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OBBIET TIVO
ANNO XXIII - SPED. ABBONAMENTO POSTALE 70% 2 DCB FI
P R O F E S S I O N E I N F E R M I E R I S T I CA
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PERIODICO DI INFORMAZIONE ATTUALITÀ E CULTURA DEL COLLEGIO INFERMIERI, AS. SANITARI, VIG. INFANZIA DELLA PROVINCIA DI FIRENZE - WWW.IPASVIFI.IT
MENINGITE, MALATTIA DAL CONTAGIO BIOLOGICO E MEDIATICO
QUAL È L’INCIDENZA DEI CASI DI MENINGITE? C’È VERAMENTE UN AUMENTO DEI CASI? QUANTO È EFFICACE LA VACCINAZIONE? CERCHIAMO DI DARE RISPOSTE AI TANTI QUESITI. Quota iscrizione IPASVI
Alzheimer
Studi e Progetti
la sentenza della cassazione, ancora tutto da definire.
Le dimensioni della patologia.
Sessualità e affettività nelle relazioni d’aiuto.
SOMMARIO Pag 3.
Editoriale, di D. Massai
Pag 4.
Iscrizione all’albo professionale, di I. Galli
Pag 6.
La meningite, di F. Materazzo
Pag 10.
l’Infermiere Militare, di C.Borzacchiello
Pag 11.
Una sanità contraddittoria, di I. Benelli
Pag 13.
La disabilità, di L. Settesoldi
Pag 15.
La medicina d’iniziativa. di S. Comerci
Pag 17.
Sessualità ed affettività nelle relazioni di aiuto, di M. Bettini
Pag 18.
Progetto: liberi di respirare, di P. Santoro e L. Lasamandra
Pag 20.
Morbo di Alzheime, di C. Cortesi, L. Tamburini, D. Calamassi
Pag 23.
Linee guida, evoluzione della professione infermieristica in toscana 2015-2020
Pag 26.
Questione Immigrazione, di M. Fadanelli
DOVE SIAMO Il Collegio IPASVI della provincia di Firenze si trova in via Pierluigi da Palestrina 11 Firenze. Contatti: segreteria@ipasvifi.it, redazione@ipasvifi.it. Orari di apertura ufficio su www.ipasvifi.it Come inviare le proposte di pubblicazione: - articoli scientifici: devono avere una lunghezza massima di 20000 battute spazi inclusi, correlati di iconografia, grafici, bigliografia, sitografia. - articoli non scientifici: dimensioni massime 5000 battute spazi inclusi, correlati di iconografie libere da tutela d’autore. Ogni proposta di pubblicazione dovrà essere correlata da liberatoria per la redazione e l’Ente IPASVI Firenze ( da richiedere a segreteria@ ipasvifi.it) Le norme editoriali sono da richiedere a segreteria@ipasvifi.it.
Obbiettivo professione infermieristica proprietà del Collegio Infermieri Professionali Assistenti Sanitari Vigilatrici d’Infanzia di Firenze Anno XXV n. 2/2015 Spedizione in a. p. 70% 2DCB Direttore responsabile Luca Bartalesi Comitato di redazione Cinzia Beligni Mara Fadanelli MariaPia Santoro Nadia Chiari Camillo Borzacchiello Lucia Settesoldi Enrico Dolabelli (webmaster) Niccolò Scalabrin collaboratori, Nuria Biuzzi Roberto Romano Giancarlo Brunetti Stefania Comerci Segreteria di redazione Silvia Miniati, Elisabetta Trallori, Tania Stella, Claudia D’Attoma Direzione e Redazione Collegio IPASVI Via PierLuigi da Palestrina, 11 50144 Firenze Tel. 055 359866, fax 055 355648 e-mail: redazione@ipasvifi.it Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 4103 del 10/05/91 È consentita la riproduzione totale o parziale degli articoli e del materiale contenuto nella rivista purché vengano citatati l’autore e la fonte («Obbiettivo professione infermieristica» rivista del Collegio IPASVI di Firenze). È gradita comunicazione per conoscenza alla redazione
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EDITORIALE
“IL TEMPO DEL CAMBIAMENTO”
La L. 43 del 1 febbraio 2006, ha posto importanti punti alla riforma degli Ordini/Collegi professionali, ma ad oggi questo percorso legislativo non si è concluso. Ritengo fondamentale, aprire un percorso politico per completare una norma che lascia spazio a continui ritorni. Nella revisione della legge, sarebbe opportuno pensare ad una riduzione dei Collegi, uniti a livello regioni o per macro aree regionali. In politica non contano più i numeri ma il progetto politico, la snellezza della mediazione, l’informatizzazione e la comunicazione; altro fatto è la tenuta del management direzione strategiche, la direzione dei processi, il coordinamento di percorso e di piani salute. Vorrei pensare ad una revisione della norma che porti a: un Collegio unico per regione; una Federazione con più poteri (programmazione, regolamentazione, esiti...); un solo sindacato nell’ Area Infermieristica; quattro società scientifiche:
• Scienze infermieristiche nella comunità e famiglia. • Scienze infermieristiche e complessità assistenziale in ospedale. • Scienze infermieristiche management e qualità. • Scienze infermieristiche ricerca e formazione. Le sub specifiche dovrebbero essere i polmoni della società scientifica. Le sedi tutte nella sede della Federazione che ne assume l’indirizzo politico. Le società scientifiche identificano le capacità/competenze riservate o trasversali ed indicano quelle in transito. Le società scientifiche indicano standard professionali e regolano il sistema di accreditamento del professionista. La Federazione dovrebbe orientarsi ad avere Consiglieri a funzioni “forti” tipo Ministeri come ad esempio : a) rapporti con Ministeri ed Autorità regionali; b) rapporti interprofessionali e affari legali; c) rapporti internazionali - lavoro e sviluppo della professione; d) innovazione - rapporti con indu-
stria e centri di ricerca; f) affari legali - sicurezza e pari opportunità; g) professioni intellettuali ed evoluzione stato sociale. Il Presidente Nazionale dovrebbe avere delega ai rapporti con il Governo. La Federazione dovrebbe avere un Direttore Generale con funzioni trasversali a tutti i Collegi regionali. La federazione dovrebbe avere un pool di avvocati unico per tutti i Collegi regionali. Una quota unica in tutta Italia con eccezioni in percentuale per giustificate necessità Regionali. Un sistema Informativo unico per tutti i Collegi Italiani. Un sistema Qualità unico per tutti i collegi Italiani e soggetto terzo per audit periodico. Insomma è tempo di cambiare profondamente per non rischiare di trovarsi sempre più ai margini di “utilità, “ per lo Stato, per gli Infermieri e per i cittadini.
◊ Danilo Massai Presidente del Collegio IPASVIFi
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ISCRIZIONE ALL’ALBO PROFESSIONALE, CHI PAGA LA QUOTA PER I PROFESSIONISTI DIPENDENTI?
◊ di Irene Galli infermiera forense, consigliera IPASVIFi irenegalli82@gmail.com
È tuttora aperto e cogente per gli iscritti ad ordini e collegi professionali, il dibattito originato dalla sentenza della Corte di Cassazione (sez. lavoro n7776/2015) che accoglie il ricorso fatto da alcuni avvocati dipendenti INPS con vincolo di esclusività, che assegna in capo alla PA il costo dell’iscrizione all’albo professionale con rimborso delle quote pagate negli ultimi 10 anni. In molti in questa sentenza, organizzazioni sindacali in primis, hanno visto la possibilità di estensione anche per altre categorie di professionisti soggetti allo stesso vincolo, ma al momento ancora non si è deciso quale strada intraprendere. Per certo il Codice civile agli art. 2229 e 2230, stabilisce che il professionista intellettuale deve essere iscritto all’albo professionale di appartenenza. Altrettanto chiare sono le norme che regolano la professione infermieristica, su questa linea giuridica: l’infermiere deve essere iscritto all’albo professionale anche se è dipendente: D.M. 739/1994 , 42/1999, e 43/2006. 4
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Nella fattispecie del dibattito appare chiaro che il problema si pone soltanto per gli infermieri dipendenti pubblici, in quanto a seguito delle norme che regolano gli incarichi extra impiego: art. 98 della Costituzione sancisce l’obbligo di esclusività per i dipendenti pubblici. art. 1, c. 60, L. 662/1996 stabilisce il divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo se il dipendente lavora a tempo pieno e se la sua attività supera il 50% della prestazione lavorativa. Inoltre, il dipendente è obbligato a richiedere alla propria amministrazione di appartenenza autorizzazione a svolgere tali attività lavorative extra impiego, per le quali dobbiamo ricordare che esiste anche un tetto massimo di retribuzione di 5 mila euro l’anno. Nella legge anticorruzione: il datore di lavoro deve verificare situazioni reali o potenziali di conflitto di interesse, prima di conferire l’incarico. Secondo la recente sentenza della Corte di cassazione riferita
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Corte di Cassazione, Roma - Foto di Dario Dentale
alla professione di avvocato: “il pagamento della tassa di iscrizione all’albo professionale, essendo un costo per lo svolgimento dell’attività ‘deve gravare’ sul datore di lavoro pubblico […] se tale costo viene anticipato dal dipendente questi deve essere rimborsato dall’ente stesso”. Tale sentenza, che ricordiamo non fa giurisprudenza in quanto non emessa dalla Suprema Corte di Cassazione, ha aperto uno spiraglio di discussione sulla legittimità del fatto che l’infermiere dipendente debba singolarmente pagare l’iscrizione all’albo pur essendo vincolato in esclusività con l’Ente o Azienda datoriale. È necessario e auspicabile, quindi che da questa discussione aperta si abbia un tavolo politico di discussione, al fine di raggiungere chiarezza e accordi tra legislatori, amministratori, e parti sociali, per comprendere quale sia il percorso da intraprendere. Sicuramente la soluzione non è facile se si considera il peso economico che potrebbe avere per le già critiche finanze del-
le PA... come anche la soluzione ipotizzata da qualche OOSS di rivedere il vincolo di esclusività, trova risvolti negativi per l’occupazione penalizzando chi esercita la libera professione. Per adesso permane ferma la normativa vigente che impone l’iscrizione all’Albo Professionale sia per gli infermieri come anche per tutti gli esercenti professioni soggette a quest’obbligo. Per comprendere la posizione di IPASVI segnaliamo questo link http://www.ipasvi.it/attualita/rimborso-iscrizione-all-rsquo-albo-la-sentenza-della-cassazione-vale-per-gli-ldquo-elenchi-speciali-rdquo--id1506.htm con la nota della Presidente Mangiacavalli.
