IL MaGazine DeL DesiGn N. 60 – 24 settembre 2010 Numero speciale per i lettori di
case
Città o campagna?
la ceramica è di moda Nuovi colori, forme e decori
collezione bagno
Tecno, eco e superstar
ceramicwall by kengo kuma
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l’incontro
Franco Manfredini
Cover story lorem ipsum
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indice 12
24 settembre 2010
INterNIPANoramaNEws
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mondi eclettici
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olanda Shangai come amsterdam. Il paese dei tulipani scopre l’architettura ludica
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bologna
Una casa nel museo. il restauro della casa di Giorgio Morandi
appuntINterNIPANorama
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nuova creatività
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pezzi unici
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mostre
La carica degli art designer. Da milano a Basilea
Tandem di artisti. Emilio vedova e louise bourgeois a venezia 31
arte condivisa Strategie dell’effimero? il miracoloso lavoro che sta dietro le quinte dei grandi eventi
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lisbona
Azulejos style. contrasti tra tradizione e modernismo 39
expo 2015
non c’è un minuto da perdere. ne parliamo con carlo
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petrini fondatore di slow food 44
movie
l’altra faccia di milano. intervista a luca guadagnino regista fuori dal coro 46
tendenze
Utile & chic. la plastica protagonista della tavola d’autunno
IdeeINterNIPANorama
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design sul ring
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panorama dei trend million dollar baby. poltrone come campioni di boxe
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panorama degli interni
quel tocco folk che spiazza. minimal e folk a milano country salentino. in puglia, un trullo di charme vite da baglio. a noto una tenuta dove si vive come nel seicento
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dossierINterNIPANorama 83 84
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ceramica superstar fiere visitare il cersaie. la fiera internazionale dedicata al bagno e alla ceramica
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creatività
la parola ai designer 104
produzione
grand couture 109
incontro
sono il signor casalgrande padana. intervista al presidente dell’azienda leader nella produzione di gres, franco manfredini 115
trend
la piastrella va in salotto 119
idee
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piccoli spazi 122
benessere
i nuovi volti dell’ospitalità 125
complementi calore amico
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imprese
bello e buono 128
inservice
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indirizzi
Direttore responsabile GILDA BOJARDI bojardi@mondadori.it
In copertina, CCCWALL, l’installazione realizzata da Kengo Kuma con Casalgrande Padana in occasione di Interni Think Thank, l’evento organizzato da INTERNI durante LA Design WEEK a Milano. Un muro di finissima organza separava l’antico cortile dei bagni dell’università statale. A terra, frammenti di ceramica e di sassi silicei impiegati nella lavorazione industriale. L’effetto scenografico era accentuato da videoproiezioni di Studio Visuale e dalla illuminazione di Viabizzuno. CCCWALL si ispira a Casalgrande Ceramic Cloud, l’opera che Kuma STA realizzaNDo PER I cinquant’ANNI di casalgrande PADANA. (foto Andrés Otero)
Art-director Christoph Radl christoph.radl@radl.it Caporedattore centrale Simonetta Fiorio simonetta.fiorio@mondadori.it A cura di Patrizia Catalano interniv@mondadori.it Hanno collaborato Matilde Battistin Ida Del Coro Claudia Foresti Antonella Galli Ester Giarolli Daniela Greco Alessandra Mauri Cristina Morozzi Paola Romagnoli Andrea Serri Rosa Tessa Laura Traldi Foto Selva Barni Ramak Fazel Allan Finkellman Alfio Garozzo Marcus Leith Rafael Lobato Benoit Pailley Andrés Otero Henry Thoreau Tony Vaccaro
Il prossimo
Interni Panorama
uscirà il 22 ottobre 2010
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Grafica Elena Mariani internie@mondadori.it Elena Michelini imkt2@mondadori.it Segreteria di redazione Alessandra Fossati - responsabile Ada Uboldi- assistente del direttore Barbara Barbieri
NUMERO SPECIALE DI
per i lettori di Anno 14 n. 60 allegato a Panorama n. 40 del 24 settembre 2010
ARNOLDO MONDADORI EDITORE 20090 SEGRATE-MILANO INTERNI La rivista dell’arredamento via D. Trentacoste 7 20134 Milano tel. 02.215631- 20 linee r.a. telefax 02.26410847 www.mondadori.com/interni www.internimagazine.it Pubblicità Mondadori Pubblicità 20090 Segrate - Milano Tel. +39 02 7542 2203 Fax +39 02 7542 3641 Coordinamento Silvia Bianchi silvia.bianchi@mondadori.it www.mondadoripubblicità.com Stampato da Mondadori Printing S.p.A., via Luigi e Pietro Pozzoni 11 Cisano Bergamasco (Bergamo) Stabilimento di Verona febbraio 2010 © Copyright 2010 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.- Milano Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Manoscritti e foto anche se non pubblicati non si restituiscono
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MondI eclettIcI
INterNIPANoramaNews
EffEtto lEgo pEr il padiglionE olandEsE dEll’Expo a Shangai: dopo il rigorE dEl vEntEsimo sEcolo ora gli architEtti olandEsi scoprono la loro inclinazionE vErso l’architEttura ludica.
Mostre, musei, grandi eventi, costume. dall’architettura dall’ all’architettura fantastica Made in nederland al raffinato Museo Morandi a Bologna.
INternipanoramanews
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olanda
Simbolo di design e modernità, l’Olanda si conferma Paese di abile sperimentazione sull’onda di un’ispirazione che sa attingere anche dalla fiaba.
shangai come Amsterdam di Paola Romagnoli
Potrebbe essere il titolo di un telefilm Happy Street, con i riflettori puntati tra vicende d’interni e vita di strada. E proprio con questa curiosità disposta alla sorpresa ci si addentra nel padiglione così denominato che è la risposta olandese al tema dell’Expo mondiale di Shanghai, Better city, better life, in un secolo in cui è in continuo aumento la popolazione delle aree metropolitane. Paese densamente popolato e urbanizzato, ma dall’indubbia sensibilità per estetica, vivibilità e rispetto dell’ambiente, l’Olanda presenta le proprie soluzioni per il futuro delle città con la firma del designer John Körmeling. Sua l’idea di una via-palcoscenico su cui si affacciano venti case in cui lo stile tipico, dalle strette abitazioni di Amsterdam alle forme firmate Gerrit Rietveld, si sposa con l’innovazione. Automobili che viaggiano a energia solare come quella messa a punto dall’università di Delft, affiancano il chip più piccolo del mondo, anch’esso record olandese, mentre Philips pronostica un ecosistema casalingo per trasferire in interni l’orto per il fabbisogno quotidiano. Tradizione rivisitata e al servizio dell’attualità anche quella che svetta a Zaandam (NL), a meno di 20 km da Amsterdam, dove il nuovo Inntel Hotel (tel. 0031756311711, www. inntelhotelsamsterdamzaandam.nl) inaugurato a marzo è un gioco di casette sovrapposte. La struttura a sezioni sporgenti disegnata da Wilfried van Winden (WAM architects) ospita 160 camere su 12 piani e raggiunge quasi i 40 metri d’altezza. Senza dubbio, un monumento all’Olanda.
In alto: il padiglione olandese Happy Street all’Expo di Shanghai. A destra: la facciata del nuovo Inntel Hotel di Zaandam in cui spicca la casetta indaco, omaggio esplicito a Claude Monet che proprio in questa località dipinse nel 1871 la sua tela La casa blu.
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INternipanoramanews
Bologna
A sinistra, nella casa museo di Giorgio Morandi, con la sua foto che campeggia in primo piano; Sopra, lo studio, uno spazio piccolo, ma molto vissuto dall’artista che ci lavorava e dormiva; sotto , il mitico camerino degli oggetti a cui lui si ispirava per fare i suoi quadri.
Una casa nel museo
di Rosa Tessa
L’appartamento di Giorgio Morandi, dopo il restauro architettonico dello Studio Iosa Ghini Associati, è una meta obbligata per chi visita il capoluogo emiliano.
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È in via Fondazza al 36 che Morandi ha trascorso gran parte della sua esistenza, insieme a tre sorelle, anche se vivevano in due aree completamente distinte della casa. Lui occupava un’ala che aveva un’anticamera, leggendaria, perché lì ha fatto aspettare a lungo, e a volte senza neanche riceverli, personaggi molto importanti. Da una porta si entrava direttamente nel suo studio che oggi è esattamente come era quando lui ci lavorava. All’interno dello studio c’è un canapè simile a quello dell’anticamera dove il maestro solitamente dormiva. Viveva sempre nel suo studio. Dall’anticamera si accede in uno stanzone di disbrigo e nel mitico camerino degli oggetti che Morandi ritraeva nei suoi dipinti e che a vederli tutti insieme sembra di riunire in un colpo d’occhio tutti suoi quadri. Dall’altra
parte della casa, dove abitavano le tre sorelle, Morandi evitava accuratamente diandare . “Direi che è più una casa che un museo, racconta Massimo Iosa Ghini. Con un flashback narrativo, abbiamo creato delle pareti neutre in vetro su cui riportare testimonianze di vita, a partire da quando Morandi era un ragazzo e scriveva lettere al padre, fino alle fotografie che lo ritraggono con le sorelle Anna, Dina e Maria Teresa. Tra i ricordi più belli, una natura morta disegnata quando era bambino”.
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nuova creatività
BAckstAge produttivo dellA liBreriA-sculturA oNe oFF, durANte uNA delle ultime FAsi di lAvorAzioNe. uN ArtigiANo hA lAvorAto per due mesi e mezzo per reAlizzAre questo pezzo uNico, progettAto dAll’Art-desigNer cileNo seBAstiAN errAzuriz e prodotto dAll’AzieNdA itAliANA Horm. È iN multistrAto di pioppo e si ispirA AllA FormA del rAmo di uN d’AlBero mosso dAl veNto. sArà preseNtAto, Ad ottoBre, Al pAd di loNdrA.
Dal pezzo unico alla serialità in plastica, Dalla mostra Di un granDe D D De autore alle opere nei musei internazionali: il rapporto tra Design e arte rte r te è sempre più stretto.
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Una nuova generazione di creativi transita liberamente nei territori dell’industria, dell’arte e dell’artigianato. Le gallerie e le aziende rivalutano il design d’artista. Il fenomeno cresce e fa discutere.
la carica degli art designer di Rosa Tessa
I
in alto, Nacho Carbonell, il ventinovenne valenciano di stanza a Eindhoven in Olanda, della scuderia Rossana Orlandi. a soli quattro anni dalla sua laurea in design, sta ottenendo buona riconoscibilità internazionale. I suoi lavori, a cavallo tra arte e design, hanno alte quotazioni. Bush of Iron ( in alto), durante il Miami Design di Basilea è stato venduto per 92 mila euro.
l ventinovenne Nacho Carbonell, a soli quattro anni dalla laurea in industrial design, ha guadagnato riconoscibilità internazionale nei territori a cavallo tra arte e design. L’ultimo colpo lo ha messo a segno al Miami Design di Basilea, lo scorso giugno, vendendo, per 92 mila euro ad un privato, Bush of Iron, una seduta con tavolino realizzata con migliaia di aculei in acciaio, ultima nata di ‘Diversity’, famiglia di venti pezzi presentata lo scorso aprile a Milano nello Spazio Ferrè. Anche alla fiera di Basilea dello scorso anno al giovane valenciano non era andata male. La star americana Brad Pitt aveva comprato tutti e tre i pezzi della collezione Evolution ad un costo complessivo di 119 mila dollari. È stata Rossana Orlandi, suo mentore, a ospitarlo, per la prima volta tre
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anni fa nel suo spazio milanese, cominciando proprio con le collezioni di Carbonell a distinguere le sue due attività, quella più commerciale del negozio da quella più artistica della galleria. Ma, la domanda è: “come ha fatto Carbonell, così giovane, a vendere i suoi lavori a prezzi così alti?”. Cominciamo dall’inizio: nato a Valencia, dove si diploma e coltiva l’idea di fare il biologo marino, dopo una parentesi di un anno negli States, Carbonell ritorna in Spagna e si laurea in industrial design. “Pensai che tre anni non fossero sufficienti – racconta – così cercai nuove scuole e opportunità e andai alla Design Academy di Eindhoven dove ti fanno sperimentare liberamente”. Spiega: “La mia parola chiave è stata ‘adattamento’, dall’industrial design a quello sperimentale, dal bel clima di Valencia a quello pessimo di Eindhoven, al dover lasciare tutti gli amici e la famiglia. Ma adesso va meglio. Pump it up, il mio progetto di laurea che portai a Milano per il Salone del mobile, quattro anni fa, all’interno di un’esposizione collettiva della scuola di Eindhoven, calamitò su di me l’attenzione dei media e dei galleristi”. E alla classica domanda se si sente più un artista o un designer risponde: “Sono partito come designer e ora non mi preoccupa definirmi. Non credo nelle etichette e non ne trovo alcuna che sia adatta a definire quello che faccio. Creare è un atto pieno di contraddizioni. Credo comunque che i confini del design stiano crescendo e mi piace che la gente si interroghi sui confini fra arte e design”.
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Design sperimentale, prodotti di serie per l’industria, installazioni urbane e incursioni creative nel mondo della moda.
a lato, Sebastian Errazuriz, designer e artista cileno, di stanza a Brooklyn. sotto, le ultime fasi di lavorazione di ONE OFF, la scultura libreria che ha progettato per l’azienda italiana Horm, un pezzo unico, completamente realizzato a mano da un artigiano; IN basso a sinistra, Sinapsi, libreria componibile disegnata da Errazuriz per Horm.
T
rentatrè anni, nato a Santiago del Cile e cresciuto a Londra, ha studiato arte a Washington, Cinema a Edinburgh, design a Milano. Vive e lavora da sei anni a Brooklyn. Sebastian Errazuriz difficilmente si lascia incasellare in un’etichetta. Crea oggetti di design sperimentale, prodotti di serie per l’industria, progetta arte urbana, e fa incursioni nel mondo della moda con abiti che, difficilmente indossabili, sono più che altro provocazioni concettuali. “Sebastian l’ho conosciuto a fine gennaio – racconta Luciano Marson, direttore creativo dell’azienda Horm – mi piacciono i suoi lavori e volevo facesse l’allestimento del nostro spazio espositivo allo scorso Salone del Mobile. In corso d’opera gli sono venute mille altre idee rispetto al progetto iniziale che abbiamo pensato di sviluppare per lo stand”. Proprio in questi giorni è stato ultimato un pezzo unico ideato da Errazuriz per Horm che Cristina Grajales, sua gallerista di New York, presenterà al Pavilion of Art & Design il prossimo ottobre a Londra. È una scultura-libreria in multistrato di pioppo. Nasce dall’idea di un modulo, con una forma organica, simile ad una cellula umana che, a lavoro finito, somiglia ad un grande ramo d’albero. È alta un metro e mezzo, larga 3, e profonda 40 centimetri ed è stata realizzata dal lavoro a tempo pieno di un artigiano di Horm per due mesi e mezzo. Luciano Marson cominciò nel 2003 a fare edizioni limitate lavorando con grandi nomi dell’architettura internazionale come Toyo Ito e Steven Holl. “Credo – spiega – che l’art design sia un’ottima palestra per giovani talenti che hanno voglia di sperimentarsi in progetti non legati alla produzione di massa. Spesso hanno committenze che permettono loro di lavorare con budget illimitati, così possono esprimere libertà creativa al massimo volume. Ma a loro serve anche lavorare con l’industria proprio per i vantaggi e gli svantaggi di avere limiti di budget”.
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Committenza privata e gallerie d’arte per spingere ai limiti estremi la creatività.
