INdice/contents ottobre/OCTOBER 2011
INterNIews 19
Made a made expo, segnali di futuro/signals of the future corazze urbane/urban armor belle e low cost/beautiful and low-cost verde dentro/green inside tappeti di legno/wooden carpets a portata di mano/close at hand la casa in dettaglio/The home in detail INitaly
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IN copertina: Le balze in Opalflex della lampada da soffitto Veli, disegnata da Adriano Rachele per sLamp, creano un virtuoso gioco grafico che ricorda le ‘macchie di Rorschach’, utilizzate in psicometria e in psicodiagnostica per valutare la personalità delle persone. Disponibile in sei colori, la lampada veli è stata presentata quest’anno nella versione Veli Prisma realizzata con sottili veli in Lentiflex, una finitura ad effetto lenticolare che esalta la luce sprigionata al suo interno. Sullo sfondo della copertina, in alto, i decori a intarsio che impreziosiscono le ante del mobile D.Style-C disegnato da Giancarlo Vegni per Fasem. on the cover: the Opalflex ruffles of the Veli ceiling lamp designed by Adriano Rachele for Slamp create a virtuoso graphic effect similar to the Rorschach inkblots used in psychometrics and diagnostic psychology to investigate personality traits. Available in six colors, the Veli lamp was presented this year in the Veli Prisma version, made with thin veils of Lentiflex, a lens-effect finish that enhances the light emitted inside the fixture. On the background of the cover, at the top, the inlaid decorations of the doors of the D.Style-C cabinet designed by Giancarlo Vegni for Fasem.
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produzione production material design spazio alla natura/space for nature architetture per il bagno/architecture for the bath project
la pietra su misura/stone to measure 85 88 89
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showroom
la casa del legno/the wooden house anniversari anniversaries 100 anni di/years of olivari eventi events svicolando per milano milano design weekend 2011 concorsi competitions idee duttili/ductile ideas INternational
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paris designer’s days conversazioni sul design/conversations on design
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new york events
ICFF 2011 EDITORS AWARDS ITALIANS&CO A/in NEW YORK 127
new york showroom
interni x Technogym eventi events moskow design week 2011 132 urbanistica urban planning laboratorio urbano/urban lab 134 showroom meridiani a/in vienna 136 anniversari anniversaries 110 anni di/years of vi-spring 130
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INdice/CONTENTS II INtertwined 139
giovani designer young designers
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paesaggio landscape
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eventi Events
design bonaerense/in buenos aires
la tenuta venissa a/the venissa estate in mazzorbo
megève: L’arte di vivere tra i monti megève: the art on living in the mountains sostenibile sustainability eco-design per ambienti sostenibili eco-design for sustainable environments progetto città CITY PROJECT contaminare venezia/contaminating venice in libreria in bookstores installazioni installations meduse a milano/Jellyfish in Milan
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fashion file
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la sartoria maschile diventa tecno/Menswear goes techno Viaggiare nel segno del design Traveling under the sign of design
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raccontare il presente/narrating the present
INtopics
cinema
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office&contract
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progetti chiari/clear projects 170
info&tech
di/by gilda bojardi
interpretare il mondo/interpreting the world il controllo del lusso/controlling luxury audio e video sull’onda/audio and video on the wave
INteriors&architecture
INservice 191 206
editoriale editorial
genius-loci e colori
traduzioni translations indirizzi firms directorY
genius-loci and colors a cura di/edited by antonella boisi 2
campagna marchigiana, la casa appoggiata sulla terra
the Marches, a house resting on the ground progetto di/design by marco merendi foto di/photos by alberto ferrero testo di/text by virginio briatore 12
côte d’azur, abitare in un’installazione
living in an installation progetto e testo di/design and text by paolo romano foto di/photos by alberto ferrero 20
corea del sud, apap open school progetto di/design by lot-ek/ ada tolla + giuseppe lignano foto e testo di/photos and text by sergio pirrone
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hong kong, design institute progetto di/design by coldefy & associates architects urban planners (caau) foto e testo di/photos and text by sergio pirrone
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atene, l’hotel con il ‘wow factor’
Athens, the ‘wow factor’ hotel progetto di/design by humberto e/and fernando campana foto di/photos by andrés otero testo di/text by alessandro rocca
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INdice/CONTENTS III
INsight INarts 40
il contagio veneziano/the venetian contagion di/by germano celant INscape
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design ostile/hostile design di/by andrea branzi
INtoday
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laboratorio berlino/laboratory berlin di/by olivia cremascoli INdesign INcenter
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arredi vestiti/dressed furnishings di/by nadia lionello foto di/photos by Paolo veclani
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grafismi/graphic effects di/by nadia lionello
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INprofile
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matali crasset, progetti omeopatici homeopathic projects di/by Cristina Morozzi INproject
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jean nouvel, ceci n’est pas design di/by Alessandro Rocca
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il corpo e i suoi oggetti/the body and its objects di/by Stefano Caggiano INview
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nuovo fai-da-te/new do-it-yourself di/by Valentina Croci INproduction
72
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ispirazione meccano/inspired by meccano di/by katrin cosseta
INservice 102
traduzioni translations
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indirizzi firms directorY di/by adalisa uboldi
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INtopics / 1
EDiToriaLe
S
uperati ormai i dettami storici del design per cui “Form follows function”, il progetto contemporaneo si interroga sui vari significati della parola ‘funzione’ che oggi dà un senso agli oggetti come alle opere di architettura. I progetti presentati in questo numero offrono un significativo esempio delle poliedriche interpretazioni e dei pensieri complessi sviluppati intorno all’argomento. Nel piccolo appartamento realizzato da Paolo Romano in Costa Azzurra, per esempio, la funzione viene allusa, mimetizzata, senza essere mai esplicitata chiaramente, e diventa l’espediente per una sperimentazione fisica e concettuale che fa dello spazio abitato una sorta di installazione. Altrettanto sperimentale ma più concreto l’approccio dei Lot-Ek. Fedeli a una filosofia che da sempre li connota, i due progettisti rivisitano, nell’Apap Open School ad Anyang, nella Corea del Sud, il concetto di flessibilità architettonica dandogli forme e funzioni fuori norma, in questo caso quelle di otto container bullonati a spina di pesce che possono essere smontati e ricomposti secondo le necessità. Scendendo alla scala del design, Matali Crasset e Jean Nouvel raccontano i loro ultimi lavori in relazione a due diverse visioni dell’estetica e del progetto più in generale. Nel primo caso emerge una forte attenzione per la dimensione del sociale; nel secondo prevale una concezione funzionalistica che si riallaccia alle origini del moderno. D’altra parte, ciò che conta per il design contemporaneo non è tanto l’oggetto in se stesso quanto il processo che genera e i significati che assume durante l’utilizzo. L’esempio limite presente su queste pagine? La rassegna di progetti realizzati da vari designer emergenti che in comune hanno la relazione con il corpo. Si tratta di una serie di oggetti che, proprio in virtù della loro natura funzionale, si pongono come estensioni della fisicità viva dell’uomo e fanno di forma e funzione la sintesi più estrema ed emblematica. Gilda Bojardi Atene, New Hotel, progetto di Humberto e Fernando Campana, foto di Andrés Otero.
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INteriors&architecture / 3
VISTA DEL CASALE E DELLA PISCINA AL TRAMONTO DA SOTTO AL GELSO SECOLARE (SPECIE PROTETTA NELLA REGIONE MARCHE). ILLUMINAZIONE ESTERNA CON FARETTI LED A FILO PAVIMENTO. PISCINA IN CEMENTO A VISTA E PIANELLE IN COTTO DI RECUPERO.
Terra arIa e Luce foto di Alberto Ferrero testo di Virginio Briatore
NEI colori DELLA campagna marchigiana, UN vecchio casale RIVIVE GRAZIE ALLA PASSIONE DI UNA giovane coppia. ISOLATA E quasi sospesa TRA I campi E IL cielo, LA CASA sembra galleggiare NELLO spazio, NEL silenzio E NELLA luce. L’interno SI APRE AI NUOVI MODI DI VIVERE E ALLA NATURA CIRCOSTANTE, DISVELANDO nuove profondità, IMPREZIOSITE DA dettagli DI sapienza artigiana progetto di Marco Merendi
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la Zona pranzo, con Vista sulla piscina e sulle colline marchigiane. Tavolo in doghe di faggio piallate a mano con struttura in ferro grezzo trattato a cera, realizzato su disegno. Sedie DSW di Charles Eames per Vitra. casette-candelabro della collezione intavola di pentole agnelli. Sullo sfondo lampada-vaso ONO in cemento disegnata da Marco Merendi per Davide Groppi. il casale Costruito nel 1892 sembra galleggiare tra i campi di grano e girasoli.
C
doccia + piatto doccia outdoor Chef disegnata da Marco Merendi per Rapsel-NITO tra i cespugli di lavanda, rosmarino, rose e agapanti che circondano, insieme ad altre piante mediterranee, la casa.
ostruito nel 1892 sulle colline vicino a Filottrano, in provincia di Ancona, il casale è realizzato completamente in mattoni ed è situato in un contesto geografico memorabile: una campagna dal vasto orizzonte, posta a 20 km dal mare Adriatico e con vista sui Monti Sibillini. Dotata di spontanea bellezza, figlia del tempo e della sapienza contadina, l’architettura del casale è già felice di suo: la solidità non è priva di grazia, la composizione a corpi degradanti rivela gli ampliamenti succedutisi nel tempo, i mattoni parlano il linguaggio della terra e l’edificio ha occhi-finestra rivolti ai quattro angoli dell’universo. L’intervento dell’architetto italoolandese Marco Merendi ha rispettato i volumi esterni, trasformando internamente quella che era un’azienda agricola in una comoda dimora per la propria famiglia, in cui possano convivere nonni, adulti e bambini, pensata quindi non solo per i soggiorni estivi, ma anche come possibile luogo di vita futura.
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planimetrie dei differenti livelli dell’abitazione. il Blocco-cucina, realizzato in muratura e rivestito con vecchie graniglie restaurate e ante in castagno vecchio piallato a mano, si prolunga nell’ambiente adiacente, diventando un’ideale isola continua segnata dal morbido ‘tappeto’ di rivestimento. Lavabo antico in marmo di provenienza genovese. Sopra al piano di lavoro, lampada a sospensione Spy di Davide Groppi. Sulla parete, orologio ball clock di George Nelson per Vitra.
Al momento dell’acquisto il casale aveva già subito una primaria risistemazione che, al suo interno, lo aveva privato dei segni tangibili della storia, quali porte, camini, tavolati. L’architetto e sua moglie, anche lei appassionata di estetica e design, si sono innamorati del paesaggio circostante e hanno studiato una casa protettiva e ricca di sorprese al suo interno, ma il più possibile aperta verso la natura circostante. Ecco quindi che, nell’entrare in casa, si notano subito i serramenti in ferro verniciato, disegnati per essere aperti completamente. In questo modo le due nuove aperture che inquadrano il lato piscina e le altre preesistenti acquistano nuova luce e permettono al paesaggio di entrare dentro all’architettura, di creare uno spazio in cui l’esterno danza sulle soglie, sui davanzali e le colline, diventando parte integrante della casa stessa. Uno spazio mutevole, che cambia con lo scorrere delle stagioni, con la crescita dei girasoli, del grano, degli ulivi e delle colture che vi sono intorno.
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La zona soggiorno ricavata dalla vecchia stalla con il tipico soffitto a voltine. Pavimento in resina cementizia spatolata, appositamente realizzata da Mapei. Sedia-dondolo Rar di Charles Eames per Vitra. Nella nicchia a parete, collezione di antichi piatti olandesi di porcellana con fori per lo scolo dei sughi di carni e verdure. Sul cassettone spagnolo del 1800, lampada Aba di omar carraglia per Davide Groppi. Sullo sfondo chaise longue di Missoni Casa.
gli scuri in ferro verniciato e traforato al laser creano suggestivi giochi di luce sulle pareti, nel living. sullo sfondo, lampada da terra TOOBO disegnata da Marco Merendi per FontanaArte. pagina a fianco, lo Sbarco scala in vecchie pianelle di cotto che affaccia sulla sala lettura e offre una vista passante sui primi due livelli della casa. Volume camino in lamiera di ferro cerato con basamento in cemento lisciato a vista, pavimento in doghe di castagno antico. chaise longue di Paola Lenti e poltroncine Barcelona di Mies Van der Rohe per knoll international.
In merito, anche se per fortuna non visibile dall’interno della casa, una delle culture più sorprendenti, diffusasi improvvisamente in molti terreni agricoli della penisola, è quella dei pannelli solari. Testimonianza di come cereali, frutta, verdura e ortaggi siano mal retribuiti e di come la fame maggiore sembri oggi essere quella energetica. Il casale è stato ristrutturato con grande passione, coltivando i rapporti sia con fornitori nazionali sia con le maestranze locali, come il fabbro ottantenne a cui si devono preziosi dettagli quali il corrimano della scala forgiato e battuto manualmente. Entrambi i coniugi hanno dedicato molte energie a cercare materiali della tradizione locale e arredi di recupero: anzitutto le vecchie cementine colorate, scelte una per una in un piccolo capannone a Colle Sannito, perfette per creare colorate “pareti-patchwork” nei bagni e nella cucina e poi lavabi in pietra o marmo, pianelle in cotto per la scala, le soglie, la terrazza e la piscina.
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vista della camera da letto in mansarda sotto la vecchia capriata in legno, sulla quale l’artista Roberto Cambi ha posizionato due fantasmi luminosi realizzati in ceramica bianca, posti come numi tutelari della casa. la camera da letto per gli ospiti situata al primo piano. Sulla parete, cornici in legno con abbecedario botanico ricamato a mano. nella pagina a fianco, la Scala del piano mansarda, in ferro e cementine di recupero, con corrimano in ferro forgiato a mano.
L’edificio si sviluppa su tre piani: il piano terra aperto sulla campagna, con la cucina e il living; il piano superiore con sala musica e lettura, due bagni e tre camere da letto per i bambini e gli ospiti; l’ampio sottotetto con la spartana camera dei padroni di casa compensata da una molto confortevole sala da bagno con vasca. Al piano terra il blocco cucina ‘attraversa’ virtualmente una parete e si congiunge con la zona pranzo e di lì con il living che, a sua volta, è uno spazio aperto, ricavato dalla vecchia stalla con il tipico soffitto a voltine. Ovunque la luce gioca e ruota nello spazio, penetrandovi dalle numerose finestre situate su tutti i lati della casa e sottolinea di volta in volta nuovi dettagli, come il volume in ferro cerato della cappa del camino, il blocco centrale della scala o le quinte scorrevoli in legno antico di castagno piallato a mano che si possono far scorrere e nascondere dietro al camino stesso. Lo scorrimento svela un’altra sorpresa e si capisce che l’open space può dividersi e creare una zona studio che si affaccia sull’orto, altro luogo ben
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curato, da cui la padrona di casa, coadiuvata dalle locali anime contadine di Pierino e Giovanni, trae linfa vitale per il corpo e per la mente. Qui, come nella maggior parte dei piani di calpestio, il pavimento è in resina cementizia spatolata, realizzata appositamente per questo progetto dalla Mapei, mentre in altri ambienti, come la sala lettura al primo piano è realizzato con grandi doghe di legno di castagno piallato a mano. Grande cura è stata rivolta anche ai dettagli, come gli scuri in ferro con grafiche disegnate al laser che, con il sole basso dell’alba e del tramonto, proiettano sulle pareti disegni di moresca memoria. Bisogna infine tener conto che il nonno materno dell’architetto Merendi era direttore della Philips di Eindhoven e quindi egli si ritrova nel DNA una passione innata per tutto ciò che è illuminazione sia degli interni che degli esterni. Numerosi sono infatti gli scenari e le combinazioni di luce che anche di notte possono mettere in risalto i pieni e i vuoti, le acque e le foglie, di questa antica casa appoggiata sulla terra.
materiali della tradizione locale e arredi di recupero: l’antico casale sottolinea di volta in volta nuovi dettagli
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Il bagno grande del piano primo, con vista sulla campagna circostante. Zona doccia rivestita con cementine di recupero, composte a creare un patchwork ed enfatizzate dalla luce della lampada Spot di Davide Groppi. Pavimento in doghe di castagno piallate a mano. Lavabo antico in pietra, specchio e lampadario di recupero dei primi del ‘900.
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il mare e il paesaggio della costa azzurra inquadrati dall’ampia vetrata-quadro del soggiorno. sulla terrazza, tavolo in legno di provenienza filippina e sedie di harry bertoia prodotte da knoll international.sgabelli ST04 Backenzahn in legno di E15. nella pagina a fianco, il giardino visto dalla camera da letto. in primo piano il volume trasparente che accoglie il box doccia e la sedia Fronzoni ’64 di Cappellini, design A.G. Fronzoni.
Vivere in un’installazione
foto di Alberto Ferrero stylist Francesca Salvemini a cura di Antonella Boisi testo di Paolo Romano
Un piccolo appartamento in un edificio dei primi anni settanta nei dintorni del principato di monaco, da ristrutturare per sé e destinare a casa di vacanze. la dimensione contenuta, le viste del mare e del verde, il desiderio di avvicinare funzionalità quotidiane e cura dello spirito, come stimoli per sperimentare la ‘soglia’ condivisibile tra pratica architettonica e artistica. Abbiamo chiesto al progettista di raccontarci ogni cosa progetto di Paolo Romano
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I
l centro della casa – il centro della croce – la metafora generatrice del progetto, è occupato da un enigmatico parallelepipedo di cristallo. Chi entra chiede perché – e chiede inevitabilmente, o si chiede: “Cos’è?” Mi conceda questa storiella: “Una donna e un uomo, un architetto e un cammello vedono il cristallo. Sa cosa dicono? La donna che è una doccia, l’uomo che è una lampada. Allora chiedono all’architetto che dice che è una finestra. Il cammello non parla ma sa che è una macchina per fare miraggi”. Chi la sa più lunga sul cristallo? “Hanno ragione tutti ma…io sto dalla parte del cammello: è quello che è in grado di dire le cose più interessanti, se non altro è quello che più di tutti ne sa di miraggi, perché li abita. Ospite in un’architettura ritrova e gode a pieni polmoni il sottile fascino dello spaesamento, del perturbante, della contaminazione fra reale e virtuale che ha già vissuto nel deserto”. Perché il cammello pensa che sia una macchina per fare miraggi? “Si è accorto subito che quel cristallo, messo così, è capace di fare miraggi. Li fa come l’aria del deserto, con un gioco di riflessi. Solo non in modo naturale, è una macchina. E a differenza degli altri,
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il cammello gode consapevolmente non subisce passivamente illusioni e miraggi senza accorgersene.Mi è simpatico per questo”. Ci piacerebbe però sapere qualcosa di tecnico sulla macchina, qualcosa che solo sa l’architetto… dove sta veramente la macchina, come funziona… “La macchina è tutta lì concentrata in una sola faccia del parallelepipedo (quella che non ha contatti con la parete) e funziona come un semplice specchio. Che funzioni come uno specchio senza esserlo, il punto è tutto qui in questa frase”.
Come è possibile? “Lo specchio è stato decostruito al punto giusto privandolo di tutti gli elementi che ne facilitano il riconoscimento cognitivo – non è uno specchio argentato ma un semplice cristallo trasparente, manca la cornice e manca anche il bordo, manca il muro su cui è appoggiato, il pavimento ne attraversa la base: mancano troppe cose che in uno specchio dovrebbero esserci e ce ne sono alcune che gli specchi non si sognano di avere. Abbiamo fatto in modo che il cervello
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vista d’insieme dell’area-living popolata di pochi e selezionati pezzi di design. chaise longue Outline disegnata da Jean Marie Massaud per Cappellini. pouf Livingstones di stéphanie marin per Smarin. sculture in ferro di Antonino Sciortino. al centro, il parallelepipedo di vetro acidato che contiene la cucina e un bagno. planimetria dell’appartamento e, nella pagina a fianco, nel disegno assonometrico, la calibratura degli spazi con l’indicazione delle linee direttrici. Si notano gli elementi mobili (in verde) e gli elementi mobili trasparenti (in azzurro).
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il ‘modulo parallelepipedo’ si ripete costantemente nel disegno degli ambienti e degli arredi: come nei tre armadi mobili e sospesi dell’ingresso che fungono da contenitori. pagina a fianco, il grande cristallo trasparente incastonato nel parallelepipedo sospeso nella parete al centro della casa, che accoglie la doccia: l’oggetto emblematico, che stimola una diversa percezione dell’architettura e degli spazi, durante le ore serali, quando diventa fonte di luce variabile cromaticamente.
dovesse faticare troppo per identificarlo come oggetto-specchio e, infatti, se non si concentra, lo specchio semplicemente non c’è, anche se conserva la sua funzione di riflessione, funzione senz’organo, che è presente senza che l’osservatore possa percepirla. Non stupisce che non accorgendosi dello specchio non ci si accorga neppure dell’esistenza della sua funzione (la riflessione), anche in natura (e nella società) quando l’organo non è percepibile la funzione opera inconsciamente nei soggetti”. Perché avete fatto tutto questo? “Si tratta solo di uno stratagemma cognitivo nascosto in un’architettura, che ha però un significato concettuale preciso: mi ha consentito di sperimentare quanto possa essere piacevole abitare la soglia fra la casa tradizionale e l’installazione artistica”.
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Il racconto si sviluppa infatti secondo due registri distinti che si articolano entrambi rispetto all’oggetto emblematico: un parallelepipedo sospeso di cristallo trasparente posto al centro della casa, che ne cura silenziosamente la regia e la percezione spaziale complessiva. Ad un primo livello di interpretazione – il più immediato – la purezza delle forme e dei toni cromatici morbidi mimetizzano, in un’omogeneità diffusa, tutte le funzioni domestiche tradizionali, senza che risultino in alcun modo visibili. In quest’atmosfera s’inserisce un grande parallelepipedo di vetro acidato, che contiene la cucina e un bagno. Una geometria luminosa quasi caduta lì dall’alto per imprimere intensità al progetto. Il ‘modulo parallelepipedo’ si ripete costantemente nel disegno degli ambienti e degli arredi: nell’altro cristallo trasparente incastonato
nella parete al centro della casa, nei tre armadi mobili e sospesi dell’ingresso, nel portellone porta-spezie che nasconde in cucina la zona di cottura, nello scrittoio dissimulato nella parete della stanza padronale. Tutto ciò conferisce al progetto una forte unità concettuale ed espressiva, appena attenuata e resa flessibile mediante la varietà degli spazi e degli scorci realizzata con l’uso di specchi, vetri, pareti e armadiature mobili. Questa flessibilità permette agli spazi di calibrarsi e adattarsi al mood abitativo secondo gli eventi privati e sociali che vi si svolgono. Poi, al centro della casa, ad un primo momento quasi invisibile, s’incontra un nuovo parallelepipedo trasparente e sospeso, l’oggetto emblematico, che apre un secondo registro interpretativo e innesca una più sottile percezione dell’architettura.
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il grande bagno accolto nel parallelepipedo di vetro risulta in comunicaziane diretta con la camera da letto padronale. specchi, pareti e armadiature mobili restituiscono una flessibilità d’uso finemente orchestrata a entrambi gli ambienti e una percezione altamente dinamica di angoli e scorci visivi. accessori e tessile bagno di Coincasa. federe e copriletto di Society. sul comodino, lampada da tavolo Fato di Artemide, design Gio Ponti. nella pagina a fianco, la seconda camera da letto che si sviluppa in continuità lungo il lato del fronte vetrato. sgabelli Bisonte di Produzione Privata, design Michele De Lucchi e Philippe Nigro.
“Si tratta di un oggetto destinato a funzioni diverse. Fonte di luce diurna per il secondo bagno, diventa di sera luce soffusa e colorata per tutti gli ambienti e anche una doccia da cui guardare, dal mare a est al giardino ad ovest, quasi si fosse in un panopticon, mentre si sperimenta il punto di vista impossibile del proprio corpo preso in un’illusione leggera di lievitazione. Il gioco di riflessi sul vetro trasparente – uno specchio decostruito e perciò invisibile – propone infatti suggestioni più mediate e profonde in cui la casa, persa la sua prima pelle, si scopre completamente e rivela un progetto unitario emozionale, fatto questa volta di percezioni visive effimere e di miraggi appena accennati. L’effetto di straniamento che ne deriva mette in stallo impercettibilmente le dinamiche ripetitive –
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mentali e sociali – della persona aprendola ad un’etica ed estetica del sé simile a quella suggerita da alcune installazioni artistiche contemporanee. Alla fine, la progettazione degli spazi e degli arredi fissi contrabbanda segretamente alcune esperienze estetiche contemporanee entro i confini apparentemente inviolabili delle pratiche quotidiane consolidate. Rilassarsi, lavarsi, cucinare, prendere e riporre le cose e muoversi sembrano avvenire in un luogo pieno di significato. Sono tutte azioni che fanno entrare in un luogo in cui in cui molte delle cose che abbiamo raggiunto ma non ci appartengono sono messe in posizione di stallo. Si sta entrando in un’installazione. Si deve concludere che in un certo senso per vivere il contemporaneo, un’installazione la si deve abitare?”