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LA MENINGITE DA NEISSERIA MENINGITIDIS ◊ di Francesca Materazzo assistente sanitaria francesca .matarazzo@asf.toscana.it
La meningite è un’infiammazione delle membrane (meningi) che avvolgono cervello e midollo spinale, che può avere complicanze molto gravi. La malattia è generalmente di origine infettiva e può essere: virale, batterica o micotica. La forma virale, detta anche meningite asettica, è quella più comune: di solito non ha conseguenze gravi e si risolve nell’arco di 7-10 giorni. Gli agenti più frequenti sono herpesvirus ed enterovirus. La forma batterica, invece, è più rara ma estremamente più seria e può avere conseguenze fatali. Il periodo di incubazione della malattia può variare a seconda del microorganismo causale e varia da 2 a 10 giorni. La malattia è contagiosa solo durante la fase acuta dei sintomi e nei giorni immediatamente precedenti l’esordio. I tipi di batteri sono tre: • Neisseria meningitidis (o meningococco): è un ospite frequente delle prime vie respiratorie. Dal 2 al 30% della popolazione sana alberga meningococchi nel naso e nella gola senza presentare alcun sintomo, e questa presenza non è correlata ad un aumento del rischio di meningite o di altre malattie gravi. • Streptococcus pneumoniae (o pneumococco): è uno degli 6
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agenti più comuni della meningite. Oltre alla meningite, può causare polmoniti o infezioni delle prime vie respiratorie come l’otite. • Haemophilus influenzae tipo b (o emofilo o Hib): era fino alla fine degli anni novanta, prima dell’introduzione della vaccinazione, la causa più comune di meningite nei bambini fino a 5 anni. I pricipali fattori di rischio della meningite batterica sono: • l’età: la malattia colpisce soprattutto i bambini, i giovani e le persone anziane; • la vita di comunità: persone che vivono o lavorano in ambienti comuni, come gli studenti nei dormitori universitari o i militari in caserma hanno un rischio più elevato di meningite da meningococco; • il fumo e l’esposizione al fumo passivo; • altre infezioni delle prime vie respiratorie. La meningite di origine fungina si manifesta soprattutto in persone con deficit della risposta immunitaria. La Neisseria meningitidis è stata descritta per la prima volta nel 1805, nel corso di un’epidemia a Ginevra, tuttavia il batterio è stato identificato per la prima volta solo nel 1887. È una malattia molto grave causata da un’infezione batterica ad opera del batterio Neisseria meningitidis, detto anche meningococco del quale sono conosciuti 13 sierogruppi. Solo 5 sierogruppi (A, B ,C, Y e W135), però, sono in grado di generare malattia nell’uomo e il rischio di svilupparla sembra essere maggiore in persone che hanno acquisito l’infezione da poco. In Italia e in Europa i sierogruppi più frequenti sono B e C. Le fasce di età a maggior rischio di contrarre la malattia sono i bambini in tenera età (0-4 aa), gli adolescenti e giovani adulti (15-25 aa). I primi sintomi della malattia sono aspecifici e possono ricordare quelli di altre patologie comuni, come l’influenza. Dopo il periodo di incubazione, la meningite meningococcica ha un esordio improvviso, caratterizzato da intenso mal di testa, febbre, nausea, vomito, fotofobia e torcicollo. Nel 10-20% dei casi la malattia è rapida e acuta, con un decorso
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fulminante che può portare al decesso in poche ore, anche in presenza di una terapia adeguata. Nei neonati alcuni di questi sintomi non sono molto evidenti, mentre può esserci un pianto continuo, irritabilità e sonnolenza al di sopra della norma, e scarso appetito. A volte si nota l’ingrossamento della testa, soprattutto nei punti non ancora saldati completamente (le fontanelle), che può essere palpato facilmente. La malattia può avere complicazioni anche gravi, con danni neurologici permanenti, come la perdita dell’udito, della vista, della capacità di comunicare o di apprendere, problemi comportamentali e danni cerebrali, fino alla paralisi. I malati sono da considerati contagiosi per circa 24h dall’inizio della terapia antibiotica specifica. La contagiosità è comunque bassa, e i casi secondari sono rari (2 su 100). In passato il tasso di letalità superava il 50%. Tuttavia la diagnosi precoce e una corretta terapia permettono nella maggior parte dei casi una rapida guarigione senza postumi. Ad oggi, infatti, il tasso di letalità è decisamente inferiore e varia tra il 5 e il 10%. La trasmissione avviene attraverso le vie respiratorie (goccioline di saliva - dropplet) in seguito a contatto diretto e stretto con altre persone. Molti individui (dal 5 al 30%) possono essere portatori asintomatici del batterio e possono rappresentare una fonte di infezione per altri. Come precauzione devono essere evitati posti affollati e confinati in spazi chiusi. Infatti, al di fuori dell’organismo, il meningococco presenta scarsissima resistenza agli agenti fisici ambientali (luce solare, essiccamento, ecc.) e ai comuni disinfettanti. In caso di sospetta meningite batterica si ricorre alla terapia antibiotica del soggetto colpito e in alcuni casi anche dei contatti stretti. Occorre individuare i conviventi e coloro che hanno avuto contatti stretti con l’ammalato nei 10 giorni precedenti la data della diagnosi. I 10 giorni sono il tempo massimo previsto per la sorveglianza sanitaria, qualora al momento dell’identificazione fossero già trascorsi, i soggetti esposti non sono più considerati a rischio (Circolare min. n° 4 del 13 marzo 1998). La vaccinazione contro il meningococco rimane comunque lo strumento di prevenzione da prediligere. Andamento della meningite in Europa: Dalle tabelle sottostanti si può vedere l’andamento della malattia da meningococco in Europa dal 2008 al 2012 ripese dall’Annual epidemiological report 2014 – Vaccine-preventable diseases - invasive bacterial diseases dell’ECDC. Figura 6-7: In UE (28 Paesi) nel 2008 sono stati notificati 0.95 casi per 100.000 abitanti di Malattia Meningococcica Invasiva (IMD), mentre nel 2012 siamo scesi a 0.68 casi per 100.000 abitanti, mostrando un trend in decrescita. Nel contempo possiamo notare che la IMD è una malattia che prevalentemente colpisce i bambini da 0 a 4 anni con un tasso di 5.10 per 100.000 abitanti, e gli adolescenti 15-24 anni con un tasso di 1.11 per 100.000 abitanti, con una leggera preponderanza di maschi nella maggior parte dei gruppi di età e soprattutto nei bambini sotto i cinque anni. Figura 9-10: Dal 2008 al 2012 è stata osservata un aumento del tasso di notifica per il sierogruppo Y. La più alta percentuale di
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casi in tutte le età, particolarmente tra i bambini sotto i cinque anni, è dovuto al sierogruppo B, seguito dal C. La percentuale più alta dei casi di sierogruppo C è stata osservata nel gruppo dei 25-44 anni di età. La più alta percentuale di casi sierogruppo Y è stata osservata in quello di età ≥65 anni. Il tasso di notifica in bambini al di sotto di un anno di età è stato tre volte superiore al tasso in quelli tra uno e quattro anni di età (12.3 e 4.1 casi per 100.000, in tutti i sierogruppi). Neonati, bambini tra uno e quattro anni di età e adolescenti tra i 15 e i 24 anni restano comunque i più colpiti nei paesi con e senza la vaccinazione. Figura 11-12: Dal 2008 si è notato, nei Paesi che hanno introdotto la vaccinazione contro il meningococco C coniugata, una forte riduzione del tasso di incidenza nelle fasce d’età più colpite dalla malattia. Nei paesi in cui la vaccinazione meningococcica è stata introdotta in programmi di routine dopo il 2008, si è registrata una notevole diminuzione del tasso di infezione invasiva meningococcica dal 2010 in poi. Mentre abbiamo un andamento stabile in quei Paesi in cui non state attuate strategie di vaccinazione nei bambini ed adolescenti con un tasso di incidenza media di 0.20 per 100.000 ATTUALITÀ E PRIMO PIANO |
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Andamento della meningite in Toscana: Dal sistema di sorveglianza delle malattie infettive è possibile evidenziare l’andamento dei casi di meningite in Toscana dall’inizio del 2000 (Vedi tabella sottostante). Negli anni 2004 – 2005 nel giro di 18 mesi si registrò un improvviso aumento dei casi di meningiti dovute al gruppo C con inversione del rapporto B/C (normalmente un tipo circola molto più dell’altro). Considerata la situazione epidemiologica, essendoci da pochi anni disponibile un vaccino molto efficace contro meningococco C, fu deciso di introdurre la vaccinazione universale nei nuovi nati, recuperando anche le coorti da 1 a 6 anni , e successivamente con D.G.R.T. n.1020 del 27/12/2007 anche una dose a 11 - 14 anni. La Regione Toscana fu la prima ad introdurre questo tipo di vaccinazione, poi, con l’ Accordo di Conferenza Stato Regioni del 22 febbraio 2012, tutta l’Italia introdusse la vaccinazione anti meningococco C. Quindi, col Piano Nazionale Vaccinazioni 2005-2007, la Regione Toscana ha introdotto con D.G.R.T. n.1249 del 24.11.2003 e n. 379 del 7 marzo 2005 la vaccinazione universale contro il meningococco C nei nuovi nati, con 3 dosi di vaccino coniugato da somministrare al 3°, 5° e 13°-15° mese di vita, e il catch-up dei bambini non vaccinati fino a 5 anni di vita. Dal primo luglio 2008 è stato deciso sia di continuare il recupero dei bambini tra il secondo e il sesto anno di vita, che di passare con l’offerta di una singola dose tra il 13°-15° mese di vita, che l’offerta di una dose di vaccino coniugato agli adolescenti nella fascia 12-14 anni in co-somministrazione con il vaccino dTpa, al fine di creare una solida immunità nella popolazione, e l’aggiornamento 2008-2010 si indicava come obiettivo il raggiungimento di una copertura ≥80%. Nella tabella seguente si può notare l’andamento della meningite meningococcica in Italia dal 2011 al 2015, tenendo conto che i dati del 2014 e del 2015 sono parziali (ISS -Dati di sorveglianza delle malattie batteriche invasive aggiornati al 23 marzo 2015). abitanti. Paesi senza strategie vaccinali per il meningococco C: Repubblica Ceca, Danimarca Estonia, Finlandia, Ungheria, Lituania, Malta, Norvegia, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Lettonia e Svezia. Paesi con campagne di vaccinazione contro il meningococco: 1) dopo il 2008: Belgio, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Inghilterra; 2) prima del 2008: Austria e Francia.
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In conclusione possiamo affermare che le infezioni invasive da meningococco in Europa sono piuttosto rare, dove sono stati osservati 0.68 casi per 100.000 abitanti nel 2012. I tassi di notifica di casi confermati furono 0.11 su 1.77 casi per 100.000 abitanti e la maggioranza dei casi era attribuibile ai sierogruppi B e C, con una predominanza del sierogruppo B. Programmi universali di vaccinazione hanno inciso sulla riduzione della percentuale di infezione da meningococco di siero-
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gruppo C in alcuni paesi dell’UE. I bambini sotto un anno restano la fascia di età più colpita; tuttavia, i tassi di trasporto sono più alti negli adolescenti e giovani adulti. Pertanto, elevati livelli di immunità in questa fascia di età (15-25) sono fondamentali per assicurare la protezione di altri gruppi di età, utilizzando come per altre malattie l’effetto cocoon. Comunque il rafforzamento della sorveglianza delle malattie
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invasive da meningococco è importante per valutare l’impatto dei programmi di vaccinazione in corso e la scelta di introdurre la vaccinazione nel programma di routine, le quali dipendono dalle raccomandazioni nazionali che tengono conto del quadro epidemiologico specifico della malattia in quel Paese. L’offerta ad hoc della vaccinazione può essere presa in considerazione solo quando si risponde a cluster o focolai di malattia meningococcica, che secondo principio di precauzione enunciato dall’OMS si verifica quando vi sono 10 casi per 100.000 abitanti in tre mesi. La vaccinazione, quindi, è un fondamentale intervento di Sanità pubblica, che si prefigge di proteggere sia l’individuo che la comunità. Le vaccinazioni sono un presidio preventivo fondamentale per la salute, la cui introduzione ha permesso di ridurre in pochi decenni, in modo sicuro ed estremamente rilevante, l’incidenza di malattie gravi e potenzialmente letali che erano diffuse da millenni (nel 1980 l’OMS ha dichiarato l’Italia e l’Europa vaiolo free), la mortalità dei bambini vaccinati e varie forme di disabilità nel mondo. I vaccini se utilizzati correntemente, rispondono a rigorosi criteri di efficacia dell’azione vaccinale e di sicurezza clinica del preparato. Un’altra delle caratteristiche importanti, è la capacità di indurre la cosiddetta immunità di branco (o di gregge), cioè il fatto che immunizzando la maggior parte della popolazione, anche gli individui non venuti in contatto con il patogeno vengono protetti interrompendo la catena di infezione. Naturalmente in base a quanto è infettivo un microrganismo bastano percentuali diverse di persone vaccinate per indurre un’immunità di gregge; è stato comunque stimato che serve almeno l’80% della popolazione vaccinata per permettere che ciò accada. Si possono citare numerosi esempi di epidemie scoppiate a causa delle diminuzioni dei tassi di vaccinazione nella popolazione, che hanno causato una riduzione dell’immunità di gregge. Ne sono esempio i casi di morbillo nel Regno Unito del 1998, l’epidemia di difterite nei paesi ex-Unione Sovietica della metà degli anni novanta o altri casi di morbillo negli USA del 1980. Concludendo le seguenti tabelle indicano l’incidenza nelle varie fasce d’età delle meningiti da pneumococco e da HIB. ATTUALITÀ E PRIMO PIANO |
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IL RUOLO E L’IMPEGNO SOCIALE DELL’ INFERMIERE MILITARE PER LE MALATTIE RARE Riprendiamo la collaborazione con la rivista Obbiettivo Professione Infermieristica, del Dr. Camillo Borzacchiello Maresciallo dell’Aeronautica militare, infermiere, (camillo.farmaceutico@gmail.com) per proseguire sul tema delle Malattie Rare, sulla sua rilevanza sociale e sul ruolo e l’impegno dell’Infermiere Militare.
