LDP 3/2018

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APPROFONDIMENTO

Pordenonelegge

Libertá di Parola 3/2018 ——

Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)

Dal 19 al 23 settembre Pordenone si tinge di giallo, il colore di pordenonelegge. La più grande manifestazione culturale della città, che richiama scrittori italiani e internazionali, poeti, filosofi, giornalisti ed editori, è l'occasione per noi de I Ragazzi della Panchina di riproporre ai nostri lettori il concorso letterario “Il classico scritto da me”, seconda edizione. Ecco i migliori elaborati scelti dalla giuria. a pagina 7

RUBRICHE

Lo Swartz Studio a Sacile, il The Bunker a Pordenone: spazi privati per una cultura libera a pagina 6

INVIATI NEL MONDO

In Vietnam, alla scoperta di un paese dove il ricordo della “guerra americana” è ancora ovunque a pagina 11

PANKAMBIENTE

Pordenone e la sua cucina tipica Presidi Slow Food e prodotti di eccellenza di una terra dalla gastronomia semplice e genuina

Riscaldamento globale: gli effetti in Friuli Venezia Giulia secondo i dati del primo studio condotto in regione a pagina 13

di MIlena Bidinost Dalla pitina alla cipolla di Cavasso e della Val Cosa, dal formaqgio Asìno al Montasio: per poter dire di aver visitato o vissuto a pieno il territorio della provincia di Pordenone bisogna averli gustati almeno una volta. Questi ed altri sono i prodotti tipici che caratterizzano la cucina semplice e genuina di una terra dalle origini contadine che spesso si identifica con quella del Friuli, ma che ha in realtà dei tratti distinti-

vi che vale la pena scoprire. Sulla valorizzazione delle eccellenze enogastronomiche pordenonesi, in un'ottica anche turistica oltre che di sostegno alle attività produttive legate alla terra, il territorio sta dimostrando di crederci molto. A queste eccellenze abbiamo dedicato il tema di questo numero di Ldp. E se il turista vuole chiudere il pasto con un dolce tipico pordenonese, inevitabile è consigliargli di gustarsi il Bi-

scotto Pordenone. È creato e realizzato in modo artigianale dalla Gelateria Pasticceria Montereale di Pordenone, nell'omonima via, con il marchio registrato presso la Camera di Commercio. I suoi ingredienti ben richiamano i gusti e la tradizione del territorio. Nel 2004 è stato riconosciuto prodotto tipico friulano dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. La prima ricetta nota risale agli inizi degli anni ’40.

NON SOLO SPORT

Volo libero in parapendio, emozioni ad alta quota. Dove e come praticarlo a pagina 14


IL TEMA

Terra di eccellenze gastronomiche Sono cinque nel pordenonese i Presìdi “Slow Food”, garanzia di prodotti che rispettano la tradizione di Gianna Buongiorno Filippo Bier è il referente di Slow Food per tutti i Presìdi del Friuli Venezia Giulia. Con lui inziamo il viaggio tra le eccellenze del territorio. Bier è stato anche il primo ad istituire il Presìdio della pitina che da poco ha ottenuto dalla EU il riconoscimento IGP. Cipolla di Cavasso e della Val Cosa: la zona di coltivazione è la pedemontana del Friuli occidentale, nel territorio tra i torrenti Meduna e Cosa, caratterizzato dalle numerose e varie coltivazioni orticole fin dai tempi remoti. Questa cipolla indossa una tunica rossa e riflessi dorati nella zona di Cavasso per tingersi di toni più rosati nella zona della Val Cosa. Con un cuore croccante e dolce, mai piccante, ottima da mangiare anche cruda. Anticamente la sua coltivazione era molto redditizia, le donne a fine gennaio la seminavano e la trapiantavano dopo alcuni mesi per raccoglierla d’estate. Partivano poi con i cesti pieni da Cavasso Nuovo e Castelnuovo per andarle a vendere ai mercati di Maniago, Spilimbergo, Claut, Barcis, Andreis; spesso le barattavano con la blave, farina di mais che veniva utilizzata per fare la polenta. Ora la cipolla viene venduta fresca fino ad esaurimento oppure conservata in diversi modi. Fagiolo di San Quirino: é uno dei più recenti presìdi del Friuli Venezia Giulia. Questo speciale fagiolo è tipico della zona di San Quirino e pare che si coltivasse già nel lontano Ottocento. Appartiene alla specie Phaseolus vulgaris; ha forma allungata, di colore marrone chiaro con un occhietto bianco e un’iride marrone scuro. Si raccoglie tradizionalmente a mano, estirpando le piante (nane e coltivate in fila), lasciandole essiccare e poi battendole con bastoni di legno per far uscire i semi dal baccello. Si lascia asciugare al sole per qualche giorno e si conserva in sacchi di juta. In cucina mostra eccellenti proprietà: a cottura ultimata, ha una buccia sottilissima, mentre la polpa rimane compatta e molto fine. È un ottimo ingrediente per zuppe e minestre, fra tutte la pasta e fagioli alla friulana e la tipica fasoi e frumenton (tipica del territorio pordenonese).

Çuç di mont: la pratica della pastorizia montana e della transumanza in malga è millenaria. Per generazioni le famiglie si sono tramandate la tecnica di preparazione del formadi di mont detto çuç (ciuccio) perché ha il sapore del latte che si dà ai bambini piccoli. La lavorazione prevede di miscelare nella caldaia il latte della sera prima (crudo e parzialmente scremato) insieme a quello appena munto. Quando la temperatura raggiunge i 32°/36°C, si aggiunge il caglio (bovino) e si rompe la cagliata in grani piccoli come chicchi di riso. Quindi si porta a 44°/47°C per circa 30 minuti. Dopo un periodo di riposo nella caldaia, si estrae la cagliata a mano, con l’aiuto di teli di lino, e si sistema in apposite fascere. Le forme sono pressate e, la sera, sono immerse nella salamoia, dove rimangono per 24 ore. Infine si sistemano ad asciugare su assi di legno. Il periodo di invecchiamento minimo è di 45 giorni, ma il çuç di mont raggiunge le sue caratteristiche organolettiche migliori dopo un anno. Questa tradizione è stata recentemente ripresa da alcuni giovani casari che seguono la ricetta autentica. Mele antiche: la coltivazione vera e propria del melo in Friuli si sviluppa tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento, raggiungendo il culmine all’inizio del secolo scorso e veniva esportata in Europa, in Egitto e addirittura negli Stati Uniti d’America. Delle antiche varietà sopravvivono frutteti storici di limitata estensione, ma negli ultimi anni grazie all’interesse di alcuni produttori e vivaisti appassionati sono nati nuovi impianti che in alcuni casi contano diverse centinaia di piante. Si tratta di alberi abbastanza rustici e resistenti alle maggiori patologie del melo e sono coltivati senza trattamenti chimici di sintesi. Con le mele antiche si producono succo di mele, mele disidratate, marmellata, sidro e aceto Pitina: è tipica delle valli pordenonesi ed è di origini antiche e contadine: è una polpetta che nasce dall’esigenza di conservare le carni e non sprecare nulla. A seconda delle zone si chiamava pitina, petuccia, peta in base alle erbe aromatiche e alle spezie che venivano utilizzate per prepararle. L’animale veniva disossato, la carne veniva triturata finemente nella pestadora (un ceppo di legno incavato), mescolata con sale, aglio, pepe nero e diverse erbe aromatiche. A quel punto si formavano delle polpette passate nella farina di mais e affumicate sulla mensola del fogher. Oggi la pitina è ingentilita da una parte di grasso di suino che smorza il sapore un po’ selvatico della carne di capriolo, capra o pecora. L’affumicatura si realizza con diversi legni aromatici, con la prevalenza del faggio. Si mangia cruda a fettine, dopo almeno trenta giorni di stagionatura, ma è ottima anche cucinata. I produttori sono quattro tra cui dei giovani bravissimi che hanno scelto di fare questa attività nella loro vita.

Che cosa sono i Presìdi? È un progetto di Slow Food per il recupero e la salvaguardia di piccole realtà di eccellenza gastronomica minacciate dall'agricoltura industriale, dal degrado ambientale, dall'omologazione. Nei presìdi troviamo anche prodotti della pesca, dell’allevamento, di antiche pratiche artigianali. Il disciplinare imposto ai produttori dall’Associazione Slow Food è molto rigido: nel caso di prodotti agricoli, tutte le colture devono essere concimate con concimi organici e letame invecchiato, il diserbo deve essere rigorosamente fatto a mano oppure con la “paciamatura”, utilizzando materiali naturali. (www.fondazioneslowfood.com).


Pordenone Food Love, amerai i nostri prodotti tipici Visitare Pordenone e la sua provincia vuol dire addentrarsi in un territorio ricco di sapori, a volte poco noti. La loro scoperta riserva sempre delle gustose sorprese a cura di Pordenone With Love e ConCentro La storia ha caratterizzato la cucina di questa terra, che fonda le proprie radici nelle tradizioni contadine, alle quali si aggiungono l’apporto di popoli e tradizioni che hanno influenzato anche le pietanze. Cucina semplice, legata agli usi del passato, che mantiene integro il suo animo contadino e sano, capace di conquistare anche i palati più fini. Il risultato della combinazione di questi ingredienti dà origine a piatti e pietanze sapientemente rivisitati, in un mix di tradizione e modernità che risulta estremamente vincente. Prodotti naturali valorizzati esclusivamente da altri frutti della terra, per non stravolgerne i sapori. Qui di seguito alcune tipicità del territorio. Brusaula o Pindulis: strisce sottili di carne secca affumicata che vengono consumate al naturale, come antipasto o fuoripasto in accompagnamento a un aperitivo. Arrivano dalle valli alpine e prealpine del pordenonese, dove vengono prodotte e consumate da sempre. Oggigiorno, il processo di aromatizzazione con sale, pepe ed erbe aromatiche, macerazione ed essicazione con fumi di legno di faggio non si fa più nelle case, ma questi snack di polpa scelta di manzo, maiale o camoscio restano uno dei prodotti caratteristici della zona.

