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THe MaGazInE OF YacHTInG InTerIors AND accessorIes N° 5 LuGLIo-aGosTo JULY-AUGUST 2010 MensILe/monTHLY ITaLIa € 7,0* * da vendersi solo congiuntamente con INTERNI n. 8/2010 al prezzo complessivo di € 10,0 sold only as supplement to INTERNI n. 8/2010 at combined price of € 10,0

INteriors&architecture La casa-barca di BBPR INnavigation Dordoni Architetti Jean-Michel Wilmotte Luca Dini INcontro Carlo Puri Negri

INdesign evoLuzIone eLeTTronIca BMW Oracle INcenter Tendenza refit

PanThalassa Foster + Partners for Perini Navi C_OnBoard5_cover.indd 1

wITH comPLeTe EnGLisH TexTs

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INtopics 1

editoriale editorial di/by gilda bojardi

INteriors&architecture 2

Natural oasis, audacious architecture progetto di/design by Drost + van Veen Architecten foto di/photos by Ben Te Raa/John Lewis Marshall testo di/text by Alessandro Rocca

INdice/contents

allegato a/supplement to interni N° 603 luglio-agosto/July-August 2010

oasi naturali, architetture audaci

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velarca progetto di/design by BBPR foto di/photos by Studio Libis - testo di/text by Matteo Vercelloni

INnavigation 14

sl 100 new progetto di/design by Francesco Paszkowski/Sanlorenzo/Dordoni Architetti foto di/photos by Tom Vack - testo di/text by Alessandro Rocca

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panthalassa progetto di/design by Perini Navi/Ron Holland/Foster + Partners foto di/photos by Dan Annet/Giuliano Sargentini testo di/text by Michelangelo Giombini

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streamline progetto di/design by Cor D. Rover/Frederic Mechiche/Luca Dini Design testo di/text by Decio G.R. Carugati

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red dragon progetto di/design by Dubois Yachts Architects/Wilmotte & Associates foto di/photos by benjamin marshall - testo di/text by Paola Bertelli

INsight INcontro 38

carlo puri negri a cura di/edited by Gilda Bojardi foto di/photos by Paolo Veclani/Carlo Borlenghi/Fabio Taccola

IN copertina: Panthalassa, il veliero di 56 metri realizzato da Perini Navi con interni di Foster + Partners. on the cover: Panthalassa, the 56-meter sailing yacht built by Perini Navi, with interiors by Foster + Partners.

INprofile

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di/by Maddalena Padovani INcenter 50

INdesign

INitaly

project

INproject

Un porto con vista tempio/Port with temple view

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design

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Operazione/Operation nostalgia fiere fairs Fano, regina dell’Adriatico/queen of the Adriatic

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info & tech

INternational

produzione production

INview

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traduzioni translations

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elettronica new generation/Electronics: a new generation di/by Simona Spriano INproduction

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le spider del mare/Spiders of the sea di/by Michelangelo Giombini INeducation

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yacht designer: evoluzione della specie

Yacht designer: evolution of the species di/by Laura Traldi

INservice 78

indirizzi FIRMS DIRECTORY di/by adalisa uboldi

INservice 36

FB 43’ nighthawk progetto di/design by FB Design di/by Decio G.R. Carugati

Cave à vin La spa sale a bordo/Spa on board INtertwined 27 premi prizes Qualità certificata/Certified quality 28 concorsi competitions Paper boat 30 sostenibile sustainability Tha man on the river 32 cinema Deep Blue 35 fashion file For men only

voli d’acqua/Flights of water di/by Luca Zavaglia foto di/photos by Gilles Martin-Reget/BMW Oracle Racing

Museo subacqueo/Underwater museum

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tendenza refit/Refit trend di/by Simona Spriano

INterNIews 9

vittorio moretti

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traduzioni translations

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Interni ONBOARD luglio-agosto 2010

INtopics / 1

EDiToriaLe

È

interessante notare come, in tempi di crisi e di ripensamento degli stili di vita, la cultura del progetto nautico si avvicini a una visione più architettonica della barca e dell’andar per mare. Cambia il modo di concepire e vivere lo yacht, non più e non solo un bene di lusso per pochi privilegiati ma anche un’idea alternativa di vacanza da godere per periodi limitati e in forma condivisa; cambia dunque il concetto di vivibilità e di spazio a bordo delle barche. Ecco perché, per i progettisti della nautica, guardare oggi al design e all’architettura non significa attingere a un repertorio di forme e segni inconsueti da cui trarre elementi di differenziazione, bensì trovare nuovi spunti per riflettere in termini colti e muldisciplinari sul senso dell’abitare sull’acqua. Si continua a dire che la parola d’ordine del momento attuale è ricerca, sperimentazione. In effetti, il momento attuale può costituire una grande opportunità da cogliere leggendo gli esempi che la storia ci può dare. Pensiamo a quello che è accaduto negli anni ’60 per il design italiano: i problemi della ricostruzione hanno fatto da stimolo alla nascita di una cultura del progetto e del prodotto, che ancora è di riferimento nel mondo, contraddistinta da fattori peculiari e determinanti. Tra questi, la capacità di declinare alla scala dell’oggetto una visione estetica della vita che prima prende forma alla scala dell’architettura, ma anche un approccio aperto e creativo alla sperimentazione in grado di confrontarsi e dialogare con il sapere tecnico dell’industria e la volontà di innovazione degli imprenditori. Partendo da questi stessi presupposti, potrebbe allora succedere che la scuola del design nautico italiano si apra a nuovi punti di vista, magari inerenti la sfera abitativa e quella del lavoro, e diventi qualcosa di diverso e qualcosa di più di una disciplina preposta all’ideazione di barche destinate a un utilizzo ristretto ed elitario. Le condizioni culturali, tecniche e industriali ci sono; non mancano neppure i segnali di rinnovamento. La sfida è dunque aperta e tutta da giocare. Gilda Bojardi

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L’ala rigida del trimarano BMW Oracle, vincitore dell’ultima America’s Cup

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In un’area per insediamenti industriali mai utilizzata si è sviluppato, in modo spontaneo, uno degli ambienti naturali più interessanti del Nord Europa, un’oasi che, dal 1986, è diventata riserva a protezione integrale. Il nuovo edificio, che fornisce i servizi essenziali per i numerosi visitatori, è completamente costruito in legno e utilizza essenze e tecnologie diverse.

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OasI naTuraLI, arcHITeTTure auDacI progetto di Drost + van Veen Architecten foto di Ben Te Raa (apertura) e John Lewis Marshall testo di Alessandro Rocca

ALL’INTERNO DI Oostvaarders, INCONTAMINATA RISERVA OLANDESE, CAMPEGGIA UN edificio coraggioso. NON SI MIMETIZZA, HA UNA FORTE PERSONALITÀ E UNA forma inaspettata. MA È ANCHE RISPETTOSO DEL LUOGO, SINTONIZZATO SUI mutevoli paesaggi E SULLE CARATTERISTICHE AMBIENTALI DI UN POSTO DAVVERO SPECIALE.

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OASI NATURALI / 5

a sinistra: il trattamento delle superfici esterne presentano una texture molto marcata, realizzata attraverso rigature diagonali, impresse sui grandi pannelli in legno di pino grigio scuro. sotto: l’evidenza plastica della texture riduce e alleggerisce, dal punto di vista percettivo, il peso e la dimensione del volume dell’edificio.

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nella pagina accanto: L’impatto paesaggistico dell’edificio è molto forte ma sicuramente accettabile. La forma irregolare è molto caratterizzata e ricorda, in modo astratto, figure e immagini del mondo naturale.

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ostvaardersplassen non è un nome facile da leggere e da ricordare ma indica un luogo che, al contrario, ha tutte le caratteristiche per essere davvero memorabile. Per capire di cosa stiamo parlando, bisogna fare un passo indietro, fino al 1968, e trasferirsi al centro dell’Olanda dove il mare interno, l’Ijsselmeer, è stato in buona parte recintato da dighe, prosciugato e trasformato in suolo a disposizione per lo sviluppo del Paese. Nel 1968 si realizza il Zuidelijke Flevopolder, una vasta area che, prosciugato il mare, è da destinare all’agricoltura, a insediamenti urbani e, per circa 6500 ettari, all’industria pesante. Come di consueto, il terreno è stato lasciato intatto per alcuni anni, ad asciugare, ma poi i progetti industriali sono stati dislocati in altre regioni e, in alcune aree, la

natura ha potuto agire liberamente formando un nuovo ambiente sostanzialmente incontaminato. È nato un paesaggio di specchi d’acqua poco profondi, paludi, prati umidi, giuncheti e canneti, in cui prosperano stormi di anatre, trampolieri e altri uccelli. Nel corso degli anni molti amanti della natura, e anche i politici, si sono accorti di questo straordinario processo di rinaturalizzazione e 5600 ettari del polder nel 1986 hanno acquisito il nome di Oostvaarders e lo status di riserva naturale protetta. Oggi, la riserva è la più grande zona umida d’Olanda con una popolazione di uccelli impareggiabile: per esempio, è frequentata da una colonia di oltre 7000 cormorani e da molte altre specie rare che ne hanno fatto una delle mete preferite dei birdwatcher di tutta Europa.

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Sopra: Negli interni è percepibile la struttura in pannelli di legno massiccio finlandese LenoTec, una tecnologia a basso impatto ambientale che consente di sospendere l’edificio sulle acque del lago con uno sbalzo di ben otto metri. A destra: uno degli ambienti dell'edificio, che comprendono un centro informativo sul parco, un’aula, una sala panoramica affacciata sul lago, un ristorante e una sala per incontri e piccoli convegni; alcune delle aperture che mettono in relazione l’edificio con il paesaggio.

nella pagina accanto: Il rapporto tra la pelle dell’edificio, completamente naturale, e l’interno, caratterizzato da un’architettura scultorea, è scandito anche dalla sequenza cromatica: grigio scuro per le pareti esterne, giallo brillante per le zone intermedie e i pannelli in legno naturale degli interior.

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Agli uccelli si aggiungono, grazie all’intervento dei gestori della riserva, altri animali che sono allo stato brado, come cervi e cavalli. Oostvaarders è ormai una meta importante per incontri e attività di educazione naturalistica e perciò è stato necessario costruire un edificio con una sala conferenze, un ristorante e i servizi essenziali. La sfida era molto difficile: come operare in un territorio incontaminato? Lo studio Drost + Van Veen, di Rotterdam, ha scelto di collocare il building in un punto di contatto tra ambienti diversi, paesaggi di terra e d’acqua, boschi e canneti, e poi ha puntato su una forma forte ed espressiva: invece di nascondersi o di mimetizzarsi, il nuovo edificio si impone come un elemento importante che partecipa alla definizione del paesaggio in modo coraggioso ed efficace. Anche dal punto di vista tecnico l’edificio

tiene conto della particolare delicatezza dell’ambiente e, per ridurre al minimo l’impatto del cantiere, è stato realizzato con pareti e solai prefabbricati in legno LenoTec, di produzione finlandese, strutture massicce che permettono anche un impressionante sbalzo sull’acqua di otto metri. Le facciate sono rivestite con grandi pannelli di legno di pino, color grigio scuro, trattati con differenti texture diagonali che smaterializzano l’impatto del volume. Anche la pianta triangolare e l’andamento della copertura sottolineano il doppio rapporto dell’edificio. Verso il parcheggio, il volume è stretto e alto, per aumentare visibilità e presenza, mentre verso il lago il volume rimane sospeso ma si abbassa e si allarga, come in un gesto di rispetto e di attenzione nei confronti del magnifico paesaggio e dei suoi abitanti.

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VeLarca UN PROGETTOMANIFESTO DELLO studio BBPR: UNA barca DISEGNATA COME UN’ARCHITETTURA CHE SI RAPPORTA ALLA storia E AL paesaggio DEL LAGO DI COMO, PROPONENDO, CON CINQUANT’ANNI DI ANTICIPO, L’IDEA DELLA casa galleggiante.

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progetto di BBPR foto di Studio Libis testo di Matteo Vercelloni

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Una vista complessiva della Velarca, progetto di trasformazione di un barcone che dall’inizio degli anni ‘30 navigava sulle acque lariane per il trasporto della sabbia. Nella pagina accanto, il pontile di accesso dalla sponda a giardino del lungolago con cui la Velarca crea uno stretto rapporto complementare.

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la zona pranzo all’aperto protetta da un tendone bicolore (bianco all’esterno e rosso all’interno) che funge da tensostruttura. Sullo sfondo si nota il volume clindrico rivestito in teak che ospita la scala a chiocciola che conduce agli spazi interni.