Il Ruolo Sociale Ho sempre pensato che il dovere di un infermiere sia esso militare o civile non fosse limitato all’intervento tecnico, come un prelievo di sangue o la somministrazione di una terapia, ma un modo per avere cura delle persone nel senso più ampio del termine. Accogliere e comprendere la persona nella malattia e nel disagio, facendosi carico anche delle sue emozioni, permette di accompagnarla e di farla sentire meno sola, di offrire un punto da dove ripartire per guardare con occhi nuovi la situazione reale in cui si trova. Infatti se le competenze professionali sono indispensabili, non da meno lo sono le competenze relazionali e comunicative, che rappresentano il valore aggiunto della professione infermieristica. Il Codice Deontologico dell’infermiere 2009 , all’articolo 6 l’infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione, all’art.11 l’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiorna saperi e competenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull’esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione. Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei risultati, all’art.23 l’infermiere riconosce il valore dell’informazione integrata multi professionale e si adopera affinché l’assistito disponga di tutte le informazioni necessarie ai suoi bisogni di vita, all’art.34 l’Infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari. Sono questi solo alcuni articoli a cui mi sono ispirato in questi anni per garantire il massimo impegno sia personale che infermieristico al paziente affetto da malattia rara a cui pur non prestando attività infermieristica vera e propria ho cercato di dare la mia piena disponibilità umana e professionale non lasciandolo mai solo e garantendogli nel pieno delle mie competenze e campo d’azione le garanzie di una terapia disponibile nel più breve tempo possibile. Perché le difficoltà che incontra il pa10
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ziente affetto da malattia rara e la sua famiglia, sono molteplici, aggravati ulteriormente dall’impossibilità di guarire e di ottenere terapie adeguate. È evidente che queste persone sono più vulnerabili rispetto ad altre e l’approccio alla loro malattia deve essere finalizzato alla migliore qualità di vita che la condizione possa permettere loro, aiutandoli a trovare le risorse pratiche e psico-fisiche ottimali per affrontare le difficoltà, inevitabili, in pazienti con patologie cosi particolari. Ma il mio impegno nel sociale come Infermiere Militare ha riguardato anche: • incontri con Associazioni dei malati, • partecipazione a meeting e convegni Istituzionali, • organizzazione di eventi con tema le malattie rare e i farmaci orfani, • conferenze tenute sia a bambini delle scuole primarie che delle scuole secondarie, • lezioni alla facoltà di scienze economiche con tema il social marketing, • elaborazioni di abstract sulla mexiletina esposti in consessi sia nazionali che internazionali • elaborazione di volumi e atti sul ruolo sociale e sulle malattie rare, • analisi di studio sull’importanza dei social network, • incontri personali con pazienti affetti da malattie rare, • partecipazione a progetti di ricerca e elaborazione di nuove molecole farmaceutiche, • guidare il percorso del paziente affetto da malattia rara all’interno del sistema sanitario e del sistema socio-assistenziale grazie all’approccio all’interno degli ambiti legislativi relativi, • diffusione della conoscenza sulle malattie rare ed ai farmaci orfani nella popolazione generale, sono queste solo alcune attività a cui credo sia importante dare seguito dimostrando sempre piena disponibilità e professionalità : “ Poche cose ci appagano come l’operare con amore, verso i bisogni di una o più persone, ricavando inaspettatamente, più nel dare che nel ricevere”.
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Coordinatore infermieristico Il ruolo di coordinamento infermieristico, la cui funzione viene definita dalla L. 42\1999 e prosegue fino a culminare con la L. 251\2000 e la L. 43\2006 che istituisce, all’art. 6, la funzione di coordinamento (previo specifico master universitario di I Livello), risulta essere sia una necessità organizzativa, per la gestione delle risorse umane, che professionale come perno motivazionale e di sviluppo per l’acquisizione di competenze. Possiamo quindi affermare per grandi linee che il ruolo del coordinatore infermieristico evolve dalle funzioni clinico-assistenziali al management attraverso la relazione e la leadership. Nella mission del coordinatore infermieristico ex caposala è riportato che lo stesso: • assicura l’organizzazione dell’assistenza infermieristica, tecnico sanitaria, riabilitativa […], di base e alberghiera, dell’unità organizzativa coerentemente con gli indirizzi forniti dalla direzione infermieristica, nel rispetto delle norme di buona pratica professionale e linee guida • garantisce il coordinamento organizzativo delle risorse umane dell’U.O. […] nel rispetto dell’integrità della persona • contribuisce allo sviluppo ed alla valorizzazione del personale […] attraverso il costante aggiornamento delle competenze e delle conoscenze tecnico-professionali. Un ruolo pieno di responsabilità legate ai mille aspetti che trovano interfaccia in tutto il sistema organizzativo e assistenziale che spesso assegna l’immagine di preposto “kapò“. Nella lettera dai toni talvolta amareggiati e delusi che riportiamo di seguito la collega esprime il suo vissuto invitando il lettore ad una riflessione.
UNA SANITÀ CONTRADDITTORIA LE FATICHE DEL COORDINATORE ◊ di Ilaria Benelli infermiere coordinatore P.O. S. M. Annunziata Firenze ilaria.benelli@asf.toscana.it
Vale nella misura in cui è capace di sistemare le cose ragionando a modo suo Lavora a ritmo serrato È tormentato da ciò che potrebbe fare e da ciò che deve fare Deve imparare a esercitare la propria superficialità con competenza Partecipa solo quando la partecipazione ha un valore tangibile Ama l’informazione corrente Deve essere ovunque Non adotta mai lo stesso approccio per un giorno intero Mantiene l’omeostasi per tenere l’organizzazione nella direzione giusta Cura i confini dell’organizzazione Deve rafforzare la cultura Deve affinare la capacità di riflettere mentre lavora Deve spesso fingersi sicuro di sé
È importante nella misura in cui aiuta le altre persone a essere importanti Deve sviluppare un’elevata tolleranza al disordine Deve dividere le sue informazioni privilegiate con altre persone È imperfetto, ma i suoi difetti non sono fatali Deve impegnarsi nell’autosviluppo (apprendimento continuo, autodiagnosi e autogestione) Deve essere consapevole (di tutto quello indicato sopra!) Mitzberg H. Siamo nell’era del “coordinatore dei miracoli”, tutti si aspettano qualcosa, diffusione ed applicazione di linee guida, procedure e protocolli, ottimizzazione dell’uso del personale sempre più esiguo, risposte alle sempre più frequenti carenze di risorse fisiche e materiali, rapida risoluzione ai guasti di apparecchi e impianti obsoleti. PARLIAMO DI NURSING |
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Il ruolo è delicato, la diplomazia è d’obbligo, occorre ogni giorno costruire rapporti che si basino sull’umanità, il sorriso e la collaborazione e che ti consentano di tenere a galla una nave spesso vecchia e piena di falle. Il gruppo infermieristico: la richiesta più frequente che viene fatta dal coordinatore è la copertura di turni vacanti con rientri sul giorno libero. Se hai creato un rapporto di fiducia spesso ottieni la disponibilità, difficile è dare qualcosa in cambio, “il meccanismo premiante” si riduce a cercare di dare qualche giorno libero o di ferie quando te lo chiedono, ma non sempre è possibile... oltre ai rientri, il sistema impone la richiesta di adesione ai corsi di formazione e aggiornamento, assolutamente necessari nella nostra professione; l’uso di programmi informatici, utilissimi per uniformare l’operato di tutti i gruppi infermieristici, importante per la tracciabilità delle azioni di ciascun operatore e per ridurre gli errori di lettura che venivano sovente fatti nel cartaceo. Peccato però che non ci sia un unico programma ma tre, quattro, cinque che non parlano fra loro, ciascuno con un percorso formativo specifico, ciascuno con una password identificativa da ricordare! Poi ci sono i modelli da imparare, in continua evoluzione, dove si cerca di dare una dimensione diversa al professionista infermiere, maggiore responsabilità che dovrebbe associarsi a maggiore soddisfazione perché l’infermiere può fare le “diagnosi” infermieristiche ben inteso! Il gruppo medico: il coordinatore ha spesso un ruolo di mediatore nei conflitti che si possono creare fra medici ed infermieri, quasi sempre correlati ai cambiamenti della così detta “prassi consolidata” (traduzione “abbiamo sempre fatto così, perché dobbiamo cambiare!”), a schemi mentali rigidi ancorati a ruoli desueti, al mancato riconoscimento di una crescita professionale spesso vissuta come un’invasione di campo e un abuso di professione. In generale manca la cultura della collaborazione interprofessionale e del confronto per costruire insieme un percorso che metta davvero al centro il malato e il suo interesse. La direzione: il coordinatore deve fornire un ritorno di tutti quegli interventi fatti sul gruppo, consegnando dati, relazioni e risultati che verranno poi monitorati, confrontati e condivisi partecipando a riunioni e tavoli di coordinamento. Resta da dare un’occhiata al budget, facendo attenzione alle richieste, che siano fatte con appropriatezza e rispondano all’effettivo fabbisogno del reparto, poco importa se ordini una cosa e te ne arrivano cento, importante è rientrare nelle spese! Inoltre… ogni giorno una richiesta di intervento e ogni intervento ha una sua procedura di attivazione, un numero verde, un indirizzo mail, una persona di riferimento. L’intervento può essere fatto nel breve tempo, oppure nel lungo tempo e allora devi tracciarlo per non perderne il ricordo. In caso di sollecito segui le stesse strade, un numero verde, un indirizzo mail o una persona di riferimento, qualche volta in una sequela senza fine. In conclusione l’impegno è grande, quotidiano, costante e non sempre riconosciuto... non è raro sentire un infermiere descrivere il proprio coordinatore come colui che ha sempre e solo l’orario in mano, oppure il medico che si lamenta perché ci sono troppe novità che il coordinatore non ha saputo arginare, o il giornalista che ti sbatte sui giornali e ti mette alla berlina. Una lotta continua per un lavoro che molti coordinatori svol12
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gono con passione e professionalità, spesso affiancati da collaboratori validi ed efficienti senza i quali non sarebbe possibile raggiungere piccole vittorie che sono la spinta ad andare avanti e a fare sempre meglio malgrado tutto. Bibliografia e sitografia 1 2
Mintzberg H., Il lavoro manageriale in pratica, FrancoAngeli, Milano, 2014 Mintzberg H., Il lavoro manageriale, FrancoAngeli, Milano, 2010
Immagini riprese di siti: 3
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http://article.wn.com/view/2015/06/16/Fives_becomes_a_member_of_ the_IRT_Jules_Verne_to_contribute_/, Fives becomes a member of the ‘IRT Jules Verne’ to contribute to the development of factories of the future (Fives SA) http://study.com/academy/lesson/decisional-roles-in-management-types-examples-definition.html; Henry Mintzberg Three Categories of Managerial Roles
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LA DISABILITÀ DALLA BUROCRAZIA ALLE FACILI PROMESSE ◊ di Lucia Settesoldi infermiere lucia.settesoldi@asf.toscana.it
L’International classification on functioning , disability and health (IFC) è la classificazione delle disabilità elaborata dall’OMS nel 2001 e definisce la disabilità come “la conseguenza o il risultato di una complessa relazione fra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze in cui esso vive” . Con questa definizione l’OMS chiarisce che il termine disabilità non si riferisce alla sola menomazione fisica o mentale della persona ma prende in considerazione anche i contesti socioculturali e ambientali degli individui, per valutarne le interazioni con le condizioni di salute e l’impatto con l’inclusione sociale. Paradossalmente la solita menomazione fisica o mentale può dare luogo a disabilità diverse a seconda del contesto in cui si esplica (gli esempi più banali: presenza di barriere architettoniche, mancanza di percorsi scolastici specifici, ecc). Le persone con disabilità in Italia, nel 2004, erano 2.600.000: il 4,8 % della popolazione. Questo dato è riferito alle persone di più di sei anni e che vivono in famiglia, quindi non tiene conto delle persone istituzionalizzate né dei minori in età prescolare. All’interno di questo insieme sono rilevanti le differenze di genere : le donne rappresentano il 66,2% (un milione e 700mila), praticamente il 6,1% delle donne italiane, mentre il valore per gli uomini è quasi dimezzato, il 3,3%. Lo svantaggio di genere non è solo legato all’invecchiamento quanto piuttosto al cosiddetto “paradosso donna”: le donne vivono più a lungo ma si ammalano di più e hanno uno status economico e sociale più basso rispetto agli uomini. Dall’adozione del modello concettuale della disabilità proposto dall’IFC deriva che l’approccio terapeutico nei confronti della persona disabile non può che essere interprofessionale, e le modalità organizzative che ne derivano devono avere a riferimento un percorso integrato sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale (anche se nell’ambito del processo di assistenza alla persona disabile si suole distinguere per praticità le attività sanitarie di riabilitazione da quelle di riabilitazione sociale). Possiamo ritrovare questi concetti all’interno del nostro Codice Deontologico, agli Art. 6, 7, 14, 21. L’infermiere che si avvicina al paziente disabile si trova ad affrontare varie problematiche, di seguito accenno a tre di esse, senza pretendere di essere esaustiva: Il Nomenclatore tariffario delle protesi e ausili - gli ausili costituiscono gli strumenti che consentono al paziente disabile di superare per quanto possibile le proprie difficoltà motorie o comunicative favorendo così il processo di inclusione sociale.
