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nelle pagine precedenti e accanto: il cuore dell’edificio, il maestoso foyer d’ingresso, punteggiato dalle 43 mega colonne, alte tre metri e larghe 160 cm, realizzate, sotto la direzione artistica di Lorenzo Baraldi, da otto laboratori artigianali che hanno portato nel lavoro la specifica ‘cultura del saper fare’ maturata nel proprio ambiente. Le colonne in terracotta invetriata sono state realizzate da la torre ceramiche d’arte; in marmo, da s.g.f. scultura di santini silvio & c; in legno, da r.c. scenografie arredamenti; in cemento, da tecnostyle; in acciaio, da rancati; in pietra leccese da pi.mar di cursì della famiglia marrocco; in mattoni, da fornaci briziarelli marsciano; in bronzo ed alluminio, dalla spagnola alfa arte. veduta esterna dell’edificio dell’ alhÓndiga ripreso da plaza arriquibar, nel centro di bilbao. a fianco, lorenzo baraldi ritratto con alcuni modellini delle colonne.
L’
Alhóndiga Bilbao è la prima opera pubblica di Philippe Starck in Spagna, commissionata dalla municipalità comunale. Recupera, riconverte e ricolloca nella contemporaneità un edificio modernista in mattoni rossi a vista, ferro e cemento armato costruito nel 1909 da Ricardo Bastida e utilizzato come deposito di oli, liquori e vino nel centro della città basca, Plaza Arriquibar, in posizione mediana tra il recente Guggenheim Museum di Frank O.Gehry e l’antica Plaza de Toros. Una cintura frammentata, un building all’interno del quale la composizione risulta restituita da un atrio centrale coperto sul quale affacciano tre edifici in mattoni rossi articolati su altrettanti livelli, nel complesso 40.000 mq destinati ad auditorium, cinema, mediateca, impianti sportivi, sale espositive e di sperimentazione artistica. “Un luogo concepito come motore di vitalità e di cultura secondo il motto latino Mens sana in corpore sano” ha spiegato l’archistar del design. Il risultato di un’opera corale:“Mi sono sentito coinvolto più come un direttore d’orchestra o come un regista che come un architetto in senso tradizionale” ha aggiunto. E, in questa prospettiva, risulta interessante la sua collaborazione con lo scenografo italiano Lorenzo Baraldi, che gli ha consentito di risolvere la criticità visiva di 43 pilastri, anche affiancati da pluviali, che punteggiano proprio lo spazio d’ingresso, fulcro di connessione e snodo tra le varie attività. “Ho sempre visto che nei film tutto accade dietro le colonne... dietro le colonne si nascondono rappresentazioni di dramma, bellezza, storia.
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Da un incontro con LORENZO BARALDI Quali sono le differenze a livello teorico e pratico, di concept e di cura realizzativa, tra il progetto di una scenografia effimera per il cinema e di una scena permanente per l’opera architettonica? “Soltanto i materiali, non ‘fissi’ e ‘poveri’, ma facilmente rimuovibili. Per il resto non c’è alcuna differenza nell’ideazione e nella progettazione, anche se lavorando con Starck mi sono accorto che la sua visione di designer è molto legata al dettaglio, alla perfezione esecutiva, mentre personalmente resto più focalizzato su una prospettiva d’insieme”. In questo lavoro ha seguito ogni fase, dall’idea all’installazione, come un progettista che disegna un pezzo d’arredo fino a vedere la nascita della sua creatura. Funziona così anche nel cinema? “È stata proprio la mia esperienza di cinema a consentirmi di svolgere questo compito. In realtà sul set si fa molto più design di quanto si possa immaginare. Consideri che in due anni realizzo 4/5 film in media e in ogni film mi trovo ad arredare più di 100 ambienti”. A livello di risorse umane coinvolte e di tempistica siamo sullo stesso piano? “Dipende dalla mole del film. A volte le squadre sono piccole, a volte molto numerose e lavorano su più set in contemporanea, ma i tempi di realizzazione sono sempre strettissimi, molto veloci, in posti spesso isolati, tra le montagne o in mezzo a un deserto, vere gare del tempo, non rapportabili alle deadline dilatate dell’architettura e del design d’interni. Nella fattispecie, Starck mi ha chiamato nel 2008, ma dall’ideazione al montaggio delle colonne nel 2010 sono trascorsi soltanto 5 mesi”. Qual è il peso del disegno nella costruzione di una scenografia cinematografica? “Il disegno è estremamente essenziale. Col disegno si ‘parla’ con il regista, il produttore, i realizzatori, perché un bozzetto fa capire immediatamente. Non voglio sentire parlare di AutoCAD perché è un mezzo freddo, non restituisce l’atmosfera dell’ambiente e tanto meno dell’arredamento. I miei assistenti devono assolutamente saper disegnare”. Un bilancio dell’esperienza starckiana? “Positivo, è stato come lavorare con un bravo regista, che mi ha richiesto un certo tipo di lavoro e io, come faccio sempre, gli ho sviluppato varie ipotesi e abbiamo scelto quelle più adatte al suo progetto”. Quali sono i suoi riferimenti elettivi in termini di ispirazione progettuale? “Sono onnivoro: le mie ricerche spaziano dalle riviste di settore alla pittura contemporanea, mi emoziono ancora davanti al design di Gio Ponti, Ettore Sottsass, Vico Magistretti, Achille Castiglioni, che hanno davvero rinnovato lo scenario dell’abitare. Comunque la mia formazione da ex studente di Brera è soprattutto pittorica. Come periodi artistici, le mie preferenze vanno all’impressionismo e ai macchiaioli”.
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una sala espositiva dedicata alle mostre artistiche e il bookshop del centro. Tutto è stato ristrutturato architettonicamente e arredato con pezzi appositamente disegnati da philippe starck.
la nuova piscina protagonista degli impianti sportivi all’interno dell’ alhÓndiga, edificio che si compone di tre corpi di fabbrica in mattoni a vista articolati su altrettanti livelli, nel complesso 40.000 mq di spazi fitness e wellness (declinati tra auditorium, cinema, mediateca, sale espositive e di sperimentazione artistica).
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Ogni colonna, messa in relazione con la sua cultura ed epoca, crea diverse interpretazioni, ambientazioni ed emozioni” ha raccontato Starck nel bel documentario-video 43 Colonne in scena a Bilbao prodotto da Schicchera Production, scritto e diretto da Eleonora Sarasin e Leonardo Baraldi (figlio di Lorenzo). Da questa riflessione, alla scelta di uno scenografo legato al mondo del cinema, il passo è stato breve. Su suggerimento del capoprogetto Stefano Robotti, tre anni fa Starck ha chiamato proprio Lorenzo Baraldi, classe 1940, parmense, studi di Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, un autentico talento nel disegno; e una carriera pluripremiata, segnata anche dal David di Donatello e da collaborazioni con registi come Dino Risi, Mario Monicelli, Massimo Troisi, Paolo Virzì, Paolo e Vittorio Taviani, Alberto Sordi. Lo scenografo di film quali il Marchese del Grillo (1981), Amici Miei (1975), Profumo di Donna
(1974), entra in questa storia quasi per caso. Alla sua prima volta col design, è chiamato a realizzare un’installazione permanente proprio nel cuore dell’edificio: avvolgere i 43 pilastri preesistenti con colonne tutte differenti per forme, materiali e apparato decorativo, ispirate alle culture di tutte le epoche. “In modo che, zigzagando tra queste colonne, si attraversi la geografia, la storia e il tempo. Uno spazio-tempo aperto in cui tutti si possono ritrovare” ha precisato Starck. Lorenzo Baraldi effettua una ricerca iconografica di modelli cui ispirarsi nel suo studio romano di Cinecittà, una sorta di museo del cinema popolato di plastici e foto di scena. “Una volta arrivati da Parigi i primi fax con gli schizzi e le indicazioni di Starck, ho elaborato circa 800 disegni” ricorda “iniziando, ispirandomi agli stili egiziani, assiro-babilonesi, greci e romani, classici”. È un tripudio materico, suggestivamente materico, di arabeschi scolpiti, cascate di fiori, frutta, grappoli d’uva, foglie di edera attorcigliata che entusiasma Starck che si concentra sul dettaglio e sulla perfezione realizzativa dei singoli pezzi. Una volta ottenuti i disegni definitivi, un laboratorio di scenografia realizza i 43 modellini. Una pratica consueta nel quotidiano di Baraldi. “Il modellino nel cinema è molto importante, perché molti registi non riescono a leggere una pianta, un alzato, una prospettiva” ha spiegato. Il prosieguo del progetto non è da mission impossible. Baraldi conosce i migliori laboratori specializzati nel campo cinematografico e teatrale a cui si rivolgono scenografi e costumisti di tutto il mondo. Nella fattispecie, su precisa richiesta di Starck, non ammette alcuna concessione all’utilizzo di materiali “poveri” familiari ai set come il gesso o la vetroresina, bensì privilegia la scelta di materie nobili appartenenti alla storia dell’architettura e finiture d’eccellenza quali la laccatura a mano data a pennello. Tra Carrara, Lecce, Roma, Firenze, Perugia e Milano, individua i territori d’elezione e i maestri della grande tradizione artigianale italiana, che realizzeranno le colonne in sette materiali diversi: legno, marmo, cemento, terracotta invetriata, mattoni, pietra leccese, acciaio. Soltanto il bronzo e l’alluminio sono di fattura spagnola. Lo scenografo italiano coordina tutte le fasi, dall’idea all’installazione, si confronta nei vari cantieri con le difficoltà della realizzazione. “È stato anche un modo” conclude “per monitorare sul campo la forza di sperimentazioni tra metodi di lavoro antichi e tecnologie all’avanguardia”. Perché, alla fine, come diceva un grande architetto torinese, Carlo Mollino, “il significato non sta nelle parole, ma nell’accento”. E più che una figura cristallizzata nelle solidità dei suoi muri centenari, Alhóndiga Bilbao resta un ‘ambiente’ vivo e dinamico che appartiene ai suoi fruitori e alla città. Insieme alle sue colonnescultura che, tradotte in una sequenza filmica narrativa, assurgono ancora di più a “simbolo auspicabile di una società contemporanea trasversale, multiculturale e multietnica, aperta al dialogo e all’interscambio”.
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LA COPERTURA A VOLTE INCROCIATE DELLA CATTEDRALE DI SAINT MARY A SAN FRANCISCO (USA), 1963-1971. IN ALTO, UN’IMMAGINE DELL’ESTERNO DELLA CATTEDRALE E UN RITRATTO DI PIER LUIGI NERVI AL TAVOLO DI LAVORO.
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Pier Luigi Nervi
la poetica del costruire
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di Matteo Vercelloni foto di Mario Carrieri
Una mostra itinerante e gli scatti di Mario Carrieri ripercorrono l’opera di Pier Luigi Nervi (1891-1979), ingegnere e costruttore, inventore di forme e processi edilizi che hanno liberato il cemento armato dalle tradizionali pratiche di cantiere e hanno fatto della struttura l’elemento cardine di una libera espressività nella sua architettura
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A sinistra, particolare della copertura del ‘Salone B’ del PalazZo delle Esposizioni di Torino, 1947-48. Sotto e nella pagina accanto, l’interno e la copertura della grande Sala per le udienze pontificie nella Città del Vaticano, 1964-71.
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artita da Bruxelles, transitata a Venezia durante la scorsa Biennale di Architettura e poi accolta al MAXXI di Roma con un approfondimento delle opere costruite nella capitale, la mostra Pier Luigi Nervi – Architettura come sfida – sostenuta con convinzione da Italcementi che con Nervi collaborò intensamente in varie occasioni– approderà entro il 2011 a Torino nel ‘Padiglione C’ di ToExpo che Nervi costruì nel 1950 e oggi è in grave stato di degrado. Ripercorrere l’opera di questo grande ‘costruttore’, nel senso umanistico e tutto italiano del termine, quasi una figura rinascimentale per intensità di pensiero e capacità d’invenzione, significa coglierne il messaggio di attualità che la stessa Zaha Hadid ha apertamente riconosciuto in un breve scritto contenuto all’interno del catalogo MAXXI Electa (Pier Luigi Nervi – Architettura come sfida. Roma, Ingegno e costruzione, 2010): “Pier Luigi Nervi ha sempre avuto una profonda influenza sulla mia opera. Nervi, insieme a Frank Lloyd Wright, è stato uno dei primi architetti a parlare di architettura
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organica, non solo riguardo alla stretta relazione tra gli edifici e il loro contesto, ma anche rispetto al modo in cui il progetto dell’edificio è concepito come organismo unitario”. Quanto si deve alla sperimentazione di Nervi, intuitiva oltre che scientifica e legata agli strumenti di calcolo strutturale del suo tempo, lo si può comprendere visitando lo stesso MAXXI concepito da Zaha Hadid. La libertà espressiva della forma, le possibilità di usare il cemento armato secondo le sue diverse caratteristiche, assecondando e sottolineando movimenti plastici di grande impatto, trovano le loro radici proprio in gran parte del denso percorso di ricerca e sperimentazione di questo progettista italiano. Un percorso che lega invenzione architettonica e strutturale in un’unica sintesi espressiva e che, grazie a nuove miscele cementizie che permettono un rapporto tra spessori e tenuta agli sforzi prima impensabile, affianca la definizione di un innovativo processo costruttivo: il ‘sistema Nervi’ da lui stesso perfezionato con la propria impresa di costruzioni, la Nervi e Bartoli, in
molteplici occasioni e cantieri. All’interno di un processo che unisce l’ottimizzazione di tempi e risorse alla necessità di liberare il cemento armato dai vincoli costruttivi imposti dalle tradizionali casseformi lignee, Nervi inventa nuovi impasti e impieghi del ferro. Giunge così alla definizione del concetto di ‘prefabbricazione strutturale’ (un brevetto depositato nel 1939) e del ‘ferrocemento’ (1943), un’innovativa soluzione strutturale che, modificando le proporzioni tra cemento e armatura, permette di ottenere solette di poco spessore (2-3 cm.) grazie all’utilizzo di un conglomerato di cemento ad alta resistenza spalmato su reti metalliche sottili. Il nuovo materiale da costruzione rivela ottime performances dal punto di vista non solo della resistenza, ma anche dell’elasticità e della duttilità. Omogeneo e leggero, sagomabile secondo ogni desiderio (che per Nervi è essenzialmente quello della sincerità strutturale dell’opera costruita, nella coincidenza tra forma e forze in gioco) il ‘ferrocemento’ è anche molto economico.
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vista zenitale interna della cupola del Palazzetto dello Sport di Roma, 1956-1957.
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Nella pagina accanto, particolare del pilastro a ‘V’ e della soletta sospesa dell’Ambasciata d’Italia in Brasile (con Antonio Nervi), 1969-1979, Brasilia. In alto a destra, particolare delle rampe elicoidali a sbalzo nello stadio comunale G.Berta a Firenze, 1930-32/1950-1951.
Con questa invenzione Nervi supera la costrizione dei casseri lignei che nel suo libro Costruire Correttamente (Hoepli, Milano 1955) spiega in modo esplicito: “Fino a che i vincoli formali delle casseforme in legno non saranno eliminati, l’architettura del cemento armato sarà sempre ostacolata dalla necessità di essere, sia pure per un solo momento, un’architettura di tavole. […] i più semplici elementi statici acquistano con il cemento armato un interesse architettonico altrettanto nuovo quanto espressivo. Le travi perdono la rigidezza prismatica del legno e dei profilati metallici, e possono plasticamente aderire alla variazione delle sollecitazioni interne. I sostegni verticali resi solidali con le strutture orizzontali abbandonano l’uniformità di sezione delle colonne o dei pilastri murari. I sistemi resistenti spaziali quali le cupole o le volte acquistano una libertà di profilo ignota alle strutture murarie, costrette a quelle forme che rendono possibile l’equilibrio interno attraverso le sole sollecitazioni di compressione”. All’invenzione materica, al perfezionamento e alla libertà espressiva permessa dal cemento armato si unisce in modo sinergico e complementare il ‘sistema Nervi’. Si tratta di un insieme di soluzioni tecniche che scandiscono
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un’innovativa organizzazione di cantiere e un nuovo modo di costruire, rapido ed economico. La prefabbricazione di elementi cementizi a piè d’opera consente di risparmiare sulla costruzione di complesse impalcature e casseri lignei e di dividere il processo costruttivo in due settori distinti operanti simultaneamente. Una parte degli addetti esegue scavi, fondazioni, pilastri e porzioni dell’organismo architettonico in getto; mentre allo stesso tempo si preparano poco distante le porzioni prefabbricate che saranno montate in seguito (il ‘sistema Nervi’ ha caratterizzato ad esempio l’intero processo di costruzione del Palazzetto dello Sport di Roma, 1954-1960). Si tratta di un atteggiamento imprenditoriale che lega al ‘prodotto architettonico’ la sua diretta produzione; momenti governati dallo stesso artefice che non trovano nel mondo delle costruzioni esempi altrettanto limpidi e che ben rappresentano un momento di rinascita tutto italiano, parte del complesso e multilineare mondo del ‘bel design’ del secondo dopoguerra in cui progettualità e qualità imprenditoriale espressero la loro migliore sinergia d’intenti e scopi. Significativo è osservare nelle foto di Mario Carrieri (da anni impegnato in una ricerca fotografica personale sui fiori e sulle forme naturali della botanica) l’analogia dell’opera nerviana con
forme strutturali proprie delle strutture vegetali; si tratta di un universo formale che discende dalla traduzione in chiave architettonica e poetica delle forze e degli sforzi in campo, declinati in un sistema teso verso l’ottimizzazione, anche economica, del processo costruttivo. Come affermava Nervi: “la distribuzione delle forze all’interno di un sistema iperstatico […] è un perfetto modello di giustizia ed economia distributiva della quale, solo vagamente, riusciamo ad afferrare la misteriosa e divina saggezza”. Allora, come scrive Sergio Poretti nel suo contributo al volume Pier Luigi Nervi – Architettura come sfida (a cura di Carlo Olmo e Cristiana Chiodino, Silvana Editoriale 2010): “sul principio di economia si basa il fondamento morale dell’operazione progettuale; lo stesso principio di economia convalida la qualità estetica della soluzione. Una centralità che si manifesta a più livelli: sul piano corrente, l’economia è prova della correttezza della soluzione, per cui la struttura assume la naturalezza dell’oggetto quotidiano (‘ventagli, paralumi’); sul piano artistico, l’economia assicura l’affinità della struttura artificiale con la Natura, il confronto con l’inevitabilità della forma creata (foglie, gusci di uova’), l’aspirazione alla ‘segreta armonia dell’universo’”.
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HEROLD SOCIAL HOUSING, COMPLESSO RESIDENZIALE E COMMERCIALE REALIZZATO A PARIGI SU PROGETTO DI JAKOB + MACFARLANE. OLTRE A ESSERE UN INTERVENTO DI SOCIAL HOUSING, FA PARTE DI UNA RICERCA SVILUPPATA DALLO STUDIO DI ARCHITETTURA FRANCESE NELL’AMBITO DELLA HIGH ENVIRONMENTAL QUALITY (FOTO JAMES EWING).
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Nuovo BusIness socIaL HousInG di Maddalena Padovani
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n Italia se ne inizia a parlare solo ora, ma in nord Europa è una realtà consolidata da circa vent’anni. Parliamo del social housing, un nuovo concept abitativo che nasce da esigenze sociali completamente diverse rispetto a quelle degli ultimi 50-60 anni e che innesca dinamiche tutte nuove su più fronti: i sistemi di finanziamento, le tecniche costruttive, i principi progettuali, le stesse modalità abitative. E che offre nuove opportunità di business per le aziende italiane del mobile e dell’edilizia. Ne parla Giovanni De Ponti, amministratore delegato di FederlegnoArredo, l’associazione di categoria che
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oggi è tra i principali protagonisti della cultura (ancora emergente) del social housing sul territorio nazionale e che ha creato il primo catalogo di prodotti di arredo e finitura destinati a questo nuovo mercato. Un tempo si parlava di edilizia popolare, ora di social housing. Cosa si intende con questo termine? “Tecnicamente, per social housing s’intende ‘un insieme di alloggi e servizi, di azioni e strumenti per un’utenza che non riesce a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul mercato, per ragioni economiche o per assenza di un’offerta adeguata’. Di fatto, il social housing è un nuovo processo abitativo rivolto a quel segmento di popolazione che è troppo ricca per poter accedere all’edilizia residenziale pubblica, ma non ha neanche un’adeguata capacità
CASE DI DESIGN MA A costi accessibili. INNOVATIVI principi costruttivi E NUOVI MODI DI ABITARE A basso impatto ambientale. CON VENT’ANNI DI RITARDO, SI SVILUPPA ANCHE IN ITALIA IL TEMA DELL’edilizia sociale. NASCE COSÌ UN NUOVO segmento di mercato IN CUI LE AZIENDE DELL’ARREDO POTRANNO COGLIERE occasioni di crescita E DI INNOVAZIONE
di reddito per potere accedere al libero mercato immobiliare. Parliamo di un’utenza molto ampia fatta di lavoratori saltuari, immigrati, studenti fuori sede, lavoratori a progetto, ma anche persone separate o divorziate: persone che, per un periodo di tempo circoscritto, hanno la necessità di affittare una casa ‘chiavi in mano’ già arredata, connotata da una buona qualità edilizia ma accessibile sul piano economico”. Quali progetti sono stati approntati per rispondere alla domanda di questa nuova utenza? “Per dare una risposta alle esigenze di questa nuova utenza, molto variegata e in continua espansione, il governo ha sviluppato il Piano Nazionale di Edilizia Abitativa che prevede l’utilizzo di fondi immobiliari costituiti mediante partecipazione di soggetti pubblici e privati (generalmente fondazioni bancarie o assicurative), strutturati nel Sistema Integrato dei Fondi (SIF). È previsto che nei prossimi cinque anni vengano stanziati ben 10 miliardi di euro per la realizzazione di circa 50mila alloggi, destinati per lo più a locazione a costi calmierati. Non si tratta tuttavia di investimenti a fondo perduto: la legge prevede che il ritorno sia garantito dagli affitti, che essendo però calmierati fissano il rendimento a un livello di poco superiore al tasso d’inflazione. Gli immobili resteranno in locazione per almeno 30 anni, dopodichè torneranno in pieno possesso degli investitori”. Quando verranno realizzati i primi interventi di housing sociale in Italia?
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Sotto, alcuni dei 2500 prodotti inseriti nel primo catalogo di elementi di arredo e finitura per il social housing realizzato da Federlegnoarredo per il bando Housing Contest.
Sopra, intervento di social housing a Carabanchel, nella periferia di Madrid, progetto di Morphosis e B+DU, 2007. Nella pagina accanto, un dettaglio dell’articolata conformazione prospettica degli edifici che costituiscono l’Herold Social Housing, progettati in funzione di vari parametri ed esigenze che includevano la conservazione dei vecchi alberi preesistenti.
“L’argomento è di grande attualità. Lo dimostra un fatto importante: lo scorso gennaio a Milano è stato approvato il nuovo PGT (Piano di governo del territorio, ndr) che destina il 35 per cento dei nuovi insediamenti residenziali all’housing sociale. Non è mai successo! Ci si aspetta che altri comuni, dopo la decisione di Milano, possano seguire lo stesso orientamento e che il processo subisca un’accelerazione. L’idea non è certo quella di realizzare dei quartieri-ghetto, ma di costruire a macchia di leopardo sul tessuto urbano, procedendo per interventi non troppo estesi e ben distribuiti tra loro, in modo da favorire l’inserimento armonioso delle aree destinate a social housing con quelle caratterizzate da un’altra fruizione sociale. Si tratta di un importante cambio di cultura territoriale. Il comune di Parma sarà il primo ad avviare un intervento di questo genere. Ha infatti dato il via alla costruzione di 852 appartamenti dei quali 265 in affitto a canone sostenibile, 182 in affitto con previsione di riscatto dopo otto anni e 405 in vendita a prezzo convenzionato”. In termini di business, quali scenari apre il social housing? “Si tratta di una sfida importante sia per chi progetta, sia per chi costruisce, arreda e rifinisce queste abitazioni. Quindi per tutte le aziende rappresentate da FederlegnoArredo, a cui si aprono nuove possibilità di crescita e nuove occasioni di business. Sono appunto questi gli obiettivi del bando europeo di concorso Housing Contest, promosso da FederlegnoArredo in collaborazione con comune di Milano, Ordine degli architetti della provincia di Milano, Assimpredil ANCE e IN/ARCH sezione Lombardia per la creazione di un repertorio di progetti per edifici residenziali a elevate prestazioni, con costi molto contenuti e tempi di realizzazione garantiti. Il tema del bando era la progettazione di
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due edifici: una torre e uno stabile lineare, la cui definizione doveva necessariamente scendere dalla scala dell’architettura a quella dell’arredamento. Per entrambi gli edifici il bando imponeva una serie di requisiti tecnici e prestazionali, ma soprattutto precisi limiti di costo: 1600 euro al mq come massimo costo di costruzione e 250 euro al mq come massimo costo per bagno, illuminazione e tutti gli arredi (cucina, soggiorno, camere). A tale scopo, Federlegno ha coinvolto i suoi associati nello sviluppo on line di due abachi dell’arredo e delle finiture dai quali i progettisti e le imprese partecipanti al bando hanno attinto per definire i loro progetti. Alla realizzazione dei cataloghi, i cui prodotti dovevano ovviamente rispondere a un preciso rapporto qualità-prezzo stabilito e verificato da una giuria tecnica, hanno partecipato circa 190 imprese. Si è trattato di un’importante iniziativa che ha permesso di sensibilizzare le aziende sul tema del social housing quale nuovo sbocco di mercato, stimolandole a pensare a prodotti specificamente pensati. Sono sicuro che su questo argomento si innescherà una nuova dinamica progettuale e
produttiva all’interno delle imprese italiane e darà una spinta importante in termini di innovazione, dato che la sfida è quella di realizzare prodotti italiani di qualità ma a costi calmierati”. Quali aziende potranno cogliere la sfida del social housing? “Le opportunità di business che il social housing può offrire in Italia riguardano tre tipologie di impresa: quelle che costruiscono case in legno, quelle che si occupano di finiture, quelle che producono arredi (dai mobili alle lampade alle attezzature per il bagno). Questa nuova prospettiva apre ovviamente un nuovo dibattito architettonico e progettuale. Si torna, dopo tanti anni, a parlare di case, progettate e costruite secondo nuovi parametri e un innovativo rapporto qualità-prezzo, ma soprattutto con prodotti e criteri tutti italiani, originali e non copiati”. Dopo l’Housing Contest, sono previste altre attività per la promozione dell’housing sociale e per l’individuazione delle occasioni di business ad esso legate? “Il compito di Federlegno per il prossimo futuro sarà continuare l’opera di sensibilizzazione, sollecitare i suoi associati a cogliere il treno che sta per passare. Il secondo obiettivo sarà intercettare gli appalti nel momento in cui usciranno, ovvero cogliere con tempestività le occasioni di business e comunicare le opportunità alle aziende di Federlegno. Siamo solo al punto di partenza di un processo lungo che si svilupperà nei prossimi anni, ma ci siamo già attivati per cogliere la sfida”.
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L’anti-cifra di Pistoletto
vivendo in un’epoca di bio-tecnologie, un termine quale ‘mutante’ sta diventando parte del nostro vocabolario. tuttavia non può essere ristretto solo alla scienza, per cui, nello specifico, viene applicato all’arte di michelangelo pistoletto di Germano Celant
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Mobile (Oggetti in meno), 1965-1966, Legno, velluto e tela, cm 86 x 86 x 86 Foto P. Pellion Piramide verde (Oggetti in meno), 1965, Legno (un tavolo, quattro sedie), cm 130 x 150 x 150. Foto P. Pellion Quadro da pranzo (Oggetti in meno), 1965, Legno, cm 200 x 200 x 50. Foto P. Pellion
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iviamo in un’epoca di bio-tecnologia per cui i termini ‘clone’ e ‘mutante’ stanno diventando parte del nostro vocabolario. Tuttavia, questa nuova fecondazione che riguarda la manipolazione di un embrione non può essere ristretta, come concetto, solo alla scienza. Non è un caso che tali soggetti siano entrati prima nella fantascienza e nel fumetto, creando visioni di personaggi o di cose fluide ed organiche che possono assumere caratteristiche di entità naturali, dall’umano all’animale. Duplicati e duplicanti che appartengono a un universo parallelo all’ordinario, con poteri estremi e sorprendenti. Esseri riprodotti che hanno nutrito la letteratura e il cinema, ma difficilmente hanno trovato spazio nell’arte. Perché? Evidentemente, il doppio e il deforme legati al processo mimetico del rappresentare non sono novità e non presentano alcuna differenziazione dal linguaggio favolistico e surreale delle visioni pittoriche e scultoree. Piuttosto, il termine ‘mutante’ si può applicare non tanto all’oggetto prodotto e alla sua figurazione, quanto all’attore protagonista dell’arte, l’artista stesso. Naturalmente, assunto semplicemente non come corpo o persona, ma in quanto viaggiatore in territori del vedere, dove realizza elementi che possono essere sempre identici a se stessi, quindi cloni, quanto cose che
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assumono forme e figurazioni cangianti, dai poteri mentali meraviglianti quanto dalle connotazioni fisiche inaspettate, quindi mutanti, non riconducibili ad una stessa normalità creativa. Un esempio di questo processo unicellulare che dà adito a risultati cangianti può essere identificato nel percorso di Michelangelo Pistoletto, la cui opera viene presentata al MAXXI di Roma fino al 15 giugno. Anche la sua ricerca si nutre del laboratorio delle idee e della manipolazione del vedere che, dal 1962, identifica nello specchio la celulla ‘somatica’ da cui trova origine l’organismo dell’arte, come riproduzione di sé e di cose caratterizzati da un aspetto inusuale e mostruoso (da monstrum = meraviglia), quelli che nel 1965-66 definirà “Gli oggetti in meno”. Il quadro specchiante, composto dalla superficie metallica, in acciaio inox, lucidata a specchio che quindi riflette le immagini, a cui si sovrappone la figura fotografica, in bianco e nero o a colori, è l’embrione da cui Pistoletto fa scaturire soggetti in divenire, le immagini riflesse, che crescono e si sviluppano in relazione agli osservatori che le passano dinanzi e al contesto che lo accoglie. Sono immagini , temporanee, che derivano dallo stesso ‘uovo’, lo specchio, quindi possiedono lo stesso genio, ma si differenziano
perché uniche nel momento della loro esistenza. Di fatto i quadri specchianti sono un processo di mimesi totale, non rinnovano, ma ‘clonano’ il mondo. Si pongono come identici, ma permettono lo sviluppo di un organismo, l’immagine, decisamente nuovo. Di fatto, possiedono lo stesso DNA visivo, pur producendo un essere autonomo. Per diversi anni il ciclo riproduttivo dei quadri specchianti percorrono vari stadi di vita, cominciano ad assumere caratteristiche fotografiche e tecniche più adulte, si ingrandiscono e si moltiplicano, fino a ‘dissolversi’, nel 1964, con la serie dei plexiglass nell’ambiente. Uno stato di animazione nell’habitat reale che aspira ad eliminare la lacuna tra immagine riflessa e il suo contesto esistenziale. In questo passaggio la registrazione e la riproduzione delle ‘figure’ riflesse, di passaggio dinanzi, al quadro, passano da una situazione virtuale ad una più reale, nel senso che si integrano ai muri e al pavimento. Le cellule temporanee che passano sulla superficie e quindi creano un’interfaccia in cui regna un’attività costante, si concretizzano in oggetti e cose. La distinzione tra riprodotto e reale cade, tanto che l’immagine - clone forma il reale, rinnova l’illusione visiva e ricompone l’ambivalenza tra originale e copia. Qui, le apparenze e le riproduzioni fissate sulla superficie specchiante aboliscono la distanza dalla situazione contestuale, da figura in superficie si trasformano, otticamente, in oggetto, che sembra scorrere con la condizione fisica delle cose. Lo spaesamento tra divenire simulato e divenire concreto, tra dimensione vitale ed artificiale, tra realtà ed inganno o realtà ed immaginario si riduce sempre più, senza interruzione o intervallo. Ma come è possibile una ricezione dell’immaginario? O, ancora meglio, come è possibile una sua clonazione e una sua concretizzazione simultanea e in tempo reale tramite le cose e forme fisiche? Èpossibile pensare un’arte capace di tradurre all’istante le immagini che attraversano lo spazio della mente e della fantasia? Dove collocare l’ubiquità e la pluralità che, sviluppatasi nel laboratorio dei quadri specchianti,
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Ti amo (Oggetti in meno), 1965-1966 Acrilico su tela, cm 60 x 70 Fondazione Pistoletto, Biella Foto: P. Pellion Semisfere decorative (Oggetti in meno), 1965-1966 Plastica colorata, 9 elementi, cm 214 x 234 Foto: P. Pellion
porta ad un crescita di un ‘corpo’ risultato di un pensare e di un vedere veloci che moltiplica in rapida sequenza figure e volumi? È pensabile un’arte che, seppur a velocità ridotta,’illumini’ l’aspetto seminale dello specchio e conduca alla realizzazione di cloni tridimensionali, facendo passare l’embrione riflesso ad uno stadio adulto? Nel 1965 Pistoletto mette insieme tutte le informazioni e le formazioni che sono scaturite dal 1962 al 1964, col passaggio dai quadri ai plexiglass e tenta la sperimentazione degli Oggetti in meno, 1965-1966. Partendo dai geni sulla ‘riflessione’ nel reale l’artista sposta il suo fuoco d’attenzione al riflesso interiore, quello dell’aspetto mutante della superficie speculare e della sua fantasia che, a ritmo accelerato, è in relazione mimetica con l’esterno dell’identità sia dell’oggetto che del soggetto. La registrazione, seppur temporanea, delle mutazioni passa infatti sulla superficie in inox per cui, dopo i Plexiglass, 1964, Pistoletto sente l’esigenza di ‘fisicizzarla’ in un ‘cosa’ che, giocando sulle possibili variabili del pensiero quanto dell’immaginario, dà corpo a Gli oggetti in meno, 1965-1966. Questo biennio è preceduto, storicamente, da un’altra ricerca che aspirava a mettere l’arte in movimento, quindi a renderla mutante. Si tratta delle sperimentazioni programmate e cinetiche, che però si basavano
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soltanto su una modificazione fisica del pattern visuale, mediante macchinari elementari e semplici. Un approccio tecnico, freddo e impersonale, destinato a risultare uno stimolo per il decoro, nel design e nell’architettura. Tuttavia, l’idea del ‘mutamento’ è presente, ma riduttiva, per cui il contributo di Pistoletto, che evita qualsiasi tecnicismo banale, è fondamentale per un cambio di segno. Apre il discorso visivo non al meccanismo del vedere, ma alla solidificazione del pensare e ottiene questo risultato passando dalla moltiplicazione della superficie specchiante alla moltiplicazione dell’attore e del trasmettitore dell’immaginario, l’artista stesso: “Ho pensato – afferma Pistoletto nel 1971 – che la cosa più bella fosse fare una mostra che avesse l’aspetto di una collettiva, dove non si identificasse una persona, che in quella maniera sarebbe stata un doppione della mia realtà, ma la mia realtà doveva rimanere unica e autonoma, e il resto doveva funzionare secondo la mia volontà che era l’unica realtà. Ho fatto questa mostra, cercando un sistema da usare affinché ogni oggetto fosse diverso dall’altro”. Di fatto, un processo di liberazione del mutante che alberga in ogni persona, che l’artista riesce a esternare arrivando a costruire oggetti che concretizzano un’immagine o un’idea pensata o intuita.
Fontana luminosa (Oggetti in meno), 1965-1966, Olio su tela, cm 80 x 100 Foto P. Pellion
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Rosa bruciata (Oggetti in meno), 1965, Cartone ondulato bruciato e vernice a spruzzo, cm 140 x140 x 100. Foto P. Bressano
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Pozzo (Oggetti in meno), 1965, Cartone ondulato, tele e telai spezzati, cm 100 x 140. Foto P. Pellion
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MICHELANGELO PISTOLETTO / 65
Struttura per parlare in piedi (Oggetti in meno), 1965-1966, Ferro verniciato, cm 120 x 200 x 200 Foto P. Pellion. Bagno (Oggetti in meno), 1965-1966, Fibroresina, cm 60 x 200 x 100 Foto P. Pellion.
Lampada a mercurio (Oggetti in meno), 1965, Allumininio dipinto e lampada a mercurio, cm 80 x 45 x 45. Foto P. Bressano
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È l’artista a proporsi come ‘mutante’, nel senso che non si ‘rappresenta’ nelle sue possibili ‘interpretazioni’, con il rischio di apparire quale maschera da fiction, ma è un’evoluzione del suo esserci, come comunicatore di idee e di immagini che traduce il suo esserci in un altro esserci Gli oggetti in meno. Il risultato di questa attitudine è inevitabilmente un insieme che rifugge da ogni coerenza stilistica, per affermarsi proprio con la sua ‘incoerenza’. Considerato che all’epoca ogni artista cercava un ‘cifra’ in cui identificarsi, ad esempio Dan Flavin nell’utilizzo dei tubi fluorescenti, Ryman nell’analisi del colore bianco, Kosuth nelle definizioni, Beuys nel feltro, Buren nelle strisce, e così via, la posizione di Pistoletto è assolutamente controcorrente, tanto da essere rifiutata dal mercato e dall’informazione. Bisogna inoltre ricordare che tali oggetti si insinuano come un cuneo linguistico tra una situazione di una loro sintesi formale, professata dalla minimal art, ed una situazione in divenire, energetica e poli-linguistica, l’arte povera. essendo elementi che apparentemente sono diversificati e incoerenti, appaiono come ‘privi di senso’, rispetto allo sviluppo monotono e unidirezionale dei sensi e delle articolazioni di molti movimenti contemporanei dalla pop alla
nascente conceptual art. Di fatto, accumulare in uno stesso spazio immagini che vanno da una rosa bruciata ad un bagno, da una lampada a mercurio a una fontana luminosa, da una piramide verde ad una struttura per parlare in piedi, da un presepe ad un pozzo significa produrre uno sfondamento nella riconoscibilità del linguaggio di un’artista, che appare qui multiplo e quindi mutevole. Siccome il mutante è uno e molteplice, l’io inconscio e conscio dell’artista diventa il territorio della sua esistenza e prende forma di ‘cose’, queste sono entità mostruose, quindi meraviglianti, che creano spiazzamento e stupefazione nel mondo dell’arte, perché imprendibili e imprevedibili. Gli oggetti in meno, come tutti i mutanti, sono fatti di materie che prendono forme e colori cangianti e sorprendenti, comportano un irraggiamento incontrollato, ma logico. Esternano figure improvvisate, quanto articolate, semplici e complesse, non si risparmiano alcuna configurazione, perché sottendono la massima entropia quale pulsione ad oggettivare qualsiasi forma, materia e idea.