N

el 1959 lo studio BBPR fondato da Lodovico Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers e Gian Luigi Banfi, morto nel campo di sterminio di Gusen nel 1945, si fa portavoce, attraverso le opere progettate e in costruzione, della continuità dell’architettura italiana rispetto allo spirito e ai valori espressi dal Movimento Moderno. Si tratta però di un’eredità di tipo ‘complesso’, che rifiuta ogni dogmatismo e ogni facile scorciatoia ideologica nonché formale, per aprirsi invece all’anticonformismo tradotto in un approccio al progetto di architettura da declinarsi caso per caso. Afferma Ernesto Nathan Rogers, voce teorica del gruppo: “Essere moderni significa semplicemente sentire la storia contemporanea nell’ordine di tutta la storia e cioè sentire la responsabilità dei propri atti non nella chiusa barricata di una manifestazione egoistica, ma come una collaborazione che, con il nostro

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contributo, aumenta ed arricchisce la perenne attualità delle possibili combinazioni formali di relazione universale”, per poi aggiungere dalla pagine di Casabella (n°228, giugno 1959): “Considereremo l’architettura delle Nazioni tanto in relazione con i sentimenti e con i costumi di ciascuna quanto in relazione con il paesaggio nel quale essa si trova e con il cielo sotto il quale sorge”. In stretta sintonia con la delegazione degli architetti italiani presente al congresso del Ciam (Congresso internazionale di architettura moderna) tenutosi a Otterlo in Olanda nel settembre dello stesso 1959, Rogers rifiuta ogni tipo di programmazione ‘a priori’ e ogni risposta architettonica meccanicistica e ripetitiva, privilegiando una colta rilettura delle forme costruttive tradizionali del recente passato e tipiche dei diversi luoghi, chiamate a confrontarsi con il progetto contemporaneo in chiave dialetticocompositiva; nasce la teoria “del costruire nelle preesistenze ambientali”. Ad esemplificare tale complessità in chiave progettuale Ernesto Rogers porta tre progetti come “tre problemi di ambientamento”: la Torre Velasca nel centro di Milano e altre due architetture; il restauroricostruzione di casa Lurani-Cernuschi, sempre a Milano, e il complesso residenziale in Corso Francia a Torino, tutte del 1959. A queste opere, come ha sottolineato Aldo Norsa in un recente convegno dedicato al centenario di Ernesto N. Rogers presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, si può appunto aggiungere la casa-barca Velarca, ormeggiata a Ossuccio sul lago di Como. Il progetto si basa sul riutilizzo di una gondola corriera tramezzina, un tradizionale barcone che dall’inizio degli anni ‘30 navigava sulle acque lariane per il trasporto della sabbia. Una ‘preesistenza’, quindi, che viene assunta come base, fisica e storica, forse simbolica, per il sostegno della nuova figura architettonica. In effetti, il procedimento è quello di un abile collage-confronto, dove la nuova soluzione è

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STUDIO BBPR / 11

Sopra, una vista verso prua dello spazio living, con pavimento di linoleum blu, isola centrale in teak, divano di pelle e tavolo centrale apribile ‘a forbice’ per consentire l’avvicinamento alle sedute. A destra, la scala a chiocciola che, dal ponte di accesso, conduce agli spazi interni della barca.

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Viste delle cabine dell’imbarcazione ricavate nella zona centrale; oblò geometrici con tende oscuranti azzurre e porte scorrevoli permettono di integrare o dividere la zona notte da quella del living a prua.

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innestata sopra lo scafo che rimane nella sua forma originaria, sottolineata da una riga bianca che all’esterno segna il limite dell’incastro tra il nuovo e il preesistente. Inoltre la casa-barca cerca con la sponda il suo diretto sviluppo en plein-air, collegandosi tramite uno stretto pontile fisso ad una lingua di terra per l’approdo trasformata in piccolo giardino, spazio complementare e non accessorio dell’abitazione fluttuante. Come affermavano i progettisti: “Non è forse il fatto di abitare su una barca – con tutte le suggestioni che ne derivano – che qui conta, quanto il rapporto che si è creato fra questa barca ferma, il pontile, lo specchio d’acqua, il giardino. Un ambiente composto di terraferma, acqua, natanti: elementi diversi vicinissimi. Si passa e si ripassa da uno all’altro. La situazione dell’essere ‘all’ormeggio’ ha un suo valore preciso e completo (non è il momento negativo della navigazione)”. Il volume ligneo che si appoggia sull’antico scafo è segnato da una serie di aperture verticali con vetri a saliscendi, mentre sul ponte superiore emerge il volume cilindrico rivestito di teak che contiene la scala a chiocciola centrale su cui si innesta una sorta di tensostruttura composta da un telone bianco, ma internamente rosso, teso e

fissato ad appositi, esili quanto eleganti, pilastrini indipendenti, sormontato nel fulcro centrale da una piccola calotta di rame. L’interno è organizzato in modo simmetrico rispetto alla scala; soggiornopranzo a prua, le cabine ai lati distribuite lungo il breve corridoio, integrabili o separabili dallo spazio giorno tramite pannelli scorrevoli impacchettabili, mentre la funzionale cucina con arredi su disegno in laminato plastico si affianca sulla destra alla scala. Lo spazio a prua, con pavimento di linoleum e tende azzurre, presenta un divano continuo in pelle che segue il profilo dello scafo formando così una grande ‘V’; al centro è collocato il tavolo a doppio ripiano, di cui quello superiore è apribile ‘a forbice’, con cerniera verso prua, per seguire nei momenti del pranzo e della cena la linea delle sedute e offrire un corretto uso ergonomico degli arredi e dello spazio. Una barca pensata come una casa, che anticipa di cinquant’anni la tendenza delle nuove esclusive imbarcazioni da diporto, che non rinuncia ad uno stretto rapporto con il paesaggio chiamato a essere componente del progetto, che è parte di un’idea di architettura come “sublimazione delle necessità della vita; arte che definisce, nello spazio, il tempo”.

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SL 100 New Lunghezza fuori tutto 31,70 m Larghezza fuori tutto 7,10 m Motori 2xMTU 16V 2000 M93 VelocitĂ di crociera 26 nodi VelocitĂ massima 28 nodi Linee esterne Francesco Paszkowski/ufficio tecnico Sanlorenzo Interni Dordoni Architetti Cantiere Sanlorenzo

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SL 100 new progetto di Francesco Paszkowski/Dordoni Architetti foto di di Tom Vack testo di Alessandro Rocca

Un ambiente senza soluzione di continuitĂ che si estende dal terrazzo di poppa sino a prua. Si presenta cosĂŹ, come un vero e proprio loft domestico, la zona giorno del 100 piedi Sanlorenzo che segna il debutto nel progetto nautico di Dordoni Architetti e introduce innovativi criteri di distribuzione spaziale.

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S

L 100, il nuovo trenta metri prodotto da Sanlorenzo nel suo cantiere di Ameglia, rappresenta un nuovo punto di contatto tra il mondo della nautica e quello del design attraverso il coinvolgimento di Dordoni Architetti. La ricerca progettuale, l’impiego dei migliori materiali e la cura del dettaglio, sono valori condivisi che, in questo caso, collaborano a realizzare un significativo sviluppo nella concezione degli yacht di grande dimensione.

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SANLORENZO / 17

illuminato dalle ampie finestrature, il ponte di coperta comunica con la zona pranzo attraverso la parete filtrante in bronzo. Stesso materiale anche per il rivestimento del soffitto. Il divano Jagger, il tavolino Huber e la chaise longue Smith sono tutti di produzione Minotti col design di Rodolfo Dordoni. Sono abbinati a due poltrone di modernariato Nilufar di P.L. Powell. Il tappeto appartiene alla Nodus collection. Le lampade sono di Flos: Sullo scrittoio si trova la Biagio disegnata da Tobia Scarpa, mentre la lampada da terra è la Ray progettata da Rodolfo Dordoni; sulla mensola, la storicaSnoopy (1967) di Achille e Pier Giacomo Castiglioni. tutti gli allestimenti sono stati realizzati da cassina.

L’innesto di competenze altrettanto specialistiche provenienti da un campo diverso, in un ambito fortemente ancorato a tradizioni e abitudini gelosamente conservate, può imporre un’andatura di bolina stretta, e cioè creare problemi, incomprensioni e fatiche supplementari, ma può anche sprigionare l’energia necessaria per produrre ricerca e innovazione. Dordoni Architetti, lo studio guidato da Rodolfo Dordoni e da Luca Zaniboni, è stato individuato da Sergio Buttiglieri, interior design director di Sanlorenzo, come il progettista ideale per realizzare uno yacht di nuova concezione. Per Massimo Perotti, proprietario di Sanlorenzo e originariamente armatore dell’imbarcazione, il progetto avrebbe dovuto assumere un valore di manifesto, di dimostrazione pratica delle intenzioni e dei programmi dell’azienda. Lo sviluppo del progetto, come racconta Zaniboni, è stato tutt’altro che semplice, dal momento che le ipotesi iniziali si sono scontrate con consuetudini nautiche difficili da mettere in discussione. In particolare, erano due le sfide proposte dai progettisti. La prima, legata a un principio di razionalità architettonica, riduceva a tre il numero delle cabine che inizialmente erano cinque, secondo lo standard per gli yacht di 100 piedi. La seconda era quella di suddividere nettamente la zona giorno, che occupa l’intero livello del ponte, dalla zona notte, a sua volta integralmente collocata sottocoperta, infrangendo la regola che prevede la cabina dell’armatore regalmente piazzata a prua, a livello del ponte.

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Sopra, La sala da pranzo, con il soffitto in pannelli specchianti. Il tavolo di marmo è su disegno, le cuscinature e le sedie Flynt, versione Flat, sono di Minotti, design Rodolfo Dordoni. Alla parete un quadro di Gianfranco Pardi. Nella pagina accanto, in alto: la cabina armatoriale. il letto e la testata in pelle sono realizzati su disegno da cassina, la chaise longue è la Soft Pad Chaise ES106 di Ray & Charles Eames, produzione Vitra; sui comodini, le storiche lampade AJ Table di Louis Poulsen, disegnate da Arne Jacobsen nel 1960. In basso: il bagno della cabina armatoriale, con pavimento in onice, pareti rivestite in teak e onice, soffitto in acciaio super mirror.

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Accettate e condivise dall’armatore queste due innovazioni, il progetto ha potuto perseguire un’idea di spazialità continua, fluida, che cambia di molto la concezione della compartimentazione degli spazi a favore del comfort dei crocieristi. Passando attraverso una serie di diaframmi e di traguardi, lo sguardo coglie l’intera dimensione dello scafo, sia lungo l’asse longitudinale sia in larghezza, misurando spazi generosamente illuminati da una molteplicità di fonti diverse. Il progetto affronta e risolve i vincoli nautici. L’altezza sottocoperta, per esempio, viene contenuta nei due metri e dieci: una misura davvero ridotta, a cui rimedia brillantemente con la luminescenza calda e diffusa dei soffitti in bronzo, nella cabina dell’armatore, e in acciaio. Sottocoperta giocano un ruolo decisivo anche le pareti parzialmente trasparenti delle stanze da bagno (un sistema efficace per dilatare lo spazio), la preziosità dei materiali, l’arredamento gestito da Cassina Contract, il layout luci realizzato in collaborazione con Viabizzuno. Una sorpresa sono i pannelli neomoderni dell’artista milanese

Gianfranco Pardi, in perfetta sintonia con i temi del progetto, che esulano dal mondo del design e valgono come promemoria, come gentili testimoni della libera immaginazione. Anche a livello del ponte principale la zona giorno rispetta ed esalta questa idea di continuità misurata. Sequenze di rimandi spaziali e visivi conducono lo sguardo da poppa a prua, dal pozzetto alla sala da pranzo, attraverso un controllo architettonico armonioso, fermo e preciso, nel rispetto delle funzioni dei diversi ambienti ma senza rigidezze, con una serie di passaggi graduali, morbidi, che rafforzano la sensazione di accoglienza e di massimo comfort. L’ampio spazio del living, con il pavimento in teak industriale e il prezioso soffitto in lastre di bronzo opaco e lucido, non ha una vera e propria terminazione ma scorre attraverso il leggero graticcio in bronzo che delimita il vano della scala che scende sottocoperta. L’artificio crea l’illusione della continuità e, nello stesso tempo, dilata e sfuma i confini dello spazio di coperta che prosegue e termina nella sala pranzo dove lo spazio è ancora

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teatralmente manipolato dai pannelli specchianti del soffitto. Il risultato è il lusso elegante e rigoroso, misurato ma certamente non moderato, che distingue lo stile di Dordoni Architetti: materiali preziosi, valorizzazione dello spazio, manipolazioni percettive condotte attraverso le luci naturali e artificiali, filtri e superfici riflettenti. Una continua oscillazione tra opposte sensazioni: pesante e leggero, matericità e smaterializzazione, liscio e ruvido, caldo e freddo. Prevalgono calde tonalità di colore, coi marroni del teak e del bronzo, e la fredda tattilità dei metalli, dell’acciaio, dello stesso bronzo e dei marmi. Anche le linee esterne dello scafo, disegnate dal progettista nautico Francesco Paszkowski, sono state rivisitate attraverso una serie di accorgimenti che puntano ad una maggiore forza espressiva, cercando di rendere più compatta e filante la coerenza e la sintesi degli elementi. In particolare, il profilo è rafforzato della finestratura continua, più ampia rispetto alla versione precedente, e dalla regolarizzazione del disegno degli oblò.

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progetto di Perini Navi/Ron Holland/Foster + Partners foto di Dan Annet, Giuliano Sargentini testo di Michelangelo Giombini

Con questo lussuoso veliero di 56 metri, l’ottavo della serie, la flotta di Perini Navi raggiunge quota 47. A caratterizzarlo sono l’originalità delle linee esterne e la flessibilità degli spazi interni disegnati da Foster + Partners.

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veduta zenitale del ponte del panthalassa di perini navi: gli alberi di maestra e di mezzana del ketch sono stati realizzati dal cantiere in alluminio e misurano rispettivamente 58 e 47 metri. l’immagine mette in evidenza la configurazione filante della deck house che ha liberato la coperta e reso possibile l’ampio flush deck di prua e i comodi passaggi laterali.

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SY PANTHALASSA Lunghezza fuori tutto 56 m Larghezza massima 11,52 m Pescaggio 3,95 minimo/9,73 massimo Dislocamento 540 t Velocità massima 15 nodi Scafo e sovrastruttura alluminio Ospiti 12 Equipaggio 10 Architettura navale Ron Holland/Perini Navi Cantiere Perini Navi Group a sinistra, dall’alto: Il Panthalassa in navigazione di bolina (con questa andatura la superficie totale del piano velico è di circa1.500 metri quadrati); il tavolo circolare del fly bridge che incorpora un grande sky light di cristallo, permettendo alla luce naturale di penetrare nel salone principale; Le Planimetrie dei tre livelli.

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Il salone principale è illuminato da nove prese di luce circolari ricavate nel pavimento del fly bridge. al centro, il volume della scala ellittica di collegamento tra i tre livelli della barca è racchiuso un una gabbia di acrilico che convoglia e distribuisce la luce al suo interno. le poltroncine appartengono alla serie mart di B&B Italia, design antonio citterio.