“N
on parlerei propriamente di art design – racconta Luisella Valtorta, storica gallerista milanese alla guida di Dilmos –, ma di industrial design e design sperimentale”. Sono tre differenti percorsi. “Di fatto oggi – prosegue – molti autori avvertono la necessità di sperimentare, svincolandosi dall’industria per operare in un ambito di ricerca che, per quanto ci riguarda, abbraccia le sfera dell’autoproduzione da un lato (Ron Arad, Maarten Baas, Alessandro Ciffo, Danny Lane, Roberto Mora, Andrea Salvetti) e della ricerca stilistico sperimentale dall’altro (Pieke Bergmans, i fratelli Bouroullec, Forma Fantasma, Hella Jongerius, Arik Levy, Marc Newson, Studio Job, Tokujin Yoshioka)”. La gallerista spiega che questo tipo di design ha una tradizione storica che
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esiste già dai primi del ‘900 e che nella tradizione italiana passa attraverso figure come Gio Ponti, che lavorava su committenza privata, per arrivare a movimenti come Memphis ed Alchimia che intendevano la ricerca come libera espressione individuale, fino a personaggi come Riccardo Dalisi, Ugo la Pietra e Ugo Marano, per citarne alcuni. Un percorso che ha trovato recentemente la propria ufficializzazione attraverso gallerie, case d’aste e critici che la sostengono e la stanno divulgando attraverso le fiere più importanti in tutto il mondo. “La considerazione fondamentale – spiega Valtorta – per quanto mi riguarda è, prima di tutto, leggere nel progetto il pensiero dell’autore, la carica comunicativa e narrativa”. Da Dilmos in via Solferino, a Milano, è esposta la collezione Wonderlamp realizzata a quattro mani da Studio Job e Pieke Bergmans. Progetto che sottolinea la filosofia, già sperimentata da Dilmos nel 1985 con la mostra “Differenze”, secondo la quale i linguaggi degli autori sono molteplici, ma non per questo incomunicabili.
A sinistra Job Smeets e a destra Nynke Tynagel, la coppia di designer olandesi di Studio Job. Al centro la designer Pieke Bergmans. Insieme hanno progettato Wonderlamp, collezione di lampade (nella foto), a tiratura limitata, in bronzo fuso e cristallo soffiato a mano, presentatA da dilmos a basilea.
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Ritorno al Bauhaus. Solo il ‘fatto a mano’ direttamente dal designer garantisce l’autenticità di un pezzo unico.
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esin Fossil Table è un enorme tavolo in resina capace di riflettere in modo suggestivo la luce che assorbe dall’ambiente. Campeggiava durante lo scorso Design Miami di Basilea nella Galleria di Gabrielle Ammann, occupandone gran parte dello spazio espositivo. La gallerista raccontava che anche l’architetta Zaha Hadid, passata dallo stand, se ne era innamorata. Il tavolo è stato prodotto e realizzato dai Nucleo di Torino, unici italiani che, appartenenti ad una nuova generazione di creativi, erano presenti alla fiera svizzera con un loro importante lavoro. “Abbiamo iniziato la nostra attività nel 2000, autoproducendoci, con oggetti a confine tra arte e design” spiega Piergiorgio Robino fondatore del gruppo “poi abbiamo cambiato strada perché il mercato non era ancora pronto per quel genere di produzione”. Sono tornati a ripercorrerla l’anno scorso con il progetto Primitive perché vogliono autoprodurre ciò che le aziende non sono interessate a realizzare. “I prodotti dell’industria sono destinati a tutti e i prodotti artistici, con un ritorno al Bauhaus, fatti a mano direttamente dai designer, sono pezzi unici e segnano un ritorno all’atelier”. Alla parola art-design, Robino preferisce Art and Craft o il ritorno del Bauhaus. “È un fenomeno giovane che deve ancora trovare una sua
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In alto, da sinistra Stefania Fersini, Piergiorgio Robino e Alice Occleppo tre componenti di Nucleo, collettivo di design di cui fa parte anche Daniele Ragazzo. Sono alle prese con la produzione di un tavolo che nasce da ‘By the Wind’ nuova ricerca materica del gruppo; sotto Resin Fossil Table, pezzo unico della collezione ‘Resinite’ disegnata per la Galleria di Gabrielle Ammann.
stabilizzazione – spiega –. L’idea è di riproporre, in chiave contemporanea, la bottega artigiana rinascimentale che realizzava oggetti meravigliosi per facoltosi committenti”. Primitive, primo progetto di Nucleo della serie Art and Craft, avrà la sua massima visibilità tra settembre e dicembre di quest’anno. Andrà in cinque mostre, passando da Berlino a Roma, da Londra a Los Angeles con le gallerie Nilufar e Gabrielle Ammann. “Intanto – annuncia Robino – stiamo preparando un altro progetto importante. Il primo pezzo nuovo lo presenteremo con Ammann al Pad di Londra. Si chiama Copper age ed è un tavolo in rame”.
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24 settembre 2010 INTERNI•PANORAMA A lato e sotto, Tumbleweed, l’installazione firmata dagli artisti Francesco Simeti e Andrea Sala (in basso) per lo show room milanese di Moroso durante la design week milanese di quest’anno. Dieci elementi composti da strutture in legno ricoperte da vari materiali, dal cartone alveolare alle lamiere forate, su cui sono stati stampati mondi immaginari.
Le installazioni sono ideali e funzionali all’incontro tra più discipline.
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L’
azienda Moroso durante l’ultimo decennio ha chiamato diversi artisti a progettare installazioni nel negozio milanese di via Pontaccio. Patrizia Moroso, imprenditrice e direttrice artistica dell’azienda di famiglia, nel 2003 chiamò Michael Lin, quando non era ancora famoso, nel 2006 Tobias Rehberger e quest’anno Francesco Simeti e Andrea Sala. “Le installazioni – spiega – mi pare siano il luogo ideale per far incontrare arte e design, dal momento che mettono in relazione gli oggetti in uno spazio”. Ma Patrizia Moroso tiene ben distinte le due discipline e delimita il suo campo d’azione: “il design è la produzione di oggetti destinati ad un consumo allargato e l’arte nasce con tutt’altri obiettivi e principi. Sono due discipline molto diverse”. A lei non interessa fare pezzi unici o edizioni limitate, ma sperimentare concettualmente quello che può nascere dalla contaminazione tra le due discipline. “L’art-design è nato nei Paesi nordici, dove, non essendoci industria, una folta schiera di giovani artisti e designer si sono autoprodotti in maniera artigianale, con pezzi unici o piccole serie”. Ricorda che lo stesso successe a Ron Arad che comiciò a fare pezzi unici, producendoli per conto suo, quando alle aziende non interessava farli. “È legittimo – commenta – un lavoro d’autore fatto dal designer che sperimenta in libertà la sua creatività. Anzi è fondamentale nel suo curriculum vitae, ma sono perplessa quando vedo che questi lavori vengono confusi con opere d’arte e raggiungono quotazioni altissime”.
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La fondazione Vedova ha affrontato una produzione inedita ricostruendo in parallelo due grandi presenze dell’arte contemporanea: Emilio Vedova e Louise Bourgeois. di Emilio Cristinelli
Tandem di artisti
P
un autoritratto di louise bougeois giovane, nel 1946 a New York. collezione centre pompidou, paris. arch of histeria, opera in bronzo del 1993. courtesy cheim & read, hauser & wirth and galerie karsten greve. foto di allan finkelman.
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resso i Magazzini del Sale, alle Zattere, si sono appena concluse due mostre a cura di Germano Celant: The Fabric Works, di Louise Bourgeois e Emilio Vedova Scultore la prima all’interno del nuovo spazio progettato da Renzo Piano, la seconda a pochi passi dalla prima, in quello che fu lo studio del famoso pittore veneziano. Promotrice dell’iniziativa è stata la fondazione Emilio e Annabianca Vedova. Una fondazione giovane (risale al 2009 l’apertura degli spazi espositivi al pu bblico) dagli obiettivi ambiziosi, in grado in un anno già di dare alla luce il suo primo frutto: produrre, a Venezia, una mostra di primissimo rilievo come quella di Louise Bourgeois e riuscire successivamente a esportarla in capitali mondiali dell’arte contemporanea quali Londra e New York. Spiega Alfredo Bianchini, presidente della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova: “L’arte percorre, registra e testimonia tutti gli eventi di carattere sociale, politico, umano. E in questo periodo storico, complicato e complesso, contraddistinto da un senso diffuso di inquietudine e insicurezza noi cerchiamo risposte facendo parlare chi ha visto, >> ha sentito, ha captato o appreso sensazioni che giravano nel mondo”.
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Fabric drawings di Louise Bourgeois Le opere in tessuto dell’artista francese rappresentano un diario intimo del suo vissuto: vestiti, asciugamani, tovaglie appartenuti a lei e alla sua famiglia, ritagliati e cuciti per raccontare le inquietudini e le angosce di una vita famigliare sofferta e travagliata. Venezia ha ospitato nuovamente l’artista franco-americana a 17 anni dalla partecipazione alla Biennale d’Arte del 1993 che di fatto la consacrò definitivamente in ambito internazionale. La vecchia signora dell’arte contemporanea che pareva ormai eterna se ne è andata pochi giorni prima dell’inaugurazione; una perdita improvvisa se si considera che aveva collaborato attivamente alla produzione e alla realizzazione dell’esposizione. Uno stile forte, energico ed impulsivo quello dell’artista, messo ben in risalto fra l’altro dalla disposizione espositiva delle opere, dove, immediatamente all’ingresso, è posizionato il grande ragno in bronzo, Crouching Spider, vero, insuperabile segno della Bourgeois. Una forza espressiva, rinvenibile anche nelle altre grandi sculture presenti (Conscious and Unconscious, Peux de lapins, chiffons ferrailles à vendre, Bullet Hole), che le permise di assurgere a punto di riferimento nell’arte contemporanea, all’interno di un panorama artistico già di per sé ricco di grandi personalità quali, fra le altre, Louise Nevelson e Georgia O’Keeffe. Lungo le pareti della mostra viene esposto un aspetto quasi del tutto inedito nella produzione della Bourgeois, si tratta dei suoi fabric drawnings, opere bidimensionali, realizzate tra il 2002 e il 2008 scomponendo e riassemblando indumenti realmente appartenuti a lei e alla sua famiglia. >> Tema portante, come sempre nei suoi lavori, è rappresentato dalle
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in alto, a sinistra. maman, realizzato nel 1999, in ferro e marmo. collezione tate modern, london. foto marcus leith. in alto, a destra. the destruction of the father, 1974. foto di rafael lobato. qui a lato. una foto inedita scattata a roma nel 1955 dello studio five artirts. sullo sfondo di un’opera di alberto burri, da sinistra, conrad macarelli, alberto burri, emilio vedova, toti scialoja. a terra ettore colla. foto di tony vaccaro.
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“cerchiamo di far parlare chi ha visto, sentito, captato o appreso sensazioni che giravano nel mondo” (alfredo bianchini direttore fondazione vedova).
alcune immagini dello studio vedova, dalla poetica finestra, allo scaffale con i colori, fino all’atelier, con i suoi famosi grandi dischi. siamo nella nuovissima sede aperta al pubblico. per il restauro dello studio dell’artista è stata richiesta una super visione dell’architetto renzo piano, già autore del rinnovato magazzino delle zattere sede della fondazione.
difficoltà, dalle angosce delle relazioni famigliari, specie quella con la figura paterna, che la avvolsero, come una ragnatela, per lunga parte della sua vita. Vestiti e stoffe mantengono vivo il dialogo tra l’autrice e i suoi ricordi, mettendo specialmente in luce gli aspetti travagliati della sua infanzia. Un gioco tra tessuto e memoria, tra colore e ricordi dove la forza espressiva delle opere trae origine dalla rievocazione del passato dal forte impatto emotivo, espresso per mezzo di una composizione che si esprime soprattutto attraverso figure geometriche, quadrati, esagoni, spirali e ragnatele. I tessuti vengono ad assumere quindi un grande valore evocativo e semantico come la stessa autrice rivelava: “vestirsi è anche un esercizio della memoria. Mi fa esplorare il passato: come mi sentivo quando indossavo quel certo abito. I vestiti sono come segnali stradali, nella ricerca del passato”. Tutti i suoi soggetti, come lei stessa afferma, traggono ispirazione dall’infanzia: “Ogni giorno bisogna abbandonare il proprio passato. E accettarlo. E se non si riesce ad accettarlo, allora bisogna fare lo scultore! In qualche modo bisogna provvedere. Se rifiutate di abbandonare il vostro passato allora dovete ricrearlo. È ciò che faccio da sempre”. (“Distruzione del Padre / Ricostruzione del padre, Scritti e interviste 1923-2000” Quodlibet Edizioni)
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Emilio Vedova scultore Multipli inediti e grandi dischi nella nuovissima sede dello studio dell’artista aperta al pubblico. L’inaugurazione di questa mostra è stata anche l’occasione di presentare al pubblico i luoghi che furono lo studio del Maestro veneziano e ora adibiti a spazio espositivo. Uno spazio ristrutturato sotto la supervisione di Renzo Piano. Malgrado le trasformazioni che lo rendono certamente diverso dall’originale studio di Vedova, rimane una piccola ma tangibile presenza dell’artista: due lastre di vetro che portano ancora i segni, rossi e neri tipici del suo stile, e la sua grafia, simile a un disegno, rammemorano, a chi in quei luoghi era di casa, la familiarità intima dello studio. “Il fascino di quando c’era lui è irrepetibile” – commenta Alfredo Bianchini – “ma questo spazio enorme con queste meravigliose capriate è un importante spazio per la città. Si dice che Venezia possa essere una città di cultura, forse la città della cultura, e in questo dialogo artistico vogliamo esserci non solo mostrando ma anche mettendo a disposizione della città nuovi spazi”. Come per la Bourgeois anche Emilio Vedova Scultore offre dell’artista un aspetto inedito: l’interesse, meno noto ai più, di una ricerca espressiva per mezzo della scultura. Se infatti di Vedova ben si conosce l’attenzione che ha sempre posto nei confronti dello spazio e del rapporto opera-ambiente (basti considerare i Plurimi, i suoi grandi dischi, forme magiche e infinite), l’esposizione offre invece una vasta produzione di modellini, bozzetti e lavori scultorei. Realizzati in un lasso di tempo che ha coinvolto l’artista dal 1953 al 1997 anche quest’ultimi sono caratterizzati da un’espressività irrequieta e violenta che ha sempre connotato il gesto del grande Maestro che nasceva, come sappiamo, da passioni politico-sociali sviluppatesi negli anni. Passioni che parlavano in maniera astratta ma fortemente evocativa della rivoluzione in Spagna, del sangue partigiano e del ’68 che lo vide scendere in piazza affianco del movimento giovanile di allora.