Nell’assistenza al paziente disabile la problematica più eclatante è legata ad un libretto: il “Nomenclatore Tariffario delle Protesi e Ausili” (NTP), varato nel 1999, costituito da tre lunghi elenchi di codici e prezzi (dai deambulatori alle carrozzine, dalle protesi d’arto ai presidi antidecubito) che rientrano nei LEA, cioè in quelle prestazioni erogate dal SSN . Il NTP doveva essere aggiornato ogni due anni, ma in questi 16 anni non è mai stato fatto. Le conseguenze di questo mancato aggiornamento sono state principalmente due: • i codici del NTP sono riferiti a prodotti in commercio nel 1999 a fronte di una forte innovazione tecnologica in campo biomedico, per cui ad esempio un paziente amputato può accedere a protesi tecnologicamente obsolete a meno che non abbia la disponibilità economica di integrarne i costi, cosa che determina forti elementi di inquità sociale, o a meno che non si utilizzino escamotages; • il rivenditore (autorizzato e inserito in un elenco ufficiale di fornitori) fattura al servizio sanitario un prodotto che corrisponde ad un codice al quale è abbinato un determinato prezzo stabilito nel 1999. Soltanto che adesso molti prodotti (es: carrozzine pieghevoli, montascale ecc.) costano molto meno, hanno cioè un prezzo di mercato inferiore, e questo determina uno spreco di denaro pubblico. Questi problemi sono così noti e universalmente riconosciuti che si è cercato più volte di porvi rimedio: una prima volta nel 2008 l’allora ministro della Sanità Livia Turco emanò un decreto che adeguava il NTP, ma non fu mai applicato e in seguito, nel 2012, un altro decreto ha subito la stessa sorte. Le motivazioni di questo mancato aggiornamento sono varie e fra queste vi rientrano sicuramente gli interessi delle ditte fornitrici, ma quella che viene comunemente palesata è essenzialmente la mancanza di copertura finanziaria: è indubbio che l’aggiornamento del nomenclatore costituisca un impegno di spesa notevole, in quanto necessariamente dovrebbe inserire al suo interno opportunità e tipologie di ausili che adesso non ci sono. Le Regioni e le Asl hanno cercato di porre rimedio a queste disfunzioni con gli strumenti a loro disposizione come ad esempio l’emanazione di delibere che semplificano il percorso per ottenere l’ausilio: alcune regioni hanno distinto gli ausili “assistenziali” da quelli più propriamente riabilitativi, in modo da sburocratizzare in parte i percorsi e facilitarne l’accesso a una popolazione sempre più anziana o a pazienti dimessi da degenze sempre più brevi, altre come la Toscana, pur non distinguendo formalmente fra ausili assiPARLIAMO DI NURSING |
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stenziali e riabilitativi, ha dal 2008 di fatto reso prescrivibili i primi dai MMG e non solo dai medici specialisti o ospedalieri come prescriverebbe il NTP. Altri strumenti utilizzati sono state l’indizione di gare per i presidi non personalizzati, o l’adozione di provvedimenti che finanziassero la fornitura di strumenti extraNTP, come ad es. i recenti ausili ad alta tecnologia per pazienti con gravi patologie neurologiche (puntatori oculari per permettere di comunicare a pazienti con SLA avanzate); ma nonostante questi provvedimenti l’impianto generale del NTP rimane inalterato. L’attuale proposta di revisione dei LEA prevede per l’assistenza protesica l’ampliamento dei beneficiari (malati rari, assistiti in ADI), la semplificazione delle procedure (collaudo degli ausili) e specifiche indicazioni per l’appropriatezza prescrittiva. L’ innovazione tecnologica e l’HTH - il secondo punto è relativo alla valutazione della tecnologia in ambito sanitario. Nelle ASL il coinvolgimento di infermieri esperti nel processo di Technology Assessment è iniziato con la partecipazione alle analisi e alle valutazioni di acquisto di strumentazione utilizzata da personale infermieristico principalmente all’interno dei Presidi Ospedalieri (monitor, letti, ecc.). Con il tempo il processo di valutazione della tecnologia sanitaria, esplicato anche nelle fasi di stesura di capitolati o di effettuazione di gare (a cui infermieri esperti ormai partecipano abitualmente), si è esteso anche alle modalità di gestione di appalti e quindi di erogazione dei servizi. Con l’affermarsi dell’infermieristica territoriale, della sua incrementata importanza data dai nuovi percorsi clinico assistenziali (sanità d’iniziativa, dimissioni precoci, ecc.) è diventato importante estendere questo metodo ai presidi utilizzati dai pazienti o dai loro familiari a domicilio. È qualitativamente rilevante che anche nei processi di aggiudicazione di ausili che poi verranno forniti a persone disabili siano coinvolte in maniera più sostanziale di quanto non sia stato fatto finora, figure professionali sanitarie appropriate (penso a infermieri per i presidi assistenziali o a fisioterapisti per quelli riabilitativi). I nuovi LEA prevedono l’introduzione di protesi e ausili anche di elevata tecnologia (piedi a restituzione di energia, componentistica in materiali innovativi, sollevatori mobili e fissi, protesi acustiche digitali, comunicatori a sintesi vocale o a display, sistemi di riconoscimento vocale, domotica, ecc) nonché l’estensione delle gare di acquisto. È questo un motivo in più per cui la metodologia HTH sia utilizzata sempre là dove c’è un’acquisizione di ma14
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teriale tecnologico formando il personale coinvolto in questi processi. Le cure non EBM - il terzo punto a cui voglio accennare riguarda l’erogazione di cure di cui non si hanno evidenze scientifiche, tema in questo settore più di pertinenza fisioterapica, ma che non può essere eluso in un’ottica di integrazione fra le professioni sanitarie e di approccio multidisciplinare al paziente e alla sua famiglia. Accanto alle cure riabilitative territoriali erogate dal SSR sono presenti sul territorio e si integrano con esso vari istituti del privato accreditato. In genere il rapporto è validamente sinergico e regolarmente normato (vi è anche in questo caso un nomenclatore che stabilisce “pacchetti” specifici di erogazione fisioterapica in relazione alla patologia). Vi sono però alcuni casi che potremmo definire “zone grigie”, prendendo a prestito termini propri di metodologia della ricerca. Se i problemi relativi a gli ausili (modalità di fornitura e innovazione tecnologica)riguardano in pratica tutti i pazienti disabili, i metodi riabilitativi non EBM generalmente sono relativi a specifiche categorie di pazienti. La maggior frequenza rispetto al passato di lesioni midollari incomplete (e quindi con maggiori margini di recupero), le aumentate probabilità di sopravvivenza in gravi patologie neuromotorie acquisite o congenite, ecc. associata ad un accesso facilitato a qualsiasi tipo di informazioni, ha fatto sì che pazienti o loro familiari si affidassero a metodi riabilitativi forieri se non di speranze di guarigione sicuramente di miglioramenti eccezionali. La gravità delle patologie in esame, l’alto livello di disabilità, a volte un atteggiamento psicologico particolare nei confronti della malattia, portano comprensibilmente ad affidarsi a “filosofie” terapeutiche la cui maggior efficacia è tutta da dimostrare, oppure è dimostrata solo per ambiti diversi rispetto a quelli per i quali viene applicata (es. utilizzo della robotica). Pur rispettando la volontà del paziente di scegliersi le cure che ritiene opportuno, pur sapendo che non siamo nel campo delle cure salvavita (come per Stamina, Di Bella, ecc.) o di cure sperimentali autorizzate, poiché spesso si tratta di cicli terapeutici molto costosi e pervasivi della vita delle famiglie per l’intensità del loro svolgimento, è doveroso per il personale sanitario valutare i numerosi e vari approcci riabilitativi alla luce delle evidenze scientifiche e qualora queste non vi siano monitorarne scientificamente i risultati.Una recente revisione sistematica (C. Morawietz, F. Moffat, Effects of locomotor training after incomplete spinal cord injury : a systematic review, Archives of Physical Medicine and Rehabilitation 2013) ha analizzato otto studi con lo scopo di fornire una visione d’insieme sui vari approcci terapeutici riabilitativi dopo lesione midollare incompleta. Le conclusioni sono state che per questo tipo di pazienti nessun approccio riabilitativo è superiore ad un altro per il miglioramento della deambulazione. Purtroppo per altre patologie non sono ancora disponibili questi tipi di studi, per questo è fondamentale avere un controllo clinico e una valutazione scientifica dei risultati in presenza di pazienti che intraprendono questi percorsi, e in ultima analisi sarebbe anche necessaria una riflessione sul perché a volte il SSN non riesca ad ingenerare fiducia nei pazienti.
