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REGIONE
PROVINCIA DI CATANZARO
galleriarubin
CALABRIA
Mutterland, l’età estranea
Catanzaro, La Casa della Memoria Fondazione Mimmo Rotella 12 marzo / 30 aprile 2011
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I forgot what my father said, 2009, legno, 170 x 45 x 40 cm
L’eta’ estranea di Marco Meneguzzo
E’ impossibile non parlare dei bambini, quando si parla dell’arte di Gehard Demetz. In fondo, è la prova provata che parlare d’arte senza parlare di un soggetto, di un racconto, di un riferimento alla rappresentazione, ma solo del “come” questo soggetto e questo racconto vengono concepiti dall’artista, è sostanzialmente irrealizzabile, con buona pace dei purovisibilisti. Ma forse è possibile parlarne diversamente da come si è tentati di fare solitamente, prendendo le opere di Demetz come puro pretesto per “spiegare” la condizione infantile, cioè come conseguenza formale di una sensazione, di un ragionamento sull’infanzia. In altre parole, “non” bisogna considerare i bambini scolpiti di Demetz come pura e semplice spiegazione di bambini reali, dove alla causa – il pensiero sull’infanzia – corrisponderebbe l’effetto – la scultura dei bambini -: al contrario, le sculture di Demetz da un lato rappresentano, è vero, la condizione infantile, da un altro la svelano, da un altro ancora la costruiscono, e tuttavia non sono l’effetto di una causa, ma sono entrambe le cose allo stesso momento. Demetz non è uno psicologo infantile, è uno scultore. I suoi bambini non sono bambini, sono sculture di bambini. Perché allora la tentazione di parlare solo dell’infanzia è così forte, così prevalente sul resto? Perché il soggetto unico scelto da Demetz è così simbolicamente potente e così retoricamente gravido che tende a far dimenticare l’artificio che lo mette in scena, così come una storia naturalmente commovente fa passare in secondo piano i modi e i termini in cui viene narrata. L’infanzia (non l’adolescenza, si badi), in fondo, è un tabù di cui non si può parlare se non in termini retorici: è per questo che è un’età estranea, indicibile, ineffabile. Essa si pone al riparo della propria presunta innocenza per non essere svelata, per rimanere in quello stato che non può essere scalfito dalle parole ordinarie, ma solo da azioni che ne “aggirino” queste difese erette dalla retorica dei luoghi comuni. Un modo è certamente quello della scienza, dove l’autorevolezza della disciplina e il suo scopo superiore consentono di parlarne anche in termini crudi, un altro modo è quello dell’arte, che aggira la retorica dell’infanzia con la retorica dell’arte. E’ di quest’ultima che dobbiamo parlare, quando parliamo di Demetz, perché la sua sfida è quella di superare un baluardo retorico attraverso una macchina retorica ancor più potente. In altre parole, per poter mettere in scena dei bambini bisogna essere pronti a tutto, a escogitare sistemi retorici – visivi, percettivi e narrativi, nel nostro caso – che riescano a superare il comune tabù sull’infanzia per narrare qualcosa di nuovo o semplicemente di più profondo. Che poi la scelta di questo soggetto muova da chissà quale pulsione, ricordo, nostalgia, paura dell’autore è cosa che non ci riguarda, se non come curiosità personale. Perciò, concentriamoci sul “C’era una volta…un pezzo di legno” (Collodi, Pinocchio). Uno degli elementi formalmente e idealmente più importanti, e più riconoscibili, nell’opera di Demetz sono le mancanze, la mancata coincidenza, lo spazio lasciato tra ogni parte sagomata e l’altra: le figure sono complete, ma sono visivamente “disturbate” da questo assemblaggio imperfetto, esattamente come avviene su uno schermo digitale quando interviene qualche disturbo elettronico dei pixel (per non parlare del fatto che spesso il retro delle sculture a tutto tondo è scavato, come se fossero stati asportati dei pezzi squadrati di materiale, o fossero in attesa di essere posizionati, in una sorta di costruzione a cubetti, proprio come quella dei giochi da bambini).