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Anyang, Corea del Sud, l’APAP Open School racchiude, nella figura di una spirale di ferro connotata da un colore giallo vivido, il senso altamente sperimentale della ricerca progettuale dei Lot-Ek
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INteriors&architecture / 21
La sede dell’APAP 2010 Openschool (Anyang Public Art Project) che declina il suo programma scolastico con laboratori, conferenze, proiezioni, esibizioni, concerti e feste dentro tre edifici immersi nel parco Hakwoon, lungo il fiume Anyang. L’architettura firmata dai Lot-Ek, l’Open School, spicca con il suo colore giallo vivido. Pagina a fianco, vista di scorcio dell’Open School, racchiusa in un’architettura sviluppata bullonando otto container in lamiera di ferro corrugato secondo uno schema a spina di pesce lungo angoli di 45 gradi.
La spirale nel parco
progetto di LOT-EK/ Ada Tolla + Giuseppe Lignano foto e testo di Sergio Pirrone
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Altre vedute della spirale di ferro corrugato che definisce la struttura architettonica. La sua scocca nuda e sinuosa è staccata tre metri dal livello stradale. Il suo estremo inferiore accoglie il vano scala d’entrata all’edificio, mentre una ripida rampa di scale conduce al tetto-terrazza.
A
lla fine degli anni Ottanta, Ada Tolla e Giuseppe Lignano si chiedevano verso quale altro porto avrebbero navigato tutti quei container accatastati nel porto di Napoli. Terminati gli studi, partirono per l’America cercando quel modello che avrebbe potuto emigrare la forza di un caos declinante nella spontanea pianificazione di una società iper-industrializzata. Lot-Ek nasce sulle banchine di Manhattan, tra corpi eterogenei casualmente ammucchiati nei capannoni industriali della metropoli verticale, fissando l’approdo delle navi mercantili tra le braccia d’acciaio del New York Container Terminal. “La spontanea casualità del territorio costruito è ciò che veramente ci interessa, il suo stratificarsi ovunque come se la città fosse un gigantesco negozio di ferramenta, la sua abbondanza, ci raccontano di come realmente noi esseri umani operiamo”. In 15 anni, Ada e Giuseppe
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hanno riesumato il concetto di flessibilità architettoniche e gli hanno dato infinite forme e funzioni fuori norma. Hanno tradotto l’abbondanza in essenza primaria, gli scarti della società, siano di ferro, cemento, plastica o neon, in elementi architettonici puri. Dalle sale conferenze dentro container a rotaie per la Bohen Foundation di New York, ai tubi fluorescenti negli ingressi dei CanCo loft nel New Jersey, alla proposta di riutilizzare fusoliere di vecchi aerei per mini-grattacieli. Fino allo sbarco nella capitale cinese, alle prime realizzazioni in grande scala, quelle nel distretto di Sanlitun. Seoul dista 2 ore d’aereo da Pechino e 30 minuti di macchina da Anyang. Da un decennio, la Corea del Sud scommette sul proprio risveglio culturale e l’APAP (Anyang Public Art Project) Foundation è uno dei suoi tanti dadi, che da un lustro illuminano città coreane dal volto anonimo e dal temperamento emotivo.
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Viste degli interni che si sviluppano come spazi rettilinei, aperti e multifunzionali, inquadrando prospettive allungate e vetrate sul parco circostante.
LOBBY STAIR - 01
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Il programma APAP 2010 ha previsto un trimestre intenso di laboratori, conferenze, proiezioni, esibizioni, concerti e feste all’interno e attorno a tre nuove architetture adiacenti ed immerse nel parco Hakwoon, lungo il fiume Anyang. L’Open Pavilion realizzato dal coreano Minsuk Cho di MassStudies, l’Open House di Raumlaborberlin e l’Open School dei Lot-Ek. I due italiani a New York hanno schizzato il piano verde con una goccia di giallo vivido. Spirale di ferro corrugato, possiede insieme il senso del temporaneo e la forza che unisce la terra al cielo, l’origine delle cose al movimento cosmico, alla sua espansione. Otto container sono bullonati secondo uno schema a spina di pesce lungo angoli di 45 gradi. La scocca nuda e sinuosa,
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staccata 3 metri dal livello stradale, tra l’incrocio e la sponda, l’asseconda con una gradinata china sullo scorrere del fiume. Il suo estremo inferiore accoglie il vano scala d’entrata all’edificio e sfiora appena il piano giallo di calpestio, vero e proprio anfiteatro topografico per performance e incontri. Il secondo livello sospende interni rettilinei, adiacenti e circolari, i cui piani orizzontali lignei inquadrano prospettive allungate e vetrate sul parco circostante. Un open space multifunzionale accoglie assemblee ed esibizioni tra due laboratori-studio per artisti, mentre lo spazio corre orizzontalmente in senso antiorario, così veloce da dover alzare lo sguardo. È un decollo improvviso, lungo una rampa di scale ripida come un tunnel che porta al cielo.
Atterrati sul tetto, ci si guarda tutto intorno e si decide di lasciarsi alle spalle gli anonimi palazzi grigi. Si cerca la fine del fiume e ci si chiede se la città vada oltre le colline. Su una delle due panchine nere sospese nel vuoto, si sorride al vicino e ci si scopre guardati da una ciclista per caso.
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il design institute, grande piattaforma dedicata a 4000 studenti, si propone come nuova icona, baricentro urbano e polo d’energia creativa nel fuori scala del quartiere popolato di torri in cui sembra essere ‘atterrato’ per errore progetto di Coldefy & Associates Architects Urban Planners (CAAU)
Tetris a Hong Kong foto e testo di Sergio Pirrone
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nelle pagine precedenti, veduta d’insieme dell’hong kong design institute nel contesto del quartiere cinese in cui sorge. La passerella sopraelevata collega l’hkdi al vicino centro commerciale. la dinamica composizione dei volumi e degli spazi ripresa dalla ‘galleria’ che unisce come una ‘promenade attrezzata’ i vari livelli di passaggio e di sosta interni.
C’
era una volta il futuro. Per alcuni sarebbe stato entusiasmante, per altri meno, ma tutti avrebbero avuto il tempo di prepararsi al suo arrivo. Quando si svegliò la Cina tutto cambiò e il presente disse per sempre addio al passato: era già futuro. A Hong Kong, durante la ritirata britannica, la virtù dell’attesa era già smarrita, l’improrogabile opportunità edilizia puntava ormai da vicino il fianco orientale dei Nuovi Territori. Tiu Keng Leng, nell’aria di Tseung Kwan O, zona meridionale del distretto Sai Kung: nulla da raccontare fino all’ottobre del 2008, quando stecche fitte per gabbie residenziali, barre colme di centri commerciali cominciarono ad allungare il
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collo a questi 42,000 mq di metropoli suburbana. Il sogno di Tetris si stava realizzando. Dall’alto ‘piovevano’ torri di 50 piani, e ancora torri giallo ocra, svuotate di spazi piccoli e bui, e prive di quella forza accentratrice che solo i vuoti lasciati liberi dalla loro caduta casuale potevano offrire. Così già nel 2006, il VTC (Vocational Training Council) aveva promosso il concorso internazionale per la realizzazione del nuovo Hong Kong Design Institute, grande piattaforma del design che doveva incorporare i tanti dipartimenti sparsi per la città. L’architettura sarebbe diventata un baricentro urbano, un polo d’energia creativa regalato alla comunità dai 4000 studenti, il segno caratteristico di un volto fino a ieri inespressivo. Come un foglio bianco su cui scrivere il futuro di una città giovane, The Blank Page del giovane outsider Coldefy & Associates Architects Urban Planners (CAAU) ha sorpreso, diventando la prima architettura disegnata interamente da uno studio francese a Hong Kong. Non ancora quarantenni, Thomas Coldefy e Isabel van Haute ‘battono’ il vuoto urbano con tre mosse verticali: ‘calano’ un podio quadrangolare, lo ‘infilano’ con quattro torri verticali, che bloccano con una piattaforma flottante vetrata.
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qui sotto, alcuni degli spazi che caratterizzano i quattro differenti dipartimenti scolastici, tra sale per seminari, spazi laboratorio, biblioteca, centri di ricerca. le quattro torri verticali che li accolgono hanno ossature d’acciaio bianco collocate in diagonale su basi di cemento grigio scuro. pagina a fianco, le impressionanti rampe di scale mobili panoramiche che costituiscono la ‘colonna vertebrale’ dei flussi verticali, dal piano stradale fino alla piattaforma flottante vetrata.
Meraviglia cinese, sconfinato parco giochi per uomini bianchi che sperimentano il gigantesco, e realizzano l’inverosimile in cambio della morte del dettaglio. Da King Ling Road, la semplicità geometrica è inversamente proporzionale all’impressionante scala. Alla sua relazione con i pedoni che attraversano al semaforo, agli studenti che sorvolano la strada dalla passerella sopraelevata che unisce l’HKDI all’adiacente centro commerciale. Le due pedane aperte inverdite ‘spiovono’ sul fronte stradale principale ed estrudono a differenti altezze. La più bassa accoglie l’area sportiva con piscina e campo da basket, la più alta diventa parco urbano e semi open space per eventi ed incontri informali. Dal piano stradale, due rampe di scale mobili panoramiche costruiscono la colonna vertebrale dei flussi verticali al ‘cappello’ flottante, mentre l’agorà adiacente all’edificio preesistente del HKDI è accostata da auditorium, galleria, caffetteria e centro sportivo indoor. Le quattro ‘gambe’ didattiche di cemento grigio scuro hanno ossature d’acciaio bianco, diagonali come le reti dei pescatori che un tempo abitavano questi luoghi. Si arrampicano e sorreggono il peso del complesso strutturale, proteggono i quattro differenti dipartimenti scolastici e li aprono alla città. Classi, sale per seminari, spazi laboratorio, salgono su, in alto, verso la fine del gioco. Il diagramma bianco si legge dietro i vetri ciano dell’ultimo tetris. Due piani per uffici amministrativi, biblioteca, centri di ricerca, sospesi leggeri a 33 m dal suolo e vetrati a 360 gradi. Il quartiere, disarmonico da ovunque lo si guardi, ha acquistato una nuova icona: la foschia accecante del mezzogiorno non riesce a nascondere l’aberrante cantiere chiamato futuro.
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Il New Taste Restaurant, con le sedie Pixel e i lampadari Campana prodotti da Edra. nella pagina a fianco, un dettaglio della decorazione realizzata riciclando e assemblando, in collage a tre dimensioni, gli arredi del vecchio albergo, l’Olympic.
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foto di Andrés Otero - testo di Alessandro Rocca
I Fratelli Campana SONO DEGLI ESPERTI DEL wow factor, SANNO COMUNICARE idee ED EMOZIONI ATTRAVERSO scelte inedite E SPIAZZANTI, IMMAGINARE UN lusso aperto ALLE tecniche E AI materiali DERIVATI DALL’artigianato etnico E DALLA cultura low cost. COME IN QUESTO PROGETTO, IL loro primo hotel, AD Atene, PER LA catena Yes!hotel DI DAKIS JOANNOU progetto di Humberto e Fernando Campana
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Una veduta dell’edificio, che all’esterno ha mantenuto la sua immagine modernista e un’immagine della reception-lobby con le colonne in stile “favelas”.
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ernando Campana racconta: “Sono laureato in architettura (mentre mio fratello Humberto, che ha 8 anni più di me, è laureato in legge) ma ho capito che quella non era la mia dimensione. Perciò ho rifiutato, per molti anni, di lavorare sugli edifici e mi sono dedicato agli arredi, alla grafica e talvolta anche alla moda, ma mai all’architettura”. Chi è stato a fargli cambiare idea? Young, Enthusiastic e Seductive sono le tre parole che in acronimo formano Yes, un bel Sì, rafforzato dal punto esclamativo, che dà il nome alla catena di alberghi del tycoon greco Dakis Joannou.
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Imprenditore, distributore della Coca-cola in 27 Paesi e collezionista di livello mondiale dei massimi artisti d’oggi, da Joseph Kossuth a Vanessa Beecroft, da Maurizio Cattelan a Urs Fischer e Takashi Murakami. Per averne un’idea, basti pensare che l’anno scorso il New Museum di New York ha ospitato una mostra, curata da Jeff Koons, che si intitolava Skin Fruit: Selections from the Dakis Joannou Collection, e che presentava un centinaio di opere scelte tra le oltre 1500, di cui 400 di arte contemporanea, in possesso del magnate greco. Koons che, tra l’altro, qualche anno fa, ha firmato il variopinto yacht personale di Joannou, chiamato Guilty. Ad Atene, Joannou ha altri 4 Yes!hotel, tra cui il Semiramis di Karim Rashid, che manifestano in modi diversi un rapporto diretto e intenso con l’arte contemporanea. La decorazione delle camere del
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I corridoi sono rivestiti con una carta da parati che si ottiene dalla corteccia di una pianta africana, una moracea ugandese. Nei bagni, i lavabi sono trattati come rocce geometrizzate e hanno lavelli in ottone massiccio. Sono molti gli arredi originali, su disegno, come la sedia porta quotidiani in legno, oppure i pezzi di recupero come il “cavallo”, attrezzo ginnico acquistato al mercato antiquario ateniese.
Twentyone, per esempio, è affidata a giovani artisti mentre il Periscope ha, in ogni camera, suggestive light box con vedute della capitale greca. Nell’idea di Joannou, la catena degli Yes!hotel non si deve riconoscere per il ripetersi di soluzioni standard ma, al contrario, per l’alto tasso di individualità e originalità e per un rapporto forte con la creatività dell’arte contemporanea. Per la ristrutturazione del vecchio Olympic Palace Hotel, un edificio modernista costruito nel 1958 che si trova nei pressi di Sintagma, la piazza centrale di Atene, a ridosso del quartiere turistico della Plaka, ha voluto una firma di livello internazionale che fosse capace di interpretare la situazione in modo inconsueto. Perciò la scelta, imprevedibile, è caduta su uno studio che, per l’architettura, è veramente molto anomalo: quello dei fratelli Campana, a cui è stata affidata l’invenzione di un
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albergo che, non a caso, si chiama New Hotel. Per usare un modo di dire americano, i Campana sono degli esperti del “wow factor”, sanno comunicare idee ed emozioni attraverso scelte inedite, spiazzanti, e immaginare un lusso non convenzionale, aperto alle tecniche e ai materiali derivati dall’artigianato etnico e dalla cultura low cost, come il riciclo e il bricolage. Per esempio, Fernando spiega che “abbiamo deciso di non buttare niente, niente scarti, ricicliamo tutto”, e nella lobby le pareti e le colonne sono ricoperte dei frammenti della mobilia trovata nel vecchio albergo. La tecnica del collage tridimensionale, già usata nella celebre sedia Favela disegnata nel 1991 e prodotta da Edra, è applicata alle pareti della reception, alle colonne e al banco del New Taste Restaurant, in uno spettacolare diorama dell’albergo precedente.
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Un’immagine del New Taste Restaurant con le sedie Pixel, il lampadario in alluminio anodizzato disegnato dai Campana per Edra e il rivestimento Favela, che ricicla i vecchi arredi dell’Olympic Hotel.
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le Camere da letto sono decorate con collage di cartoline greche degli anni cinquanta e sessanta. La scrivania a parete, Brasilia, è ricoperta da una impiallacciatura in rovere. Sedie Volume, allo scrittoio, e Ladder, dall’alto schienale a scaletta. Decori e arredi realizzati dal workshop Campana, allestito ad Atene per questo progetto. Una stanza decorata con l’occhio bianco, azzurro e blu dell’amuleto greco contro il malocchio.
Una decorazione che introduce una nuova dimensione materica e spaziale senza che ci sia il bisogno di trasformare il layout e la struttura del vecchio edificio. Infatti, le scale in marmo nero sono state mantenute così come i corridoi, che però sono stati rivestiti con una carta da parati che si ottiene dalla corteccia di una pianta africana, una moracea ugandese. Per l’allestimento delle stanze, i Campana hanno adottato elementi ricorrenti, come le scrivanie in rovere impiallicciato e i pavimenti in bambù, i bagni con i lavabi trattati come rocce geometrizzate e le luminose vasche in ottone massiccio. Ma il fatto più innovativo è stato la suddivisione delle stanze in tre categorie tematiche diverse. “Per gli arredi, racconta Fernando, abbiamo organizzato tre gruppi di studenti, una ventina in
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tutto, delle scuole di architettura e design dell’università della Tessaglia, che hanno lavorato con l’obiettivo di collegare folk e contemporaneo”. E con loro hanno messo a punto arredi e complementi legati a tre temi, alla storia e alle tradizioni popolari greche. Il primo tema, applicato in 27 stanze, è il Karagiozis, il personaggio principale del teatro delle ombre, uno spettacolo popolare molto diffuso in Grecia e in Asia minore. Le silhouette delle marionette sono state intagliate, dorate e attaccate ai muri delle stanze come fotogrammi di una favola in movimento. Le storie raccontate sono quattro, e vedono Karagiozis protagonista nei ruoli del dottore, del marinaio, dello sposo e dell’astronauta. Il secondo tema è quello dell’Evil Eye, l’amuleto che protegge dal malocchio e che si distribuisce in costellazioni bianche e blu lungo le pareti di 24
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Una delle 27 stanze decorate con il Karagiozis. Le silhouette della marionetta sono state intagliate, dorate e attaccate ai muri delle stanze come fotogrammi di una favola in movimento. si nota Un particolare del bagno, con il lavabo in ottone a forma di roccia geometrizzata.
stanze. Nelle restanti 27 stanze si realizza il terzo tema: cartoline d’epoca, montate in modo molto informale, che mostrano l’Atene degli anni Cinquanta e ricordano un sistema di comunicazione che oggi è quasi del tutto abbandonato. Naturale e artificiale, moderno e contemporaneo, etnico e industriale… nell’eclettico programma dei fratelli Campana il sincretismo che impronta la cultura del loro Paese d’origine, il Brasile, diventa una strategia globale. Un modo per capire la nostra realtà, sempre più composta di frammenti separati, e di darne una visione unitaria in un’immagine che può sembrare instabile, sempre in cerca di un equilibrio impossibile, ma che forse trae la propria energia proprio dal suo irrequieto dinamismo e dal fatto di cercare sempre un contatto, attraverso i modi più imprevisti, con il mondo della natura.
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Larry Bell, Conrad Hawk, 1961.
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la sede della biennale seduce e spinge a confrontarsi con il passato come avvicinamento alla conoscenza contemporanea. in un’atmosfera dove la memoria si nutre di tracce, reali e fittizie, continuamente condivise tra le persone
Il contagio veneziano di Germano Celant Bruce Conner, Homage to Jay De Feo, 1958.
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Llyn Foulkes, Lucky Adam, 1985.
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Llyn Foulkes, Washingtonland, 2006.
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immagine di Venezia è contagiosa, quanto un artista o un curatore entra nella sua arena, inevitabilmente si lascia trascinare dal delirio della sua storia e dai percorsi iconici ed urbani. La sorgente seduce e spinge a confrontarsi con il passato come avvicinamento alla conoscenza contemporanea. Un affondare negli spettri di una cultura invaghita delle memorie dell’antico che si nutre del trionfo della morte e delle maschere modellate sui corpi dei defunti. come il Trafugamento del corpo di San Marco, 1562-1566, di Tintoretto che è stato adottato come simbolo introduttivo alla 54ma Biennale di Venezia, curata da Bice Cruriger. Una scelta iconica che cerca di irraggiare energia dal morto al vivo, così che il prolungamento dell’oggi sia sublimato dalla figura possente della storia. È un utilizzare l’immagine prima delle idee, cercando di comunicare che le illuminazioni (il titolo è IllumiNazioni) di ieri possono risorgere e incarnarsi nell’oggi. Non è proprio così anche se la presenza di Tintoretto nel padiglione centrale ai Giardini sembra strumentalizzare il corpo del defunto per inculcare la percezione di continuare ad entrare in uno spazio consacrato, non più alla sacralità, ma all’arte. Tuttavia l’al di là non corrisponde all’al di qua. La luce che benefica di una credenza, oggi si traduce solo in luminaria,tanto che, introdotti e
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giustificati dalle visioni di Gianni Colombo e di Jack Goldstein, dove l‘invisibile ambientale e informativo era soggetto storico, molti artisti da James Turrell a Haroon Mirza e Navid Nurr, sono presenti per il loro lavoro sui linguaggi dove la luce è strumento di percezione e di decoro. Il pericolo è l’imbalsamazione e la mummificazione di un sottosuolo iconico che sperano di trovare in Venezia e nella sua storia uno specchio, che
Mike Nelson, Impostor, 2001 (dettaglio).
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Llyn Foulkes, Mount Hood, Oregon, 1963.
Monica Bonvicini, Untitled (15 Steps to Virgin), 2011.
Ed Kienholz, John Doe, 1959.
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sfortunatamente funziona come doppio del morto. È il caso dell’ambientazione televisiva di Pipilotti Rist che, riprendendo la veduta di un maestro veneziano anonimo, la anima con le sue sequenza New age, quasi una ritualizzazione di un tentativo di sopravvivenza che ricorre all’uso del doppio paesaggistico, quale protezione dal peggio. Lo stesso si può dire di Monica Bonvicini, le cui precedenti costruzione erano critiche di un certo machismo, edificatorio e lavorativo, impegnata qui in un sottile e leggero gioco metaforico sulla scala di specchi, ispirate alla Presentazione della Vergine, sempre di Tintoretto, la vera star di questa Biennale. Un altro tentativo di reincarnazione veneziana lo si deve ai Gelitin, un collettivo di artisti che chiamano in causa l’immagine dell’industria del vetro di Murano, ha prodotto nel Giardino della Calandre, un evento dove il rituale della fusione del vetro, in un forno all’aperto, sfociava in una critica del cerimoniale espositivo della Biennale stessa. Forse uno sguardo non feticista e non sprofondante nell’oltretomba si può trovare in mostre e padiglioni che parlano di una sintonia con Venezia, senza affondare nella melma dei suoi canali immaginari. In quei contributi dove si preserva la presenza vitale che si dissocia dal doppio del cadavere e trova analogia che, evitando il lugubre e il tetro, narrano di una circolazione
mitica di un luogo di potenza, capace di interagire, seppur indirettamente, con altre società. Ecco allora la rigenerazione di Venezia in Venice California, che ha portato a Palazzo Contarini, l’astrazione hollywoodiana di una città lagunare sulle coste del Pacifico. Un gioco di parole “Venice in Venice” dove l’incarnazione del nome è un invito a vedere una storia del contemporaneo californiano, che ha le radici alla fine degli anni cinquanta. Una riflessione su un villaggio di canali addomesticati e di spiagge intrise dell’odore del petrolio, estratto dalle torri collocate nel mare a poche centinaia di metri dalle case e dalla baracche in legno, che è diventato il fulcro, prima di New York, di molte ricerche New dada e Pop, tanto che, su sollecito di artisti come Ed Kienholz e Bruce Conner, Warhol vi espose per la prima volta. Per non parlare delle prime personali americane di Bill Bengston, Ed Ruscha, Llyn Foulkes e degli europei come Yves Klein. Una Venice ricca di incontri che non si nutre di nostalgia, ma affonda le sue radici critiche e polemiche nella politica americana, delle guerre in Korea e in Vietnam, parla dell’identità e della narrazione degli afro-americani, da David Hammons a Jessie nutrendosi della costruzione di Simon Rodia delle Watts Towers, oppure affronta per prima l’argomento dell’arte al femminile, con la creazione della Woman House e le opere e le performance da
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Llyn Foulkes, Death Valley, USA, 1963.
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Pipilotti Rist, Non voglio tornare indietro (Ospedale), 2011.
Ed Ruscha, The Los Angeles County Museum of Art on Fire, 1965-1968.
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CONTAGIO VENEZIANO / 47
Ed Ruscha, Large Trademark with Eight Spotlights, 1962.