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LA MEDICINA D’INIZIATIVA DA PROGETTO A SISTEMA? ◊ di Stefania Comerci infermiera Professional stefania.comerci@asf.toscana.it
Con il PSR 2008-2010 la Regione Toscana, in linea con l’evoluzione organizzativa dei sistemi sanitari internazionali, pone tra gli obiettivi strategici del triennio lo sviluppo di una “sanità d’iniziativa”, ovvero di un modello assistenziale di presa in carico proattivo dei cittadini, che integrando quello classico della “medicina d’attesa”, disegnato per le malattie acute sia in grado di individuare il bisogno di salute prima dell’insorgere della malattia, o prima che essa si manifesti o gestirla prima che si aggravi, tale da bloccare o rallentarne il decorso, o l’insorgenza di comorbilità. A livello territoriale, il modello organizzativo-assistenziale di riferimento per l’implementazione di questo nuovo concetto di sanità, approvato con delibera regionale D.G.R.T. 3 novembre 2008, n. 894 - Progetto “Dalla medicina d’attesa alla sanità d’iniziativa”- è quello dell’Expanded Cronic Care Model, versione evoluta (expanded) del C.C.M. (E. Wagner -1997). (EXP CCM promosso dall’OMS e sperimentato in Canada). Questa versione è stata adottata per porre l’attenzione alle condizioni non solo ad elementi clinici che connotano il Chronic Care Model ma anche sociali, economici e culturali degli assistiti, alla prevenzione primaria collettiva ed ai determinanti di salute. La successiva D.G.R.T. 355 del 22-03-2010, approva l’estensione della sanità d’iniziativa a livello territoriale, con stanziamenti di risorse economiche alle singole ASL. La sanità d’iniziativa in ambito territoriale significava affidarle l’ambizioso compito di fronteggiare l’incremento esponenziale della cronicità, sia in termini di qualità di vita che di costi indotti sia diretti che sociali. Nel giugno 2010 nelle Aziende promotrici toscane, a potenziamento del ruolo delle cure primarie, si è avviata la fase di attuazione del modello assistenziale, con l’adesione di alcuni MMG e con la mobilitazione di infermieri delle ASL in proporzione di 1:10.000 abitanti iscritti al SSN, creando gruppi di lavoro, detti moduli (ogni modulo conteneva 6/7 medici e 1 infermiere);
non è stata inserita la figura dell’operatore socio-sanitario come prevista dalla Delibera. Sono stati selezionati dai diari clinici informatizzati della Medicina generale pazienti affetti dalle patologie croniche di diabete mellito 2, e scompenso cardiaco classe NYHA 1, 2, 3, inizialmente per i primi due anni, ictus, e BPCO successivamente. Inoltre la Giunta regionale, di concerto con la Medicina Generale, definì un set minimo di indicatori, di processo e di esito, con i relativi risultati attesi finalizzati a misurare il grado di implementazione e performance della metodologia dell’expanded CCM nella gestione di pazienti affetti dalle quattro PARLIAMO DI NURSING |
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patologie considerate, nonché la dichiarazione di svolgimento di alcune attività generali previste, quali il counselling individuale e di gruppo. A questi indicatori tutte le aziende USL avrebbero dovuto rispondere con una tempistica predefinita e ricorrente. Le attività della medicina d’iniziativa territoriali si inseriscono proprio nei livelli due e tre della piramide: ai pazienti individuati e intercettati per una o più delle quattro patologie suddette, sono state proposte attività cliniche e assistenziali integrate e rafforzate da interventi programmati di promozione della salute: l’attenzione ai determinanti di salute (fattori di rischio fisici, sociali ed economici), l’educazione ai corretti stili di vita (corretta alimentazione, attività fisica, eliminazione e (o riduzione all’abitudine al fumo), il monitoraggio dei parametri specifici, e la valutazione della compliance terapeutica. Questi interventi di counselling educazionale, individuale e/o di gruppo erano finalizzati ad accompagnare il cittadino al mantenimento di un livello di salute il più alto possibile, sviluppando capacità di self-care e accettazione verso interventi di care, attraverso percorsi assistenziali condivisi a livello aziendale, mirati a bloccare/rallentare le complicanze della patologia cronica, ma anche quella di affrontare con efficacia l’insorgenza di patologie acute. Naturalmente tra livello 2 e 3 può esistere un cammino binario per ogni cittadino coinvolto, di progressione e di regressione e il monitoraggio clinico e comportamentale, è stato garantito da follow-up sistematici e personalizzati a secondo delle criticità obiettivamente e soggettivamente evidenziate. Gli infermieri, hanno gestito queste attività, ne hanno assunto la responsabilità professionale e hanno potuto relazionarsi continuamente con i MMG, beneficiando di una logistica comune. Spesso sono stati l’anello di congiunzione con le altre figure professionali quali fisioterapisti, infermieri dei centri specialistici ospedalieri, infermieri dell’assistenza domiciliare, assistenti sociali, per facilitare il soggetto in carico all’interno del proprio percorso assistenziale, garantendo anche risultati di qualità, quali l’equità e l’accessibilità alle cure. Come indicato dalla stessa D.G.R.T., un presupposto fondamentale per il successo del progetto ed il conseguimento dell’obiettivo di miglioramento del sistema di prevenzione e gestione della cronicità, è l’acquisizione di “competenza specifica” da parte degli infermieri aderenti al modello: per tale motivo è stato effettuato un percorso formativo, dalle ASL aderenti, ampiamente strutturato per tematiche e tempi: formazione sia d’aula che on the job, comprese giornate di tirocinio presso le U.O. ospedaliere di riferimento e integrazione al modello, per un periodo di tre anni, dal 2011 al 2013. Si è spaziato dagli aspetti clinici per tutte e quattro le patologie croniche, al nursing specifico, al counselling motivazionale, al self managment e all’applicazione di strumenti di monitoraggio degli indicatori del processo assistenziale. Nel 2014 si sono effettuate giornate di aggiornamento permanente. 16
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Ma come ogni importante cambiamento le iniziali criticità sono prevedibili: difficoltà logistiche, strumentali, di collaborazione multiprofessionale, di diffidente impatto sociale, ma attraverso la formazione in itinere, l’esperienza professionale, e i continui audit effettuati tra gli infermieri dei diversi moduli, e i responsabili aziendali, insieme ad una immancabile perseveranza e credibilità al progetto, è stato possibile condividere le difficoltà, individuare i punti di forza e di debolezza dell’organizzazione neonata, e ottenere, ad oggi i primi riconoscimenti di ruolo, fondamentale la fiducia e la conseguente compliance al piano di cura, del paziente preso in carico. Il Piano Integrato Socio Sanitario Regionale (PISSR) 2012-2015 evidenzia che ad oggi 1/3 dei cittadini toscani è iscritto presso un MMG che fa parte di uno dei 93 moduli della sanità d’iniziativa, per la gestione delle proprie patologie croniche. Ribadisce l’importanza dell’assicurazione dei controlli, delle visite programmate e l’attività di supporto al self-managment del paziente, nell’ambito del percorso assistenziale per patologia e propone dopo la fase di consolidamento dei moduli, ormai conclusasi, considerando la comorbosità quasi ormai la regola e non l’eccezione, una presa in carico integrale, una visione centrata sulla persona e non più sulla patologia. Precisa inoltre che la presenza di più patologie determina un effetto di rischio di complicanze, ospedalizzazione e costi, che non è il risultato di una semplice somma, bensì un incremento esponenziale, con il quale il sistema delle cure primarie dovrà confrontarsi. Il nostro lavoro è soltanto all’inizio anche se ha ottenuto buoni risultati, come ha dimostrato l’indagine del Laboratorio MeS dell’Istituto di Managment di Pisa, alla conclusione nel 2012 della fase pilota. L’indagine condotta sull’esperienza di 6.600 pazienti intervistati, ha permesso di monitorare attraverso il loro vissuto alcuni elementi chiave del Chronic Care Model, in termini di processo e di outcome. I pazienti hanno infatti risposto a quesiti sulle informazioni ricevute durante le visite di follow up per poter meglio controllare e gestire la propria malattia cronica, sulle procedure attivate dal team del modulo (medico di famiglia, infermiere) per monitorare lo stato di salute dei pazienti stessi e sugli effetti che questo tipo di presa in carico ha prodotto in termini di qualità dell’assistenza, di salute e di empowerment. Alle porte di una nuova riorganizzazione delle politiche sanitarie regionali, il nostro auspicio è che il successo iniziale non rimanga tale, che la formazione acquisita e investita dalle aziende non sia un altro bagaglio non spendibile, che l’infermiere di sanità d’iniziativa continui a migliorare e perfezionare il proprio operato nella convinzione che CHI FA CHE COSA debba rimanere un idioma fondamentale per una efficace e snella comunicazione e integrazione di competenze nel processo assistenziale sia per il raggiungimento degli outcome, che non ultimo per il benessere organizzativo.