Lingual: impasto per cotechino che viene insaccato in un grande budello con al centro la lingua intera del maiale e insaporito da molte spezie che lo rendono particolarmente appetitoso. Normalmente veniva consumato nel giorno della "Sensa" (Assunzione), durante il pranzo domenicale che seguiva la tradizionale processione attraverso le vie del paese addobbate di frasche. Figo Moro di Caneva: fico nero caratterizzato da forma molto allungata rispetto al comune fico e da polpa tenera, saporita e notevolmente più dolce rispetto alle altre specie note. Viene protetto e valorizzato dal Consorzio per la Tutela del FigoMoro da Caneva. Patata di Ovoledo: è coltivato nella piccola frazione di Ovoledo. Le particolari caratteristiche del terreno, costituito prevalentemente da sabbie depositate dal Meduna hanno favorito lo sviluppo della coltivazione di diverse qualità del tubero, nonché la nascita di un'importante cooperativa di produttori.

E ancora … Trota (la provincia di Pordenone è tra le più importanti produttrici d’Europa); Bondiola detto Sauc; Filet; Asparago bianco di Cordenons; Cavolo broccolo di Castelnovo; Olio extravergine d’oliva di Caneva; Castagna marrone di Vito d’Asio; Erbe spontanee: grisol o scjopetin, tale (tarassaco), bruscandui; Formaggi di malga e caprini; Mieli.

Formaggio Asìno: prodotto caseario di origine celtica, citato anche in alcune poesie del ‘600, prende il nome dall'originaria zona di provenienza, il territorio che storicamente era soggetto alla Pieve di Asio: Clauzetto, Vito d'Asio e Anduins. Si distingue per il particolare gusto sapido ed è disponibile in due versioni: l’Asìno morbido, leggermente piccante, e l’Asìno classico, dal gusto più pronunciato. Formaggio montasio: nei secoli scorsi l'eccellenza dei pascoli montani e la cura nell'allevamento del bestiame avevano reso famoso il formaggio prodotto dalle latterie di Travesio. La tradizione si è mantenuta sino ai giorni nostri, tant’è che rappresenta una delle specialità gastronomiche del luogo. Viene protetto e valorizzato dal Consorzio per la Tutela del Formaggio Montasio.

Pordenone With Love è il marchio della promozione turistica del territorio pordenonese ed è un progetto della Camera di Commercio IAA di Pordenone, gestito dall'Azienda Speciale ConCentro. È anche un sito web, www.pordenonewithlove.it, il portale del turismo e degli eventi pordenonesi. Visitalo e scopri luoghi, eventi, attrazioni, curiosità, prodotti e ricette, ricettività, ristorazione e turismo accessibile....


RUBRICHE

Neodiplomati di fronte ad una scelta «Dopo la maturità, la strada che sembrava già tracciata diventa priva di binari» di Marlene Prosdocimo Conseguito il diploma dopo i cinque anni di scuola superiore, la strada che per la maggior parte dei ragazzi risultava precedentemente tracciata diviene priva di binari. Tecnicamente le possibilità sono infinite, ma bisogna sempre adottare dei criteri per compiere delle scelte consone quantomeno alla

sopravvivenza, e “magari” entro i limiti della legge: lo scopo fondamentale che si intende genericamente perseguire è l’autosufficienza. Questa si può raggiungere principalmente o tramite lo stile di vita ordinario che prevede uno studio facoltativo universitario e poi un lavoro, oppure tramite alternati-

Più forte della tossicodipendenza «Otto mesi fa ho detto no a quella vita e sono rinata» di Laggiù Ricordo il giorno dopo un fine settimana infernale: mi svegliai con un sapore amaro in bocca e con gli occhi appesantiti dalle lacrime. Scesi giù in cucina per bere un po’ di acqua. Ero sola in casa, come succedeva il più delle volte, e mi misi fuori in giardino a guardare il sole. Avevo lo sguardo perso nel vuoto, probabilmente stavo ancora smaltendo l’effetto della serata. I raggi del sole mi accecavano la vista e mi bruciavano gli occhi, occhi che non riuscivano più a reggere la luce del giorno, abituati com'erano al buio della notte. C’è chi dice che la notte porta consiglio: non l'ho mai capita questa. Nel mio caso infatti la notte mi portava

a fare cose che, a pensarci oggi, erano assurde. La notte era il momento della giornata che preferivo: il silenzio totale, una città addormentata ed io con la bottiglia in mano pronta a fare la mia fumata; chiusa in una cantina ad ascoltare musica in uno stato quasi catatonico in cui le emozioni erano soffocate e gli occhi, offuscati dal troppo fumo, erano grigi e vuoti, le occhiaie a non finire e la faccia imbruttita. Erano notti in cui la sensazione di cadere nel vuoto era sempre presente, il cuore a mille, le mani tremanti, quasi un film horror che rivivo oggi se chiudo gli occhi. Erano giorni in cui la voglia di lasciarsi andare era troppa, in cui mollare era

ve che spesso coinvolgono l’abbracciare ideologie più o meno radicali e affidarsi così ad un’istituzione oppure diventare completamente artefici del proprio destino. Attualmente la prima opzione non è affatto scontata, soprattutto se non si ha alle spalle una scuola che ha garantito una preparazione tecnica o professionale. Personalmente, dopo cinque anni di Liceo Classico non ho una qualifica che mi permetta di avere un posto sicuro nel mercato del lavoro: l’Università è una scelta implicitamente obbligatoria. Di solito, quando si opta per un Liceo si sottintende da subito l’opzione “Università” ma, forse, si ha l’illusione che siano accessibili nell’immediato anche alcuni tipi di lavoro (quali quelli di bassa manovalanza) che si possono apprendere sul campo. E invece no. Pare che sia sempre richiesta una qualifica specifica, a meno che non si tratti di lavori prettamente stagionali o simili. Dunque il cosiddetto “schiavo del sistema” che si accontenta di una vita semplice e alienata costituisce invece ora un’utopia per molti, un modello che non si raggiungerà in modo garantito. Nemmeno con l’U-

niversità si approda ad un porto sicuro; nel mio caso, studierò Filosofia. È una scienza così vasta e trasversale che non permette di delineare in modo accurato il proprio futuro, e la desiderabilità di questo fattore è ampiamente soggettivo. Qualunque percorso si intraprenda, comunque, la prospettiva ultima alla fine vede collocato l’individuo nel mondo occidentale, capitalizzato, con decisioni e opzioni capitalizzate. Anche a causa di questa consapevolezza ho considerato altre vie d’esistere, quali le comunità ecologiche: queste donerebbero almeno la certezza di aver vissuto a basso impatto ambientale, dedicandosi ad attività la cui utilità è immediata ed evidente e che rendono autonomi in toto, o quasi, le persone che hanno deciso di distanziarsi dal globale e che si vogliono concentrare sull’hic et nunc ma sempre con uno sguardo al futuro. Conciliare svariati stili di vita può sicuramente essere una soluzione ragionevole ai dilemmi morali, e non solo, che affliggono quotidianamente i singoli: il feedback della correttezza delle proprie scelte, comunque, non potrà mai incarnarsi universalmente.

l'unica soluzione. Sono passati quasi otto mesi, ora il sole non brucia più, la notte non porta più assurdità, ma solo serenità. Alzarsi la mattina non è mai stato così bello, aprire gli occhi e passeggiare sotto il sole e con il vento è inspiegabile. Quando mi guardo allo specchio mi scopro sorridere, sorrido a me stessa, alla mia anima, per la forza e per la voglia che ha avuto di dare una svolta, di alzarmi e dire “No!”. È così facile lasciarsi andare, è semplice mollare tutti e abusare, abusare di tutto ciò di cui si può abusare. È così semplice lasciarsi trasportare dal senso di leggerezza che ti crea la droga, dalla bolla in cui ti fa vivere, quasi come se ti accompagnasse per mano verso un dirupo. La sostanza consuma il tuo essere, ti assopisce dentro un mondo surreale in cui tu sei convinto di vivere nel giusto e ti porta a pensare

di essere invincibile. Ma la sensazione che provi quando sei tu a prevalere su di lei non ha paragoni: sapere di aver vinto, di poterti costruire un futuro e non essere più legata ad una sostanza è una sensazione unica, come quella che provi quando guardi gli occhi di tua madre e vi leggi l'orgoglio per sua figlia che trova un lavoro dove riceve complimenti per l’impegno che ci mette, che riesce a diplomarsi e che cerca di crearsi un futuro. Solo allora capisci che quelle fumate che tanto amavi, quei silenzi vuoti e privi di emozioni erano solo illusioni. Capisci che non ne valeva la pena.