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Questo effetto ci ricorda che si tratta di una rappresentazione, di una “figura” (il cui significato etimologico latino ha la stessa radice di “plasmare”, e dove fictor è lo scultore…), e non della realtà dell’infanzia. Infatti, quando entrano in scena figure – appunto – che rappresentano qualcosa di tanto sacro da risultare tabù, anche noi, nella nostra sviluppatissima società dell’immagine, siamo portati a identificarle con l’oggetto reale: così Demetz, che è perfettamente cosciente di questo meccanismo psicologico, vuole continuamente riaffermare quello scarto che esiste tra arte e realtà, scarto che in questo caso il nostro sguardo – obnubilato dal soggetto fortissimo dei bambini – tende a dimenticare. Come nella scultura antica, o nella scultura lignea tipica del Cinquecento mitteleuropeo cui l’autore dichiaratamente si ispira e alla cui tradizione in fondo appartiene, solo le parti “importanti” del corpo sono perfettamente rifinite (nella scultura antica erano di marmo pregiato, di fronte alla pietra del resto del corpo, mentre nel Rinascimento tedesco particolare cura era posta nelle intonazioni e nel colore dei volti e delle parti espressive della figura), mentre tutto il resto appare assemblato con quel sistema “quasi” preciso, e non è un caso che parte integrante dell’opera sia il plinto, il ceppo, il piedestallo su cui poggiano le figure, a ribadire il senso di “scultura”, rispetto a quello di “imitazione” e di “mimesi”. Di più, una variante recentissima è quella che vede queste sculture realizzate anche in bronzo, dalla prima matrice lignea: un ulteriore passaggio - ideazione/ costruzione lignea/ forma negativa/ gesso/ fusione in bronzo – che stacca la produzione, e probabilmente anche lo sguardo, da un eccesso di aderenza e di vicinanza al modello. Così, una volta stabilita la “giusta distanza” tra sguardo, opera e soggetto dell’opera, si può finalmente ritornare a parlare di quest’ultimo, vale a dire di quella certa condizione infantile che ci è così paradossalmente estranea pur avendola, ciascuno di noi, vissuta. Analizzata minuziosamente da tutti coloro che hanno scritto di Demetz (da Maurizio Sciaccaluga a Cecilia Antolini, da Rolf Lauter a Luigi Fassi), sono usciti tutti i riferimenti canonici, da quelli psicologico-pedagogici di Rudolf Steiner alle memorie infantili di Elias Canetti, dalle analogie coi bambini spietati de “Il signore delle mosche” di William Golding a Oskar, il protagonista che non vuole crescere de “Il tamburo di latta” di Günter Grass (nessuno ha però a ragione citato Peter Pan, che qui apparirebbe sdolcinato…). Le analogie e i riferimenti sono e possono essere innumerevoli, e quasi tutti corretti. Forse però è il caso di cercare di non ricorrere all’analogia – “come se…”-, ma all’evidenza del “come è”. I protagonisti di Demetz tendenzialmente non ci guardano, ma sono assorti in un’azione o in un pensiero che non appartengono alla nostra realtà relazionale, ma a un mondo interiore, con regole proprie che non ci è dato conoscere, ma solo comprendere che sono diverse dalle nostre; i protagonisti di Demetz non sono felici; i protagonisti di Demetz meditano azioni che sono identificate dagli oggetti che tengono in mano, ma che noi non conosciamo e che loro invece conoscono benissimo e sono determinati a compiere (scultura in potenza o in atto?...); i protagonisti di Demetz ci sono estranei, ed è per questo che ne siamo attratti; i protagonisti di Demetz, infine, non ci spaventano pur essendo chiaramente e volutamente inquietanti, perché alla base della nostra attrazione c’è la consapevolezza che si tratta di figure e non di individui. E allora, parafrasando l’incipit già citato di Pinocchio (e modificandolo un po’…): “c’era una volta… un bambino, direte voi, e invece no. C’era una volta un pezzo di legno”.