Susan Lacey a Wanda Westcoast e Judith Chicago. L’immagine di Venice trae alimento dall’epoca feconda, quando artisti come Ed Moses, Larry Bell, Bill Bengston, Vja Celmins, Ken Price e, in seguito, Doug Wheeler e Maria Nordman, Robert Irwin ed Eric Orr, s’impegnarono nella definizione di un linguaggio in cui la connotazione ‘ambientale’ – che andava dal pieno dell’iconografia hollywodiana, quanto marina, al vuoto dell’architettura, come possibile sublimazione di un sentire acorporale, vicino alle filosofie orientali – potesse trovare una possibilità di essere percepito. Al tempo stesso in Venice, all’epoca abitata da sereni pensionati, quanto surfers e da body builders, si costruisce un linguaggio ‘superficiale’ perché ispirato alla cultura del Sunset boulervard, quanto alla vita sulle autostrade, ma alla coscienza dei vicini deserti. Un paesaggio che non ha risconti a New York e che permette dunque un discorso sull’ambiente sia artificiale, come che naturale. Il riutilizzo della storia è un rifugio nella potenza secolare dell’arte e della città che la ospita, Venezia, seppur tutto attuato con uno scarto temporale e linguistico. Un’energia dell’innovazione perpetua, che vive della celebrazione del nuovo che affonda le radici nell’antico. Per evitare questo rischio di sopravvivenza indiretta, Mike Nelson cerca un equivalente in cui materializzare la sua coscienza di trovarsi inevitabilmente ‘prigioniero’ di Venezia. Lo fa cercando un doppio che parta da un suo precedente lavoro, la costruzione di uno studio fotografico in una stanza di un quartiere ad
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Istanbul, l’altra Venezia. Soltanto che invece di ripresentarla così com’era, all’interno del padiglione del Regno Unito, la ricostruisce erigendo intorno ad essa parte del complesso di edifici e di cortili, di camere e di scale, di cui faceva parte nel caravanserraglio della città turca. Entrando nell’edificio espositivo, il pubblico si trova allora a ripercorrere, senza il rumore e senza la confusione tipici di tale mercato, un tragitto urbano fatto di stanze e di anfratti pieni d’oggetti e di strumenti di lavoro, arrugginiti e impolverati, di epoca ottocentesca. Un viaggio labirintico ed emozionante, che si dipana in uno scenario di momenti bui e luminosi. Vive un’atmosfera dove la memoria si nutre di tracce, reali e fittizie, continuamente condivise tra le persone. Proprio come a Venezia.
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design Ostile di Andrea Branzi
dopo la mostra al maxxi di roma, una riflessione sull’opera di gerrit t. rietveld: un design anti-grazioso, inteso come forme spigolose, scomode, dure, anzi volutamente sgradevoli, da offrire a una società che s’illudeva, troppo ingenuamente, sulla luminosità del proprio futuro
nelle immagini, dall’alto: una panoramica di Universo Rietveld, mostra dedicata all’opera di gerrit t. rietveld al maxxi di roma; in primo piano, la seduta-icona Red and Blue del 1923 (foto S. Luciano). a fianco: un interno della celeberrima Casa Schroeder (1924), progettata da rietveld a utrecht, uno dei migliori esempi d’architettura De Stijl, Nel 2000 inserita dall’UNESCO nella lista dei ‘patrimoni mondiali dell’umanità’.
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gerrit t. rietvel, casa dell’autista, Utrecht, 1927-1928.
gerrit t. rietveld, casa Schroeder a utrecht, 1924.
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i è conclusa lo scorso luglio a Roma Universo Rietveld, grande rassegna sull’opera di Gerrit Thomas Rietveld (Utrecht, 1888 - 1964), co-prodotta dal Centraal Museum di Utrecht, dal Nai di Rotterdam e dal Maxxi di Roma, e curata da Maristella Casciato, Domitilla Dardi e Ida van Zijl, vice-direttore del Centraal Museum. La mostra ha presentato una vastissima e poco conosciuta documentazione su questo grande architettodesigner olandese. Anch’io, seguendo la tesi di dottorato di Angela Rui, sto riflettendo da tempo su questo personaggio: il caso di Rietveld è infatti una ‘eccezione’ all’interno delle eccezioni che le avanguardie storiche hanno prodotto nei primi decenni del XX secolo. Rietveld, infatti, è l’unico che abbia elaborato un ‘design ostile’, inteso come forme spigolose, scomode, dure, volutamente sgradevoli, da offrire a una società che si illudeva, troppo ingenuamente, sulla luminosità del proprio futuro. Dai suoi “nuclei oggettuali primordiali” emerge invece l’intuizione delle tragedie che la società moderna avrebbe dovuto affrontare e le cicatrici profonde che la crisi della cultura
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borghese avrebbe lasciato nella storia. I suoi oggetti contengono insieme due energie di segno opposto: l’energia luminosa del ‘costruttivismo’ e l’ energia oscura del ‘decostruttivismo’ (ante litteram). Oggetti che sembrano collocarsi sulla soglia ambigua della propria ‘coagulazione’ e insieme della propria ‘deflagrazione’ e, come tali, indicano destini divaricanti per la nascente modernità. L’interpretazione corrente (e più facile) è quella che attribuisce a Gerrit T. Rietveld la paternità del neo-plasticismo, costituito dall’assemblaggio di forme geometriche semplici che troveranno nel Bauhaus di Walter Gropius la loro legittimazione, interpretata come aderenza spontanea alle leggi oggettive delle macchine. In questo passaggio si è consumato un equivoco fatale, dove la missione del design non è più quella di “rendere più abitabile il mondo devastato dall’industrialesimo” (Wekbun, 1907) attraverso l’uso estetico delle macchine, ma più semplicemente nel costruire a macchina l’universo degli oggetti. Il mezzo è diventato il fine. Ma c’è di peggio: seguendo questa linea interpretativa, con la sua casa Schroeder (1924)
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gerrit t. rietveld, CASA MANASSEN, Amersfoort, 1961-1963.
gerrit t. Rietveld, padiglione Sonsbeek, Arnhem, 1955
gerrit t. rietveld, casa in via Erasmuslaan, utrecht, 1931.
avrebbe avuto inizio quel processo di ‘componentistica’ dell’architettura a cui i razionalisti europei continueranno a ambire per decenni, come prefigurazione di un “futuro nell’ordine” che non sarà mai raggiunto. Ma l’altro versante che da Rietveld prende le mosse è quello della ‘decostruzione’ dell’habitat umano: una decostruzione iniziata con il Merz-bau di Kurt Schwitters, che sembra percorrere ‘a ritroso’ il cammino dell’evoluzione teorizzato da Charles Darwin, per cui se l’uomo deriva dalla scimmia è anche possibile che l’uomo tenda a tornare ‘scimmia’, abitante delle caverne, raccoglitore dei detriti di un mondo materiale e morale privo di significato. Si tratta di un percorso ha che interessato la parte più radicale delle avanguardie, che cercarono di risalire agli “archetipi selvaggi” di una realtà che la cultura borghese aveva seppellito: a cominciare da Friedrich Nietzsche, ai poeti ‘maledetti’ francesi, alla scrittura fluida di James Joyce, alla filosofia di Ludwig Wittgenstein e al ‘pensiero negativo’ viennese, ai Futuristi, alla psicoanalisi di Sigmund Freud, al Surrealismo, al Da-Da, a Duchamp, a Jackson Pollock, a Francis Bacon (dove l’uomo-
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gorilla è del tutto evidente), per finire con il ‘decostruttiviso’ del primo Daniel Libeskind… Si tratta di un lungo percorso di pensieri e di anti-progetti, immersi totalmente nelle tragedie umane della storia, in quella energia anarchica che percepisce la contraddizione irresolvibile di rifiutare la ‘contemporaneità’ come unica maniera per essere ‘contemporanei’! Dall’altro versante, il design diventerà il garante del “lieto fine della storia”, attraversando il XX secolo, due guerre mondiali, gli stermini razziali, le grandi dittature, le bombe atomiche, senza che tutto questo lasci un minimo turbamento nel suo linguaggio, sempre elegante, auto-referenziale, aggiornato. Come nel cinema dei ‘telefoni bianchi’… L’opera di Gerrit T. Rietveld è dunque una sorta di spartiacque, un enigma genetico su cui la modernità è stata chiamata a scegliere: tra l’attrazione rispetto alla storia e la propria auto-distruzione come parte di una storia distruttiva.
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laboratorio berlino a vent’anni dalla caduta del muro, berlino rimane una stella lucente: nel 201o l’unesco l’ha proclamata “città del design” grazie anche al DMY Festival Internazionale del Design, installato in un aeroporto dismesso, all’hotel michelberger, manifesto eco-sostenibile di werner aisslinger, e al crowdsourcing
a cura di Olivia Cremascoli
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in questa pagina, dall’alto: scorci del michelberger hotel di berlino, progettato da werner aisslinger con materiali di recupero: una ‘casetta’ del biergarten, nella corte dell’albergo, in cui ci sono allogati dondoli; la camera-loft con doppi letti a castello; la Clever One di Till Grosch & Werner Aisslinger; l’ingresso al bar dell’albergo, che offre camere di diverse categorie, per tutti i portafogli: dal WG, un materasso in uno stanzone comune (25 euro a notte) alla Golden One di Sibylle Oellerich & Nadine May; dallo ChÂlet di Anja Knauer a The Room with a view di Tom Michelberger e Azar Kazimir.
nella pagina accanto: la lobby (con, alle spalle, la reception e il bar) del michelberger hotel di berlino, progettato con materiali di recupero e di scarto (come tre dei vezzosi appendi-abiti che si trovano nella camere e due delle presine all’uncinetto che decorano la caffetteria) da werner aisslinger (foto in basso, con il suo studio): 119 camere in un ex-fabbrica, con una corte tramutata in un biergarten (food & drinks, musica, balli, grandi schermi per le partite). L’albergo, eco-sostenibile, è nel quartiere trendy di Friedrichshain, dove i locali più famosi (Berghain, Maria am Ostbahnhof) s’affiancano alle vetrine del neo-classico socialista (Frankfurter tor, Karl-Marx Allée), dove c’è anche la famosa East Side Gallery e la frequentatissima Rev@lution, estesa area all’aperto di ex squatters, oggi organizzata con summer beach e biergarten, tavoli, amache, musica.
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a nona edizione annuale del DMY International Design Festival di Berlino, che si è svolta in giugno presso alcuni hangar dello storico e dismesso aeroporto cittadino di Templehof, ha confermato la tendenza in ascesa dei suoi ultimissimi anni: molti visitatori (32.482), che pagano un biglietto d’ingresso di 12 euro, e che stanno a signficare che il livello di chi espone (designer auto-prodotti, aziende non industriali, laureandi d’istituti universitari di design di tutt’Europa) è migliorato grazie anche alla puntuale selezione di un apposito team curatoriale (da Werner Aisslinger a Jerszy Seymour, da Ilkka Suppanen a Jurgen Bey). Attualmente più simile – tanto per fare qualche esempio – a un Salone Satellite (che, però, non ha i workshop e gli open
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4. da dmy 2011, international design festival, presso il disemsso aeroporto templehof di berlino: 1. il polacco Jan Buczek del Design Department dell’Academy of Fine Arts in Warsaw ha progettato bka, un funzionale porta-bicicletta anche d’utilizzo domestico. 2. la tedesca Anne Lorenz ha creato la Home Traveller, mix tra valigia e cesta, facilmente trasportabile. 3. l’olandese Monique Habraken intreccia insieme rami originali d’albero e forme lignee, risultanti da processi industriali, per i suoi Woods Table con gus e Family. 4. la SCHOOL OF INDUSTRIAL DESIGn dell’università di lund (svezia) ha tra l’atro presentato la collezione d’arredi oak (quercia), esito di un’attività extra-curriculare tra 18 studenti di differenti corsi. 5. l’olandese jeannine van erk (bel+Bo ) ha progettato cocon malade, lampade fatte a mano con bende sanitarie, intrecciate e colorate con tinture vegetali. 6. il greco Yiannis Ghikas ha progettato lo sgabello a dondolo monarchy, in quercia, anche verniciato o laccato.
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sources di Berlino) che a un FuoriSalone, il festival di Berlino è organizzato da giovani per i giovani (lo ‘scopo di lucro’ non sanno cosa sia), in quanto DMY è in primis un design network internazionale per il progetto contemporaneo, che annovera progettisti emergenti, emersi e sperimentali, lanciando prototipi, nuovi prodotti e progetti previsionali. Quest’anno ha in particolare organizzato uno speciale focus sul design finlandese, quale sorta di preview da parte del Paese che nel 2012 ospiterà la World Design Capital. Menzione speciale per il vivace e affollato spazio consacrato al MakerLab Workshop Cluster, in sostanza un’ampia area espositivo-operativa dove studenti universitari e docenti o anche aziende, come ad esempio la finlandese Marimekko, hanno proposto ai visitatori dei coinvolgenti temi, da svolgersi anche fisicamente insieme, in un allegro e fruttuoso confronto. Di conseguenza, l’offerta è stata ampia: si passava dal laboratorio di piccola sartoria creativa di Marimekko alla coltivazione biologica di funghi officinali e alla successiva
preparazione di risotti ai funghi, direttamente in loco; dallo sfruttamento dell’energia solare e della fotosintesi clorofilliana per progettare l’impensabile grazie alla Scuola politecnica federale di Losanna, che ha coordinato sul peregrino tema quattro università tra europee e americane, ai bizzarri ragazzi del Royal College of Art di Londra che, molto presi dal loro ruolo, parevano tutti intenti a fare i macellai e i salumieri producendo salsicce e salamelle trompe l’oeil. l Maker Lab invitavano dunque i visitatori a farsi coinvolgere in svariati processi del design, inteso nel senso più ampio dell’accezione, allo scopo di condividerne i saperi e al fine di riuscire a fare creare a chiunque un proprio, personale oggetto in un ambiente aperto e sperimentale. Infine, d’intesa con Premsela, la piattaforma olandese per il design e la moda, DMY ha organizzato al Templehof un’articolata giornata di simposio sul tema The Copy Culture (la cultura della copia), destinato a progettisti, imprenditori e curatori, che hanno discusso sul sorgere di un’ormai condivisa cultura
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1. il tedesco Daniel Klapsing (45 Kilo Design Studio) ha disegnato Ottoman kupfer lampada da soffitto in rame (od ottone) . 2. il russo Pavel Eekra ha progettato crimean Pinecone, lampada-pigna costituita da 56 placche lignee e 56 viti, priva di struttura interna. 3. l’olandese Elena Goray con Christoph Tönges (cONBAM Bamboo) ha progettato la panchina Pile Isle Reloaded, costituita da un fascio di stecche di bambù, in diametri e colorazioni diverse, tenute insieme da bande metalliche, senza viti nè colle. 4. dei tedeschi Oliver Schübbe E Sven Stornebe la cucina Ehrenfeld è stata realizzata utilizzando parti riciclate da numerosi arredi. 5. la polacca Agnieszka Wiczuk ha progettato una culla per differenti età: la si regola alzando o abbassando le barre della circonferenza.
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da dmy 2011, international design festival di berlino: 1. la tedesca miriam aust, Vaso & Luce, cioè la natura presentata con artificio. 2. l’italiano Antonio Aricò ha artigianalmente realizzato KETTLE CAN SWAN & RUNK, innaffiatoio e teiera in ceramica su tappetino porta-vaso: un’aiuola domestica. 3. la finlandese Molla Mills ha lavorato a maglia per i suoi crochetted vases, in cotone tessile industriale, che rimangono eretti grazie all’ amido di zucchero. 4. la tedesca Hanna KrÜger presenta add.on, un kit con i pezzi necessari per montarsi da soli l’omonima lampada da terra, in vetro, alluminio, quercia. 5. la tedesca susanne westphal presenta Stitch, seduta interattiva che permette all’utilizzatore di personalizzarla, anche mentre vi è seduto, con i fili di lana. 6. le islandesi della The Reykjavik School of Visual Arts hanno progettato soavi ceramiche realizzate artigianalmente a mano. 3.
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della copia e delle sue implicazioni soprattutto nei confronti dei professionisti del design (tra i relatori, Galit Gaon, curatore-capo del Design museum di Holon, Israele; Aric Chen, direttore creativo della Beijing Design Week; Paul Gardien, vice-presidente di Philips Design). Ma c’è di sicuro da citare anche i DMY Materials, vale a dire tre giorni di professionali workshops per designer e architetti sul tema dell’innovazione nei materiali, e cioè: introduzione ai nuovi sviluppi dei materiali, realizzazione di scenari e applicazioni di nuovi materiali leggerissimi, tessili tecno, sostanze intelligenti e funzionali, materiali bio-sostenibili. Il format di DMY International Design Festival si è comunque dimostrato un successo, testimoniato anche da cinque autunnali esposizioni mercantili asiatiche (tra cui Designtide Tokyo e Business of Design Week Hong Kong), che, per il quarto anno di fila, accolgono il DMY Asia exhibition tour, che nel 2011 tocca la Cina, il Giappone, la Thailandia, Seoul e Taiwan. Capitale per eccellenza dei giovani, Berlino lo scorso giugno ha inoltre ospitato la debuttante Crowdconvention, prima conferenza europea sul crowdsourcing (da crowd, folla, e outsourcing, esternare la propria attività professionale), organizzata da 12designer.com di
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Berlino, un sito leader nel crowdsourcing creativo, che rappresenta un mercato virtuale dove offerta e domanda di design s’incontrano. La giovane Eva Missling, fondatrice di 12designer.com ha relazionato su di un loro sondaggio cui hanno risposto oltre 700 creativi iscritti alla community, ai quali era stato chiesto di motivare la loro partecipazione a un ambiente di crowdsourcing. Gli esiti del sondaggio hanno mostrato come la possibilità di esercitare il proprio talento creativo e d’intraprendere progetti basati su forti interessi personali, siano incentivi più che validi per gli utenti di crowdsourcing, per la maggior parte giovani senza grossa esperienza professionale, che utilizzano i siti Internet – come 12designer.com – per muovere i primi passi nel mondo del design. Ma Eva Missling ha aggiunto: “il 40% dei partecipanti al sondaggio ha detto di avere lavorato nel campo del design per sei anni e, più del 25%, per dieci anni. Non si tratta dunque di ragazzi appena laureati: ci sono progettisti esperti che preferiscono lavorare in un ambiente di crowdsourcing”. Perciò, nell’immediato presente, la possibilità di farsi professionalmente conoscere esternando la propria attività a più gente possibile, non passa più solo per fiere e festival, ma anche per l’innovativo e virtualissimo crowdsourcing.
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alcune immagini del makerlab workshop cluster del DMY international design festival 2011, presso il dismesso aeroporto templehof di berlino: 1. marimekko ha messo in piedi, con grande successo, il “progetto comunitario” why not toghether in berlin?, cui hanno partecipato designer, specialisti della stampa di tessuti e sopratutto visitatori, intenti a realizzare le quatro stagioni con i vivacissimi scampoli dell’azienda finlandese. 3.5.6. The Copy Kitchen installazione-laboratorio del royal college of art di londra, in collaborazione con platform 10, presentava analogie con un vero ambiente cucina, inteso quale hub di produzione alimentare, ma, al posto del tradizionale lavorio, sono state create delle peregrine strumentazioni che comprendevano estrusori di gelati, ipnotici filatoi meccanici, un inusitato processo per la produzione di salsicce. 4. Fungutopia di Laura Popplow della Kunsthochschule für Medien di colonia, in collaborazione con l’austriaco Mushroom Research Center, dimostrava che i funghi, coltivabili anche in città e in ambienti indoor, possono venire utilizzati come open source in medicina, nell’alimentazione, nella fertilizzazione della terra.
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Muffyn Patchwork, poltrona con struttura in acciaio, imbottitura in poliuretano rivestita in tessuto Bea con scocca esterna in ABS termoformato colorato oppure, rivestita in ecopelle o microfibra. Design Carlo Colombo per Byografia.
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Taffy, serie di tavolini con struttura in metallo verniciato e piani in cristallo extralight caratterizzati dall’effetto ottico ottenuto dalla sovrapposizione dei piani serigrafati moirÊ. Design Luca Nichetto per Gallotti&Radice.
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protagonisti di un autentico reportage on the road, Scelti perchÉ ispirati o caratterizzati dai piÚ moderni stilemi della moda, con effetto finale misurato, in equilibrio tra il progetto e la cura sartoriale dei dettagli
Arredi vestiti foto di Paolo Veclani a cura di Nadia Lionello
Grinza, poltrona con telaio in tubolare d’acciaio e imbottitura in poliuretano, caratterizzata dal morbido rivestimento in pelliccia o pelle ecologiche. Design Fernando & Humberto Campana per Edra.
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Husk, poltrona girevole, con scocca rigida in materiale plastico riciclato, cuscino trapuntato rivestito in tessuto o pelle e base in legno finitura rovere naturale o grigio o laccato nero. Design di Patricia Urquiola per B&B Italia.
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Weaves, lampada a sospensione a Led con diffusore in vetro soffiato bianco opale e rete in microfibra con trama forata nera, bianca o rossa. Design Enrico Azzimanti per Bilumen.
Eveline short, sedia nella versione con rivestimento Milk, realizzata in unico stampo in policarbonato trasparente o in poliammide in diversi colori. Design Raul Barbieri per Rexite.
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Up, lampada da terra nella versione indoor, in polietilene avorio stampato in rotazionale con paralume rivestito con maglia in lana lavorata a coste, rossa o beige; è dotata di accensioni separate della base e del paralume. Design Mario Mazzer per Lucente.
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Rememberme, sedia realizzata con il riciclaggio di vecchi indumenti mescolati a resina e pressati; i colori sono determinati dai materiali usati. Design Tobias Juretzek per Casamania.
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Luchsia, lampada fluorescente a sospensione con diffusore in chinz e organza grigio, nero o turchese. Design Johan Carpner per Vallentuna Armatur & SkärmateljÊ.
Foyer, poltrona con struttura in legno e imbottitura in poliuretano, caratterizzata dal rivestimento accoppiato sfoderabile e reversibile per mezzo di una zip perimetrale. Design Sergio Giobbi per Giovannetti.
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per disegnare carte, legni, tessuti e modellare oggetti, Pensieri creativi tradotti in segni e trasformati in decori geometrici e tridimensionali a cura di Nadia Lionello
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PATTERN DELLA TAPPEZZERIA CALEIDOSCOPIO, DELLA COLLEZIONE I ON IN TESSUTO NON TESSUTO DI JANNELLI&VOLPI . SDRAIO, SEDUTA PIEGHEVOLE IN VERSIONE XXL IN LEGNO DI IROKO LACCATO BIANCO PER ESTERNO E SEDUTA IN TESSUTO JACQUARD IN PVC TERMOSALDATO. DISEGNATO E PRODOTTO DA MISSONI HOME.
THIN BLACK TABLE, TAVOLINO CON STRUTTURA IN METALLO A SEZIONE QUADRATA E PIANO IN VETRO EXTRALIGHT 5MM SU TELAIO AD L. DESIGN DI NENDO PER CAPPELLINI. CUBES, CARTA DA PARATI IN UNICA VARIaNTE COLORE. DeSiGN di DYHR.HAGEN PER &TRADITION.
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D.STYLE–C, MOBILE CON STRUTTURA IN MDF LACCATO CON ANTA RIBALTABILE DECORATA CON INTARSI DI CUOIO E BASE IN TONDINO DI ACCIAO LACCATO. DESIGN di GIANCaRLO VEGNI PER FASEM. SLUMBER, POUF CON SACCO INTERNO IN POLIESTERE CON ZIP, IMBOTTITo IN SFERE SINTETICHE, E RIVESTITA IN TESSUTO TRIDIMENSIONALE ELASTICIZZATO IN FIBRA KID MOHAIR IN DODICI COLORI E DUE DIMENSIONI. design di ALEKSANDRA GACA PER CASALIS.
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FORTUNATA, LAMPADA a SOSPENSIONE CON DIFFUSORE IN ABS TRASPARENTE TERMOFORMATO E VERNICIATO ROSSO, BIANCO o ARGENTO. DESIGN di MATTEO RAGNI PER DANESE. FOXHOLE, TAVOLINO CON STRUTTURA IN TONDINO DI ACCIAIO VERNICIATO IN DIVERSI COLORI CON PIANO IN CRISTALLO TRASPARENTE. DESIGN di NATHAN YONG PER SPHAUS. INLAY, CREDENZA O CASSETTIERA IN LEGNO CON DECORO 3D A INTARSI, IN QUATTRO DIVERSE TONALITÀ DI ROVERE NATURALE. DESIGN di FRONT PER PORRO.
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SHADOW, SISTEMA DI TAVOLI RETTANGOLARI O QUADRATI CON STRUTTURA IN ACCIAIO RIVESTITA IN ROVERE O STRATIFICATO HPL, COME IL PIANO, CON DETTAGLI DELLE GAMBE LACCATI IN DIVERSI COLORI. DESIGN VINCENT VAN DUYSEN PER DE PADOVA. INFINI, TAPPETO ANNODATO A MANO, NODO TIBETANO, CON TRAMA ED ORDITO IN COTONE, VELLO IN LANA. PROGETTATO E PRODOTTO DA CC-TAPIS.