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La faccia nascosta dell’eventospettacolo. Ovvero il miracoloso lavoro che sta “dietro le quinte” della produzione di grandi mostre e manifestazioni.
strategie dell’effimero? di Matilde Battistini
M Filo da pesca, croissant e farfalla, opera di Urs Fischer, Cumpadre, 2009. condivisa da tre gallerie: Gavin Brown’s enterprise, New York; Sadie Coles HQ, London; Galerie Eva Presenhuber, Zürich. Foto di Benoit Pailley. Courtesy dell’artista. Jaime Hayon, Smart Grid Gallery, Oggetti tra arte e design che rappresentano le fonti rinnovabili e le reti energetiche intelligenti. installazione realizzata con Enel per INTERNI think thank lo scorso aprile, a milano in occasione del fuorisalone
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a è poi così vero che dietro i grandi eventi culturalmondani, le inaugurazioni-spettacolo, le kermesse d’arte contemporanea e di design, che attirano migliaia di visitatori l’anno e fanno parlare di sé in sempre più diversificati territori mediatici, non vi è nulla di più che la patina, tanto dorata quanto effimera, dello show-off commerciale e giornalistico, la cui carica si esaurisce nello spazio di un momento? La questione, suscitata da un recente dibattito tenutosi nello Studio Battisti a Milano sul tema della mostra Quali Cose Siamo, curata da Alessandro Mendini per il Triennale Design Museum, sembra infervorare e dividere gli animi di molti protagonisti della scena creativa e produttiva. Dalla perentoria dichiarazione di Enzo Mari: “Il design è morto!” si passa a una silenziosa ma ferma difesa da parte delle aziende dei risultati ottenuti >> con quello che, nato come il Salone della Crisi, sembra essersi
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Sopra. Estudio Teddy Cruz, Cultural Traffic: from the Global Border to the Border Neighbourhood, 2010, installazione esposta al MAXXI di Roma, il nuovo museo per l’arte contemporanea progettato da zaha hadid. A lato, Margherita Guccione, Direttore del MAXXI “Vogliamo proporci come un centro capace di fornire una interpretazione del presente e di aprire degli spiragli per comprendere gli scenari del futuro”.
invece rivelato come il Salone della Resurrezione, o quantomeno, della Speranza. Numeri a parte – il recente Salone del Mobile di Milano ha registrato più di 330.000 visitatori in fiera, con un incremento del 7 % in più rispetto all’edizione 2009, senza contare le cifre dell’indotto e il movimento di energie creative che la Settimana del Design continua a portare nel capoluogo lombardo – abbiamo provato a guardare “dietro le quinte” di alcuni eventi espositivi per documentare il lavoro che sta dietro alla produzione e realizzazione delle mostre e seguire la “seconda vita” delle installazioni e degli allestimenti ad evento concluso. Con lo sguardo aperto a territori sempre più contigui al mondo del design come l’architettura e l’arte contemporanea. Prima dello show business e delle celebrazioni mediatiche, dietro le quinte dei grandi eventi espositivi c’è, innanzitutto, la seria professionalità di chi, con competenze diversificate,
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“le opere in collezione sono inserite in una rete di scambi con altre realtà museali e di ricerca, per creare sinergia creativa Ed economica”. produce cultura e offre nuovi stimoli per la ricerca. E’ il caso di Pig Island – L’isola dei porci di Paul McCarthy, prima grande mostra in Italia del maestro americano, pensata appositamente per le sale e i sotterranei non finiti di Palazzo Citterio a Milano. Curato da Massimiliano Gioni per la Fondazione Nicola Trussardi, l’evento ha messo in sinergia le migliori energie creative, professionalità artigianali, competenze scientifiche della scena italiana e internazionale contemporanea. L’installazione, un enorme accumulo di materiali disparati – tutto ciò che si trovava dentro lo studio dell’artista a Los Angeles (polvere e rifiuti compresi) trasportato in sei container stipatissimi dalla California – ha comportato un meticoloso lavoro di smontaggio, stoccaggio, trasporto, ricostruzione (durata venti giorni) e catalogazione di una delle opere concettualmente e materialmente più intricate del momento. In cento metri quadrati sono raccolti sette anni di vita in studio e i temi che hanno animato tutta la carriera di McCarthy. Ma la mostra è stata anche l’occasione per testare, a fianco di un artista vivente, il metodo di ricerca ideato dal progetto DIC (Documentare Installazioni Complesse) a cura di Marina Pugliese e Barabara Ferriani, che ha documentato con scatti fotografici realizzati ogni due minuti tutte le fasi di allestimento dell’installazione. Oppure della produzione, all’interno della mostra Spazio, biglietto da visita con cui il MAXXI ha deciso di presentare al pubblico il forte carattere di interdisciplinarietà del museo, di 10 installazioni di architettura contemporanea concepite e realizzate con gli strumenti propri dell’arte (fotografia, video installazioni, installazioni complesse). Lo stesso MAXXI si pone con decisione nello scenario nazionale e internazionale come un laboratorio che produce cultura e >> avvia nuove chiavi di interpretazione del presente e del futuro.
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“SIAMO UN museo mobile, UN’ISTITUZIONE nomade, un laboratorio dove vengono testate nuove idee”.
Per fare questo, oltre all’importantissimo sostegno economico del Ministero dei Beni Culturali, si avvale di contributi privati, raccolti dalla Fondazione MAXXI, presieduta da Pio Baldi. Una sinergia intelligente portata avanti da interlocutori che capiscono che la cultura non si può addomesticare con le sponsorizzazioni e che vogliono partecipare alla creazione di progetti condivisi. Produrre ricerca e realizzare operazioni di questo tipo ha infatti una ricaduta economica notevole sui committenti, e gli stessi autori devono a volte ricorrere a sovvenzioni private per passare dal progetto al manufatto in occasione degli eventi espositivi. Senza il contributo economico di partner aziendali anche molte sperimentazioni o progetti di sviluppo nell’ambito della sostenibilità e delle energie rinnovabili legate al design, come la Smart Grid Gallery di Jaime Hayon per Enel, presentate all’evento Interni Think Tank
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Sopra, Paul McCarthy, Pig Island, 2003-2010. Sette anni di vita (polvere e rifiuti compresi) e di lavoro dello studio dell’artista raccolti in oltre cento metri quadrati. presentato in italia dalla Fondazione Nicola Trussardi Courtesy l’artista e Hauser & Wirth. Foto © Paul McCarthy. A lato, Massimiliano Gioni, Direttore artistico della fondazione.
nella passata edizione della Settimana del Design milanese, ma anche importanti appuntamenti culturali come le Biennali d’arte e architettura a Venezia non potrebbero essere realizzati. Questo sforzo creativo, operativo, logistico e produttivo serve, in molto o in parte, a riscattare i grandi eventi espositivi dalla riduttiva etichetta di vetrine dell’effimero prive di qualsiasi contenuto di ricerca progettuale, sostanza culturale o impegno sociale. Liberi da pregiudizi, guardiamo quindi i grandi eventi con occhi nuovi e riconosciamo il valore del lavoro di chi, con perizia e competenza, quotidianamente opera perché siano inseriti in una filiera economicamente sostenibile e culturalmente virtuosa, anche a partire da semplici gesti di attenzione ambientale e contenimento dei badget, come il riutilizzo dei materiali impiegati negli allestimenti o la condivisione dei costi di produzione tra diverse realtà museali ed espositive.
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azulejos style di Antonella Galli
La città della luce, tra il Tago e l’Atlantico, da cinque secoli si veste di ceramica. Da scoprire tra i quartieri storici di Alfama, Graça, Santa Apolonia, e nell’area contemporanea di Expo ’98.
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Sopra: l’edificio che fronteggia il padiglione del Portogallo al centro del quartiere Expo di Lisbona (Parque das Nações), progettato dai grandi nomi dell’architettura, oggi area residenziale vivace e in espansione. Nella pagina precedente, il palazzo Écran, rivestito in ceramica, progetto di José Troufa Real nel quartiere di Expo ’98. Sotto, varietà di azulejos e mosaici nelle piazze e sulle facciate di Lisbona.
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A
zulejos è la parola magica. Quella che apre gli occhi e la mente sull’anima - una delle tante - di Lisbona. La splendida luce che inonda la città anche nei mesi più freddi esalta i colori delle piastrelle che a migliaia decorano piazze, palazzi nobili e popolari, locande, chiese e monasteri. Le azulejos, tipiche mattonelle quadrate e smaltate, sono inogni angolo: varopinte o bicrome (quelle più classiche sono bianche e azzurre), a volte abbinano il blu e il bianco al giallo; i decori sono geometrici e astratti, oppure compongono grandi scene naturalistiche, storiche, sacre. Ce n’è per tutti i gusti, davvero. Furono gli arabi, nel V secolo, a portare i primi esemplari di azulejos, allora solo blu cobalto e con disegni geometrici. L’impulso decisivo all’utilizzo di questo decoro si ebbe nel XV secolo, sulla scia della maiolica italiana e fiamminga. Da allora la tradizione non si è più interrotta. Qualche indirizzo segreto? La chiesa di São Vincente de Fora, che nei pressi dei chiostri conta circa 15.000 piastrelle dipinte, o il Palácio dos Marques da Fronteira in Largo de São Domingos de Benfica, nella cui Sala das Batalhas si susseguono splendidi pannelli con azulejos del Settecento. Gli appassionati visiteranno il Museo Nacional do Azulejo nel convento della Madre de Deus (Rua Madre de Deus 4, mnazulejo.imc-ip.pt/): la sua magnifica collezione ne ripercorre l’evoluzione dal XV secolo fino alla produzione contemporanea. E per dormire tra gli azulejos, si prenota al Palácio Belmonte, cinque stelle ricavato da un edificio del Seicento, con raffinate decorazioni in saloni e suite (www.palaciobelmonte.com/).
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Expo 2015, non c’è un minuto da perdere
È di Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, l’idea su cui si basa il masterplan dell’Expo milanese: l’orto planetario. Ma le idee vanno trasformate al più presto in linee operative, in progetti concreti. Perché per far germogliare un orto non bastano tre mesi. E nemmeno tre anni. in alto, Il masterplan dell’Expo 2015 di Milano prevede un anfiteatro (in alto) con una capienza di ottomila persone per spettacoli e cerimonie. Gli spazi espositivi saranno suddivisi secondo cinque aree bioclimatiche, in cui i Paesi partecipanti esporranno le loro ricchezze alimentari e produttive. a lato, Un ritratto di Petrini
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L’
di Antonella Galli
appuntamento con Carlo Petrini è all’Agenzia di Pollenzo, a pochi chilometri da Bra, sede di Slow Food, nel cuore delle Langhe. L’Agenzia è un luogo che toglie il fiato: una residenza sabauda, che fu azienda agricola modello di Carlo Alberto, circondata dal verde di una vasta tenuta: è stata recuperata da Slow Food, che nelle ali del grandioso edificio ha impiantato l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, la Banca del Vino, il ristorante Guido, l’Albergo dell’Agenzia. Un concentrato, insomma, delle eccellenze del territorio. Seduti a tavola, si parla di Milano e dell’Expo 2015, ‘Nutrire il pianeta, energia per la vita’. Di questi temi Petrini e Slow Food si occupano già da due decenni, con i risultati che tutti conoscono: un’associazione internazionale no profit con >> 100.000 aderenti in 130 Paesi, 400 Condotte in Italia, mille Convivium
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Alcuni momenti della scorsa edizione di Terra Madre, incontro mondiale delle comunità del cibo, ideato da Slow Food. La quarta edizione terminata il 24 ottobre a Torino, in concomitanza con il Salone Internazionale del Gusto.
nel mondo, i Presidi, le manifestazioni come il Salone del Gusto (fino al 25 ottobre a Torino) insieme all’evento Terra Madre, l’università di Scienze Gastronomiche. E se tutto ciò non bastasse, Carlo Petrini nel 2004 è stato inserito da Time Magazine tra gli eroi del nostro tempo nella categoria Innovators. Per Milano il padre di Slow Food dovrebbe essere un punto di riferimento, una presenza costante. Il tema dell’Expo è anche la vostra ragion d’essere. “Suggestioni enormi vengono da un tema così complesso: il tema è quello su cui lavoriamo da anni. La nutrizione è energia vitale e si collega a una visione di un’economia sostenibile, alla difesa della biodiversità, al rifiuto dello spreco ora che siamo nel pieno di una crisi entropica di portata storica. L’Expo di Milano dovrebbe essere qualcosa di diverso rispetto alla tradizione espositiva che è nata ed è vissuta in questo secolo e mezzo su un paradigma che è: ‘esponiamo come sarà il futuro, il progresso e lo sviluppo’. Questo tipo di approccio in una società come la nostra non è più sostenibile. Saragozza è stato un flop epocale. I tempi non sono più quelli. C’è una saturazione della domanda. Questa riflessione avviene contestualmente a Shanghai, che è la
visualizzazione di quello che era l’Europa all’inizio del secolo scorso, dove masse di contadini si riversano per vedere le novità nella città. A Milano dovrà essere diverso”. Come ci si può arrivare? “Il tema è cruciale. Sono stato l’ideatore del masterplan su cui hanno lavorato gli architetti Boeri, Herzog, Burdett. L’idea dell’orto planetario, che deve essere affiancato anche dai luoghi della trasformazione e dai luoghi della cultura gastronomica, è mia. Non per arroganza, né per potere, ma per pura verità. La mia preoccupazione è che non si va avanti. Non ci si è focalizzati sul tema, ma sul sito e sui probabili sviluppi immobiliari”. Cosa è indispensabile fare oggi? “Stare ancorati al tema e avere un piano di lavoro esecutivo. L’orto non è l’allestimento di una fiera, ci vogliono anni per creare microclimi particolari. Noi li abbiamo inseriti nel progetto, ma bisogna muoversi. Creare interazione tra orto planetario, luoghi della trasformazione e savoir faire gastronomico è un lungo lavoro. Sono estremamente preoccupato per i tempi e i contenuti. All’Expo oltre agli architetti ci dovrebbero >> essere botanici e agronomi che lavorano insieme a gastronomi e produttori”.
“Vorrei che all’Expo di Milano venisse tutta l’umanità a discutere del problema del cibo. Ma è necessario lavorare sin da ora”.
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Qui sopra: un orto della cascina Colombé (ph Rizzi) e il complesso della cascina Caldera (ph Mattuzzi), entrambe incluse nel progetto di recupero delle Cascine Milanesi in vista dell’Expo e, sotto, il logo del 7° Congresso Nazionale di Slow Food, svoltosi a maggio 2010 ad Abano Terme. La chiocciola è il simbolo dell’associazione.
Come interagisce con questo il progetto delle Cascine Milanesi? “Nell’ipotesi più corretta il discorso delle Cascine Milanesi dovrebbe fare sistema con l’Expo: è un buon progetto a cui anche Slow Food partecipa, ma sono due cose diverse. Sempre nell’ottica del sistema, noi stiamo lavorando anche con il nostro progetto Nutrire Milano, che ha già aperto un mercato che si tiene una volta al mese: puntiamo alla modifica del sistema agricolo intorno a Milano. Ma il progetto ha i suoi tempi. Se devo tararlo al 2015 con un Expo con queste caratteristiche, tutto converge. In quest’ottica di sistema intorno all’Expo entrano anche i destini del Parco Sud, che va lasciato all’agricoltura, non ai campi da golf”. In un recente suo scritto (pubblicato da La Repubblica) Petrini aveva definito Nutrire Milano come un progetto che prevede di far rinascere l’agricoltura nel Parco Sud, non a favore di colture intensive e convenzionali, ma al servizio di produttori e cittadini milanesi, per legare a doppio filo la metropoli con il territorio agricolo circostante”.
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Coloro che fanno opinione non si occupano a sufficienza di questi temi. Trattarli in modo approfondito porterebbe a nuovi percorsi per uscire dalla crisi. “La crisi è enorme e all’orizzonte non si vedono leader. C’è una teoria che condivido di Edgar Morin, che pensa che esistano nel mondo migliaia di piccole realtà che nelle pratiche virtuose determinano già un cambiamento. Il sociologo francese la sintetizza in due concetti. Il primo è: tutto deve ricominciare ed è già ricominciato. Il secondo concetto è che la trasformazione è più potente della rivoluzione perché è un processo lento. La moltitudine di realtà unite in una comunità di destino è quello che è già ricominciato. Analisi perfetta, per-fe-tta”, scandisce Petrini, convinto. E le vie d’acqua di Milano? “Altro tema decisivo. Quando a Milano al Teatro Dal Verme ho detto che il monumento da lasciare per l’Expo non era una nuova Tour Eiffel, ma era il Lambro pulito, ho ricevuto una standig ovation. Un mese e mezzo dopo lo hanno inquinato”.
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dopo l’intervista a silvio soldini, è la volta dell’incontro con un altro grande regista che ha scelto il capoluogo lombardo come set per la sua ultima opera. luca guadagnino parla a tutto campo: del suo film, di expo 2015, dello stato del design.
l’altra faccia di milano
di Andrea Pirruccio
immagini tratte da io sono l’amore, il poderoso melodramma sociale diretto da luca guadagnino e ambientato in una milano monumentale ed elegante come di rado si era vista al cinema. in alto: la protagonista tilda swinton è affiancata da edoardo gabbriellini; nella foto centrale, ancora l’attrice inglese insieme a pippo delbono; in basso, la famiglia recchi riunita a cena.
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il sontuoso set in cui si svolge buona parte della pellicola: villa necchi campiglio, la villa unifamiliare realizzata nel cuore di milano su progetto di piero portaluppi. miracolosamente risparmiato dai bombardamenti bellici, il complesso residenziale (che dal 2001 è di proprietà del fai, fondo ambiente italiano) rappresenta il frutto di una armoniosa commistione tra architettura, arti decorative, mobili e opere d’arte. le foto della pagina sono di giorgio majno.