PANKADOG

A passeggio con il vostro amico a quattro zampe Suggerimenti su come educare il cane. Prima regola, suddividere il percorso in fasi distinte di Giorgio Achino Per il cane la passeggiata rappresenta uno dei momenti fondamentali della giornata. Fa bene al padrone e soprattutto all'animale, che scarica la sua energia. L'importante è dimenticare lo stereotipo che avere un giardino grande basti alla vita di un cane. Non è così. Il cane è un animale migratore e necessita di uscire dalla propria tana, per andare ad esplorare il mondo attorno a lui e soddisfare un suo bisogno primordiale. Cosa significa quindi fargli fare una buona passeggiata? Ecco alcuni consigli. Il primo fattore è il tempo, servono almeno 45 minuti. In secondo luogo la passeggiata dovrebbe avere dei mo-

menti ben distinti l'uno dall'altro. Il più importante è il momento del trasferimento, quando cioè il cane segue il conduttore senza compiere altra azione comprese quelle di annusare (ricerca) e di marcare il territorio. Spesso si vedono conduttori trascinati dai propri cani o cani che sono costantemente con il naso puntato a terra in ricerca. Se il cane è in ricerca non è in passeggiata, significa

che non segue il conduttore. La passeggiata quindi deve avere la caratteristica ben precisa del cane che segue il padrone nella condizione di trasferimento, ovvero di un cane che cammina e che sta facendo solo ed esclusivamante quello. Deve cioè corrispondere all’atto di trasferimento nel quale il cane ha l’unico obbiettivo di spostarsi, di raggiungere un punto o una zona. Una volta raggiunti è una buona cosa

che il cane marchi il territorio e che giochi con il proprio padrone. Questo è veramente importante affinché si possano scaricare le energie del cane e la vostra passeggiata sia serena e rilassante. Imparate perciò a dividere la passeggiata in momenti

diversi e precisi: il momento dei bisogni, il trasferimento e il momento del gioco. Positivo è impegnare il cane mentalmente, per esempio, lanciando un pugno di crocchette in mezzo al prato invitando il cane all’atto di trovarle. Facendo ciò, coinvolgerete il cane e lo aiuterete ad essere efficacemente impegnato. Finito questo momento (con abbondanti coccole) potrete ritornare verso casa tenendo a mente che siete nuovamente in fase di trasferimento. Per iniziare il cane ad avere una buona condotta al guinzaglio utilizzate una “lunghina” (una corda di almeno 3-4 metri) al posto del guinzaglio classico, scegliete la direzione che volete prendere poi richiamate il cane recuperando la “lunghina” fino a che non ritorna da voi. A quel punto premiatelo, coccolandolo. Mantente voi la direzione e lasciate che il cane la segua, ripetendogli le indicazioni. Vedrete che il cane si accorgerà che stare al vostro fianco significherà ricevere le coccole. Questa indicazione va ripetuta nel tempo e quotidianamente: non datevi fretta e vedrete che otterrete degli ottimi risultati.

tumate avranno superato lo stress da trapianto e si saranno adattate al nuovo sito d’impianto, alla tipologia del terreno, all'esposizione, all'altitudine e così via, cioè quando le piante si sono ambientate alla nuova dimora. Questa regola deve tenere in considerazione vari fattori estetici tra i quali espansione, altezza, volume, forma e colore. Il colore è di fondamentale interesse in quanto permette di creare zone verdi armoniose e di valore cromatico in base alle esigenze. La prima è che il giardino deve sempre avere, durante l’arco dell’anno solare, un buon interesse cromatico e, di conseguenza, si useranno arbusti ed erbacee da fiore con fioriture scalari, evitando una sola grande esplosione floreale primaverile e puntando su fioriture che coprano più stagioni possibili. Verso l’autunno/ inverno, quando le

essenze da fiore da scegliere sono minori, bisogna saper sopperire con essenze che variano la cromatura fogliare o, nel caso delle caducifoglie, dei rametti, per poterci garantire comunque delle zone colorate. Un’altra regola fondamentale riguarda l’uso dei colori per ingannare l’occhio in base alle esigenze delle situazioni. Così allora si useranno i gialli ed i rossi ad esempio per bloccare la visuale o focalizzarla su di un punto importante del giardino; i rosa ed i lilla per far sembrare un’area piccola molto più estesa di quanto essa sia; poi c’è il bianco che in gergo si chiama “colore tappabuchi” in quanto la sua neutralità infonde nell’osservatore serenità e può essere usato in ogni contesto. I colori vanno inoltre usati con metodologie specifiche in base ai tipi di zone verdi progettate in quanto assumono significati e valori differenti in base al contesto e alla tipologia di giardino, che può essere informale, acquatico, roccioso, all’italiana, zen, pensile, estensivo e altro ancora.

GLI ALBERI DELLA PANKA

Come creare uno spazio verde per ogni ambiente I segreti del progettista di giardini: scegliere le essenze secondo fioriture e colori di Antonio Zani Quando si progetta a tavolino uno spazio verde che deve fungere da cornice a dei fabbricati, innanzitutto bisogna prendere in considerazione il tipo di costruzione che si va a decorare. Ognuna ha delle esigenze funzionali diverse. La scelta è più mirata nel caso ci sia da mettere mano al verde delle strutture abitative, dove bisogna saper fare un ulteriore distinguo tra verde condominiale e verde residenziale: di quest’ultimo bisogna considerare anche se è antico, moderno o altro, perché in base a quello valgono ulteriori regole estetiche. C’è comunque

una regola di base essenziale che vale in tutti i casi. È quella che “il giardino deve girare” e un bravo progettista sa che entrerà a regime non prima dei tre anni dalla realizzazione dell’area progettata, cioè quando tutte le essenze pian-


RUBRICHE

Quando la cultura è “libera” e fa rete Lo Swartz Studio a Sacile e il The Bunker da poco inaugurato a Pordenone: come sono nati e cosa sono di Chiara Zorzi e Giorgio Achino Difficile dire cosa sono Swartz Studio e The Bunker, più facile dire cosa non sono o cosa provano a fare e perché. Difficile riuscire a trasmettere l’energia e la passione delle persone che li hanno voluti, ma ci proviamo comunque.

Il sito dello Swartz Studio, uno spazio al centro di Sacile voluto da quattro persone appassionate di cultura “libera” - tanto che il nome che gli hanno dato è un omaggio ad Aaron Swartz, informatico, intellettuale e attivista che si è battuto fino alla fine per il libero accesso alla cultura – recita come segue. «Swartz Studio non è un’associazione culturale, quindi non ci sono tessere o statuti; non è un locale, quindi non ci sono biglietti d’ingresso, diritti di prevendita o angoli bar. È una casa, anche se è un ufficio. Gli “eventi” sono come delle cene tra amici in cui ognuno porta qualcosa (e, visto lo spazio a disposizione limitato, al massimo possono accogliere una cinquantina di partecipanti). Tutto ha una dimensione domestica, perché al centro c’è il desiderio di condividere ciò che ci piace o che per noi è importante con le persone a noi vicine. Ed essendo una casa, in bagno si fa la pipì da seduti, la raccolta diffe-

renziata è questione di vita o di morte e ci sono anche dei gatti. Ovviamente comandano loro. Quindi, cari amici allergici, ci si vede da qualche altra parte». Puntando su questi elementi, Giuseppe Carletti, Marta Lorenzon, Loris Toma-

sella e Sara Pavan hanno creato un luogo di condivisione e diffusione gratuita del sapere, in via Garibaldi 38/A a Sacile che hanno inaugurato a maggio 2017: nel suo primo anno di attività ha ospitato cineforum, sei concerti e la presentazione di Mataran, rivista di satira a fumetti e illustrazioni, tutta made in Friuli Venezia Giulia. È uno spazio intimo, dove, in occasione di un concerto, incontri persone che non conosci, ma che riconosci subito per lo sguardo d’intesa che c’è nell’essere consapevoli che quel momento avviene anche grazie a te. Già, perché la maggior parte degli eventi è in crowdfun-

ding e se la quota non viene raggiunta l'evento non si svolge perché non si possono rimborsare gli artisti. E la cosa ancora più strana è che, in una società del “qui ed ora”, del tempo risicato, della difficoltà di prendersi un impegno, ti si chiede di prenderlo a distanza anche di un mese e di mantenerlo perché, se all’ultimo cambi idea, lasci scoperta l’organizzazione nel coprire le spese. In questo modo, lo Swartz Studio, oltre a dare spazio alla cultura, insegna ad allenare anche il senso di responsabilità e di condivisione, che di questi tempi pare un esercizio culturale tout-court. The Bunker, invece, è nato a Pordenone dall'iniziativa di Flavia Rossetti e Stefano Basso con l’intento di condividere, trasmettere e, perché no, di lasciare un’eredità culturale. Ha una sua pagina Facebook ed è uno spazio inaugurato lo scorso 25 luglio in Vicolo degli Operai 1. «Condividiamo con altre realtà presenti sul territorio i principi del libero accesso alla cultura - dice Flavia, che al Bunker ha insediato anche il suo studio. - Fare rete non significa uniformarsi, ma “connettere i puntini” di real-

tà diverse, perchè l’unicità di ciascuno è l’elemento che impreziosisce l’insieme. Viviamo un periodo storico di grande tensione e disparità sociale – osserva – e quello che possiamo fare è sfruttare la posizione di privilegio in cui ci troviamo e combinare tra loro le possibilità che ognuno di noi ha singolarmente in termini di competenze, spazi, risorse, conoscenze, perché ciò che possiamo ottenere insieme ha un valore ben superiore alla semplice somma delle parti». Parlando con Flavia è difficile non farsi coinvolgere dalla naturalezza con cui parla di questa sua scelta. In realtà mettere a disposizione il proprio spazio privato per confrontarsi al di fuori di schemi preordinati e di sovrastrutture ha qualcosa di straordinario. Qui non si ricerca la visibilità a tutti i costi, ma il piacere di mettersi a disposizione per un confronto, in cui ci sia la predisposizione al cambiamento o per lo meno l’intento. In The Bunker c’è un incontro naturale di idee che si addensano attorno ad un tema su cui discutere, confrontarsi per poi rientrare tranquillamente nei propri spazi, magari cambiati, anche solo un po’; “un luogo in cui si agisce attivamente per costruire iniziative, senza aspettare che sia qualcun altro a fare ciò che vorremmo accadesse, a un costo molto vicino allo zero”, dice Flavia. È successo, la prima volta, in occasione dell'inaugurazione avvenuta con la presentazione della rivista indipendente Frute, che affronta i temi del femminismo intersezionale, dei confini sessuali, e dell'inclusione; con la presenza di Stormi, rivista online di graphic journalism antifascista, antisessista, antirazzista ed ecologista ideata da Giacomo Taddeo Traini e Mattia Ferri e con la musica dal vivo dei Flamingo.