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nemo di Andrea Branzi
In queste pagine, da sinistra: Il colore si annoda al suono: Marocco e La luce traccia il vuoto. da Meditazioni Mediterraneo. In Viaggio attraverso cinque paesaggi instabili, Percorso multimediale realizzato da Studio Azzurro e prodotto da Hermès, presentato a Castel Sant’Angelo di napoli nel 2002 e riallestito, a fine 2010, al Palazzo Ducale di Genova, dov’è stata aggiunta Lo sguardo insegue la memoria, nuova installazione relativa alla Siria.
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propheta in patria
internazionalmente noto come architettura radicale, è il movimento spontaneo, nato IN italia a fine anni sessanta, i cui umori germinali hanno prodotto le così battezzate archistar di oggi. un fenomeno oggetto di grande attenzione critica. Altrove
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In queste pagine, da sinistra: il vento porta i profumi: Francia e L’acqua si ferma nel sale: Grecia. da Meditazioni Mediterraneo. In Viaggio attraverso cinque paesaggi instabili, Percorso multimediale realizzato da Studio Azzurro e prodotto da Hermès, presentato a Castel Sant’Angelo di napoli nel 2002 e riallestito, a fine 2010, al Palazzo Ducale di Genova, dov’è stata aggiunta Lo sguardo insegue la memoria, nuova installazione relativa alla Siria.
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ubblicato dalla prestigiosa Princeton University, curato da Beatrix Colomina e Craig Buckley, è appena uscito negli Stati Uniti Clip, Stamp, Fold. The Radical Architecture of Little Magazines 196X – 197X, una prima e completa catalogazione (670 pagine) delle piccole riviste, ciclostili e fanzine auto-gestite, prodotti da quell’ingovernabile universo di idee, segni e progetti che segnarono l’avvento della nostra generazione, l’inizio della fine del Movimento moderno e la nascita di una stagione creativa irripetibile: un universo poliedrico, chiamato in tutto il mondo Architettura radicale. Un movimento spontaneo, privo di un programma unitario, di un manifesto politico, di uno stle unico: pieno di contraddizioni, dispersivo, ma colmo di umori germinali da cui nel tempo sono nate tutte le attuali archistar, che vedremo al più presto schierate al completo durante la Settimana milanese del design.
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Il lavoro di Beatrix Colomina e Craig Buckley ha permesso di catalogare ben 1.595 numeri di piccole riviste indipendenti e pubblicazioni semi-clandestine americane, europee e giapponesi: un materiale – prezioso e disperso – che nella primavera del 2010 è stato oggetto di una mostra alla Harvard University; un’occasione per re-incontrare i protagonisti di quella straordinaria stagione – come i vecchi musicisti delle band di quel tempo – tutti avevano da raccontare storie e avventure. Emilio Ambasz ha tenuto una conferenza (recentemente pubblicata su Domus) sul Movimento radicale italiano (in realtà, fiorentino) che è stato l’unico a portare, attraverso gli Archizoom Associati, una originale componente ideologica in un contesto caratterizzato da una dichirata posizione anti-politica. Su questo tema Pier Vittorio Aureli, docente alla Columbia University e al Berlage Institute di Rotterdam, ha ricostruito in The Project of Autonomy – Politics and Architecture within and agaist Capitalism (Priceton Architectural Press, 2008) le relazioni tra il pensiero operaista italiano degli anni Sessanta (Tronti, Panzieri, Cacciari, Negri) e la nuova cultura del progetto, da Aldo Rossi alla No-Stop City degli Archizoom: uno scenario teorico trasversale, del tutto assente nei Paesi anglosassoni e asiatici, me che ha fatto la differenza rispetto al qualunquismo nel quale molti radical sono naufragati. Una delle componenti caratteristiche del Movimento radicale, nato dal naufragio dei grandi teoremi della modernità e della politica, fu infatti quello di intuire, per primo, l’altissima complessità prodotta dallo sviluppo industriale e il
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prossimo futuro nel caos del mercato (e non nell’ordine razionale della fabbrica), insieme alla caduta irreversibile dei punti solidi delle certezze sociali e del modello del lavoro fordista, verso una crescita ingovernabile della libera creatività pubblica. In altre parole, il Movimento radicale prefigurò, con tutte le sue contraddizioni, quella fluidificazione della società e della città contemporanea, superando i limiti della tradizione compositiva, tipologica e normativa dell’architettura moderna. Su questa eredità, una parte importante della cultura ambientalista sta oggi riflettendo: in Ecological Urbanism, curato da Moshen Mostafavi e pubblicato della Harvard University nel 2010 (655 pagine), viene dedicato un largo spazio allo sviluppo dei modelli di urbanizzazione debole e alle mie riflessioni su una Nuova carta di Atene, presentata all’ultima Biennale d’architettura di Venezia, curata da Kazujo Sejima.
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A fronte di questa attenzione internazionale, risponde l’inquietante silenzio della cultura del progetto italiana, ancora ostile – o, semplicemente, ignorante – verso un movimento che proprio in Italia ha avuto origine. La scissione prodottasi negli anni Settanta tra la tendenza aldo-rossiana e, successivamente, tra il post-modern di Portoghesi e i gruppi dell’avanguardia radicale, non si è ancora rimarginata e, nonostante la grave crisi nella quale si muove da tempo l’architettura italiana, permangono gravi impedimenti alla nostra storiografia a capire (o, almeno, a conoscere) un fenomeno che altrove è oggetto di grande attenzione critica. Come sempre, nemo propheta in patria…
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Nove designer raccontano la loro idea di ‘progetto mutante’ E riflettono sui cambiamenti in atto in relazione ai loro ultimi lavori: fluidi, mutevoli, ipotetici, espressione del senso dell’incertezza piuttosto che dell’affermazione
Il design e la pratica del dubbio a cura di Maddalena Padovani testo introduttivo di Stefano Caggiano
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l dubbio viene dopo la certezza, come il progetto viene dopo la realtà: non per ribadire le cose come stanno, ma per spostarle un po’ più in là rispetto a dove le ha trovate. Si possono infatti mettere in questione l’esistenza di Dio o il senso della vita solo dopo aver accolto in sé queste idee; così il design, nel suo caratteristico rimettere in discussione le forme della vita materiale, è di fatto un modo di praticare il dubbio. Se ne sono resi ben conto gli eindhoveniani, che tra i primi hanno portato allo scoperto il lato oscuro della creatività diffusa, nella quale,
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ancorché definire soluzioni, si punta a mantenere il progetto in uno stato di protratta mutabilità. Si pensi alle sperimentazioni sugli archetipi di Richard Hutten, alle forzature ‘creaturali’ di Nacho Carbonell, al prolifico rilascio di virus di Pieke Bergmans. Ma si pensi anche all’innesto ‘scientifico’ dell’organico nell’inorganico del francese Mathieu Lehanneur, al raffinato utilizzo del rapid prototyping di Janne Kyttanen, alla messa in dubbio della realtà da parte di Tokujin Yoshioka, poetica e ‘giapponese’ fino alla sparizione. Come si viene palesando, ancora, nei sembianti fluidiformi di Ross Lovegrove, prodotti da processualità isomorfe all’evoluzione biologica, o nella definizione morfogenetica di forme
artificiali di Thomas Heatherwick, ciò che sta cambiando nel mondo organico-digitale è il modo di sentire il rapporto tra forma, materia e funzione. Perché gli oggetti non si pongono più come fatti, ma come ipotesi, abitate contemporaneamente sia dalle soluzioni che dalla loro messa in discussione, come viene testimoniato ad esempio dalle ibridazioni tipologiche di Lorenzo Damiani. Oggi le forme sembrano infatti evolvere non per adattamento darwiniano, che prevede la conservazione selettiva dei caratteri favorevoli alla sopravvivenza, ma per ‘exattamento’, cioè per l’utilizzo di particolari caratteri a fini diversi da quelli adattivi, come è stato per le piume degli uccelli che, sviluppatesi per scaldare il corpo, sono state in seguito sfruttate per il volo.
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Sopra: Extrusions, seduta in un unico pezzo di alluminio estruso, nata da una ricerca di Thomas Heatherwick (accanto in un ritratto di Markn Ogue) sulla semplificazione dei processi di produzione e assemblaggio delle sedute. Realizzata per Haunch of Venison, 2009 (foto Peter Mallet).
Thomas Heatherwick Mutant design… È forse qualcosa realizzato da persone dall’aspetto inquietante?
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Truciolari, collezione di arredi e complementi in truciolare tornito, realizzata da Lorenzo Damiani con Pietro Garbagnati, 2011.
Lorenzo Damiani Per me il design è ricerca, sperimentazione, semplificazione, invenzione e tanto altro. Ogni elemento progettato deve avere un motivo chiaro per cui esistere, soprattutto in un momento come quello in cui stiamo vivendo dominato dal ‘troppo di tutto’. Quando ho progettato la lampada Packlight ho inviato un chiaro messaggio al mondo del consumo che non considera la possibilità di riutilizzare le risorse residue; quando ho progettato il miscelatore OnlyOne ho voluto far capire che con la semplificazione si può arrivare ad ottenere l’evoluzione della specie domestica; quando ho progettato il feltrino Fel3 ho sottolineato come esista ancora un margine di progetto in tutte le cose. Per la collezione Truciolari ho cercato di comunicare, prima ancora di progettare oggetti, l’esistenza di un diverso punto di vista, interpretazione e possibilità di utilizzo di un materiale riconosciuto come povero: il truciolare. Questo semilavorato viene spesso utilizzato nel mondo dell’arredamento in modo nascosto, viene ricoperto ed occultato, nobilitato con l’uso di altri materiali. Forse, però, c’è un’altra strada. La mia idea di design che cambia rincorre l’idea di riuscire ad utilizzare risorse e materiali con responsabilità, cercando di nobilitare in modo diverso materiali normalmente percepiti come poveri. Ecco una delle sfide di oggi e, soprattutto, domani: proporre un uso alternativo dei materiali. Nel futuro forse svanirà la distinzione tra materiali più o meno pregiati perché tutti lo saranno. La “benzina” di questo progetto è l’idea di servirsi di una tecnologia semplice e tradizionale come quella della tornitura applicata ad un materiale solitamente tagliato, pressato, forato, impiallacciato e via dicendo ma mai tornito. In questo viaggio di scoperta sono stato accompagnato dall’artigiano architetto Pietro Garbagnati che ha sposato subito l’idea realizzando così i prototipi: sicuramente il suo contributo è stato fondamentale per la riuscita di questa collezione in cerca di un produttore. Quindi… grazie Pietro. Probabilmente ‘mutant design’ significa guardare cercando un altro punto di vista.
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Ross Lovegrove Mentre viaggiavo, ho letto un articolo molto interessante che parlava dell’importanza delle mutazioni nell’antropologia. Leggevo come la mutazione del bacino, che si è ampliato e aperto, abbia favorito la camminata bipede che ha portato all’Homo erectus e infine all’Homo sapiens. Nello stesso articolo si parlava dell’adattamento, ancora una volta avvenuto tramite mutazione, della mano dell’uomo che ha poi consentito la creazione degli strumenti ma anche i virtuosismi nel suonare il
piano e i processi di assemblaggio dei satelliti odierni… interessante. Proprio per questo l’idea di Mutant Design mi fa pensare a qualcosa di molto positivo e non a un concetto negativo legato magari alla deformità; è un’idea che io associo al progresso salutare e alla scoperta. Viviamo in un’epoca di incredibile biodiversità alimentata dalla curiosità, dalla scienza e dalla tecnologia… una crescita esponenziale caratterizzata dalla divulgazione delle idee tramite Internet e da una maggiore consapevolezza delle possibilità. Pertanto le regole del passato che immobilizzavano il design vengono mano a mano sottoposte a sfide, sostenute da nuovi processi, tecnologie, materiali e flussi parametrici. Questa corrente è bella e dovremmo lasciare che si esprima liberamente poiché, dal mio punto di vista, facilita il cambiamento e con esso la rottura dei confini che il gusto tiene dinamicamente in sospeso. Basta osservare l’energia emergente dei processi architettonici contemporanei che stimolano un’esplosione radicale della forma. Spesso il processo avviene a spese di una razionalità pratica, ma, in fin dei conti, questa è la conseguenza della condizione umana che, quando segue un libero corso, rompe le barriere facendo emergere un nuovo modo di percepire la vita. Anche il carattere indiretto dello scambio di informazioni richiede una comunicazione ad alta definizione: meno tattile da tanti punti di vista, si basa sugli stimoli visivi sostenuti dall’istinto e dall’intuito. Per questo le competenze evolvono dall’artigianato alla tecnologia complessa.
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Cellular Automation – Origin of Species 2, un’indagine di Ross Lovegrove sui processi di crescita delle ossa effettuata in stereolitografia, 2011.
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Mathieu Lehanneur La nostra mutazione più bella è quella che ci ha fatto uscire dall’acqua, che poi ci ha portato all’asciutto sulla terra e che infine – ne sono convinto – ci condurrà nell’aria. Saremo così passati da un ambiente liquido, dove eravamo meri microorganismi e batteri, a un ambiente solido, il nostro stato attuale di uomini che stanno in piedi, per giungere infine allo stadio gassoso. Questo cambiamento di stato dal solido al gassoso è quello che il vocabolario scientifico chiama solennemente: la sublimazione. Ed è questo probabilmente il nostro futuro. È uno dei motivi inconsci che mi ha spinto a più riprese a lavorare sull’aria, il suo disinquinamento, le sue proprietà e virtù. Penso in particolare a un progetto che verrà lanciato sul mercato quest’anno che associa le varie fasi della mutazione: Acqua-
Terra-Aria. The Island è un diffusore di minerali ottenuti per microfiltrazione dell’acqua degli oceani, sprigionati nell’aria. L’aria minerale così diffusa ci dà accesso a elementi vitali che ci appartenevano alcuni miliardi di anni fa e che conferiscono all’aria interna le stesse virtù benefiche di cui potremmo godere se abitassimo in riva all’oceano. È probabilmente qui che si giocano le mutazioni del mondo: la scorciatoia tra il passato, il presente e il futuro e le scorciatoie geografiche che consentono di portare l’oceano nel cuore di Milano! In termini di design, su un’altra scala, assistiamo a un’altra mutazione. Questa rivoluzione consiste nel guardare e considerare l’uomo nella sua più totale globalità e complessità. Il design ha sempre proceduto di pari passo con la scienza: le scoperte e la comprensione della nostra anatomia hanno dato luogo ai primi progetti di sedie che integrassero il concetto di comfort. Ma laddove la scienza, con la sua esigenza di decifrazione dell’essere umano, ha fatto passi avanti, il design si è lasciato a lungo nutrire da una visione troppo semplicistica del mondo. Oggi abbiamo una connessione in tempo reale che ci consente di conoscere il mondo vivente. Il cervello, pianeta tanto difficile da raggiungere e capire, ci rivela poco a poco i suoi segreti e il suo funzionamento. Ci troviamo in un momento di svolta della storia del design, quella in cui si associano potenzialmente la conoscenza profonda dell’essere umano e i mezzi tecnici e tecnologici per rispondervi. Marcel Bruer nel 1926, lavorando sulle sedute in tubi di acciaio, aveva predetto che saremmo finiti seduti su colonne di aria elastica. Penso che a lungo termine non ci sarà più bisogno di sedie né di supporti per stare seduti, ma si potrà trasmettere al cervello la sensazione – sublime – del comfort restando in piedi sulle proprie gambe.
The Island, un progetto di Mathieu Lehanneur per Airmineral. Si tratta di un diffusore ambientale di minerali ottenuti per filtrazione dell’acqua degli oceani (foto Jean-Luc Luyssen/Madame Figaro; ritratto di Véronique Huyghe).
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Nacho Carbonell Il processo del design muta in funzione di numerose variabili, come gli aspetti sociali, l’ambiente, le nuove esigenze e i nuovi comportamenti, che determinano la nascita di nuovi oggetti con nuove funzioni e nuove estetiche. Anche i miei lavori rispecchiano alcune di queste variabili o forse tutte. A cominciare da Pump it up, che parla di individualismo, della vita da single, del nuovo male del vivere sociale, della necessità condivisa di comunicare, del bisogno di tessere relazioni, persino con gli oggetti inanimati. Si tratta di oggetti che raccontano una storia molto contemporanea. La collezione Evolution analizza anche altri aspetti della contemporaneità, come il sovraccarico di informazioni, l’eccesso di sprechi e l’idea della comunicazione: come la facciamo? Che canali utilizziamo? Il che fa sorgere anche un’altra domanda: cosa accadrebbe se non volessimo praticarla? Ci parla anche di altri problemi come la necessità di intimità e di privacy. Tutti aspetti che io considero molto presenti nella società odierna e che sono unici e diversi da quelli del passato. I miei progetti non danno certo una risposta a tutti questi problemi, ma spero che facciano sorgere degli interrogativi e stimolino a chiedere, dubitare e immaginare. L’immaginazione può aprirci la porta delle soluzioni di cui andiamo alla ricerca. Il fatto che io venga considerato un designer fa capire quanto la figura del designer stia mutando.
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Luciferase, collezione di lampade in resine epossidiche e led realizzate da Nacho Carbonell per Galerie BSL di Parigi. Si ispirano agli organismi bioluminescenti che abitano gli abissi marini e che comunicano tra loro grazie alla luce e ai colori (foto Ulysse Fréchelin).
Assumiamo nuovi ruoli per rendere il nostro lavoro più completo, per cercare di superare le frontiere che un tempo erano chiuse e vietate a coloro che venivano etichettati come designer. Mi piace pensare che oggi il designer voglia capire e analizzare sempre di più e meglio tutti gli aspetti della società, in modo da essere in grado di fornire un servizio migliore, qualunque esso sia. Quotidianamente vedo il termine design associato a nuove discipline che cercano di incasellare o etichettare quello che fanno i progettisti: graphic design, fashion design, food design, industrial design, emotional design, social design, design-art… A mio avviso, il ruolo di questa figura ambiziosa chiamata designer è quello di creare progetti quanto più ricchi di senso possibile. Mi piace pensare al design come a un barometro della nostra società, dei nostri tempi, della nostra esperienza; gli oggetti che creiamo rappresenteranno in futuro la nostra epoca, un modo di pensare determinato dalle circostanze in cui viviamo. Il contesto è ciò che ci fa essere quello che siamo e, nel contempo, siamo noi a creare questo contesto. Uno dei problemi che il designer si trova ad affrontare ai nostri giorni è l’esigenza di definire se stesso per spiegare agli altri chi è. Il che può essere utile per obbligare se stessi a domandarsi chi si è e cosa si vuole, con il pericolo, però, di applicare al proprio lavoro un’etichetta che rischia di asfissiare la creatività, punto a cui io non voglio arrivare.
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Tra le variabili che influenzano il design contemporaneo ci sono senz’altro le nuove tecnologie. La mia esperienza più recente su questo tema è stata l’applicazione dei LED alla collezione Luciferase. Qui le nuove tecnologie svolgono un ruolo importante, ma non sono il principale focus del design; l’idea della tecnologia scompare per concentrarsi sull’idea della luce. Il design finale ha un’estetica organica, naturale, primitiva, che va oltre l’idea di tecnologia. Con questo progetto intendo ravvicinare due universi
diversi tra di loro, che sembrano lontani, ma che in realtà possono essere reinterpretati e aiutarsi a vicenda. Si tratta di un’ibridazione di mondi apparentemente opposti. L’idea dell’adattamento può essere considerata a mio avviso una delle principali sfide che il designer deve affrontare. L’adattamento è la chiave della sopravvivenza e, nello scenario di costante cambiamento in cui viviamo, è un elemento fondamentale.
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Pieke Bergmans
Personalmente, non mi interessa ciò che viene ricreato in modo sempre uguale, con identiche qualità e con il medesimo aspetto, come avviene nella produzione di serie. Non ho nulla in contrario al processo industriale, ma ritengo sia più interessante pensare a qualcosa di diverso, ideare una formula/ricetta che consenta a ogni oggetto di avere una propria personalità e originalità. Tutto ciò che viene riprodotto in natura ha sempre in sé qualcosa di unico, diverso e originale. Nessun capello sulla nostra testa è uguale a un altro; e sono proprio le differenze a innescare il processo di innamoramento. Scegliamo quello che ci piace di più e capiamo istintivamente cosa è meglio per noi. Tutto ‘evolve’. Un’idea non nasce mai dal nulla, è collegata a tutto ciò che accade intorno a noi. Ogni nuova idea nasce da una combinazione di fattori, eventi e immagini che ci circondano. Mescoliamo e amalgamiamo queste esperienze e ogni volta il risultato è un nuovo pensiero/progetto. In questo senso, per ‘mutazione’ si potrebbe intendere il modo in cui opera la natura. Si tratta di una traduzione diretta di ‘evoluzione’, un concetto che ha in sé qualcosa di ‘animalesco’ e che fa pensare agli oggetti come se fossero vivi. Probabilmente i ruoli dei designer sono in continua
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Sotto: L.A.M.P. 001/1, un innovativo concetto di lampada ideato da Pieke Bergmans & LUSTlab (a sinistra, la designer in un ritratto di Stefano Galuzzi). A destra: ritratto di Janne Kyttanen.
evoluzione. Dipende dall’obiettivo che si pongono. Alcuni designer vogliono rendere il mondo un luogo migliore inventando e sviluppando prodotti che ci aiutano dal punto di vista pratico. I miei progetti, invece, sono molto più concettuali, ambiscono ad aprire le menti e stimolare la creatività, la libertà e il mondo della fantasia. Ad aprile a Milano presenterò un progetto che cambia la nostra prospettiva della realtà ... Oggi la realtà conosce diverse dimensioni. Diamo per scontate moltissime cose, come poter parlare al telefono con qualcuno che sta dall’altra parte del mondo ... la comunicazione è istantanea, senza ritardi, e la diamo per scontata. Mi piace giocare con queste cose e ora sto progettando oggetti che si comportano in maniera diversa rispetto al modo in cui siamo abituati a farne esperienza. Più che una designer mi considero una regista di processi. Seguo la corrente e lavoro in modo molto sperimentale, vedo qual è l’effetto delle cose che lascio volutamente accadere. Poi raccolgo gli esperimenti e cerco di capire qual è l’evento più interessante o la piccola invenzione che vale la pena sviluppare ulteriormente. La maggior parte delle volte si tratta dell’inizio di una nuova avventura.
Janne Kyttanen Credo che il concetto di ‘mutant design’ rappresenti i tempi che stiamo vivendo: niente è permanente e i cambiamenti avvengono ancora prima che possiamo rendercene conto. Penso che il design contemporaneo oggi stia subendo una grande mutazione legata al processo di digitalizzazione, che coinvolge e trasforma tutto e sposta i termini di previsione al di là dei colori di moda che domineranno negli arredi della prossima stagione. Il grande cambiamento è dovuto al fatto che, grazie alla digitalizzazione, il mondo può cambiare in un istante senza che la maggior parte delle persone se ne accorga. E non solo per quanto riguarda il design: le giovani generazioni cresciute nell’era digitale hanno rivoluzionato tutti gli ambiti della creatività, come la musica, la letteratura, il cinema. Attraverso Facebook e Twitter sono in grado di rovesciare governi nel giro di pochi giorni. Fino a poco fa i designer erano considerati quasi degli dei. Quei giorni sono finiti. Il loro ruolo oggi si sta avvicinando a quello di ‘facilitatori’. I miei progetti sono completamente digitali e sono pensati per consentire alla gente di relazionarsi facilmente a essi, con le stesse modalità con cui le persone comunicano ai propri amici tramite Facebook. Le persone sono sempre più colte e la maggior parte di esse desidera svincolarsi dai prodotti che può trovare nei negozi, perchè sanno che si può avere qualcosa di meglio. Quindi, anziché creare prodotti statici, bisogna far sì che ogni cosa diventi interattiva. I designers che non riusciranno ad adattarsi al cambiamento, difficilmente potranno resistere sul mercato. Durante gli ultimi 11 anni ho creato circa 25mila progetti semplicemente stando seduto alla mia scrivania, davanti al computer. Soltanto una piccola parte di essi è passata alla fase di produzione e questo per me è un peccato. Probabilmente ciò non sarebbe accaduto se fosse stato possibile condividere questi dati. Magari altre persone avrebbero avuto idee migliori delle mie e mi avrebbero dato utili ispirazioni per portare a termine i miei progetti. Mi capita spesso di sentire i designer lamentarsi del fatto di avere avuto un’idea e di averla poi vista
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Macedonia, Sistema divisorio modulare di Janne Kyttanen per Freedom of Creation.
pubblicata anni dopo su una rivista, realizzata da qualcun’altro. Credo che queste persone siano bloccate nel passato. Tutte le idee che abbiamo sono già nell’aria: anche l’ispirazione più grandiosa è di sicuro venuta a qualcun altro tra 7 miliardi di persone. Per questo non credo che le idee debbano appartenere a qualcuno: per me, non condividere tutti i file 3D dei miei progetti sarebbe come impedire a un designer grafico di usare i pixel perché il ‘pixel’ lo ha usato qualcun altro prima di lui.
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Tokujin Yoshioka
Richard Hutten Sopra: Playing with Tradition, serie di tappeti di Richard Hutten per I+I, ispirati a disegni tradizionali che, attraverso l’elaborazione digitale, si trasformano in motivi decorativi contemporanei (a sinistra, ritratto di Arie Kievit).
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Quando un progetto evolve da una funzione definita a una funzione indefinita emergono nuovi significati. Queste mutazioni generano sorpresa, creano nuove definizioni dell’estetica e possibilità. Le mutazioni sono sempre state un tema del mio lavoro, dai tavoli che diventano sedie e armadi fino alle sedie che si trasformano in ibridi. Cose senza una funzione ben definita. Tali mutazioni possono essere viste come una forma di gioco. Proprio come il calciatore che gioca con la palla e va alla ricerca di vari modi per fare il gol migliore, io gioco con gli elementi già esistenti per creare nuove tipologie. Come scrisse Johan Huizinga nel suo saggio Homo Ludens, giocare non è un’espressione culturale, giocare è la cultura stessa. Questo modo giocoso di fare design, prendendosi le proprie libertà all’interno di una serie di regole, porterà a prodotti culturali pregni di senso.
Rispetto al passato, oggi tutto è ben progettato e la società sembra esserne soddisfatta. Per questo l’idea della forma sta perdendo valore e importanza rispetto al progetto dell’esperienza e delle sensazioni. Personalmente, mi interessa studiare come nascono le emozioni nelle persone per cercare di integrare questo meccanismo nel design. Attualmente ci troviamo a un importante punto di svolta, segnato dal passaggio dell’uso di risorse energetiche derivate dal petrolio a quelle di natura elettrica. Dato che il mio obiettivo è appunto progettare esperienze piuttosto che forme, penso che sia importante tornare alla prospettiva di fondo e chiedersi perché un prodotto esiste, cosa vale la pena conservare, quali innovazioni richiede, oppure arrivare persino a domandarsi se abbiamo davvero bisogno di determinati oggetti. Il disegno di nuovi oggetti oggi ha senso, secondo me, se riguarda l’invenzione di prodotti innovativi, come l’auto ibrida, l’aspirapolvere Dyson, i ventilatori e l’i-Phone. Negli ultimi anni i miei studi si sono concentrati sull’osservazione dei fenomeni naturali e delle modalità con cui questi ci influenzano e ci ispirano, quindi sulla loro integrazione nel processo del design. Durante la settimana milanese del design di aprile realizzerò con Moroso l’installazione Twilight ispirata al fenomeno dei raggi crepuscolari anche noto come la ‘scala dell’angelo’: in uno spazio tutto bianco, infiniti raggi di luce sembrano uscire dalle nuvole e piovere sulla terra. Moon è invece una sedia, disegnata sempre per Moroso, che si ispira alla luna e ai suoi effetti di luce e ombra. La luce lunare è effimera, nasce e scompare all’improvviso. È l’espressione più sottile dell’universo. All’interno dell’installazione Twilight, la luce si riflette sulla superficie delle sedie e rivela la consistenza dei materiali bianchi di cui sono costituite. È un chiaro di luna in continuo cambiamento.
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LA PRATICA DEL DUBBIO / 79
Schizzo di Tokujin Yoshioka per la sedia Moon, che Moroso presenterà all’interno dell’installazione Twilight ispirata alla bellezza del gioco di luci e ombre proprio della luna.
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1. ACERBIS INTERNATIONAL, CREDENZA LUDWIG, DESIGN LUDOVICO ACERBIS, 2005. 2. ALESSI, SERVIZIO DI PENTOLE POTS&PANS, DESIGN JASPER MORRISON, 2006. 3. BONALDO, SEDIA IMBOTTITA MARTA, DESIGN JAMES BRÖNTE, 2002; 4. BOFFI, SISTEMA DUEMILAOTTO, DESIGN PIERO LISSONI + CRS BOFFI, 2008; 5. MERIDIANI, DIVANO BOGART LARGE, DESIGN ANDREA PARISIO, 2002; 6. ALIVAR, LIBRERIA WAVY, DESIGN GIUSEPPE BAVUSO, 2009; 7. CALLIGARIS, SEDIA WIEN, DESIGN LUCIDI & PEVERE, 2009; 8. CAIMI BREVETTI, LIBRERIA BIG, DESIGN MARC SADLER, 2009; 9. CECCOTTI COLLEZIONI, POLTRONA DC 90, DESIGN VINCENZO DE COOTIS, 2009; 10. DADA, SISTEMA CUCINA TIVALI, DESIGN DANTE BONUCCELLI,2005; 11. CERRUTI BALERI, POLTRONCINA TESSILE MARÌ, DESIGN LUIGI BAROLI, 2003; 12. BAXTER, DIVANO BUDAPEST, DESIGN PAOLA NAVONE, 2003; 13. IGUZZINI, SISTEMA LIGHTAIR, DESIGN BRUNO GECCHELIN, 2000; 14. FIAM ITALIA, TAVOLO RAY PLUS, BARTOLI DESIGN, 2006; 15. DE MAJO ILLUMINAZIONE, LAMPADA BABOL T, DESIGN NICOLA GRANDESSO, 2010. 16. GERVASONI, SEDIA ALLU, DESIGN PAOLA NAVONE, 1999; 17. GUZZINI, LINEA VINTAGE, DESIGN GUZZINI LAB, 2002; 18. LEMA, SISTEMA COMPONIBILE SELECTA, DESIGN LEMA, 1995; 19. ALIAS, COLLEZIONE FRAME, DESIGN ALBERTO MEDA, 1991; 20. ZERODISEGNO, CREDENZA TIGRE, DÉCOLLAGES COLLECTION - MIMMO ROTELLA, DESIGN MARCO FERRERI, 2004; 21. BUSNELLI, DIVANO PIUMOTTO, DESIGN B.STUDIO, 2008; 22. ARC LINEA, SISTEMA CUCINA CONVIVIUM, DESIGN ANTONIO CITTERIO, 2002; 23. AZUCENA, POLTRONA CHINOTTO, DESIGN LUIGI CACCIA DOMINIONI, 1973; 24. LIGNE ROSET, COLLEZIONE PUMPKIN, DESIGN PIERRE PAULIN 1971-1974, RIEDIZIONE 2008; 25. MATTEOGRASSI, SEDUTA ARETÈ, DESIGN FRANCO POLI, 2007; 26. PALLUCCO, LAMPADA GILDA, DESIGN ENRICO FRANZOLINI, 2000; 27. MAGIS, AIR CHAIR, DESIGN JASPER MORRISON, 2000.
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TANTE SONO LE aziende del design italiano A CUI ABBIAMO CHIESTO DI INDICARCI IL LORO best seller DEGLI ultimi dieci anni. UN SONDAGGIO CHE CONFERMA UN cambiamento d’epoca: LA FINE DEGLI STILI DI RIFERIMENTO E UN nuovo comportamento di consumo, SEMPRE PIÙ CONSAPEVOLE E ATTENTO AI VALORI DEL PROGETTO, SEMPRE PIÙ individuale E creativo NELLE SCELTE DI PRODOTTO E PER QUESTO difficilmente codificabile. COME SPIEGANO, CON DIFFERENTI PUNTI DI VISTA, I due sociologhi CHE ANALIZZANO I RISULTATI DI QUESTA INDAGINE
testo di Francesco Morace
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28. ARFLEX, DIVANO STRIPS, DESIGN CINI BOERI, 1972; 29. SLAMP, LAMPADA GINETTA, DESIGN NIGEL COATES, 2005; 30. VIABIZZUNO, LAMPADA DA TERRA BAMBOO (LINEA ALVALINE), DESIGN LUIGI CICOGNANI MARCO MERENDI, 2000; 31. MERITALIA, DIVANO MODULARE MICHETTA, DESIGN GAETANO PESCE, 2005; 32. DRIADE, DORMEUSE TOKYO POP, DESIGN TOKUJIN YOSHIOKA, 2002; 33. KARTELL, POLTRONCINA LOUIS GHOST, DESIGN PHILIPPE STARCK, 2002; 34. RODA, SEDIA HARP, DESIGN RODOLFO DORDONI,2005-2006; 35. MARTINELLI LUCE, LAMPADA ELICA, DESIGN BRIAN SIRONI, 2009; 36. SCAVOLINI, CUCINA CRYSTAL, DESIGN VUESSE, 2004; 37. FRAG, POLTRONCINA NISIDA, DESIGN FABIO CALVI E PAOLO BRAMBILLA, 2008; 38. GALLOTTI&RADICE, TAVOLO LORD, DESIGN PIERANGELO GALLOTTI, 2004; 39. EDRA, DIVANO FLAP, DESIGN FRANCESCO BINFARÉ, 2000; 40. FRATELLI BOFFI, DIVANO PLUMP (COLLEZIONE SCUBISM), DESIGN NIGEL COATES, 2008.
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l ventaglio di scelte che ha caratterizzato lo scenario dei prodotti di design più venduti nel nuovo millennio costituisce lo specchio prezioso di un cambiamento d’epoca. Gli stili di riferimento sono saltati, così come le tendenze estetiche: i cento prodotti che potete osservare nel mosaico che ci viene proposto in queste pagine non è attraversato da uno stile dominante, e ancor meno da tendenze riconducibili alle diverse scuole del design che in un tempo non lontano avremmo definito razionalismo o design radicale, organicismo o minimalismo high tech. L’elenco di prodotti che i maggiori produttori di design in Italia hanno contribuito a stilare come campioni di vendita
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nell’ultimo decennio, rappresenta piuttosto una scena di tanti pezzi unici, proposti però nel segno di nuovi paradigmi: la percezione sensoriale, la funzionalità illuminata, l’emozione sostenibile e la matericità sperimentale. Campioni irripetibili di una sensibilità progettuale, produttiva, fruitiva, non riconducibile ad alcuna categoria pre-definita. Dal canto suo, anche il consumatore è diventato editore, tendendo a scegliere l’unicità della performance estetica e funzionale: non si lascia più orientare né dai grandi nomi di designer o Archistar, né dai rivenditori di fiducia, né tantomeno dalle riviste più cool, che infatti sono entrate in una crisi probabilmente irreversibile.
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44. DE PADOVA, TAVOLO CAMPO D’ORO, DESIGN PAOLO PALLUCCO E MIREILLE RIVIER, 2005; 45. SERRALUNGA, VASO VAS-ONE, DESIGN LUISA BOCCHIETTO, 2002; 46. VALDICHIENTI, LETTO BASIC, DESIGN GIUSEPPE BAVUSO, 2000; 47. PLANK, SGABELLO MIURA, DESIGN KONSTANTIN GRCIC, 2005; 48. LEUCOS, LAMPADA VITTORIA, DESIGN TOSO, MASSARI & ASSOCIATI, 1992; 49. CAPPELLINI, SERIE SUPEROBLONG, DESIGN JASPER MORRISON, 2007; 50. EMU, SEDIA ROUND, DESIGN CHRISTOPHE PILLET, 2007; 51. HORM, SEDIA, KI, DESIGN MARIO BELLINI, 2008-2010; 52. LIVING DIVANI, DIVANO EXTRA WALL, DESIGN PIERO LISSONI, 2007; 53. ARPER, SEDIA CATIFA, DESIGN LIEVORE, ALTHERR MOLINA, 2001; 54. MOLTENI & C, TAVOLO DIAMOND, DESIGN PATRICIA URQUIOLA, 2005; 55. SEGIS, POLTRONCINA BREEZE, DESIGN CARLO BARTOLI, 1996; 56. ERNESTOMEDA, CUCINA BARRIQUE, DESIGN RODOLFO DORDONI, 2006; 57. FONTANAARTE, LAMPADA DA TERRA VERTIGO, DESIGN MARCO ACERBIS, 2005.