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l nuovo Panthalassa, maestoso ketch a vela di 56 metri di Perini Navi, si distingue a colpo d’occhio per la sovrastruttura in alluminio alleggerito che gli conferisce un carattere sportivo e aerodinamico. La diretta conseguenza di questo particolare e inedito disegno dei volumi sono gli spazi più ampi in coperta, risolti in comode vie d’accesso laterali e un’elegante flush deck prodiero. A poppa, il pozzetto è stato concepito per la vita all’aperto e presenta dimensioni decisamente più generose rispetto ai modelli precedenti: è

delimitato con pannelli protettivi trasparenti e ospita, oltre alla dinette e al divano, la scala semicircolare che conduce al fly bridge attrezzato con un prendisole, un’area per pranzi informali e la plancia di comando per le manovre a vela e a motore. Il salone sul livello principale si raggiunge comodamente dal pozzetto con una netta sensazione di continuità tra spazi esterni e volume coperto, concepito come un grande open space che si conclude con la sala di comando lasciata volutamente a vista.

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la zona pranzo illuminata da uno sky light: può essere isolata dalla sala principale mediante pannelli di cristallo scorrevoli. la scala di collegamento conduce a un disimpegno a pianta ovale che distribuisce alle sei cabine del lower deck.

La zona pranzo è contenuta in un grande volume cilindrico composto da quattro lastre di vetro, scorrevoli e modulabili: può essere trasformata in meeting room e stanza per i massaggi.

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sopra, cabina matrimoniale con chaise longue a nastro lungo la murata, foderata in pelle naturale. il panthalassa è dotato di sei cabine di dimensioni simili, quattro matrimoniali e due con letti singoli convertibili in matrimoniali. la scelta del layout denota l’attitudine della barca al charter. a destra, tutte le cabine sono dotate di guardaroba e di un bagno personale, rivestito di un elegante marmo nero con venature dorate.

Accoglie tre grandi divani, un mobile bar e una zona pranzo trasformabile in meeting room o in stanza per i massaggi, contenuta in un grande volume cilindrico composto da quattro lastre di vetro scorrevoli e modulabili. Al centro dello spazio è ricavata la grande scala aerea di forma ellittica che collega al fly e al livello inferiore: è accompagnata da sottili elementi in acrilico trasparente studiati per convogliare la luce naturale e creare inediti e suggestivi riflessi di luce all’interno del volume verticale. Quello della luce naturale rappresenta un tema costante nel progetto di Foster + Partners che adotta soluzioni originali incluse nel volume esterno per raccoglierla e diffonderla all’interno della barca. Un primo sky light in cristallo temperato è ricavato nel grande tavolo circolare collocato sul fly che

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consente al pozzetto di ricevere direttamente la luce del giorno; il secondo è analogo al precedente e irrora di luce la zona pranzo; il terzo è costituito da nove prese di luce naturale praticate nel pavimento del fly che illuminano il salone sottostante. Il layout del lower deck è privo di cabina armatoriale e presenta sei vani di dimensioni simili che rendono la barca particolarmente flessibile per il charter. I dodici ospiti del Panthalassa possono comunque contare su quattro cabine matrimoniali e due con letti singoli accoppiabili, tutte estremamente confortevoli e dotate di chaise longue panoramica in murata e bagno personale. I materiali impiegati nell’allestimento sono naturali con prevalenza di teak, pelle e moquette di seta in tinte neutre e sfumature di bianco.

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UNA macchina scenica CHE OFFRE scenari mutevoli. UNA ‘casa navigabile’ CHE, A SECONDA DELL’UTILIZZO, PROPONE soluzioni abitative diverse. COSÌ Luca Dini E Frederic Mechiche HANNO IDEATO GLI INTERNI DEL 50 METRI DISLOCANTE COSTRUITO DA Mondomarine.

STreamLIne

progetto di Cor D. Rover/ Frederic Mechiche & Luca Dini Design testo di Decio G. R. Carugati

S

STREAMLINE

Lunghezza fuori tutto 49,30 m Larghezza massima 9,30 m Motorizzazioni MTU 12V4000M71 Velocità di crociera 16 nodi Velocità massima 17 nodi Studio concettuale e styling esterno Cor D. Rover Interni Frederic Mechiche & Luca Dini Design Cantiere Mondomarine

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treamline, unità dislocante Mondomarine di 50 m., scafo in acciaio sovrastruttura in lega leggera, ben si presta, nel concept e nelle linee esterne di Cor D. Rover, a una configurazione degli spazi abitabili che, nel design di Luca Dini e Frederic Mechiche, si distingue per flessibilità e corrispondenza a differenti esigenze e situazioni. Il layout pone in dialogo i diversi ambiti di vita a bordo. Spiega Luca Dini: “Per espressa richiesta dell’armatore, l’intera barca doveva risultare molto luminosa. Ecco il bianco delle pareti e dei soffitti e ancor più le grandi finestrature, e il gioco dei lucernari, sky-light che invadono di luce e attraversano tutti i livelli. I pavimenti alternano doghe di teak verniciato marrone scuro a una particolare moquette a strisce bianche e nere riservata alle cabine.

Con Frederic ho poi cercato di confermare l’intenzione cara al committente, quella di ridurre sensibilmente l’ampiezza dei pozzetti per aumentare la volumetria interna, pur mantenendo una costante relazione con l’esterno, i colori del paesaggio, l’inestimabile apporto dell’ambiente naturale”. A tal scopo, a poppavia, la porta circolare in cristallo e acciaio non separa gli ambiti, anzi li integra ponendo in diretta comunicazione i due modi di vivere la barca, en plein air e nei luoghi riparati. Lo schema della compartimentazione è di tipo classico: al primo ponte salone, cucina a pruavia sul lato sinistro e suite armatoriale sul destro; al superiore sky-lounge, timoneria e cabina del comandante; all’inferiore zona ospiti – due cabine vip e due con letti singoli.

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Nella pagina accanto: lo Streamline in navigazione mostra le linee del suo scafo in acciaio e alluminio.

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Una veduta del sun-deck. La luce naturale penetra attraverso un grande lucernario, illuminando tutto lo yacht sino al ponte inferiore.

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A destra, il salone principale. Realizzati su misura, i divani disegnano geometrie asimmetriche e delimitano le aree per la conversazione. Lampade da terra Costanza di Paolo Rizzatto per Luceplan. Sotto: la zona relax del ponte principale arredata con elementi su misura e pezzi dei maestri del design moderno, come le poltroncine Lounge Chair di Charles Eames prodotte da Vitra.

Proprio all’interno dello schema prestabilito è possibile agire cambiando gli scenari che consentono di gestire gli spazi secondo l’occasione. Indubbia la sensazione di un avvicendamento delle rappresentazioni, e questo sin dal primo approccio alla zona pranzo, dove l’insolita disposizione di due tavoli quadrati permette di accostare questi e dar forma ad un’unica grande struttura prospiciente il mare a poppa, quand’essa non costituisce diaframma, traguardo, limite, bensì soglia fra interno ed esterno e viceversa. La funzione pranzo assume in effetti una nuova connotazione, si fa tramite di interazione con lo spettacolo della natura. Un dato che contrassegna anche il living nelle ampie finestrature che affacciano il mare. Dallo specchio di poppa si è subito attratti e vien voglia di entrare, scoprire, vivere questo spazio. Il ponte

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principale è dunque concepito come open space. Le bianche pareti laccate, le paratie, alleggeriscono, anzi, quasi smaterializzano i volumi. Dal pranzo si passa in zona relax che anticipa nelle grandi comode chaise longue l’alto comfort dei divani della zona conversazione, disposti in geometrie asimmetriche costituite da moduli angolari ed elementi singoli. La suite armatoriale conclude la sequenza degli spazi. L’armadio a muro riflette e amplifica l’ambiente nelle ante specchiate, nelle fasce di acciaio che ne disegnano le campiture. Il testaletto e la fascia a correre su quest’ultimo, realizzati in teak inscurito come il pavimento, alloggiano, in apposite nicchie, suggestive fonti luminose. Nel bagno, il top in Corian DuPont nero spicca tra le finiture in bianco lacca, il colore del legno, gli accessori cromati.

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A destra, il pozzetto del ponte principale che conduce alla zona pranzo, attrezzata con due tavoli quadrati che, all’occorrenza, si uniscono in un’unica grande struttura con vista mare.

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L’ampia suite della cabina Armatoriale situata al ponte principale. La parete testaletto è stata realizzata in teak; L’armadio si caratterizza invece per il gioco dei riflessi creati da vetro e acciaio. Accanto al tavolino su misura, due poltrone Barcelona disegnate da Mies van der Rohe e prodotte da Knoll International.

Un taglio di luce attraversa il cielino della doccia armatoriale. Una lastra di vetro traspare l’acqua della vasca piscina soprastante, sì che alzando lo sguardo, si ha come l’impressione di vivere l’attimo di un habitat assolutamente subacqueo. Una sensazione davvero sorprendente. La scala in teak e l’ascensore a fronte, in cristallo e acciaio, collegano il primo ponte al superiore e all’inferiore. Ad ogni livello si approda su lastre di vetro antisfondamento, quindi calpestabili, che poste in sequenza a mo’ di lenti telescopiche, agiscono in funzione di vero e proprio lucernario. La luce è dunque protagonista negli spazi adiacenti che, grazie alla duttilità dell’impianto scenico, possono dar luogo a differenti destinazioni d’uso. Così lo sky-lounge, che già si caratterizza nell’estrema pulizia dei rivestimenti e nelle superfici a specchio che esaltano il cromatismo dell’insieme, è dotato di una parete a scomparsa, che permette di trasformare un ambito sociale di gran classe in una esclusiva suite privata con accesso diretto alla

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terrazza di poppa. In zona ospiti, al ponte inferiore, le quattro cabine dichiarano l’armoniosa uniformità dei materiali di allestimento. Le due Vip costituiscono all’occorrenza, aprendo due grandi porte scorrevoli, una ulteriore unica suite. Effetti a sorpresa determinano dunque i mutamenti scenografici evidenziando ancor meglio la scelta degli arredi, per la più parte free standing, dai raffinati pezzi su misura a quelli di produzione seriale di designer di fama internazionale. Nel design di Luca Dini e Frederic Mechiche, Streamline si configura ‘casa navigabile’ che, rapportandosi con l’ambiente naturale, suggerisce differenti proposte abitative. Le grandi finestrature, i lucernari, gli inserti di cristallo nei pavimenti catturano la luce, modificando e ampliando nel corso del giorno la percezione degli spazi. Macchina scenica ben congegnata, Streamline assolve le esigenze esclusive dei fortunati ospiti dell’armatore e altresì si presta al servizio charter offrendo soluzioni di comfort adeguato.

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Sopra, una delle due cabine vip matrimoniali situate al ponte inferiore. Sono concepite come ambienti comunicanti tra loro che, all’occorrenza, si trasformano in un’unica grande suite.

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Sotto, da sinistra: il bagno della cabina armatoriale; una delle due cabine vip a letti singoli, situate sempre al ponte inferiore e dotate di grandi porte scorrevoli che le mettono in diretta comunicazione.

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progetto Dubois Yachts Architects/Wilmotte & Associates testo di Paola Bertelli

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prezioso come la custodia di un gioiello, semplice e naturale come un legno trovato sulla spiaggia. Questa l’idea ispiratrice degli interni dello sloop di 52 metri realizzato da Alloy Yachts International, che ,per la prima volta, ha visto Wilmotte & Associates cimentarsi sul tema della vita a bordo.

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er Wilmotte & Associates lavorare su Red Dragon ha rappresentato insieme una sfida, un gioco e un grande impegno. Per loro, studio parigino internazionale di archistar, è stata la prima esperienza a bordo di uno yacht. Passare dal quartiere parigino di la Valette o dal Korea Art Center agli spazi ridotti e con i molti vincoli di una imbarcazione, anche se lunga 52 metri e larga oltre dieci, “è stata un’esperienza stimolante”, spiega Jean Michel Wilmotte, “un esercizio di abilità che grazie alla grande collaborazione fra tutti – gli armatori, Dubois Naval Architects e il cantiere neozelandese Alloy Yachts – si è rivelato un lavoro molto simile al ‘progetto perfetto’. Abbiamo lavorato su Red Dragon considerandolo come la custodia di un gioiello, dove ogni singolo dettaglio diventa fondamentale”.

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RED DRAGON Lunghezza massima 51,70 m Larghezza massima 10,20 m Pescaggio 4,90 m Dislocamento 354 t Superficie velica 2.500 mq Progetto navale Dubois Naval Architects Interni Wilmotte & Associates Cantiere Alloy Yachts International

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Il living esterno di poppa del Red Dragon. La struttura del fly bridge ripara gli ospiti dal sole. Le due scale ai lati della grande porta scorrevole suggeriscono un particolare effetto di sospensione.Un range limitato di materiali naturali e di chiare note cromatiche caratterizzano interni ed esterni dello yacht realizzato da Alloy Yachts International.

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Gli armatori, Guy & Myriam Ullens, collezionisti d’arte, hanno una delle più ricche collezioni private al mondo di arte contemporanea cinese (si spiega così il nome dell’imbarcazione). Nel 2007, a Pechino, in una vecchia fabbrica di munizioni, hanno aperto l’Ullens Centre of Contemporary Art, progettato da Wilmotte & Associates. Dopo questa collaborazione gli architetti sono ‘saliti a bordo’ di Red Dragon a conferma della tendenza molto diffusa tra gli armatori di questi mega yacht di affidare i progetti ai loro architetti di fiducia anche se non specializzati on board. D’altronde, queste imbarcazioni sono vissute sempre di più come sofisticate ville galleggianti. Red Dragon è uno sloop performante, progettato per essere autonomo in mare anche per lunghi periodi. Le linee dello scafo in acciaio sono tese, eleganti. Il leggero slancio a prua e la poppa rovescia alleggeriscono la struttura e ne sottolineano la dinamicità. La sovrastruttura è snella e le sue linee si allungano verso poppa virtualmente appese sopra il pozzetto. “Red Dragon”, sottolineano dallo studio di architettura navale Dubois, “è la sistership di Kokomo: lo scafo è frutto dello stesso progetto, cambiano interni, finiture e la sovrastruttura.