L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————

"IL CLASSICO SCRITTO DA ME" L'anno scorso la prima edizione era andata bene, al di sopra delle nostre aspettative: buono il numero di racconti giunti in redazione ed eterogeneo il gruppo di aspiranti scrittori. Niente male per chi come “I ragazzi della Panchina” non aveva mai battuto prima di allora la strada dell'organizzazione di un concorso letterario. Motivo in più quindi, abbiamo pensato, per non fermarci. Ed eccoci nuovamente a proporvi anche per quest’anno un’iniziativa dell'associazione de I Ragazzi della Panchina che si ispira a Pordenonelegge e che, in occasione della diciannovesimaª edizione del Festival del libro con gli autori che si svolgerà dal 19 al 23 settembre a Pordenone, trova spazio nel consueto approfondimento dedicato dal nostro giornale alla manifestazione. Parliamo della seconda edizione del concorso letterario “Il classico scritto da me”, un contest aperto a tutti, purché maggiorenni, che abbiamo lanciato ad inizio estate per essere pronti a pubblicare i nuovi racconti indeti nati dalla penna dei nostri lettori in tempo per l'uscita di questo numero settembrino di Libertà di Parola. Pordenonelegge sta sullo sfondo. Come già l'anno scorso, non parleremo degli autori del festival ma dei nostri autori, in erba, in un omaggio familiare, com'è nello stile della nostra associazione, alla scrittura e alla lettura. Al contest si poteva partecipare con un racconto breve ed inedito in lingua italiana che fosse ispirato ad un titolo di un grande classico della letteratura e la cui storia nulla avesse a che vedere con la storia originale. I partecipanti hanno potuto scegliere uno tra i titoli riportati nel bando e si sono lasciati ispirare dalla fantasia. I migliori racconti, selezionati dalla redazione di Ldp allargata quest'anno a due scrittori del territorio, sono pubblicati in questo approfondimento. La sfida era quella di rispettare un numero di

battute che non superasse le tre mila, in un esercizio non facile di una storia originale e compiuta. Questa edizione presenta alcune novità rispetto alla precedente. La prima è rappresentata dai premi messi in palio, in collaborazione con la Fondazione Pordenonelegge, per i due primi classificati: a loro disposizione ci saranno due accrediti ciascuno per un evento a scelta che si terrà nel corso della manifestazione letteraria. Tutti gli altri elaborati verranno pubblicati nel blog. L'associazione si riserva, inoltre, la possibilità di raccogliere in un'unica pubblicazione cartacea tutti gli elaborati delle varie edizioni del concorso. L'altra novità di questa edizione è la giuria che si arricchisce di due nomi noti nel panorama letterario. Oltre a Milena Bidinost, direttore di Ldp, e Ada Moznich, presidente dell'associazione, in questa edizione a valutare gli elaborati c'erano gli scrittori Andrea Maggi ed Elisa Cozzarini. Maggi, insegnante, ha al suo attivo tre romanzi scritti per Garzanti, pubblicati anche in Spagna e in America Latina, oltre ad essere noto in tutta Italia come il professore di italiano e latino de “Il Collegio”, il popolarissimo docu-reality di Rai Due. Elisa Cozzarini, giornalista specializzata in tematiche ambientali e sociali, collabora da anni con Libertà di Parola e ha pubblicato libri per le case editrici Nuova Dimensione e da Ediciclo. A rispondere all'invito di cimentarsi in questo esercizio di scrittura e libera espressione della creatività sono stati alcuni nostri affezionati lettori di Ldp, alcuni amici della Panchina, ma anche chi ha incontrato la nostra associazione per la prima volta attraverso il blog e grazie a questo concorso. Tra loro c'è stato chi ha scelto di dare forma ad una storia più intimista, chi ad una più nostalgica, chi si è ispirato all'attualità. Ai migliori racconti scelti dalla giuria diamo ora “Libertà di Parola”.


1° CLASSIFICATO

bambina e sognava lo sbarco in America. Un uomo gentilissimo, profumato e vestito elegantemente la invitava a entrare nel suo negozio di abbigliamento. Lei, tra abiti scintillanti e pavimenti puliti, si sentiva una regina; le veniva chiesto di lavorare lì, facendo quello che aveva sempre desiderato, disegnare e creare quegli splendidi abiti. Sarebbe stato così bello e avrebbe potuto anche portare vestiti nuovi ai suoi bimbi, buttando via quei vecchi stracci rattoppati che erano costretti a indossare. Il bambino non riusciva a stare fermo, quel sogno lo rendeva felice ed emozionato e, quando in classe la maestra chiese come si poteva capire l'età di un albero, la sua mano scattò anche nella real-

tà, provocando un grugnito del padre. Il maschietto sapeva tutto riguardo il legno, da quando aveva otto anni andava sempre col babbo nel bosco per aiutarlo a tagliare gli alberi. Papà gli diceva che era orgoglioso di lui, che sapeva lavorare bene e che forse un giorno sarebbe potuto andare anche a scuola. Il padre, costretto a condividere l'angusto spazio con quella peste in movimento, non riusciva a cercare pace. I pensieri e le angosce non gli davano tregua e nell'assopimento si sentiva schiacciare dall'acqua, incapace di reagire e trascinato sul fondo degli abissi dal peso delle sue paure. La speranza in un futuro migliore era lontana come la superficie. Madido di sudore si svegliò di colpo sentendo la campanella annunciare terra. Erano arrivati in un mondo nuovo, non il mondo dei sogni ma una realtà dove ricominciare, rimboccandosi le maniche per costruire un futuro migliore.

“Come si dichiara l'imputato?” Giovanni annaspava, cercando le parole. Come si diceva nei film? “Non colpevole!” “Non colpevole? Non è stato forse lei, Sarti Giovanni, a rubare un vaso di Nutella a casa della signora Vecchi Clara coniugata Sarti? Furto!” “Ma è mia nonna!” "E non è stato forse lei, Sarti Giovanni, a mentire al Preside sul graffito sul muro del liceo? Falsa testimonianza! E le bugie in casa? Vuole che le ricordi, Sarti Giovanni, con quante menzogne ha mancato di rispetto ai genitori che avrebbe dovuto onorare?". Giovanni non poteva credere alle sue orecchie. Il giudice proseguì, implacabile. “E non è stato forse lei, Sarti Giovanni, a iniziare una

relazione con...” Si interruppe per controllare il faldone. “Lorella Borghi mentre era già impegnato con Marisa Ronchese? Adulterio!”. Giovanni era basito. “Le ho dato solo un bacio, avevo tredici anni, santo cielo!” “Blasfemia!” Tuonò il giudice, inorridito. Ormai Giovanni boccheggiava come un pesce fuori dall'acqua. “Questa Corte dichiara l'imputato Sarti Giovanni colpevole e lo condanna a una pena di anni novantasette. Così sia” Il suono del martelletto che il giudice aveva calato con forza risuonò come una campana a morto. Morto, proprio così si sentiva. Lo trascinarono fuori di peso. Nell'aula ormai vuota, il cancelliere si rivolse al giudice: “Sei troppo severo, padre.” “La legge va rispettata, figlio mio. Tu sei troppo buono, sempre pronto a perdonare. Colpa di tua madre, benedetta donna, non è stata abbastanza severa. Ma con tutto quel che ha passato… Che poi è stata anche colpa mia, l'ho messa in una situazione difficile…” "Non ricominciare, padre. È andata così. Amen." Il giudice sospirò. “D'accordo, andiamo avanti. Chiama il prossimo, Gesù.”

IL MONDO NUOVO Una famiglia tra sogno e realtà di Alain Sacilotto Il marinaio di vedetta, con il suo binocolo, scrutava la notte. L'umidità dell'Atlantico lo investiva anche a quell'altezza e il rumore ritmico delle onde sullo scafo della nave era solo un sottofondo al quale si era abituato. Dopo giorni di navigazione, non ne poteva più del rollio costante del transatlantico, delle migliaia di persone, per lo più migranti, che affollavano i ponti e si ammassavano nelle cabine. Era stanco degli odori, del vociare, delle urla e di tutta quell'acqua. Quando, infatti, vide una sottile linea di luci all'orizzonte, un sorriso gli increspò il volto. Non c'erano dubbi, dalla foschia appariva la terra, il viaggio stava per terminare. Trenta metri più in basso, nel corridoio di terza classe, in una delle tante cabine spartane, dormiva ancora profondamente una famiglia.

In quel buco senza finestre e simile a una prigione subacquea, i quattro erano ammassati in scomode posizioni. La madre teneva stretta in braccio la sua bimba mentre padre e figlio si contendevano una brandina, senza risparmiarsi gomitate nelle costole durante il sonno agitato. Nonostante le condizioni proibitive, erano tutti immersi nel loro riposo. Le giornate sempre uguali e lo sfiancante viaggio per la speranza erano massacranti e solo di notte potevano rifugiarsi e trovare sollievo, fuggendo dalla realtà. Nel calore dell'abbraccio materno, la bimba stava immaginando castelli di dolci, dentro i quali entrava e giocava con delle bambole nuove e bellissime, le stringeva strette con le sue dita magre e per nulla al mondo le avrebbe lasciate. Mamma godeva del tepore della sua

2° CLASSIFICATO

IL PROCESSO Corte Suprema di Mia Camilla Lazzarini “In piedi, entra la corte!” Giovanni rimase inebetito a fissare il cancelliere, un uomo sui trent'anni con un volto gentile dai tratti vagamente mediorientali. “L'imputato si alzi!” Quale imputa... Prima di riuscire a completare il pensiero, Giovanni si sentì sollevare dai sorveglianti che da quando era arrivato non l'avevano mai perso di vista. Angeli custodi, li aveva ribattezzati. Mentre lo sguardo registrava l'ingresso del giudice, la mente di Giovanni cercava un appiglio. Non era vero. Non poteva essere vero. Il giudice era senza età, uno di quelli che sembrano non essere mai stati giovani e non invecchiare mai. Lo sguardo, i gesti la postura… tutto in lui comunicava autorità. “Seduti!” Mentre il cancelliere porgeva al giudice un faldone stracolmo di documenti, i sorveglianti lasciarono andare di colpo

Giovanni, che quasi si schiantò sulla sedia. Quel faldone... Certo non poteva essere suo. C'era stato un errore, ecco. Uno scambio di persona. Magari un'omonimia, in fondo il suo era un nome comune... Un po’ rinfrancato da questa giustificazione, Giovanni ascoltò l’esordio del giudice: “Lei è Sarti Giovanni, fu Silvano, nato a Bologna il 16 maggio 1963?” Le parole lo colpirono come una mazzata, mandando in frantumi l'illusione costruita con tanta cura. “Io... Sì, sono io.” Il giudice si rivolse al cancelliere: “Quali sono i capi d'accusa?” “Furto. Falsa testimonianza. Adulterio.” Giovanni aveva un'espressione bovina di completo smarrimento.