Il consumatore vive, abita, esprime una propria intelligenza concreta, sempre più in grado di valutare l’eleganza misurata o estrosa di un divano o di una seduta (se ne contano tante e tra le più diverse: dal Superoblong di Cappellini alla Hola di Cassina, dal Flap di Edra fino alla Tokyo Pop di Driade), o di un oggetto multi-materico come il Vintage di Guzzini e la Wien di Calligaris. Il nuovo scenario dell’abitare e dell’arredo raccoglie le istanze ormai mature della sensorialità come paradigma vincente negli ultimi dieci anni e le incrocia con le nuove logiche della sostenibilità. Il mondo dell’ecologismo militante e quello del politically correct che era emerso negli anni ‘90, hanno conosciuto a loro volta una
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evoluzione qualitativa e quantitativa, abbandonando la fase anti-consumista – e quindi lontane dal design – e approdando invece a una dimensione assai più estesa e quasi ecumenica, che comincia a coinvolgere milioni di persone in tutto il mondo. È così che si definiscono ad esempio i nuovi parametri dell’eccellenza e dell’utilizzo creativo dei materiali e della loro trasformazione industriale. Seguendo questa direzione cambiano i processi creativi e produttivi, cambia la relazione tra tecnologia e progettazione, cambia la percezione delle persone e dei consumatori che si muovono sempre più frequentemente nell’ambito dell’emozione sostenibile, conciliando le proprie aspirazioni
estetiche con i nuovi principi etici che definiscono il rispetto per l’ambiente. Nei prodotti più venduti negli ultimi dieci anni non si segnala quindi in modo diretto una tendenza naturalista o ecologista, ma piuttosto una ricerca di nuovi equilibri tra comfort e sperimentazione formale, materiale, funzionale. Che sia il divano-tappeto Magellano di Magistretti per Campeggi o la batteria di pentole Pots&Pans di Alessi, i consumatori dimostrano di gradire risposte puntuali a esigenze specifiche, l’innovazione applicata a nuove concezioni modulari, flessibili, a misura di nuove famiglie che vivono la casa in modo disincantato e quotidiano, esprimendo una sorta di pragmatismo illuminato.
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58. LUMINA, SERIE MATRIX, DESIGN YACOOV KAUFMAN, 2000; 59. GIOVANNETTI, DIVANO SUPERSTAR, DESIGN SPACE TIME, 2007; 60. DEDON, SEDUTA ORBIT, DESIGN RICHARD FRINIER, 2001; 61. ROBOTS, SISTEMA LIBRERIA TRIESTE, DESIGN ENZO MARI, 1999; 62. CAMPEGGI, DIVANO MAGELLANO, DESIGN VICO MAGISTRETTI, 2004; 63. PORRO, SISTEMA GIORNO MODERN, DESIGN PIERO LISSONI, 1997; 64. NEMO, LAMPADA DA TERRA ARA, DESIGN ILARIA MARELLI, 2003; 65. FLOU, LETTO TADAO-STYLE, DESIGN VICO MAGISTRETTI, 1993-2010; 66. GIORGETTI, SCRIVANIA ERASMO, DESIGN MASSIMO SCOLARI, 2009; 67. ZANOTTA, DIVANO WILLIAM, DESIGN DAMIAN WILLIAMSON, 2010; 68. PIERANTONIO BONACINA, POLTRONA PENSILE EGG, DESIGN NANNA JØRGEN DITZEL ,1957; 69. GLAS ITALIA, TAVOLO ATLANTIS, DESIGN LORENZO AROSIO, 2002; 70. DOMODINAMICA, POLTRONA CALLA, DESIGN STEFANO GIOVANNONI, 2002-2003; 71. ITALAMP, LAMPADA ET-VOILÀ, 2004; 72. RIMADESIO, PORTA SCORREVOLE VELARIA, DESIGN GIUSEPPE BAVUSO, 2005.
Il lusso e la sostenibilità hanno combattuto per più di trent’anni una battaglia senza quartiere. I valori distintivi e prestigiosi del lusso non apparivano infatti compatibili con la visione neo-pauperista che la comunità degli ecologisti proponeva come un’alternativa secca al sistema dei consumi. Nel corso dell’ultimo decennio la distanza si è andata riducendo: il lusso si è sempre più andato a esprimere in una versione più soft e discreta, in cui l’eccellenza e la qualità della vita hanno prevalso sull’ostentazione e sul privilegio, e la sostenibilità ha abbandonato la sua visione più integralista e ideologica, per diffondere linguaggi, prodotti e servizi che a volte sono stati definiti eco-chic e che sempre hanno privilegiato una idea di selezione qualitativa ricca e profonda. La carrellata di prodotti
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che ‘arreda’ queste pagine propone quindi il paradigma dell’eccellenza sostenibile, raccogliendo i frutti di questa progressiva convergenza di valori e comportamenti. Le esperienze sostenibili in futuro si incontreranno sempre più spesso con le sfide del nuovo lusso, così come le qualità profonde dei materiali costituiranno elementi fondativi del progetto. In particolare è attraverso l’uso dei materiali, la loro struttura ed eco-compatibilità, la loro connotazione percettiva e funzionale, che i consumatori si avvicinano alla logica dei processi produttivi: il tema emerge ad esempio con forza in alcuni prodotti di illuminazione che aziende come Danese e Foscarini hanno saputo sviluppare in questa direzione, così come hanno fatto i produttori
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73. CORO, DIVANO NEST, DESIGN STEFANO GALLIZIOLI, 2007; 74. BINOVA, CUCINA PRIMA, DESIGN PAOLO NAVA FABIO CASIRAGHI, 1993; 75. FOSCARINI, LAMPADA A SOSPENSIONE CABOCHE, DESIGN PATRICIA URQUIOLA ED ELIANA GEROTTO, 2005-2006; 76. DESALTO, TAVOLO LIKO, DESIGN ARIK LEVY, 2003; 77. TISETTANTA, SISTEMA METROPOLIS, DESIGN ANTONIO CITTERIO, 1984; 78. B&B ITALIA, DIVANO RAY, DESIGN ANTONIO CITTERIO, 2010; 79. PEDRALI, SEDIA GLISS, DESIGN POCCI&DONDOLI, 2002; 80. POLTRONA FRAU, DIVANO QUADRA, DESIGN STUDIO CERRI & ASSOCIATI, 2001; 81. FLEXFORM, DIVANO GROUNDPIECE, DESIGN ANTONIO CITTERIO, 2001; 82. LAPALMA, SGABELLO LEM, DESIGN SHIN & TOMOKO AZUMI, 2000; 83. PRANDINA, LAMPADA EQUILIBRE, DESIGN LUC RAMAEL, 2004; 84. TECNO, TAVOLO NOMOS, DESIGN FOSTER AND PARTNERS, 1986; 85. VARASCHIN, DIVANO E POLTRONA TIBIDABO, DESIGN CALVI BRAMBILLA, 2000; 86. LAGO, SISTEMA GIORNO 36E8, DESIGN DANIELE LAGO, 2009.
di cucine da Bulthaup a Boffi, da Binova fino ad ArcLinea. Il tema materico trasferisce infatti quell’emozione fruitiva che altri passaggi (l’ingegnerizzazione o la struttura tecnica dei prodotti) non sono in grado di garantire, anche se ad esempio nel mondo della cucina rimane importante l’intervento creativo sulle modularità. La tessitura dei progetti, la pelle materica dei prodotti, il peso dell’arredo modulare nella dimensione abitativa, costituiscono alcuni degli elementi da osservare con attenzione in molti dei prodotti presentati: ne sono un esempio il sistema Frame di Alias, i moduli di Lago, la libreria Wavy di Alivar, il sistema Selecta di Lema. Sono ormai molti anni che il tema della pro-attività e dei processi modulari costituisce una
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piattaforma di scelta creativa del consumatore. Il cuore stesso delle imprese piccole, medie e grandi batte sempre più nella direzione di processi creativi che devono dimostrarsi unici e rilevanti per sostenere un futuro che si immagina sempre più competitivo. La relazione tra sensorialità e tecnologia conosce ormai un lungo percorso di analisi e di riflessione che risale all’intuizione di Naisbitt che nei primi anni Novanta fu il primo a parlare di High Tech/High Touch come un tandem di esperienze non più contrapposte ma convergenti. L’ipotesi che la tecnologia potesse amplificare la sensorialità, e non semplicemente eliminarla come nelle visioni più ingenue della prima fantascienza (le pillole che sostituivano il cibo, la casa che si trasformava in laboratorio freddo ed efficiente...), si è
progressivamente affermata negli ultimi venti anni e viene ormai accettata e praticata da un numero sempre maggiore di progettisti, manager e consumatori. L’area del design dedicata alla conoscenza e alla sensibilità che si nutre di tecnologia, attraverso la mediazione dei materiali più avanzati, eredita quindi questa ormai lunga tradizione nel rapporto virtuoso tra high tech e high touch, e approfondisce i temi del design illuminato, dell’implementazione vitale, dell’architettura visionaria e dell’artigianato tecnologico.
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87. ARKETIPO, SISTEMA LOFT, DESIGN ADRIANO PIAZZESI, 2003; 88.CASAMANIA, SEDUTA HIM&HER, DESIGN FABIO NOVEMBRE, 2008; 89. ARTEMIDE, LAMPADA TOLOMEO, DESIGN MICHELE DE LUCCHI, GIANCARLO FASSINA, 1987; 90. PAOLA LENTI, DIVANO FRAME, DESIGN FRANCESCO ROTA, 2006; 91.FLOS, LAMPADA SPUN, DESIGN SEBASTIAN WRONG, 2003; 92. MOROSO, COLLEZIONE LOWLAND, DESIGN PATRICIA URQUIOLA, 2004; 93. VARENNA, CUCINA ALEA, DESIGN PAOLO PIVA E CR&S, 2003; 94. VALCUCINE, PROGRAMMA ARTEMATICA, DESIGN GABRIELE CENTAZZO, 1990; 95. SAWAYA&MORONI, SEDIA MAXIMA, DESIGN WILLIAM SAWAYA, 2002-2003; 96. MDF ITALIA, LIBRERIA RANDOM, DESIGN NEULAND, 2005; 97. LUCEPLAN, LAMPADA COSTANZA, DESIGN PAOLO RIZZATTO, 1986; 98. POLIFORM, CABINA ARMADIO UBIK, DESIGN CR&S POLIFORM, 2003; 99. MORELATO, LIBRERIA MASCHERA, DESIGN CENTRO RICERCHE MAAM, 2007; 100. BULTHAUP, SYSTEM B3, DESIGN HERBERT H. SCHULTES, 2004.
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DIecI annI DI DesIGn ITaLIano: Le sceLTe DeI consumaTorI di Vanni Codeluppi
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a crisi economica che è iniziata nel corso del 2008 ha inevitabilmente determinato delle ripercussioni sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei consumatori. Come sempre avviene in periodi simili, il baricentro delle spese si è progressivamente spostato verso i consumi essenziali e per risparmiare si sono utilizzate diverse strategie: ridurre le spese, approfittare delle promozioni e delle offerte speciali, acquistare i prodotti delle private label delle aziende di distribuzione, rifornirsi ai distributori dei prodotti venduti sfusi, recarsi presso i venditori ambulanti, gli hard discount, gli outlet e le catene low cost oppure andare direttamente dai produttori e nei cosiddetti ‘farmer’s market’. Va considerato però che, per quanto riguarda l’Occidente e l’Italia, i consumi sono stati prevalentemente stazionari nel corso di tutto l’ultimo decennio. Ad eccezione infatti dei settori in grado di offrire ai consumatori delle reali innovazioni (come ad esempio l’elettronica di consumo), la maggior parte dei prodotti ha a che fare sul mercato con consumatori che hanno soddisfatto gran parte dei loro bisogni essenziali e sono pertanto poco sensibili alle singole proposte d’acquisto che gli vengono rivolte. Sono soggetti che comperano soprattutto per mantenere lo standard di vita e il livello di benessere precedentemente acquisiti. La stazionarietà dei consumi è stata determinata anche dal processo di progressivo declino culturale che le società occidentali sembrano aver imboccato da tempo. La maggior parte delle persone ha poca fiducia nel futuro e non condivide più progetti e ideologie che siano in grado di aggregare e, nello stesso tempo, anche di muovere le società verso nuovi traguardi. E non dobbiamo dimenticare che il decennio appena trascorso è cominciato con una drammatica catastrofe che ha profondamente messo in crisi il sistema di certezze del mondo occidentale: il crollo delle Twin Towers a New York. In questo contesto di grande insicurezza, i consumatori portano avanti un faticoso processo di definizione della propria identità
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personale e tendono a diventare sempre più eclettici e infedeli rispetto ai prodotti, alle marche e ai canali di vendita. Così, tra i prodotti più venduti negli ultimi dieci anni dalle aziende italiane di arredamento e design è spesso presente la proposta di adattabilità. Divani e librerie, ad esempio, sono modulabili e capaci di offrire funzioni differenti e in grado di assecondare le specifiche esigenze di ciascun consumatore. Oggi, però, i consumatori sono soprattutto alla ricerca di certezze. Anche perché cresce costantemente in loro la sensazione di essere vulnerabili. Si tratta di un fenomeno paradossale, perché in realtà la vita in Occidente è diventata più sicura, eppure le persone hanno la sensazione di essere vulnerabili e possibili vittime di atti violenti. Sul piano dei comportamenti di consumo, ne derivano inevitabilmente delle conseguenze: la ricerca di prodotti che offrono protezione (sistemi d’allarme e SUV), una crescente tendenza a scegliere prodotti che consentono di sperimentare una fuga psicologica dalla realtà che preoccupa (giochi e videogiochi) e, infine, un orientamento verso quelle potenti gratificazioni materiali e sensoriali che vengono fornite dai beni di lusso. Chiaramente anche il settore dell’arredo non può che essere pesantemente influenzato dalla ricerca di prodotti rassicuranti. Ecco dunque perché le scelte dei consumatori in questo settore sono state principalmente orientate nell’ultimo decennio verso prodotti dalle forme semplici, essenziali e chiaramente identificabili. Non si tratta però di un ritorno del design minimalista, ma piuttosto di un orientamento verso una modernità che può ormai essere considerata classica: una modernità fatta di forme geometriche, razionali e trasparenti, e forse anche influenzata da quella ricerca di funzionalità che contraddistingue da sempre il design nordico. È certo che nei mobili più venduti negli ultimi dieci anni dalle aziende italiane è molto limitato lo spazio dedicato a decorazioni e segni vistosi che possano fare pensare a una ricerca di ludicità da parte del consumatore. Non siamo cioè di fronte a un ritorno di quel gusto neobarocco spettacolare ed eccessivo che ha imperversato per gran parte degli anni Ottanta. E troviamo anche pochissime influenze provenienti da una domanda di oggetti d’arredo dallo stile etnico, come sarebbe stato lecito aspettarsi vista la crescente comparsa di questi oggetti nelle abitazioni nel corso degli ultimi anni. Ma probabilmente tale domanda è stata soddisfatta dalle botteghe e dai negozi specializzati in questo genere di prodotti, che si sono moltiplicati negli spazi urbani e hanno fatto prevalentemente ricorso all’importazione. Sarebbe stato lecito aspettarsi anche una domanda di oggetti d’arredo in grado di esprimere dei forti legami con il mondo naturale, dato che negli ultimi anni si è ampiamente sviluppata
in Occidente la consapevolezza dell’importanza della ricerca di un rapporto armonico con la natura, la quale si è tradotta nei comportamenti di consumo in una forte richiesta, ad esempio, di cibi biologici e naturali. Sembra però che la domanda di natura sia stata soddisfatta attraverso una forma simbolica di consumo di quest’ultima. Vale a dire cioè che la natura è stata consumata nel mondo dell’arredo attraverso oggetti che la richiamano indirettamente, ad esempio attraverso forme arrotondate o vivaci colori di tipo floreale. Certo le forme organiche proprie della natura vengono adottate anche perché ergonomiche, in quanto sono in grado di stabilire un miglior rapporto con la conformazione del corpo umano, ma ciò non spiega comunque la significativa presenza di forme naturali negli oggetti delle aziende italiane che sono stati più richiesti. Scarsa sembra essere anche la presenza di tecnologie avanzate negli oggetti scelti dai consumatori negli ultimi dieci anni. Anche in questo caso, probabilmente, la domanda è stata soddisfatta facendo ricorso a un’altra categoria di oggetti: quella dell’elettronica di consumo. Ci si sarebbe però potuti aspettare una maggiore presenza di tecnologia all’interno degli oggetti di design. È probabile che la spiegazione più valida a questo proposito sia ancora quella che è stata proposta all’inizio: la forte ricerca di rassicurazioni presente nella popolazione. Va considerato del resto che in Occidente questa ricerca opera in maniera particolarmente significativa anche a causa dell’intenso processo d’invecchiamento in corso. I soggetti anziani, essendosi formati in un’altra epoca, vivono con notevoli difficoltà in un mondo come quello attuale, sempre più complesso e mutevole. Pertanto, non cercano di consumare dei prodotti tecnologicamente avanzati, che li disorientano, e si rivolgono a quelli che sono stati selezionati dallo sviluppo storico, perché li vivono come rassicuranti sul piano psicologico. Ecco quindi spiegata la crescente adozione nel mondo dell’arredo di uno sguardo retrospettivo e nostalgico che guarda a prodotti che hanno avuto successo in passato, ma soprattutto che recupera nel design dei nuovi prodotti forme stilistiche tipiche di precedenti epoche storiche.
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mutant vision foto di Miro Zagnoli scenografia di Markus Benesch di Nadia Lionello
Ovvero modificare la visione dello scenario con un movimento, in senso orario. Quattro i paesaggi per protagonisti dal dna trasformista e trasformato: forme e funzioni variate, materiali recuperati che avvalorano l’identità del progetto, sempre in continua evoluzione
Wave, lampade alogene a sospensione in alluminio estruso a sezione ellissoidale, laccato alluminio, bianco o nero. Design di Baruffi & De Santis per Foscarini. Tight, poltrona rivestita in tessuto o in pelle totalmente sfoderabili, con base in acciaio cromato o nero. Design di Nicola Gallizia per Molteni&C. Calligrafia, mobile-libreria della serie di quattro forme calligrafiche ispirate all’alfabeto giapponese, realizzata in MDF laccato opaco nei colori primari del rosso, giallo, blu. Di Cortesi Design per Flou. Mind The gap, opera d’arte tridimensionale realizzata da Markus Benesch per la mostra Phoenix in Der Asche 2010 a Monaco curata dal professore Wolfgang Flatz. l’opera È stampata a plotter da ChiarionLaf su Exalite® (pannelli ultraleggeri con core alveolare in polipropilene rivestito) brevettato e prodotto da Cartonplast.
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COPERNICO, LAMPADA A SOSPENSIONE, COMPOSTA DA NOVE ELLISSI CONCENTRICHE RICAVATE DA UN’UNICA LASTRA IN ALLUMINIO ANODIZZATO E RUOTABILI INDIPENDENTEMENTE SU DUE DIVERSI ASSI, IN NUMEROSE CONFIGURAZIONI. PORTA 384 LED BIANCHI. DESIGN DI CARLOTTA DE BEVILACQUA PER ARTEMIDE. QBIST BAR, OMAGGIO A HENRY E. DUDENEY (IDEATORE DI GIOCHI MATEMATICI) MOBILE BAR SU RUOTE A GEOMETRIA VARIABILE, COMPOSTO DA QUATTRO ELEMENTI TRAPEZOIDALI APRIBILI IN DIVERSE POSIZIONI, REALIZZATO IN CORIAN® E INTERNO IN ACCIAIO INOX MIRROR, ATTREZZATO DI RIPIANI, CASSETTO, VASSOIO, TAGLIERE ESTRAIBILE E VASCHETTA PORTAGHIACCIO. DESIGN DI BRUNO RAINALDI PER OPINION CIATTI.
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EUS, TAVOLO CON STRUTTURA E GAMBE IN TONDINO METALLICO VERNICIATO E PIANO NELLA VERSIONE ECOMAT (MIX DI NOCCIOLI RESIDUI DELLA MOLITURA DELLE OLIVE, PLASTICA RICICLATA E SCARTI DI LAVORAZIONE DEI PANNOLINI). DESIGN DI PAOLA NAVONE PER EUMENES. ABYSS, LAMPADA A LUCE LED, CON STRUTTURA AD ELEMENTI MODULARI SNODABILI IN POLICARBONATO OPALINO STAMPATO A INIEZIONE, É AUTOPORTANTE E TRASFORMABILE IN INFINITE COMBINAZIONI DI FORME. DESIGN DI OSKO & DEICHMANN PER KUNDALINI. GINGER, CONTENITORE FREESTANDING IN MDF LACCATO GOFFRATO, CON ANTE A BATTENTE E A RIBALTA. DESIGN DI CLAUDIO BITETTI PER MINOTTI ITALIA.
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TORQ, POLTRONA CON STRUTTURA IN TUBOLARE DI ACCIAIO VERNICIATO A FORNO GRIGIO AZZURRO O GRIGIO CHIARO CON SEDUTA IMBOTTITA E RIVESTITA IN PELLE ARANCIO, NERA, BIANCA, ROSSA, INDACO. DESIGN DANIEL LIBESKIND PER SAWAYA & MORONI. BABEL, LIBRERIA A FORMA TRONCO-CONICA, A CINQUE PIANI, REALIZZATA IN POLIETILENE STAMPATO CON TECNICA ROTAZIONALE IN DIVERSI COLORI, UTILIZZABILE ANCHE PER CONTRACT E IN ESTERNO. DESIGN MARIO MAZZER PER BONALDO. CROSS 3D, OGGETTI LUMINOSI A SOSPENSIONE, DA TERRA O TAVOLO COMPOSTI DA UNA SERIE DI PICCOLE FORME ICONICHE PIÙ FAMOSE DI KARIM RASHID E REALIZZATE IN POLIAMMIDE SINTERIZZATO A LASER DA FREEDOM OF CREATION.
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location creative e novità inedite: UNA prima visione, in contemporanea allo spettacolo più atteso di primavera, creata in virtuale. Una combinazione di elementi all’insegna dell’invenzione e della sorpresa
Effetti speciaLI virtual location di Mozart Italia di Nadia Lionello
V
irtual location uguale a “computer genereted location”. Si tratta di ambienti fotorealistici costruiti al computer grazie a rappresentazioni matematiche e calcoli necessari a simulare il comportamento della luce e le proprietà fisiche e ottiche degli oggetti e dei materiali. È un metodo di lavoro molto simile a quello tradizionale, la differenza è nel linguaggio, che utilizza il passaggio di differenti software per ottenere il progetto immaginato. Un ulteriore percorso nella comunicazione figurativa, da principio fotografica con l’uso della tradizionale pellicola, oggi con l’utilizzo inesorabile della tecnologia del digitale nelle sue diverse forme.
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pagina a lato: Uma, lampadario a luce fluorescente con struttura in acciaio e diffusore in metacrilato trasparente. Design di Giancarlo Tintori per Nemo. Snake, libreria a moduli sovrapponibili e accostabili in legno laccato in diversi colori o acciaio e bordi laccati o essenza naturale. Design di Giuseppe Bavuso per Bross. Tablet, tavolo da pranzo con piano tondo o quadrato in marmo bianco Carrara o nero Marquinia o Emperador e gambe in noce o wengè oppure laccate bianche o nere. Design di Classeon Koivisto Rune per Arflex.
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da sinistra Thin Black table, tavolino con struttura in metallo a sezione quadrata e piano in vetro extralight 5mm su telaio ad L. Design di Nendo per Cappellini. Impossible wood, sedia con scocca in liquid wood (composito termoplastico in fibra di legno e polipropilene) stampato a iniezione e base in acciaio cromato. Design di Doshi e Levien per Moroso. a380, sedia in plastica riciclata e riciclabile con e senza braccioli. Design di ineke Hans per Royal Ahrend. Lou Read, poltrona con schienale alto rivestita in cuoio. Design Philippe StarcK con Eugeni Quitllet per Driade. Untitled, seduta impilabile con scocca sagomata in polipropilene e gambe in metallo cromato o nel colore della seduta. Design di Mr Smith Studio per Calligaris. Miss Less, seduta-scultura in policarbonato e polipropilene con base nera e schienale nero, bianco o trasparente; adatta anche per contract. design di Philippe Starck per Kartell.
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pagina a lato: Round, sun lounger impilabile, con struttura in tubolare metallico cataforizzata, e seduta in lamiera stirata e zincata a caldo, verniciata al poliestere. Design di Christophe Pillet per Emu. 100 coffee table, della 100 Collection My Design, tavolino con struttura rivestita in pelle, top e base in legno laccato. Design Michael Young per Trussardi. Heron, lampada bidimensionale da tavolo a LED, in alluminio verniciato, con snodi autobloccanti. Design di Enrico Azzimanti per Bilumen. Container, mobile contenitore multifunzionale modulare con base in legno di olmo naturale e contenitori in MDF laccato. Design di Alain Gilles per Casamania.
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pagina a lato: Paddock, divano con struttura a vista in massello di rovere o noce, verniciato effetto cera, cuscinatura in poliuretano e piuma d’oca con rivestimento in tessuti naturali o pelle bovina primo fiore spessorata. Design di Michele De Lucchi con Davide Angeli per Domodinamica. White Shell, tavolino-comodino in Cristalplant® pigmentato in massa bianco opaco. Design Salvatore Indriolo per Zanotta. Flo, lampada a luce LED da terra o tavolo ruotabili a 120° e a morsetto a 360°, in alluminio verniciato nero o bianco. Design di Foster+Partners per Lumina.
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nuovi paradigmi di luce Un atto di responsabilità nei confronti del pianeta e di consapevolezza nei confronti del futuro: con il progetto Mimesi, sviluppato per Artemide, l’architetto e designer Carlotta de Bevilacqua sperimenta la ‘scrittura luminosa’ per una nuova visione dell’illuminazione
foto di Miro Zagnoli testo di Francesco Massoni la lampada Mimesi di Carlotta de Bevilacqua (nel ritratto) per Artemide è dotata di base e testa in alluminio riciclato lucidato ed è alimentata da due sorgenti led: la prima, rivolta verso il basso, genera luce diffusa; la seconda, ad alta potenza, proietta luce indiretta verso l’alto. Nella pagina accanto, un dettaglio del diffusore in metacrilato trasparente inciso della lampada.
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Accanto, la lampada Mimesi in fase di costruzione. Il progetto nasce da una ricerca condotta sulla smaterializzazione e l’ecosostenibilità. Sotto, uno schizzo che illustra le dinamiche luminose applicabili alla lampada.
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imesi inaugura una visione della luce ‘in trasparenza’, ossia in chiave smaterializzata. Luce in una dimensione sospesa nel tempo e nello spazio, come un’idea di luce. Anzi, come la scrittura che la precede e la legittima, perché “in principio era il logos”… Mimesi è, in realtà, un progetto che parte da lontano, da molto lontano. Nel 1995, infatti, Artemide, marchio leader dell’illuminazione residenziale e professionale, dava inizio, nel suo Centro d’innovazione a Pregnana Milanese, a un pionieristico percorso di ricerca la cui filosofia è stata efficacemente racchiusa nell’espressione The Human Light. Si trattava di operare una sorta di rivoluzione copernicana: il proverbiale e classico equilibrio fra forma, innovazione, funzionalità ed efficienza, che garantiva il successo di un apparecchio luminoso di buon design, non era più considerato sufficiente a rispondere alle sfide del futuro. Dall’illuminazione dello spazio era necessario concentrare l’impegno sull’illuminazione per l’uomo e il suo benessere.
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Sotto, il foyer del Teatro Franco Parenti di Milano, illuminato, su progetto di Carlotta de Bevilacqua, con le lampade a sospensione della linea Altrove ideata dalla designer per artemide. In basso, un esempio degli effetti cromatici realizzabili con l’impiego del sistema Altrove, dotato di tecnologia fluo RGB.
Quest’anno, Carlotta de Bevilacqua ha deciso di spingersi oltre l’altrove, ossia di trasferire la natura immateriale della luce in un corpo astratto, ideale, che si dissolve e si mimetizza nello spazio, convertendo la propria scrittura progettuale in scrittura tout court. “La grafia”, spiega l’autrice, “è il segno che resta inciso sulla corteccia della luce”. E aggiunge: “Se Altrove consentiva di volgere lo sguardo oltre lo spazio, Mimesi ci permette di conoscere lo spazio in cui siamo immersi. Perché la scrittura viene prima della luce. Anzi, contribuisce a crearla”. Dalla scrittura visiva si innesca, dunque, quel gioco che stimola la percezione luminosa, traducendola in una nuova esperienza spaziale. Mimesi è una lampada da terra alimentata da sorgenti led che, nel suo esemplare nitore geometrico, riflette un mondo in cui il design è mosso da principi etici, la tecnologia incontra la sostenibilità, la funzione è generatrice di emozione e benessere a basso consumo energetico.
Perciò, Carlotta de Bevilacqua, architetto e designer con una spiccata vocazione alla sperimentazione e all’interdisciplinarietà, si è messa subito all’opera, e assieme all’ingegnere Fabio Zanola, responsabile Ricerca e innovazione del brand, ha costituito un gruppo di lavoro che, sulla base di puntuali e accurate indagini scientifiche, ha dato vita a nuovi concept, miranti a porre la luce al servizio dell’uomo e dei suoi ambienti di vita e di lavoro, dei suoi bisogni e desideri, forgiando nuove visioni tecnologiche e soluzioni di design. Sono nate così, a partire dal 2000, le lampade della linea Metamorfosi, in grado di offrire, mediante l’impiego della tecnologia RGB, benefiche atmosfere di luce. Successivamente, nel 2004, è stato presentato il progetto A.L.S.O., che ha dato vita ad oggetti di luce multiperformativi, nei quali la tecnologia del colore si associa all’emissione di suoni e al filtraggio elettrostatico dell’aria. Nel 2006, giunti con My White Light alla terza tappa di questo affascinante percorso, protagonista è stata la ricerca sulla modulazione dell’intensità e della temperatura di colore della luce bianca. Poi, nel 2008, Carlotta de Bevilacqua ha presentato il suo Breve Manifesto della Luce Buona, in cui vengono delineati i principi che informano una nuova visione: “A partire dal concept The Human Light”, dichiara, “il progetto luce si apre al mondo di cui l’uomo fa parte. La luce s’impegna a divenire un attore consapevole del destino dell’ambiente naturale, sociale e civile: la luce si trasforma in un atto di consapevolezza. La visione progettuale si rigenera guidata dal concept Responsible Light”. Dalla luce per l’uomo a quella responsabile, l’asse della sperimentazione si sposta sull’idea di qualità ambientale, che diviene così “l’unità di misura dell’esperienza percettiva, espressiva ed emotiva del
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progetto”. È lei stessa a dare l’esempio, osando il ‘silenzio formale’ come atto dimostrativo del fatto che le prestazioni, la bellezza, la qualità della luce possono essere aumentate diminuendo l’impatto ambientale degli apparecchi luminosi. “Una consapevolezza”, afferma con convinzione, “che si traduce in una evoluzione creativa e responsabile del fare progettuale”. È così che, guidata da istanze quali la smaterializzazione e il risparmio energetico, la progettista ha tracciato il concept di Altrove: “Un m2 di superficie dove la luce scorre fluida su fili trasparenti che attraverso un riflettore a specchio materializza un effetto luminoso volumetrico e controllato. È un m3 di luce nel quale ci si riflette all’infinito, modulando liberamente più di un milione di effetti cromatici. Lo spazio non è più uno, ma diventa molti o semplicemente altro, percezione illusoria della realtà che porta verso un nuovo luogo, altrove”. L’apparecchio, una cornice che inquadra uno spazio virtuale, viene presentato in due declinazioni, da parete e a sospensione.
Questo parallelepipedo luminoso, a sezione quadrata, ha un’altezza di 180 cm. Base e testa sono in alluminio riciclato lucidato. Il diffusore in metacrilato trasparente inciso, la cui texture minerale genera un suggestivo effetto grafico ed ottico, è invaso da una luce bianca proiettata dalla sorgente led montata sul supporto di testa e diretta verso il basso. Una luce riflessa dal foglio specchiante applicato all’estremità inferiore della colonna. Da un secondo proiettore, incastonato sulla sommità dell’apparecchio e dotato di led ad alta potenza, la luce si diffonde verso l’alto, dando la sensazione di scaturire da un corpo luminoso sospeso. Un dispositivo integrato, dotato di ‘touch control’, consente di comandare separatamente l’accensione delle due sorgenti e di modularne l’intensità. “Mi piace pensare a Mimesi”, conclude Carlotta de Bevilacqua, “come fosse una stella anziché un sole, perché, parafrasando il filosofo Jacques Derrida, la sua verità, ossia la sua sorgente, resta celata nell’invisibile”.
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Le forme duttili della pelle tessile di Cristina Morozzi
Il tessuto non è solo rivestimento, ma diventa parte strutturale, dando agli arredi sagome soffici e forme mutanti. Può creare effetti sartoriali per arricchire la componente decorativa, essere membrana per costruire le sagome e suggerire, in versione stampata, illusioni ottiche
Serie di lampade a sospensione Falkland, in metallo e tessuto elastico, design Bruno Munari, 1964, produzione Danese.
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“U
n tessuto tubolare di maglia elastica, con il quale normalmente si fanno indumenti, può essere usato come diffusore per una lampada”, scrive Bruno Munari in Da cosa nasce cosa - Appunti per una metodologia progettuale, pubblicato da Laterza nel 1981. L’esempio, che fa riferimento alla sua lampada a sospensione Falkland creata nel 1964 e tutt’ora in produzione nel catalogo Danese, appartiene, assieme al “vetro da chimica che può diventare un vaso”, alla coperta che può diventare un mantello… ad una riflessione sul riciclaggio. Considerando alcuni progetti recenti, può rappresentare non solo un esempio di
trasformazione, ma anche l’illustre precedente di una ricerca sul tessuto utilizzato come pelle flessibile per dare forma ad oggetti d’arredo. Gli arredi della Serie Spaziale di Lanzavecchia+Wai, presentati nel 2010 alla settimana milanese del design, discendono per via diretta dall’apparecchio d’illuminazione Falkland. L’ossatura è una leggera struttura metallica, mentre il corpo è costituito esclusivamente da un tessuto elastico in tensione che dà agli oggetti una dimensione mutante: gli arredi si deformano per aderire alla sagoma del contenuto, offrendo una potenziata capacità di contenimento.
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Libreria della serie Spaziale di Lanzavecchia+Wai, con armatura in metallo e rivestimento strutturale in lycra elastica, autoproduzione, 2010.
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1. Credenza Eskimo in legno con ante in tessuto imbottito effetto capitonné, design Sigrid Stromgren, 2010, autoproduzione. 2.3. Armadio Cham rivestito in feltro con lavorazioni couture e pouf Dressed up rivestito in feltro con bottoni e tasca, progetto Kam Kam, 2010, autoproduzione.
Nella mostra Pelle d’asino, allestita da Patricia Urquiola con Martino Berghinz ad Abitare il tempo di Verona nel 2006, il lavoro dello studio Urquiola, come rivela l’allusivo titolo preso a prestito dalla famosa fiaba di Charles Perrault, era proposto come riflessione sulla pelle dei progetti. La principessa della fiaba che cambia la sua identità, celandosi dentro una pelle d’asino, è efficace metafora di quanto il rivestimento tessile sia determinante nella definizione delle forme e delle sembianze degli oggetti; di quanto le possa rendere cangianti, abbellendole, ammorbidendole, modificando la loro tattilità e di conseguenza il loro percepito. Anche le lampade della collezione LuxLuxLux di Dunja Weber+Cécile Feilchenfeldt, proposte al salone Satellite 2010, hanno una leggera armatura metallica rivestita con una speciale mischia di nylon, elastane e filo gommato.
1.
2.
4. Serie di pouf Tattoo di Cerruti Baleri con rivestimento in tessuto elastico con stampa fotografica cactus, design Maurizio Galante, presentato alla Biennale di Saint Etienne, novembre 2010. 3.
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La tessitura, simile al tulle, messa a punto da Cécile, è aggiustata in pieghe morbide e irregolari che danno agli apparecchi una sagoma variabile ed instabile, d’aspetto vaporoso, come un tutù da danza. Nella serie Dressed up Furniture, proposta dallo studio coreano Kam Kam, lo spesso tessuto in feltro che riveste interamente le strutture in legno, cucito addosso con dettagli sartoriali come i cinturini che fungono da chiusure, muta la consistenza degli oggetti: ciò che è normalmente duro, diventa morbido. Le sagome dei contenitori, in genere squadrate, con angoli al vivo, acquistano profili smussati e una immagine più amichevole. Vestire quanto normalmente viene proposto nudo cambia l’identità. L’abito non è più una finitura, ma
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1. Poltrona Spook con abito drappeggiato in feltro, design studio Iskos per BlÅ Station, 2011. 2. Lampade da tavolo Softlux della serie LuxLuxLux, in metallo e tulle di nylon, elastane e filo gommato, di Dunja Weber+ Cécile Feilchenfeldt, autoproduzione, 2010.
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interviene nella definizione della sostanza del prodotto. Analoga la proposta di Sigrid Stromgren (Satellite 2010), anche se in questo caso la parte tessile, imbottita e arricchita da una lavorazione tipo capitonnè, non è un abito calzato su una forma, ma una componente strutturale: le ante del mobile. La Coiling Collection, proposta alla galleria Fat di Parigi nel novembre 2010, rappresenta un capitolo della ricerca dello studio londinese Raw Edges, interessato all’utilizzo strutturale di materiali tessili non convenzionali. Lunghe strisce di feltro (in totale 326 metri) vengono arrotolate in forme tridimensionali per dare corpo a vari elementi d’arredo. Una faccia del feltro mantiene la sua originaria morbidezza, mentre l’altra, per dare consistenza ai rotoli, è saturata con il silicone. La realizzazione è assimilabile alla tecnica sartoriale del bondage: una fasciatura che muta la silhouette. Nel caso della poltrona Spook dello studio berlinese Iskos, presentata alla Fiera di Stoccolma (febbraio 2011), il feltro è aggiustato sulla sagoma in pieghe morbide con una tecnica simile a quella sartoriale del moulage, determinando una inedita variante formale. Infine, il mutamento d’identità può dipendere anche dal pattern tessile. È il caso del pouf Tattoo di Cerruti Baleri, con stampa fotografica cactus. Quest’ultima versione (2010), immaginata sempre dallo stilista/designer Maurizio Galante, è talmente veristica da indurre le persone a sincerarsi che non punga prima di sedersi!