Entrambe le barche sono l’evoluzione di un concetto progettuale iniziato con Salperton (un 53 metri del 2002 costruito da Alloy Yachts), Squall (un 52,3 metri del 2002 costruito da Perini Navi) e Tiara (un 54,2 metri del 2004 costruito da Alloy Yachts): yacht firmati dallo studio di architettura navale Dubois Naval Architects e progettati per lunghe navigazioni oceaniche, dove marinità e comfort sono le basi su cui ruota il progetto”. Il design della coperta nasconde tutte le attrezzature per le manovre e la posizione di comando esterna è sul fly a cui si accede dal pozzetto tramite due scale laterali dalla struttura minimale, solo un sostegno centrale a cui sono fissati i gradini, quasi non volessero interferire con l’ambiente. Lo studio Wilmotte & Associates ha curato l’interior design e i pezzi di arredo in coperta seguendo il preciso input dettato dagli armatori: rendere coerenti gli esterni di questo yacht, un purosangue di razza, con gli interni. L’equilibrio raggiunto lo si percepisce in maniera netta quando dalla zona dedicata al sole, a poppa, lo sguardo scorre ininterrotto, sia dal punto di vista spaziale sia da quello tematico, fino alla posizione di comando interna.

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Sopra: Il main saloon, studiato in modo da accentuare il senso di apertura dello spazio. La scala è posta al centro dietro lo schermo tv, che scompare nel mobile quando non è in uso. A destra, un Dettaglio della zona bar nel living. La luce naturale filtra all’interno attraverso veneziane che ne smorzano l’intensità e la distribuiscono in modo uniforme.

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Altra indicazione chiave ricevuta dai coniugi Ulsen è stata quella di far entrare a bordo la luce e creare un’atmosfera confortevole e soft. L’effetto finale è semplice, contemporaneo e senza alcun eccesso decorativo. Il grande living è un open space in cui sono state eliminate, volutamente, le separazioni architettoniche verticali, enfatizzando, invece, le linee orizzontali che si adattano alle altezze della barca e sottolineano la dimensione marina. La disposizione geometrica dei vari elementi di arredo consente la suddivisione funzionale degli ambienti. Anche se è la scala centrale, che porta alla zona notte riservata agli ospiti, a distinguere in modo chiaro la zona pranzo dal bar e dal salotto. La luce naturale entra nel living dalla lunga finestratura curva e continua che disegna il perimetro della sovrastruttura; le veneziane fanno sì che non sia troppo diretta e violenta ma si distribuisca, diluendosi, nell’ambiente. “Per una migliore armonia generale”, sottolinea Jean Michel Wilmotte, “abbiamo puntato su un range limitato di materiali, tutti naturali, dalle note cromatiche chiare”. Anche il colore di base che domina gli ambienti è stato deciso dagli armatori: “La signora Ulsen ha trovato un pezzo di legno galleggiante ad

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In alto, la suite armatoriale. Le opere d’arte alle pareti sono di giovani artisti neozelandesi. Qui sopra, da sinistra: una delle tre suite riservate agli ospiti; il bagno della cabina armatoriale e il dettaglio della zona studio. Nella pagina accanto, la scala che porta alla zona notte e un dettaglio delle feritoie luminose.

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Antigua mentre stava passeggiando sulla spiaggia. Ha pensato fosse perfetto e ce lo ha spedito. Questo pezzo di legno è diventato il punto di riferimento per la scelta di tutti i materiali e ci ha aiutato a definire il range di colori degli interni, compresi tra il beige e il bianco sporco”. La luce, i toni chiari e l’impressione che i mobili galleggino in sospensione, rendono gli ambienti leggeri, con il risultato di amplificare la sensazione dello spazio. Cosa fondamentale a bordo di una imbarcazione. Anche nella zona notte dedicata agli ospiti viene riproposto l’uso geometrico degli elementi d’arredo che, insieme ai colori chiari, concorrono a definire un’atmosfera essenziale. Ad arricchirla, sono pezzi singoli e colorati, come le poltroncine diverse in ogni cabina, ma anche le opere di giovani artisti

neozelandesi che gli Ullens hanno disposto alle pareti delle camere da letto e dei bagni: i loro toni puri e brillanti si integrano armoniosamente con il design pulito di Wilmotte & Associates. L’importanza dell’illuminazione qui diventa più forte, parte integrante del progetto e non solo un complemento. Nella scala che conduce alle cabine, per esempio, feritoie luminose e luci incassate nei punti di congiunzione tra pareti e gradini sottolineano il passaggio al piano inferiore. E ancora, luci nascoste illuminano le stanze con toni caldi e danno risalto alle opere d’arte presenti. Faretti e spot sono di sostegno laddove è necessario, in bagno, sopra i tavoli, al fianco dei letti. Ma sempre con discrezione, senza mai prevalere o assumere un ruolo scenografico. A bordo di Red Dragon il protagonista è il mare.

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VELISTA SIN DA BAMBINO, Carlo Puri Negri, L’UOMO CHE HA INVENTATO E FATTO CRESCERE LA Pirelli Real Estate, RACCONTA LA SUA PASSIONE PER IL MARE, IL TEATRO E L’ARTE.

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Di ATalanta e di altri amori a cura di Gilda Bojardi

Atalanta ii, la barca da regata di Carlo Puri Negri, è un Farr 70’ costruito nel 2004 dal cantiere statunitense Goetz Custom Boats. negli scorsi anni ha conseguito importanti vittorie, tra cui la Middle Sea Race di Malta del 2005 e la Maxi Yacht Rolex Cup di Porto Cervo del 2006 e del 2007 (foto di Carlo Borlenghi/Sea&See). a sinistra, l’imprenditore nel suo ufficio milanese (foto di Paolo veclani).

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Atalanta II - Farr 70’ Lunghezza fuori tutto 21,49 mt Baglio massimo 4,85 Pescaggio 3,96 mt Stazza 24 tons Scafo e coperta carbonio Albero carbonio Cantiere Goetz Custom Boats

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a un curriculum vitae da capitano d’impresa, ma Carlo Puri Negri ‘capitano’ lo è stato anche nella vita privata, timonando con audacia le sue passioni – teatro, cinema, televisione, editoria, vela – alcune delle quali, sono diventate vere attività imprenditoriali. Negli ultimi 17 anni, fino al 2009, ha inventato e fatto crescere la Pirelli Re. Nel suo ufficio milanese della Pirelli c’è aria di creatività e buon gusto. È pieno di foto di famiglia e pezzi d’arte a cui Puri Negri è molto legato. Oggi è presidente di una holding di famiglia, la Fratelli Puri Negri Sapa e siede nel consiglio d’amministrazione di più di un’azienda, tra cui Aon Italia, Artemide, Banca Profilo. Nella sua biografia spiccano numerose cariche: vice presidente del Gruppo Partecipazioni Industriali, di Camfin, di Pirelli & C.; di Ambiente S.p.A. e consigliere di Pirelli Tyre.

nella pagina accanto, l’Atalanta ii in fase di regata. Lunga 22 metri, la barca ha scafo, coperta e albero in carbonio (foto di Fabio Taccola).

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Due vedute della dinette di Atalanta ii, che, come tutte le barche da regata, non concede spazio al superfluo ma allo stesso tempo prevede tutto il necessario per confortevoli crociere in mare.

I toni con cui racconta di sé sono ‘minimi’ e ironici come quando sottolinea di essere stato un pessimo studente di legge. “L’unico diploma che ho”, spiega, “è in arte drammatica, preso al Piccolo Teatro di Milano con Strehler. Nella mia famiglia si parlava solo di economia e di politica così, appena capitò, non mi lasciai sfuggire l’occasione di entrare in teatro”. Terminato il liceo, per qualche anno seguì la sua passione teatrale e cinematografica con la partecipazione, come attore, ad una decina di film. “Non appena capii che non ero bravo, smisi, dopo aver fatto cinque-sei film bruttissimi e un paio belli”. Lavorò con cast grandiosi e con attori come Elizabeth Taylor e Helmut Berger, “anche se”, racconta, “avevo piccole parti e per lo più interpretavo finti conti, gigolò e banditelli”. Fece produzioni teatrali importanti e nel periodo in cui nacque la tv libera mise in piedi una rete locale, per metà del gruppo Espresso e per metà della Mondadori. “Lavorai per qualche anno a Rete 4 e quando l’avventura si concluse tornai a essere un disoccupato. Avevo una passione per la Pirelli, un business di famiglia, ma essendo la pecora nera, nessuno aveva intenzione di farmi fare alcunché”. Poi cominciai a lavorare in una minuscola società immobiliare, che nel ’91 diventò Milano Centrale e poi crebbe fino ad essere quotata in Borsa e diventare Pirelli Re.

Tra le grandi passioni di Carlo Puri Negri, genovese del ’52, sono fondamentali il mare e la vela. Si dice che lei sia un architetto mancato. Se dovesse disegnare un’imbarcazione come la farebbe? “So solo che progettare una barca come la mia Atalanta, tutta in carbonio, è complicato come fare un grattacielo”. Un nome particolare quello ha dato alla sua barca... “Atalanta è la dea della corsa. Il nome è nato in famiglia, a cui apparteneva un signore molto colto che si chiamava Giovanni Pirelli e che ha fatto una vita non così pazza come Feltrinelli ma molto simile. È stato lui a dare il nome di Atalanta ad una barca che timonava mia madre, che era sua nipote, negli anni Quaranta”. Dove è stata costruita Atalanta II? “A Newport da un costruttore piccolo ma tra i più bravi al mondo nella produzione di yacht in carbonio. Nella progettazione degli interni ci siamo sbizzarriti con l’architetto Piero Castellini. Ma siccome la barca non performava come avremmo voluto, abbiamo chiamato Umberto Felci, un bravo architetto italiano. Con lui abbiamo modificato chiglia e pesi e in tre o quattro anni abbiamo vinto tutto quello che c’era da vincere. Allora ci si poteva permettere questi lussi...”.

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A sinistra e nella pagina accanto, le cabine. in fase di regata le cuccette vengono smantellate per lasciare posto alle attrezzature da gara.

Gli interni sono stati progettati dall’architetto Piero Castellini insieme a Carlo Puri Negri. A destra la scrivania in carbonio, leggerissima, con una abat-jour a scomparsa, disegnata da philippe Starck, che richiama atmosfere domestiche.

Cosa rappresenta per lei la barca? “Il mare è la mia grande passione. Sono nato a Genova, dove ho vissuto fino alla fine del liceo. Mi piace navigare. Mi basta una cuccetta che sia abbastanza comoda, delle belle lenzuola, un piccolo bagno che abbia tutto quello che serve, la cucina, il frigorifero, ma non l’aria condizionata che consuma troppo. Atalanta non è enorme. È lunga 22 metri. In regata ci possono stare 21 persone, ma, siccome è dotata di motori che semplificano le manovre si può andare a spasso anche solo in tre, con prestazioni abbastanza straordinarie”. Ricorda qualche regata particolarmente avventurosa? “La Rolex Middle Sea Race che parte da Malta. Nella gara del 2007 c’era un vento pazzesco e un mare spaventoso. Una barca australiana aveva rotto il timone. Noi abbiamo tirato giù le vele e ci siamo fermati per aiutare l’equipaggio e chiamare i soccorsi. La loro barca spiaggiò e furono portati via con un elicottero. Fu la volta in cui rischiammo di più”. La barca a vela, per lei, rappresenta un mezzo per divertirsi e viaggiare o anche la possibilità per isolarsi dalla vita frenetica e ritrovare stimoli per nuovi progetti? “Per me è un ‘brain-washing’. Sono molto concentrato sulle vele e su tutte le strumentazioni di bordo, non penso a problemi di alcun genere. È un bellissimo modo per ‘lavarsi’ la testa”. Cambierebbe la sua Atalanta con altre barche? “Se oggi potessi, farei un’Atalanta III. L’ho anche progettata, a dire la verità, con Umberto Felci. È più estrema e veloce di Atalanta II”.

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In realtà vorrebbe vendere quella che già ha. Resisterà senza barca? “Soffrirò. Ho restaurato un piccolo dinghy di mio padre, grande come un tavolo, e farò qualche bordo in attesa che il mondo mi sorrida”. Intanto esercita altre sue passioni? “In questo momento sono molto attivo sul fronte dell’arte. Mi occupo dell’Hangar Bicocca, un’operazione che in origine era di Pirelli Re e oggi è diventata Fondazione. Sono entrate la Camera di Commercio, la Regione, e adesso mi auguro entreranno anche dei soci privati. Un’altra mia passione è Capalbio, non quella più nota, ma quella in alto, più nascosta”. Mi racconti della sua Capalbio. “È un terreno di 1000 ettari, comprato nel ’22 dalla mia famiglia quando a Capalbio non c’era il Comune, ma solo la nostra proprietà che poi fu comprata da Oreste Pallavicino, un signore molto simpatico i cui i nipoti sono ancora nostri soci. Dopo vicende alterne questa fascia di terra diventò la prima oasi del WWF in Italia. Di questo bellissimo posto se ne occupava mio padre e da quindici anni lo seguo personalmente. Ci sono case coloniche: non quelle di pietra della Toscana nobile, ma bianche, con un’architettura molto povera, dei ‘cubi’ con la scala esterna. Ho recuperato tutti gli immobili facendoli diventare 22 case di vacanza, distanti un chilometro dal mare che è raggiungibile a piedi, a cavallo o in bicicletta”. Casa sua invece com’è? “È in perfetto stile Tudor, costruita, a metà

dell’800, davanti al porto di Genova, dal ramo inglese di una famiglia tedesca. La comprò mio nonno e la fece trasformare da Tomaso Buzzi, grande architetto degli anni ’50, poi da Piero Portaluppi, mentre Caccia Dominioni ha fatto gli interni. Io mi sono divertito, a restaurarla, riportando lo stile un passo indietro rispetto agli interventi precedenti. Fuori è neogotica e dentro è in stile Caccia Dominioni. Una strana combinazione”. E la casa milanese dove vive con la sua famiglia? “Con mia moglie e quattro dei miei cinque figli viviamo in una suggestiva casa di ringhiera. È su tre piani e si affaccia su un piccolo giardino neogotico. È una ‘baracca’ con un certo charme...”.