L’
amore che scardina le convenzioni e che si fa beffe delle barriere sociali fino a determinare il crollo di una famiglia della ricca borghesia industriale lombarda. In sintesi, è questa la storia dello straordinario film del palermitano Luca Guadagnino, Io sono l’amore. Un’opera in cui la ricerca estetica non diventa mai maniera, connotata da una voglia di osare e di ‘puntare alto’ che la rende quasi un oggetto alieno se accostato al resto della produzione attuale contemporanea. E, inoltre, un film ambientato a Milano che, in controtendenza rispetto a quanto avviene abitualmente, mostra le immagini di una città fotogenica come raramente si era vista prima: Guadagnino, la Milano rappresentata nel suo film è inaspettatamente bella, specie quando è ripresa sotto la neve. È una scelta funzionale alla narrazione o sentiva il bisogno di ‘rivalutare’ l’immagine della città? È intanto una scelta che rifiuta il cliché secondo cui Milano sarebbe una città grigia e piccolo-borghese. A me non interessava rappresentare il luogo comune. Poi, certo, il set è centrale rispetto alla storia e io avevo bisogno di
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mostrare una Milano elegante, bella da vedere. Per portarla sullo schermo ho pensato alla città rappresentata da Zavattini in Miracolo a Milano e da Bellocchio in Vincere: una Milano possente. Un’altra fonte di ispirazione visiva per restituire l’immagine della città che vedete sullo schermo è il breve documentario Made in Milan, dedicato a Giorgio Armani, in cui il celebre stilista discute con Scorsese del suo lavoro e anche della storia di Milano. Lì il regista mostrava la vera anima di Milano, fatta di facciate solo in apparenza grigie, in cui all’interno si nasconde un’opulenza discreta. La scelta di Villa Necchi Campiglio (la dimora storica progettata negli anni Trenta da Piero Portaluppi e miracolosamente scampata ai bombardamenti bellici, parte del circuito delle Case Museo di Milano e dal 2001 di proprietà del FAI, Fondo Ambiente Italiano) per ambientare le vicende della famiglia Recchi è perfetta. Come siete arrivati alla villa di via Mozart? Guardi, il film ha avuto una gestazione molto lunga e dunque io e i miei collaboratori, nel corso degli anni, abbiamo sfogliato un numero imprecisato di libri di architettura. Appena ho visto la villa del Portaluppi ho subito capito che era quella giusta. È stata una selezione lunga, ma d’altra parte la casa, per me, ha la dignità di uno dei personaggi della vicenda. Come è stato girare il film a Milano? Avete trovato collaborazione? Io amo molto Milano, la trovo davvero bella. Però devo anche dire che, dal punto di vista professionale, siamo stati accolti malissimo, intendo proprio a livello istituzionale. Secondo me Milano e la Lombardia rappresentano il frutto di una politica iniqua. Milano è in mano a una banda, e per farsi un’idea di come operi questa banda basti vedere come è stato gestito il recente caso Abbado. È appassionato di design e/o architettura e c’è qualche designer o architetto che apprezza in modo particolare o che ha influenzato la sua opera? Per quanto riguarda il design, direi che siamo ormai in piena Apocalisse. I progettisti realizzano prodotti costosissimi e che sembrano originali, ma che dopo appena due mesi sono già irrimediabilmente invecchiati. Sull’architettura, sì certo, è impossibile non esserne affascinati. Io amo in maniera particolare l’architettura mediterranea, colorata, dell’isola di Linosa. C’è qualcosa di Milano che ama particolarmente? Amo i luoghi in cui si mescolano i gruppi sociali e le etnìe. La casbah di corso Buenos Aires con tutti i suoi locali multietnici è, in questo senso, un posto davvero straordinario. Un’altra bellissima zona di Milano è quella intorno a via Cappuccio, con le sue bellezze nascoste nei giardini e nei cortili interni. Cosa ne pensa del fatto che Milano ospiterà l’Expo 2015? Credo che l’Expo sarà un disastro affaristico, un’occasione per deturpare la città, stravolgere gli strati sociali e razziare il benessere economico.
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La nuova tendenza? ludica, informale praticamente indistruttibile. la plastica conquista le tavole più glamour soprattutto grazie all’intervento (sempre più massiccio) dei designer à la page.
utile & chic di Antonella Galli
Marti Guixé, ha progettato per Alessi lo spargi-zucchero Sugar Cube. Tra i pezzi firmati dall’estroso designer catalano per Alessi c’è un contenitore per lo zucchero che riproduce la forma di una zolletta di zucchero. Grazie al materiale plastico con cui è realizzato, Sugar Cube simula allo sguardo e al tatto la superficie cristallina dello zucchero.
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ncora lei, è tornata: la plastica. Veramente, non se ne è mai andata. Ma sulla tavola, tra calici in cristallo e ciotole in porcellana, sembrava passata un po’ di moda. Invece, eccola riapparire in splendide forme, transitata dagli studi dei designer ai laboratori di ricerca delle aziende, giù fino agli scaffali dei negozi, trasformata in prodotti dall’estetica brillante, contemporanei, multifunzionali. Gli oggetti conviviali in plastica hanno da tempo oltrepassato il limite di utilizzo dell’outdoor, barca o giardino che sia. I designer li progettano per occasioni a tutto campo, nell’ambito domestico o in quello della ristorazione professionale, dove è il numero a farla da padrone, dove non si può prestare troppa attenzione a ‘non rompere niente’, senza però perdere in estetica e glamour. Oggi le lavorazioni di resine e polimeri termoindurenti, supportate da tecnologie sofisticate, rispondono a plurime esigenze, sia dei designer, che ricercano forme e matericità futuribili, sia di chi sceglie prodotti che conciliano praticità e bellezza. Aziende come
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Mario Bellini, architetto e designer, autore dei vassoi Dune e delle coppe Moon per Kartell. “La plastica, comunemente associata a prodotti economici e di poco valore estetico, può darci oggetti di grande fascino se si sfruttano alcune sue proprietà come – in questo caso – la rifrazione della luce caratteristica del metacrilato colorato trasparente. Nel caso di questi vassoi Dune, giocando sulle variazioni di spessore del materiale – liscio sul lato superiore e ondulato su quello inferiore – si è ottenuto un effetto quasi magico di acqua in movimento che sorprende per la sua luminescenza cangiante, capace di conferire ricchezza e grande effetto decorativo a un oggetto semplice ed economico come un vassoio di plastica”. (Mario Bellini).
al centro, di Kartell, i vassoi Dune, in policarbonato translucido, scolpito dall’interno con effetto di tridimensionalità, in sette colori e due dimensioni. qui a fianco, le coppe Moon, sempre di Kartell, translucenti come calotte lunari. Nella pagina accanto, Sugar Cube, contenitore per lo zucchero di Alessi, in polimetilmetacrilato (PMMA), progettato da Marti Guixé (autore anche dei disegni): è a forma di zolletta con coperchio apribile a slitta.
Guzzini e Kartell, che hanno fatto della plastica la loro materia d’elezione, proseguono in un percorso collaudato, chiamando maestri o giovani volti del design a cimentarsi con questo materiale. Mebel, azienda specializzata in oggetti in melamina, grazie al segno di Marco Maggioni sceglie il design per elevare il target di prodotto. Nel campo del catering professionale, guida la schiera Pandora Design, che da anni produce utensili in plastica colorata per ristorazione temporanea, firmati dai migliori designer (tra gli altri Matteo Ragni e Giulio Iacchetti). Alessi, il signore dei casalinghi, affida all’estro di Marti Guixé una nuova zuccheriera tutta in plastica. Gli utensili in plastica – trasparenti, bicolori, in tinte pastello o nei rigorosi bianco e nero – animeranno anche in autunno tavole e cucine, portando con sé il fascino delle forme pure e organiche, predilette dai progettisti. Che possono coniugare, così, ricerca formale, praticità d’uso, costi contenuti. Un’ottima soluzione, come alcuni di loro confessano in queste interviste.
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Marco Maggioni, designer della collezione Small Entities di Mebel, da gennaio 2010 al Moma di New York.
Qui sopra, di Mebel, Small Entity 17, set degustazione composto da vassoio rettangolare e tre ciotole in melamina; a sinistra, Small Entity 12, serie di piatti e ciotole in melamina bicolore. in basso, i cucchiai per insalate glossy, con finitura laccata.
“Le forme non aspirano a una validità eterna, sono rappresentazioni dello spirito del tempo: segnali e simboli. Per tale ragione ci è data la possibilità di sperimentare, intraprendere nuovi percorsi. Una plasticità del divenire. Ho così immaginato una collezione di piccole entità atte a valorizzare il buon cibo e la degustazione tramite nuove forme. Ecco, allora, che le suggestioni estetiche ispirate da una sorta di botanica parallela che contraddistingue ogni pezzo reinterpretano in chiave contemporanea quella plasticità organica già tipica della ceramica. La melamina, impiegata nella produzione di questo progetto, ha reso possibile l’eleganza e la poetica delle forme di Small Entity. La brillantezza delle superfici, gli spessori consistenti ottenibili, la possibilità di colorazione e decorazione consentono soluzioni innovative. Un esempio: la possibilità di sovrastampare un colore ad un altro; caratteristica che ho amplificato nel disegno dei piatti, delle insalatiere, dei vassoi. La melamina è resistente agli urti – un vantaggio rispetto alla ceramica – è sicura e può essere lavata in lavastoviglie. Un difetto? Non è compatibile con i forni a microonde”. (Marco Maggioni).
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INTERNI•PANORAMA 24 settembre 2010
Matteo Ragni , con i bicchieri Sunglass e Kazuyo Komoda, con le posate Trinacria hanno arricchito il catalogo di Pandora Design.
In questa pagina, alcuni prodotti in plastica di Pandora Design: le posate Trinacria, disegnate da Kazuyo Komoda, in sei colori; al centro, i bicchieri cocktail Sunglass, firmati da Matteo Ragni.
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L’intuizione di Pandora Design, azienda che dal 1998 opera nel mondo del catering per i grandi eventi, è stata di applicare il progetto di design all’utensile temporaneo per servire e degustare il cibo. La plastica, leggera, riciclabile, igienica, ha consentito di creare forme fantasiose e coloratissime di bicchieri, posate, piatti da cocktail, usciti dalla matita dei più originali creativi del panorama italiano e internazionale. Come Matteo Ragni e Kazuyo Komoda, insieme a Giulio Iacchetti e Tommaso Pozzato. L’utensile usa&getta diviene così oggetto ludico in cui predomina il lato ‘leggero’ dell’esperienza conviviale: colore, invenzione, divertimento.
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Caterina Fadda, dello studio FaddaSantos, ha progettato le ciotole della linea Gemme di Guzzini, che hanno vinto il reddot design award 2009.
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Al centro, l’installazione dello studio FaddaSantos ‘Elements of production’, durante la primavera 2010 al Design Museum di Londra: è stata realizzata con 300 ciotole Gemme di Guzzini. Sotto, le ciotole Gemme, prodotte in quattro dimensioni e cinque colori, in ‘SAN’, polimero con eccellenti caratteristiche di trasparenza e luminosità.
“La cucina e la tavola sono zone altamente creative. La combinazione, anche casuale, dei colori del cibo e degli oggetti da tavola fornisce un’esperienza visiva unica nella sua varietà. Al vantaggio della durabilità intrinseca del materiale plastico, si può aggiungere quello di un design senza tempo. Nella nostra collaborazione con Guzzini lo scopo è di impreziosire questi oggetti di uso quotidiano. Per esempio, sfruttando la qualità ottica del polimero SAN nelle ciotole Gemme abbiamo ottenuto diverse gradazioni di colore. Con il materiale plastico si ha a disposizione un’infinita gamma di colori ed il colore è uno degli ingredienti principali del nostro design. Nella recente installazione “Elements of Production” per il Design Museum di Londra abbiamo esplorato le infinite combinazioni dei cinque colori delle ciotole Gemme ed enfatizzato la trasparenza del materiale plastico. Oggi è disponibile una scelta illimitata di polimeri e tutti offrono diversi plus per il designer: la possibilità di ottenere le forme e superfici più svariate, con i dettagli più accurati e le quantità di scarto più limitate”. (Caterina Fadda).
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idee d inter dee tern ter ernipanorama
design sul rinG
poltrone in pelle di ispirazione vintage. interni d dal tratto contemporaneo in campagna come in città. lo o stile è sempre più in Forma.
Da sinistra. a terra, schienale monoscocca ispirazione anni cinquanta per la poltrona con struttura in metallo extra sottile, Di Cassina. poltrona vintage con seDuta in pelle verDe chiari Di nilufar. un pezzo storico, la sant’elia Disegnata Dal al razionalista gabriele mucchi, proDuzione Zanotta.
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Morbide, eleganti, con un tocco vintage: le poltrone di questa stagione hanno un denominatore comune, la pelle. Eccole a confronto nella cornice di una storica palestra di boxe, protagoniste di un match surreale. di Patrizia Catalano foto di Henry Thoreau
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Sopra. poltrona in cuoio piegato come un origami e struttura di metallo curvato tutta bianca, di Fasem; Cortina, in tubolare d’acciaio e morbida pelle scamosciata e Twombly tutta in cuoio color moka entrambe di Minotti. a destra. In tubolare d’acciaio e rivestimento in cuoio chiaro la poltrona Wimbledon di Matteograssi. Piccola e confortevole la morbida poltroncina di Antonio Citterio per Flexform. Un raffinato pezzo vintage la seduta di Cent’anni fa con struttura in metallo curvato e braccioli di legno. Nella pagina accanto, Effetto plissé per la poltroncina Boing, in pelle blu eletrico con gambe in tubolare di acciaio, di Driade.
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Ispirazione razionalista per la poltrona Susanna, con struttura in tubolare d’acciaio, seduta e schienale in pelle nero inchiostro, di Zanotta. nella pagina accanto. ispirazione dèco per la poltrona in pelle bianca rift di moroso.
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SOPRA. Rosso corallo per la sedia su ruote di Frag, da utilizzare sia in ufficio che in casa come poltrona passepartout. qui a fianco, Da sinistra. Bianco latte senza braccioli la seduta di Natuzzi. Effetto nappa, con cuciture a vista per la poltroncina Summer Arms di Baxter. In primo piano, Color champagne per la supermorbida Scilla di Busnelli.
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Il ring della palestra Doria inaugurata negli anni Trenta a Milano, ancora oggi una delle location storiche della boxe in città. davanti al ring da sinistra. in pelle capitonné poltrona vintage di Spazio Novecento, jade in pelle nera e struttura in legno, di cristophe pillet per Porro, con coppia di ruote anteriori mart di B&B Italia design Antonio citterio.
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un punto d’appoggio un appartamento a Milano per non perdersi le settimana della moda e del design. di Daniela Greco foto di Henry Thoreau
quel tocco folk che spiazza La zona cucina dell’appartamento è il perno della casa su cui si affacciano anche la camera da letto padronale, il living e la stanza degli ospiti.
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Per il recupero della mansarda le scelte si sono orientate versomobili su misura di un’artista che lavora con legni riciclati e pezzi d’autore.
piuttosto avvezzo essendo da anni un operatore del settore immobiliare nonché architetto progettista che lavora soprattutto in zona Garibaldi dove le case sono, al novanta per cento dei casi, in palazzi d’epoca in cui si deve intervenire con un recupero il più possibile conservativo. “Non avevo scelta: per dare un senso compiuto alla casa ho dovuto eliminare tutti i disimpegni e ripensare alla pianta. Abbiamo creato un cuore, la cucina con un bancone centrale. Da qui, grazie a un gioco di prospettive, si può comprendere tutta la casa: il salotto con la zona pranzo ampio e luminoso, la camera da letto, il bagno padronale e la camera per gli ospiti dotata di uando l’architetto Giuseppe Guassardo ha visitato per un bagno a sé”. Parola d’ordine: luce e ancora luce. “Le mansarde sono la prima volta questo appartamento si è trovato di fronte a una coppia deliziose ma hanno un’innegabile limite, il tetto che ‘ruba’ lo spazio alle di soffitte di stampo decisamente bohemienne. “Non era mai stato fatto pareti. Così ho pensato che per creare un ambiente omogeneo avrei dovuto nessun intervento di effettiva ristrutturazione” commenta “chi ci abitava lavorare su un unico colore, il bianco”. Bianco il controsoffitto, come le aveva lo spirito di un personaggio d’altri tempi uscito dalla penna di pareti, le travi portanti e il pavimento passato da una resina lucida che Eugène Sue piuttosto che di Charles Dickens”. I committenti dell’architetto, enfatizza ulteriormente lo spazio. Per gli arredi, la coppia si orienta verso una coppia di professionisti napoletani, avevano tutt’altra idea a proposito: uno stile semplice anche se con qualche tocco di ricercatezza. I mobili per volevano creare un unico appartamento da sfruttare come un pied-a-terre esempio, dal letto alle armadiature tutte realizzate sono stati progettati da visto che si trovava in corso Como, uno dei punti nevralgici della Milano Costanza Algranti, un’artista designer che lavora recuperando con legni dello shopping, a due passi da Brera e poco distante dal Quadrilatero della riciclati. Un tocco partenopeo di folklore è dato (seppur con parsimonia) moda, da sfruttare soprattutto nei periodi meno caldi, quando Milano dal divano viola melanzana del salotto, dalle poltroncine patchwork mostra il suo volto più vivace e metropolitano. L’operazione di restauro acquistate da Rossana Orlandi insieme alla divertente testa di toro non è complessa ma richiede una certa esperienza a cui Guassardo è realizzata a mezzopunto.