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3. Arredi della serie Coiling in strisce arrotolate di feltro al naturale e saturate al silicone: un progetto di Raw Edges, autoproduzione, presentato alla galleria parigina Fat lo scorso novembre.
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Il design indaga la dimensione psicomotoria del corpo. Nascono cosĂŹ i progetti di sedute pensate per facilitare una postura attiva e per interagire con i loro utilizzatori
di Stefano Caggiano
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SeDIe DInamIcHe
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TIP TON, SEDUTA AD USO SCOLASTICO O UFFICIO DISEGNATA DA EDWARD BARBER E JAY OSGERBY PER VITRA. RESISTENTE E LEGGERA, IN POLIPROPILENE RICLABILE, PER LA MESSA A PUNTO HA RICHIESTO TEST SU CIRCA 50 PROTOTIPI. GRAZIE ALL’INCLINAZIONE IN AVANTI DI 9 GRADI TIP TON PERMETTE LO SCARICO DELLA COLONNA VERTEBRALE E L’OSSIGENAZIONE DEL CERVELLO, FAVORENDO LA SCRITTURA E LA CONCENTRAZIONE. PERMETTE INOLTRE AI BAMBINI DI MUOVERSI SPESSO FACENDO POCO RUMORE.
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a semplicità è lo stadio del design più difficile da raggiungere. Soprattutto nel caso di oggetti a stretto contatto con il corpo, come le sedute, un disegno semplice per la forma può essere persino violento per schiena e giunture, che oltre a una spazialità fisica presentano una dimensionalità psicomotoria a cui i progettisti dovrebbero sempre prestare attenzione. È quanto è stato fatto da Edward Barber e Jay Osgerby nel progetto Tip Ton per Vitra, una sedia per uso scolastico studiata per rendere possibile un’inclinazione in avanti di 9 gradi, perché, spiega Barber, “per uno studente non si può scegliere una sedia qualsiasi, dato che la maggior parte delle sedie ‘progettate’ sono state concepite per sedersi a un tavolo a mangiare o bere un drink, non per prendere appunti”. La posizione offerta da Tip Ton invece raddrizza il bacino e la colonna vertebrale migliorando il flusso sanguigno, e lo fa senza l’ausilio di parti meccaniche (a differenza delle sedie da ufficio). “Il movimento in avanti che tutti noi tendiamo a fare quando scriviamo”, dice Barber, “e che ci viene detto di non fare, è in realtà estremamente positivo, perché ossigena il cervello e stimola il pensiero”. Essendo il pensiero non una sostanza eterea che si trova nella mente ma un ‘agire pensante’ che risiede tanto nel cervello e nelle sue sinapsi quanto nel corpo e nella sua apertura gestuale.
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A DESTRA, IL GIOCATTOLO A DONDOLO ROCKER DISEGNATO DALLO STUDIO DOSHI LEVIEN PER RICHARD LAMPERT. IL TAMBURO, REALIZZATO IN PLASTICA CON STAMPAGGIO ROTAZIONALE, È MONTATO SU GUIDE E PATTINI IN LEGNO MASSELLO. SOTTO, LA ‘POLTRONCINA ROTANTE’ SPUN PROGETTATA DA THOMAS HEATHERWICK PER MAGIS E RIPROPOSTA DA MARZORATI RONCHETTI IN ACCIAIO AL CARBONIO E OTTONE IN OCCASIONE DELL’EVENTO INTERNI MUTANT DESIGN & ARCHITECTURE, UNIVERSITÀ STATALE DI MILANO, APRILE 2011 (FOTO PETER MALLET).
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A SINISTRA, LO SGABELLO A DONDOLO IN LEGNO MONARCHY DI YIANNIS GHIKAS PER FELD CHE PERMETTE DI OSCILLARE AVANTI E INDIETRO, E DI GIRARE SUL POSTO, SENZA MAI ROVESCARSI. SOTTO, A SINISTRA E AL CENTRO: RESTLESS CHAIRACTER, UN PROGETTO PRESENTATO DA PEPE HEYKOOP COME TESI DI LAUREA ALLA DESIGN ACADEMY DI EINDHOVEN. REALIZZATA IN GOMMA POLIURETANICA E ALLUMINIO, LA SEDIA SI DEFORMA SECONDO GLI AGGIUSTAMENTI DEL CORPO. SOTTO A DESTRA E IN BASSO, LO SGABELLO IN LEGNO A CINQUE GAMBE TIP TON DI MARTIN VALLIN, CHE PERMETTE DI SPOSTARE LO SCARICO DEL PESO A TERRA E DI CAMBIARE POSTURA A PIACIMENTO.
Su ciò fanno leva (letteralmente) tutte quelle sedute che permettono l’alternanza di posizioni attive a posizioni passive, come lo sgabello Dinamica che Riccardo Blumer e Matteo Borghi hanno disegnato per Alias, pensati per facilitare la naturale transizione da una postura di staticità a una in cui i muscoli sono stimolati a compiere piccoli movimenti. Ma c’è di più. Oltre che nello spazio motorio il corpo vive infatti anche nell’immaginario. “Osservando i bambini piccoli”, scrivono Nipa Doshi e Jonathan Levien (Doshi Levien studio) a proposito del progetto Rocker per Richard Lampert, “abbiamo scoperto che molte cose di loro interesse non sono oggetti figurati, ma oggetti di ogni giorno non destinati al gioco”. Rocker, un elegante giocattolo a dondolo in polimero e legno massello, vuol essere appunto “un oggetto trovato, una cavalcatura improvvisata”, analogo a “uno pneumatico spinto da un bastone o a pentole
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rovesciate usate come drum set”. Anche agli adulti, però, piace giocare. Per loro è stata disegnata da Thomas Heatherwick la poltrona rotante Spun, una sorta di trottola che l’anno passato Magis ha presentato in polietilene stampato rotazionalmente e che questo aprile viene riproposta da Marzorati Ronchetti, in occasione dell’evento Interni Mutant Architecture & Design, in acciaio al carbonio e ottone. Ludici sono anche due sgabelli in legno accomunati da un principio molto simile: Tip Toe di Martin Vallin, le cui cinque gambe permettono di spostare a capriccio lo scarico del peso a terra; e Monarchy, disegnato da Yiannis Ghikas per Feld, che invita a cambiare di continuo l’inclinazione d’appoggio per gioco o per comodità. Non priva di ironia è anche Nonò di Stefano Soave, insolita seduta prodotta da Alma Design (e vincitrice del premio Young and Design 2010 per ‘Il Design dello stupore’) pensata per andare incontro
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NONÒ È UNA SEMI-SEDUTA CHE PERMETTE L’APPOGGIO DEL CORPO PUR RIMANENDO IN PIEDI, SPECIE IN SITUAZIONI INFORMALI. DISEGNATA DA STEFANO SOAVE E PRODOTTA DA ALMA DESIGN, LEGGERA E IMPILABILE, È REALIZZATA IN POLIPROPILENE RESISTENTE AI RAGGI UV. NONÒ HA RICEVUTO IL PREMIO YOUNG & DESIGN 2010 PER IL ‘DESIGN DELLO STUPORE’ E IL GOOD DESIGN AWARD DAL CHICAGO DESIGN ATHENEUM.
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SOTTO, A SINISTRA E AL CENTRO, LA SEDUTA DINAMICA DI RICCARDO BLUMER E MATTEO BORGHI PER ALIAS. ALTERNANDO POSIZIONI ATTIVE E PASSIVE DEL CORPO, GARANTISCE UNA GIUSTA POSTURA, PERMETTENDO DI LAVORARE AL MEGLIO. LA STRUTTURA È IN TUBO D’ACCIAIO VERNICIATO, LEGGERISSIMA; LE SCOCCHE SONO IN POLIURETANO AUTOPELLANTE. SOTTO A DESTRA, TRIWING DI MARCO HEMMERLING, SEDUTA COMPOSTA DI DUE ELEMENTI IN LEGNO CHE INTEGRANO QUATTRO DIFFERENTI POSTURE IN UNA FORMA CONTINUA. GIRANDO LUNGO L’ASSE LONGITUDINALE, LA SEDUTA CAMBIA ASPETTO E POSTURA, DISPIEGANDO LE SUE MOLTEPLICI APPLICAZIONI COME LOUNGE-CHAIR, SEDIA DA LETTURA, SEDIA DA PRANZO, SEDIA DA SOGGIORNO (FOTO DI SCHELPMEIER DIRK).
agli usi del tutto informali che i giovani più di altri sono portati a fare di questa categoria oggettuale. Né sedia né sgabello (da qui la doppia negazione che ne forma il nome), Nonò è una seduta in polipropilene a tre gambe da utilizzare in spazi ristretti dove ci si siede al volo, invero restando per metà in piedi, come se il sedersi fosse solo un punto di transito per proiettarsi altrove. Più concettuale è invece l’ironia della Restless Chairacter di Pepe Heykoop, un ‘archetipo flessibile’ dalla forma severa realizzata in alluminio e gomma poliuretanica che rendono l’oggetto deformabile a seconda degli ‘aggiustamenti’ del corpo, così che a un linguaggio scomodo corrisponda un adeguamento propriocettivo vivo e flessibile. Un approccio più ortodosso, ma ugualmente attento all’accoglimento del corpo, caratterizza il progetto Triwing di Marco Hemmerling, composto da due elementi in legno annidati l’uno
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nell’altro le cui diverse combinazioni permettono di integrare quattro differenti posture (loungechair, sedia da lettura, sedia da pranzo e sedia da soggiorno) in un’unica forma a doppia curvatura capace di assorbire perfettamente gli impatti d’uso. Insistere sulla spazialità plastica dei corpi vivi rispetto alla rigidità statica dei corpi ideali è di estrema importanza per il design. Perché solo da morto il corpo si esaurisce nella sua spenta fisicità. Il corpo vivo, invece, è interamente proiettato nelle azioni che compie. La sua dimensione vitale è lo spazio dell’agire e del percepire, spazio elastico e instabile interamente proiettato al di là di sé, che nel modo del tatto arriva fin dove arriva il gesto, e nel modo della vista arriva fino alla luna e alle stelle più lontane.
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SensIBILI e reaTTIvI UNA SUPERFICIE CHE cambia colore GRAZIE A UN FLUSSO DI ENERGIA, UNA PLASTICA MORBIDA CHE SI irrigidisce DOPO UN URTO, TESSUTI CHE si illuminano AL CALARE DELLA LUCE. PER POI TORNARE ALLO STATO ORIGINARIO. AVANZANO I materiali intelligenti. PROGETTATI IN scala molecolare PER PRESTAZIONI SUPERIORI
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di Antonella Galli
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Nella pagina accanto: Inconspicuous Matter, progetto di tappezzeria interattiva di Celine Marcq, giovane londinese specializzata in design della materia. Incorpora materiale elettroreattivo che cambia colore al passaggio di flussi di energia. Sotto: uno sticker realizzato nello stesso materiale. (www.celinemarcq.com) A destra: abiti della collezione Living Pod creata da Ying Gao, fashion designer di Montréal. su specifiche sollecitazioni (vento, movimento, tocco), gli abiti muovono autonomamente balze e fiori, grazie a un sistema integrato di tecnologie pneumatiche elettroniche. (ph. D. Lafond, www. exercicesdestyle.com)
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li spettatori delle sfilate di moda internazionali di Montréal lo scorso anno non hanno potuto nascondere lo stupore davanti a modelle con abiti di leggiadra e impalpabile organza bianca che al soffiare di un refolo o all’accostarsi di un altro corpo umano iniziavano a muovere autonomamente balze e fiori di stoffa, per poi tornare immobili e cadenti sotto il peso (pur minimo) della materia. Un incanto generato dalla sperimentazione di Ying Gao, fashion designer canadese e insegnante all’università del Québec di Montreal, dipartimento di progetto per la moda, che attraverso l’applicazione di sensori e microcircuiti ha reso gli abiti reattivi e intelligenti. Quasi presenze a sé, animate e sensibili. Un esperimento, quello di Ying Gao, una riflessione concettuale sulle possibilità straordinarie che prendono piede nel vasto universo della progettazione grazie all’ingresso a largo raggio dei materiali intelligenti. Capaci di reagire a determinati stimoli esterni, per poi tornare allo stato iniziale senza compromettere prestazioni e caratteristiche.
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Lo studio delle doti adattative, e ancor più la creazione in laboratorio di materiali capaci di mutazioni finalizzate ad uno specifico uso o progetto, sia esso tecnologico, architettonico o di design, stanno oggi assumendo sempre maggiore importanza, grazie anche a nanoscienze e nanotecnologie. Un campo considerato per specialisti, ma che oggi coinvolge i designer in prima persona. Tanto che all’estero già si formano giovani ‘designer della materia’, come Celine Marqc, studentessa londinese specializzata in Design in Textile Futures al Central Saint Martins College, che con il suo prototipo Inconspicuous Matter (la materia che non si nota) propone una tappezzeria in cui è inserito uno speciale materiale elettroreattivo nero, che cambia colore in presenza di un flusso di energia. La giovane Celine intende rendere visibile il continuo e impercettibile scorrere dell’energia tra le mura domestiche, con finalità estetiche, ma senza trascurare un richiamo alla nostra continua necessità di energia, all’entropia crescente sul pianeta.
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A sinistra: Digital Dawn, dello studio Loop PH di Londra; è una tenda sensibile alla luce, con una superficie in costante cambiamento, che cresce in luminosità in relazione al calare della luce ambientale. Utilizza tecnologia elettroluminescente. (www.loop.ph) Sotto, alcuni smart materials presenti nel repertorio di Material Connexion. Da sinistra: un gel decontaminante idrosolubile e atossico impiegato per eliminare rifiuti chimici; un tessuto per arredamento fosforescente realizzato con filati luminescenti; piastrelle ceramiche che regolano l’umidità, assorbono odori e tossine; tessuto spalmato con proprietà antibatteriche e ignifughe. (it.materialconnexion.com)
Pioniera nell’esplorazione dei materiali intelligenti nell’ambito del design è stata, nel lontano 1995, Paola Antonelli, curatrice del dipartimento di Architettura e Design del MoMA di New York, con la mostra Mutant Materials in Contemporary Design. Oggi la ricerca sta perfezionando pellicole e vetri che cambiano colore o trasparenza al variare della temperatura, leghe metalliche che con il calore recuperano una forma preimpostata, plastiche morbide che si irrigidiscono dopo un urto repentino, tessuti che catturano l’energia solare per restituirla sotto forma di luce, schermi elettrocromici su cui scrivere con inchiostro virtuale. Le capacità degli smart materials sono varie e i campi di applicazione sempre più ampi, come segnala Marinella Ferrara, architetto e professore di materiali per il design presso la Facoltà di Design del Politecnico di Milano, autrice con Marco Cardillo del volume Materiali intelligenti, sensibili, interattivi (Lupetti Editore, 2008): “I materiali intelligenti che oggi, con un po’ di inerzia, l’architettura e il design iniziano ad utilizzare, sono prima stati sperimentati nel settore della tecnologia, dagli smartphone ai PC, ai televisori, e nella medicina. La microelettronica”, conferma Ferrara, “è un dato ormai acquisito che ha comportato investimenti molto alti. Oggi gli smart materials compaiono anche in prodotti meno
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tecnologici, anche se il costo di produzione rimane piuttosto elevato”. Sono allo studio progetti di indumenti interattivi, giubbotti con schermi integrati che ricevono informazioni dal cellulare di chi li indossa (mappe, informazioni, pubblicità), mentre nell’abbigliamento per lo sport, ai fini della sicurezza si sperimenta il materiale della ditta anglosassone D3O, morbido in origine, che si irrigidisce non appena riceve un urto, dall’aspetto e dalla texture seducente. “Sono materiali che iniziano ad avere un’identità anche estetica”, continua Marinella Ferrara, “ e sono il nostro futuro, come dimostra la diffusione degli Oled o l’impiego nel campo musicale dei materiali piezoelettrici, grazie a cui ogni oggetto può diventare un diffusore di suoni”.
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Mimosa, installazione artistica interattiva ideata dallo studio inglese Jason Bruges, che utilizza gli Oled Lumiblade di Philips. i fiori di Oled si aprono e si chiudono al variare dei flussi di luce, imitando il comportamento dei fiori di mimosa. L’installazione è candidata al Brit Insurance Design Awards 2011 nella categoria Interactive Design (www.jasonbruges.com).
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Come orientarsi tra i nuovi materiali e le sperimentazioni che in tutto il mondo avanzano quotidianamente? A questa esigenza, oggi divenuta di fondamentale importanza per i progettisti, risponde Material ConneXion, centro di ricerca e consulenza fondato e diretto da George M. Beylerian negli Stati Uniti. Nella sede di Milano, presso Triennale Bovisa, Micol Costi, direttore della biblioteca e della ricerca sui materiali, illustra le possibilità applicative degli smart materials: “Si va dai tessuti che variano reversibilmente la colorazione alle fibre termoregolatrici, dalle piastrelle che regolano il livello di umidità ai vetri e fogli polimerici che filtrano il calore. La nostra biblioteca propone i prodotti suddivisi in base alla composizione chimica e non alla destinazione, affinché chi la consulta non sia indirizzato a un possibile campo applicativo, ma si ritrovi libero nell’interpretazione del materiale. Si genera così uno scambio tra i materiali e le circostanze.” L’Italia, che non sempre brilla per la ricerca, a che punto si trova? Secondo Micol Costi “il contributo delle aziende italiane è molto valido, ma esiste un network che riceve contributi da tutto il mondo.” La materia prima non manca; ora si cercano creativi dall’impronta tecnologica, esploratori del design interattivo che sappiano tradurre in oggetti d’uso i superpoteri dei materiali intelligenti.
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Lampada da tavolo a braccio OttoWatt, design Paolo Rizzatto con Alberto Meda per Luceplan, 2011. In alluminio, a sorgente led, è dotata di forature sulla testa per dissipare il calore. accanto, un Ritratto di Paolo Rizzatto.
Da perfezionista, Paolo Rizzatto cerca di fare poche cose che durino e che siano moderne. Che significa, corrispondenti al modo di oggi, capaci di porsi in relazione con l’uomo e con lo spazio
Modus odierno
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avora da solo nel luminoso studio. Nel silenzio si ode il sussurro di una fontanella. Gli fanno compagnia i libri, di design, di architettura e di scienza e la musica, classica, soprattutto Mozart, ma anche pop e dance. Sua figlia Gala è diventata famosa come cantante dance. Ne è fiero e la segue volentieri in tournée. È stato recentemente a Bruxelles, un concerto da 30.000 spettatori, e a Istanbul per il Capodanno del 2011. Gala abita a New York. Sovente gli manda registrazioni delle sue lezioni di canto. Compiaciuto, mi fa sentire la sua bella voce che intona “O mio babbino caro”, l’aria del Gianni
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di Cristina Morozzi
Schicchi di Giacomo Puccini. Non ha assistenti né segretaria, ma adora lavorare assieme agli altri. “Il progetto”, afferma, “è qualcosa che scaturisce dalla collettività, dal piacere del lavoro condiviso. C’è stato un periodo nel quale eravamo sempre in tre: io architetto amante delle tecnologie, Alberto Meda ingegnere con mente umanistica e Riccardo Sarfatti. Riccardo aveva una componente infantile, si entusiasmava come un bambino ed aveva un forte desiderio di competizione. Mi è difficile parlarne, dopo la sua tragica scomparsa.
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1. Panchina Romeo per Serralunga, 2004. Stampata in rotazionale, Ha gambe di grossa sezione che danno un’idea di solidità. La seduta inclinata evita che si ristagni l’acqua; Lo schienale a doghe consente il passaggio alla vista e all’aria. 2. Poltrona Regina, con supporto in metallo a razze, per Poltrona Frau, 2004. L’utilizzo di un anello forato al posto del bottone attribuisce una inedita immagine di leggerezza.
3. Libreria H&H per Danese, 2007. Prodotta a partire dai semilavorati con poche e semplici lavorazioni, è completamente riciclabile. I ripiani in lamierino di ferro s’incastrano in appoggio su due coppie di telai in tubolare. Senza elementi di connessione e bloccaggio diventa una struttura stabile e autoportante. Smontata è trasportabile in un packging piatto.
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Poltroncina Young Lady per Alias, 1991. È costituita da un treppiede rotante in pressofusione di alluminio, munito di meccanismo ammortizzante a vista, e da una scocca avvolgente in paglia di Vienna.
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È stato un amico, nel lavoro e nel divertimento, con cui ci siamo trovati e scelti. Il nostro è stato un sodalizio con grande libertà reciproca. Tra noi non ci sono mai state discussioni di sostanza. Era una persona di riferimento, un vero signore. Il nostro è stato un rapporto moderno”. Prosegue nei ricordi: “Io, Riccardo e Antonio Monestiroli eravamo compagni all’università, ci siamo laureati assieme con Franco Albini, ma soprattutto eravamo compagni d’occupazione. Io, però, già guardavo con distacco al movimento, pur partecipando.
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Sono stato molti anni in studio con Antonio, che seguiva la carriera universitaria. Io, invece, volevo vedere le cose fatte e non solo scritte. Forse per questo ho iniziato a occuparmi di design. Dopo la vendita di Arteluce (l’azienda di Gino Sarfatti, padre di Riccardo), con Riccardo e Sandra (Severi Sarfatti), anche lei compagna di università e di occupazioni, abbiamo fondato nel 1978 la Luceplan. Luceplan è nata come società di servizio alla progettazione della luce. È stata in Italia una delle prime società di light design. All’inizio lavoravamo quasi esclusivamente in Germania. Poi, dallo studio di casi particolari sono nate delle lampade di serie che cercavano di risolvere problemi specifici in modo odierno. Sino al 2000 il mio contributo alla Luceplan è stato totale. Facevamo assieme tutte le scelte, io, Riccardo e Sandra; Alberto Meda è arrivato dopo, in qualità di ingegnere per risolvere alcuni problemi tecnici della lampada Berenice (1985, ndr). Ci siamo trovati bene e il nostro sodalizio continua ancora. Assieme firmiamo la nuova lampada a led battezzata Ottowatt”. Paolo, sempre pacato, è un progettista che non lascia niente al caso. Neppure i nomi. “Mi piacciono i nomi facili da ricordare”, aggiunge. “Costanza è un omaggio a Konstance, la moglie di Mozart, la cui musica mi aiuta a progettare. Berenice, invece, è il nome di una costellazione con la chioma. Il nome fa parte del progetto”, conclude. La divagazione sui nomi apre la questione delle parole che, ormai, sono state manomesse, diventando equivoche. La parola moderno, sempre usata come aggettivo di stile, ne è un chiaro esempio. “Invece”, puntualizza Rizzatto, “deriva dal latino ‘modus odierno’ e vuol dire corrispondente al modo di oggi”. “Quindi”, conclude, ”un progettista per fare una cosa bene deve, per forza, essere moderno”. Paolo lo è in
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Sedia AB Chair per Danese, 2007. è realizzata a partire da un’unica lastra d’alluminio di 3 cm di spessore. La struttura è composta di due parti tagliate a laser a forma di pettine, quindi piegate e saldate nel minor numero possibile di punti.
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1. Cucina Ecocompatta per Veneta Cucine, 2010. Alla base l’idea di riduzione formale e dimensionale, la semplificazione del montaggio e la riduzione dei costi. Impiega elettrodomestici forniti dal mercato e li organizza razionalmente nel modo più semplice ed economico.
3. Lampada a parete Modello 265 per Arteluce, 1973. In alluminio, è pensata per poter spostare con un semplice movimento della mano la fonte luminosa. 4. Tavolo pieghevole Foldable Desk, design Paolo Rizzatto con Francisco Gomez Paz per Lensvelt, 2008. Questo tavolo combina due proprietà: la regolazione in altezza e un meccanismo di piegatura.
2. Lampada a sospensione Hope, design Paolo Rizzatto con Francisco Gomez Paz per Luceplan, 2009. È composta da sottili lenti Fresnel di policarbonato, dal potere diottrico equivalente a quello del vetro, ma leggerissime e smontabili.
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precisa ragion d’essere. I riferimenti sono l’uomo e lo spazio, mai l’oggetto in se stesso. Lo aiuta a considerare i contesti la sua formazione d’architetto, professione che in parallelo esercita. È suo, assieme a Edoardo Guazzoni, Sandra Rossi e François Baudin, il progetto vincitore per la Darsena di Milano. “Cerco di fare architettura”, aggiunge, “per lavorare su altre scale, evitando la parcellizzazione. Sin dal primo schizzo colloco sempre i progetti in uno spazio per valutare la loro interazione con l’ambiente. La relazione con lo spazio deve essere sempre il punto di partenza”, afferma, “poi si può agire in vari modi: ironico, rivoluzionario, pragmatico. Varie possono essere le poetiche e ciascuno affronta il progetto scegliendo quella che gli è più congeniale”. Si dichiara perfezionista. Per questo cerca di fare poche cose che durino nel tempo. Un esempio è la 265, un apparecchio d’illuminazione del 1973, il suo primo progetto di design, tutt’ora nel catalogo Arteluce. A considerare l’esemplare corpus dei suoi progetti ci si rende conto che la prima ragion d’essere di ciascuno è la perfetta rispondenza alle esigenze dell’oggi. La Costanza, icona del design, è una tipologia classica. L’invenzione sta nel paralume realizzato con un materiale ‘moderno’, il metacrilato, in grado di
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diffondere la luce in modo soft. Esemplare la storia della lampada a sospensione Hope (Luceplan, 2009), disegnata assieme a Francisco Gomez Paz, cui la collana di Lotus diretta da Pierluigi Nicolin, dedica un volume che uscirà in aprile. “Hope”, dichiara Paolo, “è un lampadario moderno. Leggero, pesa solo kg 1,50, è smontabile (le foglie sono imballate a parte), regala la fascinazione di un classico lampadario di
Murano”. La forma poliedrica ha origine dalle illustrazioni, attribuite a Leonardo da Vinci, del trattato De Divina Proportione del matematico rinascimentale Luca Pacioli, di cui Paolo mostra un’edizione. Incredibilmente, nel ritratto del matematico, custodito nel museo di Capodimonte a Napoli, compare sospeso un poliedro trasparente, simile alla Hope. In Hope lo scintillio, tipico dei lampadari dalle molteplici sorgenti luminose, è affidato all’effetto divaricatore delle lenti di Fresnel (inventate nel 1827 da Augustin Jean Fresnel), oggi realizzabili anche in plastica, che riportano le bombature delle lenti tradizionali in piano, mediante frazionamento in sezioni anulari concentriche. Ogni suo progetto ha una storia e un proprio riferimento colto. A prendere confidenza con il suo metodo, che niente lascia all’arbitrio, le storie non necessitano di narratore, ma emergono con chiarezza dalla morfologia dei prodotti. Le componenti strutturali non sono mai mascherate, ma sono risolte in modo da diventare inediti elementi decorativi. Nel treppiede rotante della poltroncina Young Lady (Alias, 1991), in leggera fusione di alluminio, il meccanismo ammortizzante viene lasciato a vista, rendendo ‘moderna’ la scocca avvolgente in paglia di Vienna. I fori dello schienale della Poltrona Regina (Poltrona Frau, 2004) non sono una trovata estetica, ma rappresentano il tentativo di alleggerire l’immagine del classico capitonné: l’anello forato serve a fissare la pelle, al pari del bottone, determinando un sorprendente effetto di trasparenza visiva che dà ariosità ad un oggetto tradizionalmente pesante. L’ultima lampada a braccio, a led, che consumerà 8 watt contro i 35 della Berenice, disegnata assieme ad Alberto Meda per Luceplan, con la sua testa forata affronta il problema della dissipazione del calore dei led. Ancora una volta è il risultato di una logica stringente di cui l’estetica è la conseguenza, attraente, in quanto non arbitraria.
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1. Cucina Ecocompatta per Veneta Cucine, 2010. Alla base l’idea di riduzione formale e dimensionale, la semplificazione del montaggio e la riduzione dei costi. Impiega elettrodomestici forniti dal mercato e li organizza razionalmente nel modo più semplice ed economico.
3. Lampada a parete Modello 265 per Arteluce, 1973. In alluminio, è pensata per poter spostare con un semplice movimento della mano la fonte luminosa. 4. Tavolo pieghevole Foldable Desk, design Paolo Rizzatto con Francisco Gomez Paz per Lensvelt, 2008. Questo tavolo combina due proprietà: la regolazione in altezza e un meccanismo di piegatura.
2. Lampada a sospensione Hope, design Paolo Rizzatto con Francisco Gomez Paz per Luceplan, 2009. È composta da sottili lenti Fresnel di policarbonato, dal potere diottrico equivalente a quello del vetro, ma leggerissime e smontabili.
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modo ragionevole. Ogni suo progetto ha una precisa ragion d’essere. I riferimenti sono l’uomo e lo spazio, mai l’oggetto in se stesso. Lo aiuta a considerare i contesti la sua formazione d’architetto, professione che in parallelo esercita. È suo, assieme a Edoardo Guazzoni, Sandra Rossi e François Baudin, il progetto vincitore per la Darsena di Milano. “Cerco di fare architettura”, aggiunge, “per lavorare su altre scale, evitando la parcellizzazione. Sin dal primo schizzo colloco sempre i progetti in uno spazio per valutare la loro interazione con l’ambiente. La relazione con lo spazio deve essere sempre il punto di partenza”, afferma, “poi si può agire in vari modi: ironico, rivoluzionario, pragmatico. Varie possono essere le poetiche e ciascuno affronta il progetto scegliendo quella che gli è più congeniale”. Si dichiara perfezionista. Per questo cerca di fare poche cose che durino nel tempo. Un esempio è la 265, un apparecchio d’illuminazione del 1973, il suo primo progetto di design, tutt’ora nel catalogo Arteluce. A considerare l’esemplare corpus dei suoi progetti ci si rende conto che la prima ragion d’essere di ciascuno è la perfetta rispondenza alle esigenze dell’oggi. La Costanza, icona del design, è una tipologia classica. L’invenzione sta nel paralume realizzato con un
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materiale ‘moderno’, il metacrilato, in grado di diffondere la luce in modo soft. Esemplare la storia della lampada a sospensione Hope (Luceplan, 2009), disegnata assieme a Francisco Gomez Paz, cui la collana di Lotus diretta da Pierluigi Nicolin, dedica un volume che uscirà in aprile. “Hope”, dichiara Paolo, “è un lampadario moderno. Leggero, pesa solo kg 1,50, è smontabile (le foglie sono imballate a parte), regala la
fascinazione di un classico lampadario di Murano”. La forma poliedrica ha origine dalle illustrazioni, attribuite a Leonardo da Vinci, del trattato De Divina Proportione del matematico rinascimentale Luca Pacioli, di cui Paolo mostra un’edizione. Incredibilmente, nel ritratto del matematico, custodito nel museo di Capodimonte a Napoli, compare sospeso un poliedro trasparente, simile alla Hope. In Hope lo scintillio, tipico dei lampadari dalle molteplici sorgenti luminose, è affidato all’effetto divaricatore delle lenti di Fresnel (inventate nel 1827 da Augustin Jean Fresnel), oggi realizzabili anche in plastica, che riportano le bombature delle lenti tradizionali in piano, mediante frazionamento in sezioni anulari concentriche. Ogni suo progetto ha una storia e un proprio riferimento colto. A prendere confidenza con il suo metodo, che niente lascia all’arbitrio, le storie non necessitano di narratore, ma emergono con chiarezza dalla morfologia dei prodotti. Le componenti strutturali non sono mai mascherate, ma sono risolte in modo da diventare inediti elementi decorativi. Nel treppiede rotante della poltroncina Young Lady (Alias, 1991), in leggera fusione di alluminio, il meccanismo ammortizzante viene lasciato a vista, rendendo ‘moderna’ la scocca avvolgente in paglia di Vienna. I fori dello schienale della Poltrona Regina (Poltrona Frau, 2004) non sono una trovata estetica, ma rappresentano il tentativo di alleggerire l’immagine del classico capitonné: l’anello forato serve a fissare la pelle, al pari del bottone, determinando un sorprendente effetto di trasparenza visiva che dà ariosità ad un oggetto tradizionalmente pesante. L’ultima lampada a braccio, a led, che consumerà 8 watt contro i 35 della Berenice, disegnata assieme ad Alberto Meda per Luceplan, con la sua testa forata affronta il problema della dissipazione del calore dei led. Ancora una volta è il risultato di una logica stringente di cui l’estetica è la conseguenza, attraente, in quanto non arbitraria.
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progetto vincitore del concorso internazionale bandito dal Comune di Milano nel 2004 per la Darsena di Milano (con Jean FranÇois Bodin, Edoardo Guazzoni e Sandra Rossi). La sponda di Viale Gorizia, che contiene i ponti sui Navigli, viene rettificata, creando due passeggiate poste su differenti livelli, Mentre le due testate di piazza Cantore e di piazza XXV Maggio vengono consolidate nella loro natura di porte urbane, come veri e propri approdi alla Darsena.
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di Katrin Cosseta illustrazioni di Studio La Tigre
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Il design esplora la forma in divenire, in mobili e oggetti dall’identità indefinita e mutevole. Progetti transgenici colti nel loro processo evolutivo. Mobili mutanti per funzioni multiple, movimenti a sorpresa, aggregazioni insolite, illusioni ottiche. Un racconto infografico ne illustra le trasformazioni, le tensioni, gli equilibri e disegna le forze in gioco
1. INCLINAZIONe mutante. ivy shelves di Thomas Bernstrand per swedese È una scaffalatura da costruire nell’altezza e nella forma desiderata. i moduli in legno di frassino o pino, proposti in finitura bianca o nera, possono essere sovrapposti regolarmente o inclinati secondo un’apparente instabilità. 2. linea mutante. Résille, di philippe nigro per ligne roset, èunapoltroncina indoor/outdoor con struttura in tubolare d’acciaio piegato, imbottitura in schiumato e rivestimento in tessuto (tecnico nella versione per esterni). il gioco grafico dello schienale crea l’illusione di due sedie che si intersecano l’una nell’altra.
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1. EQUILIBRIO mutante. overdose storage di Bram boo per bulo, libreria - mobile contenitore impiallacciato rovere, COMPOSTA DA UN’AGGREGAZIONE DI MODULI DIVERSI IN ARMONICO DISORDINE. 2. prospettiva mutante. sembra nata da movimenti tellurici tron, la poltrona-scultura di Dror Benshetrit per cappellini, CHE SU OGNI LATO EVOCA DIVERSE INTERSEZIONI di volumi; realizzata in materiale polimerico riciclabile al 100% con tecnica roto-moulding. 3. comfort mutante. airport, di damjan ursic per futura, Tredici elementi componibili e versatili: le sedute si trasformano in schienali, gli schienali in sedute fino ad assumere molteplici forme e svariate posizioni.
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1. composizione mutante. fluzion, mensole disegnate e prodotte da claude velasti, in metallo verniciato nei colori ral e su colori a richiesta. il singolo modulo è declinabile in svariate aggregazioni. 2. sagoma mutante. Sitting on the ghost of design, tavolo disegnato da fos per Furnism; la struttura in teak sorregge il piano in mdf a settori sagomati che dà vita, con l’aggregazione di più tavoli, a un patchwork poliedrico irregolare e multicolore. 3. incrocio mutante. plaid bench, di raw edges per dilmos, panca composta da tre moduli differenti per misure, essenze lignee e finiture che, intersecati tra loro danno vita a diversi pattern tartan. Le immagini si riferiscono all’installazione del prototipo al london design festival 2010.
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1. funzione mutante. Tric, di SAKURA ADACHI per campeggi, Ăˆ una una libreria che si trasforma in un tavolo consolle con due sedie. realizzata in multistrati con laccatura poliuretanica in due colori. 2. assetto mutante. sTOLICA D, di KAKO-KO design studio per EUROCANKOM, Sedia con gambe in legno massello, seduta e schienale realizzati da un unico pezzo di feltro tagliato e piegato. 3. ordine mutante. In-canto, di marco ferreri per adele c., colonna-libreria estensibile grazie a una rotazione massima di 180 gradi che trasforma il mobile da angoliera a libreria a parete o a centro stanza. Struttura in multistrato impiallacciato betulla naturale ed elemento centrale in lamiera verniciata a polveri blu cobalto.
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1. origami mutante. grand central, tavolo pieghevole disegnato da Sanna lindstrÖm e sigrid strÖmgren; il piano in mdf è strutturato in 22 fogli connessi da cerniere tessili che si aprono a corolla. prototipo. 2. colore mutante. flamboyant, di alessandro dubini per skitsch, tavolino con struttura in metallo, dotato di tre piani in vetro di diverso colore che si aprono a corolla e, sovrapponendosi, creano nuovi colori. 3. geometria mutante. scaccomatto, di Isabelle Rigal per naos, Tavolino estensibile con base in legno laccato e piano costituito da 4 elementi quadrati in cristallo; Grazie a un movimento sincronico, i 4 elementi si spostano formando una sorta di scacchiera.
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1. grafica mutante: darwin chair di stefan sagmeister per droog - sviluppata da grenswerk - con struttura oscillante rivestita da 200 fogli di carta con grafiche diverse che illustrano le fasi di evoluzione dell’universo. ‘sfogliando’ la sedia è possibile cambiarne aspetto e modellare il poggiatesta. 2. volume mutante. munken Cube, disegnato da juno e prodotto da e15 e Arctic Paper, sgabello-tavolino composto da 2200 fogli di carta impilati su una base in legno di quercia e incollati su un lato, consentendo di ruotare e modellare a piacere la risma di carta.