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Costruzioni, vini, ristoranti, resort, barche... Le tante attività imprenditoriali di Vittorio Moretti ruotano attorno ai piaceri della vita. Parlano d’arte, di bellezza e di poesia. E trovano nel design il principio comune che le guida sulla strada della ricerca e dell’innovazione.

di Maddalena Padovani

sFIDe a cInQue sTeLLe Sopra, un ritratto di Vittorio Moretti. Nella pagina accanto, Viriella, il 118’ disegnato da GermÁn Frers per l’imprenditore bresciano, che ancora oggi rappresenta il più grande yacht costruito dal suo cantiere Maxi Dolphin.

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iù che una passione, quella di Vittorio Moretti per la qualità della vita sembra una vera e propria missione, perseguita con la lungimiranza di un abile imprenditore ma, soprattutto, con la lucida creatività di un vero e proprio progettista. Quella che l’ha portato a fare della sperimentazione e dell’innovazione il fulcro di un’attività che spazia dalle costruzioni alla viniviticoltura, dal settore alberghiero alla cantieristica da diporto. E che proprio nel design – inteso come capacità di coniugare il bello con il nuovo – trova la sua principale chiave di lettura.

Classe 1941, originario della Franciacorta, dove oggi risiede e attesta quasi tutte le sedi produttive di un gruppo che nel 2009 ha registrato un fatturato consolidato di 130 milioni di euro, Vittorio Moretti spiega così la sua poliedrica attitudine: “I Moretti sono costruttori dal 1400. Accanto a questa attività hanno sempre coltivato anche una vena artistica. Mio padre, per esempio, oltre a essere un grande appassionato d’arte era intagliatore del legno e scultore. L’amore per il vino deriva invece dal nonno materno, che, dopo avere fatto il fattore, decise di mettersi in proprio e

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Alcune fasi della produzione all’interno del cantiere Maxi Dolphin, ubicato a Erbusco, in provincia di Brescia. Nella pagina accanto, uno scafo al termine della verniciatura.

diventò uno dei due migliori produttori di ‘bollicine’ di Erbusco. Da questa storia famigliare io ho sicuramente ereditato l’amore per il bello e per i piaceri della vita, ma anche il senso dell’ordine che è alla base di tutte le nostre aziende. Anche il design ha un ruolo importante, intendendo per design la ricerca dell’equilibrio, della funzionalità e della bellezza: un valore aggiunto che oggi ha una grande rilevanza in ogni campo produttivo”. Nel settore enologico, Vittorio Moretti è stato uno dei primi ad avere creduto nella liaison vino-architettura-design. Per Petra, una delle quattro etichette che gli hanno valso, nel 2009, un fatturato di 27,5 milioni di euro solo con la produzione di vino (i restanti marchi sono Bellavista, Contadi Castaldi e Badiola), ha fatto costruire, sette anni fa, una cantina progettata da Mario Botta: “Le sue opere mi sono sempre piaciute”, racconta l’imprenditore, “apprezzo il senso di stabilità e solidità che la sua architettura, fatta di legno e pietra, comunica. Quando mi sono rivolto a lui avevo in mente qualcosa che somigliasse alle opere del Palladio e dei grandi Maestri dell’architettura del nord Italia. Botta ha capito perfettamente questa idea e ritengo che l’edificio da lui disegnato sia uno dei più belli nel suo genere. Prima di essere un segno, però, la cantina è una macchina che deve funzionare perfettamente in ogni passaggio della produzione del vino e in relazione alle diverse tecnologie utilizzate”. Ancor prima, negli anni ’70, aveva capito che anche il disegno della bottiglia di vino era importante per la valorizzazione del suo contenuto. Aveva quindi inventato la bottiglia del Bellavista, poi diventata un’icona dell’etichetta: “Assieme a un mio collaboratore feci una ricerca da cui risultò che la forma migliore già esisteva ed era quella della bottiglia da un litro da osteria, una forma molto naturale che nasce da una bolla di vetro e che noi ovviamente cercammo di migliorare in vari dettagli”. È sempre questa fortunata combinazione di senso dell’estetica e fiuto imprenditoriale, passione per la vita e lucidità progettuale ad avere guidato un’altra importante sfida di Vittorio Moretti chiamata Maxi Dolphin. Tutto nasce nel 1987, dalla passione per il mare del costruttore bresciano e dal suo hobby preferito: quello della barca a vela. “Essendo un costruttore, ho sempre avuto un interesse particolare per il processo realizzativo delle barche. Tant’è che già prima, quando avevo

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commissionato a Ettore Santarelli un Asso99, mi ero divertito a seguire tutto lo sviluppo e la costruzione della barca. Così, quando ho deciso di passare al Maxi, ho pensato che mi sarebbe piaciuto costruirmelo da solo. Ho chiesto a Santarelli di partecipare a questo progetto: lui ha messo a disposizione il suo know how, io mi sono preso carico dell’esecuzione materiale. Abbiamo così gettato le basi del cantiere da cui poi sono nati i Joker, piccole barche a vela da lago (8,30 metri), veloci, performanti e divertenti. Ai Joker sono poi seguiti i Dolphin, barche di dimensioni analoghe ai Joker ma più alte e stazzate, meno leggere e veloci ma più stabili. Entrambi i modelli ebbero successo, tanto che arrivammo al 1992 con un bilancio di più di 150 Joker e un centinaio di Dolphin. Il salto alla realizzazione di imbarcazioni più importanti è avvenuto quando ho deciso di costruirmi un grande yacht a vela, il Viriella: 36 metri di lunghezza, 8 di larghezza, 5 di altezza. L’abbiamo costruita a Erbusco, dove ancora oggi si trovano i capannoni del cantiere e dove continuo a trovare le migliori condizioni operative in termini di

Sopra, in senso orario: la preparazione dello stampo; l’interno di uno scafo; la partenza dal cantiere di Azzurra 83, di recente restaurata da Maxi Dolphin; il processo di laminazione. Sia a vela che a motore, le barche Maxi Dolphin si distinguono per l’impiego di avanzate tecnologie costruttive e di materiali compositi pre-preg e per la capacità di offrire all’armatore uno yacht custom made.

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l’MD 51’, lo yacht a motore nato tre anni fa dall’expertise di Maxi Dolphin nel settore della vela. Grazie all’impiego della tecnologia Sprint, la barca presenta un’estrema robustezza e una leggerezza unica nel suo genere (solo 10.000 kg), che consente la riduzione del 40 per cento di consumi ed emissioni. Sotto, il motor yacht nella versione cruiser, dotata di due ampie cabine, di una cabina marinaio e di due bagni.

manodopera e risorse industriali. Quando è stato il momento di portare la barca al mare, siamo stati costretti a passare per Cremona, scavando di notte l’asfalto per farla passare al di sotto di un ponte; a Cremona è stata caricata su una chiatta, quindi portata a Venezia dove è salita su una nave che l’ha condotta a La Spezia. Nel frattempo, al cantiere erano arrivate le richieste per la costruzione di altri tipi di barche...”. È così, in modo molto naturale e spontaneo, che la passione di Vittorio Moretti per il mare ha confluito progressivamente in una nuova attività imprenditoriale e ha assunto la forma e la consistenza di un cantiere, il Maxi Dolphin, che subito si è distinto per una sua specifica e caratteristica identità: quella di marchio custommade. Da Bruce Farr e German Frers, da Luca Brenta a Roberto Starkel, sono tante le ‘star’ del progetto nautico che in questi anni si sono rivolte al cantiere di Erbusco: per realizzare barche ‘tagliate’ su misura delle esigenze di ciascun armatore, ma

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Disegnato da Roberto Starkel, l’MD 51’ prevede l’assoluta personalizzazione secondo i gusti e le esigenze dell’armatore. Nella pagina accanto è presentato nella versione con hard top.

anche connotate di prestazioni tecniche decisamente evolute e sofisticate. “Maxi Dolphin”, prosegue Moretti, “per me ha sempre rappresentato la possibilità di sperimentare a tutto campo nuovi materiali e tecnologie di costruzione. Nel mondo della vela questo tipo di ricerca è determinante, perché dalla leggerezza e dalla rigidità dello scafo dipende il livello di performatività dell’imbarcazione. Ho iniziato dunque, negli anni ’80, sperimentando le resine e le fibre – ai tempi poco conosciute – che potevano innalzare le prestazioni delle barche a vela, ma con l’obiettivo di analizzarne i possibili vantaggi applicativi anche nel mondo delle costruzioni. Nell’edilizia queste esperienze hanno avuto un’applicazione limitata, a causa dei costi elevati dei materiali; nel mondo della vela, invece, ci hanno permesso di raggiungere livelli di massima eccellenza tecnologica”. Poi, tre anni fa, la nuova grande sfida: l’applicazione del know how acquisito nel settore

della vela alla produzione di yacht a motore, anch’essi rigorosamente custom made. Nasce così l’MD 51’ Power, un motor yacht di 15 metri veloce ed elegante, originariamente concepito come un megatender e poi declinato in versione cruiser, che di fatto inaugura una nuova fase per il cantiere Maxi Dolphin. Punto di forza del nuovo modello è, ancora una volta, l’utilizzo di sofisticate tecnologie costruttive e l’impiego di materiali compositi avanzati, gli stessi utilizzati per gli scafi dell’America’s Cup e per le auto della Formula 1. La costruzione si basa sulla tecnologia Sprint: la fibra di vetro e di carbonio, già pre-impregnata con la resina secondo percentuali opportunamente calibrate e differenziate in funzione dei pesi e delle prestazioni meccaniche dello scafo, viene stesa nello stampo, messa sotto vuoto e quindi passata nel forno per la cottura a 90 gradi. Ne deriva un manufatto di estrema robustezza e, allo stesso tempo di incredibile leggerezza: solo 10mila chili, la metà di quelli di una barca analoga tradizionale. “Barca a vela e barca a motore”, conclude Vittorio Moretti, “ appartengono a due mondi che, fino all’altro ieri, erano completamente separati. Noi abbiamo invece proposto un motor yacht ispirato alle regole idrodinamiche degli scafi delle barche a vela, in cui le linee sono ottimizzate per raggiungere la massima efficienza. Sul piano tecnico abbiamo raggiunto un risultato veramente eccezionale. Siamo riusciti a dimezzare il peso della barca e i vantaggi che ne conseguono sono molteplici: si possono utilizzare motori più piccoli, l’accelerazione risulta più elevata, i consumi vengono notevolmente ridotti. In poche parole, abbiamo ottenuto un prodotto decisamente interessante e innovativo, anche se le linee propongono un modello decisamente rétro ispirato al design della nautica degli anni ’30: un contrasto ricercato che fa da contrappunto all’attualità dei materiali utilizzati”.

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vaporetti, scafi commerciali, rimorchiatori e ambulanze per il soccorso in mare diventano accoglienti e stilosi yacht da crociera. Il cambio di destinazione d’uso si diffonde sempre piÚ nel mondo nautico.

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TenDenza ReFIT di Simona Spriano

all’interno del fumaiolo del Dionea, l’architetto Ivana Porfiri, che ne ha curato l’interior design, ha ricavato la scala che collega i diversi livelli dello yacht e culmina in un lucernario. Da notare le scialuppe di salvataggio che sono le originali (foto Walter Liaci).

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DIONEA Lunghezza: 51,5 m Larghezza: 7,4 m Anno do costruzione: 1962 Cantiere: Cantieri Navali Feltszegi, Muggia (TS) N° ospiti: 12 N° membri equipaggio: 9 Velocità di crociera: 15 nodi Restaurata da: Cantiere T. Mariotti, Genova, Interior design Ivana Porfiri

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he siano personaggi dello spettacolo, industriali, imprenditori o altro, gli armatori che optano per il refit sono accomunati da una lungimiranza non comune e da gusti raffinati. Basta loro un’occhiata a uno scafo spesso in disuso, malconcio e arrugginito, per immaginarlo solcare le acque vestito di nuovo, sognando di essere a bordo. Una scena di un film? No, una delle ultime tendenze della nautica, il restauro d’imbarcazioni datate e utilizzate negli ambiti più disparati, che diventano yacht dal fascino discreto, muniti di tutti i comfort possibili. È questo il caso del Dionea, lo scafo a tre ponti varato dal Cantiere Felszegi di Muggia nel 1962, che nel 1991 viaggiò per l’ultima volta come nave passeggeri. Successivamente ripreso dal cantiere T. Mariotti, è stato trasformato in uno

Gli spazi interni del Dionea si caratterizzano per un design di sapore modernista. Il soggiorno è arredato con divani in pelle prodotti da Cassina su disegno di Le Corbusier, la sala da pranzo con le sedie Tulip di Knoll. Sopra a sinistra: Dionea e la gemella Ambria Bella al momento del varo avvenuto nel 1962 e lo yacht come appare oggi.

yacht dal riuscito connubio tra classico e moderno. L’architetto Ivana Porfiri, nome noto nel mondo della nautica, ne ha curato il progetto ed è riuscita a trasformare un navetta dagli spazi ristretti in un’esclusiva barca in grado di ospitare in tutta comodità 12 ospiti in sei cabine doppie e nove membri dell’equipaggio. L’intero lavoro è stato realizzato senza toccare l’estetica dei disegni originali, se non per la sostituzione dello scalone centrale di collegamento ai ponti con due scale laterali e l’aggiunta di qualche oblò. Sono state poi sostituite alcune lamiere dello scafo in ferro e delle sovrastrutture in alluminio, ovviamente i motori, mentre per il resto si è riusciti a mantenere dettagli originali come la ruota a poppa, il corrimano e le scialuppe di salvataggio. Il nuovo layout dei tre ponti mantiene separati i percorsi per gli ospiti da

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OCEAN GLORY Lunghezza: 26,4 m Larghezza: 5,3 m Anno di costruzione: 1935 Cantiere: Yarrow & Co Ltd, U.K N° ospiti: 8 N° membri equipaggio: 4 Velocità di crociera: 9 nodi Restaurata da: Amico & Co Srl, Genova

Ocean Glory come appare oggi dopo il refit (in alto) e com’era quando fu costruito nel 1935. Per questo scafo sono stati progettati interni sobri in cui domina il contrasto tra il colore bianco degli arredi e delle pareti e quello più scuro dei pavimenti e delle finiture in teak.