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Il segreto del recupero di questa mansarda consiste nell’eliminare spazi inutili come i disimpegni e nel dare luminosità attraverso un pavimento lucido in resina, il bianco dell’intonaco e le travi tinteggiate di bianco. Sopra, la zona pranzo e un dettaglio della camera. Sotto, il divano con tessuto etnico e una delle poltroncine di Rossana Orlandi. Nella pagina accanto. il soggiorno con tavolo di understate.
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Sopra. La camera da letto realizzata con mobili fatti su misura da Costanza Algranti che lavora recuperando legni vecchi e sbiancandoli riadattandoli. Completo notte Society. Sul letto testa di toro a mezzo punto, da Rossana Orlandi. Pagina accanto. Sopra. L’armadio ricavato da una nicchia della stanza degli ospiti. Sotto, un dettaglio in salotto: il doppio scatto che compone la fotografia di una Cinquecento.
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Il bianco totale cattura la luce e amplia lo spazio. i tappeti e i tessuti sono Pennellate di colore.
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Il gIardIno dI casa alemagna con ulIvI centenarI. In prImo pIano, tavolo Ideato dalla padrona dI casa. nella pagIna accanto, In alto. la bella pIscIna tra I murettI a secco con bordo In pIetra. sotto. I trullI e Il gIardIno.
di Anna Greco foto di Henry Thoreau
NellA lluminosa NellA uminosa c cA AmPA P gNA PA N PuglIese NA Il recuPero dI uN poderoso comPlesso dI trulli. uNA cA c sA dI charme, u uN buon ritiro, Per er sfuggire AllA ll sincopata llA vita metro metroP PolItANA t tANA .
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iamo vicino a Locorotondo, in val d’Itria, quella che Cesare Brandi nel suo bel libro Pellegrino di Puglia (edizione Bur ndr), definisce la più gioiosa campagna d’Italia. Certo che sì, grazie alla dolcezza delle colline appena accennate (la val d’Itria è un altopiano a 300 metri dal mare), alla luce argentea degli ulivi secolari, al tratto antico dei suoi trulli, vere e proprie architetture archetipiche. Fatto sta che Enrica Alemagna, come molti del resto, se ne innamora, al punto che decide di abbandonare la sua casa di Cortina e lanciarsi in questa nuova avventura. La appoggiano entusiasti i due figli Alberto e Tancredi. L’operazione di ristrutturazione è seguita dalla sorella di Enrica l’architetto Francesca Ciotti e da un giovane e talentuoso architetto locale Amerigo Albanese. Risultato, totale sinergia e un unico intento: valorizzare queste straordinarie costruzioni di pietra, con i loro tetti a cono e i muri perimetrali che a volte raggiungono anche un metro di profondità. Seguire il genius loci significa rispettare lo spirito
sobrio di queste terre evitando eccessi e fronzoli: neanche da dire a Enrica Alemagna che ha fatto dell’understatment un segno di stile. Ecco le belle pareti in pietra a vista, il pavimento in chianche originali, la valorizzazione delle nicchie spesso recuperate come armadi. Arredi uniformati nello stile e nei colori, bianco per letti e imbottiti grigio metallo per tavoli e sedute. Concessioni minime al design. Qualche tocco eccentrico nella tavolascultura in legno pregiato disegnato dalla stessa padrona di casa. Il vero lusso? La piscina di un blu fuori serie. Il dettaglio che fa discutere? Un prato verde anche in piena estate.
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Dettagli di stile contrastano con la ruvidezza spartana delle pareti in pietra. A sinistra, il tavolo antico posto all’ingresso di casa e due chandelier uno sul tavolo e l’altro collocato in una delle molte nicchie ricavate durante il restauro del trullo. A destra, tavolo in ferro con abat-jour in corno e paralume nero.
Qui sotto. La cucina contrariamente al resto della casa ha il pavimento in cemento lucido e le pareti a intonaco. In primo piano pouf. Nella pagina accanto. Una delle camere da letto di casa concepita anche con una zona living relax. In primo piano, divano di Edra. Alle spalle di nuovo un tavolo in metallo con sedia in ferro e lampada vintage e, sullo sfondo, il letto con lampada Tizio di Artemide.
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In basso, all’Interno del baglIo. la scala d’acceso che porta al prImo pIano della resIdenza padronale della masserIa; a destra Il portone d’accesso al fabbrIcato.
vIte da baglIo di Ida Del Coro foto di Alfio Garozzo
NellA tenuta ZIsolA sI vive come Nel seIceNto. lo sA beNe lA famigliA mazzeI che, Per Amor del Nero d’AvolA, PAssA AlmeNo uN mese All’ANNo NellA campagna dI Noto, IN sicilia.
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materiali tradizionali, a chilometro zero. Il pavimento è in pietra di Noto e le volte sono fatte con travi di castagno dei boschi dell’Etna.
I DAll’alto, in senso orario, una delle tre stanze che formano la zona living, al piano terra dell’abitazione padronale della tenuta. Il pavimento è in pietra di Noto, la stessa utilizzata per la cattedrale omonima; vista dalla finestra della residenza degli ospiti che si trova nell’anello esterno del baglio. Si vedono i volumi dell’abitazione padronale della masseria; la veranda che guarda sul giardino esterno della residenza.
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mmersa nella campagna di Noto. A cinque minuti dal mare. Circondata da coltivazioni di viti e giardini di olivi, agrumi e mandorli, la Masseria Zisola, dal nome della sua contrada, collocata al centro di una proprietà terriera di 50 ettari, è adagiata in un pezzo di terra che sembra l’anticamera dell’Eden. Ad amplificare la bellezza del paesaggio naturale è la storia di questa struttura abitativa e di lavoro. Ha attraversato ben quattro secoli, dal Seicento sino agli anni Cinquanta, sempre nelle mani dello stesso proprietario, la famiglia Sofia che, come risulta da antiche carte toponomastiche, è riuscita a tramandare questa proprietà di generazione in generazione. A sentirne il fascino in modo indiscutibile sono stati i Mazzei, famiglia toscana di imprenditori vitivinicoli, proprietari delle cantine di Fonterutoli, ai confini con Siena, spinti ad acquistare la tenuta dall’interesse professionale verso il Nero D’Avola, tipico vitigno delle terre di Noto. Da cinque anni a questa parte i Mazzei si recano nella tenuta Zisola nei momenti fondamentali dell’attività legata alle viti e al vino, soprattutto in agosto e settembre durante la vendemmia. La masseria è abitata, durante tutto l’anno, dal custode e da ospiti che hanno a disposizione, in un’ala della masseria, camere e servizi, ed è quotidianamente animata dalle persone che svolgono tutti i lavori legati alla coltivazione dei vigneti e alla produzione del vino, attività principale che si svolge all’interno
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Vite da baglio / 75
In alto, la cucina, cuore centrale del baglio. Secondo la tradizione della masseria siciliana bisogna avere sempre qualcosa di pronto e caldo da offrire agli ospiti. I piani sono è in pietra lavica. la volta è fatta con travi di castagno come si usava secoli fa; In basso, una delle tre camere del living, insieme alla stanza da pranzo che si vede oltre la porta.
della tenuta. La masseria è ritornata nella sua primitiva bellezza, dopo la ristrutturazione di cinque anni fa, attraverso la quale ha riacquisito la sua originaria identità, insieme all’aspetto e alle funzioni per cui era anticamente nata, a fine Seicento quando fu edificata insieme alla ricostruzione di Noto, dopo il violento terremoto che distrusse tutta la Sicilia sudorientale. Il progetto di ripristino è dell’architetto Corrado Papa, veterano nel recupero di masserie, case rurali e residenze nobili, di cui Noto è ricca e Agnese Mazzei della famiglia degli imprenditori vitivinicoli. “In una vecchia planimetria del Seicento” racconta l’architetto Papa”questo fabbricato è censito come Lochisofia, luogo dei Sofia. Veniva definita come casa turrita, avamposto della città fortificata. Con il baglio centrale di 22 metri per 22 era un presidio per la coltivazione agricola, dotata di bocche di fuoco di piccolo calibro. Era un fabbricato abitato 365 giorni l’anno dai proprietari terrieri e ospitava i lavoratori stagionali. C’era la classica chiusura verso l’esterno e l’apertura verso il cortile interno e la casa era organizzata esattamente secondo la classica tipologia della masseria siciliana”. E’ seguendo questa logica che Papa ha ricostruito la residenza, con la parte padronale, di circa 300 metri quadrati, sviluppata su due livelli. Il piano superiore dell’abitazione è composto da tre camere da letto, >> un soggiorno e la balconata che guarda il baglio e controlla anche
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La barricaia è collocata nel posto più interessante del baglio, dove secoli fa c’era il ricovero degli attrezzi. in questo luogo, fatto con le vecchie pietre che bevono tantissima acqua dalla terra, le barriques si trovano in un ambiente sufficiente umido.
gli ex magazzini e le stalle, diventati residenze per parenti e amici. Al piano terra, si sviluppa il living formato da tre stanze che si susseguono, il terrazzo esterno e una cucina molto grande, che rappresenta il ‘cuore’ della casa, con il focolare sempre acceso. Che i proprietari ci siano o no, i custodi, hanno, comunque, sempre qualcosa di caldo da offrire a chi arriva, tipico dell’ospitalità delle masserie siciliane. I materiali utilizzati per gli interni dell’abitazione padronale sono, si direbbe oggi, a chilometro zero: i pavimenti del piano terra in pietra di Noto, la stessa con cui è fatta la cattedrale della città; i piani della cucina sono in pietra lavica; le pareti, in alcuni punti spesse anche un metro e mezzo, sono intonacate di bianco e fanno risaltare le volte realizzate con travi di legno di castagno, provenienti dai boschi dell’Etna. Il grande baglio centrale continua a essere, ancora oggi, non solo luogo di godimento, ma di lavoro visto che comprende la cantina con i silos per la lavorazione dell’uva e la barricaia per la sua conservazione. All’esterno, dove anticamente si trovavano gli orti per la produzione di frutta e verdura per la famiglia ora c’è un giardino, chiuso da un muro di cinta che protegge dall’aperta campagna. Con il mare che si vede in lontananza, la piscina al suo interno, la distesa di vitigni tutt’intorno, il giardino di ulivi secolari, mandorli e agrumi, alla masseria Zisola non manca proprio nulla per essere un’oasi di pace e lavoro.
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Il baglio è un’oasi di pace, ma è anche un luogo d’intenso lavoro per l’attività vitivinicola legata alla produzione di vini fatti in prevalenza con Nero D’Avola.
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dossier ceramica / 89
la parola ai designer Un settore, quello del bagno, profondamente rinnovato, grazie al contributo creativo e concettuale dei designer, attirati anche dalla possibilità di reinventare una materia antica come la ceramica.
Francesco Lucchese, ha una particolare vocazione per il mondo dei materiali e del bathroom design: oltre ad aver progettato uno showroom di materiali lapidei a San Paolo in Brasile e uno showroom di bagno e cucina, appena aperto a Shangai, lavora per Fir, Villeroy & Boch, Inda, Hatria, Rapsel, Olympia Ceramica, Mosaico+, e Antonio Lupi. Il progetto del termo arredo zero-otto per Antrax gli è valso il premio DESIGN PLUS 2009 e il RED HOT DESIGN AWARD 2010.
Sullo sfondo, mosaico in vetro e ceramica della serie Dialoghi per Mosaico+. In primo piano, le due versioni del radiatore Zero-Otto di Antrax.
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“L
a ceramica è in generale una materia che mi suggestiona, capace di ricoprire ruoli diversi all’interno di uno spazio grazie alle sue caratteristiche fisiche e meccaniche che la rendono funzionalmente perfetta in diverse situazioni. E’ contemporaneamente bidimensionale e tridimensionale, superficie e volume, elemento decorativo e contenitore funzionale e in tutti questi casi ha il difficile compito di entrare in contatto diretto con il corpo umano, circondare le sue forme e sostenere i suoi passi. Ciò che mi stimola a disegnare oggetti e superfici in ceramica è la continua sfida tecnologica a questa materia rigorosa di cui bisogna conoscere regole e comportamenti prima di disegnare una forma o un effetto grafico. Solo così è stato possibile per esempio far percepire un materiale duro per eccellenza come fluido e malleabile, sperimentare nuovi spessori e interazioni con la luce. La piastrella è secondo me materia, decoro, ma anche puro elemento funzionale. Inoltre la piastrella possiede caratteristiche di resistenza, durata e possibilità di colorazione infinite: apprezzo la capacità della ceramica di ricreare suggestioni considerate fino a pochi anni fa di proprietà esclusiva di materiali tradizionali e naturali come il legno e la pietra.Qual è il tema che mi piacerebbe affrontare oggi? La tematica della sostenibilità ambientale è diventata di primaria importanza e credo non sia ancora stata indagata a sufficienza all’interno dell’area bagno. Esistono oggi numerosi singoli prodotti disegnati con attenzione per il risparmio dell’acqua ma non esiste ancora un vero e proprio progetto di bagno integrato sostenibile”.
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24 settembre 2010 INTERNI•PANORAMA Luca Nichetto, classe 1976, è entrato nel mondo del design dimostrando subito un gran carattere guadagnandosi vari i riconoscimenti internazionali, tra cui il Gran Design Award 2008, il Good Design Award del Chicago Atheneum Museum of Architecture 2008, l’IF Product Design Award 2008 e l’Elle Decoration International Design Awards 2009 (EDIDA) come Designer dell’Anno nella categoria Young Designer Talent. E’ un profondo e appassionato conoscitore dei materiali, sui quali indaga per cercare sempre nuove applicazioni: così ha fatto per Refin, con la collezione Grove, che sarà ufficialmente presentata al Cersaie 2010.
Da sinistra: Lampada multisensoriale in silicone Jerry per Casamania. Specchi collezione Zeiss Mirror di Gallotti & Radice. Tavolino Essence Sei con piano in ceramica di Bosa. Sullo sfondo, la piastrella Kaos di Refin.
ancora progettato nulla di specifico per la stanza da bagno, anche se è un settore che ho sempre osservato con attenzione: amo molto quei progetti che tentano di sdoganare il bagno dal freddo minimalismo, rendendolo questo luogo più umano, più giocoso, più naturale. Oggi c’è la tendenza ad inserire un’estrema tecnicità negli oggetti, penso ai rubinetti o alle cabine docce, ma alla fine le persone hanno bisogno di normalità, non di robot o altro. La gente ha bisogno di buon design e di prodotti alla sua i piace tantissimo lavorare con i materiali portata, da usare nel quotidiano, con semplicità. Se dovessi pensare a dei tradizionali ricercando in essi la contemporaneità. Forse perché sono prodotti per una stanza da bagno ideale, credo che mi rifarei ad un nato a Murano e ho sempre avuto a che fare col vetro: questo rapporto principio a cui credo fortemente: Il buon design deve essere democratico. col vetro è lo stesso che sento oggi con la ceramica. Sono materiali E oggi i designer si dovrebbero preoccupare di ciò che fanno produrre: malleabili che da sempre l’uomo ha usato per circondarsi di oggetti utili: abbiamo la possibilità, e direi anche il dovere, di aiutare il consumatore la ceramica fa parte di questo immaginario. L’aspetto del materiale ad essere più responsabile nei confronti dell’ambiente. Dunque, vorrei ceramico che più mi affascina è senza dubbio la sua matericità piuttosto disegnare qualcosa che oltre a essere un bell’oggetto, comunic hi altri che il decoro, inteso come semplice sovrapposizione di un disegno alla valori; una serie di prodotti per il bagno che, oltre a dare un comfort materia. Mi piace cercare nelle piastrelle l’essenza del materiale con cui è fantastico, apportino anche un’esperienza; qualcosa che ci faccia capire realizzata, il grès porcellanato: nella collezione Groove che ho realizzato che lo spreco d’acqua è un gesto di inciviltà, come buttare un sacco di per Refin, è la materia che diventa decoro e non il contrario.Io non ho immondizia in un bosco”.