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HEXALIGHTS, LAMPADA 2D IN CARTA ELETTROLUMINESCENTE PER MEZZO DI SORGENTE ELETTRICA. PROGETTATa E PRODOTTa DA MARCUS TREMONTO. DA ROSSANA ORLANDI. LA LOMITA, TAPPETO IN LANA E SETA ANNODATO A MANO IN NEPAL. DESIGN di LILIANA OVALLE PER NODUS. BOXY, CONTENITORE SU RUOTE IN SPECCHIO COLORATO, CON O SENZA IMPIAnTO DI ILLUMINAZIONE, INTERNO IN ROVERE SCURO E RIPIANI IN CRISTALLO TRASPARENTE. DESIGN di JOHANNA GRAWUNDER PER GLAS.
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A PIECE OF FOREST, LAMPADA CON DIFFUSORE A ELEMENTI IN DURAPULP PROVVISTI DI LED, LIBERAMENTE COMPONIBILI SU STELO E BASE IN METALLO VERNICIATO. DiSeGNATO E PRODOTTO DA MODERN TIMES. HEXAGON, PANCA TRE POSTI ADATTA PER ESTERNI IN TONDINO METALLICO PRE ZINCATO VERNICIATO IN DIVERSI COLORI. DESIGN di PRZEMYSLAW MAC STOPA PER CASAMANIA.
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FOLD, LAMPADA DA PARETE A LED CON DIFFUSORE IN ALLUMINIO LACCATO IN DIVERSI COLORI MAT DISPONIBILE ANCHE IN COMPOSIZIONI ASSEMBLATE DA 2, 3, 4 , 7, 8 E 9 ELEMENTI. DESIGN ARIK LEVY PER VIBIA. MARECHIARO, DIVANO A ELEMENTI MODULARI PROGETTATO NEl 1976 DA MARIO MARENCO PER ARFLEX, CON STRUTTURA IN TUBOLARE METALLICO, IMBOTTITURA IN POLIURETANO E RIVESTIMENTO IN TESSUTO SFODERABILE O PELLE, QUI NELLA VERSIONE RIVESTITA CON CARTA DA PARATI DISEGNATA DA MARKUS BENESH E PRESENTATO ALLA MOSTRA IL MONDO È PIATTO DA ASPESI, LO SCORSO APRILE.
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Lavora per scelta sulla piccola scala. Agisce sul locale. Collabora con persone che condividono i suoi lavori. Così Matali Crasset dà un senso alla sua presenza nel panorama del design, introducendo a piccole dosi nel sistema nuove logiche e inediti scenari di Cristina Morozzi
Progetti
Matali Crasset tiene tra le dita il ciondolo “Torche” in oro bianco 18 carati con pietra semipreziosa, da lei creato per Le Buisson. Nella pagina accanto: Disegno per la mostra Le blobterre de matali, giardino artificiale da esplorare, in programma al Centre Georges Pompidou di Parigi dal primo ottobre 2011 al 5 marzo 2012. Sotto, ‘Il nido per la cova’, una della quattro abitazioni silvestri realizzate per Le Vent des ForÊts, spazio rurale d’arte contemporanea nel dipartimentio della meuse, in Lorena. sei villaggi invitano da 14 anni gli artisti a creare installazioni in loco. Già 90 opere sono visitabili e vivibili.
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omeopatici
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M
atali Crasset possiede una serena e incrollabile fiducia nella possibilità che il design ha d’influire sui comportamenti e sulle relazioni umane. Tanto è vero che ha disegnato persino se stessa. Grazie ad un taglio di capelli a scodella, si è data un’immagine iconica, lontana dai canoni tradizionali della bellezza femminile, che, stilizzata, è diventata il suo logo. Vive una quieta vita familiare con il marito Francis e i suoi due figli nel quartiere popolare di Belville, a Parigi, in una casa che ha disegnato a propria immagine, semplice e funzionale.
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Accanto, Collezioni di utensili per pasticceria, produzione Alessi. Sotto a destra, Lanterna Dijon installata nella cattedrale di Saint-Bénigne a Dijon. In basso, Divano modulare Dynamic life per Campeggi, 2011.
Lo studio è contiguo, affacciato anch’esso sul cortile del condominio ricavato da una vecchia stamperia, dove si svolge una vita condivisa di vicinato, con giochi di bambini e picnic improvvisati. Il suo design non è inscrivibile in nessun codice stilistico. Matali ha un suo linguaggio chiaro e propositivo, con il quale esprime, nei settori più disparati, un approccio positivo. Usa il colore in totale libertà e organizza gli spazi con intelligenza, prendendosi cura di ogni dettaglio. Costruisce atmosfere appaesanti, utilizzando un repertorio formale inedito, creato ogni volta come risposta pertinente alle quotidiane esigenze. Non insegue il disegno eclatante, la seduzione, la nota sopra il rigo, ma la persuasione, fedele alla missione di fare design per portare qualità, benessere, nuove relazioni e conoscenze in ogni aspetto della vita. Parte sempre da un punto di vista inusuale, sia per intervenire sul quotidiano, inventando nuove ritualità, sia per disegnare scenari futuri. Definisce la sua ricerca “un accompagnamento dolce verso il contemporaneo”. Questa sua visione erà già emersa nel 1999 al dibattito “Desseins de femme” organizzato da Chantal Hamaide, direttore di Intramuros, al Salone del mobile di Parigi, dove si erano confrontate due generazioni di donne designer, Charlotte Perriand e sei esponenti delle nuove leve (Ayse Birsel, Matali Crasset, Claire Escalon, Ineke Hans, Hella Jongerius e Ana Mir). In tale occasione, a Charlotte novantasettenne (morì il 27 ottobre del medesimo anno), abbigliata in tuta da ginnastica rosa confetto, che, con piglio energico, rivendicava il suo approccio rivoluzionario e di rottura accusando le nuove generazioni di essere tiepide, Matali rispose decisa che “era tempo di
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modificazioni omeopatiche”. Goccia dopo goccia, lavorando per scelta sulla piccola scala, agendo sul locale, collaborando con persone che condividono i suoi valori, Matali Crasset sta cambiando radicalmente il panorama del design, insinuando a piccole dosi nel sistema, di cui intende far parte, nuove logiche e inediti scenari. I temi centrali del suo progetto sono, sin dagli esordi e con qualsiasi tipo di committenza: ospitalità, condivisione, empatia, modularità, fluidità, ludicità, curiosità e ottimismo. “È importante”, dichiara, “che le persone prendano contatto con le novità. Spetta al designer fornire gli agganci affinché le afferrino”. Un aggancio è Lieu Commun, il negozio in rue des Filles-du-Calvaire nel Marais, gestito con Aurelyen, fondatrice del marchio peruviano Misericordia, dove, anziché dare piccoli assaggi di quanto è di tendenza, come fanno i concept store, cercano di presentare una gran varietà di proposte dei creatori che condividono il loro approccio. Lieu Commun è un spazio dedicato al design, alla moda, al cibo, alla musica, alla lettura, ai gadget, ai giochi transgenerazionali, dove i progetti dei giovani convivono con quelli dei maestri, pensato per far vedere e conoscere oggetti sperimentali, dove si vendono prodotti che danno il senso di una direzione particolare. Goccia dopo goccia, persistendo nella sua idea di design condiviso destinato alla creazione di nuovi scenari, è riuscita a trovare committenti per progetti di nicchia, dove è possibile dare di più ad un numero ristretto di persone. E ha costruito nel tempo un corpus di lavori inventivi e ‘ottimisti’, esemplari per coerenza.
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Il tappeto Roots per Nodus, realizzato in edizione limitata in lana intrecciata a mano.
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Nella pagina accanto: Alcune vedute degli hotel progettati da Matali Crasset per la catena Hi Hotel. In alto, la terrazza con piscina, un corridoio e una vista interna ed esterna di una camera da letto dell’hotel Dar Hi a Nefta, in Tunisia. A sinistra, al centro e in basso, uno spazio comune e una camera da letto del nuovo hotel Hi Matic, in rue de Charonne a Parigi. A destra, al centro e in basso, una camera da letto e il bar dell’hotel Hi di Nizza.
In alto, Lampada a led Court Circuit per Danese, 2011. Il diffusore è realizzato con l’FR4, il materiale che costituisce il circuito stampato necessario alla tecnologia led, mentre la struttura è in acciaio e in alluminio anodizzato. Sedia Double Side in legno con rivestimento di seduta e schienale in feltro, produzione Danese, 2011. Con un piccolo e intuitivo gesto lo schienale si ribalta e diventa un piccolo piano d’appoggio per scrivere, usare il pc, mangiare, giocare.
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Il suo percorso, dopo il diploma all’ENSCI di Parigi, inizia alla Triennale di Milano (1992), dove espone Trilogia domestica, il suo progetto di diploma, e dove conosce Denis Santachiara con cui collabora a Milano per qualche tempo. Quindi incontra Philippe Starck con cui lavora alla Thomson Multimedia, diventando nel 1994 responsabile del Tim Thom, il design center della Thomson. Nel 1998 si presenta alla prima edizione del Salone Satellite con ‘Quand Jim monte à Paris’ (realizzazione Domeau & Pérès, 2005), un letto di fortuna per l’amico inatteso, da considerarsi un progetto manifesto dell’attitudine a intervenire sulle ritualità domestiche con nuove tipologie di oggetti. Nel 1997 guadagna il ‘Grand Prix du design de la ville de Paris’. Nel 1998 crea il proprio studio a Parigi. Nel 2003 inizia a collaborare con la catena degli Hi Hotel progettando quello di Nizza, cui seguono nel 2010 il Dar Hi di Nefta in Tunisia e nel 2011 l’Hi Matic di Parigi. Nel 2002 Il Mudac di Losanna organizza la sua prima retrospettiva, presentata poi anche al Victoria&Albert Museum di Londra e al Grand Hornu in Belgio. Nel 2006 è la volta del Cooper Hewitt di New York, dove allestisce Soundscapes. Il 2011 la vede protagonista con un’importante monografia edita da Rizzoli e con la mostra Blobterre al Centre Georges Pompidou di Parigi (dal primo ottobre 2011 al 5 marzo 2012). I suoi hotel sono da vivere, più che da raccontare. Infrangono i codici tradizionali, proponendo mediante tipologie inedite, assolutamente eco compatibili, nuovi rituali. Tutto è disegnato nei minimi particolari (a Nizza anche la spiaggia) affinché l’ospitalità diventi una nuova esperienza e
il cliente si senta accompagnato in tutti i momenti della giornata da un’attenzione partecipe. Sono singolari, precorritori, ma mai spaesanti. Propongono atmosfere concilianti, create per stimolare gli ospiti a sintonizzarsi su tonalità contemporanee. Precorritori sono, del resto, tutti i suoi progetti, a partire dall’incredibile caffé creato per la mostra L’objet désorienté au Maroc (Les Arts Décoratifs, Parigi, 1999) con poveri oggetti recuperati nei bazaar di Barbès (pouf fatti con le borse quadrettate di plastica riempite di poliuretano, lampade realizzate con i cestini per le mollette da bucato, ecc.). Quei progetti l’anno dopo sono entrati a far parte della collezione Edra, costituendo uno dei primi esempi di design di trasformazione per una azienda industriale. A proposito della mostra che inaugurerà il primo ottobre al Centre George Pompidou, Matali anticipa: “Blobterre sarà un nuovo territorio vegetale immaginario per visitatori-esploratori. Sarà un mondo a parte con i suoi odori, colori, umori, pensato per far interagire i visitatori”. “M’interessa la vita”, conclude, “e il potenziale che gli oggetti hanno sulla vita per diversificarla e per farla evolvere. Voglio suggerire curiosità, proporre qualcosa di attivo: il progetto deve sempre essere azione”. Poiché è intenzionata a produrre nuove relazioni, poiché la sua visione del progetto coincide con quella che ha della vita, Matali sa interessarsi agli altri, in qualsiasi occasione, rivelando una disponibilità generosa e un raro sentimento pacificato.
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Tra i protagonisti dell’ultimo salone emerge la figura possente di Jean Nouvel, autore di numerosi progetti che rispondono alle esigenze di alto standard del design ma sottolineano il loro forte legame con il pensiero architettonico
Ceci n’est pas design
di Alessandro Rocca
A
bito nero e testa rasata, sempre, Jean Nouvel ha quel look piuttosto aggressivo, dark e vagamente maudit, che spesso accompagna gli architetti francesi. Ma quando si conversa con lui si rivela un carattere completamente diverso. Attento e disponibile, Nouvel non procede per slogan, come spesso capita agli archistar di lungo corso, ma entra nello specifico di ogni concetto con ragionamenti dettagliati che aiutano a comprendere e a dipanare la complessità del pensiero progettuale. I progetti di design che quest’anno ha presentato al Salone del mobile sono stati numerosi, con un mix di oggetti nuovi e alcune riedizioni ampliate con significativi aggiornamenti. Un aumento di interesse e di attività che coincide con il potenziamento di JND, Jean Nouvel Design, una task force nata nel 1995 e interamente circoscritta al design. A questo proposito, Nouvel racconta dell’idea, che si dovrebbe realizzare nei prossimi mesi, di aprire a Parigi uno showroom completamente dedicato al suo design, cioè alle realizzazioni di JND e alle riedizioni dei progetti elaborati in passato dallo storico Atelier Jean Nouvel. Una specie di prototipo,
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un’anticipazione di questa nuova avventura si è potuta vedere alla Design Week parigina dove JND ha raccolto tutta la produzione in un unico ambiente, l’arredamento secondo Nouvel. L’inedito effetto d’insieme di questo gruppo di arredi, pensati in epoche e occasioni diverse e prodotti da aziende diverse, rivela un atteggiamento progettuale dal profilo molto marcato. Alcuni di questi elementi, la maggior parte, sono nati in rapporto a progetti di architettura come, per esempio, le poltrone del Saint James hotel. Prodotte da Ligne Roset, appartengono a uno dei progetti che, alla fine degli anni Ottanta, consolidarono la fama appena raggiunta grazie all’enorme successo dell’Institut du Monde Arabe che, da parte sua, resta tra gli edifici più innovativi e memorabili del secolo appena passato. Un ricordo del Marshmallow di George Nelson? “Sì, certo”, risponde Nouvel, “ma rielaborato in modo non sistematico. È stata un’idea chiara che si è realizzata in modo semplice”. E, in effetti, qui come in altri oggetti è evidente come la chiarezza e la forza dell’idea si esprimano in modo lineare e preciso ottenendo un risultato molto efficace.
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Sopra: la lampada Micro Telescopic prodotta da Pallucco, allungabile fino a una lunghezza di 2,20 m con un semplice tocco. sotto, la serie di imbottiti Vienna, disegnati da Nouvel per il Sofitel hotel e presentati quest’anno da Wittmann: un sistema di elementi componibili con possibili varianti nelle dimensioni e negli accessori. Nella pagina accanto: Un ritratto di Jean Nouvel, 66 anni, e la Boite à Outil, la cassetta degli attrezzi in scala gigante che, da un prototipo del 1987, è stata ripresa quest’anno come oggetto domestico multifunzionale, produzione Decayeux.
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Sopra, da sinistra: La poltroncina Saint James rieditata quest’anno da Ligne Roset, derivata dagli arredi del ristorante dell’hotel Saint James; il contenitore girevole a due ante in metallo verniciato che quest’anno ha ampliato la fortunata serie Less, nata per la fondazione Cartier e prodotta da Unifor. Accanto: Hook, nuova produzione Methis, una parete divisoria a superficie corrugata su cui si possono inserire porte, mensole e contenitori. Sotto: Il nuovo sistema di sedute Simplissimo disegnato per Ligne Roset e ispirato all’ambiente fitness, composto da panca, chaise longue, sedia e poggiapiedi a sezioni sottilissime.
Come nel disegno minimalista del mitico tavolo Less, pensato nel 1994 per la sede della fondazione Cartier e prodotto da Unifor. Una forma di sintesi estrema, quasi un archetipo che verrà in qualche modo ripreso nel monumentale tavolo KM, sempre Unifor, inventato per il più importante progetto italiano di Nouvel, il Kilometro Rosso della Brembo, il parco tecnologico che costeggia l’autostrada A4 all’ingresso di Bergamo. “Amo disegnare tavoli, dice Nouvel, perché il tavolo è come un ponte e deve avere una sua solidità chiaramente percepibile, anche massiccia”. Tavoli ma anche poltrone e divani, come la serie Vienna, disegnata per il Sofitel hotel e prodotta da Wittmann, e come Simplissimo, nato per un albergo in Giappone e prodotto da Ligne Roset. Progetti diversi ma uniti da un tocco
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speciale, qual è il segreto di questa armonia così precisa e così specifica? “I progetti, risponde Nouvel, sono il risultato di un processo di decantazione, quando si vuole essere troppo eleganti si cade facilmente nella pretenziosità o anche nel ridicolo. È una questione di equilibrio e io punto sempre a raggiungere una sensazione di naturalezza e spontaneità”. Per Nouvel, naturale è senz’altro quello che si può ricollegare a una sua identità di architetto francese, a una tradizione modernista che vanta predecessori importanti come Le Corbusier e Jean Prouvé, la ginnastica surrealista della villa di Noailles, di Mallet-Stevens, la tensione asciutta di un francese di adozione come Luis Buñuel. Ma questo patrimonio di cultura non pesa, per fortuna, e si scioglie in immagini nette che
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La Table au Km è un tavolo in legno di presenza monumentale: è largo 85 cm e ha una lunghezza teoricamente infinita. Nato per il Kilometro Rosso, è prodotto da Unifor. Sotto: La poltrona e il pouf Simple Bridge, riproposti quest’anno da Ligne Roset, sono una riedizione della serie Elementaire disegnata da Nouvel nel 1990.
occupano lo spazio con equilibrio perfetto. “Per esempio, continua Nouvel, Simplissimo per me è come una specie di deduzione, facile a fare ed esteticamente corretto. È il frutto di una decantazione ed è elementare, naturale. Sia nel design che nell’architettura sono contro l’hi-tech, non cerco mai l’esibizione della struttura, il culturismo.” Oggetti semplici e piani che talvolta giungono al limite del silenzio, come la Boite che quest’anno ha rivisitato per due gallerie d’arte, Gagosian e Patrick Seguin: una colossale cassetta per gli attrezzi che può essere contemporaneamente un contenitore, una panca o un tavolo o che si può interpretare come un oggetto enigmatico e onirico. Più domestici, ma altrettanto eleganti, gli arredi per Ligne Roset (Simplissimo, Simple Bridge e Saint James) dove, dice Nouvel, “ho cercato un design senza stile, basato solo sull’ergonomia e sul comfort”, un funzionalismo puro che si riallaccia alle origini del moderno. Come negli arredi disegnati per Pallucco, la lampada microtelescopica o il tavolo Grand Ecart, Nouvel sa condividere il piacere di un riferimento colto che può anche restare inavvertito o inconscio ma che gioca con il ricordo delle macchine celibi di Marcel Duchamp. Macchine e arredi perfetti che rispondono alle esigenze di alto standard del design ma che si distinguono per un approccio creativo e tecnico che appartiene al pensiero architettonico. Meno orientato all’exploit nel tempo breve e più attento agli equilibri, a quella naturalezza che consente di durare oltre la performance di un’unica stagione.
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Il corpo e i suoi oggetti di Stefano Caggiano
Strumenti d’uso che, in virtÚ della loro natura funzionale, si pongono come estensioni della fisicità viva. Progetti al confine tra moda e design che esplorano la dimensione oggettuale a partire dal corpo
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La serie Masked-In Flight, di Sruli Recht, è composta da quattro maschere dotate di filtro purificatore per l’aria, ottenute da pergamene ripiegate e tagliate al laser (Foto di Marinó Thorlacius). Nella pagina accanto, Le legwear Snake&Molting di Camille Cortet: ispirate alla muta dei serpenti, sono caratterizzate da aperture triangolari che cambiano dimensione con il movimento delle gambe. L’ornamento cambia con il corpo, e dopo diversi usi si rompe, come una pelle di cui disfarsi.
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l bastone con cui il cieco fa esperienza della realtà che lo circonda non è una semplice cosa tra le cose, ma parte integrante della portata senso-motoria del suo corpo. Si danno infatti due dimensioni della corporeità: il corpo come anatomia, curato dalla medicina; e il corpo come dispositivo vivente e senziente, che vede, tocca, abbraccia, e di cui fanno parte anche gli oggetti d’uso. In questa prospettiva, la ricerca della giovane designer finlandese Sruli Recht – con Qanah, elegante bastone per non vedenti in larice bianco, e Stone Blind, occhiali-maschera in marmo di Carrara – acquista un senso preciso che riguarda anche i corpi normodotati (si pensi al suo progetto di maschere antigas Masked - In Flight). Da un punto di vista motorio-funzionale infatti tutti gli oggetti d’uso, proprio in quanto ‘d’uso’, rappresentano altrettanti ‘brani’ della corporeità viva. Per questo la mente non ha bisogno di pensare alla penna mentre la mano scrive, o alla scarpa mentre il piede cammina – e per questo non appare poi tanto bizzarra l’idea, di Studio Swine, di usare capelli umani come materiale ‘rinnovabile’ per la linea di occhiali Hair Glasses.
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Sotto, da sinistra: Inner Child di Francesca Menichelli, frutto di una riflessione sui vestiti vissuti dalla designer come parti del corpo intime eppure esposte; La protesi da naso Finger Nose Stylus pensata da Dominic Wilcox per consentire la digitazione su dispositivi touch-screen senza uso delle mani. In basso, La seduta Beautiful Mess di Alejandro Cerón che lascia decidere all’utente se si tratti di arte o design, in base all’uso che ne fanno. Nella pagina accanto, l’installazione Procreation di Salvatore Franzese che sostiene: “la produzione di un oggetto con le mani è un modo di proiettare se stessi, coinvolgendo testa, cuore e anima. Il pezzo così ottenuto dice chi sei tu”.
Ma il nodo che lega corpo e dimensione oggettuale, proprio perché così intenso, presenta anche un risvolto perturbante, rilevato da Francesca Menichelli con la borsa-zaino a forma di neonato Inner Child. La giovane fashion designer, che vive e lavora a Londra, dichiara apertamente i propri sentimenti contrastanti nei confronti dell’abito, la nostra “seconda pelle consapevolmente scelta”, intima eppure esposta allo sguardo dell’altro, che non dà mai garanzie di complicità. “C’era qualcosa di sbagliato tra me e i vestiti”, dice, e bisognava fare in modo che “parlassero la mia lingua”: una lingua che non fa distinzione tra brani del corpo e brani dell’abito, e li disloca entrambi (gambe e maniche, capelli e filamenti, capezzoli e bottoni) sull’unico piano semiologico-espressivo della corporeità significante. Forse ancora più estremo (ma meno perturbante), Minimal Dress di Digna Kosse si spinge fino ad azzerare la fenomenologia materiale dell’abito, a favore di una vestizione del corpo che avviene tramite il solo valore segnico, lasciando la persona nuda da un punto di vista anatomico ma completamente ‘vestita’ da un punto di vista semiologico. Simili sperimentazioni – che non elaborano le problematiche tipiche della moda (tendenze, stagionalità) ma si interessano alla struttura tecno-segnica del progetto da indossare – vanno ricondotte al dressing design, piuttosto che al
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fashion, anche se non mancano interessanti sovrapposizioni tra i due mondi, come nel caso delle legwear Snake&Molting di Camille Cortet, ispirate alla muta dei serpenti, o del bikini N12 di Jenna Fizel e Mary Huang (Continuum Fashion), primo caso al mondo di indumento interamente realizzato con la stampa 3D, chiusure comprese.
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Accanto, l’airbag Hövding ideato da Terese Alstin e Anna Haupt dopo l’entrata in vigore, in svezia, dell’obbligo del casco per i ciclisti. L’omonima azienda, situata a Kungälv, nei pressi di Gothenburg, oggi dà lavoro a 14 persone. Sotto, Minimal Dress di Digna Kosse, realizzato in collaborazione con il museo del tessile Audax di Tilburg. Azzerata la presenza materiale dell’oggetto, resta la pura presenza segnica (Foto di Lisa Kappe).