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quelli per l’equipaggio ed è così concepito: il main deck è adibito alla zona giorno e vi si trovano sia una sala da pranzo sia un ampio soggiorno e la zona bar il cui bancone è l’originale; nel lower deck, la divisione tra poppa e prua, determinata dalla posizione a centro scafo della sala macchine, ha reso naturale che la prua venisse destinata a cinque cabine doppie per gli ospiti e la poppa agli alloggi per l’equipaggio. Sul ponte di comando, in ultimo, si trova la plancia di comando dietro alla quale è stata realizzata l’armatoriale. A poppa di quest’ultima ecco la zona prendisole e un’altra area pranzo. Elementi strutturali sono stai lasciati a vista sulle pareti ed arredi di design, quali divani in pelle di Cassina disegnati da Le Corbusier, sedie Knoll e pouf Zanotta contribuiscono a rendere gli ambienti sobri e accoglienti.

Di quasi trent’anni più vecchio è Ocean Glory, anch’esso prezioso esempio di restauro made in Italy ben riuscito. Costruito nel 1935 dai cantieri Yarrow & Co. di Glasgow, produttori di incrociatori per la Marina Britannica, è stata riportato in vita dal nostrano cantiere genovese Amico & Co. Ci sono voluti tre anni di lavori per arrivare a una perfetta ristrutturazione degli impianti e degli interni, durante i quali si è riusciti a recuperare la sovrastruttura originale interamente in teak. Distribuita su tre livelli, benché molto più piccola del Dionea (26,4 m contro 51,5), è ora in grado di ospitare comodamente otto persone in quattro cabine doppie, servite e riverite da un equipaggio di quattro membri, separatamente alloggiato. Anche in questo caso, nel ponte inferiore, dedicato sempre alle cabine, si

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Paolucci Lunghezza: 30 m Larghezza: 7,5 m Anno di costruzione: 1970 Cantiere: Picchiotti, Viareggio N° ospiti: 10 N° membri equipaggio: 5/6 Velocità di crociera: 28 nodi Restaurata da: ETA presso i Cantieri Navali del Tevere di Fiumicino, interior design Castagna, Erba (CO)

è mantenuta la sala macchine a centro scafo portando a poppa l’armatoriale e due singole e a prua la vip, le due cabine per l’equipaggio e la cucina. Questa soluzione concede maggior respiro alla zona pranzo living interna, collocata in un main deck che, per la natura del progetto, rimane sacrificato a vantaggio dello spazio esterno. Sul ponte superiore è stata realizzata una zona conversazione accostata da due lettini per prendere il sole. Il bianco delle pareti e degli arredi e il colore caldo del teak dominano incontrastati. Finiture eleganti trasmettono un’atmosfera tradizionale scaldata dalle ‘travi’ a vista. Strumentazioni tra le quali GPS, plotter e pilota automatico rendono sicura la navigazione, mentre l’intrattenimento di chi a bordo è affidato alla moto d’acqua,

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all’impianto televisivo con DVD e antenna satellitare e allo stereo di ultima generazione. Impossibile non menzionare anche il refit del Paolucci, motor yacht del 1970, interamente in legno, costruito dai cantieri Picchiotti e autentico pezzo di storia italiana. Appena varato entrò al servizio della Marina come nave militare e ambulanza veloce per i soccorsi in mare. Dopo essere diventato scafo di rappresentanza per la Presidenza della Repubblica, è stato acquistato da un armatore che ha affidato alla società ETA un minuzioso progetto di restauro, all’interno dei Cantieri Navali del Tevere di Fiumicino. Dopo uno studio di progettazione basato sul rispetto della conservazione dei materiali originali, il Paolucci è stato restaurato nelle parti strutturali come lo

Il Paolucci mentre naviga oggi e, ormeggiato, com’era prima del restauro. Scafo, coperta e sovrastruttura sono stati rimessi a posto. Gli interni invece sono stati completamente riprogettati.

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Salone e sala da pranzo sono gli ambienti principali del ponte di coperta del Paolucci. Lo yacht può ospitare 10 persone, tra cabina armatoriale, tre vip matrimoniali e una cabina ospiti con letti singoli. Tutte sono dotate di sala da bagno interna, aria condizionata e impianto audio video B&O.

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scafo, le sovrastrutture e la coperta, mentre gli interni sono stati riprogettati dalla Castagna di Erba. L’azienda ha previsto il ponte di coperta dominato dal salone e dalla sala da pranzo e ha mantenuto la compartimentazione del lower deck adibendolo alla zona notte con cabina amatoriale, tre VIP e una con letti singoli, per un totale di 10 ospiti. Una boiserie di frassino bianca ricopre interamente le pareti dello yacht, favorendo una naturale luminosità. I pavimenti e tutti gli arredi sono stati realizzati in teak burma opaco, un pregiato legno indiano, mentre la plancia di comando sul ponte superiore è rivestita di boiserie di legno scuro e pelle. Grande attenzione è stata dedicata agli spazi all’aria aperta: due i prendisole, uno a prua e uno sul flybridge di 80 mq arredato

con particolari divani dall’imbottitura drenante. In anni in cui il consumismo stroppia e lo smaltimento delle vecchie imbarcazioni costituisce un problema rilevante, il restauro non può che essere una tendenza intelligente dell’andar per mare .

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Indesign A SINISTRA: IN PRIMO PIANO IL TRIMARANO DI BMW ORACLE MENTRE INSEGUE IL CATAMARANO DI ALINGHI, DURANTE LA FASE INIZIALE DI GARA 1. SOTTO: LA SAGOMA DELL’AIRBUS A380 FA CAPIRE LE DIMENSIONI CICLOPICHE DEL TRIMARANO DI LARRY ELISON CHE HA VINTO L’AMERICA’S CUP.

NON ESISTE CONFRONTO TRA LE PRESTAZIONI DI UN’ala rigida E QUELLE DI UNA VELA TRADIZIONALE. LA PRIMA È SUPERIORE PER L’ESTREMA efficacia di regolazione. È CON QUESTA CHE Bmw Oracle HA BATTUTO Alinghi ALL’ULTIMA AMERICA’S CUP.

foto di Gilles Martin-Raget/Bmw Oracle Racing di Luca Zavaglia

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a battaglia legale per l’assegnazione della 33ma America’s Cup si è conclusa, come di consueto, con una sfida in mare: due match race nelle acque mediterranee di fronte a Valencia, dove il catamarano Alinghi di Ernesto Bertarelli è stato sfidato dal vittorioso trimarano Bmw Oracle di Larry Elison. La prima regata è terminata con un distacco di circa un quarto d’ora. La seconda, a parte qualche lieve incertezza iniziale, ha mostrato la medesima imbarazzante supremazia prestazionale messa in acqua dal nuovo Defender. Un’evidente avaria, in considerazione delle tecnologie impiegate, degli investimenti e dei numerosissimi parametri tecnici e ambientali ottimizzati, avrebbe potuto giustificare e consolare gli sconfitti, ma nulla di così evidente è accaduto. Possibile allora che la differenza sia tutta lì, nella differenza tra la vela tradizionale di Alinghi e l’ala rigida di Bmw Oracle?

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In un certo senso sì, anche se per capire quali siano i reali vantaggi è necessario analizzarne il sistema di funzionamento in relazione alle esigenze di navigazione. Le due imbarcazioni sono quanto di più veloce sia oggi possibile realizzare ed immaginare – nel rispetto dei limiti di regolamento della sfida, ovvero con massima lunghezza al galleggiamento di 90 piedi. Il catamarano ed il trimarano sono entrambe imbarcazioni dotate di elevata stabilità iniziale, ovvero, capaci di reggere elevate potenze aerodinamiche senza scomporsi troppo. Il rovescio della medaglia è rappresentato dai margini di sicurezza estremamente limitati: sfruttando le massime prestazioni è facile incappare in qualche imbarazzante scuffia se non si è un equipaggio più che esperto. La lista dei pro e dei contro legati alle due tipologie non porterebbe all’assoluta certezza del predomino di una rispetto all’altra, né tanto

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A sinistra: le due imbarcazioni a confronto durante le fasi preliminari di gara. Il catamarano di Alinghi è stato armato con un classico accoppiamento randa e fiocco; L’ala rigida di bmw oracle non può essere ammainata. in porto si deve ricorrere all’abbattimento laterale dell’albero.

Nella pagina accanto: l’estremizzazione del progetto ai fini della competizione ha confinato l’equipaggio in posizioni molto scomode e da brivido.

il disegno aiuta a capire la composizione dell’ala: la parte anteriore, rigida,ingloba l’albero con cui ruota. La parte posteriore è composta da 9 flap, dotati di un proprio asse di rotazione indipendente.

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meno a giustificare l’abissale differenza prestazionale messa in evidenza a Valencia. Interessante è notare che, per entrambe, la massima velocità è raggiungibile quando in acqua rimane solo uno degli scafi presenti, mentre tutto il resto vola fuori dall’acqua. Si minimizzano così le resistenze idrodinamiche, di gran lunga le maggiori tra le varie resistenze in gioco. Peccato che in questo modo si navighi in condizioni instabili. Sarebbe sufficiente una piccola perturbazione per far ricadere gli scafi in acqua o per scuffiare tragicamente con l’intera imbarcazione. Facile immaginare che non si faccia una navigazione rilassata, da crocerista, ma che sia necessario un equipaggio addestrato, un’approfondita conoscenza della propria imbarcazione e delle condizioni ambientali, unite a un perfetto coordinamento e a una correzione continua degli assetti. Le mostruose prestazioni, messe in evidenza dalle imbarcazioni fin dalle prime fasi di sviluppo, hanno indotto il Defender a modificare il regolamento, consentendo a Bmw Oracle di presentarsi sulla linea di partenza con quella meraviglia tecnologica che è l’ala rigida. Infatti, le enormi forze in gioco generate dalle appendici aero e idrodinamiche hanno, fin da subito, messo in dubbio la possibilità di governare con la dovuta efficacia questi mostri. L’energia muscolare fornita dai palestrati grinder è stata sostituita da una più abbondante e soprattutto continuativa ed affidabile energia prodotta da moderni motori a combustione interna: una unità di 2000 cc turbodiesel dello sponsor tedesco è stata installata a bordo del trimarano. Così, sono apparsi

complessi circuiti idraulici, pistoni, valvole, motori di attuazione e quanto altro necessario per una completa automazione delle manovre. Di umano è rimasto solo l’input sui comandi elettronici per cercare di copiare le regolazioni ottimali calcolate istante per istante da un computer. Proprio qui risiede la chiave di lettura nella differenza di prestazioni messe in evidenza il 22 febbraio scorso. La randa di Alinghi, seppur di forma eccezionale e di indubbia efficacia, non ha potuto competere con la wing – l’ala rigida, così come chiamata in gergo – di Bmw Oracle. Il motivo non deve essere ricercato nel confronto delle massime prestazioni ottenibili, ma nell’estrema efficacia di regolazione che la wing consente rispetto ad una randa tradizionale. In via semplicistica, possiamo dire che l’esigenza di massima velocità, come abbiamo visto, implica il navigare con uno scafo soltanto. Quindi le appendici idro ed aerodinamiche devono essere regolate in modo da generare le necessarie forze laterali atte a mantenere gli scafi sbandati, contemporaneamente alla generazione della massima spinta propulsiva possibile. È facile intuire come la presenza delle onde e la variabilità del vento producano continue variazioni di assetto delle imbarcazioni, richiedendo quindi regolazioni continue sulle appendici. Ebbene, la wing, con i suoi nove flap posteriori, ha consentito un fine controllo delle forze generate, se non addirittura una indipendenza, di fatto, tra l’effetto sbandante e quello propulsivo. Cosa che la randa di Alinghi non ha concesso al suo equipaggio per limitazioni intrinseche e congenite. I più attenti si saranno accorti che, mentre il trimarano sembrava viaggiare su un binario inclinato, il catamarano si appoggiava di quando in quando sul suo secondo scafo: è l’evidenza di una regolazione di assetto più critica legata proprio alla randa in tessuto. Se questo, ad andature di bolina, si traduce in un lieve vantaggio in velocità, è alle andature portanti che rivela tutto il suo potenziale. Il trimarano è in grado di mettersi in assetto ideale con venti anche molto deboli – circa 3 nodi! – quindi di prendere velocità facilmente anche con il vento in poppa, a tal punto da trasformare una qualunque andatura in una andatura di bolina, viaggiando a circa quattro volte la velocità del vento reale.

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UN NUONO CONCETTO DI ABITABILITÀ CONNOTA L’UNITÀ PLANANTE IDEATA DA Fabio Buzzi, TITOLARE DI FB Design. UNA BARCA LEGGERA E VELOCE PERFETTA PER LE fulminee incursioni DEI MILITARI, MA ANCHE PER UN uso famigliare ALTERNATIVO.

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FB 43’ NIGHTHAWK Lunghezza massima 13,68 m Larghezza massima 4,10 m Motorizzazioni 2XFPT C 13 825 Hp @ 2400 rpm o similare Velocità massima oltre 50 nodi Progetto FB Design Cantiere FB Design

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lo scafo planante e la sovrastruttura di FB43’, prima barca progettata da FB Design in funzione di una maggiore abitabilità’. La sezione mette in evidenza i quattro comodi gradini che sbarcano nella zona notte, al ponte inferiore, costituita da una cabina singola, due bagni e una cabina doppia.

