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La Scomparsa di Antigone
Mario Cecere 1
Da oltre due mesi in Italia sono stati sospesi diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione in nome di una “guerra ad un nemico invisibile”, l’applicazione di misure draconiane di quarantena ha confinato la popolazione nelle proprie case, con divieto assoluto di uscire dal proprio comune e con l’obbligo di motivare ogni spostamento; scuole di ogni ordine e grado, università, luoghi di culto, tribunali, negozi, ristoranti, bar, musei sono chiusi, tra le perplessità di qualche eminente costituzionalista, conferendo alle città un livido fascino crepuscolare.
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Da due mesi i media sono come il duplice volto della Gorgone, che ipnotizza e terrorizza, pietrificando davanti allo schermo masse di spettatori in succube attesa del numero dei nuovi contagiati e dei decessi, che cresce di giorno in giorno. L’orrore dei cadaveri trasportati da furgoni militari attraverso città deserte, verso destinazioni ignote, l’abnegazione, questa si eroica, di tanti medici e personale ospedaliero, la popolazione spaventata e sfuggente, i volti coperti da bende, la fila silenziosa per la spesa nei supermercati, le corsie simili a quelle degli ospedali; le testimonianze raccolte tra le lacrime degli operatori sanitari in prima linea, i racconti degli impiegati delle pompe funebri, l’incessante ripetizione dello slogan “andrà tutto bene”, a reti unificate, sui balconi delle case, dove grappoli di condomini simulano la partecipazione a riti propiziatori virtuali: poco alla volta si è palesata la rappresentazione dell’apocalisse, della morte, della fine di un mondo e di una civiltà.
Questa la rappresentazione mediatica, che ha assecondato un certo gusto catastrofista post-moderno, forse l’intuizione serpeggiante, dietro la patina del benessere illimitato e dell’ottimismo progressista, di un destino incombente sull’Occidente e sul mondo -ora come guerra mondiale, ora come olocausto
Laureato in filosofia presso l’Università di Perugia ha viaggiato per il mondo e dopo alcuni anni di 1 lavoro e studio a Parigi si è trasferito in montagna cercando di coniugare l’amore per la sapienza antica con quello per la Natura e le vette. Counselor Filosofico in formazione ( I anno) SSCF & SFiPP.
nucleare, ora come disastro ecologico, ora come pandemia virale- che mette fine ad una società in crisi permanente, “liquida”, effimera e retta, nel suo movimento storico, dalla logica nichilistica della tecnica, da una vitrea razionalità strumentale che procede a sanificarla dall’obsolescenza umana, modificandone l’ambiente che da materiale diventa sempre più virtuale e costellato di dispositivi che devono consentire la vita ad una nuova specie, inadatta ormai alla sopravvivenza se non in ambienti altamente sofisticati e asettici, uniformati dalla razionalità tecnoscientifica, ambienti lisci e privi di ogni porosità disturbante, su cui possano scivolare senza intoppi masse fluide di dati.
Nulla sarà più come prima?
Questa domanda, che inizia a circolare, forse è solo retorica, e dissimula in realtà una larvale presa di coscienza, come dopo l’11 settembre, quando tutto, effettivamente, non fu più come prima e quando “imparammo a convivere”, anche in quel caso, con un nemico insidioso che riusciva a manipolare sapientemente i codici simbolici della nostra società, scivolata in una guerra che già allora venne combattuta soprattutto attraverso i media, che ne amplificarono rifrazioni e deflagrazioni, ed il risultato fu il “patriot act”, una serie di misure speciali e controverse che rinforzarono considerevolmente i poteri di polizie e servizi di spionaggio per circa un decennio.
Se fosse stato ancora in vita, Jean Baudrillard avrebbe forse potuto aiutarci a meglio identificare le analogie tra quel decennio di “guerra al terrorismo” , una guerra al contempo virtuale e reale ad un nemico sfuggente e misterioso, e questa attuale al presente virus Covid19, con tutte le implicazioni antropologiche e sociali conseguenti.
Anche in quest’ultimo caso, tutto è un fitto mistero: dalla natura del virus- se ‘spontaneo’ o ingegnerizzato in laboratorio- alle modalità della sua diffusione, per cui non hanno mancato di fiorire anche teorie complottistiche sulla base anche di curiose coincidenze ed episodi anomali come ad esempio, si ricorderà, l’esercitazione militare per simulare una possibile minaccia batteriologica denominata “coronavirus” proprio nel settembre dello scorso anno, proprio a Wuhan, un mese prima dei Giochi delle Forze Armate cinesi nella stessa città e a cui parteciparono delegazioni di tutto il mondo: due mesi dopo, nell’ormai famosa città cinese, sarebbe stato registrato il famigerato “paziente zero”.
Ma non si dimenticherà nemmeno la mail spedita il 2 gennaio dall’Istituto di virologia di Wuhan al personale dei suoi dipartimenti in cui viene esplicitamente richiesto di non divulgare i dati sperimentali dei test, e che i risultati e le conclusioni relative a questo virus non siano pubblicati su mezzi di comunicazione autonomi. (Fonte: Tgcom24, 20febbraio 2020) 123
Tutti questi interrogativi, dubbi e sospetti, ne sono certo, sono destinati a rimanere sospesi, a fluttuare indefinitamente nell’infosfera, insieme ad altre miriadi di dati e frammenti contraddittori o concordanti, a spezzoni di verità ingegnerizzate, alimentando congetture che non troveranno conferme e contribuendo a conferire alla ‘narrazione’ quel sapore che ormai abbiamo imparato a conoscere, e con cui abbiamo imparato da tempo a convivere, quello della latitanza del vero, dell’equivalenza tra vero e falso, di reale e virtuale, di realtà e simulazione, che sembra essere la cifra della nuova società virtuale in cui siamo entrati.