Per quanto riguarda gli oggetti d’uso, Procreation di Salvatore Franzese nasce dalla necessità del designer di partecipare quasi carnalmente al concepimento del pezzo, fino a vivere l’esternazione fisica del concetto come la nascita di un figlio (che per una sorta di inversione onirica da oggetto sognato va poi a inglobare il proprio ‘genitore’). Interessante anche Beautiful Mess dello spagnolo, olandese d’adozione, Alejandro Cerón, il quale assecondando la libera disarticolazione anatomica porta il combinato disposto corpo/seduta al limite della riconoscibilità (sembra quasi una Pietà michelangiolesca), lasciando che siano gli utenti a decidere la destinazione d’uso dell’oggetto (scultura o seduta). Squisitamente funzionali sono invece il collare per ciclisti Hövding, delle svedesi Anna
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Accanto, Qanah-Beam of Balance, Il bastone per non vedenti di Sruli Recht ispirato alla forma alare dei velivoli veloci. Sotto, da sinistra: Doppelgänger di Didier Faustino, Un condotto profilattico a forma di doppia maschera che unisce nella separazione (foto Didier Faustino e Galerie Michel Rein, Parigi); La maschera-occhiali per non vedenti Stone Blind di Sruli Recht, realizzata in legno di ciliegio e marmo di Carrara intagliati a mano (Foto di Marinó Thorlacius). In basso, La linea di occhiali Hair Glasses progettata da Studio Swine (Azusa Murakami e Alexander Grove) che utilizza capelli umani legati da una bioresina degradabile al 100%.
Haupt e Terese Alstin, che in caso di incidente rilascia un airbag a forma di cappuccio per la testa; e la protesi da naso Finger Nose Stylus del londinese Dominic Wilcox, che consente la digitazione su dispositivi touch-screen senza impegnare le mani. Ma quello che sintetizza forse con più acume la dicotomia tra dimensione anatomica e dimensione sensoriale è il progetto Doppelgänger di Didier Faustino, una specie di doppia maschera la cui struttura non è quella usuale del dentro/ fuori, ma quella, relazionale, del dentro/dentro, ponendosi come veicolo d’unione di due interiorità e che, a livello anatomico, evita il contatto degli orifizi orali, mentre a livello della corporeità viva fa scivolare le bocche l’una nell’altra, mescolandole in un profondo, misterioso bacio di sintesi.
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Non più il prodotto finito ma un libretto d’istruzioni per costruirsi da soli l’oggetto di cui si ha bisogno. È il concetto di autoprogettazione proposto da Enzo Mari negli anni ’70 che oggi viene attualizzato da progetti e designer attenti a una dimensione più etica e consapevole dei consumi
di Valentina Croci
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A sinistra: L’intera collezione di arredi del Progetto per l’Autocostruzione di Enzo Mari, realizzata con il marchio Metamobile (Simon International), 1974 (foto Mauro Marzocchi/ Grafiche Arsitalia). Sopra, Il tavolo rettangolare di Enzo Mari per Metamobile che riprende l’ingegneria delle travature reticolari. (Foto Archivio Gavina, San Lazzaro, BO)
Nella pagina accanto, In basso, Il catalogo di presentazione di Metamobile. Il kit per l’autocostruzione poteva essere acquistato per posta. (Foto Archivio Gavina, San Lazzaro, BO)
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È
il 1974 quando Enzo Mari concepisce la ‘Proposta per un’autoprogettazione’ come analisi critica verso il design industriale e di serie. Lo segue il pioniere Dino Gavina, il quale decide di produrre i primi pezzi della collezione con il marchio Metamobile e pubblica il libretto di istruzioni per l’auto-costruzione degli arredi. Ognuno è chiamato a realizzare gli oggetti a partire da semplici tavole di legno grezzo e chiodi. La tecnica è elementare e i mobili volti alla mera funzione. Una novità assoluta sia per il coinvolgimento diretto dell’utente nella esecuzione, pareggiato oggi solo dalla modalità Ikea, sia per l’essenza del progetto che non risiede
tanto nell’esito finale, quanto nelle istruzioni per l’uso. Il montaggio, come recita il libretto di Metamobile, permette di “porsi di fronte alla produzione attuale con capacità critica”. Mari compie una delle prime iniziative in cui a bassa tecnologia corrisponde un design strategico e metaprogettuale. La convergenza tra Mari e Gavina risponde alla comune convinzione che la produzione sia “mezzo – ha detto Gavina – che può essere usato come veicolo di stupidità o di civiltà”. Numerosi designer lavorano all’interno dell’autoproduzione e della piccola serie. Il fenomeno non è nuovo. Basti citare l’attività di Alchimia e Memphis, volta a mettere in discussione il mercato e l’industria tradizionali e il relativo sistema delle merci. L’autoproduzione è però oggi d’attualità e molti, al pari dei colleghi nord europei avvezzi a tale pratica da anni, divengono registi del processo di realizzazione dell’oggetto, dall’ideazione alla produzione, con competenze sia nell’artigianato sia nelle tecnologie digitali più avanzate. Alcuni designer rileggono, più o meno consapevolmente, l’intuizione di Enzo Mari e identificano l’autoproduzione nella fase del montaggio. Mostrano analogie le iniziative dei francesi 5.5 Designers e dei nostrani Recession Design che consentono all’utente di costruirsi gli oggetti con pezzi reperibili nelle catene per il bricolage o, nel caso dei primi, con elementi di recupero. Il progetto Cuisine d’objets di 5.5 Designers si presenta sotto forma di schizzi naif. Vere e proprie ‘ricette’ per impastare nel cemento bastoni e pezzi di ferro a cui vengono agganciati scampoli di arredo solitamente ammucchiati in cantina.
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SOPRA E A SINISTRA: L’APPENDIABITI PATÈRES EN CROUTE, PARTE INTEGRANTE DEL PROGETTO CUISINE D’OBJETS DI 5.5 DESIGNERS. PUÒ ESSERE REALIZZATO INSERENDO UN LUNGO LISTELLO DI LEGNO ALL’INTERNO DI UNA PENTOLA O UN SECCHIO RIEMPITI DI CEMENTO. SULLA SOMMITÀ SONO INCHIODATI GANCI, POMELLI E MANIGLIE A PIACIMENTO. A DESTRA, LO SGABELLO TABOURET FACON TATIN APPARTENENTE SEMPRE AL PROGETTO CUISINE D’OBJETS, REALIZZATO CON TRE BASTONI DI RISULTA ANNEGATI NEL CEMENTO CONTENUTO IN UNA TORTIERA, UNA BACINELLA O PERFINO UNA CASSERUOLA.
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Gli oggetti si confezionano in maniera rudimentale e sono deliberatamente grezzi, a sottolineare che la bellezza dell’oggetto dipende dall’estro di chi lo costruisce e dalla soddisfazione che ciascuno prova nel fabbricarsi le cose da solo. Alcune realizzazioni mostrano un elemento dorato – un pomello o un bastone. Si tratta del brand 5.5 Designers da prendere insieme alle ricette nel caso si voglia un prodotto ‘firmato’. Recession Design, il collettivo milanese diretto da Pop Solid (Dragana e Zoran Nimic e Nicola Golfari), raccoglie i lavori di una quarantina di progettisti sul tema del design fai-da-te. Nata nel 2009, questa nuova proposta per autocostruzione spazia dall’ambiente domestico, all’ufficio, all’outdoor fino all’architettura modulare multifunzionale. Se la proposta nasce per
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‘DESIGN FOR DOWNLOAD’ È IL PROGETTO DI FILIERA DI DROOG DESIGN CHE VA DALLA PROGETTAZIONE ALLA PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DI ARREDI, CHE COINVOLGE L’UTENTE GIÀ NELLA FASE DI CONFORMAZIONE DEL PRODOTTO. SOPRA, DA SINISTRA: LE SCAFFALATURE BOX-O-RAMA DI EVENTARCHITECTUUR PER DROOG DESIGN, COMPOSTE DA UNA SERIE DI SCATOLE INCASTRATE LE UNE NELLE ALTRE; UN ARREDO DEL SISTEMA INSIDE-OUT FURNITURE DI MINALE-MAEDA PER DROOG DESIGN CHE RIPRENDE IL PRINCIPIO COSTRUTTIVO DELLA RED AND BLUE CHAIR DI GERRIT RIETVELD. (FOTO DAVIDE LOVATTI) QUI SOTTO, LO SCHEMA CHE RIASSUME IL FUNZIONAMENTO DELLA PIATTAFORMA ‘DESIGN FOR DOWNLOAD’. IN BASSO, UNA SCRIVANIA IN LEGNO COSTRUIBILE CON IL SISTEMA FAÇADES & FUNCTIONS MESSO A PUNTO DA EVENTARCHITECTUUR PER DROOG DESIGN. (FOTO DAVIDE LOVATTI)
rispondere alla crisi economica imperante, il progetto apre quesiti più profondi della semplice provocazione. Tutti gli oggetti sono realizzati con materiali a buon mercato e assemblati con utensili comuni. Sono semplici e accessibili, puntano all’utilità e a risolvere problemi pratici, senza essere poveri né banali. La collezione stimola il dibattito sul valore delle merci, sulla dimensione estetica degli artefatti e sul ruolo del design. Come per Mari, la finalità di Recession Design risiede a monte del prodotto finito: a partire dal libretto di montaggio si persegue una progettazione strategica, low-tech ma high-design. Lo studio francese e il collettivo milanese si pongono come la connessione tra il sistema del design e il consumatore finale. L’originalità sta nella possibilità di fornire il manuale di fabbricazione senza provvedere alle materie prime, annullando così le intere fasi di realizzazione e distribuzione dell’oggetto all’interno della filiera. E, poiché il materiale lo sceglie l’utente, il prodotto può essere interpretato in modo sempre diverso, rendendo irripetibile l’esito di un processo seriale. Se con le istruzioni per l’uso l’utente può diventare il costruttore del suo ambiente, con
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poche conoscenze informatiche e un’opportuna piattaforma di servizi può trasformarsi nel progettista dei propri mobili. È l’iniziativa Design for Download di Droog Design, finalizzata a democratizzare il sistema a partire dal processo produttivo. Il gruppo olandese ha fatto sviluppare da EventArchitectuur e Minale-Maeda una serie di sistemi di arredo modulari e componibili, da costruirsi in modo semplice, con legni al naturale e incastri, senza viti né chiodi. L’utente disegna la conformazione del mobile a mezzo di programmi informatici di modellazione 3D e invia il file digitale ad appositi laboratori che procedono all’approvvigionamento del materiale e alla sua lavorazione con macchine a controllo numerico. Il prodotto finale è a chilometro zero, realizzato e distribuito localmente. Droog sposta il design dal singolo oggetto alla rete di fornitori, ovvero alla progettazione dell’intero servizio. La produzione è ‘su’ e ‘a misura’, al pari della prototipazione rapida. In più, poiché si prevede di mettere in rete le soluzioni d’arredo già disegnate, gli stessi file possono essere condivisi in modalità open source e implementati da più attori.
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È nel mondo del cosiddetto ‘fabbing’ l’italiana Vectorealism. Fondata nel 2010 a Milano da Eleonora Ricca e Marco Bocola, la realtà è una sorta di filiera in miniatura. Offre un servizio online per la costruzione degli oggetti a partire da un file vettoriale e si pone sulla scia dei FabLab, i laboratori pubblici dotati di macchine a controllo numerico per la sinterizzazione, il taglio e la piegatura dei materiali. Come spiega il sito di Vectorealism, se qualcuno ha un’idea, è sufficiente che la disegni con un comune programma di grafica e la carichi online per avere un preventivo che varia in base a materiali (plastica, legno, cartone, feltro e pelle), colori, dimensioni e quantità prodotte. E, nella tipica prassi web 2.0, esperienze e commenti vengono condivisi nel blog. Il servizio di Vectorealism è limitato alla funzionalità produttiva delle sue macchine e si rivolge a un pubblico non professionale, ma apre il dibattito sulle potenzialità delle tecnologie digitali all’interno della filiera e la conseguente ridefinizione delle professioni nel design contemporaneo.
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Nella pagina accanto, in alto: SitSit di Marissa Morelli per Recession Design, un sistema di tavolo e sedute che si appoggiano ad un pannello rettangolare che funge da sostegno. L’allestimento può essere speculare rispetto al piano. (Foto Jim Johnny)
nuovo fai-da-te / 93
Un treppiede pieghevole con struttura in legno è dotato di un fornellino da campo e un secchio con funzione di lavabo, alimentato da una sacca d’acqua. È la Cucina da campo disegnata da Dragana e Zoran Minic per Recession Design. (Foto Jim Johnny).
Sotto, da sinistra: lo schema di montaggio della cucina da campo di Dragana e Zoran Minic che può essere realizzata con elementi acquistabili nelle catene del bricolage; L’unità-ufficio Ennesimo Studio di Recession Design, composta da quattro arredi inscrivibili nello stesso volume rettangolare. L’idea è di avere uno studio mobile compattabile. (Foto Jim Johnny)
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Bulloni, viti e morsetti a vista, materiali grezzi, protagonismo degli snodi. Il design esplora l’estetica intuitiva dell’autoassemblaggio in mobili e lampade che sembrano usciti direttamente da un’officina o un laboratorio di falegnameria. La svolta giocosa e apparentemente low tech del progetto industriale
ispirazione meccano di Katrin Cosseta
duiii, di successful living from diesel by foscarini, lampada da tavolo con braccio snodato come i pezzi del Meccano, composto da quattro elementi di metallo tenuti insieme da dadi a farfalla, e diffusore in vetro pressato e metallo. foto di simone barberis.
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1. layer di paola navone, consolle in legno realizzata con tavole di legno massello di acero, ciliegio, frassino, noce e rovere, pezzo unico per la fondazione aldo morelato, collezione del Museo sulle Arti Applicate nel Mobile (MAAM).
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2. no design, di mario bellini per meritalia, tavolino in metallo su ruote industriali. 3. Robox, di Fabio Novembre per Casamania, libreria a immagine di un robot, in metallo verniciato bianco o grigio scuro, con ‘cuore’ rosso. 2.
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1. light forest, disegnato e prodotto da ontwerpduo, sistema di illuminazione a soffitto variamente configurabile, in alluminio verniciato e rame. 2. tafelstukken, di daphna laurens per cappellini, serie di lampade multifunzione: il vassoio della lampada da tavolo o self-standing può fungere da svuota tasche o ciotola portafrutta. struttura in massello di noce naturale, paralume e vassoio in porcellana.
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ttable, di jan & randoald per labt, tavolo con piano in compensato stampato a creare l’immagine di una tovaglia, e contenitori su ruote trolley, a elementi sovrapponibili con diverse grafiche stampate. foto di Julien Lanoo.
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1. position floor lamp, di rooms design per moooi, lampada snodabile da terra, reinterpretazione in acero massiccio della classica lampada in metallo. 2. sputnik, di roger arquer per zilio, sgabello con gambe in legno di faggio connesse da un elemento metallico curvato con funzione di poggiapiedi, seduta rivestita in tessuto.
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3. diy lamp di Rona Meyuchas K/ rmkdesignoffice per kukka, lampada in kit composta da 7 elementi in legno di betulla assemblabili tramite viti. disponibile anche in versione da parete e soffitto.
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ispirazione meccano / 99 1. lotek, di javier mariscal per artemide, lampada da tavolo a bracci mobili, con testa orientabile e sorgente led. base in acciaio e testa in alluminio verniciati, bracci in alluminio anodizzato. 2. stratum table di faye togood, tavolo con piano composto da diversi profilati in alluminio connessi da bulloni industriali in ottone. 3. famille garage, di Alexander Seifert per richard lampert, cassettiera per bambini con struttura in legno e cassetti in plastica colorata. 4. top four wall b, di alberto basaglia e natalia rota nodari per luxit, lampade a led, snodabili e a parete, ispirate ai mattoncini lego, in alluminio estruso verniciato e materiale termoplastico.
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1. my storage, di ineke hans per magis, sistema componibile per creare liberamente scaffalature e cassettiere; i montanti consentono di fissare i ripiani a due diverse altezze. 2. flying chair, disegnata e realizzata dallo studio mammafotogramma, sedia pieghevole realizzata con assi da ponteggio connesse da bulloni e sospesa a un argano da cantiere. 3. sgabelli-tavolini dalla Stitched Collection di Tord Boontje per moroso, in compensato con profili ‘cuciti’.
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4.5. Make a new collection, disegnato e realizzato da Melle Koot, prototipo di tavolo modulare composto da elementi in compensato di betulla connessi da bulloni oversize. Foto 5 di Matteo Cirenei.
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INtopics
editorial
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Having gotten beyond the historical dictates of “form follows function”, contemporary design is faced with questions about the various meanings of the word ‘function’ that might still grant meaning to objects and to works of architecture. The projects illustrated in this issue offer a significant example of the multiple interpretations and complex thinking that have developed around this theme. In the small apartment by Paolo Romano on the Côte d’Azur, for example, function is alluded to, camouflaged, never explicitly displayed, and becomes an expedient for physical and conceptual experimentation that makes living space into a sort of installation. An equally experimental but more concrete approach is taken by Lot-Ek. Faithful to their ongoing philosophy, the two designers revise the concept of architectural flexibility in the Apap Open School at Anyang, South Korea, granting it unusual forms and functions, in this case those of eight freight containers bolted together, that can be dismantled and reassembled to respond to different needs. Moving down to the scale of design, Matali Crasset and Jean Nouvel narrate their latest works, in relation to two different visions of aesthetics and design in general. In the first case, we see a vivid focus on the social dimension; in the second, a functionalist conception that links back up to the roots of the modern. After all, what counts for contemporary design is not so much the object in itself as the process it generates, the meanings it takes on during use. The extreme example? The overview of projects done by emerging designers, all sharing a focus on the relationship with the body. A series of objects that, precisely due to their functional nature, appear as extensions of the physical life of man, taking on form and function a radical, emblematic blend. Gilda Bojardi - Caption Athens, New Hotel, design by Humberto & Fernando Campana, photo by Andrés Otero.
INteriors&architecture Earth, air and light
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project Marco Merendi photos Alberto Ferrero text Virginio Briatore
Amidst the colors of the Marches countryside, an old farmhouse comes back to life thanks to the passion of a young couple. Isolated, almost suspended between fields and sky, the house seems to float in space, silence and light. The interior opens in different ways to the natural setting, revealing new depths enhanced by precious details. Built in 1892 on the hills near Filottrano, in the province of Ancona, the house is completely in brick, in a memorable location: countryside with a vast horizon, 20 km from the Adriatic, with a view of the mountains. Its spontaneous beauty is the result of the skill of local peasants in the past: the house is solid but not without a certain grace, and the composition reveals its sequence of additions made over time. The bricks speak the language of the earth. The project by the Italian-Dutch architect Marco Merendi conserves the external volumes, transforming what was once a farm into a comfortable dwelling for his own family, a place where three generations can coexist, not only in the summer. At the time of purchase the house had already been partially reorganized, in a project that had erased the tangible signs of its history, such as doors, fireplaces and other features. The architect and his wife fell in love with the surrounding landscape. They have designed a protective home, full of surprises inside, but also open to the nature outside. Upon entering one immediately notices the painted metal casements, designed for complete opening. The two new windows on the side of the pool, and the existing openings, thus gain more light and let the landscape enter. The internal space is mutable, changing with the seasons, with the hues of sunflowers, wheat, olive trees. Another ‘crop’ that has sprouted up all over Italy in agricultural zones, though fortunately not visible from inside this house, is that of solar panels. A sign of the fact that foods, cereals, fruit, vegetables and other produce are not necessarily profitable, alas, while the hunger for energy remains a driving force. The farmhouse has been renovated with great passion, cultivating relationships with both national suppliers and local craftsmen, like the venerable blacksmith who has made the precious details, like the handrail of the staircase. The owners have put a lot of energy into finding traditional local materials and salvaged furnishings, including the pieces used to create the colorful ‘patchwork’ walls of the bathrooms and the kitchen. There are also sinks in stone or marble, terracotta tiles for the stairs, the thresholds, the terrace and the swimming pool. The building has three levels: the ground floor is open to the countryside, with the kitchen and living area; the level above contains a music and reading room, two baths and three bedrooms for the children and guests; the big attic hosts a spartan master bedroom, balanced by a very comfortable bath. The kitchen block virtually ‘crosses’
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a wall to merge with the dining and living areas, the latter functioning as an open space created in the zone that was once occupied by stalls. Light penetrates everywhere, from all sides, underscoring new details, like the waxed iron volume of the fireplace hood, the central block of the staircase, the sliding panels of antique chestnut wood that can be concealed behind the fireplace. Their sliding reveals another surprise, showing that the open space can be split to create a studio zone facing the vegetable garden. Most of the floors are in resin, made specifically for this project by Mapei. Other zones, like the reading room on the first floor, feature large hand-planed planks of chestnut wood. The great attention to detail can be seen in the iron shutters with laser-cut graphic designs that are projected on the walls at dawn and at sunset. We should also mention that the grandfather of Arch. Merendi was the director of Philips in Eindhoven, so he has inherited a passion for both indoor and outdoor lighting. The house, in fact, features many different scenarios and combinations of lights to enhance contours, water, foliage. - Caption pag. 3 View of the farmhouse and the swimming pool at dusk. Outdoor lighting with LED spots at ground level. Exposed concrete pool with recycled terracotta tiles. - Caption pag. 4 The dining area with a view of the pool and the hills of the Marches. Table in handplaned beech boards, with structure in rough waxed iron, custom design. DSW chairs by Charles Eames for Vitra. Candleholder from the InTavola collection by Pentole Agnelli. In the background, Ono cement vase-lamp designed by Marco Merendi for Davide Groppi. The house, built in 1892, seems to float amidst fields of wheat and sunflowers. Chef outdoor shower and platform designed by Marco Merendi for Rapsel-Nido, with the many Mediterranean plants that surround the house. - Caption pag. 5 Plans of the various levels. The kitchen block, in masonry clad with old restored composite tiles, with doors in hand-planed chestnut wood, extends into the adjacent space, becoming an ideal continuous island. Antique marble sink from Genoa. Above the counter, Spy hanging lamp by Davide Groppi. On the wall, the Ball Clock by George Nelson for Vitra. - Caption pag. 6 The living area created in the former stall with its typical vaulted ceiling. Resin flooring custom produced by Mapei. RAR rocking chair by Charles Eames for Vitra. In the wall niche, a collection of antique Dutch porcelain plates with openings to drain off meat and vegetable juices. On the Spanish 19th-century chest, the Aba lamp by Omar Carraglia for Davide Groppi. In the background, chaise longue by Missoni Casa. The painted laser-cut iron shutters create evocative lighting effects on the walls in the living area. In the background, the Toobo floor lamp created by Marco Merendi for FontanaArte. Facing page, the landing of the staircase made with old terracotta tiles, facing the reading room and offering a view of the first two levels of the house. Fireplace volume in waxed sheet metal with exposed smooth concrete base, floor in antique chestnut board. Chaise longue by Paola Lenti, with Barcelona chairs by Mies van der Rohe for Knoll International. - Caption pag. 9 View of the attic bedroom under the old wooden truss on which the artist Roberto Cambi has positioned two luminous ghosts in white ceramic, to protect the home. The guestroom is on the first floor. On the wall, wooden frames with hand-embroidered botanical primers. On the facing page, the staircase to the attic, in iron and salvaged tiles, with handmade iron railing. - Caption pag. 10 The large bathroom on the first floor, with a view of the surrounding countryside. Shower zone faced with salvaged tiles arranged like patchwork, enhanced by the light of the Spot lamp by Davide Groppi. Hand-planed chestnut flooring. Antique stone sink, mirror and chandelier from the early 1900s.
Living in an installation
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project Paolo Romano photos Alberto Ferrero stylist Francesca Salvemini edited by Antonella Boisi text Paolo Romano
A small apartment in a building from the early 1970s near Monaco, to restructure as a vacation home. The compact size, the views of the sea and the greenery, the desire to combine everyday functioning and care for the spirit, as stimuli to experiment on the threshold between architectural and artistic practice. We asked the designers to tell us all about it. The center of the house – the center of the cross – the metaphor that generates the design, is occupied by an enigmatic crystal parallelepiped. Those who enter wonder why, and inevitably ask: “What’s that?” Allow me to tell a little story: “A woman and a man, an architect and a camel, see the crystal. What do they say? The woman says it’s a shower, the man says it’s a lamp. Then they ask the architect, and he says it is a window. The camel says nothing, but knows that it is a machine for making mirages”. Who has the right answer?