L'insostenibile leggerezza dell'essere Compleanno di Monica di Michele Balocchi «Nonno, nonno, dove andiamo?». L'automobile correva sicura lungo l'autostrada. Alla guida un vegliardo anziano di nome Aurelio, nonno della bimba di nome Azzurra che aveva chiesto l'informazione. «Da nonna Monica» rispose Aurelio. «Che bello» replicò la bimba, «È il suo compleanno vero?». «Si» rispose Aurelio. «Siamo stati invitati?» chiese la bimba. «Assolutamente no» replicò Aurelio, «ma noi andiamo lo stesso». «Evvivaaaa!» gridò la bimba. La strada era lunga e venne l'alba rischiarando il visino della bimba addormentata. Alla fine superarono il cartello Jesolo e fermarono l'auto davanti ad un albergo. Andarono in camera dove fecero una doccia rifocillante. Aure-

lio si rasò con cura ed iniziò a vestire la nipotina e poi si vestì anche lui ed uscirono. Da un fioraio comprò dei fiori. Una dozzina di peonie bianche per lui ed un magnifico bocciolo di rosa rosa per la nipotina. Raggiunsero il luogo della festa, uno splendido locale con terrazza sul mare, tutto illuminato a giorno. Una musica rock si diffondeva tutta intorno. Un sacco di persone eleganti si aggiravano, chi bighellonanado, chi mangiando, attingendo da un ricco buffet o chi lanciandosi nelle danze sfrenate. Scesero dalla macchina ed entrarono. La bimba indossava un paio di pantaloni blu con una casacca di seta bianca ed un foulard blu con dei pois bianchi. I capelli erano raccolti dietro la nuca in un elegante chignon ed un tirabaci pendeva negligentemente davanti

Uno, nessuno, centomila L’illusione d’un sogno di Francesca Costa Era solito lasciare sempre sette o nove righe di tapparelle non chiuse completamente per poter calcolare il trascorrere del tempo durante la notte, come se quei piccoli pertugi ovali e perfettamente uguali fungessero da meridiana. Quando l’intorno della stanza era completamente buio e piccoli fasci luminosi riuscivano a irrompere in modo prepotente, penetrando l’oscurità lacerandola, il suo sguardo era fisso e la sua mente assorbita dalla danza vorticosa del pulviscolo a cui univa i suoi pensieri, lasciando che il nulla riportasse in vita i ricordi che prendevano forma fra quei coni di polvere. L’ora del risveglio, o meglio, il momento in cui si alzava dal letto (il risveglio appartiene solo a chi riesce a dormire) lo riportava al presente facendogli percepire quanto i suoi arti fossero affaticati e stanchi. Odiava il suo volto riflesso nello specchio, odiava se stesso. I suoi capelli, in gioventù così folti e corvi-

ni, ora lasciavano spazio ad un’ampia fronte, erano radi, ma era abile a raccoglierli in una coda di piccole dimensioni che ne evidenziava solo una decina in competizione con i raggi della luna. Il colore sale e pepe di barba e baffi gli dava un tono di saggezza e fascino esaltandone l’incarnato. Così incorniciato, il volto nascondeva la piega delle guance che avevano perso la loro battaglia contro la forza di gravità e, in questa

all'occhio destro. Si avvicinarono ad un gruppo di invitati e Aurelio chiese: «Scusate, avete visto Monica?». Una donna gliela indicò che si stava scatenando in un rock con un giovanotto piuttosto dinoccolato. Terminato il pezzo Aurelio, con passo deciso, si avvicinò brandendo il mazzo dei fiori e tenendo la nipotina con l'altra mano. Monica ebbe un visibile moto di sorpresa. «Aurelio» esclamò. «Azzurra, che sorpresa». «Non potevamo mancare» disse l'uomo porgendole i fiori. «Ti sei ricordato» mormorò la donna. Aurelio piegò la testa e con un filo di voce disse: «Sei bellissima» le prese la mano e gliela baciò mentre anche Azzurra le porgeva il suo fiore. «Cara» disse Monica visibilmente commossa. Rimasero lì a fissarsi negli occhi mentre Azzurra tirava per

la giacca il nonno: «Nonno, nonno, il regalino». «Hai ragione Azzurra mi stavo dimenticando». Tuffò la mano in tasca, tirò fuori una scatolina e la porse alla donna. Lei l'aprì e trovò un piccolo bracciale con una piastrina d'oro con incisiona la formula di Dirac che descrive un fenomeno fisico secondo il quale, quando due entità sono state in relazione tra di loro, non potranno mai essere separate completamente, ma le azioni di uno continueranno ad influenzare quelle dell'altro anche ad anni luce di distanza. Per sempre. Aurelio l'aiutò ad indossarlo mentre la musica attaccò “Still got the blues” di Gary Moore. Le prese le mani e l'abbracciò muovendosi un po' goffamente a tempo di musica. Si avvicinò all'orecchio della donna e le sussurrò: «Per sempre». Sentì delle gocce calde scivolargli sul collo: «Per sempre» risposa Monica.

cornice, spiccava la profondità dello sguardo tinto di erba selvaggia. Era sempre troppo cupo con se stesso, diceva di mal sopportarsi, non trovava un luogo consono alla sua esistenza ed era sempre irrequieto. Tuttavia, a settant’anni, Fernando non voleva sentirsi finito, la sua voglia di “stare in vita per la vita” era qualcosa che gli apparteneva, era una forza che si sprigionava dalle viscere e lo rendeva sempre pronto a battagliare dinnanzi una nuova giornata che iniziava. Certo avrebbe voluto che la sua vita fosse stata come un racconto pieno di dolcezza e allegria, ricca di significati profondi e assoluti, avrebbe desiderato sentirsi leggero, ma doveva fare i conti con il

suo passato: prima di figlio orfano e rinnegato, poi di marito tradito e infine di padre sopraffatto dal dolore per la perdita del suo stesso figlio. Si sentiva un tronco vuoto, stanco e inerme per ciò che avrebbe potuto fare e non aveva fatto, per tutte le scelte sbagliate che lo avevano condotto a quello scoramento che non gli dava tregua. Gli era preclusa la gioia del presente per quel carico emotivo che si portava sulle spalle: era prigioniero e vittima di se stesso. Amava rifugiare la mente in quella luce che, durane la notte, aveva l’ardire di filtrare dalle tapparelle. Era in quel preciso momento che riusciva a creare il suo mondo perfetto: da uomo mediocre si costruiva persona geniale, si creava false partecipazioni alla vita opponendosi all’idea di dolore e creandosi presunte sicurezze. Si ripeteva sempre che un uomo è vitale se si sente parte di qualcosa e lui si sentiva parte solo del pulviscolo a cui faceva prendere le forme dei suoi ricordi migliori. Un infarto, dissero. Forse solo ora, Fernando può riposare, rinascendo nell’illusione di un sogno per godere del suo mondo perfetto che adesso è davvero senza luce e ricordi.


Il processo 2 anni 8 mesi 5 giorni di Sergio Saracchini Stava tornando a casa come ogni sera. La strada, a quell’ora, non era trafficata, soltanto qualche macchina. La radio era sintonizzata su un canale che trasmetteva solo musica degli anni della sua gioventù. Ascoltava e ripercorreva la “strada” del suo passato. Roberto, un uomo che negli anni si era costruito, con sacrificio, il suo presente, guadagnandosi un posto di lavoro ricco di soddisfazioni con un buon ritorno economico. A casa lo attendeva la moglie Anna, il grande amore della sua vita. Tutto nella normalità, il passato, il presente, il lavoro, la moglie, i ricordi. All’improvviso un lampeggiante. Il cellulare di Anna squillò a notte fonda e lei rispose senza attendere il secondo squillo. Un pronto secco, disperato, trepidante. Dall’altra parte una voce di un uomo, fredda, determinata, tagliente: “Signora Anna?”, Anna rispose con un “Si” che sapeva unicamente di terro-

re. “Suo marito è qui in questura ed è stato trattenuto per accertamenti”. “Questura? Accertamenti? ma... ma... “Non riuscì ad aggiungere altro, la voce dell’uomo chiuse la telefonata subito dopo aver detto: “Può venire domani mattina, non prima, e incontrarlo per qualche minuto.” Il “click” del ricevitore che si chiudeva sembrava un proiettile sparato alla tempia della donna. La notte la trascorse come un incubo e le ore sembravano non passare mai. Interrogativi, su perché Roberto si trovava in questura, le stavano torturando la mente. Roberto, un uomo senza difetti, onesto, equilibrato, dotato di raziocinio, lui proprio lui in questura per accertamenti. Una soluzione a tutto questo doveva esserci e non poteva che aver sbocco in un errore. Attese le prime

Camera con vista Ricordo d’infanzia di Giusi Matozza Il sole sta scendendo. La notte emerge timidamente. È tardi. Da questa stanza di appartamento il mondo sembra lontano. Sono già alcune ore che sono chiusa qui a studiare. Il libro è interessante, ma la mia mente vuole vagare, distrarsi. Così i miei occhi corrono alla finestra, mi costringono ad alzarmi e andare a guardare. Manca poco alla notte. I colori del tramonto già sfumano all’orizzonte e il cielo diventa nero. In terra si accendono le luci, mentre compaiono le prime stelle. Da qui al sesto piano, il paesaggio è sconfinato. Le finestre delle case si accendono una ad una e la città notturna si apre davanti a me. Queste luci mi ricordano quelle del mio paese. Mi ricordo quando da piccola viaggiavo verso sud per andare a trovare i miei nonni. Mio padre guidava di notte, tra le luci dei paesi lontani, immerse nel silenzio. E quando le guardavo immobili ed

eterne, dal finestrino, mi sembrava percorressimo il mondo intero, silenziosi, quasi per non farci scoprire, ed esso fingendo di non vederci, ci lasciava passare. Davanti a quell’oceano di stelle e città immerse nel buio, la mia mente diventava leggera, morivano i pensieri pesanti, quotidiani e tutto si faceva limpido, quasi senza tempo. Il buio sembrava senza limite, copriva la linea d’orizzonte e rendeva tutto infinito. Cielo e terra senza divisioni, uniti nella stessa notte e luci a perdita d’occhio. Sono le luci del mio paese. Le luci di quattro mura antiche, della mia infanzia, delle sere d’estate. Quando le guardo mi sembra di stare ancora lì. Più vado avanti e più me lo sento vicino, il mio paese, attaccato, quasi non volesse lasciarmi. Più mi allontano più i miei occhi lo cercano, lo vogliono vedere. E così, per un attimo, la mia mente si perde, e ritorna al passato.