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24 settembre 2010 INTERNI•PANORAMA Giulio Iacchetti, nato nel 1966, ama disegnare oggetti che raccontano una storia. Caratteri distintivi del suo fare sono la ricerca e la definizione di nuove tipologie di cose, come il Moscardino, posata multiuso biodegradabile per cui, nel 2001, si aggiudica, con Matteo Ragni, il Compasso d’Oro. Ama ricordare il progetto collettivo Eureka Coop, realizzato per Coop Italia che ha portato il design ai grandi magazzini e caratterizzato la nuova generazione del design italiano. Nel 2009 questo progetto gli è valso il Premio dei Premi per l’innovazione conferitogli dal Presidente della Repubblica Italiana. Nel settore dell’arredo-bagno ha lavorato per Tenda Dorica, IB Rubinetterie ed è art-director di Ceramica Globo.
Sullo sfondo, schizzi preparatori per i sanitari e, in primo piano, il lavabo a colonna della collezione Olivia per Ceramica Globo. Miscelatore da lavabo Batlò di IB Rubinetterie.
prescindere. Poi viene il decoro. E anche qui, tuttavia, ci deve essere un’idea, un progetto, una storia che attribuisca al sottile strato ceramico uno spessore teorico. Comunque, non sono così manicheo, le mie scelte sono aperte a qualsiasi materiale, anche i più innovativi e molto dipende dagli effetti che voglio ricreare. Tuttavia la ceramica resta sempre il grande riferimento dell’arredo bagno. Nel mio studio che ho appena ristrutturato, ho impiegato piastrelle Gabbianelli e naturalmente sanitari Globo, e il risultato è un bagno elegante, semplice e funzionale…Certo, in questi anni i sono tanti miei progetti che attestano un sincero abbiamo assistito a importanti trasformazioni dell’ambiente bagno: prima amore per la ceramica: dagli accessori per il bagno per Tenda Dorica (serie un luogo di purificazione, quindi una vera e propria Spa, poi si è evoluto in BOL) ai recenti umidificatori per il Coccio Design Edition. La ceramica è un una specie di sacrario minimalista. Non trovandomi in accordo con queste materiale che da sempre accompagna la vita dell’uomo e anch’io non vengo secche derive stilistiche, con la serie Olivia per Globo e ancor prima con i meno a questo richiamo primordiale per un materiale che combina in rubinetti Batlò e Drop per iB rubinetterie, ho voluto tracciare un percorso modo mirabile i quattro elementi aristotelici: aria, acqua, terra e fuoco.Se di spensieratezza: forme morbide, ironia e colore nel bagno. La mia stanza apprezzo e mi piace usare le piastrelle in ceramica? “Non c’è niente di più da bagno ideale? Ritengo che il bagno debba tornare a essere vivo, profondo di ciò che appare in superficie”... credo che queste parole di Hegel luminoso, un ambiente dove si senta scorrere la vita, dove le forme degli raccontino l’importanza del rivestimento ceramico meglio di ogni altra accessori accolgano il corpo delle persone, dove l’incontro tra benessere e dichiarazione. La matericità della piastrella è cosa da cui non posso necessità trovi un armonico connubio”.
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piiero pi ero Lissoni: difficile descrivere in poche righe questo architetto e designer che, con un segno molto grafico ed austero, progetta abitazioni, hotel, negozi e Yacht, mobili e oggetti. dall’ormai consolidato legame con BoFF FFi FF Fi (di cui è art-director), sono usciti prodotti che hanno influenzato il settore del bagno: uno stile minimalista, che ha segnato un epoca e da cui tanti hanno tratto ispirazione. lissoni, architetto contemporaneo attento alla funzione, ha inserito la piastrella in ceramica in molti suoi progetti: dal grès porcellanato che riveste i pavimenti dei negozi di boffi nel mondo alla piastrella fatta a mano sulle pareti dell’hotel otel di gerusalemme, cercando sempre di creare un dialogo, a volte forte, a volte o volutamente silenzioso, tra ia forma architettonica e il materiale che lo riveste.
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materiche, fatte a mano da Domenico Mori. i piacciono le piastrelle che hanno carattere. La stanza da bagno? Alcuni dicono che ormai è già stato fatto tutto, e in effetti, l’arredamento per il bagno ha avuto un’ enorme sviluppo, grazie anche a aziende come Boffi, con la quale collaboro da anni: un bel materiale, la ceramica. Non ho mai fatto ma è da quando ho cominciato questo mestiere che mi sento dire che non è piastrelle ma ho sempre cercato di usare la ceramica nel miglior modo più possibile disegnare nulla; poi le idee si trovano sempre. Il mio è un possibile Non mi piace se usata in maniera banale, dunque anche quando mestiere che svolgo come se fosse un gioco: vorrei continuare a farlo in utilizzo piastrelle di poco prezzo, uso i colori e le textures, le taglio, le questo modo, e vorrei continuare a inventarmi delle cose. Ho diversi progetti mischio… la bellezza della ceramica è usarla per quella che è, senza trucco e per Boffi, nonostante abbia fatto già moltissimo….. Oltretutto, negli ultimi senza inganno. Penso che tentativi nel copiare il marmo o addirittura il legno anni abbiamo visto tutto e il contrario di tutto: dai mosaici così perfetti da far siano tentativi scellerati che tolgono il vero valore che questa materia ha. impallidire i capolavori di Santa Apollinare a Ravenna fino alle purezze D’altronde, questo materiale ha infinite applicazioni e coniugazioni: ho visto assolute di bagni a ispirazione zen. Da anni lavoro con Boffi perché ho un in Messico bellissime soluzioni che mi hanno colpito nella loro semplice grado di libertà sulla semplificazione estetica che si può ottenere solo straordinarietà: piastrelle tutte di recupero, usate per rivestire esternamente attraverso un rapporto decennale. Non lavoriamo su prodotti ma su progetti. i muri delle case più povere, imprevedibilmente impreziosite da quelle Quest’anno abbiamo presentato il progetto About Water, una collezione di applicazioni. Mi piacciono gli azulejos portoghesi: piastrelle che hanno un rubinetti realizzata con Fantini: una bella alleanza sinergica tra due mondi profondo valore decorativo e rappresentativo; le piastrelle di Vietri o quelle che si che si compenetrano, molto stimolante”. batteria lavabo tre fori: fa parte della collezione al/23 aboutwater (BoFFi-Fantini). lavabo a colonna in cristallo ph e vasca iceland in cristalplant disegnate per BoFFi.
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MARC SADLER, austriaco, ha studiato a Parigi nel 1968, quando il design si chiamava esthetique industrielle. Ha cominciato progettando prodotti per lo sport come il primo scarpone da sci in materiale termoplastico, seguito dal brevetto per lo scarpone con scafo simmetrico, per anni il più venduto al mondo: esperienze che gli hanno permesso di maturare una competenza composita su materie e tecnologie di lavorazione, esportate poi in settori dove spesso il design ha un significato essenzialmente circoscritto all’estetica. In tutti i suoi progetti convivono una forte dimensione tecnologica e un approccio funzionale importante: l’oggetto che ne esce non è mai solo formale, ma contiene sempre un alto contenuto innovativo, come nell’ultima collezione di mobili e lavabi disegnata per Karol, o nella sfida dimensionale affrontata nella collezione di lavabi in ceramica per Kerasan.
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a ceramica mi piace molto, soprattutto quella classica e bianca, quella dei sanitari per intenderci. Sono un fautore del ritorno alla ceramica per molti oggetti e complementi – e non solo del bagno – dai quali è praticamente scomparsa a favore di altri materiali solo apparentemente più moderni. In realtà la ceramica è materiale moderno per eccellenza in quanto naturale, igienica e totalmente riciclabile. Delle piastrelle apprezzo la matericità, il decoro, la possibilità di utilizzarla come materiale neutro da rivestimento: nelle tipologie più semplici garantisce un rapporto qualità/prestazioni/prezzo difficilmente comparabile con altri soluzioni di rivestimento. Ma è altrettanto vero che negli ultimi anni intorno al pianeta piastrella sono stati sviluppati infiniti temi non soltanto per le sconfinate possibilità di decorazione superficiale ma soprattutto connessi alla materialità della superficie che sa farsi di volta in volta pietra antica, ferro corten, simil legno e mille altre interpretazioni. Nella mia vita professionale ho affrontato spesso la progettazione di oggetti per la stanza da bagno: ho lavorato per Boffi, Axa, Ideal Standard, Kerasan, Karol. Oggi mi pare confermata la tendenza ad arricchire il bagno di funzioni e suggestioni. La stanza da bagno resta tuttavia un ambiente vissuto in maniera ambivalente: da una parte una macchina funzionale e
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Dall’ alto: lavabo Kalla, progettato per Karol, così come il lavabo Kritt realizzato con un nuovo materiale, il Ductal, un particolare impasto di cemento compatto ma elastico. A sinistra, lavabo in ceramica della serie Cento per Kerasan, caratterizzato dalla straordinaria misura di cm 140 x 45.
performante, dall’altra un luogo ove coltivare relax e cura di sé stessi. Il difficile connubio fra queste due esigenze resta il nodo del problema da affrontare con soluzioni forse non ancora del tutto esplorate. Per quanto mi riguarda, trovo sempre molta ispirazione dagli elementi primari: aria, acqua, luce; mi piace calibrarli come e dove servono e regolarli in base alle esigenze e al momento: forte erogazione d’acqua per una doccia al volo di 5 secondi, acqua mista ad aria nebulizzate per una rinfrescata estemporanea in un torrido pomeriggio milanese di luglio ... illuminazione totale quando mia moglie cerca la lente a contatto che ha appena perso ... un filo di luce quando mi faccio la doccia alle 5 di mattina prima di partire. Tutto il resto è puro contorno, che arredo con mobili ed oggetti che mi piacciono di provenienza più che varia”.
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24 settembre 2010 INTERNI•PANORAMA Patricia Urquiola, spagnola di Oviedo, vive e lavora a Milano. È stata allieva di Achille Castiglioni e Vico Magistretti, da cui ha appreso sia il rigore che l’ironia. Il suo è un talento indiscutibile che dimostra con costanza, spaziando senza tregua tra materiali, forme, sperimentazione, artigianato, in una produzione di oggetti sempre caratterizzati da un alto contenuto estetico e una forte connotazione materica. Ha disegnato una serie di rubinetti per Axor, santari, mobili e accessori per il bagno per Agape mentre per Mutina presenta quest’anno la sua seconda collezione di piastrelle in grès porcellanato.
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mo molto la ceramica, in generale: la vedo come un materiale in evoluzione, nelle dimensioni, nelle forme, nella tattilità, nell’utilizzo. Nelle superfici ceramiche da rivestimento non mi piace l’eccessiva lucidità. Mi piacciono la costanza qualitativa, la riproducibilità, il fatto di poter lavorare sugli stampi, la resistenza. Le collezioni che ho realizzato con Mutina rispecchiano questa mia ricerca, sia materica che decorativa. Sicuramente è un materiale moderno e funzionale, con il quale si può dosare l’elemento decorativo, tra superfici lisce e a bassorilievo. Può sostituire altre tipologie e può avere nuove funzioni, architettoniche o di product design, come nei tavoli che ho sviluppato con B&B Italia e con Mutina, dove la piastrella, anche in formati large, diventa piano d’appoggio. Come vedo la stanza da bagno? Vorrei che questo spazio importante della casa ritornasse a essere un luogo intimo: l’ultimo baluardo della privacy. Dove ci possiamo isolare dal resto del mondo e curare noi stessi. Dove non entra il cellulare. Dove poter svolgere il rituale di pulizia del corpo e della mente. Un luogo che si possa aprire alla camera da letto, creando un isola per noi e il nostro partner. Il mio bagno è una stanza speciale della mia casa: piena di piante, con oggetti, sedie, luci e accessori caldi, un luogo denso, non una clinica. E con abbastanza spazio per dividerla contemporaneamente, senza darci fastidio, con il mio partner”.
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La nuova piastrella prodotta da Mutina, lavabo a colonna Pear, in Cristalplant e vasca Vieques in acciaio, disegnati per Agape. e il rubinetto lavabo a tre fori con piastra disegnato per Axor.
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24 settembre 2010 INTERNI•PANORAMA Carlo Colombo è nato in Brianza nel 1967 e si è laureato al Politecnico di Milano. Cresciuto nella patria del design italiano, si è presto affermato come lucido interprete di un minimalismo schietto e concreto, disegnando per alcune tra le più importanti aziende dell’arredamento tra cui Poliform, Zanotta, Arflex. Nel settore dell’arredo–bagno lavora con AntonioLupi, di cui è art-director e ridisegnando intere collezioni, dai sanitari alle rubinetterie, interpretate sempre con uno sguardo attento alla contemporaneità dell’habitat domestico.
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A sinistra, vasca in marmo di Carrara e lavabo free-standing realizzato in Cristalplant: sono due dei nuovi prodotti che verranno presentati al CerSaie. Sotto: Opium, lavabo free-standing in pietra luce. Tutto per il marchio AntonioLupi.
a stanza da bagno è per me un argomento interessantissimo, ancora più della cucina. Il bagno ha avuto infatti un’evoluzione enorme negli ultimi anni, assumendo un ruolo centrale nella vita della casa: è diventato una stanza più intima e, poiché viene arredato in modo più trasversale, ci si passa più tempo; dunque anche i volumi sono cambiati: ora si tende a realizzare spazi più ampi e arredati. E non sono solo le donne che apprezzano questo luogo di cura del corpo e benessere, ma anche e sempre di più, gli uomini. Sulla base di queste indicazioni socio-culturali, ho sviluppato con antoniolupi un progetto che, iniziato alcuni anni fa, si sta evolvendo nella ricerca sempre più approfondita di un immaginario sofisticato e ricco di elementi d’attualità. Abbiamo voluto realizzare oggetti come, ad esempio, i lavabi free-standing, con materiali preziosi come la pietra e il marmo. Ci piace proporre oggetti belli da guardare, da toccare, da mostrare e forse è per questo che mi piace usare materiali naturali, come il legno e la pietra. La mia idea del bagno è piuttosto primordiale: una caverna da cui sgorga l’acqua, linee morbide ma decise, monomatericità: la pietra risolve le mie necessità estetiche e funzionali, la amo sopra ogni altro materiale. La ceramica? Ha avuto un’evoluzione incredibile, sia dal punto di vista tecnico che estetico: sicuramente assolve a molte più funzioni, soprattutto se inserita in contesti pubblici. Con antoniolupi studiamo i materiali anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale, argomento che mi interessa particolarmente: usiamo vernici all’acqua e facciamo sperimentazione su materiali riciclati. A questo proposito attendo gli sviluppi della ricerca sul legno liquido, un materiale innovativo a base di polveri di legno riciclate, col quale si possono realizzare oggetti interessanti e che potrebbe portare un bell’apporto alla sostenibilità nella stanza da bagno. Sono anche molto attento allo sviluppo della tecnologia Led che sta dando un enorme contributo all’abbattimento dei consumi energetici. Il mio bagno di casa? E’ la sintesi di tutti i miei progetti: uno spazio grande e armonico, molto semplice e monomaterico, pietra e cristallo. Un unico aspetto decorativo: un vecchio specchio con una cornice dorata. Per ora è così, ma a me piace cambiare spesso”.
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ph. Ramak Fazel
RODOLFO DORDONI nasce a Milano, dove si laurea in Architettura, nel 1979. Architetto e designer, in lui convivono il segno minimalista e l’eleganza nell’uso dei materiali, la raffinatezza schietta e l’approccio filologico al progetto: un dialogo stilistico che ha prodotto molti esempi entrati nella storia del design italiano. È stato responsabile della direzione artistica di Artemide (collezione vetro), Cappellini (dal 1979 al 1989), Fontana Arte (collezione arredo), Foscarini; lo è a tutt’oggi di Minotti (dal 1998) e Roda (dal 2006). Ha disegnato prodotti per moltissime aziende di design. per il settore bagno lavora per Dornbracht, Nobili Rubinetterie e Ceramica Flaminia.