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“They are all correct, but… I agree with the camel: he’s the one capable of saying the most interesting things, if only because of the fact that more than the others he knows about mirages, because he lives in them. A guest in a work of architecture, he rediscovers and fully enjoys the subtle charm of disorientation, of disconcerting things, of the contamination between real and virtual he has already experienced in the desert”. Why does the camel think it is a mirage machine? “He has immediately noticed that the crystal, thus positioned, is capable of making mirages. It does so like the air of the desert, with a game of reflections. Only it is not done in a natural way, because it is a machine. Unlike the others, the camel consciously enjoys, he doesn’t passively submit to illusions and mirages without knowing it. That’s why I like him”. We’d like to know something technical about the machine, something only the architect knows… where the machine really is, how it works… “The machine is all there, concentrated in a single side of the parallelepiped (the one that has no contact with the wall), and it functions like a simple mirror. That functions as a mirror without being a mirror, that’s the whole point”. How is that possible? “The mirror has been broken down, depriving it of all the elements that facilitate cognitive recognition – it is not a glass with silver paint, but a simple transparent crystal, it lacks a frame and a border, it lacks the wall on which it rests, and the floor crosses its base: too many things are missing, things that should be there in a mirror, and there are other things mirrors never have. We have forced the brain to work too hard to identify it as an object-mirror, and in fact if you do not concentrate, the mirror simply isn’t there, though it conserves its function of reflection, a function without an organ, present without the observer being able to perceive it. It comes as no surprise that if you do not notice the mirror, you do not notice the existence of its function (reflection), even in nature (and in society), when the organ is not perceptible the function operates unconsciously in subjects”. Why have you done all this? “It is just a cognitive stratagem concealed in a work of architecture, but it has a precise conceptual meaning: it has allowed me to experience the pleasure of living on the threshold between the traditional home and the art installation”. The story unfolds, in fact, along two distinct registers that both develop in relation to the emblematic object: a suspended crystal parallelepiped placed at the center of the house, that silently orchestrates the overall spatial perceptions. On an initial level of interpretation – the most immediate level – the purity of the forms and the soft colors camouflage, in a widespread homogeneity, all the traditional domestic functions, without allowing them to be visible in any way. In this atmosphere, a large parallelepiped of etched glass is inserted, which contains the kitchen and a bathroom. A luminous geometry, almost plummeted there from above, to give the project intensity. The ‘parallelepiped module’ constantly repeats in the design of the spaces and furnishings: in the other transparent crystal set into the wall at the center of the house, in the three suspended wardrobes of the entrance, in the spice-rack door that conceals the cooking area in the kitchen, in the desk concealed in the wall of the master bedroom. All this gives the project great conceptual and expressive unity, slightly attenuated and made flexible by the variety of the spaces and views, achieved with the use of mirrors, glass, mobile partitions and cabinets. This flexibility allows the spaces to be gauged and adapted to different moods, depending on the private and social context. Then, at the center of the house, almost invisible at first, one encounters another transparent, suspended parallelepiped, the emblematic object, that opens up a second register of interpretation, triggering a more subtle perception of the architecture. This is an object for different functions. A source of daylight for the second bathroom, in the evening it becomes soft, colorful light for all the spaces, and also a shower from which to look at the sea to the east and the garden to the west, almost like a panopticon, while experiencing the impossible vantage point of one’s own body, caught in a slight illusion of levitation. The play of reflections on the transparent glass – a deconstructed mirror, therefore invisible – offers more mediated, profound suggestions in which the house, having lost its initial skin, is completely revealed, unveiling a unified emotional design composed of fleeting visual perceptions and slight hints of mirages. The effect of disorientation imperceptibly checks the repetitive mental and social dynamics of persons, opening them up to an ethics and aesthetics of the self similar to the ones suggested by certain contemporary art installations. In the end, the design of the spaces and the fixed furnishings secretly smuggles in certain contemporary aesthetic experiences, inserting them in the apparently inviolable confines of established everyday practices. Relaxing, washing, cooking, taking and storing things seem to happen in a place full of meaning. All actions that make us enter a place in which many of the things we have achieved, but
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that do not belong to us, are put into check. You are entering an installation. Should we draw the conclusion that, in a certain sense, to experience the contemporary world you have to live in an installation?” - Caption pag. 12 The sea and the landscape of the Côte d’Azur framed by the large window of the living area. On the terrace, a wooden table from the Philippines and chairs by Harry Bertoia produced by Knoll International. ST04 Backenzahn stools in wood by E15. On the facing page, the garden seen from the bedroom. In the foreground, the transparent volume that contains the shower, and the Fronzoni ’64 chair by Cappellini, designed by A.G. Fronzoni. - Caption pag. 15 Overall view of the living area, containing a few carefully selected design pieces. Outline chaise longue designed by Jean-Marie Massaud for Cappellini. Livingstones hassock by Stéphanie Marin for Smarin. Iron sculptures by Antonino Sciortino. Center, the parallelepiped in etched glass that contains the kitchen and a bathroom. Planimetric of the apartment and, on the facing page, in the axonometric drawing, the sizing of the spaces with indications of circulation routes. Note the mobile elements (in green) and the transparent mobile elements (in blue). - Caption pag. 16 The ‘parallelepiped module’ is constantly repeated in the design of the spaces and furnishings, as in the three suspended storage units of the entrance. Facing page, the large transparent crystal set into the parallelepiped suspended in the wall at the center of the house, containing the shower: an emblematic object that stimulates a different perception of the architecture and the spaces, in the evening, when it becomes a source of variably colored light. - Caption pag. 18 The large bathroom contained in the glass parallelepiped is in direct communication with the master bedroom. Mirrors, walls and mobile cabinets generate carefully orchestrated usage flexibility as well as a highly dynamic perception of angles and views. Bath accessories and fabrics by Coincasa. Pillowcases and bedspread by Society. On the bedside table, the Fato table lamp by Artemide, designed by Gio Ponti. On the facing page, the second bedroom that continues along the side with the glass facade. Bisonte stools by Produzione Privata, designed by Michele De Lucchi and Philippe Nigro.
Spiral in the park
p. 20 project LOT-EK/ Ada Tolla + Giuseppe Lignano photos and text Sergio Pirrone
Anyang, South Korea. The APAP Open School, in the figure of an iron spiral with a vivid yellow color, sums up the highly experimental approach of the design research of Lot-Ek. At the end of the 1980s Ada Tolla and Giuseppe Lignano wondered what other ports would be visited by all those freight containers stacked up at the harbor of Naples. After graduating, they set off for America in search of a model that could transfer the force of chaos into spontaneous planning for a hyperindustrialized society. Lot-Ek was born on the piers of Manhattan, amidst heterogeneous volumes randomly clustered in the industrial sheds of the vertical metropolis, staring at the docks of the merchant ships locked in the steel embrace of the New York Container Terminal. “The spontaneous randomness of the constructed territory is what truly interests us. Its way of layering up anywhere, as if the city were a gigantic hardware store, and its abundance, tell us how human beings really operate”. In 15 years Ada and Giuseppe have dug up the concept of architectural flexibility and given it infinite forms and functions, beyond the standard. They have translated abundance into primary essence, the refuse of society – iron, cement, plastic or neon – into pure architectural elements. From conference rooms in containers to tracks for the Bohen Foundation in New York, the fluorescent tubes of the entrances of the CanCo lofts in New Jersey, or the proposal for reuse of the bodies of old airplanes to make mini-skyscrapers. Then they headed for the Chinese capital, for their first large-scale constructions, those of the Sanlitun district. Seoul is two hours from Beijing by air, 30 minutes by car from Anyang. For a decade now South Korea has been striving for a cultural reawakening, and the APAP (Anyang Public Art Project) Foundation is one of the many factors in this program. - Caption pag. 21 The facility of the APAP 2010 Open School (Anyang Public Art Project) hosts workshops, conferences, screenings, exhibitions, concerts and parties in three buildings immersed in the Hakwoon Park, on the Anyang River. The architecture by Lot-Ek stands out for its vivid yellow color. Facing page: view of the Open School, in a work of architecture made by bolting eight corrugated sheet metal containers together in a fishbone pattern at 45-degree angles. - Caption pag. 22 More views of the iron spiral of the architectural structure. The nude, sinuous chassis is placed three meters above street level. Its lower part contains the entrance staircase, while a steep flight of steps leads to the roof terrace. - Caption pag. 24 Views of the rectilinear, open, multifunctional interiors, with glazings for views of the park.
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Tetris in Hong Kong p. 26 project Coldefy & Associates Architects Urban Planners (CAAU) photos and text Sergio Pirrone The Design Institute, for 4000 students, is like a new icon, an urban center of gravity, a pole of creative energy in the off-scale context of a zone filled with towers, where it seems to have landed by mistake. Once upon a time there was the future. Some thought it would be exciting, others feared it, but everyone would have time to get ready. When China woke up everything changed, and the present bid a permanent farewell to the past: it was already the future. In Hong Kong, during the British retreat, the virtue of patience vanished, and the real estate opportunities could no longer be postponed. It was time to pay attention to the New Territories. Tiu Keng Leng, in the area of Tseung Kwan O, the southern zone of the Sai Kung district: nothing to report until October 2008, when dense strips for residential cages, long structures packed with shopping centers, began to stretch these 42,000 sq meters of suburban metropolis. The Tetris dream was coming true. From above, 50-floor towers ‘rained down’, ochre yellow towers, eliminating the small, dark nooks, deprived of the centering force that could only be offered by random descent. Already, in 2006, the VTC (Vocational Training Council) had held an international competition for the new Hong Kong Design Institute, a large design platform that would gather the many departments scattered around the city. The architecture would become a center of gravity, a pole of energy, the characteristic sign of a previously inexpressive visage. Like a white sheet of paper on which to write the future of a young city, the Blank Page of the young outsiders Coldefy & Associates Architects Urban Planners (CAAU) came as a surprise, becoming the first work of architecture entirely designed by a French studio in Hong Kong. Not yet forty, Thomas Coldefy and Isabel van Haute ‘beat’ the urban void with three vertical moves: the ‘set down’ a quadrangular podium, ‘pierced’ it with four vertical towers, which they blocked with a floating glass platform. A Chinese marvel, boundless playground for white men who experience the gigantic and achieve the improbable in exchange for the death of the detail. From King Ling Road, the geometric simplicity is inversely proportional to the impressive scale. To its relationship with the pedestrians crossing at the light, to the students who cross the street on the elevated walkway that connects the HKDI to the nearby shopping center. The two platforms ‘descend’ onto the main streetfront and lock in at different heights. The lower one contains the sports area, with a swimming pool and basketball court, while the higher one becomes an urban park, a semi-open space for events and informal gatherings. From the street level, two ramps of panoramic escalators construct the spinal column of the vertical movement to the floating ‘hat’, while the agora next to the existing HKDI is joined by an auditorium, a gallery, a cafeteria and an indoor sports center. The four educational ‘legs’ in dark gray concrete have a white steel skeleton, diagonal like the nets of the fishermen who once lived here. They rise and support the weight of the structural complex, protecting the four different departments and opening them to the city. Classes, seminar rooms, lab spaces rise up, higher and higher, towards the end of the game. The white diagram can be seen behind the cyan glass of the last Tetris. Two floors for administration offices, a library, a research center, suspended lightly 33 meters above ground level, with 360-degree glazing. The neighborhood, lacking in harmony from any vantage point, now has a new icon: the blinding mist of noon cannot hide this unconventional worksite, known as the future. - Caption pag. 28 On the previous pages, overall view of the Hong Kong Design Institute in the context. The raised walkway connects the HKDI to a nearby shopping mall. The dynamic composition of volumes and spaces seen from the ‘galleria’ that connects the various levels, like an accessorized promenade. - Caption pag. 30 Below, some of the spaces of the four different departments, including seminar rooms, workshops, a library and research centers. The four vertical towers have a white steel skeleton positioned diagonally on dark gray concrete bases. On the facing page, the impressive ramps of panoramic escalators that form the ‘spinal column’ of vertical access, from the street level to the floating glazed platform.
Yes!: young, enthusiastic, seductive
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project Humberto & Fernando Campana photos Andrés Otero text Alessandro Rocca
The Campana brothers are wow factor experts. They know how to communicate ideas and emotions through unusual, surprising choices, imagining a luxury open to techniques and materials drawn from the ethnic tradition and low-cost culture. As in this project, their first hotel, in Athens, for the Yes! chain of Dakis Joannou. Fernando Campana: “I took a degree in architecture (while my brother Humberto, 18 years my senior,
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has a law degree), but I soon understood that was not my dimension. So I have refused, for many years, to work on buildings, concentrating only on furnishings, graphics, sometimes fashion, but never architecture”. Who convinced him to change his mind? Young, Enthusiastic and Seductive are the three words that form the YES acronym, the name of the hotel chain of Greek tycoon Dakis Joannou. An entrepreneur, distributor of Coca-Cola in 27 countries, and a world-class collector of today’s leading artists, from Joseph Kosuth to Vanessa Beecroft, Maurizio Cattelan to Urs Fischer and Takashi Murakami. Last year the New Museum in New York hosted an exhibition curated by Jeff Koons, entitled “Skin Fruit: Selections from the Dakis Joannou Collection”. Koons has also created a colorful personal yacht for Joannou, named “Guilty”. In Athens Joannou has four more Yes!Hotels, including the Semiramis by Karim Rashid. They represent different takes on the intense, direct relationship with contemporary art. The rooms at the Twentyone, for example, have been decorated by young artists, while the Periscope features lightboxes in every room, with views of the Greek capital. Joannou wants to avoid repetition of standard solutions, making each facility unique and original. For the renovation of the old Olympic Palace Hotel, a modernist building constructed in 1958 near Syntagma Square, he was looking for an internationally renowned talent to come up with an unusual interpretation of the situation. The result was a highly unusual choice, when it comes to architecture: the Campana brothers, called in to invent what is now, in fact, called the “New Hotel”. Fernando explains their approach: “we’ve decided that nothing should be thrown away, we recycle everything”, so in the lobby the walls and columns are covered with fragments of the furnishings that were once used in the old hotel. The technique of 3D collage, already applied in the famous Favela chair designed in 1991 and produced by Edra, is seen in the walls of the reception, the columns and counter of the New Taste Restaurant, in a spectacular diorama of the previous hotel. Decoration that introduces a new materic and spatial dimension without any need to transform the layout and structure of the building. The black marble staircases and the corridors have been conserved, though the latter now feature wallpaper made by waving the bark of an African plant. For the rooms the Campana brothers have opted for recurring elements, like veneered oak desks and bamboo floors, bathrooms with sinks like geometric rocks, with other, luminous features in solid brass. The most innovative touch is the subdivision of the rooms into three thematic categories. “For the furnishings – Fernando continues – we organized three groups of students, about twenty in all, from the schools of architecture and design of the University of Thessaly, who worked with the goal of connecting folk and contemporary”. Together, they developed furnishings on three themes from the Greek tradition. The first theme, in 27 rooms, is that of Karagiozis, the main character of Greek shadow-puppet theater. Silhouettes of puppets have been cut out, gilded and attached to the walls of the rooms. They tell four stories in which Karagiozis plays the roles of a doctor, a sailor, a bridegroom, an astronaut. The second theme is that of the Evil Eye, the amulet for protection against spells, organized in white and blue constellations on the walls of 24 rooms. The remaining 27 rooms feature the third theme: period postcards, displayed in a very informal way, showing 1950s Athens. Natural and artificial, modern and contemporary, ethnic and industrial… in the eclectic program of the Campana brothers the syncretism of their native country, Brazil, becomes a global strategy. A way of understanding our reality that is increasingly composed of separate fragments, offering a unified image that might seem unstable, in search of an impossible balance, but also gets energy from its own restless dynamism. - Caption pag. 32 The New Taste Restaurant, with the Pixel chairs and Campana chandeliers produced by Edra. On the facing page, detail of the decoration made by recycling and assembling, in a 3D collage, the furnishings of the old Olympic Hotel. - Caption pag. 34 View of the building, which conserves its modernist image on the outside, and the reception-lobby with the columns in the “favelas” style. - Caption pag. 35 The corridors feature wallpaper made from the bark of an African plant. In the bathrooms the fixtures are like geometric rocks, with parts in solid brass. There are many original custom pieces, like the chair newspaper-rack in wood, or salvaged pieces like the “horse”, a piece of exercise equipment found at an Athens flea market. - Caption pag. 36 Image of the New Taste Restaurant with the Pixel chairs, the chandelier in anodized aluminium designed by the Campana brothers for Edra, and the “favela” covering that recycles the old furnishings of the Olympic Hotel. - Caption pag. 38 The hotel rooms are decorated with collages of Greek postcards from the 1950s and 1960s. The Brasilia wall desk has oak veneer. The Volume chair, at the desk, and Ladder, the high ladderback chair. Decorations and furnishings made by the Campana workshop set up for this project in Athens. A room decorated with the white and blue eye of the Greek amulet against evil spells. - Caption pag. 39 One of the 27 rooms decorated with the image of Karagiozis. The silhouettes of the puppet have been cut out, gilded and
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attached to the walls like frames of a film fable. Detail of the bathroom, with the brass washstand in the form of a geometric rock.
INsight INarts
The Venetian contagion
p. 40
by Germano Celant
The location of the Biennale seduces you, and forces you to come to grips with the past as a way of approaching contemporary knowledge. In an atmosphere where memory feeds on real or fake traces that are constantly shared by people. The image of Venice is contagious. When an artist or a curator enters this arena, he or she is inevitably carried away by the delirium of history, by the iconic and urban itineraries. A penetration of the ghosts of a culture enamored of the memories of the past, the thrives on the triumph of death, the masks shaped on the bodies of the deceased, like the Stealing of the Dead Body of St. Mark, 1562-1566, by Tintoretto, used as the introductory symbol of the 54th Venice Biennale, curated by Bice Curiger. An iconic choice that tries to radiate energy from the dead to the living, so that the prolonging of the present is sublimated by the powerful figure of history. It is a way of utilizing the image, prior to ideas, trying to communicate that the illuminations of yesterday (the title of the Biennale is IllumiNations) can be resurrected and embodied in the present. This is not precisely the case, though the presence of Tintoretto in the central pavilion at the Giardini seems to deploy the body of the deceased to insinuate the perception of continuing to enter a space that is consecrated, no longer to the sacred, but to art. Nevertheless, the beyond does not correspond to the prior. The light that blesses with belief, today, is translated only into decoration, so much so that – introduced and justified by the visions of Gianni Colombo and Jack Goldstein, where the environmental and informative invisible was the historical subject – many artists, from James Turrell to Haroon Mirza and Navid Nurr are included for their work on languages where light is a tool of perception and decoration. The danger is the mummification of an iconic substrate, in the hope of finding, in Venice and its history, a mirror that unfortunately functions as the double of the dead. This is the case of the video installation by Pipilotti Rist, which takes the veduta of an anonymous Venetian master, enlivening it with a New Age sequence, almost in a ritual attempt at survival that makes use of the landscape double as protection from something worse. The same can be said of Monica Bonvicini, whose earlier constructions were critiques of a certain macho stance; here she engages in a subtle, light metaphorical game about the staircase of mirrors, inspired by the Presentation of the Virgin, again by Tintoretto, the true star of this Biennale. Another attempt at Venetian reincarnation is offered by Gelitin, a group of artists who call into play the image of the glass industry of Murano, producing an event at the Giardino della Calandre, where the ritual of the melting of glass in an outdoor oven became a critique of the exhibition ceremony of the Biennale itself. Perhaps a non-fetishist gaze, not focused on what lies beyond the tomb, could be found in exhibitions and pavilions that are somehow in tune with Venice without sinking into the muck of its imaginary canals. In those contributions that preserve the vital presence, disassociated from the double of the cadaver, avoiding the lugubrious to narrate a mythical circulation of a place of power, capable of interacting, through indirectly, with other societies. Thus we have the regeneration of Venezia in Venice California, which brought the Hollywood abstraction of a lagoon city on the Pacific Coast to Palazzo Contarini. A word game, “Venice in Venice”, where the incarnation of the name is an invitation to see a contemporary Californian history, with roots in the late 1950s. A reflection on a village of tamed canals and beaches steeped in the odor of petroleum, pumped by rigs located at sea a few hundred meters from the wooden houses, which became the fulcrum, before New York, of New Dada and Pop research, so much so that at the urging of artists like Ed Kienholz and Bruce Conner, Warhol showed his work there for the first time. Not to mention the first American solo shows of Bill Bengston, Ed Ruscha, Llyn Foulkes, and Europeans like Yves Klein. A Venice rich in encounters that does not feed on nostalgia, but sinks its critical and polemical roots into American politics, the wars in Korea and Vietnam, speaks of the identity and narration of Afro-Americans, from David Hammons to Jesse Jackson, of Simon Rodia’s construction of the Watts Towers, or approaches the argument of feminist art for the first time, with the creation of the Woman’s Building, the works and performances of Suzanne Lacy, Wanda Westcoast, Judy Chicago. The image of Venice draws nourishment from that fertile era, when artists like Ed Moses, Larry Bell, Bill Bengston, Vja Celmins, Ken Price and, later, Doug Wheeler and Maria Nordman, Robert Irwin and Eric Orr, worked on the definition of a language in which the
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‘environmental’ connotation – which went from the fullness of Hollywood and marine imagery to the void of architecture, as possible sublimation of an acorporal sensation, close to oriental philosophies – could find a possibility of being perceived. At the same time, in Venice, inhabited at the time by serene retired people, surfers and body builders, a ‘superficial’ language was constructed, inspired by the culture of Sunset Boulevard, by life on the highways, by knowledge of nearby deserts. A landscape that has no counterpart in New York and permits, therefore, a discourse on both the artificial and the natural environment. The reutilization of history is a refuge in the age-old power of art and the city that hosts it, Venice (Italy), though it is all implemented with a temporal and linguistic shift. An energy of perpetual innovation that thrives on celebration of the new that has roots in the ancient. To avoid this risk of indirect survival, Mike Nelson seeks an equivalent in which to materialize his awareness of inevitably finding himself a ‘prisoner’ of Venice. He does so by looking for a double that comes from an earlier work, the construction of a photography studio in a room in a neighborhood in Istanbul, the other Venice. But instead of re-presenting it as it was, inside the UK pavilion he reconstructs it, erecting around it part of the complex of buildings and courtyards, rooms and staircases of which it was a part in the Turkish city. Entering the pavilion, the visitor finds himself retracing, without the noise and confusion typical of such a market, an urban itinerary made of rooms and nooks full of objects and tools, rusted, dusty, with a 19th-century look. A labyrinthine, thrilling voyage, a scenario of dark and luminous moments. The visitor experiences an atmosphere where memory feeds on real or fake traces, continuously shared by people. Just like Venice. - Caption pag. 40 Larry Bell, Conrad Hawk, 1961. Bruce Conner, Homage to Jay De Feo, 1958. - Caption pag. 41 Mike Nelson, Impostor, 2001 (detail). - Caption pag. 42 Llyn Foulkes, Lucky Adam, 1985. - Caption pag. 43 Llyn Foulkes, Washingtonland, 2006. Mike Nelson, Impostor, 2001 (detail). - Caption pag. 44 Monica Bonvicini, Untitled (15 Steps to the Virgin), 2011. Llyn Foulkes, Mount Hood, Oregon, 1963. Ed Kienholz, John Doe, 1959. - Caption pag. 45 Llyn Foulkes, Death Valley, USA, 1963. - Caption pag. 46 Pipilotti Rist, I Don’t Want to Go Back (Hospital), 2011. Ed Ruscha, The Los Angeles County Museum of Art on Fire, 1965-1968. - Caption pag. 47 Ed Ruscha, Large Trademark with Eight Spotlights, 1962.