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1. estensione mutante. sofa_xxxx di Yuya Ushida, edizione limitata per tools gallery. sedia trasformabile in divano tramite un semplice movimento a fisarmonica, realizzato a mano con oltre 8000 elementi in bamboo connessi da giunti metallici. estensibile anche in altezza e profonditĂ , raggiunge una lunghezza massima di 182 cm. 2. leggerezza mutante. airvase, di torafu architects per virage, vaso decorativo in carta, liberamente modellabile a partire da un disco bicolore proposto anche con decori optical.
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FORME MUTANTI / 137
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1. segno mutante. rek bookcase, disegnata e prodotta da reinier de Jong Design con Bom Interieurs È una libreria che cresce insieme alla collezione di libri. Realizzata in laminato, ha una struttura a zig zag che, scorrendo, crea un disegno sempre diverso dei ripiani. può raggiungere la lunghezza di 222 cm. 2. natura mutante. transformer, disegnato da martin saemmer, edizione unica di NEXTLEVEL Galerie, mobile contenitore in legno laccato di aspetto monolitico che si scompone in 8 diversi moduli interconnessi e offre la possibilità di variare a piacere la configurazione di nicchie, cassetti e ripiani, con un’estensione massima di 280 cm per lato. 3. modulo mutante. T45 di Henk Voss per linteloo, sistema componibile formato da 5 moduli scultorei in mdf, utilizzabili come sedute e tavolini o, sovrapposti, come divisorio.
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138 / INservice INdirizzi ACERBIS INTERNATIONAL spa Via Brusaporto 31 24068 SERIATE BG Tel. 035294222 - Fax 035291454 www.acerbisinternational.com info@acerbisinternational.com ADELE C di ADELE CASSINA Piazza Vittorio Veneto 2 20036 MEDA MB Tel. 0362347499 - Fax 0362759956 www.adele-c.it adele-c@adele-c.it ADELTA INTERNATIONAL Friedrich-Ebert-Str 96 D 46535 DINSLAKEN Tel. +49 2064 40797 - Fax +49 2064 40798 www.adelta.de adelta@t-online.de Distr. in Italia: MC SELVINI srl Via C. Poerio 3 - 20129 MILANO Tel. 0276006118/76021408 Fax 02781325 www.mcselvini.it - info@mcselvini.it AHREND NV Romboutsstraat 9 BE 1932 Sint Stevens Woluwe Tel. +3227162200 - Fax +3227162201 www.ahrend.be info@ahrend.com AIR MINERAL 16, place Vendôme F 75001 PARIS www.airmineral.com info@airmineral.com ALESSI spa Via Privata Alessi 6 28887 CRUSINALLO DI OMEGNA VB Tel. 0323868611 - Fax 0323868804 www.alessi.com info@alessi.com ALIAS spa Via delle Marine 5 24064 GRUMELLO DEL MONTE BG Tel. 0354422511 - Fax 0354422590 www.aliasdesign.it info@aliasdesign.it ALIVAR srl Via Leonardo da Vinci 118/14 50028 TAVARNELLE VAL DI PESA FI Tel. 0558070115 - Fax 0558070127 www.alivar.com alivar@alivar.com ALMA DESIGN srl Via P. Mazzolari 21 25050 PASSIRANO BS Tel. 0306857523 - Fax 0306577771 www.alma-design.it info@alma-design.it ARCLINEA ARREDAMENTI spa V.le Pasubio 50 36030 CALDOGNO VI Tel. 0444394111 - Fax 0444394260 www.arclinea.com info@arclinea.it ARFLEX - SEVEN SALOTTI spa Via Pizzo Scalino 1 20833 GIUSSANO MB Tel. 0362853043 - Fax 0362853080 www.arflex.com info@arflex.it ARIANESE ALLESTIMENTI Via Sempione 227 20016 PERO MI www.allestimentiarianese.it info@allestimentiarianese.it ARKETIPO spa Via G. Garibaldi 72 50041 CALENZANO FI Tel. 0558876248 - Fax 0558873429 www.arketipo.com info@arketipo.com ARPER spa Via Lombardia 16 31050 MONASTIER DI TREVISO TV Tel. 04227918 - Fax 0422791800 www.arper.it info@arperitalia.it ARTEK OY Eteläesplanadi 18 FI 00130 HELSINKI Tel. +358 9 613250 Fax +358 9 61325260 www.artek.fi info@artek.fi Distr. in Italia: RAPSEL spa Via A. Volta 13 20019 SETTIMO MILANESE MI Tel. 023355981 - Fax 0233501306 www.rapsel.it rapsel@rapsel.it ARTELUCE srl Via G. di Vittorio 12 - Località Piano dell’Isola 50067 RIGNANO SULL’ARNO FI Tel. 0558347136 - Fax 0558347575 www.arteluce-srl.it arteluce@centroin.it
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ARTEMIDE spa Via Bergamo 18 20010 PREGNANA MILANESE MI Tel. 02935181 nr verde 800 834093 Fax 0293590254 www.artemide.com info@artemide.com AZUCENA srl Via Passione 8 20122 MILANO Tel. 02798527 - Fax 02780718 www.azucena.it info@azucena.it B&B ITALIA spa S. Provinciale 32, 15 22060 NOVEDRATE CO Tel. 031795111 - Fax 031791592 www.bebitalia.com info@bebitalia.com BAXTER srl Via Costone 8 22040 LURAGO D’ERBA CO Tel. 03135999 - Fax 0313599998 www.baxter.it info@baxter.it BILUMEN srl Via Salomone 41 20138 MILANO Tel. 0287212251 - Fax 0258019793 www.bilumen.it info@bilumen.it BINOVA spa Via Indipendenza 38 06081 PETRIGNANO D’ASSISI PG Tel. 075809701 www.binova.it binova@binova.it BISAZZA spa V.le Milano 56 36075 ALTE DI MONTECCHIO MAGGIORE VI Tel. 04447075111 - www.bisazza.com info@bisazza.com BLÅ STATION AB Box 100 SE 296 22 ÅHUS Tel. +46 44 249070 - Fax +46 44 241214 ww.blastation.se info@blastation.se BOFFI spa Via Oberdan 70 20823 LENTATE SUL SEVESO MB Tel. 03625341 - Fax 0362565077 www.boffi.com boffimarket@boffi.com BOM INTERIEURS Achterwetering 32 B NL 2871 RK SCHOONHOVEN Tel. +31182320010 - Fax +31182320015 www.bominterieurs.nl info@bominterieurs.nl BONACINA PIERANTONIO MATTEOGRASSI spa Via Monte Grappa 66/68 20034 GIUSSANO MB Tel. 0316286621 - Fax 03162866292 www.bonacinapierantonio.it info@bonacinapierantonio.it BONALDO spa Via Straelle 3 35010 VILLANOVA PD Tel. 0499299011 - Fax 0499299000 www.bonaldo.it bonaldo@bonaldo.it BROSS ITALIA srl Via Cividale - Z.I. 33040 MOIMACCO UD Tel. 0432731920 - Fax 0432732922 www.bross-italy.com info@bross-italy.com BSL GALERIE 2 rue Chariot F 75003 PARIS Tel. +33144789414 www.galeriebsl.com info@galeriebsl.com BULO KANTOORMEUBELEN Industriezone Noord II B 2800 MECHELEN Tel. +32 15 282828 - Fax +32 15 282829 www.bulo.be info@bulo.be BULTHAUP ITALIA srl Via Roma 108 - Edificio G 20060 CASSINA DE’ PECCHI MI Tel. 0295305115 - Fax 0295138753 www.bulthaup.com info@bulthaup.com BUSNELLI GRUPPO INDUSTRIALE spa Via Kennedy 34 20826 MISINTO MB Tel. 0296320221 - Fax 0296329384 www.busnelli.it gruppo@busnelli.it CAIMI BREVETTI spa Via Brodolini 25/27 20834 NOVA MILANESE MB Tel. 0362491001 - Fax 0362491060 www.caimi.com info@caimi.com
CALLIGARIS spa Via Trieste 12 33044 MANZANO UD Tel. 0432748211 - Fax 0432750104 www.calligaris.it calligaris@calligaris.it CAMPEGGI srl Via del Cavolto 8 22040 ANZANO DEL PARCO CO Tel. 031630495 - Fax 031632205 www.campeggisrl.it campeggisrl@campeggisrl.it CAPPELLINI - CAP DESIGN spa Via Busnelli 1 20821 MEDA MB Tel. 031759111 www.cappellini.it CARTONPLAST V.le Europa 7 33077 SACILE PN Tel. 0434788811 www.cartonplast.it info@cartonplast.it CASAMANIA Via Ferret 11/9 31020 VIDOR TV Tel. 04236753 - Fax 0423819640 www.casamania.it casamania@casamania.it CECCOTTI COLLEZIONI srl V.le Sicilia 4/a 56021 CASCINA PI Tel. 050701955 - Fax 050703970 www.ceccotticollezioni.it info@ceccotticollezioni.it CELINE MARCQ www.celinemarcq.com celine@celinemarcq.com CERRUTI BALERI - BALERI ITALIA spa Via F. Cavallotti 8 20122 MILANO Tel. 0276023954 - Fax 0276023738 www.cerrutibaleri.com info@cerrutibaleri.com press@cerrutibaleri.com CHIARIONLAF Via Del Bon 294/b 33100 UDINE Tel. +393346064241 COROITALIA srl Via Cavallotti 53 23880 MONZA MB Tel. 0392726260 - Fax 0392727409 www.coroitalia.it info@coroitalia.it DADA spa S. Provinciale 31 20010 MESERO MI Tel. 029720791 - nr verde 800653210 Fax 0297289561 www.dadaweb.it dada@dadaweb.it DANESE srl Via Canova 34 20145 MILANO Tel. 02349611 - Fax 0234538211 www.danesemilano.com info@danesemilano.com DE MAJO ILLUMINAZIONE srl Via G. Galilei 34 30035 MIRANO VE Tel. 0415729611 - Fax 04157029533 www.demajoilluminazione.com demajo@demajomurano.com DE PADOVA srl Strada Padana Superiore 280 20090 VIMODRONE MI Tel. 0227439795 - Fax 0227439780 www.depadova.it info@depadova.it DEDON GmbH Zeppelinstraße 22 D 21337 LÜNEBURG Tel. +494131224470 Fax +4941312244730 www.dedon.de office@dedon.de Distr. in Italia: RODA srl Via Tinella 2 - 21026 GAVIRATE VA Tel. 03327486 - Fax 0332748655 www.rodaonline.com info@rodaonline.com DESALTO spa Via per Montesolaro 22063 CANTÙ CO Tel. 0317832211 - Fax 0317832290 www.desalto.it info@desalto.it DILMOS srl Piazza S. Marco 1 20121 MILANO Tel. 0229002437 - Fax 0229002350 www.dilmos.com info@dilmos.it
DOMODINAMICA srl Via Molise 23 40060 OSTERIA GRANDE BO Tel. 0516941911 Fax 051945853 www.domodinamica.com info@domodinamica.com Distr. in Italia: MODULAR DOMODINAMICA Via Molise 23 40060 OSTERIA GRANDE BO Tel. 051945896 Fax 051945853 www.domodinamica.com info@domodinamica.com DRIADE spa Via Padana Inferiore 12 29012 FOSSADELLO DI CAORSO PC Tel. 0523818618 - Fax 0523822628 www.driade.com info@driade.com DROOG DESIGN Staalstraat 7a / 7b NL 1011 JJ AMSTERDAM Tel. +31205235050 - Fax +31203201710 www.droogdesign.nl www.droog.com info@droogdesign.nl E15 DESIGN UND DISTRIBUTIONS GMBH Hospitalstrasse 4 D 61440 OBERURSEL Tel. +49 617197950 Fax +49 6171979591 www.e15.com e15@e15.com EDRA spa Via Livornese Est 106 56035 PERIGNANO DI LARI PI Tel. 0587616660 - Fax 0587617500 www.edra.com edra@edra.com EGOLUCE srl Via Newton 12 20016 PERO MI Tel. 023395861 - Fax 023535112 www.egoluce.com infoitalia@egoluce.com EMU GROUP spa Z.I. Marsciano 06055 MARSCIANO PG Tel. 075874021 - Fax 0758743903 www.emu.it info@emu.it ERNESTOMEDA spa Via dell’Economia 2/8 61025 MONTELABBATE PU Tel. 072148991 www.ernestomeda.com contatti@ernestomeda.com EUMENES srl Via Trento 1/b 20060 CASSINA DE’ PECCHI MI Tel. 0236647900 - Fax 0236647901 www.eumenes.it info@eumenes.it EUROKANCOM Industrijska zona bb SR 22330 Nova Pazova Tel. +381 22 323 395 - Fax +381 22 323 397 www.eurokancom.com office@eurokancom.com F.LLI BOFFI srl V.le Industria 5 20030 LENTATE SUL SEVESO MB Tel. 0362564304 - Fax 0362562287 www.fratelliboffi.it info@fratelliboffi.it FEDERLEGNO-ARREDO Foro Buonaparte 65 20121 MILANO Tel. 02806041 - Fax 0280604391-2-4-5 www.federlegnoarredo.it fla@federlegno.it FELD Diamantstraat 8 B 2200 Herentals Tel. +3214286128 - Fax +3214231020 www.feld.be info@feld.be FIAM ITALIA spa Via Ancona 1/b 61010 TAVULLIA PU Tel. 072120051 - Fax 0721202432 www.fiamitalia.it fiam@fiamitalia.it FLEXFORM spa Via L. Einaudi 23/25 20036 MEDA MB Tel. 03623991 - Fax 0362399228 www.flexform.it info@flexform.it FLOS spa Via Angelo Faini 2 25073 BOVEZZO BS Tel. 03024381 - Fax 0302438250 www.flos.com info@flos.com
FLOU spa Via Luigi Cadorna 12 20036 MEDA MB Tel. 03623731 - Fax 036274801 www.flou.it info@flou.it FOC Freedom Of Creation Cruquiuskade 85 NL 1018 AMSTERDAM Tel. fax +31 20 6758415 www.freedomofcreation.com info@freedomofcreation.com FOGGINI JACOPO EMILIO Via Sannio 24 20137 MILANO Tel. 0254101409 - Fax 0254121709 www.jacopofoggini.com info-line@jacopofoggini.it FONTANAARTE spa Alzaia Trieste 49 20094 CORSICO MI Tel. 0245121 Fax 024512560 www.fontanaarte.it info@fontanaarte.it FORNASETTI C.so Matteotti 1/A 20121 MILANO Tel. 0289658040 - Fax 026592244 www.fornasetti.com gallery@fornasetti.com FOSCARINI srl Via delle Industrie 27 30020 MARCON VE Tel. 0415953811 - Fax 0415953820 www.foscarini.com foscarini@foscarini.com FRAG srl Via dei Boschi 2 33040 PRADAMANO UD Tel. 0432671375 - Fax 0432670930 www.frag.it frag@frag.it FRATELLI GUZZINI spa C.da Mattonata 60 62019 RECANATI MC Tel. 0719891 - Fax 071989260 www.fratelliguzzini.com info@fratelliguzzini.com FURNISM APS Virgianvej 4 DK 1811 FREDERIKSBERG Tel. +450161619 - Fax +4578780793 www.furnism.com info@furnism.com FUTURA srl Via Piave 24 20036 MEDA MB Tel. 0362338030 - Fax 0362333175 www.futura-italy.it futura@futura-italy.it GALLOTTI & RADICE srl Via Matteotti 17 22072 CERMENATE CO Tel. 031777111 - Fax 031777188 www.gallottiradice.it info@gallottiradice.it GERVASONI spa V.le del Lavoro 88 - Z.I.U. 33050 PAVIA DI UDINE UD Tel. 0432656611 - Fax 0432656612 www.gervasoni1882.com info@gervasoni1882.com GIORGETTI spa Via Manzoni 20 20036 MEDA MB Tel. 036275275 - Fax 036275575 www.giorgetti.eu info@giorgetti-spa.it GIOVANNETTI COLLEZIONI D’ARREDAMENTO srl Via Pierucciani 2 51034 CASALGUIDI PT Tel. 0573946222 - Fax 0573946224 www.giovannetticollezioni.it info@giovannetticollezioni.it GLAS ITALIA Via Cavour 29 20050 MACHERIO MB Tel. 0392323202 - Fax 0392323212 www.glasitalia.com glas@glasitalia.com HAUNCH OF VENISON 6 Burlington Gardens UK LONDON W1S 3ET Tel. +442074955050 Fax +442074954050 www.haunchofvenison.com london@haunchofvenison.com HEMMERLING MARCO Wormser Strasse 37 D 50677 COLOGNE Tel. +492213400380 Fax +492214713207 www.marcohemmerling.com info@marcohemmerling.com HERMÈS ITALIE spa Via Serbelloni 1 20122 MILANO Tel. 02890871 - Fax 0276398525 www.hermes.com reception@hermes.it
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Interni aprile 2011 HORM 1989 srl Via San Giuseppe 25 33082 AZZANO DECIMO PN Tel. 0434640733 - Fax 0434640735 www.horm.it horm@horm.it I + I srl Via Salento 5 20141 MILANO Tel. 0289513620 - Fax 0289546448 www.i-and-i.it info@i-and-i.it IGUZZINI ILLUMINAZIONE spa Via Mariano Guzzini 37 62019 RECANATI MC Tel. 07175881 www.iguzzini.com iguzzini@iguzzini.it ITALAMP srl Via E. Fermi 8 35010 CADONEGHE PD Tel. 0498870442 - Fax 0498870418 www.italamp.com info@italamp.com JASON BRUGES Studio 2.08, The Tea Building, 56 Shoreditch High St. UK LONDON E16JJ Tel. +442070121122 Fax +442070121199 www.jasonbruges.com info@jasonbruges.com KAM KAM www.kam-kam.org KARTELL spa Via delle Industrie 1 20082 NOVIGLIO MI Tel. 02900121 - Fax 029053316 www.kartell.it kartell@kartell.it KNOLL INTERNATIONAL spa Piazza Bertarelli 2 20122 MILANO Tel. 027222291 - Fax 0272222930 www.knoll.com www.knolleurope.com italy@knolleurope.com KUNDALINI srl Via F. De Sanctis 34 20141 MILANO Tel. 0236538950 - Fax 0236538964 www.kundalini.it info@kundalini.it KVADRAT A/S Lundbergsvej 10 DK 8400 EBELTOFT Tel. +4589531866 - Fax +4589531800 www.kvadrat.dk kvadrat@kvadrat.dk LAGO spa Via dell’Artigianato II 21 35010 VILLA DEL CONTE PD www.lago.it lago@lago.it tel 0495994299 fax 0495994191 LANZAVECCHIA + WAI www.lanzavecchia-wai.com info@lanzavecchia-wai.com LAPALMA srl Via Majorana 26 35010 CADONEGHE PD Tel. 049702788 - Fax 049700889 www.lapalma.it info@lapalma.it LEMA spa S. Statale Briantea 2 22040 ALZATE BRIANZA CO Tel. 031630990 - Fax 031632492 www.lemamobili.com lema@lemamobili.com LENSVELT Minervum 7003 NL 4817 ZL BREDA Tel. +31765722000 - Fax +31765722022 www.lensvelt.nl info@lensvelt.nl LEUCOS spa/FDV GROUP spa Via delle Industrie 16/b 30030 SALZANO VE Tel. 0415859111 - Fax 041447598 www.fdvgroup.com leucos@fdvgroup.com LIGNE ROSET - ROSET ITALIA srl C.so Magenta 56 20123 MILANO Tel. 0248514007 - Fax 0248022388 www.ligne-roset.it info@ligne-roset.it LINTELOO/INTERIOR ESCAPES BV Johannes Postlaan 6 NL 3705 LN ZEIST Tel. +3130 212 2110 Fax +3130 212 2111 www.linteloo.nl info@linteloo.com LIVING DIVANI srl Strada del Cavolto 22040 ANZANO DEL PARCO CO Tel. 031630954 - Fax 031632590 www.livingdivani.it info@livingdivani.it
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N. 610 aprile 2011 April 2011 rivista fondata nel 1954 review founded in 1954
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Nell’immagine: scorcio di una casa in istria, oggetto di ristrutturazione dell’ architetto giorgio zaetta. murature, aperture e dimensioni vecchie di secoli vivono una nuova giovinezza in un suggestivo continuum spaziale tra dentro-fuori. in the image: view of a house in Istria, restructured by the architect Giorgio Zaetta. Age-old walls, openings and measurements experience a new youth in an evocative indoor-outdoor spatial continuum. (FOTO DI/phOTO BY alberto ferrero)
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INtopics
editorial
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The April issue of INTERNI is truly special, as it is completely organized around the MUTANT theme, meaning progression, evolution, transformation. What has already changed and what is changing before our very eyes? Works of architecture, functions, companies, the coordinated aesthetics of designers, furnishings and complements, technology, materials, lighting are all evolving and adapting. It is a design dimension based on sustainability, reutilization and changes of use, involving and transforming all things: the home, the city, the landscape, the territory. The mutant visions are scenarios on an architectural scale, public and private, including projects by Zaha Hadid, Daniel Libeskind, Italo Rota, Jacopo Foggini, Philippe Starck, Alessandro & Francesco Mendini for Alberto Alessi. As well as the perspectives of a master of innovation in the field of reinforced concrete, Pierluigi Nervi, in the 1950s. Or the model of social housing that is finally making inroads and generating interesting opportunities in Italy. The reflections of designers help us to put the idea of the mutant project into focus: from the way of sensing the relationship of form, material and function, to the very logic of industrial design itself, in terms of serial and custom production of objects. Shifting planes, mutant visions can also be seen as figures in movement or in a state of transgenic becoming of selected design furnishings. The theme has also provided a stimulus to talk about the anniversaries of “historic” Italian (and other) companies and products that are icons of design. Together with the 50th anniversary of iSaloni in Milan. Once again this year, in April INTERNI becomes a versatile system of varied publishing initiatives. One outstanding example: the issue of INTERNI Panorama, which introduces the theme of mutations in a series of contributions, interviews and articles aimed at a wider audience. The theme is also addressed by INTERNI MUTANT ARCHITECTURE & DESIGN, this year’s exhibition-event at the Università degli Studi of Milan, and the driving force behind all our work. Because the near future is for those who know how to see it! Gilda Bojardi
INteriors&architecture
The “good gardener’s house” p. 2 project Alessandro & Francesco Mendini with Alex Mocika photos Giacomo Giannini text Francesco Massoni Terra–ae is the name of the dream that has become reality for Alberto Alessi: a farm and vineyard, a house-manifesto, a project of architectural restoration and environmental improvement, conducted in keeping with the principles of Feng Shui, sustainability and biodynamics. A life project, a vision for the future. The Times They Are a-Changin’, sings Dylan the bard. And his voice seems to hover, as in a film soundtrack, over the pacific, verdant stretch of land located in Pratolungo, part of Pettenasco, gently sloping toward Lake Orta and facing the island of San Giulio, the patron of this hilly region in northern Piedmont. This is where Alberto Alessi, president of Alessi, has decided to restore an old farm estate called Villa Fortis, which dates back to the 17th century, when the owner – a certain Eugenia Fortis – gave that name to the property that already existed in the documentation of the era of Austrian rule. The original farmhouse was then incorporated in a complex of buildings whose definitive configuration dates back more or less to the start of the 1800s. Only the land holdings have been altered, and now cover an area of about six hectares. “When I acquired the property – Alessi recalls – the buildings had been abandoned and the land was overgrown with wild vegetation”. So in 2001 a long, laborious project began to salvage the place, with the aim of setting some of it aside for residential use, and some for the production and aging of wine. Land once used for vineyards was returned to that role, applying the principles of organic farming, sending a forceful signal regarding the reutilization of the territory in an ecosustainable perspective. For the architectural part, the project was assigned to Alessandro and Francesco Mendini with Alex Mocika, who directly supervised the various phases, helped by Eduardo Hess and Paivi Viiki, Feng Shui experts. For the vineyards, the agronomist Patrizio Gasparinetti was joined by the French biodynamics expert Jacques Mell. “The restoration was practically philological. And this is a particularly complex philology as well, because this group of buildings has undergone many modifications over the centuries, leading us to make a freer reinterpretation”, Francesco Mendini explains. The local authorities recommended that the original walls be conserved as completely as possible. As there were no foundations, excavation was required to construct them. During the excavation work the walls, made of earth, rocks and a bit of lime, began to crumble. “All the original stones of the construction – Alessandro Mendini points out – have been carefully salvaged. Most of them have been reutilized to make the enclosure walls of the garden, window sills, steps”. Alberto Alessi’s program was very clear and succinct: “Simplicity, functional quality, Feng Shui, view of the island of San Giulio, visual and aural communication among all the parts of the house”. And so it is. “We have not used a style, here – Mendini says – we have gone along with an anthropology of simplicity. We could call it a project of extreme calm. Though it is not what we are accustomed to doing, it has brought us great satisfaction”. From the entrance gate to the property one descends a drive flanked by chestnut trees, leading to the complex, where there is an immediate view of the vineyards that cover an area of about 20,000 sq meters, with rows of Chardonnay and Pinot Noir. Walking along the side of the guesthouse, one reaches the main entrance of the house on two levels plus an attic (about 400 sq meters of total floorspace). Once inside, to the right there is a large Tabu wood panel with geometric inlays by Alessandro Mendini, framing the door of the studio of Alessi’s wife, Laura, and the maître de chais: a role played with complicity and enthusiasm by the talented young oenologist Monica Rossetti. Walking down a few steps one reaches the large open living area with a rectangular layout, a fireplace in stone and chestnut wood. The wood, like that of the long central dining table – an idea of Alberto Alessi – the outdoor table and the bookcase
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on the upper level, comes from several ailing trees found on the property. The left wall, facing uphill, has glass and oak cabinets by Valcucine. In front of it windows offer a view of the terraced garden. On the opposite side there is an area for preparation and cooking of food, with the half-moon island by LaCucinaAlessi in a tailor-made version. From here, through a glass door, one reaches the very luminous spa with its swimming pool, of about 200 sq meters. From the kitchen zone, through another door, it is also possible to directly reach the cellars for the aging of wines, with an area for casks and a cuvier with a loft for winery operations. The upper level of the house is reached by means of a flight of recycled stone steps that leads first to a bookcase, overlooking the lower level, and then to the bedrooms. The attic is further up, and features designer furnishings from the personal collection of the master of the house. Finally, a spiral wrought iron staircase leads to the tower, for a breathtaking view of the surrounding landscape. The project might be called “zero-kilometer” architecture, because the materials used for the restoration have all been salvaged from the old agricultural complex, and are thus in keeping with the local construction tradition: a virtuous example of building with low environmental impact. The work has not been fully completed, and a number of details remain to be finished. But Alberto Alessi is already making plans for his Domaine. This year a third hectare of vineyards will be added. In 2012, the year slated for the debut of the wines of Terra–ae, the winery should produce at least 8000 bottles. But what has happened to this man famous for innovation? Has he suddenly become a conservative, though an enlightened one? “Here, as in the factory –Alessi replies – I feel like a good gardener: sensitive, careful, patient. The good gardener sows what he thinks we be needed, but above all he prepares his field and takes care of the first new sprouts… and he knows he can rely on the unexpected seeds brought in by the wind…”. A metaphor that is effectively illustrated in the new interpretation of the Triennale Design Museum in Milan, curated by the Piedmontbased entrepreneur and focused on the “factories of Italian design”. - Caption pag. 4 On the previous double page: the open living area with the large dining table made with ‘recycled’ chestnut wood, displaying objects from the Alessi collections. The designer chairs are intentionally mismatched. The carpets, in natural fiber, are by Tisca Italia. The hanging lamps are the Sonora model by Vico Magistretti for Oluce. To the side and below, two views of the Terra–ae estate, at Pratolungo, overlooking Lake Orta, and the owner Alberto Alessi tasting one of his wines with a glass from the Glass Family designed by Jasper Morrison for A di Alessi. - Caption pag. 5 The cellar for the aging of wines, with red resin floor and ‘breathing’ exposed brick: the space has been designed to conserve bottles at a temperature of 11-16 degrees C, with humidity of 70-80%. - Caption pag. 6 Above, the kitchen corner of the large open living area, with the island of LaCucinaAlessi, in an extralarge steel version, designed by Alessandro Mendini and Gabriele Centazzo and produced by Valcucine with Oras faucets. In the background, the Bubble Chair by Eero Aarnio for Adelta. To the side: the entrance to the studio of Laura, the wife of Alberto Alessi, framed by an inlaid design by Alessandro Mendini made with Tabu wood. The ceiling fixture is the Helios 35 by ABS Studio for Egoluce. The library zone on the first floor, overlooking the living area, lit by Brera hanging lamps by Achille Castiglioni for Flos. On the facing page, another view of the living area. In the foreground, the E45 chair by Alvar Aalto for Artek, Alberto Alessi’s favorite. On the dining table, the vases Tronco by Mario Botta and Crevasse by Zaha Hadid for Officina Alessi, baskets from the Peneira Collection by Fernando & Humberto Campana for Alessi. In the background, cabinets with glass by Valcucine. - Caption pag. 9 Above, the Turkish bath faced with Bisazza tiles, like the swimming pool (facing page), with a decorative design by Alessandro Mendini. To the side, the red spiral staircase in wrought iron that leads to the tower at the top of the house.
Noah’s ark p. 10 project Italo Rota photos Paolo Rosselli text Matteo Vercelloni In Milan, the home of Italo Rota and Margherita Palli. A wunderkammer for living, a modern private Noah’s Ark, a continuous yet subdivided domestic space, open to an inner courtyard transformed to make a garden. “Their apartment would seldom be orderly. Precisely that disorder would constitute its main charm. They would hardly pay attention to it: they would just live there. Its comfort would seem to them an acquired fact, a given, a state of their nature. Their vigilance would be directed elsewhere: a book to open, a text to write, a record to listen to, the dialogue resumed on a daily basis. They would work at length, without feverish impatience, without acrimony. Then they would dine, at home, or out; they would gather with friends; they would walk with them. At times they would have the impression that a whole life could be harmoniously spent inside those walls covered with books, amidst those objects that are so perfectly familiar that they might end up believing they had been created, always, for their exclusive use, amidst beautiful and simple, gentle and luminous things. But they would feel any limitations: on certain days they would venture out. No project would seem impossible to them. They would know no rancor, bitterness, envy, because their resources and desires would be in tune on every point, in every moment. They would call this balance happiness. And they would now, by virtue of freedom, wisdom and culture, how to preserve it, to discover it in every moment of their shared existence”. This passage taken from Georges Perec, from the beginning of his famous novel Le Choses (1965), helps to understand the design of a domestic interior that goes beyond the traditional approach, revealing its nature as “a that should know how to contain not just the objects of our lives, but also our life itself”, as Italo Rota writes in a recent essay, “INTERNI di INTERNI”. The ‘things’ in this house take on the role not only of volumetric presences (furnishings and objects, books and collections), but also of parts of a spatial unicum, protagonists – together with Italo and Margherita – of a sort of modern and private Noah’s Ark, ready to ferry into the near future fragments and memories of a personal history that also bears witness to
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our time, due to the quality of the collections, the cultural depth and tireless curiosity of its explorers. In this sort of “energetic cavern”, as Rota describes it, analyzing certain improbable yet real interiors, the space becomes continuous; the original warehouse assumes the role of a container ready to host floating, suspended rooms, which like complete capsules open at different angles onto the overall environment. A volumetric grammar paced by balanced, precise interlocks that somehow remind us of the Merzbau of Kurt Schwitters (1933), but without the intention of a sculptural environment. The idea of the ‘capsule’ found in a number of episodes suspended in the main space is also seen in the bathroom, opened by a large pink, transparent glazing toward the living area, and in the two volumetric additions at the opposite ends of the house that open toward the internal garden, created by transforming a closed courtyard. The bedroom and kitchen thus become two small, complete pavilions that conclude the sequence of the large glazings open to the garden, featuring iron frames with an industrial look. The plan of the house has a sort of U-like form, emerging from the facade line of the building with balcony accessways; looking up, the view of the balconies, the laundry hanging out to dry, reminds us that we are in Milan, in an urban fabric of bygone days that the city of the present, chasing after the models of a globalized modernity, seems to by trying to erase. - Caption pag. 10 Views of the house from the internal garden created in a closed courtyard. Large glazings feature iron casements with an industrial look. Inside the open, continuous living area, amidst design classics, seating by Harry Bertoia from the Bertoia Side Chair collection (1950) by Knoll International. The lamp with the red shade is the Aggregato table model by Enzo Mari and Giancarlo Fassina for Artemide (1976). The other lamp, with the white shade, attached to the wall, was designed by Italo Rota and produced by Calabrese for the Boscolo Palace Hotel in Rome. - Caption pag. 12 The narrative sequence of the images conveys an idea of the wealth of visual and sensorial content in the private residential landscape of Italo Rota and Margherita Palli. The volumetric grammar favors balanced, precise interlocks that seem like reminders of the Merzbau of Kurt Schwitters (1933). The furnishings include: in the foreground, the checkered table designed by Italo Rota for Arianese. In the background, the classic ‘Nordic’ table by Alvar Aalto, produced by Artek. - Caption pag. 14 The gaze roams the infinite context of each space to discover precise objects and architectural signs: the collection of African statues, men and women with ancient features, and then stuffed parrots, and lots of books organized on full-height shelving. The metal staircase, painted white, in the foreground, leads to one of the lofts over the living area. - Caption pag. 15 On the facing page, center, the bathroom with the black and white cabinet designed by Italo Rota, made by Marzorati Ronchetti. Below, the corner of the bookcase lit by a Murano glass chandelier with applied Indian reflecting spheres. - Caption pag. 16 The open space of the living area contains small suspended pavilions to contain different environments and studio zones. In keeping with the visual continuity between the various residential functions, the bathroom also opens with a large transparent glazing toward the living area. In the mixture of furnishings: black chair by Driade, low tables and chair in light curved wood by Alvar Aalto for Artek, Luminator floor lamp from the 1930s, the series of containers by Ettore Sottsass for Poltronova, Gli Amici divan by Gaetano Pesce for Meritalia.
The steel rock
p. 18 project Daniel Libeskind/Daniel Libeskind Architects photos Todd Eberle text Matteo Vercelloni
In the oak woods of Connecticut, an experimental house that overturns the traditional hierarchies of construction components to combine, in a single, strident compositional synthesis, walls and roof. The result is a dynamic sculptural volume that stands out like a geometric rock in the landscape. The compositional research of Daniel Libeskind takes on the full range of project scales with the same excellent results: towers and skyscrapers, museums and large public structures are approached by the winner of the competition for the reconstruction of Ground Zero in New York with the same intensity he puts into smaller buildings and design works, or this surprising domestic construction set down in the landscape of Connecticut. For Libeskind, the idea is not to stick with the modernist slogan “from the spoon to the city”, but simply to extend design research to the entire environment around us, both public and private.Within this global approach, the design of this private home embodies the idea of getting beyond the traditional sum of components of architectural space (horizontal floors, vertical walls, roof), to reinterpret the lesson of the artistic avant-gardes of the 20th century regarding ‘total space’. In this project the conceptual shift is resolved by the general idea of thinking of an inhabited volume as an internal space obtained by means of a series of pondered twists in a ribbon of reference bent back on itself and assigned the role of forming the complex geometry of the whole. The ‘ribbon’, clad on the outside by sheets of stainless steel treated with chemicals for a burnished finish, with reflexes that change throughout the day, depending on the angle of the sunlight, develops from the lawn, first as an entrance platform, and then vertically bends in different, clashing angles to form walls and roof, as a unified, continuous surface marked, however, by a disruptive sequence of interlocks that make it into a sort of geometric crystal, similar to the craggy rocks that stand out in forests, like natural counterpoint, as part of an overall environment. The extension of the steel ribbon forms, inside, a large unified space joined, between one bend and another of the ‘architectural skin’, by the master bedroom in a corner position. The open portions of the inclined facades, surfaces made with scales of steel, like a contemporary take on shingles, correspond to open, glazed parts that fill up the voids created by the shaping of the ribbon, faced inside with wooden boards. This materic choice references the warm atmosphere of the American cottage, making the entire living space monomateric with the exception of the flooring in pale stone, lit by strips of grazing light that underline the geometric shapes of the custom furnishings. The furnishings are placed along the inclined partitions that determine the planimetric solution, and become an integral part of the architectural
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design; furnishings that ‘design the space’, like the large two-sided zig-zag divan that separates the living and dining areas, with an accessorized kitchen counter in the latter. To isolate the lone bedroom from the large living area, a multifunctional block is placed in a central position, containing the toilet, a large custom bathtub and a closet. Toward the dining area the wooden wall of this small piece of contained architecture is transformed into a large bookcase niche. The geometric shaping of the construction extends from the outer configuration of the house, moving through different scales, from the wrapper to the furnishings, incorporating portions of the steel ribbon that interrupt the glazings, forcefully entering the private space, like architectural shards. As a reminder of the character of the whole and to underline the not only visual relationship between the house and the landscape. - Caption pag. 19 Evening view of the overall volume, clad on the outside with stainless steel sheets, treated with chemicals for a burnished effect that changes under the influence of different angles of artificial and natural lighting. - Caption pag. 21 Above, insertion of the geometric volume of the house in the landscape. To the side, cross-section; below, detail of the lower seam of the inclined steel walls clad in steel. The main entrance of the house, facing the living area. The interior of the ribbon that composes the entire construction is clad with wooden boards. - Caption pag. 22 Above, view of the dining area, behind the two-sided custom divan that divides it from the living area, toward the central multifunctional block that contains the large bookcase niche. Below, plan of the construction. Facing page: view of the custom accessorized kitchen block. - Caption pag. 25 Below, between one bend and another of the ‘architectural skin’, the master bedroom is placed in a corner position. The wooden facing of the enclosure is a reminder of the warm atmosphere of the American cottage, in a monomateric solution interrupted only by the pale stone flooring, lit by strips of grazing light that underline the geometric shapes of the custom furnishings and the inclined partitions. Facing page: a central multifunctional block isolates the bedroom from the large living area, and also contains a custom bathtub.