The extraneous age by Marco Meneguzzo
It’s impossible not to talk about children when one is speaking about Gehard Demetz’ art. His art is the perfect proof that speaking about art without speaking about a subject, a story, a reference to what is represented but only about ‘how’ this subject and this story are conceived by the artist, is essentially not possible, to the disdain of theorists of pure visibility. But perhaps it is possible to speak about it differently from the way attempted usually, taking Demetz’ work as a pretext to ‘explain’ the nature of childhood, that is as the formal consequence of a sensation, of thoughts on childhood. In other words, one should not consider the children sculpted by Demetz as the pure and simple explanation of real children, where the cause – his thoughts on childhood – corresponds to the effect – his sculptures of children. On the contrary, it’s true that Demetz’ sculptures represent, on the one hand, the nature of childhood, and on the other they unveil it, and on another again they construct it and yet they are not the effect of a cause; they are all of these things at the same time. Demetz is not a child psychologist, he is a sculptor. His children are not children; they are sculptures of children. Why then is the temptation to speak only about childhood so strong, so predominant? Why is the only subject chosen by Demetz so symbolically potent and so rhetorically laden that it tends to make the viewer forget the artifice which has created these works, like a story which is so naturally moving that the way and words in which it is narrated are of secondary importance. Childhood (not adolescence, note), is a taboo which cannot be discussed unless in rhetorical terms: this is why it is a strange, indescribable, ineffable age. It hides behind its own presumed innocence so it is not unveiled, to remain in that state that cannot be tarnished by ordinary words, but only by actions which ‘get round’ these defenses erected by common place rhetoric. One way is certainly through science, where the authoritativeness of the discipline and its superior purpose allow us to speak of it in crude terms. Another way is that of art, which gets round the rhetoric of childhood with the rhetoric of art. It is of the latter that we must speak when we speak of Demetz because his challenge is to overcome the bastion of rhetoric through an even more potent rhetoric. In other words, to create sculptures of children one must be ready for anything, to devise rhetorical systems – visual, perceptive and narrative, in our case – which succeed in overcoming the common taboo about childhood to narrate something new or simply deeper. And if the choice of this subject is moved by who knows what impulse, memory, nostalgia, some fear in the artist, it does not concern us, unless as some personal curiosity. Therefore, let’s concentrate on “Once upon a time there was……. a piece of wood” (Collodi, Pinocchio). One of the most formally and idealistically important elements, and most recognizable in Demetz’ work, is what is missing. Missing links, the space left between one part and the other: the figures are complete, but they are visibly ‘disturbed’ by this imperfect assembly, exactly as what happens on a digital screen when there is an electronic disturbance of the pixels (glossing over the fact that often the back of the sculptures is hollowed out as if blank spaces have been created by removing material, or were waiting to be positioned, in a sort of construction of building blocks, like the children’s game). This effect reminds us that it is a depiction of a ‘figure’ (the Latin etymology of which has the same root as ‘to shape, to mould’ and where the fictor is the sculptor…), and not from the reality of childhood.
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When figures appear which represent something that is taboo, we too, even in our hyperdeveloped society of images, tend to identify them with some real object; in this way Demetz, who is perfectly aware of this psychological mechanism, wants to constantly emphasise the gap that exists between art and reality, a gap which, in this case, our vision, clouded by the power of the child subjects, tends to remove. As in classical sculpture or mid European 16th century wooden sculptures, which the author has declared himself to be inspired by and to which tradition he belongs, only the most ‘important’ parts of the body are finished perfectly (in classical sculpture they were in marble and the rest of the body in stone, while in the German Renaissance more attention was lavished on the colours and intonation of the faces and the expressive parts of the figure) while the rest seems to be put together in an ‘almost’ precise way, and it is not by chance that an integral part of the work , the plinth, the base on which the figures stand, reiterates the sense of ‘sculpture’ as oppose to that of imitation or mimesis. Furthermore, a recent variation is one which sees these sculptures in bronze, from the original wooden matrix: another step – concept/ construction in wood/ negative form/ plaster/ fusion in bronze – which removes the production, and most probably our glance, from an excessive adherence and nearness to the model. Thus, once the ‘right distance’ has been established between the work and its subject, one can finally go back to talking of the latter, that means the condition of childhood that is so paradoxically extraneous, even though we have all experienced it. Analysed meticulously by all those who have written about Demetz (from Maurizio Sciaccaluga to Cecilia Antolini, from Rolf Lauter to Luigi Fassi) all the canonical references have been discussed, from Rodolf Steiner’s pedagogy to the childhood memories of Elias Canetti, from analogies with the ruthless children in ‘Lord of the Flies’ by William Golding to Oskar, the protagonist who doesn’t want to grow up of ‘The Tin Drum’ by Gunter Grass (nobody has, however, cited Peter Pan, who would seem mawkish here…). The analogies and references are and can be numerous, and almost all of them correct. Perhaps, however, it would be better not to turn to analogies – ‘as if…’ - , but rather to the evidence of ‘how it is’. Demetz’ characters do not generally look at us, rather they are engaged in an action or thought which does not belong to our relational reality but to an interior world which has its own rules, which we cannot know but only understand as being different from ours; Demetz’ children execute actions which are identified by the objects they are holding in their hands, but which we do not know and which they, instead, know very well and which they are determined to carry out (sculpture in action?.....) Demetz’ children are extraneous from us, and for this reason we are attracted to them; in the end we are not frightened by Demetz’ protagonists, albeit they are deliberately disturbing, because underlying our attraction to them is the awareness that they are figures not individuals. And so, paraphrasing the quote from Pinocchio (and changing it a little….) “ once upon a time there was….. a child, you would say, but no. “Once upon a time there was a piece of wood”.