luci dell’alba per prepararsi e infilarsi in auto. La strada non era ancora trafficata e Anna, naturalmente, voleva giungere in questura il prima possibile. Dopo diversi chilometri giunse nella grande città che si stava animando. Le auto, i mezzi pubblici, i semafori, gli attraversamenti pedonali rallentarono il suo arrivo. Giunta davanti alla questura perse ancora tempo nel trovare un parcheggio. Salì le scale del Mi ricordo ancora il suono delle campane, la mattina di festa. Lì dove il tempo non è mai passato e la vita è rimasta immutata. Eccomi lì. Mi sono appena svegliata. Vedo la stanza, i raggi del sole che filtrano dal balcone, il vento sulle lenzuola. Fa caldo. Sento mia nonna che parla e gli aromi dalla cucina. Mia nonna che il giorno di festa cucinava per tutta la famiglia. Già m’immagino la gente vestita bene, le ragazze con gli abiti lunghi, gli uomini eleganti, le persone che escono dalla messa e si ritrovano in piazza a chiacchierare. La sera ci sarebbe stato il concerto e le bancarelle per le strade, e tutti sarebbero usciti a festeggiare e a guardare i fuochi d’artificio dopo la mezzanotte. Ora l’aria calda della mattina inonda la mia camera. A un certo punto scendo dal letto, apro la porta del balcone,

palazzo e si diresse nel primo ufficio che le capitò. Da lì fu mandata al secondo piano dello stabile. Bussò alla porta dell’ufficio indicatole. Le aprì un uomo, alto, ben piazzato, indossava un paio di jeans e un giubbotto nero, un occhiale con lenti a specchio non permetteva di intravedere gli occhi. Chiese di suo marito e l’uomo, senza esitazione e con tono severo, le rispose che era stato trasferito presso il carcere. Anna non credeva a quelle parole. Roberto in carcere, no, non poteva essere. Era solo un errore, uno stupido e banale errore che si sarebbe risolto in brevissimo tempo. Quanti ne sono accaduti di errori di questo tipo. Anna ripeteva mentalmente la stessa frase: “È un sogno, solamente un brutto sogno, domani mi sveglierò nel mio letto e accanto a me troverò Roberto”. Anna si svegliò, stese il braccio e la sua mano intrecciò quella di Roberto. Era la mattina del 29 novembre 2012, all’indomani del processo nel quale il Tribunale assolse Roberto con formula piena per non aver commesso il fatto. Questo accadde dopo 2 anni, 8 mesi e 5 giorni di carcere.

piano piano esco dalla stanza e mi allontano dal paese. Lo vedo sempre più piccolo mentre si riduce all’orizzonte. Vedo le strade, gli alberi, le città corrono davanti a me. Poi mi alzo ancora, guardo tutto dall’alto, ancora un po’, mentre il sole cala. E di colpo eccomi qui, di nuovo nel presente, di nuovo nella notte, alla finestra di camera mia.


INVIATI NEL MONDO

Suggestioni dal Vietnam Ovunque si sente l'orgoglio di un popolo che ha vinto la guerra e riunito il paese di Paolo Corazza Molti conoscono il Vietnam attraverso i racconti della guerra americana, come la chiamano i vietnamiti, e poco altro sanno di questo meraviglioso paese. Io ero uno di questi, fino allo scorso Natale, quando decisi di visitarlo in compagnia di mia moglie. Un viaggio breve ma intenso, da nord a sud, pochi giorni e poche tappe, ma suggestive. In Vietnam il ricordo della guerra è ancora ovunque. Ancora oggi, a distanza di più di quarant’anni, oltre mille persone ogni anno muoiono sulle mine sparse dagli americani e oltre un quinto del territorio – una superficie come Piemonte Lombardia e Veneto messi insieme - è ancora minato. Vivissimo è anche il mito di Ho Chi Minh. La sua statua nella piazza principale di Saigon saluta e protegge, è di buon auspicio ed è un doveroso omaggio farsi fotografare ai suoi piedi. La sua salma, perfettamente conservata (è morto ormai da cinquant’anni), è nel mausoleo di marmo di Hanoi, visitata ogni giorno da migliaia di persone in rispettoso silenzio. Il nostro viaggio inizia proprio ad Hanoi, la capitale, al nord del paese. Siamo in inverno, il clima non è freddo ma nemmeno caldo. E com’è normale, piove. Verdi risaie, vecchi tuguri e moderne costruzioni in vetro e acciaio si alternano lungo la strada che dall’aeroporto ci porta in centro, dove ancora prevalgono

le costruzioni in stile coloniale. Qui subito ci colpisce il traffico, ma non è che l’assaggio di quanto troveremo a Saigon. La città è un fermento. Motorini, ovunque, trasportano di tutto, persone, animali, mobili, materiali edili, motorini che portava altri motorini, raggiungendo equilibri difficilmente immaginabili. Ha-noi, “all’interno del fiume”, il fiume

era protetta da mura poderose spesse fino a sei metri, al cui interno una buona parte degli edifici storici sono stati danneggiati o distrutti durante l’offensiva del Tet, nel 1968. Il giorno successivo andiamo a visitare la Demilitarized Zone, centro del paese e zona che teatro di scontri cruenti, all’altezza del 17° parallelo, e la base militare americana

rosso, conserva poco della vecchia architettura originale, completamente rivista dai francesi nel XIX secolo. Visitiamo la cittadella e il lago della Spada, e la città vecchia. A est, nella baia di Ha-long, golfo del Tonchino, incontriamo un posto incredibile ed indimenticabile caratterizzato da circa duemila formazioni rocciose simili a faraglioni che sbucano dall’acqua. Al centro del Vietnam, dove la temperatura si alza e piove sempre, ci appare Huè, la vecchia capitale imperiale: immensa, spoglia, grigia, quasi nera,

di Khe Sanh, o meglio, quel che ne rimane. Da Huè in aereo ci spostiamo a Saigon, rinominata Ho Chi Minh City, altri 600 chilometri più a sud. Arriviamo la mattina del 30 dicembre. Stranamente, è tutto facile. L’aeroporto è quasi in città, a differenza di Hanoi, qui i taxi sono numerosi e in dieci minuti siamo in albergo. Qui le persone hanno tratti somatici leggermente diversi da quelli delle popolazioni del nord, sono più dolci, gentili, aggraziati. Il cambio di temperatura si sente, ci sono costanti 32 gradi di giorno e 28 la notte. Ma il clima non è umido come in altri momenti dell’anno e tutto sommato è piacevole, mi metto subito i pantaloni corti e usciamo. Saigon è una immensa città di quasi otto milioni di abitanti, suddivisa in

distretti. Il numero 3 è quello centrale, con gli edifici e le piazze storiche, quello dove si concentrano maggiormente i turisti. È qui che vedo la più alta concentrazione di persone e di motorini per metro quadrato di tutta la mia vita, in confronto Hanoi è un deserto. Respirare è difficile senza una di quelle graziose mascherine di stoffa che vendono a tutti gli angoli di strada all’equivalente di un euro. Della vecchia Saigon coloniale, almeno nei quartieri centrali, rimane ben poco. Spuntano gru ovunque e ovunque ci sono cantieri edili la cui polvere si mischia con lo smog creando un’aria talvolta irrespirabile. Centri commerciali e moderni hotel spuntano come funghi, l’energia è quella di un paese in piena e incontrollata espansione. Nei mercati e nei piccoli negozi delle vie del centro si trovano ormai quasi solo prodotti in serie e ovunque capeggiano i simboli del benessere occidentale. Da non perdere è il palazzo dell’indipendenza con il carro armato vietcong di fabbricazione sovietica che nell’aprile 1975, sfondando il cancello, di fatto sanciva la resa del Vietnam del Sud, la fine della guerra e la riunificazione del paese. Di lì a qualche giorno lasciamo il Vietnam. Ci accompagna l’intima certezza che prima o poi ci torneremo.


PANKAKULTURA

L'arte controversa di Daniele Puppi La sua installazione "alie(n)ation" a settembre sarà esposta a San Francisco di Virginia Bettinelli Daniele Puppi è un artista che ho sempre seguito con passione, sin dal tempo della scuola che abbiamo frequentato nello stesso periodo. Studente al primo ciclo della Scuola d’Arte di Cordenons, inaugurata nell’anno della sua iscrizione, ha frequentato l’Accademia a Venezia, Bologna, Milano ed infine a Roma. Dal suo debutto nel 1996 a Roma all’Ex Teatro degli Artisti gestito allora da Simone Carella (ex Beat ’72) con la Fatica N.1 (installazione video-sonora) ne ha fatta di strada. Australia, America, Europa, parte dell’Asia conquistate come un infaticabile condottiero. Non usa i pennelli né scolpisce, ma lavora con il suono, lo spazio, l’immagine

cinematica, frequenze, vibrazioni, ritmo e video proiezioni. La sua è arte sperimentale, contemporanea e controversa. È cresciuto senza dei maestri di riferimento o dei padri. Oltre le varie esposizioni italiane al MAXXI, alla GNAM, alla Galleria Borghese di Roma - unico artista italiano invitato a realizzare un lavoro site specific -, le sue opere sono passate per il MART di Rovereto, l’Hangar Bicocca di Milano, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, la Lisson Gallery a Londra, l'Australian Experimental Art Foundation ad Adelaide, lo SMAK Museum a Gent e il Mu.ZEE ad Ostenda in Belgio, nonché per le residenze

artistiche internazionali a Seoul, Parigi e nella Silicon Valley. Dall’8 al 29 settembre sarà presente al Minnesota Street Project a San Francisco con l’opera: “alie(n) ation”. Attualmente sta trasferendo lo studio romano, una parte a Milano ed una proprio a Cordenons dov’è nato, continuando a girare il mondo per installare i suoi lavori. In questo momento sta cambiando pelle, così definisce la fase dell’ultimo anno della sua vita, e sono curiosa di vedere come la metamorfosi influenzerà la sua arte. L’artista è un cane sciolto perché deve accondiscendere solo se stesso, non è un creativo. La sfida che Puppi ogni giorno del suo

percorso artistico si è trovato davanti è quella di perseguire un ideale e in qualche modo far parte del sistema del mercato senza però soccombere al “regime estetico” che il sistema stesso impone. La sua fisionomia aliena m’aveva da sempre incuriosita come fosse “[…] uno predestinato e condannato, lo si riconosce tra mille, anche con uno sguardo non molto esperto… Nel suo viso si legge il senso dell’isolamento e dell’estraneità, la consapevolezza di essere riconosciuto e osservato, qualcosa di regale e di smarrito nello stesso tempo […]” (Thomas Mann).