Harmonic asymmetries
p. 26 project Zaha Hadid Architects photos Iwan Baan, Virgile Simon Bertrand text Davide Giordano
The Guangzhou Opera House, the first project built by Zaha Hadid Architects in China. A complex formed by two buildings with an organic image, facing the Pearl River, like large pebbles, combining high interior performance with successful urban insertion. Six years after the start of construction, the Guangzhou Opera House was introduced to an international audience at the Architectural Review in February, after a few inaugural performances last summer, at the time of the Asian Games. The London-based studio received the commission by winning a competition announced in 2002 by the city of Guangzhou (Canton), 120 km northwest of Hong Kong, the third largest city in China in terms of population, and one of the main “engines” of the prodigious growth of the country. Among the projects of Zaha Hadid, the Guangzhou Opera House is probably the one that best reflects the impact of her research on geology and natural systems. Facing the Pearl River, the two buildings of the Opera House – the theater for up to 1800 spectators and the multifunctional structure for 400 persons – are like two big pebbles, similar to the stones found in a riverbed, with forms sculpted by the erosive action of the water, which flows like the people who circulate, in a fluid way, in the space around the Opera House, accessed from various streets. A project that is totally embedded in the host context, a modern agora inside an area that is becoming the new cultural pole of the city. Simon Yu, the young associate who supervised the construction, explains: “From our viewpoint projects like this should have an inclusive function – not just as places where people can see a given performance, inside a structure that lends itself well to that function – but also as spaces of gathering, open independently of the various events on the program”. Woody Yao, the Associate Director responsible for the project, confirms that this is effectively the studio’s approach, as reflected in the design for the Cardiff Bay Opera House – which was never built, though Zaha Hadid took first prize in the competition held in 1994: “The solution we submitted at the time also called for fully used external spaces, for outdoor events, above all, but also as places for meeting and interaction”. The design of the Guangzhou Opera House represented a challenge, above all in structural terms: over 10,000 tons of steel were used to support the volumes of a project marked by great formal complexity. After entering, the multilevel foyer is like a canyon in tones of white, gray and black – colors that establish a perfect dialogue with the glass and granite of the facade, as well as the steel of the exposed structure. From the lobby one reaches the auditorium, where the champagne colored surface – all in plasterboard reinforced with fiberglass – seamlessly wraps the space, taking on the appearance of a silk drape whose color shifts in the light of small LED spots that literally form a constellation in the large hall. The visual impact is very strong: the ceiling and walls slope and ripple, creating a continuum of reliefs and valleys whose fluid forms seem to be sculpted directly by the sound waves that spread out from the stage, and by the patterns of the lateral openings that far from being purely decorative features, conceal the powerful speakers – an indispensable feature in the context of oriental opera, which emphasizes sound much more than set design, which instead is a more constant concern in European opera productions. Precious assistance has been offered, in this regard, by the consultants of Marshall Day Acoustics, a leader in the field of sound optimization, who provided expert suggestions for improvement of acoustics in this very asymmetrical space. For the audience, it becomes a spectacle within a spectacle: a visual and acoustic experience that goes well beyond the ordinary and culminates in a triumph of harmony. The smaller ‘pebble’, or the multifunctional building, completes the picture: the smaller size and flexible internal layout make it ideal for hosting different types of events, including conferences or commercial happenings. Simon Yu is clearly satisfied: “The completion of this project required great commitment: there were moments when we had almost 2000 workers on site. But it was also a lot of fun. And now we continue
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Interni aprile 2011 to get enthusiastic feedback, especially from the younger members of the audience, which is the most gratifying aspect”. Zaha Hadid, once known as an architect of things that couldn’t be built, amazes us once again with a brilliant project. One wonders what the future will bring… which reminds me of something she told me a couple of years ago: “There is no end to invention”. That’s reassuring. Thanks Zaha! - Caption pag. 27 Overall view of the complex, with the volume of the main hall to the right, and the multifunctional building to the left. - Caption pag. 28 Ground floor plan. Images of the multilevel foyer, a canyon in tones of white, gray and black that leads from the entrance to the main auditorium. The triangular structural grid and the treatment of the surfaces in GFRG (glass fiber reinforced gypsum) underline the fluid design of the space. - Caption pag. 31 Above, an evocative view of the auditorium space, a fluid champagne colored enclosure studded by small LED spotlights. The lateral openings conceal the speakers. The fabric of the seats has been specially produced by Kvadrat. To the side: the rehearsal room inside the multifunctional building, which hosts various types of events. Facing page, the steps connecting the levels of the foyer that leads to the main hall. - Caption pag. 32 The dance rehearsal room inside the multifunctional building for various types of events.
The place of fables
p. 34 project Jacopo Foggini, Alice Nardi, Roberto Bergonzi photos Andrés Otero text Antonella Galli
A house in the upper Apennines, near Piacenza, for Jacopo Foggini, born in Turin, living in Milan, an explorer of the potential of methacrylate who creates a mutant, vibrant poetic world of filaments of light, mixtures of colors, labyrinths and sinuous forms. How to bring an engaging multisensory experience to a place of refuge, evoking fantastic territories. The vision behind the home of Jacopo Foggini in the upper Valtrebbia has developed with time and research, over the course of years, to find a place set aside for freedom of expression and imagination. A dwelling-refuge that makes space for creativity and the private sphere, designed together with the architects Alice Nardi, Foggini’s fiancée, and Roberto Bergonzi, his collaborator in a thousand adventures. Foggini, an artist and designer who uses methacrylate to make installations, luminous volumes and sculptures with organic, fluid and fantastic forms, has selected a high area above Bobbio, with a fine view of the Trebbia. This river, with its spectacular bends between steep green banks, was the natural feature that attracted him most, perhaps because of its implicit aesthetic affinities with the luminescent threads of methacrylate he uses in his work. The house, built over the ruins of an old barn, whose volume has remained, is organized in freely grouped units, based on the layout needs of the interiors. The composition, in a linear frame with a rural character, integrates stylistic elements of different kinds, from residential modules with pitched roofing, in stone, typical of mountain settlements, to the cubical house with a terrace at the top (and external staircase) typical of the Mediterranean, especially in Greece, one of Foggini’s favorite places. These suggestions also lead to the choice of stucco finished with white lime, contrasted by red casements that give the complex a fairytale image, “like the house of Hansel and Gretel”, Foggini says. These free, personal references are matched by careful research on materials and furnishings, linked to the memories and the poetics of the owner. The internal spaces are intentionally spare, featuring striking furnishings and decorative touches, for an overall effect of spacious openness, ready to welcome friends and to host moments of solitary relaxation. The choice of finishes is based on factors of reutilization, exploring the inner character of materials and their possibilities of rebirth: the larch beams and the stones of the floor have been salvaged (the latter from an old 17th-century church), the hand-painted tiles of the bathrooms and kitchen were found at the big emporium of materials for reuse of Guido Frilli (Recuperando) in Tuscany. The doors come from Japan, by the artist Masakatsu Tsumura, who makes them using ancient Asiatic conifer wood. The cast iron stove in the kitchen is also an antique, positioned beside a large convivial table. Foggini found it in an antique store in Turin, before the house existed, and bought it as part of the imaginary puzzle that was taking form in his mind. The Venetian ceramic fireplace from the 1800s also has a lot of personality, with its mushroom-like form, positioned in the corner of the master bedroom. The artistic creations of the owner are found in every room: the long-stemmed Flowers that embrace the space of the living area, the monochrome and multicolored Disks hanging on the walls, the Globes, sumptuous Candle holders and Skeins, suspended and lit from below. Presences that open the space to paths of meditation and enjoyment, striking projections skillfully connected to design pieces of strong character, like the Boa divan by Edra, the Bubble Chair by Eero Aarnio or the pianoforte by Barnaba Fornasetti, a one-off created especially for Jacopo Foggini. A harmonious and playfully provocative whole, a precious poetic world positioned in a landscape context of breathtaking beauty. - Caption pag. 34 Above: the living area of the home of Jacopo Foggini, with the fireplace made with stones from the Trebbia River, the Boa divan by Fernando & Humberto Campana for Edra, a luminous Skein sculpture by Foggini, and his two dogs. Right: the complex on a hill overlooking Valtrebbia, in the Apennines near Piacenza. - Caption pag. 37 The living area with the Bubble Chair by Eero Aarnio produced by Adelta, at the center, and two luminous sculptures by Jacopo Foggini in methacrylate, like the three Disks on the back wall. The doors were made to measure in Japan by the artist Masakatsu Tsumura, using old wood from Asiatic conifers. To the right, on the wall, Rispecchiamento (2009), a sculpture by Stefano Medaglia in ceramic, based on the image of an African mask. - Caption pag. 38 Above: the kitchen with the large convivial table, salvaged tiles painted by hand in Lucca, a methacrylate Globe used as a chandelier, and the antique cast iron stove. Upper right: the Piano-Forna, a piano created for Jacopo Foggini by Barnaba Fornasetti, with a Flower sculpture. Right: one of the guest rooms with the Candeliere lamp by Jacopo Foggini. On the facing page: the double bed made with salvaged beams by Foggini’s friend, the carpenter Davide Arlaud, Crisalidi appliques and a Globe hanging lamp in
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methacrylate; in the corner, a work by the Greek artist Gregos Psychoyos. - Caption pag. 40 Above: the master bedroom with a yellow disk at the center of the wall and the ‘canopy’, composed of methacrylate modules assembled and attached to the ceiling. Left, the bathroom with recycled tiles painted by hand in Morocco and found at the large emporium of salvaged materials of Foggini’s friend Guido Frilli (Recuperando) in Tuscany. Below: Jacopo Foggini and his fiancée Alice Nardi. On the facing page: the 19th-century Venetian ceramic stove in the master bedroom, with the yellow-green ‘canopy’ in the foreground, a work by Jacopo Foggini.
Alhóndiga Bilbao
p. 42 project Philippe Starck/Starck Network project director Stefano Robotti photos Francisco Berreteaga text Antonella Boisi
A sort of mutant voyage in time and space, amidst the icons of the cultures of the whole world in all eras, for the heart of the cultural-wellness center in the Basque city, with 43 columns in the entrance foyer. A collaboration between the famous French architect Philippe Starck and the renowned Italian set designer Lorenzo Baraldi. The Alhóndiga Bilbao is the first public work by Philippe Starck in Spain, commissioned by the city government. It recovers, converts and updates a modernist building in exposed red brick, iron and reinforced concrete built in 1909 by Ricardo Bastida and used as a warehouse for oil, liquor and wine, in the center of the city, Plaza Arriquibar, halfway between the recent Guggenheim Museum by Frank O. Gehry and the historic Plaza de Toros. A fragmented enclosure, a building in which the composition consists of a central covered atrium faced by three red brick edifices on three levels, for overall floorspace of 40,000 m2 containing an auditorium, a cinema, a media library, sporting facilities, exhibition spaces and areas for artistic experimentation. “A place conceived as a motor of vitality and culture, in keeping with the Latin motto ‘mens sana in corpore sano’ – the design star explains. The result is a collaborative work: “I felt more like an orchestra conductor or a film director than an architect, in the traditional sense of the term”, he adds. One interesting aspect of the collaboration is the presence of the Italian set designer Lorenzo Baraldi, who made it possible to resolve the critical visual presence of 43 pillars that punctuate the entrance space, the fulcrum of connection between the various activities. “I’ve always seen that in films everything happens behind columns... behind columns, representation of drama, beauty, history are hidden. Each column, in relation to its culture and its time, creates different interpretations, settings, emotions”, Starck says in the fine documentary-video 43 Columns, on view in Bilbao, produced by Schicchera Production, written and directed by Eleonora Sarasin and Leonardo Baraldi (Lorenzo’s son). This thought led to the choice of calling in a set design who works in cinema. Based on the suggestion of project chief Stefano Robotti, three years ago Starck turned to Lorenzo Baraldi, born in 1940, from Parma, who studied set design at the Brera Fine Arts Academy in Milan, and has a great talent for drawing; he has won many prizes, including the David di Donatello, and has worked with directors like Dino Risi, Mario Monicelli, Massimo Troisi, Paolo Virzì, Paolo and Vittorio Taviani, Alberto Sordi. The designer of the sets of films like Il Marchese del Grillo (1981), Amici Miei (1975), Profumo di Donna (1974) enters our story almost by chance. In his first encounter with design, he was asked to make a permanent installation right in the heart of the building: to wrap the 43 existing pillars with columns of different forms, materials and decorations, inspired by all historical eras. “Strolling through these columns one crosses geography, history and time. An open space-time where everyone can find something of himself”, Starck explains. Lorenzo Baraldi conducted research on models on which to base his columns in his studio in Rome, at Cinecittà, a sort of museum of cinema filled with models and photographs of sets. “Once the first faxes arrived from Paris with Starck’s sketches and indications, I developed about 800 designs”, he recalls, “starting with the inspiration from Egyptian, Assyro-Babylonian, Greek and Roman sources”. A materic jubilee of sculpted arabesques, cascades of flowers, fruit, grapes, twisting ivy, that met with Starck’s enthusiasm. Once the definitive designs had been done, a set design workshop made the 43 models. This is an everyday practice for Baraldi. “Small models are very important in cinema, because many directors cannot interpret a plan, an elevation, a perspective drawing”, he explains. The continuation of the project was not a ‘mission impossible’. Baraldi knows the best specialized craftsmen and costume makers in the world. Responding to Starck’s clear urgings, he has made no concessions to the use of ‘humble’ materials, the kind often used for sets, like plasterboard and fiberglass. Here the choice has gone to noble materials from the history of architecture, fine lacquer finishes and such. The territories involved are Carrara, Lecce, Rome, Florence, Perugia and Milan, finding the masters of the great Italian tradition of crafts, to make the columns in seven different materials: wood, marble, concrete, terracotta, brick, Lecce stone, steel. Only the bronze and aluminium were made in Spain. The Italian set designer coordinated all the phases, from the idea to the installation. “It was also a way of monitoring”, he concludes, “in the field, to see the force of experiments with ancient methods and advanced technologies”. Because, in the end, as the great architect from Turin Carlo Mollino said, “the meaning lies not in the words, but in the accent”. More than a figure crystallized in the solidity of its old walls, Alhóndiga Bilbao remains a living, dynamic ‘environment’ that belongs to its users and to the city. Together with its column-sculptures that, translated into a narrative film sequence, become even more the “hopeful symbol of a transversal contemporary society, multicultural and multiethnic, open to dialogue and exchange”. From an encounter with LORENZO BARALDI What are the differences, on a theoretical and practical level, in terms of concept and production, between a temporary set made for a film and a permanent installation for an architectural work? “Only the materials, not ‘fixed’ and ‘humble’, but easy to remove. Otherwise there is no difference in the idea and the design, though working with Starck I have realized that his vision as a designer is very connected to details, to perfection in the making,
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while personally I am more focused on the overall perspective”. In this work you concentrated on every phase, from the idea to the installation, like a designer who creates a piece of furniture and sees its production through to completion. Does that also happen in cinema? “It was precisely my experience with cinema that enabled me to do this job. Actually, on the set much more design is done than you might imagine. Just consider the fact that in two years I make an average of 4 or 5 films, and in each film I have to furnish over 100 spaces”. Are the two fields similar in terms of the human resources involved and the timing? “It depends on the size of the film. At times the teams are small, at times there are many people working on multiple sets at the same time, but the schedules are always very tight, very fast, often in isolated places, in the mountains or the middle of the desert, a real race against time, nothing like the deadlines found in architecture and interior design. Starck called me in 2008, but from the idea to the assembly of the columns in 2010 only five months passed”. What is the importance of drawing for the construction of a film set? “Drawing is extremely essential. By drawing you can ‘talk’ with the director, the producer, the buildings, because a sketch can be immediately understood. I don’t want to hear anything about AutoCAD, because it is a cold medium, it doesn’t convey the atmosphere of the environment and the decor. My assistants absolutely have to know how to draw”. An assessment of your experience with Starck? “It’s been positive, like working with a good director. It required a certain type of work, so as always I developed a range of hypotheses and we chose the best ones for the project”. Your favorite reference points for design inspiration? “I’m omnivorous: my research ranges from sector periodicals to contemporary painting, I am still thrilled when I see a design by Gio Ponti, Ettore Sottsass, Vico Magistretti, Achille Castiglioni, people who truly renewed the living scenario. In any case, by background, as a former student at Brera, was mostly in painting. My favorite periods in art range from Impressionism to the Macchiaioli”. - Caption pag. 44 Exterior view of the Alhóndiga building seen from Plaza Arriquibar, in the center of Bilbao. To the side, Lorenzo Baraldi with models of the columns. On the previous page and to the side: the heart of the building, the majestic entrance foyer, punctuated by 43 mega-columns, three meters high and 160 cm wide, made under the guidance of Lorenzo Baraldi by eight craft workshops, contributing specialized know-how from different fields. The glazed terracotta columns were made by La Torre Ceramiche d’Arte; for the marble, S.G.F. Scultura di Santini Silvio & C; wood, R.C. Scenografie Arredamenti; concrete, Tecnostyle; steel, Rancati; in Lecce stone, Pi.Mar di Cursì, of the Marrocco family; brick, Fornaci Briziarelli Marsciano; bronze and aluminium, the Spanish firm Alfa Arte. - Caption pag. 47 An exhibition space for art shows and the center’s bookshop. Everything has been architectural restructured and furnished with custom pieces created by Philippe Starck. On the facing page: the new swimming pool, the protagonist of the sporting facilities inside the Alhóndiga, the complex composed of three exposed brick volumes on three levels, for overall floorspace of 40,000 m2, divided into spaces for fitness and wellness, as well as an auditorium, a cinema, a media library, exhibition spaces and zones for artistic experimentation.
INsight INprofile
Pier Luigi Nervi: The poetics of construction
p. 48
by Matteo Vercelloni photos Mario Carrieri
A traveling exhibition and the photographs of Mario Carrieri retrace the work of Pier Luigi Nervi (1891-1979), engineer and builder, inventor of construction processes and forms that freed reinforced concrete of traditional worksite practices and made the structure the main feature of a new kind of free architectural expression. From Brussels to Venice, during the latest Architecture Biennial, then on to the MAXXI in Rome, the exhibition “Pier Luigi Nervi – Architecture as challenge”, supported by Italcementi, which worked with Nervi on a number of occasions, will continue its tour, reaching Turin in 2011 at ‘Pavilion C’ of ToExpo, which Nervi built in 1950, now in a state of serious decay. Nervi was practically a ‘Renaissance man’, due to the intensity of his thinking and his capacity for invention. His work offers a timely message, as Zaha Hadid has pointed out in a short essay contained in the MAXXI Electa catalogue (Pier Luigi Nervi – Architettura come sfida. Roma, Ingegno e costruzione, 2010): “Pier Luigi Nervi has always had a deep influence on my work. Nervi, together with Frank Lloyd Wright, was one of the first architects to talk about organic architecture, not only in terms of the close relationship between buildings and their context, but also regarding the way in which the design of the building is conceived as a single organism”. The true debt owed to Nervi’s intuitive and scientific experimentation can also be seen on a visit to the MAXXI museum itself, a creation of Zaha Hadid. The expressive freedom of form, the possibilities of using reinforced concrete in keeping with its various characteristics, shaping and reinforcing plastic movements of great impact, have their roots precisely in Nervi’s research, which connected architectural and structural invention in a single expressive synthesis. New concrete blends made it possible to achieve a relationship between thickness and load-bearing capacity that was previously unthinkable, hastening the development of an innovative construction process: the ‘Nervi system’ he perfected with his own contracting firm, Nervi & Bartoli, during many different projects. In this process that combines optimization of timing and resources with the need to free reinforced concrete of the constraints imposed by traditional wooden shutters, Nervi invented new mixtures and new ways of using
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iron. This led to the formulation of the concept of ‘structural prefabrication’ (a patent registered in 1939) and of ‘ferrocemento’ (1943), an innovative structural solution that modified the proportions of concrete and its reinforcement, making it possible to create very slender slabs (2-3 cm) thanks to the use of high-resistance concrete spread on thin metal screens. The new construction material offered excellent performance not just in terms of strength, but also in terms of elasticity and adaptability. Homogeneous and light, easy to shape, ‘ferrocemento’ was also very economical. With this invention Nervi resolved the constraints imposed by wooden formwork, and in his book Costruire Correttamente (Hoepli, Milan 1955) he explained it clearly: “As long as the formal limitations imposed by wooden shuttering have not been eliminated, reinforced concrete architecture will always be forced to remain, though just for one moment, an architecture of boards. […] the simplest static elements take on an architectural interest, with reinforced concrete, that is as new as it is expressive. Beams lose the rigidity of wood and metal sections can sculpturally adapt to internal strains. Vertical supports made to unite with horizontal structures abandon the uniformity of the section of masonry pillars and columns. Resistant spatial systems like domes or vaults acquire a freedom of profile unknown to masonry structures, forced to assume those forms that permit internal equilibrium only through the strains of compression”. The material invention, perfecting and expressive freedom of reinforced concrete are combined in the ‘Nervi system’. It is a set of technical solutions that lead to an innovative organization of the worksite and a new, rapid, economical way of building. The prefabrication of concrete parts on site permits savings on the construction of complex scaffolding and wooden formwork, dividing the construction process into two simultaneously operative, distinct sectors. Part of the work team does the excavation, foundations, pillars and poured portions of the architectural organism; while nearby the prefabricated portions are prepared, for subsequent assembly (the ‘Nervi system’ was used, for example, for the entire construction process of the Palazzetto dello Sport of Rome, 1954-1960). This is an entrepreneurial approach that connects the ‘architectural product’ to its direct production; moments controlled by the same maker, that represent an utterly Italian rebirth, part of the complex multilinear world of the ‘bel design’ of the postwar era, in which business enterprise and design talent expressed their finest synergy of intentions and aims. It is interesting to observe, in the photographs by Mario Carrieri, the similarities between Nervi’s works and the structural forms of plants; a formal universe based, in architectural and poetic terms, on the forces and stresses in play, organized in a system that strives to optimize, even in economic terms, the constructive process. As Nervi said: “the distribution of forces inside a hyperstatic system […] is a perfect model of justice and economy, whose mysterious, divine wisdom we can only vaguely grasp”. Then, as Sergio Poretti remarks in his contribution to the volume Pier Luigi Nervi – Architettura come sfida (ed. Carlo Olmo and Cristiana Chiodino, Silvana Editoriale 2010): “the moral foundation of the design operation is based on the principle of economy; and that same principle also validates the aesthetic quality of the solution. A central focus manifested on multiple levels: on the current plane, the economy is the proof of the correctness of the solution, so the structure takes on the natural condition of the everyday object (‘fans, lampshades’); on an artistic plane, the economy ensures the affinity between the artificial structure and Nature, the encounter with the inevitability of the created form (‘leaves, eggshells’), the aspiration to reach the ‘secret harmony of the universe’”. - Caption pag. 48 The roof with crossed vaults of the Cathedral of Saint Mary in San Francisco, 1963-1971. Above, an image of the exterior of the cathedral and a portrait of Pier Luigi Nervi at work. - Caption pag. 50 Left, detail of the roof of ‘Salone B’ of the Palazzo delle Esposizioni in Turin, 194748. Below and on the facing page, the interior and the roof of the large hall for papal audiences at the Vatican City, 1964-71. - Caption pag. 53 Interior zenithal view of the dome of the Palazzetto dello Sport in Rome, 1956-1957. - Caption pag. 55 On the facing page, detail of the V-shaped pillar and the suspended slab of the Italian Embassy in Brazil (with Antonio Nervi), 1969-1979, Brasilia. Above and right, detail of the helicoid cantilevered ramp of the G. Berta municipal stadium in Florence, 1930-32/1950-1951.
INtoday
New social housing business
p. 56
by Maddalena Padovani
Designer homes, but affordable too. Innovative construction principles, new ways of living for lower environmental impact. Twenty years behind the times, Italy is finally getting interested in social housing. A new market segment emerges, and companies are now looking at opportunities for growth and innovation. In northern Europe social housing has been a focus of debate for at least two decades, moving toward a new residential concept that responds to new needs, completely different from those of the last 50 to 60 years, triggering new dynamics on multiple fronts: financing, construction technique, design principles, living modes. The business opportunities are remarkable. Giovanni De Ponti, CEO of FederlegnoArredo, the association that is one of the protagonists of the (still emerging) current of social housing in Italy, and has created the first catalogue of furnishings and finishes for this new market, tells us more. People used to call it low-cost or subsidized housing. Today the term is social housing. Just what does it mean? “Technically, social housing indicates lodgings and services, actions and tools for people who cannot satisfy their housing needs on the market, due to economic reasons or because of inadequate supply. In practice, social housing is a new process aimed at a segment of the population that is too well off to get public assistance, but not wealthy enough to compete on the free housing market. This is a very large segment made up of occasional workers, immigrants, students, freelancers, as well as separated or divorced persons: for a certain period of time, these people need to be able to rent an already furnished home, of good quality but economically affordable”. What projects have been prepared to respond to this kind of demand?
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“To provide a response to the needs of this new, highly varied and growing category, the government has developed a National Housing Plan that calls for the use of real estate resources formed through participation of public and private subjects (generally banks or insurance companies with their foundations), structured in an integrated system. Over the next five years 10 billion euros should be devoted to the construction of about 50,000 units, often with controlled rents. But the investment has a return: the law stipulates that it be recouped from the rents, which in spite of the controls guarantee a return that stays somewhat ahead of inflation. The real estate is rented for at least 30 years, after which it returns to the ownership of the investors”. When will the first social housing initiatives been implemented in Italy? “It is a very timely topic. In January in Milan the new PGT (Plan of Government of the Territory) was approved, setting aside 35% of new residential settlements for social housing. That has never happened before! It is expected that other cities, following Milan’s lead, will adopt the same approach, speeding up the process. The idea is certainly not to create ghettos, but to construct facilities scattered throughout the city, in projects that are not too big and are well distributed, to encourage harmonious insertion. This is an important change of territorial culture. The city of Parma will be the first to launch such a project. The city has begun construction of 852 apartments, with 265 earmarked for sustainable rents, 182 for rent with possible redemption after eight years, and 405 to be sold at stipulated prices”. In terms of business, what scenarios are opened up by social housing? “It is an important challenge for those who design, construct, furnish and finish the homes. And therefore for all the companies represented by FederlegnoArredo, which will have new possibilities for growth and opportunities for business. These are the objectives of the European Housing Contest, promoted by FederlegnoArredo in collaboration with the City of Milan, the Architects’ Association of the Province of Milan, Assimpredil ANCE and IN/ARCH Lombardy section, for the creation of a range of projects for high-performance residential building, of limited cost, built on a guaranteed schedule. The theme of the competition is the design of two buildings: a tower and a linear configuration, covering both the scale of architecture and that of furnishings. For both buildings, the guidelines impose a series of technical and performance parameters, as well as precise cost limits: 1600 euro per square meter as maximum construction cost, plus 250 euros/m2 for bath, lighting and furnishings (kitchen, living room, bedrooms). Federlegno has involved its members in the development of two online tables of furnishings and finishes, made available to participating designers and contractors to help them prepare their projects. The catalogues, whose products obviously have to match a precise price-quality ratio set and verified by a technical jury, have been made with the participation of about 190 companies. This is an important initiative that has raised the awareness of companies of the theme of social housing as a new market, stimulating them to create specific products for such applications. I am certain that this discussion will trigger a new design and production dynamic in Italian firms, bring a major thrust in terms of innovation, given the fact that the challenge is to make Italian products, of quality, but at limited prices”. What companies will meet the social housing challenge? “The business opportunities social housing can offer in Italy have to do with three types of companies: those that build houses made of wood, those that work on finishes, and those that produce furnishings (furniture, lamps, bath fixtures, etc). This new perspective obviously generates a new architectural and design debate. After many years, people are talking about housing again, designed and built according to new parameters and an innovative price-quality ratio, but above all with completely Italian, original, not copied products and criteria”. After the Housing Contest, are other activities planned for the promotion of social housing and its related business opportunities? “The task of Federlegno for the near future will be to continue to spread the word, simulating our members to participate. The second objective will be to focus on the contract bids when they are announced, to have good timing in identifying business opportunities and communicating them to the members of Federlegno. We are at the beginning of a long process that will continue for the next few years, but we have already activated the resources to meet the challenge”. - Caption pag. 56 Herold Social Housing, a residential and commercial complex in Paris designed by Jakob + MacFarlane. Besides offering social housing, this is part of a research project developed by the French architecture studio on high environmental quality (photo James Ewing). - Caption pag. 59 Above, social housing at Carabanchel, on the outskirts of Madrid, project by Morphosis and B+DU, 2007. On the facing page, detail of the perspective configuration of the buildings of the Herold Social Housing, designed to meet various needs, including conservation of the existing trees. Below, some of the 2500 products inserted in the first catalogue of furnishings and finishes for social housing, created by Federlegnoarredo for the Housing Contest.
INarts
The antisignature of Pistoletto
p. 60
by Germano Celant
Living in an era of biotechnologies, a term like ‘mutant’ becomes part of our vocabulary. Nevertheless it cannot be limited to science alone. It can also be applied to art, as in the case of Michelangelo Pistoletto. The manipulation of genes doesn’t only happen in science. It is no coincidence that ideas of mutation and cloning arose first in science fiction and comics, visions of fluid, organic things and characters that could take on the characteristics of natural entities, from the human to the animal. Duplications and replicants that belong to a parallel universe, with extreme, surprising powers. Reproduced beings found in literature and cinema, but seldom addressed by art. Why? The double, the deformed, linked to the mimetic process of representation, are nothing new in art, no different from the language of fables, the surreal visions of painting and
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sculpture. In fact, the term ‘mutant’ can be applied not so much to the object produced and its figuration, as to the actor who is the protagonist of art: the artist himself. Naturally not just as a body or a person, but as a traveler in territories of seeing, where he creates elements that can always be identical to themselves, therefore clones, but also things that take on mutable forms and figures, marvelous mental powers, unexpected physical connotations, therefore mutants, that cannot be traced back to a single creative norm. One example of this single-celled process that leads to mutable results can be seen in the career of Michelangelo Pistoletto, whose work is presented at the MAXXI in Rome until 15 June. His research feeds on the laboratory of ideas and manipulation of seeing that, since 1962, sees the mirror as the ‘somatic’ cell that gives rise to the organism of art, as reproduction of the self and of things characterized by an unusual or monstrous aspect (from monstrum = marvel), those that in 1965-66 he would define as “the minus objects”. The reflecting painting, composed of a stainless steel surface polished to a mirror finish that therefore reflects images, on which a photographic figure is superimposed, in black and white or color, is the embryo from which Pistoletto develops subjects in a state of becoming, reflected images that grow in relation to the observers that pass by, the context that contains them. These are temporary images that come from the same ‘egg’, the mirror, and therefore possess the same genius, but stand out because they are unique in the moment of their existence. The mirror works are a process of total mimesis, they do not renew the world, the ‘clone’ it. They seem identical, but they permit the development of an organism, the image, that is decidedly new. They posses the same visual DNA, though they produce an autonomous being. For many years the reproductive cycle of the mirror works went through different stages of life, starting to take on more adult techniques and photographic characteristics, getting bigger and multiplying, until the point of ‘dissolving’, in 1964, with the series of the plexiglass works in the environment. A state of animation of the real habitat that attempts to eliminate the gap between the reflected image and its existential context. In this passage the recording and reproduction of the reflected ‘figures’, of what passed before the mirror, shift from a virtual situation to something more real, in the sense that they are integrated with the walls and floor. The temporary cells that pass on the surface and therefore create an interface in which a constant activity reigns are made concrete, in objects and things. The distinction between reproduced and real vanishes, so much so that the image-clone forms the real, renews the visual illusion and re-establishes the ambivalence between the original and the copy. Here the appearances and reproductions fixed on the reflecting surface abolish the distance from the contextual situation, from surface figures they are transformed into objects that seem to flow with the physical condition of things. The disorientation between simulated becoming and concrete becoming, between the vital and the artificial dimension, between reality and deception or reality and imagery is more and more reduced, without interruptions or breaks. But how is reception of imagery possible? Or, better, how is its cloning, its simultaneous real-time materialization through physical things and forms possible? Is it possible to imagine an art capable of instantly translating the images that cross the space of the mind and the imagination? Where can we position the ubiquity and plurality that, having developed in the laboratory of the mirror works, lead to a growth of a ‘body’ that is the result of a fast thinking and seeing that multiply figures and volumes in rapid sequence? Might an art, though at reduced speed, ‘illuminate’ the seminal aspect of the mirror and lead to the realization of three-dimensional clones, shifting the reflected embryo into a state of adulthood? In 1965 Pistoletto puts all the information and formations triggered from 1962 to 1964 together, with the passage from the paintings to the plexiglass works, and attempts the experiment of the Minus Objects, 1965-1966. Starting with the genes on the ‘reflection’ in the real the artist shifts his attention to inner reflection, that of the mutant aspect of the mirror surface and its fantasy that, at a quicker pace, has a mimetic relation with the exterior of the identity of both the object and the subject. The recording, though temporary, of the mutations happens on the stainless steel surface, so after the Plexiglass works, 1964, Pistoletto feels the need to make it ‘physical’ in a ‘thing’ that, playing with the possible variables of thought and imagery, gives rise to the Minus Objects, 1965-1966. This two-year period is historically preceded by another research that aimed at putting art into motion, therefore making it mutant. These are the experiments with programmed and kinetic art, but ones that were based only on a physical modification of the visual pattern, through elementary, simple machinery. A technical, cold, impersonal approach, destined to become a stimulus for decoration in design and architecture. Nevertheless, the idea of ‘mutation’ is there, but it is reductive, so Pistoletto’s contribution, avoiding any banal technicism, is fundamental for a change of sign. It opens the visual discourse not to the mechanism of seeing, but to the solidification of thought, and it does this by passing from the multiplication of the reflecting surface to that of the actor and the transmitter of the imagery, the artist himself: “I thought – Pistoletto stated in 1971 – that the best thing would be to do an exhibition that seemed like a group show, where you could not identify a person, and in that way it would be a copy of my reality, but my reality would remain unique and autonomous, and the rest had to function according to my will, which was the only reality. I did this exhibition, looking for a system to use so that every object would be different from the others”. A process of liberation of the mutant that lurks in every person, that the artist manages to bring out by constructing objects that materialize an image or an idea thought or intuited. The artist presents himself as a ‘mutant’, in the sense that he does not ‘represent’ himself in his possible ‘interpretations’, with the risk of seeming like a fictional mask; it is an evolution of his being there, as a communicator of ideas and images that translates his being there into another one, the Minus Objects. The result of this attitude is inevitably a whole that shuns any stylistic consistency, asserting itself precisely through its ‘inconsistency’. Considering the fact that at the time every artist was looking for a ‘signature’ with which to identify and be identified, as in the case of Dan Flavin’s use of fluorescent tubes, Ryman’s analysis of white, Kosuth’s definitions, Beuys and his felt, Buren’s stripes and so on, Pistoletto’s position goes absolutely against the current, so much so that it was rejected
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by the market and by the organs of information. We should also remember that such objects insert themselves, like a linguistic wedge, between a situation of their formal synthesis professed by Minimal Art, and a situation that was still developing, energetic, multi-linguistic, namely Arte Povera. Because they are apparently diverse, incoherent elements, they seem to be ‘without meaning’ with respect to the monotonous, unidirectional development of meanings and articulations of many contemporary movements, from Pop to the nascent Conceptual Art. In fact, accumulating in a single space images that range from a burned rose to a bath, a mercury lamp to a luminous fountain, a green pyramid to a structure for talking while standing, a nativity scene to a well, means producing a breach in the recognizability of the language of an artist, who seems multiple and therefore mutable. Since the mutant is one and many, the unconscious and conscious self of the artist becomes the territory of his existence and takes on the form of ‘things’, monstrous and thus marvelous entities that create dismay and astonishment in the art world, because they are ungraspable, unpredictable. The Minus Objects, like all mutants, are made of materials that take on changing, surprising forms and colors, leading to an uncontrolled but logical radiation. They give rise to improvised, articulated, simple and complex figures that venture into any configuration, because they imply maximum entropy as the impulse to objectivize any form, material and idea. - Caption pag. 61 Furniture (Minus Objects), 1965-1966, wood, velvet and canvas, 86 x 86 x 86 cm. Photo P. Pellion. Green pyramid (Minus Objects), 1965, wood (one table, four chairs), 130 x 150 x 150 cm. Photo P. Pellion. Dining frame (Minus Objects), 1965, wood, 200 x 200 x 50 cm. Photo P. Pellion. - Caption pag. 62 I Love You (Minus Objects), 1965-1966, acrylic on canvas, 60 x 70 cm. Fondazione Pistoletto, Biella. Photo P. Pellion. Decorative semi-spheres (Minus Objects), 1965-1966, colored plastic, 9 pieces, 214 x 234 cm. Photo P. Pellion. Luminous fountain (Minus Objects), 1965-1966, oil on canvas, 80 x 100 cm.Photo P. Pellion - Caption pag. 63 Burnt rose (Minus Objects), 1965, burnt corrugated cardboard and spray paint, 140 x140 x 100 cm. Photo P. Bressano. - Caption pag. 64 Well (Minus Objects), 1965, corrugated cardboard, canvases and broken frames, 100 x 140 cm. Photo P. Pellion. - Caption pag. 65 Mercury lamp (Minus Objects), 1965, painted aluminium and mercury lamp, 80 x 45 x 45 cm. Photo P. Pressano. Structure for talking while standing (Minus Objects), 1965-1966, painted iron, 120 x 200 x 200 cm. Photo P. Pellion. Bath (Minus Objects), 1965-1966, fiberglass, 60 x 200 x 100 cm. Photo P. Pellion.