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a materia ceramica è per me una scoperta recente: frequentando i luoghi di produzione, in particolare la fabbrica di Flaminia dove abbiamo prodotto la mia ultima collezione di sanitari, è emerso un interesse vero per questa materia che è plasmabile e dunque molto affascinante; dal punto di vista progettuale, quando pensi ad un oggetto in ceramica, disegnarlo è come modellarlo con le mani e la sensazione manuale e sensoriale che se ne deriva è unica ed è diversa da quanto accade con qualsiasi altro materiale. Quando questa materia si trasforma in rivestimento, ne apprezzo la sua estrema versatilità: uso la piastrella in funzione del progetto, a volte come decorazione, a volte come un materiale neutro. Mi piace la possibilità di disegnare le pareti con una grafica o come una tappezzeria colorata, mi piace la brillantezza e la matericità. E oggi le aziende offrono talmente tante varianti, che c’è solo l’imbarazzo della scelta. La stanza da bagno: è interessante perché sono cambiate le abitudini; oggi il bagno è al centro dell’attenzione sia della produzione che del progetto. Ricordo una ventina di anni fa, negli Stati Uniti, la casa di un famoso collezionista: il bagno era una stanza spettacolare, così vissuta ed amata, che il padrone di casa vi aveva portato persino il suo letto, che troneggiava al centro, tra la vasca e i lavabi. Ne rimasi molto colpito perché lì veniva abbandonata l’idea che considerava la stanza da bagno come un luogo di solo servizio e anzi la interpretava con una intimità che mi impressionò piacevolmente. Senza arrivare a tanto, oggi spesso i clienti mi chiedono un bagno che sia un luogo del benessere, dunque arredato anche con sedute morbide, quadri, tappeti, perché vada sempre più vicino ai desideri del corpo, a toccare e a stimolare la sensualità delle persone: non più un luogo asettico, ma affascinante e ricco d’atmosfera. E oggi questo è ancora più possibile, perché c’è una vasta produzione che permette di integrare il bagno col resto della casa, mixando le tipologie, le forme i materiali: la stanza è diventata un contenitore di oggetti compatibili uno con l’altro in una dimensione estetico/funzionale che stimola sempre nuove soluzioni”.
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In alto: collezioni di sanitari Como disegnati per Ceramica Flaminia. Rubinetto Likid, disegnato con G.Guillaumier per Nobili. Applique Pochette per Flos, disponibile nelle finiture cromo, bronzo, grigio matte e bianco. Maniglia per mobili Jade in porcellana bianca o finitura craquelé, nera o tortora, prodotta da Pamar.
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rigorosamente geometrico oppure romanticamente rétro. a tendenze bagno diametralmente opposte risponde la tecnologia digitale: per piastrelle sempre in pendant. di Laura Traldi
grand couture la linea di lavabi modo di gsi, nelle nuove varianti 120x50 e 65x50. nella pagina accanto dall’alto, in senso orario. mini-lavabo triangolare normal (42x42 con profondità 35 cm) di romano adolini per White stone. doccia oasi di Arblu in acciaio inox con soffione tondo, idrogetti nebulizzatori e doccino. piatto doccia a filo pavimento in antracite city opaco della collezione coordinated colors di KAldeWei, disponibile anche in altri colori. la collezione Khroma di rocA nella versione passion red di vincent gregoire con sedute dei vasi e copri bidet in roca soft texture ®, materiale, morbido e resistente in poliuretano rinforzato. il shower tray modello h6 in grigio antracite di cerAmicA cielo, con smalto stone effetto grezzo sviluppato dall’art director michela benaglia.
geometrismi
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Il rigore delle linee rette e dei profili a scomparsa. Con un tocco di colore.
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Dall’alto, in senso orario. Un pavimento rivestito con le piastrelle della collezione Geo, gres porcellanato smaltato colorato in massa di Cercom Ceramiche disponibile nei formati 30,4x30,4; 15x60,8; 30,4x60,8. Parete rivestita con le piastrelle in gres porcellanato smaltato della serie Marbleway di ABK qui nel decoro In Fiore, formato 33,3x60. La collezione Marmi di Rex, in gres porcellanato colorato in massa, color Grey, 60x120. piastrella della collezione Materia di Naxos in pasta bianca, qui nel decoro Wengé, formato 25x45 e un decoro geometrico della serie Marmo D Wall di impronta ceramiche, realizzato con la tecnologia Pro.Digit (stampa digitale combinata con quella incavografica), che permette di riprodurre fedelmente la naturalezza del marmo. Qui il decoro Crema Marfil 24,5x49,5.
digital technology A qualunque ambiente la sua piastrella. Grazie alle tecnologie digitali e alle colorazioni in massa, la ceramica è oggi in grado di imitare qualsiasi materiale, riproponendolo in svariati formati.
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rétro
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Bagno o boudoir? Continua a sedurre il fascino di un corpo dalle forme d’antan dentro cui batte un cuore high tech. In alto, a sinistra, la vasca da bagno Vintage di Bruna Rapisarda e Franca Lucarelli per Regia. È realizzata in livintech®, una resina atossica, ipoallergenica, ignifuga e riciclabile. in alto, a destra, la collezione Retrò di Kerasan, nella versione su colonna in ceramica con accessori, rubinetterie, termo arredo, piatti doccia con box e vasca abbinati. qui sopra, Il nuovo miscleatore monocomando Tricolore Retrò in ottone cromato di Cristina Rubinetterie con aeratore silenziato con sistema anticalcare. a lato, La consolle Serenade di Devon & Devon con piano in ceramica fire-clay nera poggiato su gambe in fusione di alluminio lavorato artigianalmente con finitura antico nickel.
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Sono il signor Casalgrande Padana Cinquant’anni di risultati: dalla leadership nella piastrella di grès porcellanato alle tecnologie per produrre superfici antibatteriche. La passione per l’architettura e l’amore per il territorio d’origine.
L Nella foto in alto, lo skyline della fabbrica di casalgrande padana. sotto. una campionatura di colore. al centro franco manfredini presidente dell’azienda.
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o scorso maggio Franco Manfredini è stato nominato Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, un riconoscimento che coincide con un altro appuntamento importante, il cinquantenario della sua azienda, Casalgrande Padana. Presidente, come vive questi momenti? L’onorificenza che è arrivata ha coinciso con l’anniversario dei cinquant’anni di vita dell’azienda in cui ho vissuto tutta la mia carriera professionale, è stata proprio la ciliegina sulla torta: ovviamente mi sento molto onorato. Trovo che sia la migliore gratificazione di una vita intera >> spesa nell’attività imprenditoriale.
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“il segreto di casalgrande padana in questo mezzo secolo di lavoro è stato una ricerca coerente della qualità, dell’innovazione e della sostenibilità”.
Casalgrande Padana produce oltre seimila articoli tutti ad alta valenza tecnologica, tra questi Bios., lastre in ceramica antibatterica in grado di abbattere al 99% i principali ceppi batterici. bios. è stato anche utilizzato nel nuovo centro di medicina rigenerativa stefano ferrari di modena, struttura all’avanguardia nella ricerca sulle cellule staminali epiteliali.
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Per questa speciale occasione Casalgrande Padana ha individuato in un grande architetto internazionale, Kengo Kuma, l’artefice a cui attribuire un incarico importante, ce lo racconta? Noi siamo sempre stati lieti di sostenere iniziative legate al nostro territorio in ambito culturale e sportivo. Quest’anno, arrivati al cinquantenario, abbiamo voluto fare qualcosa in più. Per questo ci siamo rivolti a un grande architetto che potesse garantire al progetto una qualità di sicuro pregio: una straordinaria opera di land art perfettamente in armonia c on il territorio. Come è nata la relazione con questo grande progettista giapponese? L’avevamo avuto ospite in una delle nostre passate edizioni del Premio Grand Prix (concorso internazionale, istituito nel 1990 per premiare le opere che meglio hanno saputo valorizzare le proprietà tecniche ed espressive degli elementi in grès porcellanato prodotti da Casalgrande Padana, ndr). In quell’occasione abbiamo potuto apprezzare la sua professionalità, conoscere la sua poetica che punta all’integrazione dell’opera con l’ambiente dove si installa, la sua naturale attitudine alla leggerezza. Lavorare con lui è stata un’esperienza stimolante anche perché Kuma ha preso a cuore la proposta che gli abbiamo fatto e il suo impegno potrà essere apprezzato non solo a livello locale ma anche a livello internazionale. Alla edizione di Design Thinking, l’evento realizzato da Interni alla Statale di Milano lo scorso aprile in occasione della Settimana Internazionale del Design, avete presentato, sempre su progetto di Kengo Kuma, un’istallazione, CCCWall, ispirata al progetto che realizzerete da voi in sede. Il progetto ha fortemente emozionato, al punto che molti visitatori sono tornati più volte a rivederlo. Come sarà l’opera? Per il cinquantenario cercavamo qualcosa che segnasse l’ingresso nel nostro distretto ceramico, il più importante d’Italia e del mondo, così abbiamo pensato a una porta d’ingresso, uno spettacolare landmark. L’opera, la prima costruita in Italia da Kuma, (che sarà inaugurata in Ottobre ndr) è inserita in un’area di oltre 2800 metri quadrati destinati a verde pubblico, sulla nuova Strada Pedemontana all’altezza del sito produttivo dell’azienda: attraverso una spettacolare landmark.
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CCCloud è una straordinaria struttura tridimensionale che sperimenta l’applicazione innovativa dei componenti ceramici di ultima generazione. Interamente realizzata con speciali lastre di grandi dimensioni in grès porcellanato fissate meccanicamente a un’intelaiatura metallica concepita appositamente, la costruzione si sviluppa per oltre 45 metri per un’altezza di 6. La presenza di vasche d’acqua e di un sapiente gioco di luci la trasforma in una scultura molto suggestiva. Parliamo ora della ricerca: è sempre stata un punto d’onore della storia di Casalgrande Padana. Ci vuole raccontare? Siamo nati nel 1960. E siamo stati la prima azienda italiana a focalizzarsi sul grès porcellanato non smaltato. Oggi siamo una realtà con 580 dipendenti senza contare i 550 dipendenti della società controllata Nuova Riwal sei stabilimenti ad alto contenuto tecnologico. Lavoriamo su una >> superficie complessiva di 700mila metri quadrati. Il segreto di
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Tre scatti realizzati all’interno degli stabilimenti dell’azienda. I sistemi di produzione sono tra i più avanzati al mondo. Questo permette di produrre piastrelle sottili anche di 4,5 mm e di dimensioni che vanno da15x15 cm a 60x120 cm. In basso, a sinistra. Il capannone che raccoglie i diversi tipi di terre utilizzate. A destra. La fase di pressatura.
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“Qualità vuol dire investire nel prodotto, nella ricerca, ma anch e in quei progetti che aiutano a crescere dal punto di vista culturale e ambientale”.
questo mezzo secolo di lavoro è stato una ricerca coerente della qualità, dell’innovazione e della sostenibilità ambientale: le attività di Casalgrande sono costantemente animate da una strategia tesa alla qualità totale. Che cos’è esattamente per lei la qualità? La nostra azienda non si limita soltanto a garantire elevati standard prestazionali ai propri prodotti, ma si impegna costantemente nel miglioramento dei processi di produzione e dei servizi. Ogni fase di produzione è costantemente monitorata, ogni passaggio produttivo – dalla scelta delle materie prime all’assistenza al professionista – è caratterizzato dalla ricerca dell’eccellenza. Ovviamente il tema dell’ecologia è un nostro punto d’orgoglio: realizziamo materiali ecologici per l’architettura contemporanea, utilizzando impianti industriali e procedure di politica ambientale decisamente orientati alla sostenibilità. Quali sono gli ultimi risultati produttivi che vi rendono particolarmente orgogliosi? Direi Bios., la linea di piastrelle in grès porcellanato a tutta massa pienamente
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due immagini scattate durante i workshop di casalgrande per l’arte, in cui vengono invitati a collaborare artisti e professionisti che hanno affinità con il mondo della ceramica. Nella foto piccola , franco manfredini al centro con Sunghe oh a sinistra e miwha park a destra.
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vetrificato, le piastrelle sono rese antibatteriche attraverso un innovativo processo produttivo e particolarmente idonee per quegli ambienti in cui è richiesto un alto livello igienico. Anche in questo caso abbiamo ricevuto diversi riconoscimenti oltre che un notevole riscontro dal mercato. Lei diceva prima che Casalgrande Padana ha costruito nel proprio distretto la sua base operativa questo significa la scelta di avere tutte le aziende sul territorio locale. Questo nasce da un orientamento molto preciso che ho perseguito in tutti questi anni,voler essere imprenditore protagonista sul territorio dove sono nato, dove sono cresciuto e dove ho piacere di fare qualcosa che serva anche alla comunità. Se dovesse riconoscersi un merito in rapporto anche agli atteggiamenti di altri imprenditori, qual è la caratteristica che la contraddistingue? Non considerarmi mai arrivato, dover sempre ricominciare daccapo e pensare sempre che quello che ho raggiunto non è mai definitivo perché il futuro va conquistato giorno per giorno. Io spesso cito la
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Formula 1 mi dicono: “quest’anno la Ferrari va piano”. Non è vero perché penso sia come l’anno scorso, non ha cambiato la velocità sono gli altri che sono andati avanti. In un sistema competitivo bisogna sempre pensare che se tu stai fermo sono gli altri che vanno avanti e allora non bisogna mai considerarsi arrivati.
Sopra. la maquette di cccloud la mega installazione progettata da kengo kuma per casalgrande padana in occasione del cinquantenario dell’azienda. nelle foto piccole. kengo kuma e il suo staff durante il progetto di cccloud l’opera che sarà inserita in un’area di oltre 2.800 metri quadri all’altezza del sito produttivo dell’azienda.
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I nuovi volti dell’ospitalità di Ester Giarolli
Basta con la solita spa e largo alla sperimentazione. Dallo stile optical e surreale a quello che privilegia la leggerezza e la trasparenza. a Hotel & Spa Design ce n’è davvero per tutti i gusti.
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Benessere nell ’Essere di Davide D’Agostino. Chi entra in questo spazio, dedicato alla percezione sensoriale, viene avvolto da suoni, luci, colori e odori, proposti in modo armonico non intrusivo per stimolare l’equilibrio tra anima e corpo. Per info: www.spa-design.it.
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a sempre, in tema di design e interior Milano è in Italia Caput Mundi. Eppure ci sono settori in cui il capoluogo meneghino viene ampiamente surclassato da altre regioni italiane. Come quello delle strutture alberghiere e delle spa. Le cifre, infatti, parlano chiaro. Più di un terzo degli alberghi del Bel Paese si trova nel sud con la Campania che vanta il primato di regione con più hotel a cinque stelle e maggior numero di spa (insieme al Trentino Alto Adige). Cade dunque a fagiolo l’iniziativa di MyExhibition (già organizzatore di Home & Spa Design allo scorso Fuori Salone) di portare la nuova edizione della mostra espositiva itinerante del design e dei materiali del benessere Hotel & Spa Design all’ExposudHotel, in onda dal 14 al 18 novembre del capoluogo partenopeo. Sviluppata in 600 metri quadri l’esposizione proporrà una vera e propria hall di albergo, una spa, camere e suite, uno spazio outdoor, ristorante e sala congressi, tutti interpretati da diversi studi di architettura specializzati nel settore. Lo scopo? Far raccontare agli spazi allestiti quanto è possibile rinnovare il volto dell’ospitalità e del benessere quando si lascia spazio al design e alla sperimentazione. Ecco quindi il concept dell’area di ristoro e relax comune trasformarsi, grazie alla
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creatività di King Size Architects di Maurizio Favetta, in un Infinity Lounge, uno spazio di cento metri quadri con aree bar, lounge, desk e food, cui si accede attraverso un tunnel che si è tentati di definire onirici tanto sono giocati sugli accostamenti tra forme e colori dal sapore OpArt. E i progetti abitativi MED Dreams di Diego Granese, che attingono a piene mani dall’immaginario mediterraneo: mini appartamenti con interior appositamente pensati per permettere il massimo godimento del relax vacanziero. È il benessere a farla da padrone anche nel progetto dello Studio Apostoli (Suite Spa): uno spazio in cui il lusso emerge dalla ricchezza non ostentata dei materiali, sempre diversi, e dall’utilizzo di pochi vivaci colori che si rincorrono senza mai toccarsi creando zona bagno, notte, lounge e guardaroba. Di sapore dichiaratamente contemporaneo è poi la Spa dell’Ozio di Marco Vismara e Andrea Viganò dello Studio D73 dove, accanto alle zone del wellness, troneggiano sofa e sedute ad alto tasso di relax. Grazie all’utilizzo di materiali trasparenti e di colori chiari il risultato finale è quello di uno spazio leggero e ovattato, senza confini netti. Fluidità sembra essere la nuova parola d’ordine anche nelle spa. Largo quindi alla percezione sensoriale intellettualmente attiva, ottenuta grazie a spazi tutti da leggere, come nell’installazione Benessere nell’Essere di Davide D’Agostino, dove si punta sull’armonia dei sensi, stimolata da presenze non intrusive di colori, suoni, odori. Perché il viaggio, l’ospitalità e il benessere si trasformino finalmente in un’esperienza degna di questo nome.
