L'IRCOCERVO N.8

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editoriale di Michele Maestroni Il numero 8 è, tra le cifre arabe, quello più evocativo e, se vogliamo, narrativizzabile: perfettamente simmetrico, ma più interessante di un semplice zero. Se lo inclini su un lato, diventa il simbolo dell’infinito, con tutta la simbologia che, da millenni, lo accompagna. L’8 è un segno che è un tutt’uno nel tratto, e insieme divisibile: due tondi identici, uno intrecciato all’altro, ma distinguibili. Il sopra e il sotto, l’alto e il basso, il prima e il dopo. Una grafia unica e univoca che, paradossalmente, può suggerire letture doppie e molteplici, non definite né definitive. Così sono i racconti pubblicati in questo ottavo numero dell’Ircocervo, in cui le storie e i protagonisti nascono dalla possibilità e dal bisogno fondamentale di essere di più, di rivelarsi in più modi: sentimenti complessi, stili multiformi, personaggi che nella loro umanità squisitamente inquieta e genuina si fanno lo specchio d’acqua in fondo al pozzo in cui il lettore e la lettrice finiscono per scrutare sé stessi. Un accompagnamento perfetto alle porte dell’autunno, e un invito a farsi plurali e possibili in un mese, come quello di settembre, a cui canonicamente affidiamo l’impegno e la speranza dei lavori, degli inizi e delle occasioni. Apre il numero, con la consueta Ouverture, Omar Di Monopoli, di cui pubblichiamo il racconto Santona. La storia, accompagnata dall’illustrazione di Giulia Di Ruscio, è quella di Matteo, che ai miracoli della maciàra non ci crede per nulla; ma che anche lui, insieme ad altri, si ritrova a chiedere il suo aiuto per uscire dalla miseria delle sofferenze quotidiane. Un’atmosfera tra il prosastico, il sacro e il superstizioso, in un racconto che, nel modo che è caratteristico della narrativa di Di Monopoli, parte dal folklore e dal territorio della Puglia per scavalcarne i confini, riuscendo a cogliere l’ordinario sentire umano di tutti noi. Segue Chi siamo noi?, scritto da Alessandro Busi e illustrato da Irene Fattori. Il racconto ha per protagonista Alcide e la sua famiglia, i Giudici, che assistono all’inesorabile spopolamento della ridente Limenzo, il cui destino ricorda quei tanti piccoli paesi d’Italia che, con gli anni, si sono trasformati in cittadelle fantasma dopo l’esodo degli abitanti verso le città. Ed è proprio Alcide, insieme al signor Gobbi, a rimanere come ultimo guardiano di un mondo spazzato via dal tempo. 5


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