INscape
NEMO Propheta in patria
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by Andrea Branzi
Internationally known as radical architecture, it is a spontaneous movement born in Italy at the end of the 1960s, whose early impulses led to the phenomenon of today’s starchitects. But as we know, “nemo propheta in patria”... Published by Princeton University, edited by Beatrix Colomina and Craig Buckley, a new book has just appeared in the United States: “Clip, Stamp, Fold. The Radical Architecture of Little Magazines 196X – 197X”, an initial but complete catalogue (670 pages) of the small magazines and independent fanzines produced by that uncontrollable universe of ideas, signs and projects that marked the advent of our generation, the beginning of the end of the Modern Movement and the birth of a unique creative period: a multifaceted universe known, all over the world, as Radical Architecture. A spontaneous movement, without any unified program, political manifesto or organized style: full of contradictions, distractions, but also full of germinal moods that have led to the rise of all of today’s starchitects, most of whom will soon be on hand in Milan, at least with their works, for the upcoming Design Week. The work of Beatrix Colomina and Craig Buckley has made it possible to catalogue as many as 1595 issues of small independent magazines and semiunderground American, European and Japanese publications: precious, previously scattered materials that in the spring of 2010 were examined in an exhibition at Harvard University, an opportunity to rediscover the protagonists of that extraordinary period, who all have stories to tell. Emilio Ambasz gave a lecture (recently published in Domus) on the Italian Radical Movement (it was actually Florentine) that was the only one to contribute, through Archizoom Associati, an original ideological component to a context openly marked by an anti-political position. On this theme Pier Vittorio Aureli, professor at Columbia University and the Berlage Institute of Rotterdam, has reconstructed, in “The Project of Autonomy – Politics and Architecture Within and Against Capitalism” (Princeton Architectural Press, 2008), the relationships between the Italian workers’ movement thinking of the 1960s (Tronti, Panzieri, Cacciari, Negri) and the new design culture, from Aldo Rossi to the No-Stop City of the group Archizoom: a transverse theoretical scenario, utterly lacking in the English-speaking and Asian countries, but one that made a difference with respect to the social apathy that plagued many of the radical thinkers. One of the characteristic components of the Radical Movement, which arose over the wreckage of the great theorems of modernity and politics, was that of realizing, for the first time, that high level of complexity produced by industrial development and the near future would come from the chaos of the market (not from the rational order of the factory), together with an irreversible collapse of social certainties and the Fordist model of labor, shifting things toward an uncontrollable expansion of public creativity. In other words, the Radical Movement forecast, with all its contradictions, the fluidification of society and the contemporary city, going beyond the limits of the compositional, typological and regulatory tradition of modern architecture. A large portion fo the environmentalist culture of today is now reflecting on this legacy: in “Ecological Urbanism”, edited by Moshen Mostafavi and published by Harvard University in 2010 (655 pages), ample space is devoted to the development of weak models of urbanization and my thinking about a new Athens Charter, presented at the latest Venice Architecture Biennial directed by Kazujo Sejima. In the face of this international attention, Italian design culture responds with a dispiriting, even hostile silence – or, perhaps, just ignorance – regarding a movement that began right here in
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Italy. The split that happened in the 1970s between the direction indicated by Aldo Rossi and, later, between the postmodern of Portoghesi and the radical avant-garde groups has not yet been healed, and in spite of the grave crisis that has impacted Italian architecture for some time now, serious obstacles seem to continue to exist that prevent our historians from understanding (or knowing about) a phenomenon that is receiving a great deal of critical attention elsewhere in the world. - Caption pag. 67 On these pages, from left: “Color Ties itself to Sound: Morocco”, and “The Light Traces the Void”. From Mediterranean Meditations. A Voyage Through Five Unstable Landscapes, a multimedia itinerary created by Studio Azzurro and produced by Hermès, presented at Castel Sant’Angelo in Naples in 2002 and re-installed, at the end of 2010, at Palazzo Ducale in Genoa, with the addition of “The Gaze Pursues Memory”, a new installation about Syria. - Caption pag. 68 On these pages, from left: “The Wind Brings Fragrances: France”, and “Water Lingers in Salt: Greece”. From Mediterranean Meditations. A Voyage Through Five Unstable Landscapes, a multimedia itinerary created by Studio Azzurro and produced by Hermès, presented at Castel Sant’Angelo in Naples in 2002 and re-installed, at the end of 2010, at Palazzo Ducale in Genoa, with the addition of “The Gaze Pursues Memory”, a new installation about Syria.
Design and the practice of doubt
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by Maddalena Padovani introduction Stefano Caggiano
Nine designers narrate their idea of the ‘mutant project’. And reflect on changes in progress, in relation to their latest works: fluid, mutable, hypothetical, expressing a sense of uncertainty rather than one of assertion. Doubt comes after certainty, project after reality: not to state things as they are, but to shift them a bit further from where they were found. It is possible, in fact, to question the existence of God or the meaning of life only after having absorbed these ideas; so design, in its characteristic of rethinking the forms of material life, is a way of practicing doubt. The Eindhovenians have realized this, and were among the first to reveal the dark side of widespread creativity, in which instead of solutions one tries to keep the project in a protracted state of mutability. Just think about the experimentation on archetypes of Richard Hutten, the ‘creatural’ wagers of Nacho Carbonell, the prolific emission of viruses of Pieke Bergmans. Or the ‘scientific’ grafting of organic and inorganic by the French designer Mathieu Lehanneur, the refined use of rapid prototyping of Janne Kyttanen, the questioning of reality by Tokujin Yoshioka, poetic and “Japanese” to the point of almost vanishing. Similar concerns emerge in the fluid apparitions of Ross Lovegrove, produced by isomorphic processes typical of biological evolution, or in the morphogenetic determination of artificial forms of Thomas Heatherwick. What is changing in the organic-digital world is the way of sensing the relationship of form, matter and function. Because objects no longer present themselves as factual units, but as hypotheses that simultaneously harbor solutions and discussion of those solutions, as in the typological hybrids of Lorenzo Damiani. Today forms seem to evolve not in terms of Darwinian adaptation, which calls for the selective conservation of characteristics that contribute to survival, but through ‘exaptation’, namely the use of particular characteristics for purposes different from those of adaptation, as in the case of the feathers of birds, which first evolved to warm their bodies, and only later were used for flight. Thomas Heatherwick - Mutant design… might it be something done by people with a disturbing appearance? - Caption pag. 71 Above: Extrusions, seat made with a single piece of extruded aluminium, the result of research conducted by Thomas Heatherwick (seen here in a portrait by Markn Ogue) on the simplification of production and assembly processes. For Haunch of Venison, 2009 (photo Peter Mallet). Lorenzo Damiani - For me design is research, experimentation, simplification, invention and much more. Every piece has to have a clear reason to exist, above all in a moment like this one, when there is ‘too much of everything’. When I designed the Packlight I sent a clear message to the world of consumption that overlooks the possibility of reuse of leftover resources; when I designed the OnlyOne mixer faucet I wanted to prove that simplification can lead to evolution of the domestic species; when I did the Fel3 felt pads I showed that a margin of design improvement lurks in all things. For the Truciolari collection I tried to communicate, prior to designing objects, the existence of a different viewpoint, interpretation and possibility of use of a material seen as humble: chipboard. This semi-finished product is often used in the world of furniture in a hidden way, it is covered up and concealed, or faced with veneers of more ‘noble’ materials. But maybe there is another path. My idea of mutant design pursues responsible use of resources and materials, trying to find different ways of making humble materials seem more noble and appealing. This is one of the challenges of the present and the near future: to propose an alternative use of materials. Maybe in the future the distinction between more or less precious materials will vanish… they will all be precious. The ‘fuel’ of this project is the idea of using a simple, traditional technology like that of the lathe on a material that is usually cut, pressed, perforated, veneered and so on, but never turned. I have been accompanied on this voyage of discovery by the craftsman and architect Pietro Garbagnati, who immediately appreciated the idea and made the prototypes: his contribution has been fundamental for the creation of this collection in search of a producer. So I’d like to thank Pietro. Probably ‘mutant design’ means looking for a different viewpoint. - Caption pag. 72 Truciolari, collection of furnishings and complements in turned chipboard, by Lorenzo Damiani with Pietro Garbagnati, 2011. Ross Lovegrove - While traveling, I read a very interesting article that talked about the importance of mutations in anthropology. I read that the mutation of the pelvis, that has widened and opened, was helpful for the bipedal walking stance that led to Homo erectus and later to Homo sapiens. The same piece talked about the adaptation, again through mutation, of the human hand that then permitted the creation of tools, but also virtuoso behaviors like playing the piano and the assembly processes of today’s satellites… interesting. Precisely for this reason, the idea of Mutant Design makes me think of something very positive, not a negative concept linked, perhaps,
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Interni aprile 2011 to deformity; it is an idea I associate with a healthy process, with discovery. We live in an era of incredible diversity nurtured by curiosity, science and technology… an exponential growth encouraged by the spread of information via Internet, and greater awareness of possibilities. The rules of the past that hampered design are gradually challenged, with the help of new processes, technologies, materials and parameters. This current is great and we should let it freely express itself, because from my viewpoint it facilitates change, breaking down boundaries that were maintained by taste. Just look at the emerging energy in contemporary architectural processes, stimulating a radical explosion of the form. Often the process happens at the expense of a practical rationale, but in the end this is the result of the human condition, that when it follows a free path tends to break down barriers, making a new way of perceiving life emerge. The indirect character of information exchange requires high-definition communication: less tactile, in many ways, based on visual stimuli aided by instinct and intuition. This is why the expertise evolves from crafts to complex technology. - Caption pag. 73 Cellular Automation – Origin of Species 2, research conducted by Ross Lovegrove on the processes of bone growth, using stereolithography, 2011. Mathieu Lehanneur - Our best mutation is the one that made us emerge from the water, onto dry land, and will eventually – I am convinced – lead us into the air. We passed from a liquid environment where we were merely microorganisms and bacteria, to a solid environment, our present state as human beings who stand up. Finally, we will reach a gaseous state. This change of state from solid to gas is what scientists solemnly call sublimation. And it is probably our future. It is one of the unconscious motives that have prompted me to repeatedly work on air, on cleaning it of pollution, its properties and virtues. In particular, I am thinking of a project that will be launched on the market this year, that associates the various phases of the mutation: Water-Earth-Air. The Island is a dispenser of minerals obtained by microfiltration of ocean water, released in the air. The mineral air brings us vital elements that belonged to us billions of yeas ago and give air in interiors the same beneficial qualities we could enjoy if we lived by the ocean. This is probably where the mutations of the world will take place: the shortcut between past, present and future, the geographic shortcuts that let you bring the ocean to the heart of Milan! In terms of design, on another scale, we are seeing another mutation. This revolution consists in seeing man as a whole, with all his complexity. Design has always gone forward in lockstep with science: discoveries about our anatomy have give rise to the first designs of chairs that integrate the concept of comfort. But where science, with its need to decipher the human being, has made steps forward, design has locked on to an overly simplistic vision of the world. Today we have a real time connection that allows us to know the living world. The brain, a planet that is hard to reach and to understand, is gradually revealing the secrets of its functioning. We find ourselves at a turning point in the history of design, with the potential for deeper knowledge of human beings and the technical and technological resources to make use of that knowledge. Marcel Breuer, in 1926, working on seats made of steel tubing, predicted that we would end up sitting on elastic columns of air. I think that over the long term there will no longer be any need for chairs or supports for sitting, because it will be possible to transmit the sublime sensation to the brain of comfort, even while standing. - Caption pag. 74 The Island, a project by Mathieu Lehanneur for Airmineral. An environmental dispenser of minerals obtained by filtering ocean water (photo Jean-Luc Luyssen/Madame Figaro; portrait by Véronique Huyghe). Nacho Carbonell - The design process mutates due to many different variables like the social aspects, the environment, new needs and new behaviors, that determine the birth of new objects with new functions and new aesthetics. My works reflect some, maybe all, of these variables. Starting with Pump it Up, which addresses issues of individualism, the life of singles, the new malaise of social life, the shared need to communicate, to create relationships, even with inanimate objects. Objects that narrate a very contemporary story. The Evolution collection analyzes other aspects of the contemporary world, like the information overload, the excessive waste and the idea of communication: how do we do it? What channels do we use? Which leads to another question: what would happen if we didn’t want to communicate? The project also explores other problems, like the need for intimacy and privacy. All aspects I think are vividly present in today’s society, and different from those of the past. My projects certainly cannot provide answers for all these problems, but I hope they can raise questions and stimulate people to ask, to doubt, to imagine. Imagination can open the way for the solutions we are seeking. The fact that I am considered a designer proves that the figure of the designer is mutating. We take on new roles to make our work more complete, to try to surpass the borderlines that were once closed and off limits to those who were labeled as designers. I like to think that designers today want to understand and analyze all aspects of society, to be able to provide a better service, whatever the task at hand. Every day I see the term design associated with new disciplines, in attempts to put what designers do into categories: graphic design, fashion design, food design, industrial design, emotional design, social design, design-art… In my view, the role of this ambitious figure called designer is to create projects that are as rich in meaning as possible. I like to think of design as a barometer of our society, of our time, our experience; the objects we create will represent our era, in the future, a way of thinking determined by the circumstances in which we live. The context makes us who we are and, at the same time, we create the context. One of the problems designers have to face today is the need to define themselves, to explain who they are to others. This exercise is useful because it forces us to ask who we are and what we want, though there is the danger of applying a label to the work that might stifle creativity, a point I don’t want to reach. Another variable that undoubtedly influences contemporary design is that of new technologies. My latest experience in this area was the application of LEDs in the Luciferase collection. New technologies play an important role here, but they are not the main focus of the design; the idea of the technology vanishes in favor of concentration on the idea of light. The final design has an organic, natural, primitive look that goes beyond the idea of technology. With this project, I want to bring two different universes that seem distant closer together, because they can actually be
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reinterpreted, and help each other. A hybrid of apparently opposite worlds. The idea of adaptation can be seen, in my view, as one of the main challenges for designers today. Adaptation is the key to survival, and in the scenario of constant change in which we live it is a fundamental factor. - Caption pag. 75 Luciferase collection of lamps in epoxy resin with LEDs, created by Nacho Carbonell for Galerie BSL of Paris. Based on the bioluminescent organisms of the depths of the sea, that communicate thanks to light and colors (photo Ulysse Fréchelin). Pieke Bergmans - Personally I am not interested in things that are always recreated in an identical way, with the same qualities and the same appearance, as happens in mass production. I have nothing against the industrial process, I just think it is more interesting to think about something else, to invent a formula/recipe that lets every object have its own personality and originality. Everything that is reproduced in nature always has something unique, different and original about it. Not one hair on your head is identical to the others; differences are precisely the factors that trigger the process of falling in love. We choose what we like most and we instinctively understand what is best for us. Everything ‘evolves’. An idea never comes out of nowhere, it is connected to everything that happens around us. Every new idea comes from a combination of factors, events, images. We mix and bundle these experiences, and each time the result is a new thought/project. In this sense, by ‘mutation’ we might mean the way nature operates. It is a direct translation of ‘evolution’, a concept that has something ‘animal’ about it, that makes us think about objects as if they were living things. Probably the roles of designers are also constantly evolving. It depends on your goals. Some designers want to make the world a better place by inventing and developing products that help us in practical ways. My projects, on the other hand, are much more conceptual, their aim is to open minds and to stimulate creativity, freedom, fantasy. In April in Milan I will be showing a project that changes our perspective of reality... Today reality has many different dimensions. We take many things for granted, like the fact that we can talk on the telephone to someone on the other side of the world... communication is instant, and we take that for granted. I like to play with these things, and now I am designing objects that behave in a different way than that to which we are accustomed. More than a designer, I feel like a director of processes. I go with the current and work in a very experimental way, I observe the effect of things I intentionally let happen. Then I gather the experiments and try to understand which event was most interesting, which little invention deserves further development. Most times that is the start of a new adventure. - Caption pag. 76 Below: L.A.M.P. 001/1, an innovative lamp concept by Pieke Bergmans & LUSTlab (left, the designer in a portrait by Stefano Galuzzi). Right: portrait of Janne Kyttanen. Janne Kyttanen - I believe the concept of ‘mutant design’ represents the times in which we live: nothing is permanent, and changes happen even before you realize it. I think contemporary design is going through a major mutation connected to the process of digitalization, which involves and transforms everything and shifts the terms of prediction beyond the colors of fashion that will dominate in the furnishings of the coming season. The big change is due to the fact that thanks to digitalization, the world can change in an instant without most people realizing it. Not only in the area of design: the younger generation raised in the digital era has revolutionized all spheres of creativity, like music, literature, cinema. Through Facebook and Twitter they are capable of overthrowing governments in just a few days. Until a short time ago designers were almost considered gods. Those days are over. Their role today is closer to that of ‘facilitators’. My projects are completely digital and conceived to help people to easily relate to them, with the same modes in which people communicate with their friends on Facebook. People are better informed and want to get away from the products that can be found in shops, because they know they can have something better. So instead of creating static products, we need to make everything become interactive. The designers who cannot adapt to this change will not survive on the market. Over the last 11 years I have created about 25,000 projects, simply sitting at my desk, in front of the computer. Only a small percentage has gone into the production phase, and I think that’s a shame. That probably would not have happened had it been possible to share the data. Maybe other people would have had ideas that were better than mine and could have provided me with information to complete my projects. I often hear designers complain that they have had an idea and then seen it published a few years later in a magazine, but done by somebody else. I think these people are stuck in the past. All the ideas we have are already there, in the air: even the greatest inspiration has undoubtedly come to others, in a world of 7 billion people. This is why I don’t think ideas ought to belong to one person or another: for me, not sharing all the 3D files of my projects would be like preventing graphic designer from using pixels because somebody else had already used them first. - Caption pag. 77 Macedonia, modular divider system by Janne Kyttanen for Freedom of Creation. Richard Hutten - When a project evolves from a definite function to an indefinite function new meanings emerge. These mutations generate surprises, they create new definitions of aesthetics and possibility. Mutations have always been a theme in my work, from the tables that become chairs and wardrobes to the chairs that are transformed into hybrids. Things without a precise, pre-set function. These mutations can be seen as a form of play. Like a football player who plays with the ball and tries to find different ways to score a better goal, I play with already existing elements to create new typologies. As Johan Huizinga wrote in his essay Homo Ludens, playing is not a cultural expression, playing is culture itself. This playful way of doing design, taking freedoms inside a series of rules, will lead to cultural products filled with meaning. Caption pag. 78 Above: Playing with Tradition, series of carpets by Richard Hutten for I+I, based on traditional designs in digital reworkings that transform them into contemporary decorative motifs (left, portrait by Arie Kievit). Tokujin Yoshioka - With respect to the past, today everything is well designed and society seems to be satisfied. This is why the idea of form is losing its value and importance with respect to the design of experience and sensations. Personally, I am interested in studying how emotions arise in people, to try to integrate this mechanism in design. We are now at an important turning point, marked by the passage from the
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use of oil-based energy resources to those of an electrical nature. Given the fact that my objective is to design experiences rather than forms, I think it is important to return to the basic outlook, to ask why a product exists, what is worth conserving, what innovations it might need, or even to ask if we really need certain objects at all. The design of new objects makes sense today, in my view, if it has to do with the invention of innovative products, like the hybrid automobile, the Dyson vacuum cleaner, the fans, the i-Phone. In recent years my research has focused on observation of natural phenomena and the ways they influence and inspire us, and therefore their integration in the design process. During Design Week in Milan I will be making the Twilight installation, with Moroso, on the luminous effects that happen at dusk: in an all white space infinite rays of light seem to emerge from clouds and rain down on the earth. Moon, on the other hand, is a chair, also designed for Moroso, inspired by the moon and its effects of light and shadow. Moonlight is ephemeral, it appears and then it suddenly vanishes. It is the subtlest expression of the universe. Inside the Twilight installation, the light reflects on the surface of the chairs and reveals the consistency of their white materials. It is moonlight in a state of constant change. - Caption pag. 79 Sketch by Tokujin Yoshioka for the Moon chair, which Moroso will present inside the Twilight installation, inspired by the beauty of the play of light and shadow of moonlight.
INdesign INcenter
100 p. 80 by Francesco Morace We asked 100 Italian design companies to indicate their bestsellers of the last ten years. The survey confirms the existence of a sea change: the end of styles of reference, the start of a new kind of consumption, more aware and careful about design values, more individualistic and creative in its choices, and therefore hard to encode. As explained, from different viewpoints, by two sociologists who have analyzed the results of this study. The range of choices of the scenario of the best-selling design products of the new millennium represents a precious mirror of major change. Aesthetic trends and styles are no longer the main themes. The 100 products of the mosaic seen here do not reflect a dominant style, and do not show the trends of different schools of thought that were recently known as rationalism or radical design, organicism or high-tech minimalism. The product list organized by talking with major Italian manufacturers shows a scene of many single players, but ones that are proposed in a situation of new paradigms: sensory perception, enlightened functioning, sustainable emotion, experimentation on materials. Unique champions of design, production and use, not belonging to any pre-set categories. Consumer have become like editors, and tend to choose unique aesthetic and functional performance: they no longer are swayed by big names in design and architecture, nor by particular retailers. They don’t pay so much attention to trendy magazines. In fact, all these formerly effective categories are now in a condition of what may be irreversible decline. Consumers inhabit and express their own concrete intelligence, capable of evaluating the measured or vivacious elegance of a divan or a seat (there are many, including some very different items: from the Superoblong by Cappellini to the Hola by Cassina, the Flap of Edra to Driade’s Tokyo Pop), or a multimateric object like the Vintage by Guzzini and the Wien by Calligaris. The new scenario of living and furnishings responds to the by-now mature claims of sensory experience as a winning paradigm over the last ten years, intersecting them with the new logics of sustainability. The world of militant environmentalism and political correctness that emerged in the 1990s has undergone qualitative and quantitative evolution, leaving the anticonsumption phase and heading toward a much wider-ranging, almost ecumenical dimension that is starting to get millions of people all over the world involved. This leads, for example, to the definition of new parameters of excellence, creative use of materials and their industrial transformation. Moving in this direction, creative and productive processes change, as does the relationship between technology and design, and the perception of people and consumers more frequently engaged in the sphere of sustainable emotion, reconciling aesthetic aspirations with new ethnical principles based on respect for the environment. So the bestsellers of the last decade do not point to a naturalistic or ecological trend, but toward the pursuit of new balances between comfort and formal, material and functional experimentation. Whether it is the Magellano divan-carpet by Magistretti for Campeggi or the Pots&Pans of Alessi, consumers seem to appreciate precise answers to specific needs, innovation applied to new modular, flexible concepts, geared to the new families that experience the home in a nonchalant, everyday way, expressing a sort of enlightened pragmatism. Luxury and sustainability have been fighting a fierce battle with each other for over thirty years. The distinctive, prestigious values of luxury did not seem to be compatible with the neo-pauperist vision the environmentalist community was proposing as an alternative consumption system. Over the last decade the distance between the two has been reduced, though: luxury has been expressed in a softer, more discreet version, in which excellence and quality of life dominate over ostentation and privilege, and sustainability has abandoned its fundamentalist ideological stance to spread languages, products and services that have been defined as eco-chic, at times, and always focus on a rich, deep idea of qualitative selection. The overview of products seen on these pages, then, proposes a paradigm of sustainable excellence, gathering the results of this progressive convergence of values and behaviors. In the future, sustainable experiences will be combined, to a greater extent, with the challenges of the new luxury, just as the deeper qualities of materials will become fundamental design elements. In particular, the use of materials, their structure and their ecocompatibility, their perceptive and functional connotations, will help consumers to approach the logic of production processes: this theme emerges, for example, in a forceful way in
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aprile 2011 Interni certain lighting products companies like Danese and Foscarini have developed in this direction, as well as kitchen manufacturers like Bulthaup and Boffi, Binova and ArcLinea. The materic theme shifts the emotions of use that other passages (engineering, the technical structure of products) cannot ensure, although creative intervention on modular design, for example, remains important in the world of the kitchen. The texture of projects, the materic skin of products, the weight of modular furnishings in the residential dimension represent some of the things to watch carefully in many of the listed products: the Frame system by Alias, the Lago modules, the Wavy bookcase by Alivar, the Selecta system by Lema. For many years now the theme of proactivity and modular processes has been a platform of creative choice for consumers. Small, medium and large companies are moving in the direction of creative processes that will have to be unique and relevant to survive in a future we imagine will be more and more competitive. The relationship between sensory experience and technology has been through a long path of analysis and reflection, dating back to the intuition of Naisbitt, who in the early 1990s was the first to talk about High Tech/High Touch as a tandem of experiences, no longer contrasting but converging. The hypothesis that la technology can amplify sensory experience, not simply eliminating it as in the more ingenuous visions of early science fiction (pills in place of food, the home as a cold, efficient laboratory), has gradually emerged over the last twenty years, and by now it is accepted and practiced by a growing number of designers, managers and consumers. The design area devoted to knowledge and sensibility that feeds on technology, through the mediation of advanced materials, thus inherits this long tradition in the virtuous relationship between high-tech and high-touch, exploring the themes of enlightened design, vital implementation, visionary architecture and technological crafts. - Caption pag. 80 1. Acerbis international, Ludwig credenza, design Ludovico Acerbis, 2005. 2. Alessi, Pots&Pans, design Jasper Morrison, 2006. 3. Bonaldo, Marta upholstered chair, design James Brönte, 2002; 4. Boffi, Duemilaotto system, design Piero Lissoni + Boffi research division, 2008; 5. Meridiani, Bogart Large divan, design Andrea Parisio, 2002; 6. Alivar, Wavy bookcase, design Giuseppe Bavuso, 2009; 7. Calligaris, Wien chair, design Lucidi & Pevere, 2009; 8. Caimi Brevetti, Big bookcase, design Marc Sadler, 2009; 9. Ceccotti collezioni, DC 90 chair, design Vincenzo De Cotiis, 2009; 10. Dada, Tivali kitchen system, design Dante Bonuccelli,2005; 11. Cerruti Baleri, Marì chair, design Luigi Baroli, 2003; 12. Baxter, Budapest sofa, design Paola Navone, 2003; 13. iGuzzini, Lightair system, design Bruno Gecchelin, 2000; 14. Fiam Italia, Ray Plus table, Bartoli Design, 2006; 15. De Majo illuminazione, Babol T lamp, design Nicola Grandesso, 2010. 16. Gervasoni, Allu chair, design Paola Navone, 1999; 17. Guzzini, Vintage line, design Guzzini Lab, 2002; 18. Lema, Selecta system, design Lema, 1995; 19. Alias, Frame collection, design Alberto Meda, 1991; 20. Zerodisegno, Tigre credenza, Décollages Collection – Mimmo Rotella, design Marco Ferreri, 2004; 21. Busnelli, Piumotto divan, design B.Studio, 2008; 22. Arc Linea, Convivium kitchen system, design Antonio Citterio, 2002; 23. Azucena, Chinotto chair, design Luigi Caccia Dominioni, 1973; 24. Ligne Roset, Pumpkin collection, design Pierre Paulin 1971-1974, reissue 2008; 25. Matteograssi, Aretè seat, design Franco Poli, 2007; 26. Pallucco, Gilda lamp, design Enrico Franzolini, 2000; 27. Magis, Air Chair, design Jasper Morrison, 2000. - Caption pag. 82 28. Arflex, Strips divan, design Cini Boeri, 1972; 29. Slamp, Ginetta lamp, design Nigel Coates, 2005; 30. Viabizzuno, Bamboo floor lamp (Alvaline), design Luigi Cicognani Marco Merendi, 2000; 31. Meritalia, Michetta modular divan, design Gaetano Pesce, 2005; 32. Driade, Tokyo Pop day-bed, design Tokujin Yoshioka, 2002; 33. Kartell, Louis Ghost, Philippe Starck, 2002; 34. Roda, Harp chair, design Rodolfo Dordoni,2005-2006; 35. Martinelli Luce, Elica lamp, design Brian Sironi, 2009; 36. Scavolini, Crystal kitchen, design Vuesse, 2004; 37. Frag, Nisida chair, design Fabio Calvi and Paolo Brambilla, 2008; 38. Gallotti&Radice, Lord table, design Pierangelo Gallotti, 2004; 39. Edra, Flap divan, design Francesco Binfaré, 2000; 40. Fratelli Boffi, Plump divan (Scubism collection), design Nigel Coates, 2008. - Caption pag. 83 44. De Padova, Campo d’oro table, design Paolo Pallucco and Mireille Rivier, 2005; 45. Serralunga, Vas-one vase, design Luisa Bocchietto, 2002; 46. Valdichienti, Basic bed, design Giuseppe Bavuso, 2000; 47. Plank, Miura stool, design Konstantin Grcic, 2005; 48. Leucos, Vittoria lamp, design Toso, Massari & Associati, 1992; 49. Cappellini, Superoblong series, design Jasper Morrison, 2007; 50. Emu, Round chair, design Christophe Pillet, 2007; 51. Horm, Ki chair, design Mario Bellini, 2008-2010; 52. Living Divani, Extra wall divan, design Piero Lissoni, 2007; 53. Arper, Catifa chair, design Lievore, Altherr Molina, 2001; 54. Molteni & C, Diamond table, design Patricia Urquiola, 2005; 55. Segis, Breeze chair, design Carlo Bartoli, 1996; 56. Ernestomeda, Barrique kitchen, design Rodolfo Dordoni, 2006; 57. FontanaArte, Vertigo floor lamp, design Marco Acerbis, 2005. - Caption pag. 84 58. Lumina, Matrix series, design Yacoov Kaufman, 2000; 59. Giovannetti, Superstar divan, design Space Time, 2007; 60. Dedon, Orbit seat, design Richard Frinier, 2001; 61. Robots, Trieste bookcase system, design Enzo Mari, 1999; 62. Campeggi, Magellano divan, design Vico Magistretti, 2004; 63. Porro, Modern living room system, design Piero Lissoni, 1997; 64. Nemo, Ara floor lamp, design Ilaria Marelli, 2003; 65. Flou, Tadao-Style bed, design Vico Magistretti, 1993-2010; 66. Giorgetti, Erasmo desk, design Massimo Scolari, 2009; 67. Zanotta, William sofa, design Damian Williamson, 2010; 68. Pierantonio Bonacina, Egg, design Nanna Jørgen Ditzel ,1957; 69. Glas Italia, Atlantis table, design Lorenzo Arosio, 2002; 70. Domodinamica, Calla chair, design Stefano Giovannoni, 2002-2003; 71. Italamp, Et-Voilà lamp, 2004; 72. Rimadesio, Velaria sliding door, design Giuseppe Bavuso, 2005. - Caption pag. 85 73. Coro, Nest divan, design Stefano Gallizioli, 2007; 74. Binova, Prima kitchen, design Paolo Nava Fabio Casiraghi, 1993; 75. Foscarini, Caboche hanging lamp, design Patricia Urquiola and Eliana Gerotto, 2005-2006; 76. Desalto, Liko table, design Arik Levy, 2003; 77. Tisettanta, Metropolis system, design Antonio Citterio, 1984; 78. B&B Italia, Ray divan, design Antonio Citterio, 2010; 79. Pedrali, Gliss chair, design Pocci&Dondoli, 2002; 80. Poltrona Frau, Quadra sofa, design Studio Cerri & Associati, 2001; 81. Flexform, Groundpiece divan, design Antonio Citterio, 2001; 82. Lapalma, Lem stool,
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Interni aprile 2011 design Shin & Tomoko Azumi, 2000; 83. Prandina, Equilibre lamp, design Luc Ramael, 2004; 84. Tecno, Nomos table, design Foster & Partners, 1986; 85. Varaschin, Tibidabo sofa and chair, design Calvi Brambilla, 2000; 86. Lago, 36e8 living room system, design Daniele Lago, 2009. - Caption pag. 86 87. Arketipo, Loft system, design Adriano Piazzesi, 2003; 88. Casamania, Him&Her seat, design Fabio Novembre, 2008; 89. Artemide, Tolomeo lamp, design Michele De Lucchi, Giancarlo Fassina, 1987; 90. Paola Lenti, Frame sofa, design Francesco Rota, 2006; 91.Flos, Spun lamp, design Sebastian Wrong, 2003; 92. Moroso, Lowland collection, design Patricia Urquiola, 2004; 93. Varenna, Alea kitchen, design Paolo Piva and CR&S, 2003; 94. Valcucine, Artematica program, design Gabriele Centazzo, 1990; 95. Sawaya&Moroni, Maxima chair, design William Sawaya, 2002-2003; 96. Mdf Italia, Random bookcase, design Neuland, 2005; 97. Luceplan, Costanza lamp, design Paolo Rizzatto, 1986; 98. Poliform, Ubik wardrobe, design Cr&S Poliform, 2003; 99. Morelato, Maschera bookcase, design Centro Ricerche Maam, 2007; 100. Bulthaup, System B3, design Herbert H. Schultes, 2004. Ten years of Italian design: consumer choices by Vanni Codeluppi The economic crisis that began during 2008 has inevitably had repercussions on consumer attitudes and behavior. As always happens in such periods, the center of gravity of expenditures has gradually moved toward essential purchases, with different strategies for saving money: reduced consumption, a focus on sales and special offers, private labels of large retailers, outlets, street markets, hard discount stores, low-cost chains, farmers’ markets, etc. Nevertheless, we should not that for the Western world and Italy consumption has remained quite firm over the entire decade. With the exception of sectors capable of offering real innovations (consumer electronics, for example), most products are aimed at consumers who have already satisfied most of their essential needs and are therefore not receptive to single proposals. These subjects make purchases above all to maintain an already achieved standard of living and wellbeing. The stationary situation of consumption has also been determined by a process of progressive cultural decline in occidental societies. Most people have little faith in the future and do not share projects and ideologies capable of causing aggregation and moving the society toward new goals. And we should not forget that the last decade began with a dramatic catastrophe that shook the certainties of the Western world: the collapse of the Twin Towers in New York. In this context of great uncertainty consumers struggle with a process of definition of personal identity, and tend to become more eclectic and less loyal to products, brands and sales channels. So the bestsellers of the last decade of Italian furniture and design companies often reflect an attitude of adaptability. Sofas and bookcases, for example, are modular, capable of offering different functions, of responding to specific needs. Today, though, consumers are above all in search of certainties. Also because they have a growing sensation of vulnerability. This is a paradoxical phenomenon, because actually life in the Occident has become safer. Yet people have the sensation of being vulnerable, the possible victims of violent actions. On the level of consumer behavior this inevitably has its consequences: the pursuit of products that offer protection (alarm systems, SUVs), a growing tendency to choose products that offer a psychological escape from reality (games and video games) and, finally, an orientation toward powerful material and sensorial gratifications offered by luxury goods. Clearly the furnishings sector cannot help but be heavily impacted by this focus on reassuring things. This is why consumer choices in this sector have been mainly oriented, over the last ten years, toward products with simple, essential, clearly identified forms. But this is not a return to minimalism; it is an orientation toward t a modernity that can be considered classic, at this point: a modernity composed of geometric, rational and transparent forms, perhaps also influenced by the pursuit of functional quality that has always been an earmark of Nordic design. It is certain that in the bestselling furniture of Italian firms over the last decade there has been very little space for decoration and showy signs that might indicate a pursuit of playful enjoyment. We are not looking at a return of that spectacular, neo-baroque taste, then, that dominated most of the 1980s. There are also very few influences from a demand for furnishing objects in ethnic style, in spite of the fact that such objects have entered many homes in recent years. Probably this type of demand is satisfied by specialized shops and importers, rather than design manufacturers. It would be legitimate to expect a demand for furnishings that express a strong link with nature, due to the growing awareness in the Western world of the importance of seeking a harmonious relationship with the natural context, which translates into phenomena of strong demand, like that for organic and natural foods. Nevertheless, the desire for nature seems to be satisfied by a symbolic form of consumption, meaning that nature is consumed in the world of furnishings through objects that indirectly evoke it, like things with rounded forms or lively colors and floral patterns. Of course organic forms are also used because they are ergonomic, responding to the forms of the human body, but this does not suffice to explain the significant presence of natural forms in the most sought-after objects of Italian companies. We can also see a limited presence of advanced technologies in the choices of consumers over the last decade. Again in this case, the demand has probably been satisfied through another category of object: consumer electronics. Nevertheless, greater evidence of technology in design objects could have been expected. The best explanation in this case remains the one indicated at the beginning: the strong desire for reassurance. In the West this desire operates in a particular significant way due to the intense process of advancing age of the population. Elderly subjects, having grown up in another era, have problems living in today’s increasingly complex, mutable world. Therefore they avoid technologically advanced products, which they find disorienting, and turn to products that have been selected over the course of history, because they find them reassuring on a psychological level. This would explain the growing use, in the world of furnishings, of retro, nostalgic imagery, regarding products that have been successful in the past, and the recovery in the design of new products of stylistic forms typical of earlier historical periods.