INscape
Hostile Design
p. 48
by Andrea Branzi
After the exhibition at the MAXXI in Rome, reflection on the work of Gerrit T. Rietveld: an anti-graceful design, with angular, uncomfortable, hard, even intentionally unpleasant forms, to offer to a society too ingenuously credulous regarding its own luminous future. The show in Rome “Universo Rietveld”, which ended in July, was a major retrospective on the work of Gerrit Thomas Rietveld (Utrecht, 1888 - 1964), coproduced by the Centraal Museum of Utrecht, the NAI of Rotterdam and the MAXXI of Rome, and curated by Maristella Casciato, Domitilla Dardi and Ida van Zijl, vice-director of the Centraal Museum. The exhibition featured vast, often unknown documentation on this great Dutch architect-designer. I too, supervising the doctoral thesis of Angela Rui, had been reflecting on this figure for some time: the case of Rietveld is, in fact, an ‘exception’ within the exceptions the historical avant-gardes produced in the first decades of the 20th century. Rietveld was the only one to explore a ‘hostile design’, as described above. His “primordial object nuclei” point to an intuition of the tragedies modern society would have to face, and the deep scars the crisis of bourgeois culture would leave on history. His objects contain two opposing energies: the luminous energy of ‘constructivism’ and the dark energy of ‘deconstructivism’ (ante litteram). Objects that seem to exist on the ambiguous threshold of their own ‘coagulation’ and ‘deflagration’, indicating a branching of destinies for nascent modernity. The current (and easiest) interpretation sees Gerrit T. Rietveld as the father of neo-plasticism, the assembly of simple geometric forms that met with legitimation in the Bauhaus of Walter Gropius, like a spontaneous compliance with the objective laws of machines. This passage contains a fatal misunderstanding, where the mission of design is no longer seen as that of “making the world devastated by industrialism more inhabitable” (Wekbun, 1907) through aesthetic use of the machine, but as that of constructing the universe of objects with machines. The means becomes the end. But there is something worse: following this line of interpretation, his Schroeder house (1924) is seen as the beginning of that process of breakdown into ‘components’ of architecture, which the European rationalists would continue to pursue for decades, as the harbinger of a “future in order” that would never be reached. The other movement that starts with Rietveld is that of ‘deconstruction’ of
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the human habitat: a deconstruction that began with the Merzbau of Kurt Schwitters, that seems to backtrack along the path of evolution theorized by Charles Darwin, so that if man comes from apes it is also possible for man to tend to go back to being an ape, dwelling in caves, gathering debris of a meaningless material and moral world. This is a path visible in the most radical part of the avant-gardes, which tried to trace back to the “savage archetypes” of a reality that had been buried by bourgeois culture: starting with Friedrich Nietzsche, moving on to the French ‘maudits’ poets, the fluid writing of James Joyce, the philosophy of Ludwig Wittgenstein, the ‘negative thought’ of Vienna, the Futurists, the psychoanalysis of Sigmund Freud, Surrealism, Dada, Duchamp, Jackson Pollock, Francis Bacon (where the man-gorilla is quite evident), all the way to the ‘deconstructivism’ of the early Daniel Libeskind… A long path of thoughts and anti-projects, completely immersed in the human tragedies of history, in that anarchic energy that perceives the impossible contradiction of rejecting the ‘contemporary’ as the only way of being ‘contemporary’! On the other side, design becomes the guarantor of the “happy ending of history”, crossing the 20th century, two world wars, racial exterminations, great dictatorships, atomic bombs, without the slightest disturbance to its always elegant, self-absorbed, upto-date language. As in the cinema of the ‘white telephones’, the work of Gerrit T. Rietveld is therefore a sort of watershed, a genetic enigma that forces modernity to make a choice: between the appeal of history and selfdestruction as part of a destructive history. - Caption pag. 48 In the images, from the top: a panoramic view of Universo Rietveld, the exhibition on the work of Gerrit T. Rietveld at the MAXXI in Rome; in the foreground, the iconic Red and Blue chair of 1923 (photo S. Luciano). To the side: an interior of the famous Schroeder house (1924), designed by Rietveld in Utrecht, one of the best examples of De Stijl architecture. Added to the UNESCO world heritage register in 2000. - Caption pag. 50 Gerrit T. Rietveld, chauffeur’s house, Utrecht, 1927-1928. Gerrit T. Rietveld, Schroeder house in Utrecht, 1924. - Caption pag. 51 Gerrit T. Rietveld, house at Erasmuslaan, Utrecht, 1931. Gerrit T. Rietveld, Manassen house, Amersfoort, 1961-1963.
INtoday
Laboratory Berlin
p. 52
edited by Olivia Cremascoli
Twenty years after the fall of the wall Berlin is still a shining star: in 2010 UNESCO named it as a “design city”, also thanks to the DMY International Design Festival, installed in an abandoned airport, the Hotel Michelberger, an ecosustainable manifesto by Werner Aisslinger, and crowdsourcing. The ninth DMY International Design Festival of Berlin, held in June in hangars at the historic Templehof Airport, confirmed a rising trend: lots of visitors (32,482) willing to pay an entry fee of 12 euros, meaning that the level of the exhibitors (self-produced designers, non-industrial companies, design institutes from all over Europe) has improved, thanks to careful selection on the part of a curatorial team (from Werner Aisslinger to Jerszy Seymour, Ilkka Suppanen to Jurgen Bey). Presently more like a Salone Satellite than a FuoriSalone, the Berlin festival is organized by young people for young people (non-profit), since DMY is first of all an international contemporary design network that launches prototypes, new products and futuristic projects. This year there was a special focus on Finnish design, a sort of preview from the country that will host World Design Capital 2012. We should also mention the lively MakerLab Workshop Cluster, where university students and teachers, as well as certain companies like Marimekko, addressed intriguing themes in a cheerful, productive atmosphere. The wide range of offerings included the creative tailoring workshop of Marimekko, organic cultivation of mushrooms, study of solar energy and photosynthesis for unthinkable design results, thanks to the Lausanne Polytechnic, coordinating the work of four European and American schools. The bizarre youngsters from the Royal College of Art of London got into the swing of things, producing trompe l’oeil sausages. The MakerLabs got visitors involved in different design processes, in the widest sense of the term, to share knowledge and let everyone create their own personal objects in an experimental setting. Finally, in collaboration with Premsela, the Dutch platform for design and fashion, DMY organized a detailed symposium day on the theme The Copy Culture, for designers, businessmen and curators, to discuss the rise of a widespread culture of copying and its implications, especially for design professionals (speakers included Galit Gaon, head curator of the Design Museum of Holon, Israel; Aric Chen, creative director of Beijing Design Week; Paul Gardien, vicepresident of Philips Design). Another outstanding initiative was DMY Materials, three days of professional workshops for designers and architects on the theme of innovation in materials, namely: introduction to new developments in materials, creation of scenarios and applications of new
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ultralight materials, techno fabrics, intelligent and functional substances, bio-sustainable materials. The DMY International Design Festival format is a success, as demonstrated by five exhibitions in the fall in Asia (including Designtide Tokyo and Business of Design Week Hong Kong), which for the fourth straight year welcome the DMY Asia Exhibition Tour, reaching China, Japan, Thailand, Seoul and Taiwan in 2011. The youth city par excellence, Berlin in June also hosted the new Crowdconvention, the first European conference on crowdsourcing, organized by 12designer.com of Berlin, a leading site for creative crowdsourcing, a virtual marketplace where design supply and demand can meet. The young Eva Missling, founder of 12designer.com, spoke of a survey of 700 creative talents registered with the community, asked to supply reasons for participating in crowdsourcing. The results illustrate the possibilities of making use of creative talent and launching projects based on strong personal interests, valid reasons to use crowdsourcing, mostly for young people without extensive professional experience, who turn to these websites to take their first steps in the world of design. But, as Missling added: “40% of those surveyed said they had been working in the design field for at least six years, while over 25% had ten years of experience. So this is not just for recent college grads: there are also expert designers who prefer to work in a crowdsourcing environment”. So, in the immediate present, the chance for professional visibility is not just a matter of trade fairs and festivals. Caption pag. 53 On this page, from top: views of the Michelberger Hotel in Berlin, designed by Werner Aisslinger with salvaged materials: a ‘cabin’ of the biergarten, in the courtyard of the hotel, with rocking chairs; the loft room with double bunk beds; the Clever One by Till Grosch & Werner Aisslinger; the entrance to the bar of the hotel, which offers rooms in different categories, for all budgets: from the WG, a mattress in a shared space (25 euros per night) to the Golden One by Sibylle Oellerich & Nadine May; from the Chalet by Anja Knauer to the Room with a View by Tom Michelberger and Azar Kazimir. On the facing page: the lobby (with reception and the bar behind it) of the Michelberger Hotel in Berlin, designed with salvaged and scrap materials (like three of the lush coat racks in the rooms, and two of the crocheted potholders that decorate the cafe) by Werner Aisslinger (photo below, with his studio): 119 rooms in a former factory, with a courtyard made into a biergarten (food & drinks, music, dancing, giant screens for football matches). The ecosustainable hotel is in the trendy Friedrichshain neighborhood, where the most famous venues (Berghain, Maria am Ostbahnhof) are near the neoclassical showcases of socialism (Frankfurter Tor, Karl-Marx-Allee), as well as the famous East Side Gallery and the popular Rev@lution, an large outdoor area of former squats, now organized with summer beaches and biergartens, tables, hammocks, music. - Caption pag. 54 From DMY 2011, the International Design Festival, at the abandoned Templehof Airport of Berlin: 1. Polish designer Jan Buczek of the Design Department of the Academy of Fine Arts in Warsaw has created BKA, a functional bicycle rack, also for domestic use. 2. Germany’s Anne Lorenz has created the Home Traveler, somewhere between a suitcase and a basket, for easy transport. 3. Dutch designer Monique Habraken weaves tree branches and wooden forms from industrial processes to make her Woods Tables with Gus and Family. 4. The School of Industrial Design of the University of Lund (Sweden) showed a collection of oak furnishings, the result of an extracurricular activity of 18 students from different courses. 5. Dutch talent Jeannine van Erk (Bel+Bo) has designed Cocon Malade, lamps made by hand with bandages, woven and colored with vegetable dyes. 6. Greek designer Yiannis Ghikas offers the Monarchy rocking stool, also in painted or lacquered versions. - Caption pag. 55 German designer Daniel Klapsing (45 Kilo Design Studio) showed the Ottoman Kupfer ceiling lamp in copper (or brass). 2. Russia’s Pavel Eekra designed the Crimean Pinecone, a lamp composed of 56 wooden plates and 56 bolts, without internal structure. 3. Dutch designer Elena Goray with Christoph Tönges (CONBAM Bamboo) showed the Pile Isle Reloaded bench, composed of a bundle of bamboo pools of different diameters and colors, held together with metal straps, without bolts or glue. 4. German talents Oliver Schübbe and Sven Stornebe have created the Ehrenfeld kitchen, recycling parts from many different furnishings. 5. Polish designer Agnieszka Wiczuk has come up with a cradle for different ages: it can be adjusted by raising or lowering the circumference bars. - Caption pag. 56 From DMY 2011, the International Design Festival of Berlin: 1. By German designer Miriam Aust, Vase & Light, i.e. nature presented with artifice. 2. Italy’s Antonio Aricò has crafted the Kettle Cans, Swan & Trunk, watering can and teapot in ceramic, on a mat. 3. Finnish designer Molla Mills contributed Crocheted Vases, in industrial cotton, that stand up thanks to sugar starch. 4. German designer Hanna Krüger presented Add.on, a kit with the pieces required to make a floor lamp in glass, aluminium and oak. 5. Germany’s Susanne Westphal showed Stitch, interactive seating that permits personalization on the part of the user, even while sitting, using woolen yarns. 6. Students from the Reykjavik
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School of Visual Arts designed elegant handmade ceramics. - Caption pag. 57 Images from the Makerlab Workshop Cluster of the DMY International Design Festival 2011, at the Templehof Airport in Berlin: 1. Marimekko organized a very successful community project entitled “Why not together in Berlin?”, with the participation of designers, fabric printing specialists and, above all, visitors, to make the four seasons with lively remnants of fabric from the Finnish company. 3.5.6. The Copy Kitchen installationworkshop of the Royal College of Art of London, in collaboration with Platform 10, was similar to a true kitchen, seen as a hub of food production, but instead of the usual bustle the chefs came up with intriguing utensils, like ice cream extruders, hypnotic mechanical spinning wheels, and an unusual way to produce sausages. 4. Fungutopia by Laura Popplow of the Kunsthochschule für Medien in Cologne, in collaboration with the Austrian Mushroom Research Center, demonstrated that mushrooms, which can also be cultivated in the city or in indoor settings, can be used in the fields of medicine and nutrition, and as fertilizer.
INdesign INcenter
Dressed furnishings
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photos Paolo Veclani edited by Nadia Lionello
Protagonists of a true on-the-road report, chosen because they reflect that latest fashion stylemes, with a measured final effect, balanced between design and fine tailoring of details. - Caption pag. 58 Muffyn Patchwork, armchair with steel structure, polyurethane filler, Bea fabric cover with outer chassis in colored thermoformed ABS, or covered in ecoleather or microfiber. Design Carlo Colombo for Byografia. Taffy table series with painted metal structure and extralight glass tops, featuring an optical effect obtained by overlaying moiré patterns. Design Luca Nichetto for Gallotti&Radice. - Caption pag. 59 Grinza chair with tubular steel frame and polyurethane padding, featuring soft ecological fur or leather cover. Design Fernando & Humberto Campana for Edra. - Caption pag. 60 Husk swivel chair with rigid chassis in recycled plastic, quilted cushion covered with fabric or leather, base in wood with natural or gray oak finish, or painted black. Design Patricia Urquiola for B&B Italia. - Caption pag. 61 Weaves hanging LED lamp with opal white blown glass diffuser and microfiber screen with perforated pattern in black, white or red. Design Enrico Azzimanti for Bilumen. Eveline Short, chair in the version with Milk cover, made with a single moulded piece of transparent polycarbonate, or in polyamide in a range of different colors. Design Raul Barbieri for Rexite. - Caption pag. 62 Up floor lamp, the indoor version, in rotomoulded ivory polyethylene, shade covered with red or beige ribbed wool knit fabric; the base and shade have separate switches. Design Mario Mazzer for Lucente. Rememberme chair made by recycling old garments mixed with resin and pressed; the colors are determined by the materials. Design Tobias Juretzek for Casamania. - Caption pag. 63 Luchsia hanging fluorescent lamp with shade in gray, black or turquoise organza and chintz. Design Johan Carpner for Vallentuna Armatur & Skärmateljé. Foyer chair with wooden structure and polyurethane filler, bonded removable and reversible cover with border zipper. Design Sergio Giobbi for Giovannetti.
Graphic effects
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edited by Nadia Lionello
To design paper, wood, fabric, to shape objects, creative thoughts translated into signs, transformed into geometric and 3D decorations. Projects narrated in processed images, to underscore their graphic effects. - Caption pag. 65 Pattern of the Caleidoscopio wall covering from the I-ON collection in nonwoven fabric by Jannelli&Volpi. Sdraio folding deck chair in XXL version, white painted Iroko wood, for outdoor use, seat in PVC jacquard fabric. Designed and produced by Missoni Home. Thin Black Table with square-section metal structure, top in extralight 5mm glass on L frame. Design by Nendo for Cappellini. Cubes wallpaper in a single color option. Design by Dyhr.Hagen for &Tradition. - Caption pag. 66 D.Style–C, cabinet with structure in painted MDF, foldback door decorated with cowhide inlays, base in painted steel rod. Design by Giancarlo Vegni for Fasem. Slumber pouf with internal sack in polyester with zipper, filled with synthetic pellets, covered in elasticized 3D kid mohair fabric, in twelve colors and two sizes. Design by Aleksandra Gaca for Casalis. - Caption pag. 67 Fortunata hanging lamp with transparent thermoformed ABS diffuser, painted red, white or silver. Design by Matteo Ragni for Danese. Foxhole table with steel rod structure, painted in different colors, transparent glass top. Design by
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Nathan Yong for Sphaus. Inlay credenza or chest of drawers in wood with 3D inlay decoration, in four different tones of natural oak. Design by Front for Porro. - Caption pag. 68 Shadow system of rectangular or square tables, steel structure covered in oak or layered HPL, like the top, with details of the legs painted in different colors. Design by Vincent van Duysen for De Padova. Infini hand-knotted Tibetan carpet with warp and woof in cotton and wool fleece. Designed and produced by CC-Tapis. - Caption pag. 69 Hexalights 2D lamp in electroluminescent paper. Designed and produced by Marcus Tramonto. From Rossana Orlandi. La Lomita wool-silk carpet, crafted by hand in Nepal. Design by Liliana Ovalle for Nodus. Boxy cabinet on wheels, made with colored mirrors, with or without lighting, inside in dark oak, transparent glass shelves. Design by Johanna Grawunder for Glas. - Caption pag. 70 A Piece of Forest, lamp made with DuraPulp pieces, with LEDs, for free composition on stem and base in painted metal. Designed and produced by Modern Times. Hexagon three-seat bench, suitable for outdoor use, in pre-galvanized painted metal rod, in a range of colors. Design by Przemyslaw Mac Stopa for Casamania. - Caption pag. 71 Fold LED wall lamp with aluminium shade, painted in different matte colors, also available in compositions assembled with 2, 3, 4, 7, 8 and 9 elements. Design by Arik Levy for Viabia. Marechiaro modular divan designed in 1976 by Mario Marenco for Arflex, structure in metal tubing, polyurethane filler, removable fabric or leather cover, seen here in the version covered with wallpaper designed by Markus Benesh and shown in the exhibition “Il mondo è piatto” at Aspesi in April in Milan.
INprofile
Homeopathic projects
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by Cristina Morozzi
She works on a small scale, by choice. On local things. She works together with people. This is how Matali Crasset makes sense of her presence on the design scene, introducing small doses into the system, new logics, original scenarios. Matali Crasset has serene, unshaken faith in the possibility for design to influence human relations and behavior. So much so that she has even designed herself. Thanks to her bowl-cut hairdo, she has an iconic image, far from the traditional canons of feminine beauty, stylized… she has become her own logo. She lives a quiet family life with her husband Francis and their two kids in the Belville neighborhood, in Paris, in a house designed in her own image, simple and functional. The studio is next door, also facing the courtyard of what used to be a printshop. She shares her life with her neighbors, with impromptu picnics and children’s games. Her design doesn’t fit into stylistic categories. Matali has her own clear, positive language with which to express herself in a wide range of sectors. She uses color with total freedom and organizes spaces with intelligence, taking care of every detail. She constructs comforting atmospheres, using an original formal repertoire, created in each case as a pertinent response to everyday needs. She doesn’t pursue special effects, seduction, excess, opting for persuasion, faithful to the mission of making design to bring quality, wellbeing, new relations and knowledge to all aspects of life. She always starts with an unusual vantage point, both to intervene in everyday life, inventing new rituals, and to design future scenarios. She calls her research “a gentle accompaniment toward the contemporary”. This vision already emerged in 1999 in the debate “Desseins de femme” organized by Chantal Hamaide, director of Intramuros, at the Furniture Fair in Paris, involving two generations of female designers, Charlotte Perriand and six exponents of the new generations (Ayse Birsel, Matali Crasset, Claire Escalon, Ineke Hans, Hella Jongerius and Ana Mir). On that occasion, when the 97-yearold Charlotte (who died on 27 October that same year), dressed in a pink track suit, energetically explained her revolutionary approach, accusing the new generations of being lukewarm at best, Matali responded firmly that “the time has come for homeopathic changes”. Drop by drop, Matali Crasset is radically changing the design panorama, sneaking small doses of innovation into the system. The central themes, from the start, for all types of clients, are: hospitality, sharing, empathy, modular design, fluidity, playfulness, curiosity and optimism. “It is important”, she says, “for people to make contact with new things. It is up to the designer to help them grasp new things”. One such aid is Lieu Commun, the shop on Rue des Filles-duCalvaire in Marais, managed with Aurelyen, founder of the Peruvian brand Misericordia, where instead of offering little samples of what is trendy, as in concept stores, they try to show a wide variety of proposals by creative talents who share their approach. Lieu Commun is a space for design, fashion, food, music, reading, gadgets, transgenerational games, where the projects of young talents can coexist with those of masters. A place to show experimental objects, to sell products that convey the sense of a particular direction. Drop by drop, insisting on her idea of shared design for the
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creation of new scenarios, Matali has managed to find patrons for niche projects, where it is possible to give more to a limited number of persons. Over time, she has constructed a portfolio of inventive, ‘optimistic’ works, of great consistency. Her career, after graduating from the ENSCI in Paris, began at the Milan Triennale (1992), where she showed Domestic Trilogy, her diploma project, and where she met Denis Santachiara, with whom she worked for some time in Milan. Then she met Philippe Starck, with whom she worked at Thomson Multimedia, becoming the director, in 1994, of Tim Thom, the design center of Thomson. In 1998 she was at the first edition of the Salone Satellite with ‘Quand Jim monte à Paris’ (produced by Domeau & Pérès, 2005), a spare bed for unexpected guests, a sort of manifesto of her approach of intervening in domestic rituals with new types of objects. In 1997 she won the ‘Grand Prix du Design de la Ville de Paris’. In 1998 she opened her own studio in Paris. In 2003 she began to work with the Hi Hotel chain, designing its hotel in Nice, followed in 2010 by the Dar Hi in Nefta, Tunisia, and in 2011 by the Hi Matic in Paris. In 2002 the MUDAC of Lausanne organized her first retrospective, which was later seen at the Victoria & Albert Museum in London and the Grand-Hornu in Belgium. In 2006 she was at the Cooper Hewitt in New York, with the exhibition Soundscapes. In 2011 a important monograph was published by Rizzoli on her work, and her exhibition Blobterre opened at Centre Georges Pompidou in Paris (1 October 2011 – 5 March 2012). Her hotels are to experience, not to narrate. They break the traditional codes, proposing new typologies. They are absolutely ecocompatible, imposing new rituals. Everything is designed, down to the smallest details (in Nice she even designed the beach), so that hospitality becomes a new experience. These are singular precursors of things to come, but without being disorienting. Their atmospheres are reassuring, stimulating, contemporary. All her projects, in a way, are forerunners, starting with the incredible cafe created for the exhibition “L’objet désorienté au Maroc” (Musée des Arts Décoratifs, Paris, 1999), with humble objects found in the bazaars of Barbès (hassocks made with patches of plastic filled with polyurethane, lamps made with clothespin baskets, etc). The next year those projects became part of the Edra collection, representing one of the first examples of design of transformation for an industrial company. Speaking of the exhibition that opens in October at Centre Pompidou, Matali says: “Blobterre will be a new imaginary botanical territory for visitor-explorers. It will be a world apart with its own odors, colors, moods, conceived to make visitors interact”. “I’m interested in life”, she concludes, “and the potential objects have to diversify life and make it evolve. I want to suggest curiosities, to propose something active: the project should always be action”. Because she wants to produce new relationships, because her design vision coincides with her vision of life, Matali knows how to be interested in others, on any occasion, revealing a sense of generous openness. - Caption pag. 72 Matali Crasset holding the “Torche” pendant in 18k white gold with semiprecious stone, which she has created for Le Buisson. On the facing page: drawing for the exhibition Le Blobterre de Matali, an artificial garden to explore, at Centre Georges Pompidou in Paris from 1 October 2011 to 5 March 2012. Below, ‘the nest’, one of the four woodland dwellings made for Le Vent des Forêts, a rural space for contemporary art in the department of Meuse, in the Lorraine region. Six villages have invited artists to create on-site works for 14 years, and 90 works are already on view for visitors. - Caption pag. 73 To the side, collections of pastry utensils, produced by Alessi. Lower right, Dijon lantern, installed in the cathedral of Saint-Bénigne in Dijon. Below, Dynamic Life modular divan for Campeggi, 2011. - Caption pag. 74 The Roots carpet for Nodus, made in a limited edition, in handwoven wool. Caption pag. 75 Above, the Court Circuit LED lamp for Danese, 2011. The diffuser is made with FR4, the material of the printed circuit required by LED technology, while the structure is in steel and anodized aluminium. Double Side chair in wood, seat and back covered in felt, produced by Danese, 2011. With a small, intuitive gesture, the back moves to become a small surface on which to write, to use a computer, to eat or play. - Caption pag. 76 On the facing page: views of the hotels designed by Matali Crasset for the chain Hi Hotel. Above, the terrace with swimming pool, a corridor and an interior and exterior view of a hotel room in the Dar Hi Hotel in Nefta, Tunisia. Left, center and below, a common area and a room in the new Hi Matic Hotel, on Rue de Charonne in Paris. Right, center and below, a room and the bar in the Hi Hotel in Nice.