E da qui la domanda: è necessario ancora distinguere tra verità e menzogna, tra realtà e simulazione? E chi può farlo? La scienza? La filosofia? La politica?
Storicamente è stata la filosofia a sollevare il più potente degli interrogativi, quello che ha determinato il corso di buona parte della storia dell’Occidente, ma oggi essa sembra avervi rinunciato, paga forse di adeguarsi alle mode culturali del tempo, che le garantiscono, se non altro, una remunerata sopravvivenza nelle accademie.
Ma il problema urgente dell’oggi non concerne solo lo statuto della verità ma anche quello dell’etica.
Se le immagini proiettate su tutti gli schermi dei furgoni militari con il loro carico di morte ci hanno profondamente turbato, cosa avrebbero potuto dirci le immagini mai andate in onda dell’atroce sofferenza dei contaminati, accatastati nei reparti di terapia intensiva, privati della vicinanza dei loro cari e morti in totale solitudine, a cui sono stati negati i conforti religiosi, un funerale, una sepoltura, per finire inceneriti? In Occidente, fino a poco tempo fa, per molto meno, avrebbero vibrato le corde della nostra più intima umanità, memori dell’eredità classica e della tragedia greca che fonda, con la sapienza civica di Roma antica, i confini e gli archetipi della nostra civiltà: Antigone, che esercita la pietosa cura del defunto, contravvenendo alle leggi scritte degli uomini per corrispondere a quelle non scritte degli Dei.
Scrive il filosofo Giorgio Agamben sul suo blog Quodlibet: “Com’è potuto avvenire che un intero paese sia senza accorgersene eticamente e politicamente crollato di fronte a una malattia? Le parole che ho usato per formulare questa domanda sono state una per una attentamente valutate. La misura dell’abdicazione ai propri principi etici e politici è, infatti, molto semplice: si tratta di chiedersi qual è il limite oltre il quale non si è disposti a rinunciarvi. Credo che il lettore che si darà la pena di considerare i punti che seguono non potrà non
convenire che – senza accorgersene o fingendo di non accorgersene – la soglia che separa l’umanità dalla barbarie è stata oltrepassata. Il primo punto, forse il più grave, concerne i corpi delle persone morte. Come abbiamo potuto accettare, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, che le persone che ci sono care e degli esseri umani in generale non soltanto morissero da soli, ma che – cosa che non era mai avvenuta prima nella storia, da Antigone a oggi – che i loro cadaveri fossero bruciati senza un funerale? 2) Abbiamo poi accettato senza farci troppi problemi, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, di limitare in misura che non era mai avvenuta prima nella storia del paese, nemmeno durante le due guerre mondiali (il coprifuoco durante la guerra era limitato a certe ore) la nostra libertà di movimento. Abbiamo conseguentemente accettato, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, di sospendere di fatto i nostri rapporti di amicizia e di amore, perché il nostro prossimo era diventato una possibile fonte di contagio. 3) Questo è potuto avvenire – e qui si tocca la radice del fenomeno – perché abbiamo scisso l’unità della nostra esperienza vitale, che è sempre inseparabilmente insieme corporea e spirituale, in una entità puramente biologica da una parte e in una vita affettiva e culturale dall’altra. Ivan Illich ha mostrato, e David Cayley l’ha qui ricordato di recente, le responsabilità della medicina moderna in questa scissione, che viene data per scontata e che è invece la più grande delle astrazioni. So bene che questa astrazione è stata realizzata dalla scienza moderna attraverso i dispositivi di rianimazione, che possono mantenere un corpo in uno stato di pura vita vegetativa.
Ma se questa condizione si estende al di là dei confini spaziali e temporali che le sono propri, come si sta cercando oggi di fare, e diventa una sorta di principio di comportamento sociale, si cade in contraddizioni da cui non vi è via di uscita.”( Giorgio Agamben, Una domanda, Quodlibet, 13 aprile 2020)
Se il distanziamento sociale dovesse finire col divenire la nuova norma su cui costruire la società di domani, questa tenderebbe probabilmente ad assumere i tratti di una società post-umana, una società di bolle virtuali, di monadi binarie in cui la nuda vita del bios, campo di applicazione di una scienza astratta, costituirebbe il mero supporto biologico della bolla virtuale delle attività solipsistiche neurocerebrali potenziate dalle applicazioni della tecnologia. Dal punto di vista del soggetto umano come lo conosciamo da Platone ad oggi ciò determinerebbe il ritrarsi della sua intenzionalità dal mondo, un ripiegarsi su di sé, da soggetto ad oggetto. 125
Per dirla con Galimberti: “Un mondo inospitale, che non si lascia abitare, non sopprime l’esistenza, ma la costringe alla corda, la lascia esistere nelle forme dell’apprensione, dell’ansietà, della malattia.”