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dossier ceramica / COMPLEMENTI / 125
calore amico
Teso, di Dante O. Benini e Luca Gonzo per Antrax: è costituito da un elemento in profilato estruso di alluminio largo 25 cm installabile singolarmente oppure a due o tre elementi con altezza variabile 150, 170 o 200cm. Può essere posizionato orizzontalmente o (sotto) verticalmente.
C’è o non c’è? Il calorifero che scalda ma non ingombra. E dà una mano quando serve. di Ester Giarolli
È
bello il design che sussurra. Che suggerisce senza sbraitare, che cattura l’occhio senza impadronirsene. Come un tocco di un segno sapiente su una tela, questo design si integra nello spazio: modesto nella sua impeccabile sicurezza. E sono proprio la semplicità, la raffinatezza e l’essenzialità i valori squisitamente progettuali che fanno spiccare Teso nell’universo dell’arredo-bagno. L’ultimo nato di Dante O. Benini e Luca Gonzo per Antrax, presentato in anteprima al Cersaie di Bologna, assolve infatti pienamente le sue funzioni primarie, riscaldare e arredare, attraverso una presenza discreta, accomodante, concepita per essere anche al servizio dell’ordine. Teso è infatti una lunga asta in acciaio, posizionabile sia in orizzontale che in verticale, a uno o più moduli, e funge quindi anche contemporaneamente da gancio e scalda salviette. Perché anche il disordine creativo del tessile da bagno si trasformi in un modo di vestire questo spazio sempre più da vivere. Riscaldandolo non solo con la temperatura.
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L’arredo bagno? È una realtà globale da affrontare giorno per giorno con la mente aperta al nuovo e alla sostenibilità. Le ricette di Scarabeo per portare la qualità made in Italy nel mondo.
Bello e buono di Ester Giarolli
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L’eleganza del bicolore: un lavabo free standing della collezione Moai di Scarabeo, disponibile anche in oro e argento. A destra, la collezione Wish, di Talocci Design, tutta giocata sulle geometrie ellittiche che generano bordi che fungono anche da piani d’appoggio.
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uardarsi intorno. Capire che aria tira, sempre, e saper cambiar rotta agilmente, come uno yacht da regata piuttosto che un transatlantico. Pensare globalmente, proponendo però qualità e design made in Italy. Giocando queste carte, la famiglia Calisti è riuscita a trasformare la Scarabeo, nata nel 1974 come una piccola realtà industriale del settore degli accessori da bagno, in un colosso del settore dell’arredobagno. “Il risultato è che oggi siamo effettivamente un transatlantico”, dice Giampaolo Calisti, amministratore delegato dell’azienda, “ma non abbiamo perso l’agilità della barca da regata”. Qualche esempio? L’essersi saputi muove fin dagli inizi sull’estero, giungendo a esportare fino al 75% della produzione; l’aver saputo virare dai semplici accessori alla proposta completa per l’arredobagno, focalizzandosi in particolare sul lavabo d’arredo a carattere sperimentale; l’aver scommesso sul settore del contract (che conta per il 20% del fatturato) e l’affidarsi al “fiuto” per quanto riguarda i paesi emergenti (“puntiamo sul mercato indiano: siamo convinti che nel prossimo futuro possa darci ottime opportunità”, dice Calisti. Poi, l’innovazione prodotto. “Premesso che i nostri primi modelli degli anni ‘90 ancora vendono molto bene, la tendenza attuale è di presentare delle linee più morbide, con bordi sottili che consentono di avere bacini di buona capienza anche in spazi ridotti, come nella Thin Line oppure eliminando, come in Tsunami e Kong, il bordo tout court”, spiega Calisti. “E offrendo personalizzazione: già da qualche anno abbiamo inserito molte colorazioni e decori, disponibili sul 90% della gamma, perfette per rendere unico l’ambiente bagno. Il tutto riducendo il consumo idrico e lavorando in parallelo sull’utilizzo di energie alternative, come quella solare, per ridurre le emissioni di CO2 a livello di impianti produttivi”. Perché il bello viaggi in tandem col buono.
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in senso orario. Un decoro della collezione Lines di Patrick Norguet per Lea Ceramiche che utilizza la tecnologia Lea FULL Hd sul gres laminato di soli 3mm di spessore LeaSlimtech: il risultato sono lastre di grandi dimensioni, fino a 300x100 cm. Lo stile garbato e le trame leggere su cromie pastello della collezione Bon Ton di Ragno, piastrelle in pasta bianca 20x50 cm di 10 mm di spessore. La collezione Plenitude in pasta bianca di Atlas Concorde qui nella versione Blue Avio formato 30,5x91,5 cm.
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il comparto ceramico italiano scommette suI mercati emergenti. Vincendo in cinque mosse: ecologia, innovazione, qualitĂ , stile, esperienza. di Antonella Galli
visitare il cersaie In queste pagine: alcuni allestimenti nella scorsa edizione di Cersaie, la piÚ importante vetrina internazionale del settore ceramico e arredobagno. Anche quest’anno la manifestazione, dal 28 settembre al 2 ottobre presso il Quartiere Fieristico di Bologna, registra il tutto esaurito negli spazi espositivi.
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I grandi maestri scelgono la ceramica, materiale dall’anima antica e dalle prestazioni sempre più avanzate.
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Al Cersaie sarà presentato il progetto londinese di Central St Giles (sopra e a destra) firmato da Renzo Piano Building Workshop: un complesso urbano in cui vetro acciaio e ceramica sono gli elementi fondamentali del rivestimento.
a luce in fondo al tunnel sembra più vicina: benché la contingenza economica non sia ancora positiva, nel settore ceramico la fiducia delle imprese sta riprendendo a crescere. Con l’Italia ancora in testa come leader mondiale sia per le esportazioni, sia per la qualità produttiva. A fotografare l’attualità ci aiuta Franco Manfredini, presidente di Confindustria Ceramica da maggio 2009: “La crisi non è stata del settore ma del commercio mondiale: abbiamo gestito il calo della domanda cercando di non sacrificare le risorse, soprattutto di personale (abbiamo preferito quegli ammortizzatori che lasciano il più possibile le persone all’interno dell’azienda), e senza rinunciare a investimenti e ricerca. È stato accelerato il processo di ristrutturazione delle aziende, un processo continuo perché l’industria è dinamica. Forse il momento peggiore è alle spalle”, confessa. L’industria ceramica in Italia, concentrata in alcuni celebri distretti, con Sassuolo capofila, non ha registrato i grandi accorpamenti visti in altri ambiti: “La storia ha dimostrato che nel nostro settore”, continua Manfredini, “l’azienda grossa convive con la piccola. La forza di distretto consente ai piccoli di operare sul mercato e il sistema logistico permette di spedire piccoli lotti a costi contenuti.” Quindi l’export si riconferma la vocazione principale della ceramica italiana: “Si esporta il 70%, su un mercato vastissimo, che consente di compensare i cali di alcune zone con la crescita di altre”. Un networking consolidato, e in perenne evoluzione: “La ceramica italiana ha sempre esportato nei Paesi ad alto reddito, in Europa, in America del Nord, in Australia, in Estremo Oriente, dove però le economie ora sono in sofferenza. La potenzialità”, precisa Franco Manfredini, “sta nelle aree
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Tutte le novità Cinque giorni, dal 28 settembre al 2 ottobre, per esplorare le nuove frontiere del progetto applicate al prodotto ceramico: Cersaie si conferma come appuntamento di livello internazionale per scambiare competenze ed esperienze. “ Si parlerà di economia e architettura, con grandi firme e giovani progettisti”, illustra Vittorio Borelli, presidente della Commissione attività promozionali e fiere di Confindustria Ceramica; “nell’ambito del contenitore culturale ‘Costruire, abitare, pensare’ interverranno grandi nomi del progetto, dall’architetto americano David Childs al team di Renzo Piano Building Workshop, da Enzo Mari a Michele De Lucchi, impegnati in lezioni e conferenze. Tra le mostre all’area 48, oltre al progetto del quartiere St. Giles di Londra di Renzo Piano, esporremo nella mostra Beautiful Ideas le 123 opere arrivate al concorso per giovani progettisti, tra le quali è stato scelto il nuovo logo della manifestazione”. Così Cersaie apre al futuro.
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un dialogo a più voci Rispondo volentieri alla domanda del direttore di Interni Gilda Bojardi su ‘Come si comunica Cersaie?’, sottolineando la natura multi-stakeholder della manifestazione. Cersaie, oltre ad essere evento commerciale internazionale, è luogo del dibattito politico, come dimostra quest’anno la presenza di Altero Matteoli, Emma Marcegaglia e Vasco Errani, ma anche della riflessione culturale grazie a ‘Costruire, Abitare, Pensare’ con diciotto conferenze che declinano il ‘cambio di clima’ sul versante dell’architettura, del sociale, delle città e dei nuovi materiali. Questa 28° edizione racchiude una novità: accanto all’Agorà della Stampa è nato il Web and Tv Village, luogo fisico in fiera dal quale l’evento viene raccontato grazie alle moderne tecnologie dell’informazione. Una diretta live che, attraverso i canali tematici dedicati alla casa, al design e all’architettura, diffonde il Cersaie e la sua cultura. Andrea Serri (Responsabile Comunicazione Cersaie e Confindustria Ceramica) David M. Childs, presidente e progettista di punta dello studio newyorkese SOM (Skidmore, Owings & Merril LLP), terrà al cersaie di Bologna la lectio magistralis il 30 settembre. Tra i suoi progetti nella Grande Mela, il JFK International Arrival Building (sopra) e il progetto per la parte centrale di Ground Zero (a sinistra).-
emergenti come Asia, Cina, Africa, Medio Oriente, America Latina e Centrale, dove si sta formando una fascia di popolazione benestante e che ama il Made in Italy. Esportiamo piastrelle in Cina (è come vendere il gelato al Polo Nord) perché abbiamo un valore aggiunto di design, qualità e innovazione.” Nuovi mercati, quindi, ma anche nuove applicazioni: si punta su prodotti con dimensioni più ampie, spessori più sottili, funzioni aggiuntive (autopulenti, antibatteriche): “L’impiego della ceramica negli esterni potrebbe duplicare l’area d’utilizzo del prodotto”, conferma il presidente di Confindustria Ceramica: “il passaggio della piastrella dalla sala da bagno all’architettura è un’evoluzione che sorvegliamo da vicino. Per questo al Cersaie invitiamo architetti come Renzo Piano e David Childs. A ciò si aggiunge la crescita di sensibilità ecologica”. La concorrenza resta agguerrita, anche grazie all’abbattimento dei costi di produzione o a pratiche commerciali non sempre corrette. Come il dumping praticato dalla Cina sui mercati europei, contro cui l’Associazione guidata da Manfredini sta operando: “Noi non temiamo la concorrenza, siamo per economie di mercato aperte: esportiamo più del 70% e copriamo il 30% del commercio internazionale. Ma quando la Cina consente di esportare a prezzi più bassi di quelli praticati all’interno del suo mercato nazionale, si configura un’azione di dumping. Abbiamo appoggiato a livello europeo una procedura che verifichi questa distorsione del mercato. Nei confronti di altri Paesi concorrenti non siamo preoccupati: per esportare piastrelle in tutto il mondo bisogna essere leader nelle innovazioni, avere la qualità, una valida reputazione ‘ecologica’, lo stile e,
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infine, l’esperienza (che non si forma dalla mattina alla sera)”. Nei confronti della Spagna, le posizioni sono chiare: “Siamo complementari, perché loro hanno successo nei Paesi a basso potere di acquisto, sviluppando prodotti a valore aggiunto inferiore. Quindi c’è una suddivisione di area geografica sia nelle esportazioni, sia nella fascia di prodotto e di mercato. In Confindustria Ceramica non riposano sugli allori; diverse sono le iniziative in atto: un concorso di idee per abbellire Sassuolo, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Imola; la creazione, insieme alla Regione Emilia Romagna, di poli di ricerca tecnologica sul prodotto e sui sistemi di applicazione; una campagna di comunicazione (due milioni di euro) incentrata sul prodotto ceramico. La fiducia nei mercati sta tornando; quella nel valore del prodotto italiano, per fortuna, non se ne è mai andata.
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dossier ceramica in senso orario. La coLonna con doccione tondo di rubinetterie ZaZZeri con comando di erogazione deLL’acqua e termostatico in posizione coassiaLe. La vasca freestanding party di oriano favaretto per mastella in K pLan, una fusione di resine e mineraLi derivati daLL’aLLuminio. L’ambiente bagno turco duna neLLa versione hammam di Bianchi & Fontana, con profiLi in acciaio inox e easy cLear Kit, un sistema di trattamento anticaLcare con nano moLecoLe.
colore, formati, texture, prestazioni ad alta tecnologia: piastrelle e arredobagno cambiano pelle. come? ce lo raccontano i protagonisti, che si incontrano al cersaie di bologna.
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ceramica superstar
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la piastrella Va in salotto di Laura Traldi
a listoni lunghi e stretti con decoro ligneo per un effetto parquet. come una tappezzeria firmata, ideale per le pareti. Quando la ceramica arreda, peccato nasconderla. Natural Wood di Novabell, piastrelle iN gres porcellaNato che riproducoNo fedelmeNte l’estetica del legNo iN 6 toNi e due formati (22,5x90 cm e 15x90 cm).
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Le pietre di ArtesiaÂŽ nella finitura Easy Plus con faccia a vista a spacco naturale, trattatamento antimacchia e retro rettificato, disponibile nei formati 30x30, 30x60, Murales e Listone. di artesia international slate company. A destra, la collezione Atelier in gres porcellanato di Mirage nel decoro Gold con spessore di 4,8 mm nel formato 60x60.
Sotto, da sinistra. La collezione Ferro in gres porcellanato di Ceramica Sant’Agostino, realizzata con stampa in Digital Technology, disponibile in 4 formati da 30x60 cm a 60x120 cm. La collezione Spazio di Marazzi in gres porcellanato smaltato disponibile in 4 colori di spessore 9,5 mm e nei formati 30x60 cm e 60x60 cm. La collezione Carmen di Marcel Wanders per Bardelli, in ceramica smaltata e decorata con la serigrafia in oro zecchino, 20x20 cm.
Per terra o a parete. superdecor o minimaliste. ogni stile ha il suo rivestimento.
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Bello e modulare, a scomparsa, compatto. insomma, intelligente. il Ba B gno con una marcia in più, dove di ridotto c’è solo la metratura.
piccoli spazi di Laura Traldi
NoN solo doccia. TwiN, di idelfoNso colombo coN ceNTro ProgeTTi Vismara, che Trasforma la doccia iN uN sisTema di arredo fuNzioNale grazie agli oPTioNal. iN crisTal T lo TemPeraT Tal era o eraT e Profili iN allumiNio aNodizzaT odizza o odizzaT argeNTo lucido. ProduzioNe Vismara Vetro.
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Qui sopra. La piastrella adesiva con superficie a onde appuntite Matt onella, di Monica Graffeo per Geelli, in gel poliuretanico. Da collocare a piacere.
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Sotto. I lavabi e la vasca Paper dello studio Talocci per Teuco, in DuralightÂŽ che permettono la realizzazione di soluzioni versatili, modulari e personalizzabili.
In alto, a destra. La linea Axor Bouroullec, un sistema modulare e personalizzabile con lavabo e vasca che cambiano forma e funzione, perfetti per interventi su spazi pre-esistenti o per stili abitativi nomadi. Di Axor HansGrohe. A destra. Hydroplate di Cea, un programma che comprende placca per WC a filo per il risparmio idrico, con idroscopino a scomparsa dietro uno sportellino con apertura a pressione che non necessita di predisposizione progettuale ma attinge l’acqua direttamente dalla presa acqua della cisterna WC. A lato, a destra. Il sistema di sanitari monoblocco integrato (vaso e bidet in un solo blocco in ceramica) G-Full di Nilo Gioacchini per Hatria, in ceramica, vitreous China, legno massello trattato idrorepellente, laminato e ottone cromato.
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