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JFK, 2008, legno, 170 x 34 x 31 cm
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Hitler Mao, 2010, bronzo (2x) 163x37x31 cm
For my fathers, 2010, bronzo, 260 x 51 x 90 cm
For my fathers, 2009, legno, 260 x 51 x 90 cm
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Married to myself, 2009, bronzo, 49 x 13 x 20 cm
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One Day, 2009, bronzo, 49 x 13 x 20 cm
Your sweat, 2009, legno, 189 x 38 x 32 cm
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I feel my mouth with snow, 2010, legno, 170 x 38,5 x 32 cm
Don’t think twice it’s all right, 2009, bronzo, 50 x 11 x 11 cm
Be Priest, 2010, bronzo, 51 x 14 x 15 cm
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Your sweat, 2009, bronzo, 58 x 14 x 14 cm
Six glasses of water, 2011, bronzo, 87 x 56 x 0,5 cm
Ragazza sinistra, 2009, bronzo, 48,5 x 13 x 12 cm
It was a man with missing fingers, 2010, bronzo, 55 x 15 x 15 cm
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You can’t say no to me, 2010, legno, 50 x 17 x 18,5 cm
Sieben Schafe - Zehn Hunde, 2010, legno, 169 x 38 x 61 cm
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20 Schafe - 14 Hunde, 2010, legno, 130x140x8 cm
Nato a Bolzano, 1972. Vive e lavora a Selva di Val Gardena (BZ)
Mostre personali 2011 Gehard Demetz, Galleria Rubin, Milano (maggio) 2011 Gehard Demetz, Casa della memoria - Fondazione Mimmo Rotella, Catanzaro (febbraio) 2010 Commissione di una scultura ritratto di W. J. Bowerman, sede centrale NIKE Europa, Hilversum (NL) 2010 Threshold Area, Galería Raquel Ponce, Madrid (E) 2009 Preview Berlin, Galleria Rubin (D) 2009 Superheroes. Kinder-Träume? (con Raquel Muñoz López), Galerie Gefängnis Le Carceri, Bolzano 2009 Love at first touch: Gehard Demetz, a cura di C. Antolini, ex Chiesa di San Francesco, Como 2008 Gehard Demetz. Skulpturen, Villa Wessel Museum, Iserloh (D) 2007 Gehard Demetz, Galleria Rubin, Milano 2006 Comunità Comprensoriale Oltradige - Bassa Atesina, Egna, Bz 2006 Galerie Appel, Francoforte (D) 2005 Gehard Demetz, a cura di M. Sciaccaluga, Galleria Rubin, Milano 2002 Istituto Ladino Micurà de Rü, San Martino in Badia, Bz 2002 Camera con prima colazione, Circolo Artistico, Ortisei, Bz
Mostre collettive 2011 ARCO, Madrid, Galería Raquel Ponce (E) 2011 Arte Fiera Art First, Bologna, Beck&Eggeling 2010 La scultura italiana del XXI secolo, a cura di M. Meneguzzo, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano 2010 Preview Berlin, Berlino, Galleria Rubin (D) 2010 Nine sculptors from South Tyrol, CODA Museum, Apeldoorn (NL) 2010 Zeitgenössiche Kunst aus Mülheiner Privatsammlungen, Kunstmuseum, Mülheim an der Ruhr (D) 2010 EnseñArte. Volume and texture in contemporary Art (part 2), Monasterio de Veruela, Zaragoza (E) 2010 ArteNavas, Las Navas del Marqués, Ávila (E) 2010 Scope Basel Art Show, Basel, Beck&Eggeling (CH) 2010 IndividualAnimal, Beck&Eggeling, Düsseldorf (D) 2010 Art Cologne, Colonia Beck & Eggeling (D) 2010 ARCO, Madrid, Galería Raquel Ponce (E) 2009 Scope Basel Art Show, Basilea, Galleria Rubin (CH) 2009 Rolli Days - Rolli Contemporanei, Palazzo Francesco Grimaldi, Galleria Nazionale Palazzo Spinola, Genova 2009 