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SESSUALITÀ ED AFFETTIVITÀ NELLE RELAZIONI DI AIUTO ◊ di Patricia Monica Bettini infermiera coordinatrice, psicopedagogista, sessuologa
Affettività e sessualità non sono sinonimi pur avendo in realtà molte cose in comune ed essendo parte integrante dell’identità soggettiva, unica ed irripetibile di ogni persona nel suo percorso evolutivo, dal concepimento alla morte. Ognuno di noi infatti costruisce la propria identità di “persona sessuata” intrecciando gli aspetti della sessualità e quelli dell’affettività nella propria storia e nel proprio progetto di vita. Essere persone sessuate comporta il fatto di avere, vivere e dare senso e significati, individuali e sociali, ad un “corpo-persona” percettivo, che riconosce e ricerca il piacere e la gratificazione, connotato morfologicamente, culturalmente e simbolicamente rispetto ai generi, ai ruoli e agli orientamenti sessuali e che esprime, fra istinti, pulsioni e scelte, le possibilità funzionali relative al gioco e al piacere, alla relazione e comunicazione con sé e con l’altro da sé, alla procreazione, riproduzione. L’affettività è la coloritura emotiva di tutta la nostra personalità e delle nostre relazioni e si sperimenta attraverso la pelle, nel corpo e nelle sensazioni, emozioni e sentimenti ad esso connessi, mediante i vari vissuti di legame con coloro che si sono presi cura di noi, rispondendo ai nostri bisogni e collaborando alla costruzione del senso di noi stessi e della fiducia in sé e negli altri. Per costruire in maniera il più possibile serena la propria dimensione affettiva e sessuale bisogna partire dall’accettazione e consapevolezza del proprio corpo (come è, come funziona, cosa rappresenta) e dalle implicazioni relazionali con se stessi e con gli altri. Parole chiave che entrano in gioco sono: corpo, sensazioni, emozioni, affetti, sperimentazioni, valori, rispetto per sé e per gli altri, riconoscimento delle differenze, scelte... La conoscenza, attraverso le informazioni corrette ed il confronto con se stessi e con gli altri, costituisce un aiuto a riflettere e rielaborare, in modo più personalizzato, i comportamenti e le scelte, così da essere il più possibile critici e liberi rispetto a condizionamenti e stereotipi, affrontando i temi del cambiamento, sempre presenti e necessari, nel continuum vita-morte, salute-malattia che caratterizza le nostre esistenze. Tutte le relazioni di aiuto, poiché veicolate dalla comunicazione interpersonale, comportano un incontro-scambio che, di per sé, implica, in modo più o meno esplicito, più o meno dichiarato, più o meno correlato alla specificità di quel rapporto di ascolto e presa in carico, l’ambito affettivo e sessuale
di coloro che entrano in gioco. All’interno della relazione di aiuto fra professionista e persona-paziente-utente, per chi detiene il ruolo di “potere di servizio” verso l’altro, è di fondamentale importanza tener conto, all’interno del proprio “sapere-saper fare-saper essere” specifico, del proprio modo di intendere e vivere le dimensioni della sessualità e dell’affettività; tenendo al contempo conto delle possibili, molteplici modalità intese e vissute dagli altri. In particolare le relazioni di aiuto sanitarie-sociali-educative, così strettamente correlate al corpo, alle sue funzioni e ai processi evolutivi ed involutivi della salute-non salute nelle sue ampie accezioni, sfaccettature e determinanti (biologico-culturali-ambientali-sociali-economiche), non possono prescindere dal tener presenti gli ambiti della sessualità ed affettività, sia nel riconoscimento anamnestico globale della persona, dei suoi bisogni, delle sue attività e stili di vita, dei suoi limiti e delle sue risorse, sia nel considerare le conseguenze su questi piani, che i cambiamenti tipici di ogni percorso di ridefinizione dello stato di salute, inevitabilmente comportano. Inoltre alcune professioni, in modo più stretto, prevedono un “corpo a corpo” relazionale e comunicativo di aiuto che comporta intimità fisica, emotiva ed intellettuale, tale da mettere in gioco temi di rispetto del pudore, contenimento e scioglimento dell’imbarazzo, tutela degli aspetti di riservatezza e privacy; aspetti che, se non gestiti in modo consapevole e corretto, rischiano di provocare confusione, ambiguità ed equivoci, superamento dei limiti e sconfinamento dei territori. Saper parlare di sessualità, chiarirne le componenti fisiologiche biologiche e culturali, le possibili compromissioni e le possibilità di soluzione, rappresentano parte integrante del bagaglio umano e professionale di chi si occupa di salute; competenze ed attitudini che vanno alimentate al fine di tutelare un incontro dove, alla richiesta di aiuto portata dalla persona, la competenza offerta dal professionista possa costruire “ponti comunicativi” chiari, congruenti ed utili. L’agenzia per la formazione di Empoli ha organizzato un seminario per entrare negli aspetti specifici del tema. L’evento si terra dal 19 al 26 ottobre 2015. Per informazioni : Agenzia per la formazione AUSL11 Empoli. serena.sani@usl11.toscana.it
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PROGETTO: LIBERI DI RESPIRARE ◊ di Maria Pia Santoro infermiere Trauma Center A.O.U. Meyer Firenze
◊ di Anna Laura Lasamandra infermiere USL 17 Ospedale Riuniti Padova sud
“L’infermiere promuove stili di vita sani, diffonde il valore della cultura della salute attraverso l’educazione e l’informazione”. Questo è quanto afferma il Codice deontologico 2009 degli infermieri e tale affermazione mette in luce lo stretto rapporto che esiste tra la figura professionale dell’infermiere e l’educazione/formazione. Oggi, infatti, possiamo affermare che la funzione educativa dell’infermiere è integrativa alla cura e all’assistenza. Sia in termini di educazione primaria sia di educazione secondaria, l’infermiere ha il compito e il dovere di promuovere stili di vita sani e corretti, in modo da ridurre il rischio di contrarre malattie, ma anche modificare comportamenti a rischio. Con il passare degli anni il concetto di salute ha subito numerosi cambiamenti passando dal semplice significato di assenza di malattia ad uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale in rapporto dinamico con l’ambiente in cui una persona vive, pensa, agisce e si relaziona (OMS 1948). E ancora, sempre in base a quanto afferma l’OMS (1987- The World Health Report 1997,Ginevra) la promozione della salute è un processo che conferisce alle persone la capacità di aumentare e migliorare il controllo della propria salute. In questa prospettiva la promozione della salute si inserisce perfettamente all’interno dell’istituzione scolastica, la quale rappresenta il luogo privilegiato per l’istaurarsi di un dialogo sulla salute e sulla promozione dei corretti stili di vita. Dato l’interesse generale che riveste l’intervento di primo soccorso e il potenziale coinvolgimento di tutta la popolazione, è stato proposto un progetto di educazione e formazione sanitaria “Liberi di respirare”, il cui scopo è quello di avvicinare il sistema scolastico a quello sanitario al fine di promuovere la salute attraverso una serie di attività di collaborazione tra queste due realtà. Il progetto formativo si inserisce all’interno del contesto accademico come argomento della tesi per il conseguimento del Master in Infermieristica in emergenza e urgenza sanitaria. Tema centrale del progetto è l’insegnamento delle manovre di disostruzione delle vie aeree da corpo estraneo nel bambino, evento abbastanza frequente in età pediatrica il cui rapido riconoscimento e trattamento può prevenire gravi conseguenze. La scuola è il luogo in cui i bambini trascorrono gran parte delle loro giornate e in cui possono migliorare e approfondire la propria formazione in tale ambito; la scelta di puntare sul 18
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coinvolgimento attivo del bambino potrebbe essere insolita per questi progetti, ma come sappiamo dalla letteratura e dagli studi condotti in materia di apprendimento e sviluppo cognitivo da alcuni studiosi come il Piaget, Dewey, David A. Kolb, che hanno elaborato la teoria dell’Apprendimento esperienziale, il bambino crea la sua conoscenza attraverso la trasformazione dell’esperienza diretta. La formazione di tale progetto ha tenuto conto di questo apprendimento per fare acquisire le nuove conoscenze. Come dimostrano i dati di letteratura, l’ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo nel bambino è responsabile del 27% delle morti accidentali in bambini con età inferiore ai 4 anni. Quest’evento riguarda tutte le fasce dell’età pediatrica, ma l’incidenza maggiore - oltre il 70% dei casi- si verifica nei bambini tra il 12 e i 36 mesi d’età soprattutto nei maschi. In Italia mancano dati epidemiologici, ma secondo l’Istituto Superiore di Sanità si verificano all’incirca 450 episodi di inalazione di corpo estraneo ogni anno e la mortalità si aggira a 30 bambini con meno di 4 anni. Le cause responsabili possono essere identificate in vari oggetti o cibi (arachidi, uva, caramelle ecc). con cui i bambini entrano in contatto, ma anche dalle caratteristiche anatomiche e funzionali delle vie aeree stesse come l’assenza di dentizione posteriore e l’immaturità del meccanismo che regola la deglutizione e la respirazione. Dalle statistiche emerge che molti incidenti si verificano perché i bambini mentre mangiano svolgono altre attività quali giocare, muoversi, ridere o parlare e ciò aumenta notevolmente il rischio d’inalazione accidentale. Il progetto è stato realizzato presso l’Istituto comprensivo “L. Fibonacci” di Pisa. Dopo un colloquio con il dirigente scolastico, in cui è stato presentato l’argomento della formazione, gli obiettivi e le finalità e appurata la carenza di conoscenze in merito, il progetto è stato inserito all’interno della programmazione didattica dell’anno scolastico 2014/2015. Obiettivo del progetto è quello di diffondere l’informazione sulla prevenzione delle cause che determinano l’ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo, con lo scopo di modificare i comportamenti pericolosi e ridurre i casi di ostruzione; inoltre fornire ai bambini nozioni e mezzi per intervenire in caso si verifichi una situazione di emergenza/urgenza. I destinatari del progetto sono tutti gli alunni delle classi V sezioni A-B-C dell’Istituto e gli insegnanti delle rispettive classi.
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Per quanto riguarda la pianificazione formativa, i contenuti affrontati durante gli incontri del progetto prevedono: Teoria su cenni di anatomia e fisiologia dell’apparato respiratorio; Teoria sulle cause più frequenti e tipologie di ostruzione delle vie aeree; Teoria e pratica sulle manovre da compiere in caso di ostruzione delle vie aeree e manovre di rianimazione cardiopolmonare. Come modalità di apprendimento è prevista la lezione frontale con proiezione di slide e filmati alle quali si aggiungono esercitazioni pratiche sul manichino pediatrico. Al termine di ogni incontro verrà lasciato nelle classi un poster riassuntivo con l’algoritmo delle manovre di disostruzione; è prevista anche la possibilità di scattare delle fotografie durante l’inconto al fine di documentare il progetto. Inoltre il materiale preparato per la formazione verrà lasciato alle insegnanti per poter essere rivisto e condiviso. L’architettura del progetto prevede tre incontri con cadenza mensile, in modo tale da coinvolgere una sola classe durante ogni incontro, per un totale di 2 h. Il progetto ha avuto inizio a febbraio 2015 e terminerà ad aprile 2015. Attualmente è stato realizzato un solo incontro formativo, il 9 febbraio con la classe V C. (Foto) Nella fase di preparazione del progetto sono stati formulati indicatori e standard come quelli mostrati nella Tabella 1. In relazione all’incontro svoltosi in febbraio 2015 sono stati raggiunti i seguenti risultati: 63 % dei bambini partecipa al progetto formativo;
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88% dei bambini partecipanti dimostrano di aver appreso le manovre da attuare in caso di disostruzione delle vie aeree; 82% dei bambini partecipanti dimostrano di aver appreso la sequenza di rianimazione cardiopolmonare. Quindi, anche se parziali, i risultati ottenuti hanno soddisfatto gli standard che il progetto prevedeva di raggiungere. Naturalmente una valutazione complessiva e definitiva si potrà avere solo al termine del progetto. Nonostante gli esiti positivi fino ad ora ottenuti è importante orientarsi verso sviluppi futuri per poter estendere ed ampliare sempre più la cultura del primo soccorso a scuola. L’idea futura prevede l’estensione del progetto “Liberi di respirare” anche ad altre classi dell’Istituto. Inoltre una sfida sarebbe quella di realizzare un progetto volto alla prevenzione degli incidenti traumatici rivolto ai bambini della scuola primaria e tenuto dai ragazzi della scuola secondaria di primo grado. Bibliografia/sitografia 1
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Squicciarini M, Pagani J, Ferrazza P, et al. Manuale di rianimazione cardiopolmonare pediatrica di base, defibrillazione precoce e manovre disostruzione da corpo estraneo per la popolazione secondo le nuove linee guida internazionali ILCOR 2010. Croce rossa italiana 2010 Center for Disease and Control. Nonfatal choking related episodes among children- United States 2001. Morb Mortal Wkly Rep 2002;51:945. Chiaranda M. (2012) Urgenze ed emergenze Istituzioni terza edizione. Piccin
Tabella 1 INDICATORI
STANDARD
N° bambini e insegnanti che partecipano all’evento formativo % N° totale dei bambini e degli insegnanti presenti in una classe
≥ 100%
N° bambini che dimostrano di aver appreso le manovre di disostruzione delle vie aeree % N° totale dei bambini osservati
≥ 80%
N° bambini che dimostrano di aver appreso la sequenza di rianimazione cardiopolmonare % N° totale dei bambini osservati
≥ 70 % PARLIAMO DI NURSING |
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MORBO DI ALZHEIMER COME “MALATTIA FAMILIARE” LA NECESSITÀ DELL’APPROCCIO CARATTERISTICO DELL’INFERMIERISTICA DI FAMIGLIA
◊ di Claudia Cortesi infermiera claudiacortesi84@gmail.com
◊ di Ludovica Tamburini infermiera
◊ di Diletta Calamassi infermiera d.calamassi@usl11.toscana.it
La malattia di Alzheimer L’invecchiamento della popolazione e la prevalenza delle malattie cronico degenerative hanno portato negli ultimi anni ad una rivoluzione in campo socio-sanitario e nella concezione di assistenza infermieristica. Tutto ciò anche per quanto riguarda le patologie caratterizzate da disturbi delle funzioni intellettive come la malattia di Alzheimer, che rappresenta ad oggi la forma di demenza corticale più comune (il 54% delle demenze in Europa). La malattia di Alzheimer, causata dall’alterazione delle funzioni cerebrali, implica per la persona una serie di difficoltà nello svolgere le normali attività quotidiane. Da una fase iniziale, nella quale la sintomatologia può non essere particolarmente evidente, uno sviluppo lento e progressivo porta la persona a presentare gravi problematiche relative a perdita di autonomia, disturbi comportamentali, deficit di memoria e di attenzione e ad alterazioni di tipo cognitivo. Pertanto, la malattia ha, con il passare del tempo, un pesante impatto sulla famiglia, con conseguenze a livello emotivo, economico e sociale a carico dei membri del sistema familiare. Applicazione delle metodologie e degli strumenti dell’infermieristica di famiglia nella malattia di Alzheimer Attraverso la ricerca, l’analisi e la revisione di articoli e di testi medici ed infermieristici è stata presa in esame la malattia di Alzheimer, le implicazioni ad essa correlate e le possibilità di 20