PANKAKULTURA

Note sulle ali di farfalla al “No Borders Music Festival 2018” Altopiano del Montasio affollato per il concerto del compositore francese Yann Tiersen A milleseicento metri osservo gli strati della roccia orizzontale che sembrano un immenso palcoscenico, il verde dell’erba, il bianco delle nuvole spumose e tutto m’è chiaro Sir, come un cielo di montagna sempre blu. Le farfalle tutt’attorno. A tratti credo di visualizzare delle note volare assieme a quelle ali. È pieno di gente quassù e di gente che sa quando applaudire: la musica mette tutti d’accordo al “No Borders Music Festival”. Quando ho scoperto che il compositore Yann Tiersen - che raggiunse il successo mondiale nel 2001 grazie alle musiche della colonna sonora del film “Il Favoloso Mondo di Amélie” - avrebbe suonato al festival, ho deciso che non me lo sarei perso. Ero inoltre estremamente curiosa di vedere un pianoforte in cima alla montagna. Ne valeva la pena. Lo spettacolo naturale

dell’altopiano e Yann Tiersen come l’apprendista stregone con un’energia potentissima hanno richiamato fino a lì donne, bambini, anziani e ragazzi, tanti come i topi del Pifferaio magico. L’abbraccio dei monti non si scorda, perché con la sua maestosità rimette gli uomini al proprio posto, addomesticandoli al rispetto della Natura. Il com-

positore e polistrumentista francese, Yann Tiersen, è un artista senza limiti e confini, in grado di spaziare dalla classica sino all’elettronica e alla musica popolare: certamente ermetico, ma da francese del Nord non è che ci si potesse aspettare tanto calore, forse. L’altopiano è fresco, la gente è dopata dalla endorfine generate durante la fatica della

salita. Per arrivare fino a qui ci sono più di quattrocento metri di dislivello da Sella Nevea fino alla Malga Montasio ed un’inclinazione da intimorire anche una con le caviglie grosse da montanara come le mie, ma ne vale sicuramente la fatica. Questo è solo uno dei concerti del ricco programma del Festival che ha preso il via nell’ultimo weekend di luglio a Tarvisio con i concerti in piazza Unità di Jake Bugg, Kruder & Dorfmeister e Goran Bregovic. Il primo fine settimana di agosto si sono svolti tra l’Altopiano del Montasio, i Laghi di Fusine e il Rifugio Gilberti i concerti con Yann Tiersen, Richard Galliano e Gabriele Mirabassi, Omar Pedrini, Carmen Souza Trio e Brunori Sas. La chiusura del festival si è tenuta presso i Laghi di Fusine con la leggenda americana Ben Harper. È proprio al No Borders Music Festival che nel 2001 conobbi Eagle Eye Cherry e la sua band, che quell’anno cantava “Save tonight” tratta dall’album “Desireless” e li seguii poi per tutta Europa per due tour consecutivi. Possiedo degli scatti che farebbero impallidire la più sgallinata delle groupie, tutto grazie al “No Borders Festival”. (v. b. )


PANKA AMBIENTE

Estati ed inverni sempre più caldi, anche in Friuli Venezia Giulia I dati del primo studio condotto nella nostra regione dall'ARPA. Il riscaldamento globale è la vera sfida del ventesimo secolo, ma è anche il grande assente nel dibattito pubblico di Elisa Cozzarini

Un'ondata di calore straordinaria ha colpito il Nord Europa, e in parte l'Italia, durante l'estate 2018. L'anno scorso il nostro paese ha registrato una crisi idrica eccezionale, che oggi sembra dimenticata. Eppure gli eventi meteorologici estremi sono sempre più frequenti e la loro portata viene amplificata dal surriscaldamento globale in atto. Lo scenario che stiamo vivendo è stato previsto dagli scienziati già da diversi anni: ora i segnali sono sempre più chiari. Il cambiamento climatico, nonostante questo, è il grande assente nel dibattito pubblico, ma sempre più peserà sul futuro del pianeta e dell'uomo. Per il climatologo Filippo Giorgi, direttore della Sezione Fisica della Terra presso il Centro Internazionale di Fisica Teorica "Abdus Salam" di Trieste, la lotta al surriscaldamento globale è la vera sfida del XXI secolo. Ed è una realtà anche in Friuli Venezia Giulia. A evidenziarlo sono i dati forniti dal primo studio condotto nella nostra regione dall'ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente), con la collaborazione scientifica delle Università degli Studi di Udine e di Trieste,

del Centro Internazionale di Fisica Teorica, dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica e del CNR – ISMAR (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Scienze Marine). Lo studio è stato presentato a marzo 2018 ed è disponibile gratuitamente al seguente link: http://www.arpa.fvg.it/cms/ tema/osmer/approfondimenti/cambiamenti-limatici.html. Dall'analisi dei dati climatici rilevati dall'ARPA – OSMER, l’aumento della temperatura media in Friuli Venezia Giulia è inequivocabile. Nel trentennio tra il 1961 e il 1990, infatti, la temperatura media annua era di 12,6 °C, mentre negli ultimi anni i valori sono cresciuti notevolmente, con un picco di 14,6 °C. Se si guarda ai dati suddivisi nelle quattro stagioni, gli ultimi due decenni risultano decisamente i più caldi della serie in ogni stagione dell’anno, ma l’estate mostra il tasso di incremento maggiore (0,4°C per decennio). Sempre in base ai dati dell'OSMER, il particolare riscaldamento nei mesi estivi si evidenzia anche per l’aumento dei giorni in cui la temperatura massima supera la soglia dei 30°C: le giornate molto calde sono passate

da circa trenta degli anni Novanta a quasi cinquanta degli ultimi cinque anni. Il numero di notti molto calde, dette "notti tropicali", quelle in cui la temperatura minima supera i 20 °C, è aumentato, passando da cinque negli anni Novanta a quasi quindici più recentemente. Al contrario gli inverni sono più caldi: un indicatore è l'andamento del numero di giorni di gelo, cioè di giorni in cui la temperatura minima scende sotto lo zero. Dal 1991 fino al 2005 il valore risulta stabile intorno ai sessanta giorni, ma scende a poco più di quaranta giorni negli ultimi anni. Per fare previsioni a lungo termine sul clima, si utilizzano super-calcolatori informatici: vengono risolte complesse equazioni per costruire un'“immagine” del sistema che si intende studiare. Ma per poter tracciare gli scenari futuri, bisognerebbe conoscere con certezza quali politiche energetiche verranno adottate a livello politico globale. Con lo studio coordinato dall'ARPA, grazie alla collaborazione con il Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste, per la prima volta si è ottenuta una stima dettagliata di come potrà cambiare il clima in futuro in Friuli Vene-

zia Giulia, a partire dalle simulazioni di modelli climatici europei "ritagliati" su misura per il territorio regionale. La ricerca dell'ARPA è la base per elaborare una Strategia regionale di adattamento ai cambiamenti climatici e per le azioni di mitigazione, che cioè mirano alla riduzione di emissioni di anidride carbonica. Ma è possibile che sia stato l'uomo a modificare il clima del pianeta? A questa domanda la comunità scientifica ha risposto con chiarezza, ma l'opinione pubblica sembra avere ancora molti dubbi. Il climatologo Filippo Giorgi sottolinea: «Trent'anni fa nessuno si sarebbe sognato di affermare che il clima era influenzato dall'uomo, perché non si era fatta abbastanza ricerca. Piano piano le evidenze si sono sommate, fino a dare una visione consolidata. Ecco perché mi dà molto fastidio quando mi chiedono se credo ai cambiamenti climatici, come se fosse una questione di fede. È invece questione di vedere quello che sta succedendo. L'uomo sta influenzando il clima globale. Visto che è così, si potrebbe agire per evitare la catastrofe: le conoscenze ci sono, si tratta di metterle in pratica».