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Mutant vision
p. 88 photos Miro Zagnoli - set design Markus Benesch - by Nadia Lionello
How to alter the view of the scene with a single movement, clockwise. Four landscapes for transforming and transformed actors: varied forms and functions, salvaged materials that enhance design identity, always in evolution. - Caption pag. 88 Wave hanging halogen lamps in extruded aluminium with ellipsoid section, with white, black or aluminium paint finish. Design by Baruffi & De Santis for Foscarini. Tight chair covered in totally removable fabric or leather, with chromium-plated or black steel base. Design by Nicola Gallizia for Molteni&C. Calligrafia cabinet-bookcase from the series of four calligraphic forms based on the Japanese alphabet, made in MDF with matte paint finish in the primary colors of red, yellow and blue. By Cortesi Design for Flou. Mind the Gap, three-dimensional artwork created by Markus Benesch for the exhibition Phoenix in Der Asche 2010 in Munich, curated by Prof. Wolfgang Flatz. The work was printed with a plotter by ChiarionLaf on Exalite® (ultralight panels with honeycomb core, in clad polypropylene), patented and produced by Cartonplast. - Caption pag. 91 Copernico hanging lamp, composed of nine concentric ellipses made from a single sheet of anodized aluminium, for independent rotation on two different axes to create many configurations. With 384 white LEDs. Design by Carlotta De Bevilacqua for Artemide. Qbist Bar, tribute to Henry E. Dudeney (inventor of mathematical games), bar cabinet on wheels with variable geometry, composed of four trapezoidal parts that can open into different positions, in Corian® with mirror-finish stainless steel on the inside, outfitted with shelves, a drawer, a tray, a cutting board and an ice unit. Design by Bruno Rainaldi for Opinion Ciatti. - Caption pag. 92 Eus table with structure and legs in painted metal rod, top in the Ecomat version (a mixture of olive pits, recycled plastic and scrap from the production of disposable diapers). Design by Paola Navone for Eumenes. Abyss LED lamp with modular structure in injection-moulded opaline polycarbonate. Self-supporting and ready to transform into infinite combinations of forms. Design by Osko & Deichmann for Kundalini. Ginger freestanding cabinet in embossed painted MDF, with doors opening in two directions. Design by Claudio Bitetti for Minotti Italia. - Caption pag. 94 Torq chair with structure in coated steel tubing in blue-gray or light gray, padded seat covered in orange, black, white, red or indigo leather. Design Daniel Libeskind for Sawaya & Moroni. Babel bookcase with truncated cone form and five shelves, in rotomoulded polyethylene with a range of different colors, also ideal for contract and outdoor. Design Mario Mazzer for Bonaldo. Cross 3D, luminous objects to hang from the ceiling or place on the floor or table, composed of a series of the most famous small iconic forms by Karim Rashid, in laser-sintered polyamide, by Freedom of Creation.
Special effects p. 96 virtual location of Mozart Italia by Nadia Lionello Creative location and novelties: an initial view, simultaneous with the biggest show of Spring, created on a virtual plane. A combination of elements under the sign of invention and surprise. Virtual location = “computer-generated location”. Photorealistic environments constructed at the computer thanks to mathematical representations and calculations required to simulate the behavior of light and the physical and optical properties of objects and materials. It is a method of work very similar to that of tradition, but the difference lies in the language, which uses the passage of different software programs to achieve the imagined project. Another path of figurative communication, first photographic, with the use of traditional film, now with the inevitable use of digital technology in all its forms. - Caption pag. 98 Facing page: Uma fluorescent lamp with steel structure and transparent methacrylate diffusion element. Design by Giancarlo Tintori for Nemo. Snake bookcase with modules for different combinations, in wood painted in a range of colors, or steel; painted or natural wood edges. Design by Giuseppe Bavuso for Bross. Tablet dining table with round or square top in white Carrara or black Marquinia or Emperador marble, legs in walnut or wenge, or with white or black paint finish. Design Classeon Koivisto Rune for Arflex. - Caption pag. 100 From left: Thin Black Table with square-section metal structure and extralight 5mm glass on L-shaped frame, by Nendo for Cappellini. Impossible Wood, chair with liquid wood chassis (thermoplastic composite of wood fiber and polypropylene), injection moulded, with base in chromium-plated steel. Design by Doshi & Levien for Moroso. a380 chair in recycled and recyclable plastic, with or without armrests. Design by Ineke Hans for Royal Ahrend. Lou Read, chair with high back covered in cowhide. Design Philippe Starck with Eugeni Quitllet for Driade. Untitled stackable chair with profiled polypropylene chassis and legs in chromium-plated metal, or in the color of the seat. Design by Mr Smith Studio for Calligaris. Miss Less seat-sculpture in polycarbonate and polypropylene, black base, black, white or transparent back; also ideal for the contract market. Design Philippe Starck for Kartell. - Caption pag. 103 Facing page: Round stackable sun lounger with structure in metal tubing, seat in galvanized sheet metal with polyester coating. Design by Christophe Pillet for Emu. 100 Coffee Table, from the 100 Collection My Design, table with cowhide covered structure, top and base in painted wood. Design Michael Young for Trussardi. Heron two-dimensional LED table lamp in painted aluminium, with self-blocking joints. Design by Enrico Azzimanti for Bilumen. Multifunctional modular Container with natural elm wood base and lacquered MDF compartments. Design by Alain Gilles for Casamania. - Caption pag. 105 Facing page: Paddock divan with exposed solid oak or walnut structure, varnished with wax effect, cushions in polyurethane and goose down with natural fabric or full-grain leather covers. Design Michele De Lucchi with Davide Angeli for Domodinamica. White Shell table or bedside unit in opaque batchpigmented white Cristalplant®. Design Salvatore Indriolo for Zanotta. Flo LED floor or table lamp, 120° rotation, 360° with clamp, in black or white painted aluminium. Design Foster+Partners for Lumina.
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INproject
New light paradigms p. 106 photos Miro Zagnoli - text Francesco Massoni An act of responsibility toward the planet and the future: with the Mimesi project developed for Artemide the architect and designer Carlotta de Bevilacqua experiments with ‘luminous writing’ for a new vision. Mimesi ushers in a ‘transparent’, almost dematerialized way of looking at light. Light in a suspended dimension of time and space, like an idea of light. Or light the writing that comes before it and gives it legitimacy, because “in the beginning was the word”… Mimesi is actually a project that began very far away. In 1995 Artemide, a leader in the field of residential and professional lighting, opened its Innovation Center at Pregnana Milanese, launching a pioneering path of research whose philosophy was effectively summed up in the phrase The Human Light. This was a sort of Copernican revolution: the proverbial, classic balance of form, innovation, function and efficiency that guaranteed the success of a well designed lighting fixture was no longer sufficient to respond to the challenges of the future. From the lighting of space it was necessary to concentrate on man and wellbeing. So Carlotta de Bevilacqua, with her taste for interdisciplinary experimentation, formed a work group with the engineer Fabio Zanola, head of the brand’s research and innovation division, to conduct scientific studies that would lead to new concepts aimed at making light serve human beings and their spaces of life and work, their needs and desires, forging new technological visions and design solutions. The results, starting in 2000, were the lamps of the Metamorfosi line, which through the use of RGB technology are capable of offering beneficial lighting atmospheres. Later, in 2004, the A.L.S.O. project was presented, creating multiple performance lighting in which color technologies were joined by sounds and filtering of the air. In 2006 the introduction of My White Light marked the third phase of this fascinating evolution, reflecting research on modulation of the intensity and temperature of white light. Then, in 2008, Carlotta de Bevilacqua presented her Short Manifesto on Good Light, outlining the principles of a new vision: “Starting with the Human Light concept”, she wrote, “lighting design opens up to the world of which man is a part. Light becomes a conscious factor in the fate of the natural, social and civil environment: it is transformed into an act of awareness. The design vision is regenerated, guided by the concept of Responsible Light”. From light for human beings to responsible light, the focus of the experimentation shifts toward the idea of environmental quality, which becomes “the unit of measure of the perceptive, expressive and emotional experience of the project”. She herself set the example, daring to work with ‘formal silence’ as a way of demonstrating that the performance, beauty and quality of light can be increased while reducing the environmental impact of lighting fixtures. “An awareness”, she is convinced, “that translates into a creative, responsible design evolution”. Guided by ideas like dematerialization and energy savings, she has developed the Altrove concept: “A surface of one square meter where the light flows on transparent wires, while a mirror-finish reflector materializes a controlled volumetric luminous effect. A cubic meter of light in which there is infinite reflection, with free modulation of over a million chromatic effects. Space is no longer just one space, it becomes many or simply other, an illusory perception of reality that leads to a new place, an elsewhere (altrove)”. The fixture, a frame around a virtual space, is offered a wall version and a hanging version. This year Carlotta de Bevilacqua has decided to go beyond elsewhere, to transfer the immaterial nature of light into an abstract body that dissolves and disguises itself in space, converting the design score into a script in its own right. “The writing”, she says, “is the sign that remains engraved on the skin of the light”. And she adds: “While Altrove made it possible to look beyond space, Mimesi lets us know the space in which we are immersed. Because writing comes, first of all, from light. In fact, it contributes to create it”. Visual inscription triggers the game that stimulates luminous perception, translating it into a new spatial experience. Mimesi is a floor lamp with LEDs whose exemplary geometric clarity reflects a world in which design is driven by ethical principles, technology meets sustainability, function is a generator of emotion and wellbeing, while consuming less energy. This luminous parallelepiped, with a square section, has a height of 180 cm. The base and top are in polished recycled aluminium. The diffuser in engraved transparent methacrylate, whose mineral texture generates an evocative graphic and optical effect, is invaded by white light projected by the LED source mounted on the upper support and aimed downward. The light is reflected by the mirror surface applied to the lower extremity of the column. A second spot set into the top of the fixture, with high-power LEDs, sends light upward, creating the sensation of a suspended luminous body. A built-in device with a touch control makes it possible to control the two sources separately, adjusting their intensity. “I like to think of Mimesi”, Carlotta de Bevilacqua concludes, “as a star rather than a sun, because – to paraphrase the words of the philosopher Jacques Derrida – its truth, namely its light source, remains concealed in the invisible”. - Caption pag. 107 The Mimesi lamp by Carlotta de Bevilacqua (in the portrait) for Artemide has a base and top in polished recycled aluminium, and two LED light sources: the first is directed downward for diffused lighting; the second, high-power source projects indirect light upward. On the facing page, detail of the transparent engraved methacrylate diffusion element of the lamp. - Caption pag. 108 To the side, the Mimesi lamp during its construction. The project is based on research on dematerialization and ecosustainability. Below, sketch illustrating the luminous dynamics of the lamp. - Caption pag. 109 Below, the foyer of Teatro Franco Parenti in Milan, lit – thanks to a project by Carlotta de Bevilacqua – with hanging lamps from the Altrove line, created by the designer for Artemide. Below, example of the chromatic effects made possible by the Altrove system, with fluo RGB technology.
forms. It can create tailoring effects to enrich the decorative side, or be a membrane to construct profiles and to suggest optical illusions, when printed. “A tubular elastic knit fabric normally used for clothing can be applied to make a lampshade”, Bruno Munari wrote in “Da cosa nasce cosa - Appunti per una metodologia progettuale”, published by Laterza in 1981. The example, in reference to his Falkland hanging lamp designed in 1964 and still in production, in the Danese catalogue, belongs – together with the “graduated cylinder that can become a vase”, or the blanket that becomes a cloak – to the category of reflections on recycling. Considering certain recent projects, it can represent not only an example of transformation, but also an illustrious precedent for research on fabric used as a flexible skin to give form to furnishing objects. The furnishings of the Spaziale series by Lanzavecchia+Wai, presented in 2010 during Design Week in Milan, are direct descendents of the Falkland model. The skeleton is a light metal structure, while the body is made exclusively with an elastic fabric held in tension, giving the objects a mutant character: they deform to adapt the profile to the content, offering greater containing capacity. In the exhibition “Pelle d’asino (Donkey Skin)”, installed by Patricia Urquiola with Martino Berghinz at Abitare il tempo in Verona in 2006, the work of Studio Urquiola was a reflection on the idea of skin in design. The princess in the fable by Charles Perrault, who changes her identity by hiding inside a donkey skin, is an effective metaphor of the decisive impact of textile skin to define the form and appearance of objects, making them mutable, embellished, softer, changing their tactile qualities and therefore our perceptive experience of things. The lamps of the LuxLuxLux collection by Dunja Weber+Cécile Feilchenfeldt, shown at the Salone Satellite 2010, have a light metal framework covered with a special blend of nylon, elastane and rubberized thread. The fabric similar to tulle developed by Cécile is adjusted in soft, irregular folds that give the fixtures a variable, unstable profile. In the series Dressed Up Furniture by the Korean studio Kam Kam thick felt entirely covers the wooden structure, attached with tailored details, altering the consistency of the objects: what is normally hard becomes soft. The silhouettes of the containers, generally squared with sharp edges, are smoothed to generate a friendlier image. To dress up what is normally offered nude changes its identity. The garment is no longer a finish, it intervenes in the definition of the substance of the product. A similar proposal is made by Sigrid Stromgren (Satellite 2010), where the textile part – padded and enhanced by capitonné work – is not a garment fit over a form, but a structural component: the doors of the cabinet. The Coiling Collection shown by the Fat gallery of Paris in November 2010 represents a chapter of the research of the London-based Raw Edges studio, on the structural use of unconventional textile materials. Long strips of felt (326 meters in all) are rolled into three-dimensional forms to create different furnishing elements. One side of the felt keeps its original softness, while the other is saturated with silicon to add body. The production method resembles the tailoring technique of bondage: a wrapper that alters the silhouette. In the case of the Spook chair by the Berlin studio Iskos, presented at the Fair in Stockholm (Feb 2011), the felt is adjusted on the profile in soft folds with a technique similar to the dressmaking method of moulage, leading to an unusual formal variation. Finally, the change of identity can also depend on textile patterns. This is the case of the Tattoo hassock by Cerruti Baleri, with a photographic cactus print. This latest version (2010), still by the stylist/designer Maurizio Galante, is so realistic that people tend to check on the situation before sitting down, to avoid getting ‘stuck’! - Caption pag. 110 Falkland series of hanging lamps in metal and elastic fabric, design Bruno Munari, 1964, produced by Danese. - Caption pag. 111 Bookcase from the Spaziale series by Lanzavecchia+Wai, with metal framework and elastic Lycra structural cover, self-produced, 2010. - Caption pag. 112 1. Eskimo credenza in wood with doors in padded capitonné fabric, design Sigrid Stromgren, 2010, self-produced. 2.3. Cham wardrobe covered in felt with couture workmanship, and Dressed Up hassock, covered in felt with buttons and pocket, designed by Kam Kam, 2010, selfproduced. 4. Tattoo hassock series by Cerruti Baleri with elastic cactus print fabric cover, design Maurizio Galante, presented at the Biennial of Saint Etienne, November 2010. - Caption pag. 113 1. Spook chair with draped felt cover, designed by Studio Iskos for Blå Station, 2011. 2. Softlux table lamp from the LuxLuxLux series, in metal and nylon tulle, elastane and rubberized thread, by Dunja Weber+ Cécile Feilchenfeldt, self-produced, 2010. 3. Furnishings from the Coiling series in rolled strips of natural felt soaked in silicon on one side: a project by Raw Edges, self-produced, shown at the Fat gallery in Paris in November.
Dynamic chairs
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by Stefano Caggiano
Design investigates the psychomotor aspects of the body. Leading to seating designs that facilitate active posture, interacting with the user. Simplicity is the hardest thing to achieve in design. Especially for objects that come into close contact with the body, like seating, a design with a simple form can even become violent for the back and joints, which have their own physical and spatial parameters, as well as a psychomotor dimension that has to be taken into consideration by designers. That is just what Edward Barber and Jay Osgerby have done in the Tip Ton project for Vitra, a chair for schools developed to permit forward reclining of 9 degrees, because – as Barber explains – “for a student you cannot choose just any chair, because most of the ‘designed’ chairs have been created for sitting at a dining table or having a drink, not for taking notes”. The position offered by Tip Ton, on the other hand, straightens the pelvis and spinal column, improving blood circulation, without the use of mechanical parts (unlike office seating). “The forward movement we tend to make when we are writing”, Barber says, “and we are told to avoid, is actually very positive, because it brings oxygen to the brain and aids thought”. Since thought is not an ethereal substance found in the mind but a ‘thinking way of acting’ that exists in the brain and its synapses, but also Ductile forms of textile skin p. 110 in the body and its gestures. This is the idea behind all the seating that permits the by Cristina Morozzi user to switch between active and passive positions, like the Dinamica stool Riccardo Fabric is not just a covering. It becomes structural, giving furnishings soft, mutant Blumer and Matteo Borghi have designed for Alias, conceived to facilitate natural
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transitions from a static position to one in which the muscles are stimulated to make small movements. But there’s more. Beyond the motor space, the body also exists in the mind’s eye. “Observing young children”, Nipa Doshi and Jonathan Levien (Doshi Levien Studio) write on the subject of the Rocker design for Richard Lampert, “we discovered that many of the things that interest them are not illustrated objects, but everyday objects that were not intended to be playthings”. Rocker, an elegant toy rocker in polymer and solid wood, aims to be “a found object, an improvised ride”, similar to a “tire rolled with a stick, or overturned pots that become a drum set”. Adults also like to play, though. For them, Thomas Heatherwick has created the Spun rotating seat, a sort of top presented by Magis last year, in rotomoulded polyethylene, now also proposed by Marzorati Ronchetti, for the event Interni Mutant Architecture & Design, in carbon steel and brass. Two wooden stools that share a very similar principle are also possible playthings: Tip Toe by Martin Vallin, whose five legs permit whimsical shifts of the user’s weight; and Monarchy, designed by Yiannis Ghikas for Feld, which encourages continuous changing of the angle, for play and for comfort. Another ironic work is Nonò by Stefano Soave, an unusual seat produced by Alma Design (winner of the Young and Design 2010 award for the ‘Design of Wonder’), designed to respond to the utterly informal way young people usually interact with seating. It is neither a chair nor a stool (thus the double negative of the name). Nonò is a seat in polypropylene with three legs, to use in limited spaces for short spans in a sitting position, half standing half sitting, like a point of transit before moving on. A more conceptual work, on the other hand, is the Restless Chairacter by Pepe Heykoop, a ‘flexible archetype’ with a severe form, made in aluminium and polyurethane rubber, to allow the object to change shape depending on the ‘adjustments’ of the body. Equal focus on adapting to the body, though in a more orthodox way, can be seen in the Triwing project by Marco Hemmerling, composed of two nested wooden parts whose different combinations permit four different postures (lounge, reading, dining and living room chairs) in a single form with a double curvature, capable of perfectly absorbing the impact of use. Insisting on the sculptural spatial qualities of living bodies as opposed to the static rigidity of ideal bodies is extremely important for design. Living bodies, unlike inert ideals, are completely engaged in actions. Their vital dimension is the space in which to ask and perceive, an elastic, unstable space projected outward. - Caption pag. 115 Tip Ton, a seat for schools and offices designed by Edward Barber and Jay Osgerby for Vitra. Sturdy and light, in recyclable polypropylene, its development required testing on about 50 prototypes. Reclining forward by 9 degrees, Tip Ton straightens the spinal column and brings oxygen to the brain, for better concentration while writing and listening. It also allows young users to move without making noise. - Caption pag. 116 Right, the toy Rocker designed by the Doshi Levien studio for Richard Lampert. The drum, in rotomoulded plastic, is mounted on guides and runners in solid wood. Below, the Spun spinning chair by Thomas Heatherwick for Magis, reissued by Marzorati Ronchetti in carbon steel and brass for the event Interni Mutant Design & Architecture, State University of Milan, April 2011 (photo Peter Mallet). - Caption pag. 117 Left, the Monarchy wooden rocking stool by Yiannis Ghikas for Feld permits movement forward and back, and turning in place, without every tipping over. Below, left and center: Restless Chairacter, a project presented by Pepe Heykoop as a degree thesis at the Design Academy of Eindhoven. Made in polyurethane rubber and aluminium, the seat changes shape with the movements of the body. Lower right and below, the five-legged wooden stool Tip Ton by Martin Vallin, which permits easy shifting of weight and position. - Caption pag. 118 Nonò is a semi-seat that permits resting of the body while remaining on foot, especially in informal situations. Designed by Stefano Soave and produced by Alma Design, light and stackable, it is made with UV-resistant polypropylene. Nonò received the Young & Design 2010 award for the ‘Design of Wonder’ and the Good Design Award from the Chicago Atheneum. - Caption pag. 119 Below, left and center, the Dinamica seat by Riccardo Blumer and Matteo Borghi for Alias. Alternating active and passive positions of the body, it guarantees proper posture to facilitate work. The structure is in very light painted steel tubing; chassis in self-sealing polyurethane. Lower right, Triwing by Marco Hemmerling, a seat composed of two wooden parts that can be combined for four different postures in a continuous way. Turning on the longitudinal axis, the seat changes its image and position, for use as a lounge, reading, dining or living room chair (photo Schelpmeier Dirk).
INview
Sensitive and responsive
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by Antonella Galli
A surface that changes color thanks to a flow of energy, a soft plastic that stiffens after impact, fabrics that light up when the sun goes down. And then return to their original state. Here come the intelligent materials. Designed on a molecular scale for high performance. Viewers at the international fashion shows in Montreal last year were amazed by models in dresses of impalpable light white organza that in the slightest breeze, or at the approach of another human body, started to independently move their fabric ruffles and flowers, then returning to fall smoothly under the (minimal) weight of the material. This magic was the result of the experimentation of Ying Gao, a Canadian fashion designer and teacher at the University of Quebec in Montreal, who through the application of sensors and microcircuits makes clothing responsive and intelligent. Dresses that are almost like presences, animated, sensitive. Ying Gao offers conceptual reflections on the extraordinary potential of intelligent materials in the variegated universe of design. Things that react to given external stimuli, and then resume their initial state, without sacrificing anything in terms of functional quality and character. The study of capacities for adaptation, and the creation in the lab of materials that can mutate for specific uses and projects, are becoming more and more important fields, also thanks to the spread of nanotechnologies. Once a field only for specialists, today it also involves designers. Foreign schools, in fact, now train
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‘materials designers’ like Celine Marqc, a student in London specializing in “Textile Futures” at the Central Saint Martins College. Her prototype Inconspicuous Matter proposes covering with a special black electroreactive material inserted that changes colors in response to an energy flow. Young Celine wants to make the continuous, imperceptible flow of energy in the home visible, with aesthetic ends, but also with reference to our ongoing need for energy and the growing entropy of the planet. A pioneer in the exploration of intelligent materials in the design sphere, way back in 1995, was Paola Antonelli, curator of the Architecture and Design section of MoMA New York, with the exhibition Mutant Materials in Contemporary Design. Today researchers are perfecting films and glass that change color or degree of transparency with temperature variations, metal alloys that return to a pre-set form when warmed, soft plastics that harden after a sudden blow, fabrics that capture solar energy to produce light, electro-chrome screens on which to write with virtual ink. The capacities of smart materials are many, and the fields of application are widening, as Marinella Ferrara, architect and professor of materials for design at the Design department of the Milan Polytechnic, author together with Marco Cardillo of the book “Materiali intelligenti, sensibili, interattivi” (Lupetti Editore, 2008), points out: “The smart materials that architecture and design are starting, with a bit of inertia, to use today were first developed in the technology sector, from smartphones to PCs, televisions to medicine. Microelectronics”, Ferrara says, “are now a current applications tool that has called for very high levels of investment. Today smart materials also appear in less technological products, even though the cost of production remains quite high”. Projects are being developed for interactive garments, jackets with built-in screens that receive data from cell phones (maps, info, ads), while in the sportswear sector safety becomes the focus in the material developed by the company D3O, a soft material that stiffens on impact, with an appealing look and texture. “These are materials that are starting to also have an aesthetic identity”, Marinella Ferrara continues, “and they are our future, as demonstrated by the spread of OLEDs or the use, in music, of piezoelectric materials, thanks to which any object can become an audio speaker”. How can we get oriented amidst the new materials and experiments that move forward every day around the world? This fundamental need for designers today is addressed by Material ConneXion, the research and consulting center founded and directed by George M. Beylerian in the United States. In its Milan office, at the Triennale Bovisa, Micol Costi, director of the library and of research on materials, illustrates the applications possibilities of smart materials: “It ranges from fabrics that reversibly vary their color, to thermo-regulating fibers, from tiles that adjust humidity levels to polymer sheets and glass that filter heat. Our library documents products, subdivided in terms of chemical composition rather than functions, so that the people who do research here will not be directed toward just one possible field of application, but will be free to interpret the potential of the material. This generates an exchange between materials and circumstances”. What is the role of Italy in all this, a country that does not always stand out for its research efforts? According to Micol Costi “the contribution of Italian companies is a very valid one, but a network exists that receives input from all over the world”. The materials are there; now creative talents are needed with a technological approach, explorers of interactive design capable of translating the superpowers of smart materials into useful objects. - Caption pag. 121 On the facing page: Inconspicuous Matter, an interactive covering developed by Celine Marcq, a young London-based student specialized in materials design. It utilizes an electroreactive substance that changes color in reaction to energy flows. Below: a sticker made with the same material (www.celinemarcq.com). Right: garments from the Living Pod collection created by Ying Gao, a fashion designer from Montreal. Reacting to specific stimuli (wind, movement, touch), the garments move their ruffles and flowers, thanks to a built-in system of electro-pneumatic technologies (ph. D. Lafond, www.exercicesdestyle.com). - Caption pag. 122 Left: Digital Dawn, by the studio Loop PH of London; a curtain that is sensitive to light, with a constantly changing surface that increases its luminosity when the environmental lighting conditions diminish in brightness, using electroluminescent technologies (www. loop.ph). Below, smart materials documented by Material Connexion. From left: a water-soluble, non-toxic decontaminating gel for elimination of chemical waste; a phosphorescent furnishing fabric made with luminescent yarn; ceramic tiles that regulate humidity, absorb odors and toxins; coated fabric with antibacterial and flameproofing properties (it.materialconnexion.com). - Caption pag. 123 Mimosa, interactive art installation created by the English studio Jason Bruges, using Philips Lumiblade OLEDs. The OLED flowers open and close as the light varies, imitating the behavior of mimosa blossoms. The installation was nominated for the Brit Insurance Design Awards 2011 in the Interactive Design category (www.jasonbruges.com).
INproject
Just now, in a certain way
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by Cristina Morozzi
Being a perfectionist, Paolo Rizzatto tries to do a few things that last, and are modern. Which means things that correspond to the present world, capable of establishing a relationship with man and space. He works alone, in a luminous studio. A fountain can be heard in the silence. There are books on design, architecture and science, as well as classical music – mostly Mozart – but also pop and disco. His daughter Gala has made a name for herself as a singer. He’s proud of her and likes to go to her concerts. They were recently in Brussels for a big event, and they went to Istanbul for New Year’s 2011. Gala lives in New York. She sends recordings of voice lessons. He plays me a recording of her beautiful voice singing “O mio babbino caro”, the aria from Puccini’s Gianni Schicchi. He has no assistants or secretaries, though he loves teamwork. “Design”, he says, “comes from group effort, the pleasure of working together. There was a period when there were always three of us: I was the architect who loved
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technologies, Alberto Meda the engineer-humanist, and Riccardo Sarfatti was with us. Riccardo had a childish side, he got excited and liked competition. It is hard for me to talk about him after his tragic death. He was a friend, in work and play. Our partnership was one of great mutual freedom. We never really argued. He was a person you could rely on, a real gentleman. It was a modern relationship”. The memories start to surface: “Riccardo, Antonio Monestiroli and I were classmates in college, we studied with Franco Albini, but above all we were companions during the protests. I looked at the movement from a distance, though, even though I took part. I spent many years in the studio with Antonio, who was pursuing an academic career. I wanted to see things made, not just written. Maybe this is why I got into design. After the sale of Arteluce (the company of Gino Sarfatti, Riccardo’s father), with Riccardo and Sandra (Severi Sarfatti), another classmate who was there at the sit-ins, we founded Luceplan in 1978. Luceplan started as a lighting design service company, one of the first in Italy. At the start we worked almost exclusively in Germany. Then our research on particular cases led to manufactured lamps, to solve specific problems in a timely way. Until 2000 my involvement with Luceplan was total. We made all the choices together, Riccardo, Sandra and I; Alberto Meda came later, as an engineer, to solve certain technical problems of the Berenice lamp (1985). We worked well together and we still do. Together we have created the new LED lamp called Ottowatt”. Paolo leaves nothing to chance. Not even the names of the products. “I like names that are easy to remember”, he says. “Costanza is a tribute to Konstance, Mozart’s wife. His music helps me work. Berenice is the name of a constellation. The name is part of the project”. The talk of names leads to the question of words, which have been abused and become ambiguous. The word modern, always used as a stylistic adjective, is a good example. “Instead”, Rizzatto says, “this term comes from the Latin modo, meaning ‘just now, in a certain way’, so a designer cannot help but be modern if he wants to do something well”. Paolo does this in a reasonable way. Every project has a precise reason for being. The references are man and space, never the object on its own. His focus on context comes from his training as an architect, a profession he practices in parallel with design. His project has been chosen for the Milan Darsena waterfront area, done together with Edoardo Guazzoni, Sandra Rossi and Jean François Baudin. “I try to do architecture to work on other scales, avoiding separation. From the first sketches I always position projects in a space to evaluate their interaction with the environment. The relationship with space always has to be the starting point. Then you can proceed in different ways: ironic, revolutionary, pragmatic. There are different poetics, you approach the project by choosing the one that seems best suited”. He admits he is a perfectionist. This is why he tries to do just a few things that last. One example is the 265, a lighting fixture from 1973, his first design work, still in the Arteluce catalogue. Looking at his overall oeuvre, you realize that the foremost reason for being of each project is its perfect response to the needs of the present. The Costanza, a design icon, is a classic typology. The invention lies in the shade, made with a ‘modern’ material, methacrylate, to produce a soft light. The story of the Hope hanging lamp (Luceplan, 2009), designed together with Francisco Gomez Paz is another good example. “Hope”, says Paolo, “is a modern chandelier. It is light, just 1.5 kg, easy to disassemble (the sheets are packaged separately), but it gives you all the charm of a classic Murano chandelier”. The form is based on illustrations attributed to Leonardo da Vinci, for the treatise De Divina Proportione of the Renaissance mathematician Luca Pacioli. Paolo shows us an edition. In the portrait of Pacioli found at the museum of Capodimonte in Naples, a transparent polyhedron can be seen, very similar to the Hope. In this lamp the sparkle typical of multiple light sources is produced by Fresnel lenses (invented in 1827 by Augustin Jean Fresnel), which can now also be made in plastic, flattening the curvature of traditional lenses and breaking it down into concentric rings. Every project has its own story, its own erudite reference. Once you understand the method, the stories don’t need a narrator, but emerge clearly from the forms of the products. The structural parts are never concealed, but treated as decorative features. In the swivel tripod of the Young Lady chair (Alias, 1991), in light aluminium alloy, the mechanism is left visible, making the classic design of the upper part become more ‘modern’. The openings in the back of the Regina chair (Poltrona Frau, 2004) are not an aesthetic ploy, but an attempt to lighten up the image of the classic capitonné: the perforated ring is used to attach the leather, like a button, triggering a surprising effect of visual transparency that adds an airy touch to a usually heavy object. The latest LED arm lamp, which will consume 8 watts as opposed to the 35 consumed by the Berenice, designed together with Alberto Meda for Luceplan, has a perforated top to solve the problem of releasing the heat generated by the LEDs. Once again, the result of a clear logic that produces an aesthetic result that is attractive precisely because it is not arbitrary. - Caption pag. 125 OttoWatt table lamp, design Paolo Rizzatto with Alberto Meda for Luceplan, 2011. In aluminium, with LEDs and perforations on the top to release heat. To the side, portrait of Paolo Rizzatto. - Caption pag. 126 Young Lady chair for Alias, 1991. A swivel tripod in die-cast aluminium with visible mechanism, and a caned wraparound chassis. 1. Romeo bench for Serralunga, 2004. Rotomoulded with thick legs for a sense of solidity. The inclined seat drains off water, while the planks of the back let air and light circulate. 2. Regina chair, with metal spoke base, for Poltrona Frau, 2004. The use of an open ring instead of a button adds a new image of lightness. 3. H&H bookcase for Danese, 2007. Produced starting with semifinished parts, with a few simple operations; completely recyclable. The shelves in iron sheet interlock on two pairs of tubular frames. Without connectors or blocking elements, it becomes a stable, self-supporting structure. Easy to dismantle and transport in a flat package. - Caption pag. 127 AB Chair for Danese, 2007, made with a single sheet of aluminium, 3 cm thick. The structure is composed of two lasercut parts, bent and welded together at the smallest possible number of points. - Caption pag. 128 1. Ecocompatta kitchen for Veneta Cucine, 2010, based on the idea of reduction of forms and sizing, simplification of assembly and reduction of costs. It uses appliances available on the market and rationally organizes them in the simplest, most economical way. 2. Hope hanging lamp, design Paolo Rizzatto with Francisco Gomez Paz for
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Luceplan, 2009. Composed of thin polycarbonate Fresnel lenses that function like glass lenses but are much lighter and easy to disassemble. 3. Model 265 wall lamp for Arteluce, 1973. In aluminium, designed for movement of the light source with a simple movement of the hand. 4. Foldable Desk, design Paolo Rizzatto with Francisco Gomez Paz for Lensvelt, 2008. This desk combines two factors: height adjustment and a folding mechanism. - Caption pag. 129 Winner of the international competition held by the City of Milan in 2004 for the Darsena waterfront area (with Jean François Bodin, Edoardo Guazzoni and Sandra Rossi). The side on Viale Gorizia, with the bridges over the canals, is adjusted to create two promenades on different levels, while the two ends, at Piazza Cantore and Piazza XXV Maggio, are consolidated to match their nature as urban gateways.
INproduction
Morphing p. 130 by Katrin Cosseta illustrations Studio La Tigre Design explores form in a state of becoming, in furniture and objects with indefinite, mutable identity. Transgenic projects glimpsed in their evolutionary progress. Mutant furnishings for multiple functions, surprising movements, unusual groupings, optical illusions. An infographic narrative shows their transformations, tensions, balances, forces at play. - Caption pag. 130 1. Mutant inclination. Ivy Shelves by Thomas Bernstrand for Swedese is shelving to build at the desired height, in the desired form. The modules in ash or pine, with black or white finish, can be stacked regularly or inclined in a state of apparent instability. 2. Mutant line. Résille by Philippe Nigro for Ligne Roset, an indoor/outdoor chair with structure in bent steel tubing, foam filler and fabric cover (technical fabric for the outdoor version). The graphic game of the back creates the illusion of two intersecting chairs. - Caption pag. 131 1. Mutant equilibrium. Overdose Storage by Bram Boo for Bulo, a bookcase-cabinet with oak veneer, composed of a grouping of different modules in harmonious disorder. 2. Mutant perspective. Seeming like the result of the movements of the earth’s crust, Tron, the chair-sculpture by Dror Benshetrit for Cappellini, evokes different intersections of volumes on every side; made with a 100% recyclable polymeric material, with the rotomoulding technique. 3. Mutant comfort. Airport by Damjan Ursic for Futura, thirteen versatile element for different combinations: seats transform into backs, backs into seats, taking on multiple forms in a range of positions. - Caption pag. 132 1. Mutan composition. Fluzion shelves designed and produced by Claude Velasti, in metal painted with RAL colors or custom tones. The single module can be organized in different groupings. 2. Mutant silhouette. Sitting on the ghost of design, the table designed by Fos for Furnism; structure in teak, top in MDF with shaped sectors to create an irregular multicolored patchwork by grouping multiple tables. 3. Mutant hybrid. Plaid Bench by Raw Edges for Dilmos, composed of three modules that differ in terms of size, type of wood and finish; when intersected they produce different plaid patterns. The images show the installation of the prototype at the London Design Festival 2010. - Caption pag. 133 1. Mutant function. Tric by Sakura Adachi for Campeggi is a bookcase that transforms into a console table with two chairs, made in plywood with polyurethane lacquer finish, in two colors. 2. Mutant stance. Stolica D by Kako-Ko Design Studio for Eurocankom, chair with solid wood legs, seat and back made with a single piece of cut, folded felt. 3. Mutant order. In-canto by Marco Ferreri for Adele C., a column-bookcase that extends thanks to maximum rotation of 180 degrees that transforms the corner unit into a wall bookcase or freestanding shelving at the room’s center. Structure in plywood with natural birch veneer, central piece in sheet metal with cobalt blue powder coating. - Caption pag. 134 1. Mutant origami. Grand Central folding table designed by Sanna Lindström and Sigrid Strömgren; the MDF top is made with 22 sheets, connected by textile hinges to open outward. Prototype. 2. Mutant color. Flamboyant by Alessandro Dubini for Skitsch, table with metal structure and three glass tops of different colors that open up and overlap to create new colors. 3. Mutant geometry. Scaccomatto by Isabelle Rigal for Naos, extensible table with painted wooden base, top composed of four square glass parts; thanks to synchronized movement, the four elements shift to form a sort of checkerboard. - Caption pag. 135 1. Mutant graphics: Darwin Chair by Stefan Sagmeister for Droog – developed by Grenswerk – with rocking structure covered with 200 sheets of paper with different graphics that illustrate the phases of evolution of the universe. ‘Leafing through’ the chair it is possible to change its image and shape the headrest. 2. Mutant volume. Munken Cube designed by Juno and produced by e15 and Arctic Paper, stool-table composed of 2200 sheets of paper stacked on an oak base and glued on one side, making it possible to rotate and shape the ream of paper. - Caption pag. 136 1. Mutant extension. Sofa_xxxx by Yuya Ushida, limited edition for Tools Gallery. Chair that converts into a divan by means of a simple accordion movement, made by hand with over 8000 bamboo pieces connected by metal joints. Also extensible in height and depth, it reaches a maximum length of 182 cm. 2. Mutant lightness. Airvase by Torafu Architects for Virage, decorative paper vase, freely shaped starting with a two-tone disk, also with op decoration. - Caption pag. 137 1. Mutant sign. Rek Bookcase designed and produced by Reinier de Jong Design with Bom Interieurs. The bookcase grows together with the collection of books. Made in laminate with a zigzag structure that slides to create variations of the design of the shelves. Maximum length 222 cm. 2. Mutant nature. Transformer, designed by Martin Saemmer, one-off by Nextlevel Galerie, lacquered wooden cabinet with a monolithic appearance, that breaks down into 8 different interconnected modules and offers the possibility of variation of the configuration of niches, drawers and shelves, with maximum size of 280 cm per side. 3. Mutant module. T45 by Henk Voss for Linteloo, component system formed by five sculptural MDF modules that can be used as seats and tables, or stacked to make a divider.
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