MiArt, Milano, Galleria Rubin 2009 Scope New York, New York, Galleria Rubin, NY (USA) 2009 The Armory Show, New York, Greenberg Van Doren Gallery, NY (USA) 2008 Scope Miami, Miami, Galleria Rubin, FL (USA) 2008 Kunst Zürich, Zurigo, Galleria Rubin (CH) 2008 Molded, Folded and Found, Greenberg Van Doren Gallery, New York, NY (USA) 2008 Small forms, great attitudes, a cura di M. Tonelli Galleria Rubin, Milano 2008 Summer Group Show, Galleria Rubin, Milano 2008 KunstArt, Bolzano, Galleria Rubin 2008 Art Cologne, Colonia, Galleria Rubin (D) 2008 MiArt, Milano, Galleria Rubin
2007 2007 2007 2007
Kunst Zürich, Zurigo, Galleria Rubin (CH) Premio Agreiter, Museo Ladino, San Martino in Badia, Bz Portrait - The view behind, Galeria Drees, Düsseldof (D) SerrOne - Biennale Giovani Monza ‘07, Serrone della Villa Reale, Monza 2007 Allarmi 3: Nuovo contingente, a cura di C. Antolini, I. Quaroni, A. Trabucco e A. Zanchetta Caserma De Cristoforis, Como 2007 New Entries – Arte Italiana Contemporanea, a cura di M. Pizziolo e R. Ravasio, Associazione Contemporaneamante, Milano 2007 Art Cologne, Colonia, Galleria Rubin (D) 2007 Miart, Milano, Galleria Rubin 2007 Premio Rotary alla Profesionalità 2007, Rotary Lombardia, Teatro dal Verme, Milano 2007 Arte Fiera Art First, Bologna, Galleria Rubin 2006 Kunst Zürich, Zurigo, Galleria Rubin (CH) 2006 Premio Cairo 2006, Museo della Permanente, Milano (finalista) 2006 Ars in fabula, a cura di M. Sciaccaluga, Palazzo Pretorio, Certaldo, Fi 2006 MiArt, Milano, Galleria Rubin 2006 Group Show, Galleria Rubin, Milano 2006 Sculture da Viaggio, a cura di M. Sciaccaluga, Galleria Del Tasso, Bergamo 2006 Arte Fiera Art First, Bologna, Galleria Rubin 2005 Riunione di famiglia, Galleria Goethe2, Bolzano 2005 Art Verona, Verona, Galleria Rubin 2005 Art-Frankfurt, Francoforte, Galleria Rubin (D) 2005 Gehard Demetz incontra Cy Twombly, Galeria Tazl, Graz (A) 2004 Galeria Tazl, Graz (A) 2003 Triennale Ladina, Museo Ladino, S. Martino in Badia, Bz 2002 Museo Daetz Centrum (Lichtenstein –D) 2001 Museo Daetz Centrum (Lichtenstein –D)
2001 Open House, Salisburgo (A) 2000 Hannover EXPO, Hannover (D) 1999 Open House, Salisburgo (A)
Pubblicazioni Gehard Demetz. Sculptural Child Figures, Silvana Editoriale, testo di Rolf Lauter, intervista di Luigi Fassi, a cura di Paolo Galli, anno di pubblicazione: 2008, lingua: Italiano/Tedesco/Inglese
Bibliografia scelta Dicembre 2010 “TAXI – Around the Art”, Gehard Demetz, di Alberto Noriega Febbraio 2010 “Yatzer”, Gehard Demetz bares it all to Yatzer, di Apostolos Mitsios 23 Aprile 2008 “International Herald Tribune”, Art Cologne’s emerging new identity, di David Galloway 17 Aprile 2008 “Der Standard”, Zaghafte Schritte in Richtung Neubegin, di Bettina Krogemann Maggio 2007 “Arte Magazine“, Editoriale Giorgio Mondadori, L’età del dubbio, di Licia Spagnesi
La Casa della Memoria Fondazione Mimmo Rotella Vico delle Onde, 7 Catanzaro tel +39 0961 745868 Fondazione Rocco Guglielmo info@fondazioneroccoguglielmo.it www.fondazioneroccoguglielmo.it Galleria Rubin Via Bonvesin de la Riva, 5 20129 Milano tel +39 02 36562080 fax +39 02 36561075 info@galleriarubin.com www.galleriarubin.com
stampa
Galli thierry stampa s.r.l. Milano finito di stampare nel mese di marzo 2011