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presa in carico da parte dell’infermiere di famiglia. In considerazione del fatto che l’obiettivo dell’infermieristica di famiglia è quello di fornire al nucleo familiare le conoscenze e l’aiuto necessario per raggiungere e mantenere un efficace livello di funzionamento e benessere, nonostante l’insorgenza dell’evento patologico, questo professionista dovrebbe collocarsi all’interno del percorso terapeutico-assitenziale fin dal momento della diagnosi di malattia di Alzheimer. Gli strumenti che l’infermiere di famiglia può utilizzare nella fase dell’accertamento, oltre alle scale specifiche per la valutazione delle Activity of Daily Living e delle Instrumental Activity of Daily Living, sono il genogramma (fig. 1) e l’ecomappa (fig. 2), i quali facilitano l’identificazione della struttura interna ed esterna alla famiglia e si rivelano fondamentali per l’individuazione del caregiver e delle risorse utili al supporto della persona e del nucleo familiare. Il genogramma è una rappresentazione grafica della struttura familiare con i relativi rapporti tra i membri che la compongono. L’ecomappa, invece, permette di rappresentare schematicamente i rapporti che i membri del nucleo familiare instaurano con l’ambiente esterno. Fig.1 Esempio di “genogramma” Fig.2 Esempio di “ecomappa”
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In considerazione delle difficoltà che derivano dall’assistere una persona affetta da Alzheimer, dopo aver identificato il caregiver, è fondamentale determinare il livello iniziale di stress cui questo è sottoposto per improntare eventuali interventi volti a ridurlo. Per far ciò è possibile ricorrere a strumenti di misura come la Care-Giver Burden Scale e la Caregiver Burden Inventory. Anche nella fase di pianificazione è necessario coinvolgere l’intero nucleo familiare, sia per ottenere una compliance nel percorso terapeutico-assistenziale, che per rafforzare il rapporto che si instaura tra famiglia, malato e infermiere. Gli obiettivi assistenziali concordati con il paziente e la famiglia devono essere in continuo aggiornamento in funzione dell’evoluzione della patologia, quindi è opportuna una costante valutazione degli outcome attraverso incontri periodici con il nucleo familiare, per favorire lo scambio di opinioni ed aggiornare i bisogni nelle varie fasi della malattia. Se inizialmente si possono porre obiettivi relativi al mantenimento di un corretto stato nutrizionale, di un adeguato ritmo tra attività e riposo, di un buon livello nella cura del sé, nelle fasi più avanzate devono essere presi in considerazione anche obiettivi finalizzati alla prevenzione degli incidenti domestici, delle fughe dal domicilio nei pazienti soggetti al wandering, alla prevenzione dell’allettamento, al controllo dei disturbi comportamentali e al soddisfacimento dei bisogni di socializzazione. Nella fase terminale il paziente affetto da Alzheimer diviene completamente dipendente dagli altri e agli obiettivi
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assistenziali si aggiungono la gestione del dolore, il mantenimento dell’integrità cutanea, la gestione dell’incontinenza urinaria e fecale. L’infermiere di famiglia deve inoltre considerare il carico assistenziale del caregiver ed impostare obiettivi che facilitino il riconoscimento dei campanelli di allarme, prima di giungere ad un vero e proprio rischio per la sua salute psico-fisica, come ad esempio riconoscere le situazioni causa di stress emotivo e fisico nell’assistenza, prevenire la sofferenza psico-fisica correlata, attivare risorse esterne per alleggerire il carico. Va tenuto comunque in considerazione che per ogni famiglia le problematiche possono variare e quindi ogni caso va analizzato singolarmente. Conclusioni Considerando la prevenzione una strategia per arrivare prima dell’insorgenza dell’evento malattia, siamo passati anche sul piano dell’assistenza dal concetto di to cure (cura) al concetto di to care (prendersi cura) rivolto non più solo al cittadino malato, ma all’intera comunità. La presa in carico della famiglia, anche STUDI E PROGETTI |
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nella malattia di Alzheimer, permette una visione globale del contesto in cui questa vive e delle relazioni sociali che instaura con l’esterno, al fine di individuare i punti di forza, le strategie da applicare e le risorse presenti sul territorio da attivare per garantire un adeguato livello di benessere ai suoi membri. La metodologia dell’infermieristica di famiglia garantisce, infatti, una gestione continua dell’intero nucleo familiare ed il monitoraggio dell’impatto che l’evento malattia ha sulla persona e sugli altri componenti del nucleo familiare. Gli infermieri operativi nei contesti di assistenza domiciliare potrebbero utilizzare strumenti caratteristici dell’infermieristica di famiglia ed utilizzare un approccio che mira alla presa in carico della famiglia nel suo complesso, per migliorare la qualità di vita dei singoli membri e, conseguentemente, l’assistenza da questi erogata rivolta alla persona malata.
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Passafiume D. La demenza di Alzheimer: guida all’intevento di stimolazione cognitiva e comportamentale, I edizione, Milano, Edizioni Franco Angeli, 2006. Borri M. Storia della malattia di Alzheimer, I edizione, Bologna, Edizioni il mulino, 2012. Gabelli C. Stare vicino a un malato di Alzheimer: dubbi, domande, possibili risposte, II edizione, Venezia, Edizioni il Poligrafo, 2008. American Psychiatric Association (APA) DSM-IV-TR Diagnostic and 22
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Bibliografia 1
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statisical manual of mental disorders, IV edizione, text revision (TR),Milano, edizione italiana a cura di Ed. Masson, 2007. Valla P. Alzheimer, architetture e giardini come strumento terapeutico, I edizione, Milano, Guerrini e associati, 2002. Carbone G. Invecchiamento cerebrale, demenze e malattia di Alzheimer: una guida informativa per i familiari e gli operatori con l’elenco delle Unità Valutative Alzheimer (UVA), I edizione, Milano, Edizioni Franco Angeli, 2007. Ponomareva E.V., Gavrilova S.I., A comparative analysis of the development of Alzheimer ‘s disease with and without depressive disorders (the predictive value for prognosis of Alzheimer’s disease and treatment), Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association, Vol. 10, 2014, Issue 4, P527. Mace N. Demenza e malattia di Alzheimer: come gestire lo stress dell’assistenza, III edizione, Trento, ed. Erickson, 2007. Zanobini M., Manetti M., La famiglia di fronte alla disabilità: stress, risorse e sostegni, IV edizione, Trento, ed.Erickson, 2010. Spadin P. Vaccaio C.M. La vita riposta: i costi sociali ed economici della malattia di Alzheimer, I edizione, Milano ed. Francoangeli, 2007. Sasso L., Gamberoni L., L’infermiere di famiglia: scenari assistenziali e orientamenti futuri, I edizione, Milano, ed. McGrow Hill, 2005. Health21: La salute per tutti nel XXI secolo, la strategia dell’OMS per la Regione Europea, OMS 1998. Watkins D., Edwards J., Community health nursing. Frameworks for practice, II edizione, Toronto, Baillere Tindall, 2003. Pellizzari P., L’infermiere di comunità dalla teoria alla prassi, I edizione, Milano, ed. McGrow Hill, 2008.
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LINEE GUIDA, EVOLUZIONE DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA IN TOSCANA 2015-2020 A CURA DEI COLLEGI IPASVI AREA VASTA CENTRO (FIRENZE, PISTOIA, PRATO)
Le presenti linee guida (Lg) per il quinquennio 2015-2020 sono il prodotto finale di un’attenta ricerca in letteratura, dello studio dei movimenti demografici della popolazione, dell’evoluzione della professione infermieristica e delle sue responsabilità. Esse forniscono alle parti interessate un quadro di riferimento generale per un’azione congiunta finalizzata al raggiungimento degli obiettivi globali nel quinquennio 2015-2020: “Migliori risultati di salute per gli individui, le famiglie e le comunità attraverso la prestazione di servizi infermieristici competenti, culturalmente sensibili e basati sull’evidenza.” Le aree evolutive della professione infermieristica comprendono attività volte ad affrontare i fattori che ostacolano la professione infermieristica nella sua capacità di raggiungere l’obiettivo suddetto, quindi, di contribuire efficacemente al rinnovo dell’assistenza infermieristica nei piani strategici della regione Toscana. Tra questi fattori sono comprese le cattive condizioni di lavoro, la mancanza di partecipazione nel decision-making e le limitate opportunità di sviluppo di carriera, inoltre gli insufficienti investimenti nella formazione di base e post-base portano a istituzioni formative incapaci di far fonte ai bisogni perché sottodimensionate per quantità e qualità degli organici con conseguenti ricadute sui servizi sanitari. Principi Guida Gli organi di governo regionale e gli Enti ordinistici della professione devono garantire che la propria azione di collaborazione rispetti i principi guida relativi ai valori fondamentali dell’assistenza infermieristica sia nei servizi pubblici che in quelli privati, agendo su: Azione etica, progettare e fornire servizi assistenziali basati sull’equità, l’integrità, la correttezza ed il rispetto del genere e dei diritti umani; Rilevanza, sviluppare servizi sanitari e socio-sanitari guidati dai bisogni di salute, dall’evidenza e dalle priorità strategiche valorizzando l’infermieristica;
Consapevolezza, adottare un approccio flessibile da implementare con il coinvolgimento delle comunità, delle aziende e delle organizzazioni di liberi professionisti; Partnership, lavorare insieme su obiettivi comuni, agire in collaborazione e supportare gli sforzi reciproci. L’infermieristica deve possedere regolamenti adeguati a supportare una pratica di elevata qualità e basata sull’evidenza. L’implementazione di strategie per potenziare i servizi infermieristici deve tener conto delle realtà, delle priorità e dei bisogni di ogni zona e azienda regionale. Sintesi aree evolutive della professione infermieristica 1) Potenziamento dei sistemi e dei servizi sanitari. I modelli dei servizi condotti dagli infermieri stanno alla base della riforma dell’assistenza sanitaria pubblica e privata. Focus: Contributo dell’infermieristica alla performance del sistema sanitario, alla fornitura del servizio, alla copertura universale e ai risultati di salute attraverso l’impegno attivo e la leadership infermieristica a ogni livello dello sviluppo di politiche/programmi sanitari e nel decision-making. 2) Politica e pratica infermieristica. Gli Infermieri giocano un ruolo proattivo nel garantire che le politiche sanitarie, i piani e le decisioni riguardanti la propria professione siano specifici per la regione e rispettino i principi della leadership inclusiva, della governance efficace e della pratica regolamentata. Focus: progettazione strategica di piani complessivi per i servizi infermieristici che coinvolgano tutti gli stakeholder di rilievo nel governo, nella società civile, nei servizi, nelle organizzazioni formative e professionali. Le politiche devono tener conto dei bisogni locali, della condizione effettiva dei servizi sanitari, del mix di professioni , delle risorse disponibili e della capacità produttiva e formativa. Devono focalizzarsi sull’ordinamento professionale, sulla standardizzazione dei programmi di formazione, sul sostegno all’infermieristica sullo sviluppo della ricerca all’interno e all’esterno del settore sanitario per affrontare le significative lacune dello sviluppo scientifico-professionale. COLLEGIO |
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3) Formazione e sviluppo di carriera. Capacità istituzionali migliorate per l’inserimento e la formazione di operatori adeguatamente competenti per fornire servizi completi incentrati sulla persona. Focus: monitoraggio continuo, valutazione e ricerca per fornire suggerimenti ai programmi di formazione di base, continua e post-base, non soltanto per infermieri ma anche per le altre figure sanitarie che sostanzialmente condividono i servizi legati all’infermieristica. Va mantenuta una particolare attenzione al miglioramento della qualità e alla mobilizzazione di risorse umane, materiali ed economiche. 4) Gestione della forza lavoro infermieristica. I responsabili delle scelte politiche creano un ambiente favorevole affinché la forza lavoro infermieristica risponda ai bisogni di salute che cambiano. Focus: dispiegamento di una forza lavoro infermieristica capace di soddisfare costantemente gli standard assistenziali stabiliti e le aspettative del pubblico e del privato. Le strategie possono contare su raccomandazioni basate sull’evidenza e sul supporto tecnico per migliorare lo skill-mix, la performance e la mobilità. I piani regionali riguardanti le risorse umane per la sanità devono tener conto dei costi; coprire il fabbisogno di personale infermieristico a tutti i livelli; gestire le migrazioni e mantenersi coerenti con gli approcci di condivisione delle competenze a livello interno e interprofessionale. 5) Partnership per i servizi infermieristici. S’incoraggia la collaborazione attiva e sistematica tra le organizzazioni infermieristiche con quelle basate sulla comunità, con i gruppi professionali ed il governo regionale. Focus: incoraggiare il governo regionale a collaborare con gli stakeholder fondamentali allo sviluppo di sistemi sanitari solidi, alla gestione ed alla governance. Per guidare l’implementazione e il monitoraggio delle Lg. è necessario creare piani di lavoro pluriennali. I meccanismi di supporto devono comprendere network formali e informali e comunità di pratica che utilizzano mezzi di comunicazione elettronici. Implementazione Partnership e alleanze Il successo delle presenti linee guida richiede un lavoro di squadra multisettoriale e interprofessionale tra tutti i soggetti a livello regionale, di zona, aziendale e di base. La regione coordinerà gli sforzi d’implementazione, con il supporto degli enti ordinistici e dei partner che condividono l’impegno e l’interesse per il potenziamento del sistema sanitario regionale, con una rinnovata enfasi sull’assistenza infermieristica pubblica ma anche privata.