NON SOLO SPORT

Voglia di volare? C'è il parapendio Come si pratica, con chi e dove. In provincia a seguire l'attività è il Delta Club Montecavallo di Alain Sacilotto e Andrea Lenardon Il primo parapendio è nato negli anni Sessanta del secolo scorso grazie ad alcuni pionieri che hanno intuito la possibilità di modificare i paracadute parabolici in vele con "cassoni", utili a lanciarsi, non più solamente dall'aereo, ma anche dalle montagne. L'evoluzione del parapendio lo ha poi portato ad essere molto utilizzato e diffuso soprattutto a partire dagli anni Novanta, quando le attrezzature hanno eguagliato e poi superato in manovrabilità, praticità e leggerezza quelle del deltaplano. La facilità di trasporto, la comodità di volo e la possibilità di decollare da un punto per riatterrare alla stessa quota hanno fatto si che la disciplina parapendistica diventasse oggi la prevalente tra le attività di volo libero. L'associazione Delta Club Montecavallo, nata nel 1986, è la realtà

territorialmente più vicina al Pordenonese e cura le attività con para o deltaplano nella Pedemontana, da Montereale a Caneva. Il Club è unico in Italia, in virtù della collaborazione con la base aereonautica di Aviano, la quale gestisce l'area di volo militare e, solo in base ad un accordo condiviso con il Club, permet-

te agli associati di volare, previa richiesta e autorizzazione. Per volare nel nostro territorio quindi, dopo avere affrontato l'iter formativo contattando una scuola di volo e acquisendo brevetto e assicurazione, è necessario iscriversi al Club. Nella formazione di un parapendista la pratica e la teoria hanno pari importan-

za. La prima è necessaria a capire se si è adatti al volo, la seconda ad imparare in sicurezza la micrometeorologia e l'aerologia per poter valutare e conoscere le condizioni climatiche. In tre o quattro mesi si possono imparare tutte le tecniche di base del volo per conseguire il brevetto ma, ovviamente, la formazione non finisce mai e, associandosi ai diversi Club della regione, si ha l'opportunità di condividere la passione con altri piloti, migliorare il proprio livello di volo e partecipare a corsi avanzati. Il Parapendio è uno sport molto sicuro: i materiali sono soggetti per legge a revisione e collaudo e l'incidente strutturale è rarissimo. L'unico fattore di rischio è quello umano come per esempio una errata valutazione meteo, una manovra scorretta o l'incuria del materiale. Nel mondo esistono competizioni acrobatiche o di distanza, nelle quali si coprono anche 300 chilometri, ma la bellezza di questo sport consiste anche nell'altissima accessibilità grazie a dei costi abbastanza sostenibili, una attrezzatura maneggievole e uno sforzo fisico alla portata di tutti, maschi e femmine, dai sedici anni fino a quando il fisico lo permette.

In volo sulle ali della libertà «Guardare la terra dall'alto fa capire quanto siamo piccoli ed è una lezione di umiltà» Gabriele Pittaro Truant ha 29 anni e fa parte del Delta Club Montecavallo. È un pilota di parapendio e passa molte ore l'anno volando alla ricerca di panorami sempre più belli, godendo dell'emozione, del senso di libertà e connessione alla natura che questo sport può regalare. Ereditando la passione del padre, ha iniziato molto presto a volare con il delta a motore. Successivamente, alla maggiore età, ha cominciato con il parapendio anche se, come molti appassionati, anche lui inizialmente era molto attratto dal deltaplano soprattutto perchè si ritiene che lo stile di volo più puro sia quello. La maggiore diffusione e la sua praticità però hanno portato il pilota a scegliere di evolvere nel parapendio per potere volare in gruppo con lo stesso mezzo. Quando gli chiediamo cosa lo affascina di più

del para ci risponde che non lo fa per l'adrenalina, come spesso si può pensare degli sport estremi. «Ciò che mi piace di più – risponde - è alzarmi in volo, guardare il mondo da un'altra prospettiva e, sentendo il vento forte e le correnti che spingono, rendermi conto di quanto siamo piccoli e di quanto le forze in gioco siano più grandi. È un po' una lezione di umiltà, qualcosa che serve anche nella vita».

Gabriele tiene a precisare inoltre che «potersi aggregare con altri piloti per condividere l'esperienze è un grande valore aggiunto e probabilmente è il modo più efficace per mantenere viva la passione e continuare con costanza a volare». Ripensando al suo più bel volo tra le nuvole, ci spiega che «cerco di godermi le uscite in para semplicemente per la loro bellezza mentre negli sport estremi,

purtroppo, è un po' diffusa la mania del record, della sfida con se stessi e con gli altri, del portare lo sport ai limiti del pericolo». Nonostante sia un pilota esperto, con in mano il brevetto per il tandem e con alle spalle esperienze come un volo andata e ritorno da Aviano a Cortina, Gabriele cerca di prendere sempre molto responsabilmente il volo e anche se ha vissuto in prima persona qualche situazione rischiosa, è innamorato di questo sport. «Solo provando – dice - le persone possono capire e apprezzare la bellezza del parapendio».


Hanno collaborato a questo numero

LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada de I Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009 Direttore Responsabile Milena Bidinost

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Antonio Zani Quando una persona legge molto, quando poi si accorge che scrivere gli riesce, quando è costretto a fare attività fisica ma non gli riesce e non ne ha voglia, quando in tutto questo conosce la Panka, allora che fa? La risposta è Libertà di Parola! Dopo una gavetta alle rubriche ora esce con l’approfondimento, ma non ti preoccupare Antonio, sempre senza correre!

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Chiara Zorzi S: "Chiara, guarda che bella frase che ho scritto!" C: ”bella ma non si scrive così...” S: "ok non è perfetta ma il senso poetico..." C: "...si bello, ma non si scrive così in Italiano!" S: "Quindi?" C: “tienila, ma non è giusta!”. Quando scorri, la consapevolezza del limite, che scorre con te, è vitale. Grazie Chiara

Elisa Cozzarini Liberata dai fardelli del dover fare per gli altri si è messa in proprio, così può scrivere, leggere, scrivere, progettare, scrivere, studiare, scrivere. Non manca di farlo anche per la Panka perché, se è vero che il futuro è, appunto, tutto da scrivere, quello che sei lo ritrovi nei posti che abiti.

Milena Bidinost Per noi avere a che fare con una giornalista di professione non è mai facile: “Milena sai che ho sentito dire che.. vabbè dai, non importa”. Per lei avere a che fare con gli articoli che escono dalla Panka non è mai facile: “Scusate ma non credo che questa cosa si possa scrivere così perché giornalisticamente.. vabbè dai, non importa”. Milena, la mediazione è un’arte! Ben arrivata al MoMA!

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Virginia Bettinelli Scrive scrive scrive, piacere esigenza amore. Non trova pace nella sua vita trafelata, in perenne corsa alla ricerca di stare al passo con l’orologio che invece, implacabile, indica il tempo troppo velocemente. Nella scrittura trova invece la quiete, la pausa, sopra il delirio. Scrive per la Panka anche per questo, tentativo di pace in un mondo ostile.

Editore Associazione I Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone

Impaginazione Ada Moznich

Andrea Lenardon Tirocinante, educatore, psicologo, operatore psichiatrico, giocatore di calcetto da tavolo, giocatore di Ping Pong, amico. Si arriva alla Panchina per un motivo, si fanno mille altre cose, si vivono mille mondi, diventi mille vite. Il tirocinio finisce ed un po’ non finisce mai, se ne andrà dalla Panka ed un po’ non se ne andrà mai.

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Giorgio Achino Teatrante per diletto adesso applica la tecnica in Panka. A tutti dice: "Sarò chi vuoi, nella tua personale rappresentazione della vita"; palco e Panka si confondono. Benarrivato in questo teatro! Sempre in scena Giorgio

Stampa Grafoteca S.r.l. Via Amman 33 33084 Cordenons PN Fotografie A cura della redazione. Foto a pagina 1 dal sito: https:// www.storyblocks.com/ Foto a pagina 2 dal sito: www. fondazioneslowfood.it Foto a pagina 3 a cura di Pordenone With Love e ConCentro Foto a pagina 4 e 5 dal sito: www.pixabay.com Foto a pagina 6 di Swartz Studio e della redazione LDP Foto a pagina 7 dall'archivio di Pordenonelegge Foto a pagina 8,9 e 10 a cura degli autori Foto a pagina 11 di Paolo Corazza Foto a pagina 12 di Virginia Bettinelli Foto a pagina 13 di Elisa Cozzarini Foto a pagina 14 Questo giornale é stato reso possibile grazie alla collaborazione del Dipartimento delle Dipendenze di Pordenone Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Fiume 8, 33170 Pordenone Tel. 0434 371310 email: info@iragazzidellapanchina.it panka.pn@gmail.com www.iragazzidellapanchina.it FB: La Panka Pordenone Youtube: Pankinari Per le donazioni: Codice IBAN BCC: IT69R0835612500000000019539 Codice IBAN Credit Agricol Friuladria: IT80M0533612501000030666575

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Alain Sacilotto Avete presente l'espressione "Bronsa coverta"? Eccola qua la nostra nuova penna! La sua timidezza nasconde un infuocata sete di sapere! Dietro ogni ostacolo c'è un domani, dentro ogni persona ci può essere una miniera di gemme preziose. Lui ne è l'esempio: forza, coraggio, acume e personalità da vendere. Del resto solo così si può essere amanti del verde evidenziatore e innamorati fedelmente dei colori Giallo-Blu del Parma Calcio. Che dire... Chapeau!

Redazione Gianna Buongiorno, Pordenone With Love e ConCentro, Marlene Prosdocimo, Laggiù, Giorgio Achino, Antonio Zani, Alain Sacilotto, Mia Camilla Lazzarini, Michele Balocchi, Francesca Costa, Sergio Saracchini, Giusi Matozza, Paolo Corazza, Virginia Bettinelli, Elisa Cozzarini, Andrea Lenardon.

Creazione grafica Maurizio Poletto

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Capo Redattore Chiara Zorzi

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Marlene Prosdocimo Se fosse nata in Trentino avrebbe vissuto una adolescenza drammatica ma in Friuli no, meno. Alleggerita da questo peso studia filosofia ed ama le arti. LdP esiste proprio perché è questione di arte realizzarlo ed anche perché senza la giusta filosofia sarebbe impossibile leggerlo. Lei l’ha letto ed ora ci scrive sopra. Perfetta... proprio come la mela!

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Ada Moznich Delle quote rosa lei se ne infischia, non le servono! Essere presidente donna di un’associazione di tossici è da solo un miracolo in termini. Si ama e si teme nello stesso istante, tiene tutti e tutto sotto controllo, anche il conto in banca: - Ada ci servirebbe una penna.. “scrivi con il sangue che le penne costano..!”

Per il 5X1000 codice fiscale: 91045500930 La sede de I Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 13:00 alle 18:00


MANGIARE È INCORPORARE UN TERRITORIO JEAN BRUNHES

I RAGAZZI DELLA PANCHINA CAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE DE I RAGAZZI DELLA PANCHINA


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