Ceci n’est pas design
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by Alessandro Rocca
One of the protagonists of the latest Salone was Jean Nouvel, creator of many projects that respond to the needs of high-quality design while underlining their strong links to architectural thought. Black suit, shaved head. Jean Nouvel always has a rather aggressive, dark and vaguely maudit look, in
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some ways typical of French architects. But when he talks his character turns out to be completely different. Careful, open, Nouvel doesn’t trot out slogans as starchitects often do. He gets down to the specificities of each concept, with detailed reasoning that helps us to understand complex design thinking. The projects he showed this year at the Salone del Mobile were many, a mixture of new objects and updates. This boosted focus on design coincides with the development of JND, Jean Nouvel Design, a task force formed in 1995. Nouvel talks about the idea, for the months to come, of opening a showroom for his design works in Paris, featuring the creations of JND and reissues of the projects done in the past with the historic Atelier Jean Nouvel. A sort of prototype for this new adventure was seen at Design Week in Paris, where JND put together all its production in a single environment. The original overall effect of this grouping of furnishings, designed in different eras for different occasions, produced by a range of companies, reveals a very clear profile. Some of the pieces were created in relation to architectural projects, like the chairs of the Saint James Hotel. Produced by Ligne Roset, they belong to one of the projects that, at the end of the 1980s, helped to consolidate the fame achieved due to the enormous success of the Institut du Monde Arabe, one of the most innovative and memorable buildings of the last century. A reference to the Marshmallow by George Nelson? “Of course”, Nouvel responds, “but reworked in a non-systematic way. It was a clear idea that took form in a very simple way”. As in other projects, it is evident that the clarity and force of the idea are expressed in a linear, precise way, achieving a very effective result. As in the minimalist design of the legendary Less table, created in 1994 for the headquarters of Fondation Cartier and produced by Unifor. A form of extreme synthesis, almost an archetype that would be somehow reprised in the monumental KM table, again made by Unifor, invented for the most important Italian project by Nouvel, the Kilometro Rosso of Brembo, the technology park along the A4 motorway just outside Bergamo. “I love to design tables – Nouvel says – because the table is like a bridge, and it has to have a clearly perceptible, even massive solidity”. Tables, but also armchairs and sofas, like the Vienna series designed for the Sofitel Hotel and produced by Wittmann, and like Simplissimo, invented for a hotel in Japan and produced by Ligne Roset. Different projects, but all with a special touch. What is the secret of this precise harmony? “The projects – Nouvel responds – are the result of a process of distilling. If you want to be too elegant, it is easy to become pretentious or even ridiculous. It’s a question of balance, and I always try to get to a sensation of naturalness, spontaneity”. For Nouvel, what is natural is undoubtedly what can be linked back up to his identity as a French architect, to a modernist tradition whose ancestors are Le Corbusier and Jean Prouvé, the surrealist gymnastics of the villa of Noailles, of Mallet-Stevens, the terse tension of an elective Frenchman like Luis Buñuel. But this cultural heritage doesn’t weigh things down, it translates into clear images that occupy space with perfect equilibrium. “For example – Nouvel continues – Simplissimo, for me, is like a sort of deduction, easy to make, aesthetically correct. It is elementary, natural. In both design and architecture I am against high-tech, I never try to display the structure, to show off the muscles”. Simple, plain objects that at times border on silence, like the Boite he has reworked this year for two art galleries, Gagosian and Patrick Seguin: a colossal drawer for tools that can simultaneously be a container, a bench or a table, or can be interpreted as an enigmatic, dreamy object. The furnishings for Ligne Roset (Simplissimo, Simple Bridge and Saint James) are more domestic but equally elegant. Nouvel says “I have tried to make a design without style, based only on ergonomics and comfort”, a pure functionalism that connects back to the origins of the modern. As in the furnishings designed for Pallucco, the microtelescopic lamp or the Grand Ecart table, Nouvel knows how to share the pleasure of an erudite reference that might also remain unnoticed or unconscious, but still plays with the memory of the celibate machines of Marcel Duchamp. Perfect machines and furnishings that respond to the needs of high design standards, but also stand out for a creative and technical approach that belongs to architectural thinking. Not in search of short-term exploits, more concerned with balance, with the kind of natural quality that makes things last over time. - Caption pag. 79 Above, the Micro Telescopic lamp produced by Pallucco extends to a length of 2.2 meters with a simple touch. Below, the Vienna upholstered furniture series, designed by Nouvel for the Sofitel Hotel and presented this year by Wittmann: a system of components with possible variations of size and accessories. On the facing page: portrait of Jean Nouvel, 66, and the Boite à Outil, the tool drawer on a giant scale, from a prototype dated 1987, reissued this year as a multifunctional domestic object, produced by Decayeux. - Caption pag. 80 Above, from left: the Saint James chair reissued this year by Ligne Roset, based on the furnishings of the restaurant of the Saint James Hotel; the rotating two-door cabinet in painted metal added to the popular Less series, created for Fondation Cartier and produced by Unifor. To the side: Hook, a new product by Methis, a divider partition
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with a corrugated surface, on which doors, shelves and cabinets can be inserted. Below: the new Simplissimo seating system designed for Ligne Roset with an eye on fitness spaces, composed of a bench, a chaise longue, a chair and a footrest. - Caption pag. 81 The Table au Km is a wooden table with a monumental presence: 85 cm wide, with a theoretically infinite length. Created for Kilometro Rosso, produced by Unifor. Below: the Simple Bridge hassock and chair, reissued this year by Ligne Roset, based on the Elementaire series designed by Nouvel in 1990.
The body and its objects
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by Stefano Caggiano
Useful tools whose natural functions make them extensions of living physical processes. Projects on the borderline between fashion and design that explore the dimension of the object, starting with the body. The cane with which a blind person experiences his surroundings is not a mere thing among things, but an integral part of the sensomotor apparatus of his body. There are two dimensions of corporal existence: the body as anatomy, treated by medicine; and the body as a living device that sees, touches, embraces, also with the help of useful objects. In this perspective the research of the young Finnish designer Sruli Recht – with Qanah, an elegant cane for the unsighted in white larch, and Stone Blind, a glasses-mask in Carrara marble – takes on a precise meaning that also has to do with normal bodies (consider the Masked In Flight gasmask project). From a motor-functional viewpoint, in fact, all useful objects represent examples of living corporal implementation. This is why the mind does not need to think about the pen as the hand writes, or about the shoe as the feet walk – and why the idea of Studio Swine of using human hair as a ‘renewable’ material for the Hair Glasses line doesn’t seem that preposterous after all. But the knot that connects the body and the dimension of objects, precisely because it is so intense, also has disturbing overtones, revealed by Francesca Menichelli with her pack in the form of an infant, the Inner Child. The young fashion designer, who lives and works in London, openly states her contrasting feelings regarding clothing, our “consciously selected second skin”, intimate yet exposed to the gaze of others, never offering any guarantee of complicity. “Something was wrong in my relationship with clothes”, she says, and something had to be done to make them “speak my language”: a language that makes no distinction between segments of the body and segments of the garment, shifting them both (arms and sleeves, hair and threads, nipples and buttons) on a single semiotic-expressive plane. Maybe even more extreme (but less disturbing), the Minimal Dress by Digna Kosse goes so far as to erase the material phenomenology of the garment in favor of a way of dressing the body that happens through its value as sign, leaving the person anatomically nude but completely ‘dressed’ in semiological terms. Similar experiments – that do not address the typical issues of fashion (trends, seasons) but explore the technical-semiotic structure of the wearable design – might be described as dressing design, instead of fashion, though there are also some interesting overlaps between the two worlds, like the Snake&Molting legwear of Camille Cortet, like discarded snakeskins, or the N12 bikini by Jenna Fizel and Mary Huang (Continuum Fashion), the world’s first case of a garment entirely made with 3D printing, including the clasps. Where useful objects are concerned, Procreation by Salvatore Franzese comes from the designer’s need to take part, almost carnally, in the conception of the piece, to the point of experiencing the physical generation of the concept almost like the birth of a child. Another interesting project is Beautiful Mess by the Spanish designer living in Holland, Alejandro Cerón, which makes the body/seat combination almost indistinguishable (rather like a Pietà by Michelangelo), letting users decide how they want to employ the object (as a sculpture or a seat or something else). Very functional results, on the other hand, are achieved by the Hövding cyclist’s collar by the Swedish duo of Anna Haupt and Terese Alstin. In case of an accident, the collar releases an airbag-helmet. The Finger Nose Stylus by London-based Dominic Wilcox lets you interact with touchscreen devices without using your hands. But perhaps the sharpest summary of the dichotomy between the anatomical and sensorial dimensions is the project Doppelgänger by Didier Faustino, a sort of double mask whose structure is not the usual one of inside/outside, but a relational inside/ inside approach, a vehicle of union between two interior essences, that on an anatomical level precludes some contact, yet still allows the mouths to touch, mingling in a deep, mysterious kiss. - Caption pag. 83 The Masked In Flight series by Sruli Recht is composed of four masks with air purification filters, made with laser-cut parchment (photos by Marinó Thorlacius). On the facing page, the Snake&Molting legwear by Camille Cortet: inspired by detached snakeskins, made with triangular openings that change size with the movement of the legs. The ornament changes with the body, and after several uses the legwear breaks, like a skin ready for shedding. - Caption
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pag. 84 Below, from left: Inner Child by Francesca Menichelli, the result of reflection on garments, experienced by the designer as intimate yet exposed parts of the body; the Finger Nose Stylus created by Dominic Wilcox to permit use of touchscreen devices without the hands. Below, the Beautiful Mess seating by Alejandro Cerón that lets the user decide whether it is art or design, based on use. On the facing page, the Procreation installation by Salvatore Franzese, who says: “the production of an object with the hands is a way of projecting ourselves, involving head, heart and soul. The piece thus obtained says who you are”. - Caption pag. 86 To the side, the Hövding airbag designed by Terese Alstin and Anna Haupt after Swedish legislation requiring cyclists to wear helmets was enacted. The company of the same name, located in Kungälv, near Gothenburg, now employs 14 persons. Below, a Minimal Dress by Digna Kosse, made in collaboration with the Audax Textile Museum of Tilburg. Erasing the material presence of the object, what remains is pure sign (photo Lisa Kappe). - Caption pag. 87 To the side, Qanah-Beam of Balance, the cane for the unsighted by Sruli Recht, based on the form of airplane wings. Below, from left: Doppelgänger by Didier Faustino, a double mask that joins while separating (photo Didier Faustino and Galerie Michel Rein, Paris); the glasses-mask for the unsighted Stone Blind by Sruli Recht, in cherry wood and Carrara marble, carved by hand (photo Marinó Thorlacius). Below, the Hair Glasses designed by Studio Swine (Azusa Murakami and Alexander Grove) using human hair bonded in 100% biodegradable resin.
INview
New do-it-yourself
p. 88
by Valentina Croci
No more finished products, but instruction booklets to construct the objects you need by yourself. This is the DIY design concept proposed by Enzo Mari in the 1970s and now updated by other designers with an eye on the ethical, aware side of consumption. In 1974 Mari came up with his ‘Proposal for selfmade design’ as a critical analysis regarding industrial design and production. Then the pioneer Dino Gavina decided to produce the first pieces of the collection under the brand Metamobile, and published the instruction booklet for do-it-yourself construction of the furnishings. Anyone could make the objects, starting with simple wooden boards and nails. The technique was elementary, and the furniture was merely functional. This was an absolutely new development, due to the direct involvement of the user in the production, comparable today only to the mode of operation of Ikea, and due to the essence of the project, which did not lie in the final results as much as in the instructions themselves. The assembly, as the Metamobile booklet explains, allows us to “relate to today’s production with a critical capacity”. Mari thus undertook one of the first initiatives in which low-tech corresponded to a strategic form of metadesign. The collaboration between Mari and Gavina reflected a shared conviction that production is a “means – as Gavina put it – that can be used as a vehicle of stupidity or of civilization”. Many designers work in the areas of indie production and small editions. The phenomenon is nothing new. Just consider the activities of Alchimia and Memphis, their ways of challenging the traditional market and industry, the merchandise system. But today’s self-production has become a trend, and more and more designers, following in the footsteps of their Northern European colleagues who have been doing this for years, are becoming the directors of the production process of their objects, from the idea to the packaging, applying the skills of crafts, but also of advanced digital technologies. Certain designers are more or less consciously reworking the intuition of Enzo Mari, focusing on the phase of assembly. Similarities can be seen in the initiatives of the French group 5.5 Designers, or the Italian Recession Design group, allowing users to construct objects with pieces that can be purchased in DIY chain stores or, in the case of the French, recycled items. The project Cuisine d’Objets by 5.5 Designers is organized in the form of naif drawings. True ‘recipes’ for mixing cement and inserting poles and pieces of iron on which to attach oddments of furnishings, the kind most people have accumulated in their basements. The objects are made in a simple way and are deliberately rough, underlining the fact that the beauty of the thing depends on the imagination of its maker, the satisfaction one gains from doing something independently. Some of the items have a gilded part, like a knob or a pole. This is the 5.5 Designers trademark, to acquire together with the recipe if you want a ‘signed’ product. Recession Design, the Milanese collective directed by Pop Solid (Dragana and Zoran Nimic and Nicola Golfari), gathers the works of about 40 designers on the DIY theme. Founded in 2009, this new proposal for self-construction ranges from the domestic environment to the office, outdoor furnishings and even multifunctional modular architecture. While the proposal arises to respond to the present economic crisis, it also opens
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up some deeper issues. All the objects are made with inexpensive materials, and assembled with common tools. They are simple and affordable, useful things that solve practical problems, but they are never too humble or banal. The collection stimulates debate about the value of goods, the aesthetic dimension of artifacts, the role of design. As for Mari, the goal of Recession Design lies upstream from the finished product: starting with the instruction manual, the project pursues a strategic goal, low technology but high design. The French studio and the Milanese collective position themselves as the connection between the design system and the consumer. Their originality lies in the possibility of supplying the production manual without the raw materials, eliminating the phases of production and distribution of the object. Because the user chooses the material, the product can always be interpreted in different ways, making the results of a serial process unique. While an instruction book can help users to become the builders of their own environment, a bit of computer know-how and an appropriate platform of services can let them become the true designers of their own furniture. This happens in the Design for Download initiative of Droog Design, aimed at democratization of the system, starting with the production process. The Dutch group has asked EventArchitectuur and Minale-Maeda to develop a series of modular furnishing components, constructed easily with natural wood and interlocks, without bolts or nails. The user designs the form of the furnishings with 3D software and sends the digital file to special workshops that supply the material and work it with numerically controlled machinery. The final product is zero-km, as it is produced and distributed locally. Droog shifts the design from the single object to the network of suppliers, or namely to the design of the entire service. The production is ‘custom’, made to measure, like rapid prototyping. Furthermore, since the program puts the furnishing solutions that have already been designed online, the files can be shared as open source and processed by more than one participant. The Italian firm Vectorealism works in the world of socalled ‘fabbing’. Founded in 2010 in Milan by Eleonora Ricca and Marco Bocola, the company is a sort of chain of production in miniature. It offers online service for the construction of objects starting with a file, working along the lines of the FabLabs, public workshops equipped with numerically controlled machines for sintering, cutting and shaping materials. As the Vectorealism website explains, if someone has an idea all they have to do is draw it with a common graphics program and upload it for an estimate based on the selection of materials (plastic, wood, cardboard, felt, leather), colors, sizes and quantities. In keeping with the typical practices of web 2.0, experiences and comments are shared on a blog. The Vectorealism service is limited to the productive functions of its machines and focuses on a non-professional audience, but it opens up debate on the potential of digital technologies in the production chain, and the resulting redefinition of professional roles in contemporary design. - Caption pag. 89 On the facing page, below, the Metamobile catalogue. The kit for DIY construction was supplied by mail order (photo Archivio Gavina, San Lazzaro, BO). Left: the entire collection of furnishings of the “Progetto per l’Autocostruzione” of Enzo Mari, made with the Metamobile trademark (Simon International), 1974 (photo Mauro Marzocchi/ Grafiche Arsitalia). Above, the rectangular table by Enzo Mari for Metamobile, based on the engineering of reticular beams (photo Archivio Gavina, San Lazzaro, BO). - Caption pag. 90 Above and left: the Patères en Croute coat rack, an integral part of the Cuisine d’Objets project by 5.5 Designers. Made by inserting a long wooden slat in a pot or pail filled with cement. Hooks, knobs and handles can be freely attached at the top. Right, the Tabouret Facon Tatin stool, also from the Cuisine d’Objets project, made with three poles embedded in cement contained in a cake pan, a basin or even a baking dish. - Caption pag. 91 ‘Design for Download’ is the production chain project of Droog Design that ranges from design to production to distribution of furnishings, involving users in the phase of the design of the form of the products. Above, from left: the Box-o-rama shelving by EventArchitectuur for Droog Design, composed of a series of interlocking boxes; a piece from the Inside-out furniture system by Minale-Maeda for Droog Design, based on the construction principle of the Red and Blue chair by Gerrit Rietveld (photo Davide Lovatti). Below, the diagram that sums up the functioning of the ‘Design for Download’ platform. Bottom, a wooden desk that can be built with the Façades & Functions system developed by EventArchitectuur for Droog Design (photo Davide Lovatti). - Caption pag. 93 On the facing page, top: SitSit by Marissa Morelli for Recession Design, a table and seating system that rests on a rectangular support panel. The arrangement can be specular with respect to the top (photo Jim Johnny). Below, from left: assembly scheme of the camp kitchen by Dragana and Zoran Minic, made with parts that can be purchased at DIY chain stores; the Ennesimo Studio office unit by Recession Design, composed of four pieces of furniture that can be enclosed in the same rectangular volume. The idea is to have a mobile
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studio that can be packed up (photo Jim Johnny). A folding tripod with wooden structure, with camp stove, bucket sink and water bag. These are the parts of the camp kitchen by Dragana and Zoran Minic for Recession Design (photo Jim Johnny).
INproduction
Inspired by Meccano
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by Katrin Cosseta
Bolts, nuts, clamps, on view, raw materials, the allure of joints. Design explores the intuitive aesthetic of self-assembly in furniture and lamps that seem to have emerged directly from a workshop. The playful and apparently low-tech drift of industrial design. - Caption pag. 94 Duiii, by Successful Living from Diesel by Foscarini, table lamp with jointed arm, like Meccano pieces, composed of four metal parts held together by wingnuts, top in pressed glass and metal. Photo Simone Barberis. - Caption pag. 95 1. Layer by Paola Navone, wooden console made with solid planks of maple, cherry, ash, walnut and oak, one-off for Fondazione Aldo Morelato, collection of the Museum of Applied Furniture Arts (MAAM). 2. No Design by Mario Bellini for Meritalia, table in metal on industrial wheels. 3. Robox by Fabio Novembre for Casamania, bookcase that looks like a robot, in metal, painted white or dark gray, with red ‘heart’. - Caption pag. 96 1. Light Forest, designed and produced by Ontwerpduo, ceiling lighting system for various configurations, in painted aluminium and copper. 2. Tafelstukken by Daphna Laurens for Cappellini, series of multifunctional lamps: the tray of the table or freestanding lamp functions as a caddie or a fruit bowl. Structure in solid natural walnut, shade and tray in porcelain. - Caption pag. 97 Ttable by Jan & Randoald for Labt, table with plywood top printed to create the image of a tablecloth, and Trolley containers on wheels, with stackable parts featuring different printed graphics. Photo Julien Lanoo. - Caption pag. 98 1. Position floor lamp by Rooms Design for Moooi, jointed floor lamp, reinterpretation in solid maple of the classic metal lamp. 2. Sputnik by Roger Arquer for Zilio, stool with beech legs connected by a curved metal part that functions as a footrest, seat covered in fabric. 3. DIY lamp by Rona Meyuchas K/rmk design office for Kukka, lamp kit composed of 7 birch parts assembled with bolts. Also available in wall and ceiling versions. - Caption pag. 99 1. Lotek by Javier Mariscal for Artemide, table lamp with mobile arms, adjustable top and LED light sources. Base in steel, top in painted aluminium, arms in anodized aluminium. 2. Stratum table by Faye Togood, table with top composed of different aluminium sections connected by brass industrial bolts. 3. Famille Garage by Alexander Seifert for Richard Lampert, chest of drawers for children with wooden structure and colored plastic drawers. 4. Top Four Wall B, by Alberto Basaglia and Natalia Rota Nodari for Luxit, LED lamp, jointed or in a wall version, based on Lego bricks, in painted extruded aluminium and thermoplastic material. - Caption pag. 100 1. My Storage by Ineke Hans for Magis, component system for free creation of shelving and drawer units; the uprights permit attachment of shelves at two different heights. 2. Flying Chair, designed and produced by the studio Mammafotogramma, folding chair made with scaffolding planks connected by bolts and hung from a worksite winch. 3. Stools-tables from the Stitched Collection by Tord Boontje for Moroso, in plywood with ‘stitched’ borders. - Caption pag. 101 4.5. Make a new collection, designed and produced by Melle Koot, prototype for a modular table composed of birch plywood parts connected by oversized bolts. Photo 5 by Matteo Cirenei.
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Interni ottobre 2011 ALESSI spa Via Privata Alessi 6 28887 CRUSINALLO DI OMEGNA VB Tel. 0323868611 Fax 0323868804 www.alessi.com, info@alessi.com ARFLEX SEVEN SALOTTI spa Via Pizzo Scalino 1 20833 GIUSSANO MB Tel. 0362853043 Fax 0362853080 www.arflex.com, info@arflex.it ARTEMIDE spa Via Bergamo 18 20010 PREGNANA MILANESE MI Tel. 02935181 - Fax 0293590254 nr verde 800 834093 www.artemide.com info@artemide.com B&B ITALIA spa S. Provinciale 32, 15 22060 NOVEDRATE CO Tel. 031795111 Fax 031791592 www.bebitalia.com info@bebitalia.com BELGIUM IS DESIGN www.designedinbrussels.be info@designedinbrussels.be BILUMEN srl Via Salomone 41 20138 MILANO Tel. 0287212251 Fax 0258019793 www.bilumen.it, info@bilumen.it BYOGRAFIA Salita S. Michele 2 22063 CANTU CO Tel. 0316870092 Fax 0316870089 www.byografia.com info@byografia.com CAMPEGGI srl Via del Cavolto 8 22040 ANZANO DEL PARCO CO Tel. 031630495 Fax 031632205 www.campeggisrl.it campeggisrl@campeggisrl.it CAPPELLINI - CAP DESIGN spa Via Busnelli 1 20821 MEDA MB Tel. 0362372231 Fax 031763322 www.cappellini.it info@cappellini.it CASALIS CARPETS CISCON BVBA Wielsbeekstraat 8 B OOIGEM- WIELSBEKE Tel. +32 56664466 Fax +3256663547 www.casalis.be, info@casalis.be CASAMANIA Via Ferret 11/9 31020 VIDOR TV Tel. 04236753 Fax 0423819640 www.casamania.it casamania@casamania.it CC-TAPIS Via San Simpliciano 6 20121 MILANO Tel. 0289093884 www.cc-tapis.com info@cc-tapis.com COINCASADESIGN BY COIN Piazza 5 Giornate 1/a 20129 MILANO Tel. 0255192083 Fax 0255192120 www.coin.it DANESE srl Via Canova 34 20145 MILANO Tel. 02349611 Fax 0234538211 www.danesemilano.com info@danesemilano.com DAVIDE GROPPI srl Via P. Belizzi 22-20/A 29122 PIACENZA Tel. 0523571590 Fax 0523579768 www.davidegroppi.com comunica@davidegroppi.com
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N. 615 ottobre 2011 October 2011 rivista fondata nel 1954 review founded in 1954
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direttore responsabile/editor GILDA BOJARDI bojardi@mondadori.it art director CHRISTOPH RADL caporedattore centrale central editor-in-chief SIMONETTA FIORIO simonetta.fiorio@mondadori.it consulenti editoriali/editorial consultants ANDREA BRANZI ANTONIO CITTERIO MICHELE DE LUCCHI MATTEO VERCELLONI
Nell’immagine: scorcio della villa progettata da marc eutebach, alla guida dello studio tedesco sphere, per villa eden gardone, esclusivo resort sul lago di garda, che annovera firme di archi-star internazionali, da richard meier a matteo thun, da david chipperfield ad enzo enea. in the image: view of the villa designed by Marc Eutebach, at the helm of the German studio Sphere, for Villa Eden Gardone, the exclusive resort on Lake Garda, featuring works by international starchitects like Richard Meier, Matteo Thun, David Chipperfield and Enzo Enea.
Nel prossimo numero 616 in the next issue
Interiors&architecture da beijing a mexico city, passando per amsterdam Beijing to Mexico City via Amsterdam
INcontro amos gitai
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redazione/editorial staff MADDALENA PADOVANI mpadovan@mondadori.it (vice caporedattore/vice-editor-in-chief) OLIVIA CREMASCOLI cremasc@mondadori.it (caposervizio/senior editor) ANTONELLA BOISI boisi@mondadori.it (vice caposervizio architetture/ architectural vice-editor) KATRIN COSSETA internik@mondadori.it produzione e news/production and news NADIA LIONELLO internin@mondadori.it produzione e sala posa production and photo studio rubriche/features VIRGINIO BRIATORE giovani designer/young designers GERMANO CELANT arte/art CRISTINA MOROZZI fashion ANDREA PIRRUCCIO produzione e/production and news DANILO PREMOLI hi-tech e/and contract MATTEO VERCELLONI in libreria/in bookstores ANGELO VILLA cinema TRANSITING@MAC.COM traduzioni/translations grafica/layout MAURA SOLIMAN soliman@mondadori.it SIMONE CASTAGNINI simonec@mondadori.it STEFANIA MONTECCHI internim@mondadori.it segreteria di redazione editorial secretariat ALESSANDRA FOSSATI alessandra.fossati@mondadori.it responsabile/head ADALISA UBOLDI adalisa.uboldi@mondadori.it assistente del direttore assistant to the editor BARBARA BARBIERI barbara.barbieri@mondadori.it contributi di/contributors: ALESSANDRO BINI VIRGINIO BRIATORE STEFANO CAGGIANO VALENTINA CROCI ANTONELLA GALLI CRISTINA MOROZZI SERGIO PIRRONE ALESSANDRO ROCCA fotografi/photographs ALBERTO FERRERO ANDRÉS OTERO SERGIO PIRRONE PAOLO VECLANI progetti speciali ed eventi special projects and events CRISTINA BONINI MICHELANGELO GIOMBINI
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