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Bisogni regionali Le Lg. sono progettate per fornire un quadro di riferimento generale all’interno del quale la Regione possa scegliere obiettivi e attività prioritari al fine di soddisfare i rispettivi bisogni di salute. La Regione incoraggia a prendere in considerazione le Lg. nella pianificazione sanitaria, delle risorse umane per la salute e nelle politiche e insieme agli enti ordinistici: rispondono alle richieste di assistenza tecnica, consulenza e sviluppo capacità; cercano di rafforzare la capacità delle istituzioni regionali a sostenere gli sforzi per migliorare le prestazioni infermieristiche a livello regionale; guidano gli sforzi congiunti in aree di lavoro specifiche del quadro delle Lg. per l’infermieristica nel 2015-2020. Azione immediata Le aree prioritarie per il 2015 comprendono lo sviluppo di: • Un programma globale di lavoro per sostenere l’implementazione delle presenti Lg.; • Strumenti e modelli per la raccolta, la conservazione e l’aggiornamento dei dati di base per il monitoraggio e la valutazione dell’implementazione delle Lg.; • Piani d’azione per mobilitare le risorse per il potenziamento dei servizi infermieristici ad ogni livello del settore sanitario e socio-sanitario. • Strategie di sanità pubblica e privata basate sul rinnovamento per migliorare l’accesso ai servizi infermieristici ; • Politiche per la collaborazione interprofessionale nella formazione e nella pratica; • Punti concernenti le Lg. da iscrivere all’ordine del giorno di incontri e conferenze regionali e zonali. Monitoraggio e valutazione Una volta avviata l’implementazione, è fondamentale impegnarsi nel monitoraggio e nella valutazione, in modo da valutare l’efficacia delle azioni intraprese, informare i responsabili delle decisioni di eventuali ostacoli e quindi permettere loro di apportare i necessari aggiustamenti politici e programmatici. Ciò serve anche a identificare le azioni apprese e le pratiche migliori da aggiungere alla base delle evidenze e a sostenere le parti nei loro sforzi per potenziare i servizi in generale. Ciò è particolarmente importante alla luce dei profondi svantaggi derivanti dalla grave mancanza di affidabilità dei dati di riferimento, a livello regionale, sulla forza lavoro in sanità, soprattutto per quanto riguarda gli infermieri.
LA SEGRETERIA DEL COLLEGIO IP.AS.VI.FIRENZE COMUNICA ORARI DI APERTURA LA PUBBLICO PER IL MESE DI AGOSTO LUNEDÌ DALLE 10.00 ALLE 12.00 GIOVEDÌ DALLE 12.00 ALLE 15.00 CHIUSURA UFFICI : DAL 12 AL 22 AGOSTO
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SEMINARIO LA CONTENZIONE FRA ASPETTI CLINICO-ASSISTENZIALI, ETICI E LEGALI: È POSSIBILE ELIMINARE LA CONTENZIONE IN TUTTE LE SUE FORME ? Dopo la battaglia portata avanti negli anni ‘70 per liberare, con la riforma Basaglia, i malati mentali da camicie di forza ed elettrochoc, Trieste vince la sfida legata alla libertà e tutela dei diritti degli anziani nelle case di riposo, e diventa la prima città italiana «libera dalla contenzione», nel rispetto della Costituzione. La contenzione (fuori dall’area dell’emergenza) lede il diritto alla libertà del proprio corpo sancito dall’art.13 della Costituzione ed appartiene all’armamentario della vecchia cultura prestazionale di cui si è ampiamente dimostrata l’inefficacia e l’inefficienza in quanto centrata sull’organo e sulla patologia e non sulla persona. Il 30 ottobre 2015, presso l’Agenzia per la Formazione dell’AUSL11 Empoli, ci sarà un seminario sul tema suddetto. Oltre all’esperienza Toscana nelle RSA e in Psichiatria sarà presente anche l’esperienza di Trieste che è diventata la prima città italiana “libera dalla contenzione”. Il corso è rivolto a Medici, Infermieri, Fisioterapisti, Ostetriche, Farmacisti, Psicologi, Assistenti Sociali, Educatori, Terapisti occupazionali, OSS e studenti. Il corso è accreditato ECM. Le iscrizioni devono essere effettuate on-line entro e non oltre il 26/10/2015.
Per informazioni Segreteria Agenzia per la Formazione AUSL 11 Empoli UOC Formazione universitaria e a valenza extra aziendale Via Oberdan, 13 - 50059 Sovigliana/Vinci (FI) Sig.ra Serena Sani tel.+39 0571 704327 - fax. +39 0571 704339 e-mail: serena.sani@usl11.toscana.it
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QUESTIONE IMMIGRAZIONE È NECESSARIO SCUOTERE LE COSCIENZE PER NON ABITUARSI ALL’INDIFFERENZA
◊ di Mara Fadanelli infermiera USL11 m.fadanelli@usl11.toscana.it
La copertina del settimanale L’Espresso del 4 giugno 2015 ritrae un’immagine choc, di un naufragio nel canale di Sicilia, intitolata “Se questi sono uomini”. “I corpi nudi raccontano l’orrore degli abiti strappati nel tentativo di aggrapparsi a chi è riuscito ad afferrare la prua del barcone”.1 Questo titolo ci richiama alla mente il primo libro pubblicato da Primo Levi, “Se questo è un uomo”, che scrisse dopo essere sopravvissuto al lager di sterminio di Auschwitz. Il testo venne scritto non per muovere accuse ai colpevoli, ma come testimonianza di un avvenimento storico e tragico. Ma quante testimonianze ci devono ancora essere per riuscire a dire che tutti dovremo avere i soliti diritti, per poter dire basta a questi orrori? I paesi da cui partono le imbarcazioni sono, in ordine decrescente, la Libia, l’Egitto, la Grecia, la Turchia e la Tunisia. Dopo la caduta del regime del colonnello Gheddafi il sogno di chi sperava in un avvenire democratico è evaporato in fretta e, a quattro anni dalla mancata primavera, nel paese nordafricano dilagano il caos, la violenza settaria e una tota1 L’Espresso, n.22 anno LX1 4 giugno 2015 26
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le instabilità politica che fa gioco soprattutto all’insorgenza dei gruppi estremisti. Decine di milioni di arabi e di africani tentano di fuggire dalla guerra e dalle atrocità del fondamentalismo islamico più retrivo e violento. Per loro l’Europa è sinonimo di speranza. Le regioni italiane con il maggior numero di migranti, dal 1° gennaio 2015 al 23 maggio 2015, sono la Sicilia (30.750), la Calabria (5.700), la Sardegna (320), la Campania (2.080) e la Liguria (500)2 Dopo la tragedia del barcone con 900 morti nella notte tra sabato e domenica 18-19 aprile al largo delle coste libiche nel Canale di Sicilia, i vertici europei si sono riuniti il 23 aprile del 2015. Le priorità dei 28 primi ministri sono: fermare i trafficanti, rafforzare i controlli, prevenire gli ingressi irregolari. Una strategia ispirata alla repressione e poco verso la solidarietà verso i migranti e verso paesi, come l’Italia, che devono gestire sbarchi e soccorsi. La volontà dell’UE è che i controlli siano militarizzati e costrittivi, con l’obbligo dell’Italia di farsene carico economicamente e socialmente. 2 ibidem
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In un appello congiunto molte organizzazioni non governative, tra cui OXFAM ITALIA, SAVE THE CHILDREN, ARCI e FOCSIV, hanno ribadito la richiesta di una nuova missione di salvataggio “mare nostrum” europea. La federazione delle Chiese evangeliche e la Comunità di Sant’Egidio hanno proposto di autofinanziare, attraverso l’8 per mille, un corridoio umanitario tra Marocco e Italia. I medici, gli infermieri, per deontologia professionale, sono chiamati a curare le persone a prescindere dal loro credo politico, religioso, dalla loro razza. Principio che ritroviamo anche all’articolo 3 della Costituzione Italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Sicuramente la questione della migrazione va regolamentata a livello sovranazionale, ma, chiunque se avesse delle opportunità nella propria terra natale vi rimarrebbe. Noi, come infermieri, come persone, dobbiamo ricordarci il nostro impegno deontologico, dobbiamo prendere una
OBBIETTIVO PROFESSIONE INFERMIERISTICA
posizione anche su queste questioni, siamo chiamati a non abituarci al degrado morale. Migliaia di studenti tedeschi marciano a Berlino chiedendo solidarietà e giustizia per immigranti e rifugiati, rispondendo all’appello di Papa Francesco. I flussi migratori non si fermano, ce lo insegna la storia. Il più grande esodo migratorio della storia moderna ha coinvolto 24.000.000 di italiani. A partire dal 1861 sono state registrate più di 24 milioni di partenze. Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tempo fa mi ha colpito un’intervista fatta a Gino Strada sulla questione degli immigrati, lui non parlava di deontologia professionale ma di buona educazione. In questa intervista lui affermava: “Mia madre mi ha sempre insegnato che, quando qualcuno è in difficoltà dobbiamo accoglierlo, questa è buona educazione…”.
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