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ella cantieristica da diporto, le barche si caratterizzano per una maggiore o minore abitabilità. Pertanto, compartimentazione, destinazione d’uso degli spazi, arredi e quant’altro, sono tutti riferimenti, dati indicativi della qualità del progetto. Il buon design è qui infatti inteso studio delle migliori condizioni di vita a bordo. Altra cosa in ambito agonistico, dove alle barche non è richiesto il comfort di una abitazione, bensì l’alto livello performante dell’intero corpo natante, e a tal scopo assenti sono quegli orpelli che costituiscono peso aggiunto, quando determinante è la ricerca di materiali di costruzione che all’estrema leggerezza fanno corrispondere solidità, affidabilià, sicurezza. Fabio Buzzi vanta in merito ineccepibili credenziali, essendosi confermato campione del mondo per dieci stagioni nella categoria offshore su barche di sua progettazione e costruzione. Ingegnere, titolare di FB Design, fucina laboratorio

di ideazioni e cantiere di produzione, realizza da tempo, ad uso di utenti militari e paramilitari quali la Marina degli Stati Uniti, le truppe speciali inglesi, sudafricane, greche nonché il Corpo della Guardia di Finanza in Italia, unità plananti superveloci dedicate a costanti fulminee incursioni. Spiega Fabio Buzzi: “FB 43’ Nighthawk nasce da una precisa esigenza, quella di considerare differenti condizioni di impiego dei mezzi in questione. Dati gli incredibili aumenti di costo dei combustibili, le barche oggi si usano di meno. Polizia e Guardia Costiera, ad esempio, sostano preferibilmente in punti strategici pronti a scattare nella direzione indicata dalle richieste di intervento. Per questo non necessitano più di un ‘puro missile’, di un ‘caccia’ disposto unicamente al tempo di un’azione repentina, bensì di un’unità a tutti gli effetti abitabile. Un equipaggio di quattro, a volte sei persone, vive, lavora e riposa a bordo con indubbie

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A seconda della funzione cui viene adattata (uso militare o uso civile), l’imbarcazione viene attrezzata con arredi diversi. Nelle foto e nei disegni in alto sono presentate alcune delle sedute previste per completare la zona pranzo-soggiorno situata al primo ponte.

necessità di privacy. Pensiamo al fatto che la compagine oggi comprende membri di entrambi i sessi. Tutto questo però non deve e non può tradursi nell’appesantimento di un mezzo che si distingue per l’alto potenziale dinamico. Ecco allora che in FB 43’ Nighthawk il design è progetto integrale della funzione, le parti architettoniche sono strettamente correlate alle strutturali. Così, la compartimentazione ben si rapporta mediante un sistema di paratie strutturali in vetroresina, prelaminate, con perfetta finitura a gel-coat ed anima in pvc ad alta densità allo scafo strutturato con cinque longitudinali, schiumato con poliuretano a cellula chiusa sotto pressione. Nel suo insieme l’intera configurazione si connota in dati di assoluta rilevanza: inaffondabile, leggera, non risuona, non fa rumore nell’impattare il mare”. Quanto all’habitat, la cucina e la dinette, dirimpettaie nell’open space, e la consolle di guida a

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fronte vetrata, trovano luogo antistanti la mezzaria al primo ponte, con accesso dal pozzetto di poppa, sovrastanti l’alloggio dei motori, facilmente rimovibili tramite appositi sportelli sul pavimento e sul tetto ottenuti con un inedito estruso di alluminio. Quattro comodi gradini discendono sul fianco sinistro della consolle al ponte inferiore sbarcando nella zona notte che si estende a pruavia declinando due cabine singole, due bagni e una cabina doppia. Considerando il fatto che FB 43’ Nighthawk misura poco più di 13 metri, l’abitabilità è del tutto ragguardevole. “Se poi, conclude Buzzi, grazie alla duttilità del sistema di paratie, è possibile ipotizzare differenti soluzioni, questa piccola unità, si offre agevolmente all’uso privato, famigliare. Con indubbi vantaggi, rispetto ad altre barche. Innanzitutto la comprovata sicurezza: FB 43’ plana già a 12 nodi ed è automaticamente livellata fino a 52 nodi, grazie al controllo satellitare di un nuovo

sistema di flaps multipli”. La flessibilità del progetto suggerisce quindi la possibilità di una conversione ad uso di diporto. L’alto potenziale dinamico dell’unità consente di raggiungere velocemente la meta prefissata, sostare, vivere il mare, riposare, e rientrare altresì rapidamente in caso di mutate condizioni atmosferiche, con costi di livello nettamente inferiore alla media, grazie all’estrema leggerezza del mezzo e alla sua governabilità, che permettono l’impiego di una ridotta forza propulsiva.

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l’ultimo nato in casa Fiart, il 4tFOUR genius, dispone per la navigazione di strumentazione Raymarine di ultima generazione. I Dati vengono visualizzati su un unico display, il multifunzione C120. Nella pagina accanto, in alto: G-Series di Raymarine, il sistema di navigazione e intrattenimento installato a bordo dell’absolute 70. Display ultraluminosi, funzionalità di rete e sensori all’avanguardia garantiscono soluzioni per qualunque esigenza. Al centro: Il cuore di ogni sistema G-Series è costituito da un monitor marino ultraluminoso con tastiera di comando (nella foto) e dal potente processore GPM400.

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C’erano una volta carte, squadrette, compasso, bussola e poco altro. Ora invece ci sono plotter cartografici, radar, ecoscandaglio digitali, stazioni meteo, fishfinder, joystick e molto altro ancora. Sono sempre più sofisticati gli impianti installati a bordo progettati per gestire navigazione e domotica in totale sicurezza.

elettronica new generation di Simona Spriano

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eloce e silenziosa, la tecnologia elettronica è salita a bordo e si è impadronita dell’imbarcazione rendendo la navigazione più semplice e sicura. Ecco cosa accade oggi nella più banale delle ipotesi: se si desidera andare da A a B, il GPS cartografico definisce la rotta evitando gli ostacoli e comunica quanto tempo occorre. Con un semplice tocco si può inserire il pilota automatico. Nel frattempo, telecamere e sensori tengono sotto controllo tutti i vani della barca, compresa la sala macchine, le porte e gli oblò. A monitorare le acque circostanti ci pensano invece i trasmettitori del caso, il radar e l’ecoscandaglio per quello che riguarda il mondo sommerso. Se uno scafo si avvicina ci viene segnalato e la rotta viene impostata nuovamente in modo da evitarlo. Se un circuito ha un malfunzionamento veniamo avvertiti e il sistema lo esclude. Se nel frattempo si desidera aumentare l’aria condizionata o il volume dell’impianto stereo nessun problema. Non si deve far altro che accedere al monitor competente, selezionare il sistema che se ne occupa e impostare le variazioni desiderate. La tendenza è quella di rendere questi servizi di serie su barche di qualsiasi dimensione, caratterizzate da consolle di guida sempre più simili a quelle di un Boeing. Basti pensare che un cantiere come Fiart Mare, produttore di scafi da 23 a 50’, sul 4tFOUR Genius ha previsto una strumentazione Raymarine che comprende GPS radar, pilota automatico ed ecoscandaglio, tutti collegati al display multifunzione C120, che viene così trasformato in un completo sistema di

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navigazione. Il resto della strumentazione fa poi sì che nulla sfugga. Ben sapendo, inoltre, quali difficoltà s’incontrano nel cablare una barca, il cantiere ha utilizzato Capi 2, un sistema basato sulla tecnologia del bus intelligente: un impianto di distribuzione 12-24 Volt e 110-220 Volt controllato elettronicamente da un software che permette all’armatore di visualizzare su un touchscreen la situazione dei dispositivi elettronici e consente al cantiere di ridurre il cablaggio anche del 60 per cento, con una conseguente riduzione del peso. Per l’Absolute 70 e il Ferretti 800 è stato scelto il gi8 di CCLG, un sistema integrato di gestione e monitoraggio della navigazione totalmente aperto e adattabile alle singole esigenze, che quindi può variare da scafo a scafo. Con la ‘gestione del quadro elettrico’, per esempio, è

possibile abilitare tutte le utenze 24V e 230V, monitorare le fonti (batterie, generatori, alternatori, caricabatteria) e controllare pressione e temperatura dei generatori. Un’ulteriore opzione consente poi di decidere da quale fonte erogare l’energia elettrica necessaria ad alimentare i principali gruppi di utenze. Con la gestione ‘strumenti di navigazione e motori’ è invece possibile controllare e comandare tutti i parametri necessari in fase di navigazione come inclinazione flaps, angolo di barra, stato degli ARG, dati meteo, allarmi a bordo, motori (giri, pressione olio, temperatura acqua e consumo). Per citare ancora una tra le tante possibili applicazioni, per il comfort il gi8 gestisce l’aria condizionata e permette di settare per ogni macchina temperatura, velocità della ventola e funzionamento estate/inverno.

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Sull’AB 92 (consolle nell’immagine sotto) il sistema di navigazione è Garmin. lo schema del Garmin Marine Network (a sinistra) mostra il sistema d’interFaccia degli strumenti che garantisce un completo sistema di gestione e controllo. La cartografia utilizzata, la Bluechart ® g2 Vision di Garmin (sotto alcune schermate), permette sempre più spettacolari visualizzazioni in 3D.

Sotto, la plancia di comando del nuovissimo Ferretti 800 che utilizza Gi8, un sistema che permette di controllare, monitorare e comandare direttamente un elevato numero di funzioni come gli impianti elettrici, di climatizzazione e audio/video, dati meteo, nonché i livelli e le condizioni di allarme e altre funzioni.

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Inutile dire che per accendere e spegnere le luci in ogni parte dello scafo basta un tocco sul touchscreen. A bordo dell’Absolute poi è stato installato un GPS Raymarine con processore GPM 400. Questo vuol dire navigare con una cartografia 3D, foto aeree, elenchi di servizi portuali, foto panoramiche dei porti, animazione di correnti e maree. La tecnologia è il fiore all’occhiello anche di Azimut, che in diversi anni ne ha sviluppate molte e tradotte dieci in brevetti, in collaborazione con la

Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e con i principali produttori mondiali di forniture nautiche. A bordo del 72S la parola d’ordine è Easy. Tutti gli impianti dell’imbarcazione sono gestiti in modo semplice e veloce dall’Easy Crusing che raccoglie tutti i dati e li visualizza su di un display accanto alla postazione di guida. A bordo anche Easy Docking, alias ormeggio assistito tramite joystick, Easy Handling, sistema di virata assisitita, e, dulcis in fundo, UCS Unique Control System, qui al suo debutto. Grazie a quest’ultimo, al posto della tradizionale ruota del timone e delle manette motori, l’Azimut 72S propone una vera ‘postazione’ di guida: una poltrona installata sul flybridge con un joystick integrato che permette il controllo dell’imbarcazione sia in navigazione sia in ormeggio. Altro cantiere amante dell’innovazione è AB Yachts, che per il suo 92’ fly ha scelto un Garmin Marine Network. Tra plotter cartografici completamente touchscreen, antenne, bussole, sonar, stazione meteo e radar, l’AB dispone di un sistema di navigazione assolutamente completo che benificia di esclusive Garmin. Tra queste, le ricostruzioni tridimensionali sopra e sotto il livello del mare, denominate rispettivamente Mariner’s eye view e Fish eye view, e la funzione AutoGuidance che seleziona automaticamente la rotta migliore tenendo conto dei dati fisici dell’imbarcazione. Se è dunque vero che l’elettronica applicata alla nautica contribuisce a rendere più semplice l’andar per mare, è anche vero che in nessun modo può sostituire l’arte marinaresca.

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Unique Control System è l’innovativo sistema di guida sviluppato da Azimut e qui installato sull’Azimut 72S. la ruota e le manette lasciano il posto a una vera e propria ‘postazione’ di guida: installata sul flybridge (foto sotto), è dotata di un joystick integrato che permette il controllo dell’imbarcazione in tutte le fasi operative di ormeggio e navigazione. In basso, un’immagine della postazione di guida interna, invece mantenuta volutamente ‘tradizionale’.

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Le spider del mare testo di Michelangelo Giombini

compatti e sportivi, ma dotati anche di tutti i comfort, i moderni open raccolgono l’eredità di gloriosi modelli del passato, le cui linee seducenti sono riproposte secondo i nuovi standard di sicurezza e rispetto dell’ambiente.

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li yacht open nascevano per vivere il mare en plein air e ad alta velocità; come i bolidi decappottabili, concedevano poco al comfort a bordo per non sacrificare le prestazioni sportive e il look. Oggi le abitudini di chi ama andar per mare sono diventate più raffinate, comprese quelle dei marinai appassionati di corse a pelo d’acqua e del fast commuting. Non stupisce dunque che la passione per gli scafi rastremati, spinti da forti dosi di cavalli, si combini sempre più con la cura degli spazi e dei dettagli che possano rendere la vita a bordo comoda e accogliente, in ambienti valorizzati dall’accostamento di materiali pregiati. In questa generazione aggiornata di open classici si leggono ancora le linee del passato: oggi sono riproposte dai designer con variazioni quasi impercettibili, in grado però di assecondare i moderni canoni della vita a bordo e accontentare una clientela più ampia ed esigente.

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Baia B50 Erede della barca simbolo del cantiere partenopeo, il B50 unisce accessori e potenza alle alte prestazioni nel rispetto della formula dell’open assoluto. La cabina armatoriale centrale è comoda e luminosa, dotata di bagno personale con box doccia separato. La cabina Vip è posizionata a prua, con bagno accessibile anche dal salone; il mobile bar separa la cucina dal living, illuminato dalle fasce vetrate laterali e dai prismi ricavati in coperta che permettono alla luce di filtrare anche quando le murate sono coperte. La larghezza della barca è stata portata da 4,20 a 4,60 metri: una rivisitazione importante del modello originale che era forse più marino ma sacrificava molto al comfort e al lusso. Lo scafo a V profonda e la prua affilata consentono comunque di raggiungere velocità ragguardevoli in condizioni di grandi stabilità e tenuta e di mantenere il fascino delle linee classiche dell’open.

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Baia B50 Lunghezza massima 17,44 m Larghezza massima 4,60m Motorizzazioni 2 x 800HP Man R6 / 2 x 1.100HP Man V10 Velocità massima 54 nodi Pescaggio 0,91m Progetto Ing. Alberto Ascenzi Cantiere Cantieri di Baia

Il Baia B50. Sopra, la cabina prodiera riservata agli ospiti e, a sinistra, il salone illuminato dalle aperture in murata e dai prismi ricavati in coperta. la scelta dei materiali e delle lavorazioni – dalla laminazione dello scafo realizzata per infusione alla scelta degli accessori quali, ad esempio, i corpi illuminanti a led – è stata effettuata in funzione di un basso impatto ambientale. Nella pagina accanto, il B50 in navigazione. In evidenza la carena a V profonda: la prora tagliente che genera portanza a poppa garantisce velocità e stabilità all’imbarcazione. Vista dall’alto, la sagoma slanciata della barca si chiude con una vasta piattaforma attrezzata con tenderlift per l’alaggio del tender, una vera e propria terrazza regolabile sull’acqua.

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Magnum 51 Firmato dal designer Luiz de Basto, il Magnum 51 combina il fascino vintage del leggendario open americano con il design aggressivo delle linee che gli ha valso il soprannome di ‘bestia’. Dotato di una carena a V profonda e di elevate performance di navigazione, si dimostra comunque uno yacht confortevole con una disposizione interna adatta al day cruising sportivo, pur conservando tutte le comodità di bordo ormai imprescindibili anche per imbarcazioni di questo tipo. Il quadrato spazioso, con cucina e divano a U, dà accesso alle due cabine matrimoniali dotate ciascuna di bagno personale; un layout opzionale propone un ampio open space con divani a V e cucina. In coperta la disposizione è razionale con lo spazioso cockpit, il divano e un grande prendisole rivolto a poppa.

il Magnum 51 Bestia sostituisce il modello precedente disegnato da Pininfarina nel 1994, di cui mantiene il nomignolo in virtù della velocità e della potenza elevate con un aspetto generale più contemporaneo e arrotondato. L’allestimento degli interni è standard e lascia all’armatore completa libertà di personalizzazione, come è nella tradizione del cantiere. foto Foster Johnson.

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Magnum 51 Lunghezza fuori tutto 15,16 m Larghezza massima 4,15 m Motori 2 MTU diesel 1.800 HP / 2 CAT diesel 1.925 HP Velocità max 60-63 nodi Pescaggio 1,06 m Progetto Luiz de Basto Cantiere Magnum Marine

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Cigarette 49 Grand Sport II Lunghezza fuori tutto 14,93 m Larghezza massima 3,04 m Motori 2 x Cummins 715HP Velocità max 72 nodi Pescaggio 0,91m Cantiere Cigarette Racing Team

Cigarette 49 Grand Sport II Tra le ultime novità del celebre brand a stelle e strisce si distingue il 49 Grand Sport che unisce inedite soluzioni di abitabilità e comfort alle doti estreme di velocità e performance generalmente associate al marchio. Destinato ad un pubblico di corridori appassionati del diporto superveloce, si caratterizza per le murate più alte e per la larghezza maggiorata dello scafo che gli consente di accogliere più persone e più accessori rispetto alle altre barche della gamma. La poppa ampliata ospita un grande prendisole che rende possibile anche un accesso facilitato dalla banchina; il parabrezza protegge il cockpit pluriaccessoriato e la selleria, comoda e avvolgente, è rivestita di pelle di primissima scelta. Il ponte rialzato consente movimenti facili in coperta e regala 1,82 metri d’altezza alla cabina, ora dotata anche di una pratica doccia. Il Cigarette 49 GS è dunque uno sport cruiser non solo pensato per correre, anche se la motorizzazione esagerata lo riesce a spingere a una velocità di oltre 133 km/ora. il Cigarette 49 Grand Sport II in navigazione: le murate più alte offrono maggiore protezione e sicurezza rispetto agli altri modelli del cantiere americano, oltre a un’abitabilità decisamente superiore sottocoperta che non sacrifica velocità e manovrabilità. Nei dettagli, Le eliche di superficie Arneson, il vano che contiene la coppia di motori e il cockpit di comando.

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Itama Fifty Lunghezza fuori tutto 16,14 m Larghezza massima 4,61 m Motori 2x800 mhp-588 kW MAN Velocità max 34 nodi Pescaggio 1,55 m Progetto Marco Casali Cantiere Itama

l’Itama Fifty nella caratteristica livrea con coperta bianca e scafo blu notte. Scendendo sottocoperta si trovano la dinette e la cucina attrezzata, superate le quali si accede alle due cabine di prua, master e vip con bagno e box doccia separati. L’uso del legno bianco e di tonalità neutre conferisce allo spazio abitabile un carattere contemporaneo di gusto spiccatamente mediterraneo.

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Itama Fifty L’Itama Fifty rivisita un progetto classico e propone un’evoluzione delle linee dei modelli precedenti in una sintesi ideale tra day cruiser e open da crociera. Le soluzioni presentate dal layout, completamente rinnovato dal progettista Marco Casali, mirano alla massima comodità anche in navigazione, come evidenziano la cabina vip a poppa, in pura tradizione Itama, e l’altezza elevata di tutte e tre le cabine disposte per favorire il sistema di propulsione in linea d’asse. In coperta, il Fifty si distingue per la plancetta di dimensioni generose e il pozzetto molto ampio che si raggiunge dal prendisole poppiero; un segmento del divano a prua si trasforma all’occorrenza in una comoda seduta per il co-pilota. Il progetto degli interni indica un gusto contemporaneo e grande attenzione ai dettagli e alla praticità: la cabina degli ospiti è accessibile direttamente dal pozzetto, garantendo un elevato grado di privacy su una barca di queste dimensioni. Per quanto riguarda i materiali, largo uso di legno di rovere verniciato di bianco con poro aperto abbinato a una selezione di pelli pregiate che rivestono i pannelli delle divisioni e il letto. La barca ospita fino a 12 persone e raggiunge 34 nodi di velocità.

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YacHT DesIGner: EvoLuzIone di Laura Traldi

A CHI SI AFFACCIA AL MONDO DEL PROGETTO DICE CHE “UN BRAVO YACHT DESIGNER È UN marinaio che legge Dante”. TRA UNA CITAZIONE DEL PALLADIO E UNA DI DARWIN, Andrea Vallicelli SPIEGA PERCHÉ IL SUCCESSO OGGI SI RAGGIUNGE SOLO ANDANDO oltre la professionalità A COMPARTIMENTI STAGNI.

I DISEGNI TECNICI DI VIRTUELLE E ANDREA VALLICELLI.

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a progettato la mitica Azzurra. E al suo attivo ha anche più di 150 imbarcazioni. Cinquantanove anni, di cui 35 spesi come yacht designer (e molti di più come diportista) nel mondo della nautica Andrea Vallicelli è quasi un’istituzione. Che però non ha perso la freschezza e il desiderio d’innovazione proprio dei giovani. Il suo segreto? Passare con loro tanto del suo tempo. In veste di insegnante. È infatti professore ordinario di Disegno Industriale alla Facoltà di Architettura di Pescara e docente nel Laboratorio di Laurea ‘Design e rappresentazione multimediale’ oltre che al Master in Yacht Design del Politecnico di Milano. E ha a Roma uno studio che va a gonfie vele.

Quanto tempo riesce a dedicare all’una e all’altra attività? “Quantitativamente direi 50 e 50, dipendendo dai periodi. Intellettualmente parlando però il rapporto è osmotico e continuo”. L’insegnamento la aiuta a progettare? “Certamente. La ricerca che facciamo in studio è finalizzata al prodotto. In università, invece, è possibile coniugare l’osservazione su settori collaterali. Non credo nella formazione a compartimenti stagni. La specializzazione ha un senso solo se è in grado di guardare oltre”. Come avviene il rapporto di scambio tra il docente e l’insegnante nei suoi corsi? “Nella Facoltà di Architettura si lavora in

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della specie

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Sopra, Lo yacht da crociera Virtuelle, progettato dallo Studio Vallicelli & C in collaborazione con Philippe Starck per il design degli interni. l’imbarcazione può essere allestita in versione da regata smontando tutti gli interni. A sinistra, Uno studio progettuale per la realizzazione dello yacht Virtuelle. Sotto, Isa 120, progettato dallo Studio Vallicelli & C e realizzato dai international Skipyards ancona. Lungo 36,5 e largo 7,4 metri, può ospitare fino a dieci persone su cinque cabine, oltre a sei membri dell’equipaggio su tre cabine. Ha tre motori MTU da 2.4000hp, per una velocità di punta di 32 nodi e un’andatura di crociera di 26 nodi.

gruppi in cui docente e assistenti hanno un ruolo maieutico: aiutiamo gli studenti ad andare oltre quello che hanno imparato. Loro ci mettono la freschezza e la capacità di osservare il mondo con nuovi occhi, noi l’esperienza. È una grande occasione di crescita per entrambi”. Da qualche anno c’è un proliferare di corsi universitari sullo Yacht Design in Italia. Come può un giovane orientarsi nel mare di proposte? “L’offerta formativa di livello universitario in Yacht Design è abbastanza ampia e variegata. I corsi più strutturati e completi, che consiglio, sono quelli organizzati dal Politecnico di Milano e dall’Università di Genova a La Spezia, che offrono un percorso pensato sulla falsariga di quello del

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Università degli Studi Gabriele d’Annunzio, Chieti, Pescara. Tesi di Laurea in Disegno industriale per la progettazione di un Day Cruiser a vela di 10 m., laureandi Francesco Merla e Grazia Patruno, relatore Prof. Andrea Vallicelli.

Southampton Institute in Inghilterra, altra scuola validissima. Ci sono poi i master e qui la scelta aumenta. In ogni caso è bene mettersi in testa che non basta la formazione accademica per fare lo yacht designer anche se senza di essa oggi non si va da nessuna parte”. E cosa ci vuole? “La preparazione tecnologica ma anche quella umanistica. E una solida preparazione operativa e pragmatica che si costruisce sul campo. Insomma, fare lo yacht designer senza amare il mare e saper navigare, soprattutto a vela, non ha senso. Palladio diceva che l’architetto è un muratore che sa il latino. Parafrasandolo dico: il progettista nautico è un marinaio che legge anche Dante. Perché oggi oltre a saper progettare bisogna saper comunicare, far sognare, gestire una complessità, conoscere i segreti degli artigiani e i desideri dei committenti. Lo spessore intellettuale è fondamentale oggi più di ieri”.

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È un po’ il percorso che ha seguito. “In barca ci sono andato fin da piccolissimo. Poi, mentre studiavo alla facoltà di architettura ho iniziato a disegnare e costruire qualche vela ed a fare i primi lavoretti progettuali per qualche cantiere. Però erano gli anni Settanta, non c’erano corsi di yacht design. Oggi è bene seguire i corsi universitari dedicati o i master e integrarli con la formazione professionale. Ma è soprattutto necessario avere una cultura generalista e sapersi muovere con scioltezza in ogni situazione”. Cos’è cambiato nella nautica da quando lei ha iniziato ad oggi in termini di tendenze di mercato, in Italia e nel mondo? “La professionalizzazione dei mestieri innanzi tutto, che oggi si dà un po’ per scontata. Insieme agli yacht designer, che si formano come tali, sono emerse anche nuove figure che lavorano per le imprese: dagli esperti di comunicazione o di marketing agli attrezzatori. La nautica non è più

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Sopra: Università degli Studi Gabriele d’Annunzio, Chieti, Pescara. Un progetto di corso di Marco Scuderi, studente di Andrea Vallicelli, per una barca da diporto di 15 metri. A destra: Università degli Studi Gabriele d’Annunzio, Chieti, Pescara. Tesi di laurea di Domenico Maddaluno per un’imbarcazione carrellabile da campeggio nautico di 7,50 metri.

un settore di nicchia, ma un comparto che prima della crisi contava per lo 0,7 % del Pil italiano!”. Che impatto hanno avuto questi cambiamenti a livello di insegnamento? “Per quanto attiene alla sfera tecnica hanno indotto una maggiore specializzazione inerente agli ambiti della progettazione, produzione e gestione del cantiere. Ma riguardo lo specifico del design credo ancora che sia opportuno puntare su una formazione multidisciplinare. Ho spesso tentato di far capire la necessità di creare corsi orientati in questo senso ma non sono stato ascoltato”. Cosa proponeva? “Di dar vita a corsi gestiti da consorzi formati da più soggetti universitari affiancati da enti di ricerca come, per esempio, l’INSEAN, la Vasca Navale di Roma (legata al CNR). Sognavo un polo formativo d’eccellenza che selezionasse un numero ristretto di laureati prendendo il meglio da più sedi. Purtroppo la burocrazia e le amministrazioni spesso

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si muovono su altre linee di pensiero”. Dove ci sono più opportunità di lavoro per un giovane, in Italia o all’estero? “Probabilmente in Italia. Dopotutto siamo il secondo produttore mondiale, dopo gli Stati Uniti, e il primo per quanto riguarda i mega yacht”. Cosa pensa dell’attuale trend di cooptare le grandi firme del design e dell’architettura da parte dei cantieri più all’avanguardia ? “Nel nostro Paese, lo yacht design ha visto una generazione di pionieri, autodidatti un po’ garibaldini (alla quale appartengo), poi una di specializzati. Ed ora è il momento di andare oltre. Perché stupirsi se Norman Foster, Renzo Piano o Philippe Starck progettano un’imbarcazione? In un’epoca di grandi contaminazioni linguistiche era inevitabile, e anche salutare, per stimolare l’innovazione di prodotto. Inoltre gli esiti hanno mostrato, a mio avviso, quanto lo yacht design sia una pratica tutt’altro che facile”.

Non le piacciono gli yacht firmati? “Ci sono progetti riusciti ed altri meno. Queste operazioni sono spesso dovute a una committenza che cerca di dare al prodotto un valore aggiunto mediante una griffe. Nulla però toglie al fatto che offrano delle opportunità di sperimentazione progettuale. Del resto anch’io ho lavorato con Philippe Starck e sono orgoglioso del risultato, lo yacht Virtuelle”. Anche lei si è cimentato nella progettazione di un divano, una volta. “È stato nei primissimi anni Ottanta. La Busnelli mi chiese di progettare un divano che poi non fu mai messo in produzione. Succede con le sperimentazioni. Ma insisto sulla loro importanza. In natura sono rappresentate, in un certo senso, dalle variazioni genetiche. Se queste permettono un’evoluzione delle specie attraverso la selezione operata dall’ambiente, non vedo perché ciò non possa valere anche per gli artefatti umani”.

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